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PROF. LANDI III LEZIONE                                 13/12/07


                        CARTELLA CLINICA

La cartella clinica che cos’è?
Per definizione di massima la cartella clinica è un documento ufficiale che
viene ad essere prodotto, creato, realizzato in ambito pubblico, quindi la
stessa cosa della cartella clinica vale per quella del medico,
dell’infermiere, per i registri operatori, qualsiasi documento pubblico noi
realizziamo nell’ambito ospedaliero.
La cartella clinica si desume essere da diverse sentenze della corte di
cassazione che sono state emanate nel corso di questi ultimi decenni come
il fascicolo nel quale si raccolgono i dati anamnestici, obiettivi, che
riguardano il nostro paziente che è ricoverato, quelli giornalieri del
decorso della malattia, i risultati delle indagini che vengono ad essere
compiuti sulla persona del nostro paziente e quindi la diagnosi della
malattia che ha condotto la persona a ricoverarsi. Ancora un’altra sentenza
dice che è il diario diagnostico-terapeutico nel quale vanno annotati i fatti
di rilevanza giuridica, quali dati anagrafici, anamnestici del paziente, gli
esami di laboratorio specialistici, le terapie praticate, nonché l’andamento,
gli esiti e gli eventuali postumi della malattia. Vedete incomincia col dire,
vabbè diario diagnostico terapeutico, questo è facilmente comprensibile,
arguibile, ne siamo pienamente coscienti, diario però, diario significa che
cosa? È quella annotazione giornaliera che viene ad essere effettuata nei
confronti del nostro paziente, che dovrebbe essere attenta, fatta giorno per
giorno, quando noi non annotiamo nulla o mettiamo quelle famose
graffette uguale al giorno prima oppure continua terapia, non significa
niente, vuol dire che per 5-6 giorni tu il paziente non l’hai neanche visto,
cioè andiamo incontro a quella che è una mancata assistenza di fatto nei
confronti del nostro paziente, che finché tutto procede nel giusto verso,
nulla questio, ma nel momento in cui insorge una complicanza, insorge un
quid, che interferisce col normale andamento delle cose viene ad essere
poi, cadiamo, nel discorso che facevamo l’altra volta, in un discorso di
responsabilità, di colpa professionale; allora se il diario ha questo concetto
di annotazione giornaliera vi volevo far riflettere su questa ‘annotati fatti
di giuridica rilevanza’, questa rilevanza giuridica, state attenti che quando
noi parliamo di rilevanza giuridica relativamente ad una documentazione
di carattere sanitaria è una rilevanza giuridica nel momento in cui voi la
producete, la create, scrivete in cartella clinica, nel caso della cartella
infermieristica ad esempio, voi non sapete che avrà una reale rilevanza
giuridica, non sapete che quella cartella sarà sequestrata, sarà poi portata
all’attenzione del magistrato, non lo potete sapere, quindi dovete tener
presente che qualsiasi atto voi componete potrà un domani avere rilevanza
giuridica, è questo che deve farvi stare attenti, diciamo di fatto lo ha
perchè in un qualsiasi momento potrebbe essere presa diciamo a
giustificazione di un perché lei ha fatto certe cose, perché lei ha scritto
cose vere, ha scritto cose false, e quindi dar fede di ciò che lei, di come è
stato, quale è stato il suo comportamento assistenziale logicamente nei
confronti di questo paziente, quindi tutto può avere rilevanza giuridica,
vediamo per esempio nel campo del medico un certificato medico, scrive
che il soggetto X è malato, per compiacerlo, per fargli una cortesia; in un
caso del genere succede che uno chiede una cosa del genere per evitare
non nei confronti del datore di lavoro ormai non contano niente, ma nei
confronti che so, evitare di andare a testimoniare ad un procedimento
civile, penale, quello che sia, va dal medico, quel certificato comincia a
creare una serie di problematiche non solo al presunto paziente ma anche
al medico, non è la prima volta, per un esempio caso mai banale, ma tante
volte, anche in cartella clinica uno scrive cose               così un poco
superficialmente poi la cartella, per fatti che intercorrono successivamente,
viene ad essere prodotta alla procura della repubblica, per un motivo
qualsiasi viene ad essere sequestrata; state attenti che oggigiorno non è più
nemmeno, c’è anche una difesa delle parti, le varie parti in un
procedimento penale possono iniziare un’indagine o possono condurre
delle indagini proprie, per cui vedete come si allarga a macchia d’olio la
possibilità che una cartella clinica possa essere, possa assumere i caratteri
di un documento che ha rilevanza giuridica. Allora dice un articolo del
codice di deontologia che la cartella clinica deve essere redatta
chiaramente con puntualità e diligenza nel rispetto delle regole della buona
pratica clinica, e contenere ogni altro dato obiettivo relativo alla
condizione patologica ed al suo decorso nonché le attività diagnostico-
terapeutiche praticate, cioè deve essere redatta chiaramente. Questi sono i
criteri della cartella clinica, cioè come deve essere compilata la cartella
clinica. Esistono, in base alla cartella clinica, quattro requisiti essenziali:
abbiamo il requisito della veridicità, il requisito della completezza, il
requisito della correttezza, ed il requisito della chiarezza. Il requisito della
veridicità, che significa? Significa che quello che noi scriviamo in cartella
clinica deve corrispondere al vero, cioè non possiamo, non dovremmo
scrivere falso, ma non solo un falso cioè alterare un qualcosa di vero, ma
pure alterare, scrivere qualcosa che noi non abbiamo fatto; state attenti che
tutto ciò che è scritto in cartella, fino a prova del contrario, risulta essere
stato fatto, tutto ciò che non è scritto, non risulta essere stato praticato per
cui se anche voi aveste praticato una terapia o una qualsiasi attività
diagnostica o terapeutica, che sia, su quel paziente ma non è riportata in
cartella, è come se non fosse stata eseguita. Il requisito della completezza è
impossibile e contro ad ogni logica scrivere qualcosa di incompleto cioè
