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Barbara Rossi, Roberta Abd El Gawad, Sara Capriotti, Lucia Castelli,
Guglielmo Maria De Feis, Manuel Del Sante, Chiara Laurenzi,
Sabrina Monachesi, Alessandra Mosca, Chiara Patitucci, Sara Raffaele
IL SUPPORTO INDISPENSABILE
Psicopedagogia e neuroscienze in aiuto dello sport giovanile
A. Apprendimento
B. Etica/Fattori culturali
C. Creare il sistema
D. Metodologie
E. Sperimentazioni
MAPPA
DEL LIBRO
Cosa troverai in questo libro:
nozioni, spiegazioni, evidenze scientifi-
che, contributi pratici, sperimentazioni e
spunti di riflessione che la moderna psi-
copedagogia offre al mondo dello sport
giovanile.
A chi si rivolge:
istruttori sportivi, dirigenti sportivi,
maestri e maestre di sport e di scuola,
genitori e nonni.
Capitolo 2
Capitolo 3
Capitolo 5
Capitolo 1
Capitolo 9
Capitolo 10
Capitolo 4
Capitolo 8
Capitolo 13
Capitolo 5
Capitolo 6
Capitolo 7
Capitolo 11
Capitolo 12
Capitolo 13
In allegato
il “Gioco dell’Atleta”
da giocare in 63 caselle!
5
Presentazione
di Germano D’Arcangeli
Prefazione
di Renzo Ulivieri
Introduzione: Guida alla lettura del libro
di Barbara Rossi
Capitolo 1: Le scelte degli adulti
di Barbara Rossi
Capitolo 2: Apprendimento ed emozioni
di Chiara Patitucci
Capitolo 3: Apprendimento analogico e sport
di Roberta Abd El Gawad
Capitolo 4: Clima emotivo e processi di leadership
di Sara Raffaele
Capitolo 5: Allenare alla complessità
di Sabrina Monachesì
Capitolo 6: Il potere del gioco
di Sabrina Monachesi
Capitolo 7: Psicomotricità, equilibrio e autonomia
di Manuel Del Sante
Capitolo 8: La comunicazione empatica nello sport giovanile
di Barbara Rossi
Capitolo 9: Studi di genere nello sport infantile e giovanile
di Alessandra Mosca
Capitolo 10: Lo sviluppo della cultural intelligence
di Guglielmo Maria De Feis
Capitolo 11: Il teatro sociale nello sport dei bambini
di Chiara Laurenzi
Capitolo 12: Un’esperienza di calcio integrato
di Sara Capriotti
Capitolo 13: Allenare all’eccellenza
di Barbara Rossi
Capitolo 14: Conclusioni
di Lucia Castelli
Bibliografia e sitografia
Gli Autori
Cruciverba
INDICE
p. 7
p. 11
p. 13
p. 15
p. 21
p. 37
p. 47
p. 59
p. 73
p. 83
p. 127
p. 135
p. 147
p. 163
p. 173
p. 183
p. 195
p. 201
p. 206
p. 207
15
Questo libro, pensato e scritto in quanto aiuto pratico e trasformativo per i mae-
stri di sport e per i dirigenti di centri di avviamento allo sport e società sportive di
settore giovanile, non dimentica di rivolgersi anche alle famiglie, che ricoprono un
ruolo essenziale nel successo della pratica sportiva dei loro figli. La maggior parte
dei genitori affida alle società sportive i bambini per far in modo che trascorrano
un tempo libero di qualità e coltivino la salute psico-bio-sociale e, quasi sempre,
questi obiettivi coincidono anche con quelli di ogni operatore sportivo. Credendo in
questa affinità educativa e parlando a tutti gli adulti coinvolti in questo sistema com-
plesso e bellissimo, questo libro ha la speranza di contribuire a responsabilizzarli.
Le problematiche della popolazione giovanile di questo inizio secondo decennio
degli anni duemila, di cui volente o nolente anche il mondo sportivo deve farsi cari-
co, ci parlano di criticità sia fisiche che mentali.
Ipernutrizione, tendenza all’analfabetismo motorio e sociale, non uso di alcune fa-
sce muscolari a causa della pratica motoria insufficiente e ipertrofie di altre fasce
muscolari dovuta al troppo utilizzo di giochi e apparecchi tecnologici ci preoccu-
pano così come le patologie gravanti sul sistema nervoso dei più giovani, quali i
disturbi contenuti nello spettro autistico e i disturbi dell’attenzione e iperattività che
sono in aumento, così come l’incidenza delle sindromi psicologiche quali depres-
sione infantile, ansia, eccessi di aggressività, disturbi del comportamento e finan-
che hikikomori cioè la sindrome dei ragazzini che rinunciano ad uscire di casa per
evitare la sfida e le difficoltà della vita, preferendo al mondo reale quello virtuale.
Tutta questa preoccupazione però dà pochi esiti, il quadro sociale prevalente che
permane e si consolida è quello di bambini che hanno poche opportunità di muo-
versi in maniera libera e armonica per un tempo sufficiente ad elaborare adeguata-
mente le competenze motorie di base e una creatività esperita attraverso il corpo,
con la conseguenza che essi strutturano schemi motori sempre più spesso defici-
tari.
“Dovremmo smettere di attirare gente come ai baracconi: venite, venite,
venite per di qua! La gente non ne può più del circo. E può essere che
tra breve sarà attratta proprio dal contrario, e le sembreranno appetibili
proprio quei luoghi che non chiamano a gran voce, che non invitano e non
accolgono ma che semplicemente, con grande serietà, SONO”.
Paola Mastrocola
CAPITOLO 1
A cura di
Barbara Rossi
LE SCELTE DEGLI ADULTI
21
Da più ricerche scientifiche svolte in Italia negli ultimi anni, è emerso che i bambini
presentano delle importanti criticità negli aspetti inerenti le competenze emotive:
gestione dell’ansia, della frustrazione, della rabbia e autocontrollo. In virtù di ciò, gli
insegnanti e gli istruttori che interagiscono con i bambini oggi hanno una posizio-
ne privilegiata per l’analisi e la valutazione delle dinamiche emotive implicate nei
processi di apprendimento e di sviluppo, ed una grande opportunità di svolgere un
lavoro quanto mai prezioso.
Ogni apprendimento, inteso come processo complesso e multi-determinato, deve
tener conto delle esperienze relazionali del bambino all’interno del suo nucleo fa-
miliare, nel gruppo dei pari, nella realtà scolastica. L’apprendimento è un proces-
so molto complesso in cui intervengono anche le emozioni provate al momento
dell’immagazzinamento delle conoscenze, ed è da questo assunto che partono
le ricerche della professoressa Lucangeli e dei suoi collaboratori dell’Università di
Padova.
Quello che è emerso dai loro studi è che nel nostro sistema educativo la didattica
basa l’apprendimento principalmente su due emozioni disfunzionali: senso di col-
pa e paura (Lucangeli D., X Convegno Internazionale “La Qualità dell’integrazione
scolastica e sociale”, 2015). Per analizzare in che modo queste emozioni compro-
mettano l’apprendimento sarà utile fare una breve panoramica sulle emozioni.
2.1 CHE COSA SONO LE EMOZIONI?
Le emozioni sono stati mentali e fisiologici associati a modificazioni psicofisiologi-
che causate da stimoli interni (battito cardiaco, salivazione, temperatura, rossore)
ed esterni (pensieri, rumori o altro). Questi cambiamenti improvvisi dell’ambiente
generano risposte di paura o ansia in modo innato o appreso. Nella sua opera di
divulgazione la Prof.ssa Lucangeli per far comprendere meglio questa distinzione
prende come riferimento l’esempio della differenza tra dolore e sofferenza: il do-
lore nasce per avvertirci di un fattore di rischio, mentre la sofferenza rappresenta
la memoria del dolore sia a livello psichico che cellulare (Lucangeli, X Convegno
Internazionale “La qualità dell’integrazione scolastica e sociale”, 2015).
“Teach bravery, not perfection”
Reshma Saujani
CAPITOLO 2
A cura di
Chiara Patitucci
APPRENDIMENTO
ED EMOZIONI
37
La rana e il canguro sono animali che saltano, il ghepardo è un animale che corre
veloce, la tartaruga è un animale longevo e l’uomo è un animale che apprende. Noi
umani non abbiamo altra specializzazione se non questa, il nostro punto forte è
la nostra estrema capacità di imparare. Prima ancora di venire al mondo infatti il
nostro sistema nervoso, non ancora del tutto sviluppato, ha iniziato a rubare informa-
zioni dall’ambiente che lo circondava, quello prenatale, e immerso in questo spazio
particolare il cervello del bambino ha messo in atto una serie di stratagemmi per
favorire i primissimi apprendimenti di tipo motorio: comunicazioni casuali fra nervi e
muscoli hanno iniziato a consolidare i rapporti fra sistema nervoso periferico e siste-
ma muscolo-scheletrico. E questo non è che l’inizio di un lunghissimo viaggio. Una
volta venuto al mondo e a mano a mano che cresce, il bambino affronterà delle tap-
pe evolutive che lo condurranno alla conquista di stadi motori sempre più avanzati.
