3. IL PESSIMISMO DI LEOPARDI
● Il pessimismo filosofico: ha
le sue origini nel
materialismo del Settecento
derivato diretto dal
razionalismo.
● Il pessimismo storico:
Leopardi con gli anni allarga
la sua riflessione, tendendo a
valutare che la felicità degli
altri è solo apparente, che la
vita umana non ha uno scopo
per il quale valga la pena di
lottare, e che tutti gli
uomini sono condannati
all'infelicità terrena.
4. IL PESSIMISMO INDIVIDUALE
● Il pessimismo individuale
prende forma quando Leopardi,
fin da piccolo, si sente privo
della gioia di vivere che vede
negli altri.
● Le esperienze dell'adolescenza
e della prima giovinezza lo
conducono a pensare che la
vita sia stata spietata con
lui, ma che altri possono
essere felici.
● Tale contrapposizione emerge,
ad esempio, nel canto La sera
del dì di festa
5. IL PESSIMISMO COSMICO
Il pessimismo è "cosmico" perché il dolore colpisce ogni
essere vivente, comprese piante e animali.
6. LA NATURA IN LEOPARDI
«La natura non ci ha solamente dato il desiderio della
felicità, ma il bisogno; vero bisogno, come quel di
cibarsi. Perché chi non possiede la felicità, è infelice,
come chi non ha di che cibarsi, patisce di fame. Or questo
bisogno ella ci ha dato senza la possibilità di
soddisfarlo, senza nemmeno aver posto la felicità nel
mondo. Gli animali non han più di noi, se non il patir
meno; così i selvaggi: ma la felicità nessuno.» (Zibaldone)
8. I CANTI PISANO-RECANATESI O GRANDI
IDILLI (1828-1830)
●
Dopo alcuni anni di silenzio
poetico Leopardi, durante il
soggiorno a Pisa nella
primavera del 1828, riprese a
comporre versi.
●
La poetica espressa in queste
poesie è ancora idillica, e la
forma usata è la canzone
libera.
9. LA TEORIA DEL PIACERE
● La teoria del piacere
sostiene che l'uomo nella sua
vita tenda sempre a ricercare
un piacere infinito come
soddisfazione di un desiderio
illimitato.
● Questo pensiero trova massima
espressione ne «L’infinito».
10. L'INFINITO
Sempre caro mi fu quest’ermo
colle,
e questa siepe, che da tanta parte
dell’ultimo orizzonte il guardo
esclude.
Ma, sedendo e mirando, interminati
spazi di lá da quella, e sovrumani
silenzi, e profondissima quiete
io nel pensier mi fingo; ove per
poco
il cor non si spaura. E come il
vento
odo stormir tra queste piante, io
quello
infinito silenzio a questa voce
vo comparando: e mi sovvien
l’eterno,
e le morte stagioni, e la presente
e viva, e il suon di lei. Cosí tra
questa
immensitá s’annega il pensier mio;
e il naufragar m’è dolce in questo
mare.