scrivere una parte di ciò che abbiamo fatto e non tutto ciò che abbiamo
eseguito. Quindi questo requisito della completezza, diventa necessario
affinché questo atto pubblico che è la cartella clinica, acquisisca, abbia il
suo giusto valore, la sua giusta dimensione. Secondo voi a che serve la
cartella clinica? Facciamo una breve parentesi altrimenti parliamo di
obbligo come se fosse una cosa astratta, come se ci piovesse dal cielo
quest’obbligo di cui noi non comprendiamo i motivi, per cui lo facciamo
ad occhi chiusi senza un criterio, senza una logica insomma. Secondo voi a
che serve la cartella clinica? Allora è un atto, un documento ufficiale, cioè
noi proviamo che, in quel paziente, sono state eseguite determinate
prestazioni. Allora in origine quando non c’era questa costruzione così
farraginosa dell’ospedale, del servizio sanitario, ecc. la cartella clinica era
soltanto un appunto in cui il medico s’appuntava, così, dei concetti, ciò che
poteva fare su quel paziente, ciò che già aveva fatto, che risultati ne aveva
ottenuti quindi diventava un diario, una memoria dell’evoluzione della
patologia del paziente. Logicamente oggi questo sarebbe fuori luogo,
acquista invece adesso il valore di atto ufficiale quindi è un obbligo che gli
esercenti le professioni sanitarie hanno nei confronti, non più del paziente,
ma anche dello Stato, in quanto noi ne rispondiamo nei confronti dello
Stato stesso. È un atto pubblico, diventa atto pubblico quindi la
falsificazione diventa un reato di falso, materiale o ideologico che sia, in
rapporto a come lo abbiamo costruito. Quindi se è un atto pubblico, quello
che scriviamo, lo dobbiamo scrivere, dobbiamo scrivere il vero, lo
dobbiamo scrivere in maniera completa, dobbiamo scrivere in maniera
corretta, cioè corretta che significa, in questo caso, secondo voi? Precisa
nelle varie parti, cominciando, correttezza che incomincia con la data,
l’ora che è importante, se sono stati più interventi nella stessa giornata
quindi la correttezza formale nell’ambito della dimensione temporale nella
quale l’intervento, la prestazione viene ad essere eseguita, oltre alla
correttezza formale di scriverlo in maniera chiara, in maniera leggibile, in
maniera comprensibile, con un senso logico, con una correttezza poi di
fatto, inoltre la chiarezza ecco il concetto di chiarezza, così ritorno a quello
che anticipavo pure prima, a questo concetto prima; chiaro, deve essere
espresso in maniera chiara, sia in termini lessicali ma soprattutto in termini
grafologici in maniera che, chi interviene successivamente o
contemporaneamente all’estensore, a colui che materialmente scrive in
cartella deve saper, deve avere la possibilità di comprendere perfettamente
senza possibilità di equivoci, quello che è stato scritto. Oltre questi quattro
requisiti, però esiste un altro obbligo, che c’è un obbligo che è molto più
rigoroso rispetto a quelli che abbiamo già visto prima, deve essere, quello
che noi scriviamo, deve essere scritto in pendenza di degenza e seguendo
la sequenza cronologica del verificarsi degli eventi stessi, nel senso,
quando noi parliamo in pendenza di degenza, significa che il paziente deve
essere ancora degente mentre noi lo stiamo; non è che noi dobbiamo
aspettare, come delle volte succede, che il paziente viene ad essere
dimesso, allora si accumulano trecento cartelle cliniche e poi ci scriviamo
le prime cose che ci vengono per testa e ce le mettiamo a scrivere. Poi la
sequenza cronologica, cioè che non è possibile, è contro ogni logica, e
rappresenta poi un falso se io scrivo un evento che è capitato in un giorno
successivo prima di uno che mi è capitato antecedentemente, se io scrivo
ciò che è capitato il 10 dicembre dopo quello che è capitato l’11 dicembre,
appunto un falso, occorre che nella successione degli eventi, che la
successione degli eventi abbia un senso cronologico, abbia un tempo, una
successione cronologica corretta; non posso scrivere prima quello che è
capitato dopo e viceversa. Embè ma se la sentenza, queste sono tutte cose
desunte da sentenze, per cui se il caso lo dice una o più sentenze significa
che il caso è successo, chi ci lavora in ospedale sa che succede anche oggi;
è vero? Dunque chi è che, prima di andare avanti poi nel discorso dei
requisiti, occorre dire che la cartella clinica e la responsabilità, come
dicevamo l’altro giorno della cartella clinica, è del primario. Dice l’art. 7
del decreto del Presidente della Repubblica del 27/03/69 dice che “Il
primario è responsabile della regolare compilazione delle cartelle cliniche,
dei registri nosologici e della loro conservazione fino alla consegna
all’archivio centrale”, mentre l’art. 2 dello stesso decreto dice che “La
direzione sanitaria deve essere fornita di un archivio clinico”. Che cosa
significa? Significa che, fino a che la cartella resta presso il reparto, la
responsabilità anche se materialmente è tenuta dal caposala o viene ad
essere conservata in un luogo X, la responsabilità di fatto è del primario;
come è responsabilità generica del primario che venga ad essere compilata
attentamente. Quando invece la cartella clinica viene completata in tutte le
sue parti e viene inviata in direzione sanitaria, la conservazione,
l’archiviazione è a cura del direttore sanitario che deve appunto occuparsi,
è responsabile della tenuta, dell’archivio delle cartelle. Oggi ci sta la
microfilmatura, esistono tutta una serie. Quindi la conservazione è
limitata? No, non è limitata. Se lei si riferisce a quanto tempo deve essere
conservata, no, è molto in discussione questo discorso. Non è chiaro
quanto tempo deve passare di conservazione perché per esempio lei trova
in alcune parti dice 20 anni, in altre 30 anni ma, signori miei, se la cartella
clinica è relativa ad un ragazzo di 12 anni, i 20 anni è limitativo. Voi non
potete nemmeno entrare nel discorso di limitare le possibilità; tenete anche
conto delle possibilità statistiche, epidemiologiche o che in un futuro ciò
che è stato fatto potrebbe essere tratto da queste cartelle cliniche.