La magia sta nel fatto che il tutto avviene apparentemente senza sforzo; sembra
che il nostro cervello contenga già i programmi che servono al bambino per im-
parare a gattonare, ad alzarsi in piedi, poi a camminare e correre via. Arriva un
momento, però, in questo sviluppo delle capacità motorie del bambino, in cui la
spontaneità va messa da parte e l’apprendimento deve essere guidato da un pro-
fessionista. Quando il bambino si approccia a uno sport, infatti, si deve avvicinare
a gesti e movimenti meno abituali, processo nel quale il preparatore atletico riveste
il ruolo privilegiato di differenziale di sviluppo.
Cos’è un differenziale di sviluppo?
Facciamo un piccolo passo indietro: negli anni ‘30 del Novecento un grande studio-
so del comportamento di apprendimento e padre della scuola storico-culturale, lo
psicologo sovietico Lev Vygotskij, è stato fra i primi a teorizzare un ruolo importante
del contesto sociale nello sviluppo delle capacità del bambino.
“L’unica persona che si può ritenere istruita è quella che ha imparato
come si fa ad imparare – e a cambiare”.
Carl Rogers
CAPITOLO 3
A cura di
Roberta Abd El Gawad
APPRENDIMENTO
ANALOGICO E SPORT
47
4.1 INTRODUZIONE 
È risaputo che nello sport giovanile le emozioni giochino un ruolo determinante, sia
nella riuscita esecuzione dei gesti tecnici che nella crescita globale dell’atleta. Emo-
zioni positive, un clima di squadra sereno ed uno stile di coaching efficace sono
componenti che agiscono da facilitatori per l’apprendimento e contribuiscono ad un
armonioso sviluppo personale e atletico. Moltissime ricerche negli anni hanno foca-
lizzato l’attenzione sull’aspetto emotivo dello sport; in particolare a noi interessa, in
questo capitolo, approfondire la relazione tra emozioni e riuscita nello sport dei
bambini e dei ragazzi partendo dalle esperienze sul campo degli istruttori (Davis
e Davis, 2015). Le domande a cui si cercherà di rispondere riguardano quale ruolo
abbiano le emozioni nell’insegnamento dello sport e in che modo la capacità di lea-
dership e di regolazione emotiva dell’istruttore determinino l’efficacia del metodo di
allenamento e la costruzione di un gruppo squadra solido e sereno.
Le basi teoriche da cui partiremo sono quelle dell’intelligenza emotiva (Salovey,
Mayer, 1990; Sternberg; 1996; Goleman, 1995), quelle delle Intelligenze Multiple
(Gardner, 1993, 2005) ed il nuovo filone di ricerca della Warm Cognition afferma-
tosi in Italia di recente grazie al lavoro della neuroscenziata Daniela Lucangeli. Al
gruppo di ricerca della Warm Cognition guidato dalla Dr.ssa. Lucangeli presso
l’Università di Padova, già descritto nei capitoli precedenti, si deve il merito della
ridefinizione di alcuni concetti fondamentali per l’insegnamento estendibili anche
all’ambito sportivo. Tra questi concetti quello di “apprendimento caldo”, sottintende
che l’apprendimento è sostenuto dalle emozioni e da esse è condizionato, giacché
i processi cognitivi sono strettamente collegati con i processi emotivi.
“Se vuoi costruire una nave non devi per prima cosa affaticarti a chiamare
la gente a raccogliere la legna e a preparare gli attrezzi; non distribuire i
compiti, non organizzare il lavoro.
Ma invece prima risveglia negli uomini la nostalgia del mare lontano e
sconfinato. Appena si sarà risvegliata in loro questa sete si metteranno
subito al lavoro per costruire la nave”.
Antoine de Saint-Euxpéry
CAPITOLO 4
A cura di
Sara Raffaele
CLIMA EMOTIVO
EPROCESSIDILEADERSHIP
59
Lo sport è un’attività affascinante e complessa: sia quando viene praticata per puro
divertimento, sia quando il carattere agonistico e professionale si fa più marcato.
Gli aspetti motori, psicologici ed emotivi si intrecciano andando ad rendere più
intricata (e intrigante) la situazione. Chi educa allo sport e insegna una disciplina
sportiva è consapevole, o dovrebbe esserlo, che ha scelto di allenare quelle doti
che ci permettono di gestire situazioni complesse. L’intento di questo capitolo è
quello di condividere alcuni elementi della ricerca sulle neuroscienze per rendere
più coscienti gli istruttori che lavorano nello sport dei tasti che possono premere
affinché l’atleta che stanno formando cresca come un’armonia, nella mente e nel
corpo. Prima di entrare nel vivo della trattazione e vedere cosa succede nella men-
te dei nostri atleti, permettete una piccola premessa:
5.1 IL MOTORIO È PSICOMOTORIO
Leisman nel suo articolo del 20161
mostrava quanto i circuiti cognitivi e quelli motori
fossero strettamente interconnessi e come il loro legame fosse dinamico e bidire-
zionale. Probabilmente solo le risposte motorie più semplici come i riflessi, sono
dei comportamenti così chiusi e bastevoli a se stessi da non richiedere un coin-
volgimento cognitivo. Per il resto, come argomenta il prof.Benso2
i movimenti che
facciamo sono il prodotto di un continuo dialogo tra i circuiti del movimento richie-
sto e altre connessioni che interessano percezione, memoria, altri comportamenti
motori, altre informazioni che vengono dal proprio corpo ecc. Tutti questi sistemi si
intersecano e interagiscono fra loro richiedendo l’integrazione e la supervisione dei
sistemi attentivi centrali. Sarebbe riduttivo quindi pensare ad un allenamento che
abbia come argomento di progettazione solo l’insegnamento di gesti motori.
CAPITOLO 5
A cura di
Sabrina Monachesi
ALLENARE
ALLA COMPLESSITÀ
1
Leisman G, “Thinking, walking, talking: Integratory Motor and Cognitive Brain Fuction”, 2016
2
Francesco Benso, “Attenzione esecutiva, memoria e autoregolazione”, Hogrefe Firenze 2018
“- Sempre per te non può essere fatto, tu non senti ciò che dico!
- Maestro, spostare delle pietre è una cosa, questo è del tutto diverso.
- No, non diverso, solo diverso in tua mente, devi disimparare ciò che hai
imparato
- D’accordo ci proverò.
- No! Provare no! Fare o non fare, non c’è provare.”
Maestro Yoda
73
IL SUPPORTO INDISPENSABILE
6.1 IL GIOCO: UN’OTTIMA SCELTA EVOLUTIVA
Il gioco è un comportamento che si presenta spontaneamente non solo nei cuccioli
d’uomo, ma in tutti gli animali che hanno un sistema corticale elaborato.
Giocano tutti i mammiferi e i loro giochi aumentano di complessità con l’aumentare
di quella della struttura cerebrale.
Sembra che dal punto di vista neurofisiologico la presenza del sistema limbico e in
particolare del giro del cingolo sia indispensabile per osservare l’impulso al gioco.
Ma a cosa serve giocare? Non esiste una sola funzione del gioco e questo si rispec-
chia nella varietà delle situazioni in cui esso si manifesta, nelle diverse forme che
assume e nel suo perdurare anche in età adulta e senile.
Una di queste funzioni, che hanno selezionato il gioco come un comportamento
efficace per la sopravvivenza, è la capacità di creare situazioni in cui completare il
proprio sviluppo motorio, cognitivo ed emotivo.
L’uomo e i cuccioli dei mammiferi nascono con un bagaglio di comportamenti
istintivi e stereotipati relativamente leggero; d’altra parte le capacità plastiche del
cervello alla nascita sono vastissime e permettono di affinare molte abilità in un
ambiente e in condizioni particolari e sempre varie. Per rafforzare o creare col-
legamenti neuronali, il cucciolo ha bisogno di sperimentare, provare e riprovare
gesti motori, sequenze di eventi, creare e disfare condizioni. Il gioco permette di
perdurare e ripetere tali condizioni grazie al piacere intrinseco presente nell’attività
ludica.
CAPITOLO 6
A cura di
Sabrina Monachesi
IL POTERE DEL GIOCO
“In tutto ciò che devi far
Il lato bello puoi trovar.
Lo troverai e...hop!
Il gioco vien.
Ed ogni compito divien
più semplice e seren,
dovrai capir
che il trucco è tutto qui”
Mary Poppins
83
La psicomotricità è una tecnica a mediazione corporea che considera l’unità psi-
cofisica dell’individuo e attinge le sue conoscenze da molteplici discipline tra cui
la biologia, la psicologia, la psicoanalisi, la sociologia e la linguistica. L’etimolo-
gia della parola “psicomotricità” ci riporta all’unione tra il movimento e l’aspetto
psicologico (psico-affettivo, cognitivo e psico-sociale), specificamente all’unità
mente-corpo. Recenti studi hanno infatti evidenziato che il movimento e il corpo
sono i canali della dimensione esperienziale che danno vita al pensiero; inoltre,
qualunque aspetto motorio non può essere considerato al di fuori dell’esperienza
psichica, poiché ogni atto volontario richiede intenzionalità. Il movimento non è solo
esercizio fisico ma il mezzo attraverso cui l’uomo sviluppa l’equilibrio, la sua forza e
soprattutto si relaziona affettivamente con il mondo; è attraverso il movimento che
il bambino comprende l’ambiente, le conseguenze delle sue azioni e soprattutto
sviluppa il proprio sé e il proprio schema corporeo.
È da ricordare che il corpo è la fonte di comunicazione principale dell’uomo: i suoi
gesti, la sua postura e la sua espressione parlano per lo più inconsapevolmente;
attraverso il timbro della voce, la mimica, la direzione dello sguardo ci scambiamo
messaggi significativi, comunicando come ci poniamo nelle varie relazioni. Dobbia-
mo ricordare che il corpo ha un linguaggio basato sulla memoria corporea e quindi
sull’affettività e l’emotività.
In psicomotricità il corpo non è concepito, dunque, dal punto di vista anatomico ma
è un corpo con una storia e una gestualità, luogo di emozioni ed espressioni perso-
nali. Questa disciplina, utilizzata sia in ambito terapeutico, educativo, che sportivo
si propone così di migliorare le funzioni dell’organismo e di promuovere la consape-
volezza del valore del corpo nella sua accezione affettiva, cognitiva ed espressiva.
“ L’educazione deve fornire la capacità naturale della mente di porre e
risolvere problemi essenziali e, correlativamente, deve stimolare il pieno
uso dell’intelligenza generale. Questo pieno uso richiede il libero esercizio
della facoltà più diffusa e più viva nell’infanzia e nell’adolescenza, ossia
la CURIOSITÀ, che troppo spesso la scuola e lo sport spengono e che si
tratta, al contrario, di stimolare o di risvegliare, se dorme.”
Edgar Morin
CAPITOLO 7
A cura di
Manuel Del Sante
PSICOMOTRICITÀ,
EQUILIBRIO E AUTONOMIA
127
Negli ultimi anni agli istruttori ed alle istruttrici di sport non è più richiesto di essere
soltanto insegnanti esperti della materia tecnica ma qualcosa di palesemente più
complesso: essi devono avere capacità di comunicare, educare, motivare l’am-
biente, facilitare dinamiche, gestire e incrementare la partecipazione positiva delle
famiglie, lavorare in equipe con i colleghi.
Ogni maestro di sport sulla base del proprio carattere, del suo vissuto e delle sue
conoscenze e convinzioni sceglie la propria linea per riuscire in tutti questi compiti.
Ma esiste un approccio migliore di altri quando si è in un contesto sportivo e si ha a
che fare con gli sportivi giovani e giovanissimi delle nuove generazioni? Esiste una
maniera di porsi e di parlare in grado di creare sempre e comunque buoni rapporti
con i bimbi, i ragazzi e le ragazze e con i loro genitori? C’è una ricetta sempre va-
lida per attivare dinamiche relazionali e di gruppo efficaci e prolifiche? Il metodo
educativo del bastone e la carota, per esempio, molto usato in passato e ancora
molto in voga tra gli allenatori di ogni ordine e grado può ancora essere efficace ed
in linea con le esigenze e la complessità di una generazione cresciuta all’interno di
un sistema completamente differente?
Il mondo di cui stiamo parlando non è più quello nel quale sono cresciuti coloro che
oggi fanno gli istruttori sportivi, ma è un mondo nel quale le manifestazioni di ansia
e depressione sono frequenti prima ancora della pubertà. Soprattutto noi occiden-
tali viviamo in una società nella quale la vulnerabilità emozionale è molto alta sia
negli adulti che nei ragazzi e genera disturbi dell’umore che hanno spesso anche i
colori dell’aggressività esasperata.
Il bombardamento di informazioni porta paura e disagio e non spinge nella direzio-
ne del confronto empatico ma spesso in quella dell’isolamento tecnologico. I giova-
ni in questione (e non solo loro!) hanno rapporti diretti con apparecchi tecnologici
continui e costanti e ciò, secondo i neuroscienziati, innesca meccanismi nel circuito
del cervello che generano disturbi dell’attenzione e danno il rinforzo immediato del
riconoscimento di sé nel sociale attraverso la rete. Il bisogno continuo di tale rinfor-
zo crea dipendenza. 
“Le parole sono finestre, oppure muri“
M.B.Rosenberg
CAPITOLO 8
A cura di
Barbara Rossi
LA COMUNICAZIONE
EMPATICA NELLO SPORT
GIOVANILE
135
Questo capitolo vuole porre l’accento sulla naturale integrazione tra bambini e
bambine nel gioco e su quanto siano ancora radicati certi preconcetti rispetto al
movimento corporeo e lo sport nei due sessi e tra i due sessi. Prima di iniziare la
trattazione vorremmo sottolineare un aspetto: per comodità espositiva in questo
capitolo, come nell’intero libro si utilizza l’espressione “il bambino”, riferendosi al
maschile e al femminile.
9.1 BAMBINI E BAMBINE POSSONO ALLENARSI INSIEME?
Una proposta motoria corretta e funzionale nell’infanzia e una preparazione sportiva
nell’età dello sviluppo fino a tutta l’adolescenza, devono procedere con gradualità
e prevedere una conoscenza approfondita dello sviluppo fisiologico, anatomico e
biologico che si manifesta in entrambi i sessi, una preparazione psico-pedagogica
che consenta di fissare obiettivi, contenuti, metodi e limiti per garantire il conse-
guimento di uno sviluppo e di un’integrazione sana ed armonica del fisico e della
personalità.
“— Ma se dopo scopriamo che sei una bambina? Dovremo cambiare tutto... Mettere delle
tende più chiare, dei fiori, un copriletto rosa, cambiare le stampe alle pareti, sostituire quel
veliero e quel mappamondo... Non vorrai tenere ai piedi del letto un poster di macchine da
corsa! E come potresti giocare con quel pallone o col treno elettrico se fossi una femmina?
— Non potrei giocarci lo stesso? — chiese Mo sconcertato. — E poi non si preoccupi per i
giocattoli. Ho portato con me da Deneb la mia bambola di pelliccia.
Doveva aver detto qualcosa di sbagliato. La donna si fermò di colpo accanto alla finestra ed
esclamò in tono di accusa, pallida di rabbia: — Dunque sei una femmina, in fondo? È tutto
il giorno che ci prendi in giro! E anche i tuoi genitori! Che bisogno c’era di fare tante storie?!
Giochi con le bambole, dunque sei una femmina!
Il piccolo denebiano raccontò le sue esperienze via lettera al fratello (o sorella?) Tar. Caro
Tar, questi terrestri sono così strani e diversi da noi! Però non metterti in testa che io qui sia
infelice e abbandonato. In fondo sono stato io a voler venire sulla Terra.”
Bianca Pitzorno
CAPITOLO 9
A cura di
Alessandra Mosca
STUDI DI GENERE NELLO
SPORTINFANTILEEGIOVANILE
147
10.1 INTRODUZIONE
Con un passato di bambino-calciatore in un intero settore giovanile (per intenderci:
pulcino, esordiente, giovanissimo, allievo, under 19) mi arrogo il diritto di introdurre
l’argomento delle differenze culturali, con le mie - personali e opinabili, ma anche
molto sentite - esperienze dirette. In questo mio percorso didattico-sportivo, ho
avuto modo di conoscere le peculiarità culturali specifiche del mondo calcistico
latino-italiano. Un mondo che ha criteri pedagogici molto diversi, in alcuni casi ad-
dirittura opposti, a quelli del sistema scolastico nazionale. Uno scolaro della scuola
elementare - che si avvicini al calcio - fin dal primo giorno di allenamenti, si trova
inconsapevolmente di fronte ad una differente prospettiva culturale. Usando una
metafora che renda l’idea per tutti, si può dire che mentre il sistema scolastico
rappresenta il mondo classico, il sistema sportivo rappresenta quello medievale.
Nel primo contano la poesia, la prosa, le traduzioni, la matematica coi suoi teoremi
e le sue dimostrazioni, la geografia, la retorica, la storia e le scienze. Nel secondo
hanno valore saper andare a cavallo, usare la spada, riconoscere gli amici e i ne-
mici, rispettare le gerarchie e costruire i giusti legami di fiducia e fedeltà.
Lo studente modello, che, in Italia, abbia anche la passione dello sport, deve ac-
cettare di dover affrontare un sovvertimento di valori simile a quello provato dai
cittadini dell’Impero romano successivamente alle invasioni barbariche.
Il bambino, solo dopo aver capito che, nell’insegnamento sportivo, i concetti di
rispetto, educazione, comprensione, bravura e perfino quelli, teoricamente univer-
sali, di tempo e spazio,1
sono profondamente diversi, riesce ad integrarsi nel nuovo
sistema.
“Tutti vogliono il progresso, ma nessuno
è disposto a cambiare sé stesso”
Soren Kierkegaard
CAPITOLO 10
A cura di
Guglielmo Maria De Feis
LO SVILUPPO DELLA
CULTURAL INTELLIGENCE
1
Il Rispetto è basato su criteri legati più all’etologia che alle regole del galateo e alla sociologia.
L’Educazione si basa sul rispetto delle regole dello spogliatoio e delle gerarchia prima che sulle con-
venzioni sociali. La Comprensione è quella che può ottenere un soldato dai suoi ufficiali, in luogo di
quella amorevole dei genitori o della maestra.
Il Tempo e lo Spazio sono quelli della nuova comunità (lo spogliatoio) e vanno conquistati e meritati
individualmente nel rispetto degli interessi collettivi.