Logicamente, conservare il cartaceo nel modo in cui da noi vengono
conservati diventa alimento per topi mentre invece se vengono ad essere
microfilmati, vengono ad essere conservati in maniera molto più moderna,
mettiamola così, per non usare parole oltraggiose, allora si occupa meno
spazio, è più facile la ricerca e tutto diventerebbe più semplice sempre che
ci sia qualcuno che se ne occupi, vabbè ma abbiamo trovato il sistema
perché ci si rivolge a ditte esterne. Adesso vi leggo un paio di sentenze da
cui poi possono essere presi in considerazione tutto ciò che non si deve
fare. Questa sentenza della corte di cassazione dice “La titolarità
dell’obbligo di redigere le cartelle cliniche relative ad ammalati ricoverati
in ospedali pubblici, tra parentesi le sentenze sono un poco strane perché
molti giudici non sanno quello che stanno dicendo, allora il problema non
è che ci sta una differenza tra l’ospedale pubblico e la clinica privata
convenzionata, sono la stessa cosa, le cartelle strumentalmente sono un
minimo diverse tra quelle del ricovero ordinario rispetto a quelle del day-
hospital, come ben sapete. Non è rilevante l’obbligo. Non è ai fini
dell’individuazione delle persone responsabili per le annotazioni
ideologicamente false ed inserite, infatti i responsabili sono tutti coloro che
abbiano moralmente partecipato alla falsificazione. Che significa? Se io
scrivo un falso in cartella clinica relativo al periodo in cui io sono stato di
guardia o un infermiere scrive un falso nella cartella infermieristica
relativamente al suo turno di lavoro, diventa un, sono coinvolti tutti, anche
quelli che intervengono dopo, che potevano notare che io avevo scritto il
falso, non sempre è così misconosciuta la possibilità di poterlo poi
nascondere, spesso è chiaro, è evidente che quello ha scritto il falso, allora,
nel momento in cui non viene successivamente ad essere corretto quanto di
falso è stato scritto, nel non correggerlo, io partecipo alla falsità dello
scritto precedentemente; diventa di fatto, se ci fate caso, è logica la
questione, in quanto ciascuno controlla l’altro e dal poter essere controllato
si evita che taluno possa scrivere il falso, possa diciamo falsificare l’atto.
“La sussistenza del delitto di falsità ideologica in atto pubblico, va ritenuta
anche nel caso in cui il pubblico ufficiale affonda la propria firma su atto,
da altri predisposto, senza curarsi di controllarne il contenuto”, cioè se io
scrivo questo concetto, questo fatto che non è vero, è falso, non si è mai
verificato e lo faccio firmare al collega di guardia è tale e quale; quello che
firma senza controllare che cosa ho scritto, è partecipe al reato di falsità
ideologica. La cartella clinica adempie la funzione di diario del decorso
della malattia e di altri fatti clinici rilevanti, per cui gli eventi devono
essere annotati contestualmente al loro verificarsi. Contestualmente al loro
verificarsi significa nel momento in cui si verificano, logicamente lo
dovete leggere in senso un poco più estensivo, non è che nel momento in
cui il paziente ha la crisi ipertensiva tu prima di vedere che devi fare,
glielo scrivi in cartella clinica, ma è un contestualmente che ha un
significato lato, ma dopo che hai fatto quello che dovevi lo devi annotare,
non è che lo annoti dopo 48 ore, questo è il significato, ma nel momento in
cui si realizza cioè là per là, subito dopo che hai osservato la tua funzione
principale che non è quella di scrivere in cartella clinica, ma è quella di
curare il paziente, di salvaguardare la salute del paziente. “Pertanto la
cartella clinica acquista il carattere di definitività in relazione ad ogni
singola annotazione ed esce dalla disponibilità del suo autore nel momento
stesso in cui la singola annotazione viene registrata”. Che significa?
Significa che nel momento in cui io scrivo in cartella clinica ed ho
completato quello che ho scritto, ho messo il punto ed ho firmato, esce
dalla mia disponibilità, io non posso fare più niente, non posso fare
cancellature, non posso fare correzioni, è come se non mi appartenesse
più; esce dalla mia disponibilità quindi diventa definitivo; nel momento in
cui io ho completato l’annotazione in cartella clinica, diventa definitiva. È
un definitivo non assoluto, è definitivo rispetto a quello che io ho scritto
per cui se intervieni poi tu e ti accorgi dell’errore che io ho commesso, non
devi cancellare ma devi riscrivere non sopra ma sotto dicendo, annotando
quella che è la nuova nozione, la nuova verità o ciò che è cambiato o
quello che è vero e che era stato sbagliato nell’annotazione precedente
senza cancellare quella che c’era prima. Dopo quanto tempo? Quando te
ne accorgi, può essere pure che io ho finito l’annotazione, mi accorgo di
aver sbagliato, non debbo cancellare, ma riscrivo la parte, chiarisco quello
che ho sbagliato, creando una nuova annotazione. Qual è la differenza tra
falso materiale e falso ideologico? Falso materiale, materiale è quando una
cosa, misuro la pressione e scrivo un dato che non è vero, ideologico è
quando lo creo un qualcosa di non vero fin dall’inizio, dico che ho
misurato la pressione ma non l’ho misurata. Ogni volta che il medico
scrive qualcosa in cartella dovrebbe firmare? È un buon uso. Anche
quando si fa il giro e annota un cambio terapia? Il cambio della terapia è
una delle cose che si fa più facilmente, il cambio terapia viene fatto
sempre. E va firmato? Vede, molte volte in molti posti oggi, l’obbligo
sarebbe firmare altrimenti quello che fa fede è la grafia. Per quanto
riguarda questi problemi di terapia, vale pure molto un accordo all’interno
del reparto dove il medico sa che deve scriverlo in cartella, ma lo va prima
a scrivere nel foglio della terapia e poi dopo lo trascrive, lo corregge in
cartella clinica o perlomeno ci sono degli accordi che vengono ad essere
presi, dice guarda ho cambiato la terapia. Non esistono regole specifiche,
le sentenze non sono nemmeno leggi, sono sentenze, per cui ti danno delle
indicazioni a cui uno deve attenersi. È logico in un ospedale dove ci sono
dei sanitari che turnano, è buona regola firmare soprattutto quando io detto
a lei, per cui non è nemmeno la mia grafia, ma la grafia è la sua, che sta in
cartella per cui dopo io non ci metto nemmeno la mia firma nessuno sa chi
è che ha creato questo atto, vi sembra? Ma anche nei confronti dei
colleghi, proprio per un rispetto nei confronti degli altri ognuno si assume
le proprie responsabilità, controfirmando quanto viene a mutare in cartella
clinica, penso che sia la cosa più semplice e logica da fare. Comunque poi
si risale sempre, perché se si tratta di un giorno di guardia il 10/11/2007
basta prendere i registri, i turni, ecc. che comunque stanno agli atti e si
vede chi era di turno. Alcune volte viene usato il sistema del dettare la
terapia, io detto la terapia; perché cosa c’è di illegale? Io chiedo la
cortesia, per un motivo qualsiasi, alla signora; dico alla signora: “vi detto
la terapia”. Se ci stanno dei problemi delle, diciamo, delle possibilità di
cattiva interpretazione vado a vedere in cartella clinica se c’è questo
riportato, ma non è che il collega, per esempio, cambia a testa sua, perciò è
occorre se scrive, se c’è la grafia dell’infermiere, sarebbe buona norma che
il medico ci mette una firma, in maniera per dire che è stata fatta sotto la
propria responsabilità. Non possiamo fare il caso specifico, se casomai lei