163
Definire il Teatro uno strumento con una valenza sociale ha creato negli ultimi anni
accesi dibattiti che tutt’ora lo portano ad essere etichettato in molteplici modi.
Il Teatro può infatti essere Civile, Comunitario (o di Comunità), Pedagogico, e
ancora, può essere definito Sociale nelle varianti di Teatro nel sociale e Teatro per
il Sociale. Ma il Teatro, sociale lo è fin dalla sua nascita.
Mi piacerebbe, però, in questo capitolo, considerare il Teatro, più che sociale,
necessario. Ed è proprio perché si parla di uno strumento che diviene sociale nel
momento in cui agisce per il bene di una comunità, a favore della trasformazione e
del cambiamento, il teatro diventa utile anche nel contesto sportivo infantile, in cui
i protagonisti non sono soltanto i bambini e le bambine, ma anche i loro genitori e
naturalmente, gli allenatori.
La storia del teatro, dall’antica Grecia ai nostri tempi, ci fa capire perfettamente che
la pratica teatrale è uno spazio dove tutto è possibile e in cui chiunque può avere
voce. Nel Novecento molti studiosi e formatori di Teatro riformarono tutto ciò che fino
a quel momento era stato considerato solo ed unico intrattenimento: si cominciò,
infatti, a parlare di Pedagogia e di Antropologia teatrale e a ricostituire, oltre al ruolo
dell’attore, anche quello dello spettatore, che da fruitore quale era sempre stato,
da quel momento in poi avrebbe acquisito anche altri ruoli, diventando parte e
creatore attivo della performance (spett-attore).
Quando negli anni ’90 le Neuroscienze giunsero alla scoperta dei neuroni specchio,
in ambito teatrale si ebbe dimostrazione scientifica di come il sistema attivasse
meccanismi relazionali tra pubblico e attore grazie alla visione, alle emozioni, alle
intenzioni e alle reazioni. Dunque nei tempi moderni arrivò come una certezza ciò
che forse tacitamente era già noto e cioè che la performance teatrale ha un grande
valore evolutivo, è una specie di palestra emotiva in cui si possono sperimentare e
modificare stati di coscienza, percezioni, emozioni.
“Tutti possono fare teatro, anche gli attori
si può fare teatro dappertutto, anche nei teatri”
Augusto Boal
CAPITOLO 11
A cura di
Chiara Laurenzi
IL TEATRO SOCIALE NELLO
SPORT DEI BAMBINI
173
12.1 ANTEFATTO
Sono le 18.00 di un pomeriggio del gennaio 2011. Sono a casa, leggo un libro in
tranquillità quando squilla il telefono: numero sconosciuto. “Sarà la solita promozio-
ne pubblicitaria”, penso. Rispondo distrattamente, mai avrei immaginato che quella
telefonata avrebbe cambiato la mia vita.
“Salve dottoressa, sono R.P., Vice Presidente della Polisportiva Borgo Solestà di
Ascoli Piceno… Vorremmo incontrarla per parlare di un progetto.. vorremmo fare
calcio coi ragazzi disabili”. “Polisportiva cosa…?”, penso tra me e me. Mai per
lavoro mi ero imbattuta in associazioni sportive. Tra l’altro io stessa sono una pi-
gra, inguaribile non-sportiva. Eppure, ben presto mi sarei ritrovata catapultata in
un mondo che fino a quel momento era quanto di più lontano dalla mia sfera di
interessi e di passioni: il calcio.
Questo sport nella mia ingenua concezione di allora così prettamente maschile, in
cui ci si entusiasma e ci si infervora solo perché quattro tizi corrono dietro ad un
pallone… ma cosa avrà mai di così esaltante? Eppure, ben presto quello sarebbe
diventato il mio mondo. Tutti quei vissuti di eccitazione e di euforia, di gioia e di
dolore, di collera e frustrazione prima così incomprensibili, avrebbero ben presto
catturato anche me, in una fascinazione irresistibile che solo il gioco del calcio
possiede.
Attualmente, seguo quando posso dalla curva la mia squadra del cuore, ho l’abbo-
namento in tv per le partite e quando vado al campo e lavoro coi ragazzi non per-
diamo occasione per confrontarci e sbeffeggiarci sui risultati delle partite. Questa
è la vera magia del calcio.
CAPITOLO 12
A cura di
Sara Capriotti
UN’ESPERIENZA
DI CALCIO INTEGRATO
Il Progetto “Facciamo goal alla disabilità”
“All’inizio c’è solo il confronto con l’altro
e il dono che appare”
J. Lacan
183
Obiettivo di questo capitolo è allargare il focus dei discorsi finora fatti per i bam-
bini per includervi anche i giovani in fase adolescenziale e preadolescenziale.
Per quanto riguarda questi ragazzi e ragazze l’obiettivo che ci poniamo è duplice
perché riguarda tanto la salute e l’equilibrio psicofisico quanto il raggiungimento
dell’eccellenza nello sport.
Il termine eccellenza verrà preferito ed altri quali vittoria e perfezione perché, ri-
prendendo il messaggio del pioniere della terapia cognitiva David D. Burns, “chi
cammina nella vita ricercando l’eccellenza non ha paura di sentirsi vulnerabile da-
vanti agli altri né nasconde i suoi sentimenti alla gente che lo stima, a differenza dei
perfezionisti e dei ricercatori di successo, che hanno bisogno di mostrarsi sempre
forti e in grado di mantenere le proprie emozioni sotto controllo”. Si può dire che
la ricerca della perfezione negli atleti sia associata ad un modello adattativo per
quanto riguarda il raggiungimento degli obiettivi di prestazione, mentre le reazioni
negative di fronte all’imperfezione sono sicuramente associate ad un modello non
adattivo. Quindi, lottare per la perfezione nello sport può essere positivo per gli atle-
ti che non hanno forti reazioni negative quando la prestazione è meno che perfetta
(Stoeber, Stoll, Pescheck & Otto, 2008).
Assai interessante la sintesi del filosofo spagnolo Andrés Mares che ci dice che
l’eccellenza si entusiasma nel tentativo di realizzare, non sente l’esigenza di im-
pressionare gli altri, contempla la fragilità dell’essere umano e vede l’errore come
un’opportunità di apprendimento e crescita. Il processo di ricerca di eccellenza
non termina mai, ma riempie di un sentimento di soddisfazione chi lo attua nono-
stante capiti che questi non sia il migliore in quello che fa.
Questi elementi ci convincono della tesi di Mares e cioè del fatto che l’essere uma-
no sia un essere di processi più che di risultati e forse più importante di ciò che si
raggiunge nel cammino della vita è che genere di persona si diventa strada facen-
do.
CAPITOLO 13
A cura di
Barbara Rossi
ALLENARE ALL’ECCELLENZA
Sviluppare forza d’animo nei giovani attraverso lo sport
“Chi sa solo di calcio, non sa niente di calcio.”
José Mourinho
195
Ho studiato con piacere ed interesse ogni capitolo di questo testo, in cui ho scoper-
to che le conoscenze scientifiche esposte, seppur in modo sintetico, derivate dalla
neuropsicologia, dalla psicologia sportiva, dalla pedagogia, dall’antropologia, dalla
cultural intelligence, dalla filosofia, dalle neuroscienze, dal teatro possono diventa-
re prassi educative a disposizione dei lettori. Trovo che questo testo, ricchissimo di
contributi multidisciplinari, scritto da autorevoli professionisti, sia una valida guida,
utile per migliorare l’agire degli adulti che a vario titolo utilizzano lo sport per edu-
care le giovani generazioni e ci ricorda in ogni pagina che è vietato improvvisare.
Già durante la lettura si mette in moto la voglia di cambiare, di provare, di uscire
dalla routine e dalla propria zona abitudinaria di comfort.
I termini ricorrenti di emozioni, empatia, relazioni mi confermano che tutti abbiamo
sperimentato che si impara più con il “cuore”, la parte emotiva del cervello, che con
la ragione, la parte razionale.
Chi non si ricorda con esattezza i luoghi, il divertimento vissuto con gli amici, le
emozioni provate durante le gite scolastiche dalle elementari alle superiori? Io po-
trei elencarle in ordine cronologico, senza consultare alcun diario, ma andando a
ripescarle nei files indelebili presenti nella mia memoria.
Difficilmente ci ricordiamo i contenuti delle lezioni scolastiche, a meno che gli argo-
menti avessero centrato in pieno i nostri interessi e le nostre passioni. Gli insegnanti
che ci hanno lasciato un segno (in-segnare vuole proprio dire questo) e hanno
orientato le nostre scelte di vita sportiva e non, erano quelli che ci emozionavano e
ci facevano provare i brividi, si interessavano a noi, trasudavano passione in tutto
ciò che facevano.
Questo libro che parla di funzionamento del cervello, di intelligenze multiple, di
emozioni che veicolano apprendimenti, di passione che genera passione, di corpo
da ascoltare, valorizzare, lasciar esprimere, di movimento e di gioco da incentivare,
di prestazione sportiva da vivere senza ansia, di pregiudizi di genere da superare,
di relazioni calde da preferire, di motivazioni intrinseche da alimentare, di differenze
culturali e diversi punti di vista da considerare, di disabilità e di integrazione possi-
bile, a mio parere è un supporto indispensabile per me insegnante, pedagogista,
sportiva praticante ed ex atleta agonistica.