non ha fiducia nei confronti del collega precedente che potrebbe avere
mutato artatamente certe disposizioni. Ma il problema può essere una
distrazione, una cosa qualsiasi, ma in casi di questo genere, su una tantum,
uno chiama un momento il medico e gli dice: “scusa ma hai dato tu queste
disposizioni?”. Tenete conto che al di là dei problemi personali, al di là del
concetto che uno ha del collega, del medico, del sottoposto, di chi volete,
l’obiettivo principale che dovrebbe essere univoco, di tutti quanti è la
salute del paziente non creargli altri problemi, questo è. Allora uno si deve
industriare; se lei, giustamente ha il minimo sospetto che è stato sbagliata
o artatamente alterata la terapia, lei va alla fonte che è stato il dottore X di
guardia lo chiami un momento, tanto ormai con il cellulare, e gli dici:
“dottore avete fatto voi questo?” tanto non c’è nulla di no, perché poi
sarebbe l’unico modo per risolvere realmente il problema. Non esiste la
legge, d’altra parte ricordatevi che quanto più c’è la legge a dirvi che cosa
dovete fare, succede un guaio, per cui non auspicate mai che vi sia una
norma per ogni problema, perché è la fine; la legge non può prevedere
tutte le possibilità allora le leggi purtroppo hanno le maglie larghe,
soprattutto in Italia. Insomma, vi stringe la legge, non vi da la possibilità di
lavorare, non crediate che sia meglio quando c’è una legge, perché non ci
sono quei mezzi per interpretarla. Dove non è operativa la cartella
infermieristica, l’infermiere può scrivere sulla cartella clinica? No però
può scrivere, aspetta, la collega prima si riferiva ad una scrittura sotto
dettatura, non ad una annotazione per principio sua, di sua iniziativa, non
lo puoi fare. La cartella infermieristica, vedete, è un binario, con quella
della cartella medica, diciamo, clinica, sono due binari che corrono
paralleli e sarà lo scontro del futuro perché, se io ci scrivo una cosa e voi
ce ne scrivete un’altra, uno di noi ha detto una stupidaggine, c’è poco da
fare. Dove non è operativa la cartella infermieristica, valgono la consegna
ed il rapporto? Ma ormai quasi dappertutto c’è la cartella infermieristica.
La consegna ha lo stesso valore? Sì vabbe ma la cartella infermieristica ha
una sua connotazione molto più particolare, molto più precisa, veramente
diventa una raccolta, la consegna è una cosa così insomma; noi stiamo
parlando di documento ufficiale. Il magistrato sequestra la cartella
infermieristica, non sequestra i fogli della consegna. Quando ci sta la
cartella infermieristica, si sequestra sia la cartella clinica che la cartella
infermieristica. L’infermiere può scrivere sulla cartella clinica? Cerchiamo
di essere logici. Allora quali sono i compiti del medico? I compiti del
medico sono quelli diagnostici e terapeutici, tutto ciò che riguarda la
diagnosi, l’assistenza e la terapia è compito del medico; allora se lei nella
cartella clinica, mentre io sono di guardia, scrive la pressione, la frequenza
cardiaca, la temperatura o la diuresi, tutto quello che scrive anche in
cartella infermieristica tecnicamente potrebbe pure andare, anche se sono
io che sono di guardia che ne ho la responsabilità, ma io ho fiducia in lei e
dico vabbè lo scriva, ma più di questo non puoi scrivere, non è che puoi
scrivere la correzione della terapia. Non si può scrivere neanche se si è
allontanato il paziente? No, perché se si è allontanato il paziente la
responsabilità di chi è? È anche sua, ma è primariamente del medico di
guardia, non credo che spetti a lei scrivere che il paziente si è allontanato.
Ripeto la diuresi, la pressione, cose di queste ma nella cartella clinica, a
meno che lei non scriva sotto la mia responsabilità, io sto occupato con un
paziente e dico signora, per favore scriva questo in cartella clinica però
dopo metto io la firma, soprattutto in pronto soccorso dove casomai viene
ad essere certificata la presenza. Se l’infermiere scrive in cartella clinica
cose di una certa gravità crea dei problemi al medico perché qualcuno gli
può dire ‘tu dove stavi?’. La consegna non è un documento ufficiale
diciamo, tecnicamente si va a vedere la cartella infermieristica. Alcuni
ospedali ce l’hanno la cartella infermieristica, altri no. Dunque finiamo un
momento, dice ‘Ne consegue che le modifiche, le aggiunte integrano un
falso punibile, anche se il soggetto abbia agito per ristabilire la verità
perché violano le garanzie di certezza accordate agli atti pubblici’.
Significa che se io in questo mio appunto, in questo mio scrivere in cartella
clinica ho corretto mentre lo scrivevo, ho corretto quello che stavo
scrivendo, ho cancellato, io commetto comunque un falso, in quanto io
altero la verità, in quanto l’atto pubblico deve avere il requisito della
certezza, deve essere sicuro, c’è bisogno che ci sia sicurezza che quello
che c’è scritto è vero, bisogna dare credito a quello che è stato scritto; la
certezza la potete dare non cancellando e riscrivendo oppure usando un
bianchetto e riscrivendo sopra, ma semplicemente, proprio per dare il
senso della certezza all’atto pubblico, mettendo tra parentesi quello che è
stato scritto ma è sbagliato e poi ci scrivete dopo in maniera che deve
essere chiaro quello che avete scritto di sbagliato e quello che avete
corretto come idea, come senso del vostro intervento, in maniera che sono
chiare tutte e due, il concetto sbagliato ed il concetto che è vero; questo è il
senso della certezza perciò nella sentenza successiva dice che è vietato la
gomma per cancellare, l’uso di penne, di inchiostri cancellabili, è vietato
l’uso del bianchetto, è vietato ricancellare in maniera che non sia leggibile
quanto è stato scritto precedentemente, tutte queste cose sono tutte vietate
dalla norma. Deve essere scritto, pure l’aggiunta successiva, deve essere
chiaro però quello che noi avevamo sbagliato, in maniera da essere chiaro
l’errore. Se un medico scrive in cartella e non firma senza neanche il
timbro, può essere passibile di qualcosa? Tecnicamente si potrebbe firmare
con l’aggiunta del numero di matricola identificativa perché molte volte
dalla firma non capisco chi è l’estensore. Vi rendete conto una cartella che
viene presa in considerazione dopo 15 anni, hai perso il senso di chi è per
cui si dovrebbe mettere questo numero identificativo. In alcuni ospedali ho
visto ultimamente che c’è il timbro a secco col nome e cognome del
medico, il numero di matricola con la Divisione di afferenza e quindi la
firma del medico, ma sono mosche bianche questi ospedali. L’importante è
che sia chiara la grafia per l’attribuzione, sia chiaro quello che è scritto, sia
chiaro chi l’ha scritto, poi che ci sia il numero o solo il cognome o se
mettiamo il cognome in stampatello già è tanto, abbiamo risolto il
problema. L’ottimo è sempre nemico del bene. Ovviamente quello che è
stato detto per la cartella, vale per ogni altra cosa, vale per il registro delle
prenotazioni, vale per il registro del sangue, della raccolta sangue,
donatori, vale per il registro degli interventi operatori, insomma tutto l’iter,
tutto ciò che sono dati ufficiali che non possono essere mutati, non
dovrebbero essere manipolati. Se invece della registrazione cartacea ci
fosse la registrazione informatizzata? È la stessa cosa, dovreste con una
grande forma di attenzione tramutare le norme esistenti per la cartella
manuale per la cartella informatizzata; non dovrebbe essere dissimile.


                               EUTANASIA

Che cos’è l’eutanasia? Il codice penale italiano non prevede l’eutanasia,
prevede un altro tipo di reato che si chiama ‘omicidio del consenziente’,
ma ora stiamo parlando di eutanasia e sono due cose distinte e separate.
Eutanasia che significa? Tecnicamente il significato di eutanasia non può
essere buona morte. Ci può mai essere una morte buona!? Significa, di
fatto, morte dignitosa, quello che si cerca è di dare una dignità alla morte
di questo soggetto, di questo paziente, cioè far sì che muoia
dignitosamente. In questo caso dignitosamente che significa? Perché
usiamo il termine dignitoso? Che cosa ostacola questo paziente nei
confronti della famiglia, nei confronti della società? Il dolore, sono le
sofferenze, i dolori incoercibili, difficilmente superabili attraverso la
somministrazione di farmaci, che vengono a creare questa mancata dignità
della persona che soffre. La persona che soffre in maniera così indicibile
vive un momento della sua vita poco dignitoso, non ha dignità nella
prosecuzione della vita. Questo è il riferimento, cioè togliere la sofferenza
tant’è che fra i compiti si dice che c’è questo sollievo dalla sofferenza.
All’eutanasia è contrario l’Ordine dei medici ed anche il Collegio degli
infermieri perché chi è deputato a curare non può essere deputato a dare la
morte o comunque a facilitare, ad accelerare l’evento morte. Oggi è vietato
in Italia. Noi quindi di che paziente stiamo parlando? Stiamo parlando di
un paziente particolare, un paziente a cui è stata diagnosticata una
patologia insanabile, prognosi quindi sfavorevole, con una prognosi a
breve-medio termine e che, oltre ad una morte certa a breve scadenza,
comunque la patologia di cui il paziente soffre, lo fa soffrire in maniera
molto forte; dolore che non sempre e non del tutto può essere vinto
dall’utilizzo di farmaci. Occorre dire che noi abbiamo quindi un obbligo di
supportare questo paziente, non solo sotto il profilo sanitario nel tentativo
di alleviargli il dolore e, nello stesso tempo, di curare, di sostenere le
funzioni vitali ma anche di sostenerlo sotto il profilo psichico, sotto il
profilo morale, sotto il profilo soprattutto umano, dargli quell’appoggio
morale che delle volte vale molto più che non la banale e semplice
somministrazione di medicinali. Pensate a quante persone, soprattutto
anziane sono un po’ abbandonate nel momento in cui soffrono e non sono
più autonome, autosufficienti nei confronti di queste patologie. Quindi
eutanasia è questo tentativo molte volte pietoso di dare la morte a questo
soggetto, in modo da far sì che finiscano le sue sofferenze, finisca di
patire, finisca di soffrire. Possiamo distinguere due tipi essenzialmente di
eutanasia:
   1. un’eutanasia commissiva e
   2. un’eutanasia omissiva.

L’eutanasia commissiva è quella che si realizza nel momento in cui
somministriamo al paziente una sostanza in dosi tossiche o letali. Cosa si
somministra? Il farmaco antidolorifico che avete a disposizione, invece di
darglielo in dosi terapeutiche già quello che lui assume normalmente,
glielo si dà in dose molto più elevata.
L’eutanasia omissiva, invece, è il non somministrare al soggetto, quindi
l’omissione di terapia, di farmaci che sostengono gli apparati vitali
dell’organismo, quindi l’apparato cardio-circolatorio, quello respiratorio e
quello del sistema nervoso centrale. In effetti in questo modo si
determinerebbe un’accelerazione dell’exitus, tu lo fai sopravvenire in un
tempo più breve, però c’è anche la possibilità nell’ambito dell’omissiva
che venga evitata la somministrazione al paziente di sostanze nutritive e di
liquidi, il paziente già ormai defedato a cui tu non somministri più il
nutrimento, sostanze nutritive e liquidi e quindi il soggetto va incontro a
morte proprio per una situazione di disidratazione. Alcune volte è il peso
nella misura più pietosa possibile nei confronti di questi pazienti che,
essendo già defedati per fatti loro è anche difficile che pongano il
problema di ulteriore aggravio di sofferenze che lei comunque gli produce.
Se qualcuno ha letto il giornale 7-8 giorni fa c’era un articolo a proposito
proprio di questo, che anche la Chiesa era intervenuta dicendo che è
fondamentale l’apporto di liquidi e di sostanze nutritive ai pazienti che
versano in queste condizioni; ma non c’è bisogno che lo dica la Chiesa
perché basta il senso di umanità che dovrebbe essere in ciascuno di noi
però se intanto è successo il fatto, significa che qualcosa si era verificato
tanto da produrre l’intervento di queste persone. Secondo voi qual è più
semplice da realizzare, l’omissiva o la commissiva? L’omissiva è casomai
anche quella più semplice a realizzarsi e oserei dire che si realizza anche
più di frequente diciamo in quanto, vuoi per motivi pietistici, vuoi per
motivi anche cattivi perché molte volte la persona anziana che verte in
queste condizioni cliniche diventa un peso insostenibile anche per la
famiglia e poi, mentre è facilmente dimostrabile la somministrazione in
dosi tossiche di una sostanza estranea, in quanto tu nei liquidi biologici
comunque, tecnicamente, se domani qualcuno te lo chiede, è possibile
reperirla, quindi tu la dimostri; mentre invece l’omissiva non si può
dimostrare, diventa un po’ complicato, non si può trovare quello che non si
è dato e stiamo sempre parlando di persone comunque defedate e te lo
aspetti proprio, indipendentemente dalla mancata somministrazione. Però
intanto, da un punto di vista giuridico, giudiziario, la persona in quelle
condizioni che poi giunge a morte, la famiglia non è che si ribella o va a
chiedere, lo vive casomai come una liberazione, il discorso è questo. Ora
invece, che cosa esiste in Italia? In Italia esiste il concetto di omicidio del
consenziente, cioè l’altro ieri abbiamo visto che esistono tre tipi di reati:
doloso, preterintenzionale e colposo. Ora aggiungiamo un quarto tipo di
omicidio: l’omicidio del consenziente, che è un omicidio rubricato a parte.