CAPITOLO 14
A cura di
Lucia Castelli
CONCLUSIONI
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Pagine da Supporto indispensabile, psicopedagogia e neuroscienze nello sport giovanile

  • 1. Barbara Rossi, Roberta Abd El Gawad, Sara Capriotti, Lucia Castelli, Guglielmo Maria De Feis, Manuel Del Sante, Chiara Laurenzi, Sabrina Monachesi, Alessandra Mosca, Chiara Patitucci, Sara Raffaele IL SUPPORTO INDISPENSABILE Psicopedagogia e neuroscienze in aiuto dello sport giovanile
  • 2. A. Apprendimento B. Etica/Fattori culturali C. Creare il sistema D. Metodologie E. Sperimentazioni MAPPA DEL LIBRO Cosa troverai in questo libro: nozioni, spiegazioni, evidenze scientifi- che, contributi pratici, sperimentazioni e spunti di riflessione che la moderna psi- copedagogia offre al mondo dello sport giovanile. A chi si rivolge: istruttori sportivi, dirigenti sportivi, maestri e maestre di sport e di scuola, genitori e nonni. Capitolo 2 Capitolo 3 Capitolo 5 Capitolo 1 Capitolo 9 Capitolo 10 Capitolo 4 Capitolo 8 Capitolo 13 Capitolo 5 Capitolo 6 Capitolo 7 Capitolo 11 Capitolo 12 Capitolo 13 In allegato il “Gioco dell’Atleta” da giocare in 63 caselle!
  • 3. 5 Presentazione di Germano D’Arcangeli Prefazione di Renzo Ulivieri Introduzione: Guida alla lettura del libro di Barbara Rossi Capitolo 1: Le scelte degli adulti di Barbara Rossi Capitolo 2: Apprendimento ed emozioni di Chiara Patitucci Capitolo 3: Apprendimento analogico e sport di Roberta Abd El Gawad Capitolo 4: Clima emotivo e processi di leadership di Sara Raffaele Capitolo 5: Allenare alla complessità di Sabrina Monachesì Capitolo 6: Il potere del gioco di Sabrina Monachesi Capitolo 7: Psicomotricità, equilibrio e autonomia di Manuel Del Sante Capitolo 8: La comunicazione empatica nello sport giovanile di Barbara Rossi Capitolo 9: Studi di genere nello sport infantile e giovanile di Alessandra Mosca Capitolo 10: Lo sviluppo della cultural intelligence di Guglielmo Maria De Feis Capitolo 11: Il teatro sociale nello sport dei bambini di Chiara Laurenzi Capitolo 12: Un’esperienza di calcio integrato di Sara Capriotti Capitolo 13: Allenare all’eccellenza di Barbara Rossi Capitolo 14: Conclusioni di Lucia Castelli Bibliografia e sitografia Gli Autori Cruciverba INDICE p. 7 p. 11 p. 13 p. 15 p. 21 p. 37 p. 47 p. 59 p. 73 p. 83 p. 127 p. 135 p. 147 p. 163 p. 173 p. 183 p. 195 p. 201 p. 206 p. 207
  • 4. 15 Questo libro, pensato e scritto in quanto aiuto pratico e trasformativo per i mae- stri di sport e per i dirigenti di centri di avviamento allo sport e società sportive di settore giovanile, non dimentica di rivolgersi anche alle famiglie, che ricoprono un ruolo essenziale nel successo della pratica sportiva dei loro figli. La maggior parte dei genitori affida alle società sportive i bambini per far in modo che trascorrano un tempo libero di qualità e coltivino la salute psico-bio-sociale e, quasi sempre, questi obiettivi coincidono anche con quelli di ogni operatore sportivo. Credendo in questa affinità educativa e parlando a tutti gli adulti coinvolti in questo sistema com- plesso e bellissimo, questo libro ha la speranza di contribuire a responsabilizzarli. Le problematiche della popolazione giovanile di questo inizio secondo decennio degli anni duemila, di cui volente o nolente anche il mondo sportivo deve farsi cari- co, ci parlano di criticità sia fisiche che mentali. Ipernutrizione, tendenza all’analfabetismo motorio e sociale, non uso di alcune fa- sce muscolari a causa della pratica motoria insufficiente e ipertrofie di altre fasce muscolari dovuta al troppo utilizzo di giochi e apparecchi tecnologici ci preoccu- pano così come le patologie gravanti sul sistema nervoso dei più giovani, quali i disturbi contenuti nello spettro autistico e i disturbi dell’attenzione e iperattività che sono in aumento, così come l’incidenza delle sindromi psicologiche quali depres- sione infantile, ansia, eccessi di aggressività, disturbi del comportamento e finan- che hikikomori cioè la sindrome dei ragazzini che rinunciano ad uscire di casa per evitare la sfida e le difficoltà della vita, preferendo al mondo reale quello virtuale. Tutta questa preoccupazione però dà pochi esiti, il quadro sociale prevalente che permane e si consolida è quello di bambini che hanno poche opportunità di muo- versi in maniera libera e armonica per un tempo sufficiente ad elaborare adeguata- mente le competenze motorie di base e una creatività esperita attraverso il corpo, con la conseguenza che essi strutturano schemi motori sempre più spesso defici- tari. “Dovremmo smettere di attirare gente come ai baracconi: venite, venite, venite per di qua! La gente non ne può più del circo. E può essere che tra breve sarà attratta proprio dal contrario, e le sembreranno appetibili proprio quei luoghi che non chiamano a gran voce, che non invitano e non accolgono ma che semplicemente, con grande serietà, SONO”. Paola Mastrocola CAPITOLO 1 A cura di Barbara Rossi LE SCELTE DEGLI ADULTI
  • 5. 21 Da più ricerche scientifiche svolte in Italia negli ultimi anni, è emerso che i bambini presentano delle importanti criticità negli aspetti inerenti le competenze emotive: gestione dell’ansia, della frustrazione, della rabbia e autocontrollo. In virtù di ciò, gli insegnanti e gli istruttori che interagiscono con i bambini oggi hanno una posizio- ne privilegiata per l’analisi e la valutazione delle dinamiche emotive implicate nei processi di apprendimento e di sviluppo, ed una grande opportunità di svolgere un lavoro quanto mai prezioso. Ogni apprendimento, inteso come processo complesso e multi-determinato, deve tener conto delle esperienze relazionali del bambino all’interno del suo nucleo fa- miliare, nel gruppo dei pari, nella realtà scolastica. L’apprendimento è un proces- so molto complesso in cui intervengono anche le emozioni provate al momento dell’immagazzinamento delle conoscenze, ed è da questo assunto che partono le ricerche della professoressa Lucangeli e dei suoi collaboratori dell’Università di Padova. Quello che è emerso dai loro studi è che nel nostro sistema educativo la didattica basa l’apprendimento principalmente su due emozioni disfunzionali: senso di col- pa e paura (Lucangeli D., X Convegno Internazionale “La Qualità dell’integrazione scolastica e sociale”, 2015). Per analizzare in che modo queste emozioni compro- mettano l’apprendimento sarà utile fare una breve panoramica sulle emozioni. 2.1 CHE COSA SONO LE EMOZIONI? Le emozioni sono stati mentali e fisiologici associati a modificazioni psicofisiologi- che causate da stimoli interni (battito cardiaco, salivazione, temperatura, rossore) ed esterni (pensieri, rumori o altro). Questi cambiamenti improvvisi dell’ambiente generano risposte di paura o ansia in modo innato o appreso. Nella sua opera di divulgazione la Prof.ssa Lucangeli per far comprendere meglio questa distinzione prende come riferimento l’esempio della differenza tra dolore e sofferenza: il do- lore nasce per avvertirci di un fattore di rischio, mentre la sofferenza rappresenta la memoria del dolore sia a livello psichico che cellulare (Lucangeli, X Convegno Internazionale “La qualità dell’integrazione scolastica e sociale”, 2015). “Teach bravery, not perfection” Reshma Saujani CAPITOLO 2 A cura di Chiara Patitucci APPRENDIMENTO ED EMOZIONI
  • 6. 37 La rana e il canguro sono animali che saltano, il ghepardo è un animale che corre veloce, la tartaruga è un animale longevo e l’uomo è un animale che apprende. Noi umani non abbiamo altra specializzazione se non questa, il nostro punto forte è la nostra estrema capacità di imparare. Prima ancora di venire al mondo infatti il nostro sistema nervoso, non ancora del tutto sviluppato, ha iniziato a rubare informa- zioni dall’ambiente che lo circondava, quello prenatale, e immerso in questo spazio particolare il cervello del bambino ha messo in atto una serie di stratagemmi per favorire i primissimi apprendimenti di tipo motorio: comunicazioni casuali fra nervi e muscoli hanno iniziato a consolidare i rapporti fra sistema nervoso periferico e siste- ma muscolo-scheletrico. E questo non è che l’inizio di un lunghissimo viaggio. Una volta venuto al mondo e a mano a mano che cresce, il bambino affronterà delle tap- pe evolutive che lo condurranno alla conquista di stadi motori sempre più avanzati. La magia sta nel fatto che il tutto avviene apparentemente senza sforzo; sembra che il nostro cervello contenga già i programmi che servono al bambino per im- parare a gattonare, ad alzarsi in piedi, poi a camminare e correre via. Arriva un momento, però, in questo sviluppo delle capacità motorie del bambino, in cui la spontaneità va messa da parte e l’apprendimento deve essere guidato da un pro- fessionista. Quando il bambino si approccia a uno sport, infatti, si deve avvicinare a gesti e movimenti meno abituali, processo nel quale il preparatore atletico riveste il ruolo privilegiato di differenziale di sviluppo. Cos’è un differenziale di sviluppo? Facciamo un piccolo passo indietro: negli anni ‘30 del Novecento un grande studio- so del comportamento di apprendimento e padre della scuola storico-culturale, lo psicologo sovietico Lev Vygotskij, è stato fra i primi a teorizzare un ruolo importante del contesto sociale nello sviluppo delle capacità del bambino. “L’unica persona che si può ritenere istruita è quella che ha imparato come si fa ad imparare – e a cambiare”. Carl Rogers CAPITOLO 3 A cura di Roberta Abd El Gawad APPRENDIMENTO ANALOGICO E SPORT