L’art.579 del Codice Penale che tratta appunto dell’omicidio del
consenziente, dice “Chiunque cagiona la morte di un uomo –un uomo non
nel senso maschilista– con il consenso di lui, è punito con la reclusione da
6 a 15 anni. Allora non si applicano le aggravanti indicate nell’art.71,
invece si applicano le disposizioni relative all’omicidio se il fatto è
commesso contro una persona minore di anni 18; contro una persona
inferma di mente o che si trova in condizioni di deficienza psichica, per
un’altra infermità; o per abuso di sostanze alcoliche o stupefacenti; oppure
contro una persona il cui consenso sia stato, dal colpevole estorto, con
violenta suggestione o carpito con l’inganno.” Allora la pena dice da 6 a
15 anni: è una pena intermedia tra il colposo e quello doloso, perciò si
chiama anche omicidio attenuato in quanto che la pena subisce una
minima, una certa diminuzione, come entità, rispetto alle altre forme di
omicidi, in quanto che viene ad essere persa in considerazione, tenuto in
considerazione questo senso pietistico, pietoso che spinge a portare, a
condurre a morte il soggetto, però attenti, dice del consenziente tant’è che
dopo esclude la possibilità di poter compiere questo omicidio su una
persona inferiore di anni 18; persona inferma di mente o in condizioni di
deficienza psichica; o in abuso di sostanze stupefacenti ed alcoliche;
oppure contro persone il cui consenso sia stato estorto con l’inganno. Che
significa? Cioè sono tutti quei casi in cui il consenso non è valido, vi
sembra? Quindi omicidio del consenziente, ma secondo voi una persona
che ha, che patisce di una forma neoplastica incurabile, in una fase
terminale, soggetto ad una serie di terapie, ha avuto già casomai un
intervento chirurgico, ha fatto la chemioterapia, radioterapia varie
alternative, è sotto comunque terapie con sostanze analgesiche, oppiacee o
non, secondo voi è capace di intendere e di volere!? Io addirittura, già col
sintomo dolore, direi che il soggetto non è capace di intendere e di volere,
in quanto che il sintomo dolore è uno di quei sintomi che ti portano ad
accettare qualsiasi, il dolore di denti facendo un caso incalzante né
sovrapponibile, ma che nella sua diversità comunque diventa calzante, che
cosa faremmo per far passare quel dolore di denti? Saremmo capaci di
assumere qualsiasi sostanza, anche la più velenosa possibile, o togliere
qualsiasi dente pur di far passare; è vero? In quel caso non dai il consenso
perché è lo stesso sintomo che ti porta ad accelerare, in un caso del genere,
il sintomo dolore che certamente è molto più incalzante, difficilmente è più
incoercibile, difficilmente superabile perché comunque l’uso protratto,
continuo di farmaci antidolorifici sono, la maggior parte agiscono anche a
livello del sistema nervoso centrale, deprimendo il sistema nervoso
centrale, comunque alterano le capacità intellettive, ne acuiscono alcune
ma certamente ne deprimono delle altre, per cui un soggetto di questo
genere è incapace di intendere e di volere? Quindi vedete che a questo
punto, l’omicidio del consenziente è come se non esistesse, lo potete
leggere tale e quale al concetto di eutanasia, andremmo a fare enormi
discussioni su se il soggetto a cui è stato dato la morte, il soggetto, il
paziente a cui è stato dato la morte era capace di intendere e di volere.
Secondo voi, Welby, nel momento in cui è morto, era capace di intendere e
di volere? Non era un neoplastico, ma comunque stava da 25 anni legato al
respiratore automatico, a una serie di terapie, a una serie di obblighi legati
alla patologia; secondo voi, è capace di intendere e di volere? Anche se era
capace di farsi capire attraverso l’utilizzo di apparecchiature alternative,
non è questo l’importante, ma lui aveva quella capacità di intendere, di
capire e di volere realmente quello che avrebbe chiesto? Io penso di no,
penso assolutamente che non era capace di intendere e di volere. Era
diverso il concetto dell’espressione, casomai della moglie, ma non per
cattiveria, che esprimeva, forse lei, conoscendo il marito, esprimeva un
concetto che il marito casomai avrebbe espresso se fosse stato lucido;
interpretava casomai un pensiero, una volontà del soggetto conoscendolo,
ma certamente non poteva. Lo Stato di fronte a queste cose è impotente, il
medico, l’infermiere, di fronte a questi atti, non può che aiutare il paziente
nel trapasso, ma non facilitare il trapasso o non produrre il trapasso, ma
soltanto lenire le sofferenze, sollevare dalla sofferenza, questo è il
concetto, fisica e psichica, fisica e morale del paziente, e quello stare
vicino al paziente, quel partecipare. Accanimento terapeutico. Che cos’è,
secondo voi, l’accanimento terapeutico? Ritorniamo un attimo al caso
Welby: secondo voi, qual è quest’accanimento terapeutico nel caso di
Welby? Come può essere descritto questo accanimento terapeutico? Cosa
hanno fatto a Welby che corrisponde all’accanimento terapeutico? Il
ministro Turco ha detto che nel caso Welby si stava producendo un
accanimento terapeutico, in quanto lo si teneva legato ad un respiratore
artificiale. Definiamo un attimo l’accanimento terapeutico: è quella attività
diagnostica o terapeutica che viene ad essere prodotta, eseguita sul
paziente che produce altre sofferenze oppure dalla quale non si possa
attendere un beneficio per la salute del malato oppure un miglioramento
della qualità della vita del soggetto stesso; quindi è un qualcosa soprattutto
di ex novo che viene ad essere eseguito sul paziente, è il nuovo intervento
chirurgico, sul paziente neoplastico per esempio, che è inutile, io so che
quell’intervento non serve a niente; se tutto va bene potrebbe procurargli
un prolungamento della vita di 10-15 giorni, cioè in cui il gioco, il rischio
dell’intervento non vale il beneficio che mi posso attendere perché è vero
che può avere 10-15 giorni di vita in più però soffre di più o può rimanere
sotto i ferri in corso di intervento in quanto si tratta di un paziente che non
è nelle migliori condizioni oppure lo sottopongo ad un ciclo di
chemioterapia ulteriore oltre quelli che ha già fatto quando so che anche
questo ciclo non avrà risultati effettivi validi in termini di beneficio per il
paziente, come dire lo sottopongo a delle sofferenze, dei disagi non solo di
carattere fisico, ma anche di carattere psichico, pensate a tutti i risvolti che
una prestazione di una somministrazione di un ciclo chemioterapico ha nei
confronti dei pazienti, con tutti i risvolti anche di carattere personale,
estetico nei confronti di terzi, la sua incapacità e non voglia di frequentare
terzi, cioè la dignità della vita ma dignità la qualità della vita, è questa la
qualità della vita; stiamo parlando di ciò che io non vorrei nel momento in
cui che mi impedirebbero di svolgere una vita normale, sociale, quel poco
che mi resta da vivere io lo vivo insieme agli altri. E nel caso in cui il
paziente è in coma e magari non ci sono segni di miglioramento? In questi
casi, si utilizza un’altra formula: se non esiste possibilità di ottenere un
grave beneficio per la qualità di vita, in questi pazienti occorre però
sostenere gli organi vitali fino al raggiungimento del coma irreversibile,
non c’è altra possibilità. È quando c’è il coma irreversibile che c’è
l’obbligo da parte del primario del reparto di rianimazione di sollecitare, di
far intervenire la Direzione Sanitaria, che a quel punto, una volta stabilito
il coma irreversibile la Direzione Sanitaria nomina la commissione per la
definizione della malattia, anche se non c’è l’obiettivo della donazione
degli organi, non è importante, non è solo per la donazione degli organi.