  • 7. 47 4.1 INTRODUZIONE  È risaputo che nello sport giovanile le emozioni giochino un ruolo determinante, sia nella riuscita esecuzione dei gesti tecnici che nella crescita globale dell’atleta. Emo- zioni positive, un clima di squadra sereno ed uno stile di coaching efficace sono componenti che agiscono da facilitatori per l’apprendimento e contribuiscono ad un armonioso sviluppo personale e atletico. Moltissime ricerche negli anni hanno foca- lizzato l’attenzione sull’aspetto emotivo dello sport; in particolare a noi interessa, in questo capitolo, approfondire la relazione tra emozioni e riuscita nello sport dei bambini e dei ragazzi partendo dalle esperienze sul campo degli istruttori (Davis e Davis, 2015). Le domande a cui si cercherà di rispondere riguardano quale ruolo abbiano le emozioni nell’insegnamento dello sport e in che modo la capacità di lea- dership e di regolazione emotiva dell’istruttore determinino l’efficacia del metodo di allenamento e la costruzione di un gruppo squadra solido e sereno. Le basi teoriche da cui partiremo sono quelle dell’intelligenza emotiva (Salovey, Mayer, 1990; Sternberg; 1996; Goleman, 1995), quelle delle Intelligenze Multiple (Gardner, 1993, 2005) ed il nuovo filone di ricerca della Warm Cognition afferma- tosi in Italia di recente grazie al lavoro della neuroscenziata Daniela Lucangeli. Al gruppo di ricerca della Warm Cognition guidato dalla Dr.ssa. Lucangeli presso l’Università di Padova, già descritto nei capitoli precedenti, si deve il merito della ridefinizione di alcuni concetti fondamentali per l’insegnamento estendibili anche all’ambito sportivo. Tra questi concetti quello di “apprendimento caldo”, sottintende che l’apprendimento è sostenuto dalle emozioni e da esse è condizionato, giacché i processi cognitivi sono strettamente collegati con i processi emotivi. “Se vuoi costruire una nave non devi per prima cosa affaticarti a chiamare la gente a raccogliere la legna e a preparare gli attrezzi; non distribuire i compiti, non organizzare il lavoro. Ma invece prima risveglia negli uomini la nostalgia del mare lontano e sconfinato. Appena si sarà risvegliata in loro questa sete si metteranno subito al lavoro per costruire la nave”. Antoine de Saint-Euxpéry CAPITOLO 4 A cura di Sara Raffaele CLIMA EMOTIVO EPROCESSIDILEADERSHIP
  • 8. 59 Lo sport è un’attività affascinante e complessa: sia quando viene praticata per puro divertimento, sia quando il carattere agonistico e professionale si fa più marcato. Gli aspetti motori, psicologici ed emotivi si intrecciano andando ad rendere più intricata (e intrigante) la situazione. Chi educa allo sport e insegna una disciplina sportiva è consapevole, o dovrebbe esserlo, che ha scelto di allenare quelle doti che ci permettono di gestire situazioni complesse. L’intento di questo capitolo è quello di condividere alcuni elementi della ricerca sulle neuroscienze per rendere più coscienti gli istruttori che lavorano nello sport dei tasti che possono premere affinché l’atleta che stanno formando cresca come un’armonia, nella mente e nel corpo. Prima di entrare nel vivo della trattazione e vedere cosa succede nella men- te dei nostri atleti, permettete una piccola premessa: 5.1 IL MOTORIO È PSICOMOTORIO Leisman nel suo articolo del 20161 mostrava quanto i circuiti cognitivi e quelli motori fossero strettamente interconnessi e come il loro legame fosse dinamico e bidire- zionale. Probabilmente solo le risposte motorie più semplici come i riflessi, sono dei comportamenti così chiusi e bastevoli a se stessi da non richiedere un coin- volgimento cognitivo. Per il resto, come argomenta il prof.Benso2 i movimenti che facciamo sono il prodotto di un continuo dialogo tra i circuiti del movimento richie- sto e altre connessioni che interessano percezione, memoria, altri comportamenti motori, altre informazioni che vengono dal proprio corpo ecc. Tutti questi sistemi si intersecano e interagiscono fra loro richiedendo l’integrazione e la supervisione dei sistemi attentivi centrali. Sarebbe riduttivo quindi pensare ad un allenamento che abbia come argomento di progettazione solo l’insegnamento di gesti motori. CAPITOLO 5 A cura di Sabrina Monachesi ALLENARE ALLA COMPLESSITÀ 1 Leisman G, “Thinking, walking, talking: Integratory Motor and Cognitive Brain Fuction”, 2016 2 Francesco Benso, “Attenzione esecutiva, memoria e autoregolazione”, Hogrefe Firenze 2018 “- Sempre per te non può essere fatto, tu non senti ciò che dico! - Maestro, spostare delle pietre è una cosa, questo è del tutto diverso. - No, non diverso, solo diverso in tua mente, devi disimparare ciò che hai imparato - D’accordo ci proverò. - No! Provare no! Fare o non fare, non c’è provare.” Maestro Yoda
  • 9. 73 IL SUPPORTO INDISPENSABILE 6.1 IL GIOCO: UN’OTTIMA SCELTA EVOLUTIVA Il gioco è un comportamento che si presenta spontaneamente non solo nei cuccioli d’uomo, ma in tutti gli animali che hanno un sistema corticale elaborato. Giocano tutti i mammiferi e i loro giochi aumentano di complessità con l’aumentare di quella della struttura cerebrale. Sembra che dal punto di vista neurofisiologico la presenza del sistema limbico e in particolare del giro del cingolo sia indispensabile per osservare l’impulso al gioco. Ma a cosa serve giocare? Non esiste una sola funzione del gioco e questo si rispec- chia nella varietà delle situazioni in cui esso si manifesta, nelle diverse forme che assume e nel suo perdurare anche in età adulta e senile. Una di queste funzioni, che hanno selezionato il gioco come un comportamento efficace per la sopravvivenza, è la capacità di creare situazioni in cui completare il proprio sviluppo motorio, cognitivo ed emotivo. L’uomo e i cuccioli dei mammiferi nascono con un bagaglio di comportamenti istintivi e stereotipati relativamente leggero; d’altra parte le capacità plastiche del cervello alla nascita sono vastissime e permettono di affinare molte abilità in un ambiente e in condizioni particolari e sempre varie. Per rafforzare o creare col- legamenti neuronali, il cucciolo ha bisogno di sperimentare, provare e riprovare gesti motori, sequenze di eventi, creare e disfare condizioni. Il gioco permette di perdurare e ripetere tali condizioni grazie al piacere intrinseco presente nell’attività ludica. CAPITOLO 6 A cura di Sabrina Monachesi IL POTERE DEL GIOCO “In tutto ciò che devi far Il lato bello puoi trovar. Lo troverai e...hop! Il gioco vien. Ed ogni compito divien più semplice e seren, dovrai capir che il trucco è tutto qui” Mary Poppins
  • 10. 83 La psicomotricità è una tecnica a mediazione corporea che considera l’unità psi- cofisica dell’individuo e attinge le sue conoscenze da molteplici discipline tra cui la biologia, la psicologia, la psicoanalisi, la sociologia e la linguistica. L’etimolo- gia della parola “psicomotricità” ci riporta all’unione tra il movimento e l’aspetto psicologico (psico-affettivo, cognitivo e psico-sociale), specificamente all’unità mente-corpo. Recenti studi hanno infatti evidenziato che il movimento e il corpo sono i canali della dimensione esperienziale che danno vita al pensiero; inoltre, qualunque aspetto motorio non può essere considerato al di fuori dell’esperienza psichica, poiché ogni atto volontario richiede intenzionalità. Il movimento non è solo esercizio fisico ma il mezzo attraverso cui l’uomo sviluppa l’equilibrio, la sua forza e soprattutto si relaziona affettivamente con il mondo; è attraverso il movimento che il bambino comprende l’ambiente, le conseguenze delle sue azioni e soprattutto sviluppa il proprio sé e il proprio schema corporeo. È da ricordare che il corpo è la fonte di comunicazione principale dell’uomo: i suoi gesti, la sua postura e la sua espressione parlano per lo più inconsapevolmente; attraverso il timbro della voce, la mimica, la direzione dello sguardo ci scambiamo messaggi significativi, comunicando come ci poniamo nelle varie relazioni. Dobbia- mo ricordare che il corpo ha un linguaggio basato sulla memoria corporea e quindi sull’affettività e l’emotività. In psicomotricità il corpo non è concepito, dunque, dal punto di vista anatomico ma è un corpo con una storia e una gestualità, luogo di emozioni ed espressioni perso- nali. Questa disciplina, utilizzata sia in ambito terapeutico, educativo, che sportivo si propone così di migliorare le funzioni dell’organismo e di promuovere la consape- volezza del valore del corpo nella sua accezione affettiva, cognitiva ed espressiva. “ L’educazione deve fornire la capacità naturale della mente di porre e risolvere problemi essenziali e, correlativamente, deve stimolare il pieno uso dell’intelligenza generale. Questo pieno uso richiede il libero esercizio della facoltà più diffusa e più viva nell’infanzia e nell’adolescenza, ossia la CURIOSITÀ, che troppo spesso la scuola e lo sport spengono e che si tratta, al contrario, di stimolare o di risvegliare, se dorme.” Edgar Morin CAPITOLO 7 A cura di Manuel Del Sante PSICOMOTRICITÀ, EQUILIBRIO E AUTONOMIA
  • 11. 127 Negli ultimi anni agli istruttori ed alle istruttrici di sport non è più richiesto di essere soltanto insegnanti esperti della materia tecnica ma qualcosa di palesemente più complesso: essi devono avere capacità di comunicare, educare, motivare l’am- biente, facilitare dinamiche, gestire e incrementare la partecipazione positiva delle famiglie, lavorare in equipe con i colleghi. Ogni maestro di sport sulla base del proprio carattere, del suo vissuto e delle sue conoscenze e convinzioni sceglie la propria linea per riuscire in tutti questi compiti. Ma esiste un approccio migliore di altri quando si è in un contesto sportivo e si ha a che fare con gli sportivi giovani e giovanissimi delle nuove generazioni? Esiste una maniera di porsi e di parlare in grado di creare sempre e comunque buoni rapporti con i bimbi, i ragazzi e le ragazze e con i loro genitori? C’è una ricetta sempre va- lida per attivare dinamiche relazionali e di gruppo efficaci e prolifiche? Il metodo educativo del bastone e la carota, per esempio, molto usato in passato e ancora molto in voga tra gli allenatori di ogni ordine e grado può ancora essere efficace ed in linea con le esigenze e la complessità di una generazione cresciuta all’interno di un sistema completamente differente? Il mondo di cui stiamo parlando non è più quello nel quale sono cresciuti coloro che oggi fanno gli istruttori sportivi, ma è un mondo nel quale le manifestazioni di ansia e depressione sono frequenti prima ancora della pubertà. Soprattutto noi occiden- tali viviamo in una società nella quale la vulnerabilità emozionale è molto alta sia negli adulti che nei ragazzi e genera disturbi dell’umore che hanno spesso anche i colori dell’aggressività esasperata. Il bombardamento di informazioni porta paura e disagio e non spinge nella direzio- ne del confronto empatico ma spesso in quella dell’isolamento tecnologico. I giova- ni in questione (e non solo loro!) hanno rapporti diretti con apparecchi tecnologici continui e costanti e ciò, secondo i neuroscienziati, innesca meccanismi nel circuito del cervello che generano disturbi dell’attenzione e danno il rinforzo immediato del riconoscimento di sé nel sociale attraverso la rete. Il bisogno continuo di tale rinfor- zo crea dipendenza.  “Le parole sono finestre, oppure muri“ M.B.Rosenberg CAPITOLO 8 A cura di Barbara Rossi LA COMUNICAZIONE EMPATICA NELLO SPORT GIOVANILE
  • 12. 135 Questo capitolo vuole porre l’accento sulla naturale integrazione tra bambini e bambine nel gioco e su quanto siano ancora radicati certi preconcetti rispetto al movimento corporeo e lo sport nei due sessi e tra i due sessi. Prima di iniziare la trattazione vorremmo sottolineare un aspetto: per comodità espositiva in questo capitolo, come nell’intero libro si utilizza l’espressione “il bambino”, riferendosi al maschile e al femminile. 9.1 BAMBINI E BAMBINE POSSONO ALLENARSI INSIEME? Una proposta motoria corretta e funzionale nell’infanzia e una preparazione sportiva nell’età dello sviluppo fino a tutta l’adolescenza, devono procedere con gradualità e prevedere una conoscenza approfondita dello sviluppo fisiologico, anatomico e biologico che si manifesta in entrambi i sessi, una preparazione psico-pedagogica che consenta di fissare obiettivi, contenuti, metodi e limiti per garantire il conse- guimento di uno sviluppo e di un’integrazione sana ed armonica del fisico e della personalità. “— Ma se dopo scopriamo che sei una bambina? Dovremo cambiare tutto... Mettere delle tende più chiare, dei fiori, un copriletto rosa, cambiare le stampe alle pareti, sostituire quel veliero e quel mappamondo... Non vorrai tenere ai piedi del letto un poster di macchine da corsa! E come potresti giocare con quel pallone o col treno elettrico se fossi una femmina? — Non potrei giocarci lo stesso? — chiese Mo sconcertato. — E poi non si preoccupi per i giocattoli. Ho portato con me da Deneb la mia bambola di pelliccia. Doveva aver detto qualcosa di sbagliato. La donna si fermò di colpo accanto alla finestra ed esclamò in tono di accusa, pallida di rabbia: — Dunque sei una femmina, in fondo? È tutto il giorno che ci prendi in giro! E anche i tuoi genitori! Che bisogno c’era di fare tante storie?! Giochi con le bambole, dunque sei una femmina! Il piccolo denebiano raccontò le sue esperienze via lettera al fratello (o sorella?) Tar. Caro Tar, questi terrestri sono così strani e diversi da noi! Però non metterti in testa che io qui sia infelice e abbandonato. In fondo sono stato io a voler venire sulla Terra.” Bianca Pitzorno CAPITOLO 9 A cura di Alessandra Mosca STUDI DI GENERE NELLO SPORTINFANTILEEGIOVANILE
  • 13. 147 10.1 INTRODUZIONE Con un passato di bambino-calciatore in un intero settore giovanile (per intenderci: pulcino, esordiente, giovanissimo, allievo, under 19) mi arrogo il diritto di introdurre l’argomento delle differenze culturali, con le mie - personali e opinabili, ma anche molto sentite - esperienze dirette. In questo mio percorso didattico-sportivo, ho avuto modo di conoscere le peculiarità culturali specifiche del mondo calcistico latino-italiano. Un mondo che ha criteri pedagogici molto diversi, in alcuni casi ad- dirittura opposti, a quelli del sistema scolastico nazionale. Uno scolaro della scuola elementare - che si avvicini al calcio - fin dal primo giorno di allenamenti, si trova inconsapevolmente di fronte ad una differente prospettiva culturale. Usando una metafora che renda l’idea per tutti, si può dire che mentre il sistema scolastico rappresenta il mondo classico, il sistema sportivo rappresenta quello medievale. Nel primo contano la poesia, la prosa, le traduzioni, la matematica coi suoi teoremi e le sue dimostrazioni, la geografia, la retorica, la storia e le scienze. Nel secondo hanno valore saper andare a cavallo, usare la spada, riconoscere gli amici e i ne- mici, rispettare le gerarchie e costruire i giusti legami di fiducia e fedeltà. Lo studente modello, che, in Italia, abbia anche la passione dello sport, deve ac- cettare di dover affrontare un sovvertimento di valori simile a quello provato dai cittadini dell’Impero romano successivamente alle invasioni barbariche. Il bambino, solo dopo aver capito che, nell’insegnamento sportivo, i concetti di rispetto, educazione, comprensione, bravura e perfino quelli, teoricamente univer- sali, di tempo e spazio,1 sono profondamente diversi, riesce ad integrarsi nel nuovo sistema. “Tutti vogliono il progresso, ma nessuno è disposto a cambiare sé stesso” Soren Kierkegaard CAPITOLO 10 A cura di Guglielmo Maria De Feis LO SVILUPPO DELLA CULTURAL INTELLIGENCE 1 Il Rispetto è basato su criteri legati più all’etologia che alle regole del galateo e alla sociologia. L’Educazione si basa sul rispetto delle regole dello spogliatoio e delle gerarchia prima che sulle con- venzioni sociali. La Comprensione è quella che può ottenere un soldato dai suoi ufficiali, in luogo di quella amorevole dei genitori o della maestra. Il Tempo e lo Spazio sono quelli della nuova comunità (lo spogliatoio) e vanno conquistati e meritati individualmente nel rispetto degli interessi collettivi.