Questa è la norma, lasciamo stare che non viene ad essere fatto perché
soprattutto in caso di persone giovani, chi glielo dice alla madre ed al
padre!? Ugualmente gli organi vitali vanno sostenuti, come fai a non
sostenerli? Se è legato ad un respiratore automatico, tu già stai sostenendo
la respirazione, i farmaci che tu gli dai di sostegno teorico dell’apparato
cardio-circolatorio ma quello sta immobile, non è che fa un’attività fisica,
serve giusto per una forma di dilatazione minima in maniera di aumentare
il flusso sanguigno, non è che gli devi fare chissà che cosa per sostenere
gli organi vitali. Perciò in alcuni casi quelli che fanno? Tolgono l’apporto
idrico e calorico, in maniera che si determina uno squilibrio e quindi vanno
a morte e questo è vietato, ma il resto c’è un acceleramento, anche se
sospendesse i farmaci non è che automaticamente c’è l’exitus nell’
immediatezza; come se fosse un leggero acceleramento della morte,
tenendo conto che il paziente però è immobile in un letto. Tu se sospendi i
farmaci che sostengono gli organi di persone che stanno in attività o
perlomeno sono autosufficienti e che camminano tu aumenti la possibilità
del rischio, è diverso, l’apporto necessario è maggiore. Tenete conto che
l’accanimento è quello in più che viene effettuato, certamente nel caso di
Welby l’essere legato al respiratore automatico non era accanimento; se
glielo levavano moriva non dopo qualche giorno ma dopo due minuti.
L’ultima considerazione da fare in termini di eutanasia riguarda i
testamenti biologici. Si chiamano ‘desideri precedentemente espressi’ e
sono previsti anche come accenno però, la legge n°145/2001 art.9 che
dice: “I desideri precedentemente espressi a proposito di un intervento
medico su di un paziente che al momento della prestazione non è in grado
di esprimere la sua volontà, saranno tenuti in considerazione”. Vedete
com’è generico: ‘saranno tenuti in considerazione’. Perché non può
accettare diciamo così del tutto questi desideri che vengono
precedentemente espressi? Il legislatore non può dire ‘quello che ha
richiesto deve essere esaudito’. Perché bisogna fare alcune considerazioni,
tutti sono in grado di esprimere i propri desideri, tutti sono consapevoli di
ciò che vorrebbero, tutti sono consapevoli di volerlo in quel momento e
questi sono i vari punti, cioè una persona che non ha niente a che fare con
la sanità, è in grado di esprimere quello che vorrebbe che non si facesse
sulla sua persona in certe situazioni!? Non riesce nemmeno ad individuarle
queste situazioni. Che chiedi? Dici “Non voglio essere attaccato al
respiratore automatico!?” Esiste pure la possibilità che tu sei attaccato per
alcuni giorni al respiratore automatico per superare un momento
traumatico forte che hai subito per esserne poi liberato successivamente,
mica una volta attaccato ci devi rimanere legato vita natural durante!
Quindi devi pure chiarire, allora se i tuoi desideri debbono esseri tenuti in
considerazione, occorre che siano formulati in maniera esatta, specificando
le situazioni, per cui diventa un ‘papiello’ che non finisce mai, papiello che
lui non può scrivere, non ha la cognizione logica il cittadino comune,
dovrebbe essere assistito da un medico specialista in rianimazione, in
chirurgia d’urgenza, medicina d’urgenza, in qualcosa di specifico che lo
aiuta a descrivere le proprie volontà, ma non deve essere, non può essere
generico. Un’ ulteriore valutazione: ciò che un ragazzo di 18-20 anni
esprime sotto l’ondata dell’entusiasmo giovanile,è valido poi a 30 anni, a
35 anni, quando casomai ha un figlio? È valido? Non credo. Cambiano i
rapporti, cambiano anche le sue necessità, le sue volontà, cambia il suo
diritto ad avere dei desideri, nel senso che non hai più dei diritti ma hai dei
doveri nei confronti di terzi che sono maggioritari rispetto ai tuoi diritti;
ma indipendentemente da questo, anche se sono trascorsi 10 anni può darsi
che io ho maturato un pensiero diverso, non l’ho ancora scritto. E’
possibile, o no!? E poi, essendo noi Italiani, secondo noi tra quello che noi
esprimiamo oggi e quello che si verificherà tra 5 anni, sotto sotto al
momento in cui si è verificato, siamo sicuri che diciamo “NO”!?. O
diciamo, aspetta un momento, mi dai una possibilità. E’ vero, o no? Tra
aspettare il pericolo ed affrontarlo esiste una differenza sostanziale, perché
è nella natura dell’uomo, no? E’ nella natura di tutti, perché se lo vedi da
lontano dici “Vabbè!”. Ma nel momento in cui lo affronti, ti colpisce è
diverso, quindi ecco che i problemi sia il problema di espressione che deve
essere corretta, deve essere aiutata da qualcuno; gli stessi problemi del
testamento patrimoniale se voi ci fate caso insomma, nel testamento
dovete specificare bene cos’è che lasci a quello, cos’è che lasci a
quell’altro, d’accordo?