  • 14. 163 Definire il Teatro uno strumento con una valenza sociale ha creato negli ultimi anni accesi dibattiti che tutt’ora lo portano ad essere etichettato in molteplici modi. Il Teatro può infatti essere Civile, Comunitario (o di Comunità), Pedagogico, e ancora, può essere definito Sociale nelle varianti di Teatro nel sociale e Teatro per il Sociale. Ma il Teatro, sociale lo è fin dalla sua nascita. Mi piacerebbe, però, in questo capitolo, considerare il Teatro, più che sociale, necessario. Ed è proprio perché si parla di uno strumento che diviene sociale nel momento in cui agisce per il bene di una comunità, a favore della trasformazione e del cambiamento, il teatro diventa utile anche nel contesto sportivo infantile, in cui i protagonisti non sono soltanto i bambini e le bambine, ma anche i loro genitori e naturalmente, gli allenatori. La storia del teatro, dall’antica Grecia ai nostri tempi, ci fa capire perfettamente che la pratica teatrale è uno spazio dove tutto è possibile e in cui chiunque può avere voce. Nel Novecento molti studiosi e formatori di Teatro riformarono tutto ciò che fino a quel momento era stato considerato solo ed unico intrattenimento: si cominciò, infatti, a parlare di Pedagogia e di Antropologia teatrale e a ricostituire, oltre al ruolo dell’attore, anche quello dello spettatore, che da fruitore quale era sempre stato, da quel momento in poi avrebbe acquisito anche altri ruoli, diventando parte e creatore attivo della performance (spett-attore). Quando negli anni ’90 le Neuroscienze giunsero alla scoperta dei neuroni specchio, in ambito teatrale si ebbe dimostrazione scientifica di come il sistema attivasse meccanismi relazionali tra pubblico e attore grazie alla visione, alle emozioni, alle intenzioni e alle reazioni. Dunque nei tempi moderni arrivò come una certezza ciò che forse tacitamente era già noto e cioè che la performance teatrale ha un grande valore evolutivo, è una specie di palestra emotiva in cui si possono sperimentare e modificare stati di coscienza, percezioni, emozioni. “Tutti possono fare teatro, anche gli attori si può fare teatro dappertutto, anche nei teatri” Augusto Boal CAPITOLO 11 A cura di Chiara Laurenzi IL TEATRO SOCIALE NELLO SPORT DEI BAMBINI
  • 15. 173 12.1 ANTEFATTO Sono le 18.00 di un pomeriggio del gennaio 2011. Sono a casa, leggo un libro in tranquillità quando squilla il telefono: numero sconosciuto. “Sarà la solita promozio- ne pubblicitaria”, penso. Rispondo distrattamente, mai avrei immaginato che quella telefonata avrebbe cambiato la mia vita. “Salve dottoressa, sono R.P., Vice Presidente della Polisportiva Borgo Solestà di Ascoli Piceno… Vorremmo incontrarla per parlare di un progetto.. vorremmo fare calcio coi ragazzi disabili”. “Polisportiva cosa…?”, penso tra me e me. Mai per lavoro mi ero imbattuta in associazioni sportive. Tra l’altro io stessa sono una pi- gra, inguaribile non-sportiva. Eppure, ben presto mi sarei ritrovata catapultata in un mondo che fino a quel momento era quanto di più lontano dalla mia sfera di interessi e di passioni: il calcio. Questo sport nella mia ingenua concezione di allora così prettamente maschile, in cui ci si entusiasma e ci si infervora solo perché quattro tizi corrono dietro ad un pallone… ma cosa avrà mai di così esaltante? Eppure, ben presto quello sarebbe diventato il mio mondo. Tutti quei vissuti di eccitazione e di euforia, di gioia e di dolore, di collera e frustrazione prima così incomprensibili, avrebbero ben presto catturato anche me, in una fascinazione irresistibile che solo il gioco del calcio possiede. Attualmente, seguo quando posso dalla curva la mia squadra del cuore, ho l’abbo- namento in tv per le partite e quando vado al campo e lavoro coi ragazzi non per- diamo occasione per confrontarci e sbeffeggiarci sui risultati delle partite. Questa è la vera magia del calcio. CAPITOLO 12 A cura di Sara Capriotti UN’ESPERIENZA DI CALCIO INTEGRATO Il Progetto “Facciamo goal alla disabilità” “All’inizio c’è solo il confronto con l’altro e il dono che appare” J. Lacan
  • 16. 183 Obiettivo di questo capitolo è allargare il focus dei discorsi finora fatti per i bam- bini per includervi anche i giovani in fase adolescenziale e preadolescenziale. Per quanto riguarda questi ragazzi e ragazze l’obiettivo che ci poniamo è duplice perché riguarda tanto la salute e l’equilibrio psicofisico quanto il raggiungimento dell’eccellenza nello sport. Il termine eccellenza verrà preferito ed altri quali vittoria e perfezione perché, ri- prendendo il messaggio del pioniere della terapia cognitiva David D. Burns, “chi cammina nella vita ricercando l’eccellenza non ha paura di sentirsi vulnerabile da- vanti agli altri né nasconde i suoi sentimenti alla gente che lo stima, a differenza dei perfezionisti e dei ricercatori di successo, che hanno bisogno di mostrarsi sempre forti e in grado di mantenere le proprie emozioni sotto controllo”. Si può dire che la ricerca della perfezione negli atleti sia associata ad un modello adattativo per quanto riguarda il raggiungimento degli obiettivi di prestazione, mentre le reazioni negative di fronte all’imperfezione sono sicuramente associate ad un modello non adattivo. Quindi, lottare per la perfezione nello sport può essere positivo per gli atle- ti che non hanno forti reazioni negative quando la prestazione è meno che perfetta (Stoeber, Stoll, Pescheck & Otto, 2008). Assai interessante la sintesi del filosofo spagnolo Andrés Mares che ci dice che l’eccellenza si entusiasma nel tentativo di realizzare, non sente l’esigenza di im- pressionare gli altri, contempla la fragilità dell’essere umano e vede l’errore come un’opportunità di apprendimento e crescita. Il processo di ricerca di eccellenza non termina mai, ma riempie di un sentimento di soddisfazione chi lo attua nono- stante capiti che questi non sia il migliore in quello che fa. Questi elementi ci convincono della tesi di Mares e cioè del fatto che l’essere uma- no sia un essere di processi più che di risultati e forse più importante di ciò che si raggiunge nel cammino della vita è che genere di persona si diventa strada facen- do. CAPITOLO 13 A cura di Barbara Rossi ALLENARE ALL’ECCELLENZA Sviluppare forza d’animo nei giovani attraverso lo sport “Chi sa solo di calcio, non sa niente di calcio.” José Mourinho
  • 17. 195 Ho studiato con piacere ed interesse ogni capitolo di questo testo, in cui ho scoper- to che le conoscenze scientifiche esposte, seppur in modo sintetico, derivate dalla neuropsicologia, dalla psicologia sportiva, dalla pedagogia, dall’antropologia, dalla cultural intelligence, dalla filosofia, dalle neuroscienze, dal teatro possono diventa- re prassi educative a disposizione dei lettori. Trovo che questo testo, ricchissimo di contributi multidisciplinari, scritto da autorevoli professionisti, sia una valida guida, utile per migliorare l’agire degli adulti che a vario titolo utilizzano lo sport per edu- care le giovani generazioni e ci ricorda in ogni pagina che è vietato improvvisare. Già durante la lettura si mette in moto la voglia di cambiare, di provare, di uscire dalla routine e dalla propria zona abitudinaria di comfort. I termini ricorrenti di emozioni, empatia, relazioni mi confermano che tutti abbiamo sperimentato che si impara più con il “cuore”, la parte emotiva del cervello, che con la ragione, la parte razionale. Chi non si ricorda con esattezza i luoghi, il divertimento vissuto con gli amici, le emozioni provate durante le gite scolastiche dalle elementari alle superiori? Io po- trei elencarle in ordine cronologico, senza consultare alcun diario, ma andando a ripescarle nei files indelebili presenti nella mia memoria. Difficilmente ci ricordiamo i contenuti delle lezioni scolastiche, a meno che gli argo- menti avessero centrato in pieno i nostri interessi e le nostre passioni. Gli insegnanti che ci hanno lasciato un segno (in-segnare vuole proprio dire questo) e hanno orientato le nostre scelte di vita sportiva e non, erano quelli che ci emozionavano e ci facevano provare i brividi, si interessavano a noi, trasudavano passione in tutto ciò che facevano. Questo libro che parla di funzionamento del cervello, di intelligenze multiple, di emozioni che veicolano apprendimenti, di passione che genera passione, di corpo da ascoltare, valorizzare, lasciar esprimere, di movimento e di gioco da incentivare, di prestazione sportiva da vivere senza ansia, di pregiudizi di genere da superare, di relazioni calde da preferire, di motivazioni intrinseche da alimentare, di differenze culturali e diversi punti di vista da considerare, di disabilità e di integrazione possi- bile, a mio parere è un supporto indispensabile per me insegnante, pedagogista, sportiva praticante ed ex atleta agonistica. CAPITOLO 14 A cura di Lucia Castelli CONCLUSIONI
  • 18. www.calzetti-mariucci.it Visita il nostro sito Collegandoti al sito puoi visionare nel dettaglio e acquista- re gli articoli (libri, video, dvd, riviste), grazie ad un sistema di ricerca semplice ed intuitivo. CATALOGO ON LINE Inoltre il sito è sempre aggiornato con sezioni specifiche di approfon- dimento su tutti gli argomenti più interes- santi legati allo sport, come eventi, convegni e corsi di aggiornamento. APPROFONDIMENTI Iscrivendoti e dando la preferen- za alla disciplina sportiva che più ti interessa potrai ricevere tutte le news al tuo indiriz- zo e-mail. NEWSLETTER libri,videoerivisteperlosportlibri,videoerivisteperlosport