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La cartella clinica

  • 1. PROF. LANDI III LEZIONE 13/12/07 CARTELLA CLINICA La cartella clinica che cos’è? Per definizione di massima la cartella clinica è un documento ufficiale che viene ad essere prodotto, creato, realizzato in ambito pubblico, quindi la stessa cosa della cartella clinica vale per quella del medico, dell’infermiere, per i registri operatori, qualsiasi documento pubblico noi realizziamo nell’ambito ospedaliero. La cartella clinica si desume essere da diverse sentenze della corte di cassazione che sono state emanate nel corso di questi ultimi decenni come il fascicolo nel quale si raccolgono i dati anamnestici, obiettivi, che riguardano il nostro paziente che è ricoverato, quelli giornalieri del decorso della malattia, i risultati delle indagini che vengono ad essere compiuti sulla persona del nostro paziente e quindi la diagnosi della malattia che ha condotto la persona a ricoverarsi. Ancora un’altra sentenza dice che è il diario diagnostico-terapeutico nel quale vanno annotati i fatti di rilevanza giuridica, quali dati anagrafici, anamnestici del paziente, gli esami di laboratorio specialistici, le terapie praticate, nonché l’andamento, gli esiti e gli eventuali postumi della malattia. Vedete incomincia col dire, vabbè diario diagnostico terapeutico, questo è facilmente comprensibile, arguibile, ne siamo pienamente coscienti, diario però, diario significa che cosa? È quella annotazione giornaliera che viene ad essere effettuata nei confronti del nostro paziente, che dovrebbe essere attenta, fatta giorno per giorno, quando noi non annotiamo nulla o mettiamo quelle famose graffette uguale al giorno prima oppure continua terapia, non significa niente, vuol dire che per 5-6 giorni tu il paziente non l’hai neanche visto, cioè andiamo incontro a quella che è una mancata assistenza di fatto nei confronti del nostro paziente, che finché tutto procede nel giusto verso, nulla questio, ma nel momento in cui insorge una complicanza, insorge un quid, che interferisce col normale andamento delle cose viene ad essere poi, cadiamo, nel discorso che facevamo l’altra volta, in un discorso di responsabilità, di colpa professionale; allora se il diario ha questo concetto di annotazione giornaliera vi volevo far riflettere su questa ‘annotati fatti di giuridica rilevanza’, questa rilevanza giuridica, state attenti che quando
  • 2. noi parliamo di rilevanza giuridica relativamente ad una documentazione di carattere sanitaria è una rilevanza giuridica nel momento in cui voi la producete, la create, scrivete in cartella clinica, nel caso della cartella infermieristica ad esempio, voi non sapete che avrà una reale rilevanza giuridica, non sapete che quella cartella sarà sequestrata, sarà poi portata all’attenzione del magistrato, non lo potete sapere, quindi dovete tener presente che qualsiasi atto voi componete potrà un domani avere rilevanza giuridica, è questo che deve farvi stare attenti, diciamo di fatto lo ha perchè in un qualsiasi momento potrebbe essere presa diciamo a giustificazione di un perché lei ha fatto certe cose, perché lei ha scritto cose vere, ha scritto cose false, e quindi dar fede di ciò che lei, di come è stato, quale è stato il suo comportamento assistenziale logicamente nei confronti di questo paziente, quindi tutto può avere rilevanza giuridica, vediamo per esempio nel campo del medico un certificato medico, scrive che il soggetto X è malato, per compiacerlo, per fargli una cortesia; in un caso del genere succede che uno chiede una cosa del genere per evitare non nei confronti del datore di lavoro ormai non contano niente, ma nei confronti che so, evitare di andare a testimoniare ad un procedimento civile, penale, quello che sia, va dal medico, quel certificato comincia a creare una serie di problematiche non solo al presunto paziente ma anche al medico, non è la prima volta, per un esempio caso mai banale, ma tante volte, anche in cartella clinica uno scrive cose così un poco superficialmente poi la cartella, per fatti che intercorrono successivamente, viene ad essere prodotta alla procura della repubblica, per un motivo qualsiasi viene ad essere sequestrata; state attenti che oggigiorno non è più nemmeno, c’è anche una difesa delle parti, le varie parti in un procedimento penale possono iniziare un’indagine o possono condurre delle indagini proprie, per cui vedete come si allarga a macchia d’olio la possibilità che una cartella clinica possa essere, possa assumere i caratteri di un documento che ha rilevanza giuridica. Allora dice un articolo del codice di deontologia che la cartella clinica deve essere redatta chiaramente con puntualità e diligenza nel rispetto delle regole della buona pratica clinica, e contenere ogni altro dato obiettivo relativo alla condizione patologica ed al suo decorso nonché le attività diagnostico- terapeutiche praticate, cioè deve essere redatta chiaramente. Questi sono i criteri della cartella clinica, cioè come deve essere compilata la cartella clinica. Esistono, in base alla cartella clinica, quattro requisiti essenziali: abbiamo il requisito della veridicità, il requisito della completezza, il
  • 3. requisito della correttezza, ed il requisito della chiarezza. Il requisito della veridicità, che significa? Significa che quello che noi scriviamo in cartella clinica deve corrispondere al vero, cioè non possiamo, non dovremmo scrivere falso, ma non solo un falso cioè alterare un qualcosa di vero, ma pure alterare, scrivere qualcosa che noi non abbiamo fatto; state attenti che tutto ciò che è scritto in cartella, fino a prova del contrario, risulta essere stato fatto, tutto ciò che non è scritto, non risulta essere stato praticato per cui se anche voi aveste praticato una terapia o una qualsiasi attività diagnostica o terapeutica, che sia, su quel paziente ma non è riportata in cartella, è come se non fosse stata eseguita. Il requisito della completezza è impossibile e contro ad ogni logica scrivere qualcosa di incompleto cioè scrivere una parte di ciò che abbiamo fatto e non tutto ciò che abbiamo eseguito. Quindi questo requisito della completezza, diventa necessario affinché questo atto pubblico che è la cartella clinica, acquisisca, abbia il suo giusto valore, la sua giusta dimensione. Secondo voi a che serve la cartella clinica? Facciamo una breve parentesi altrimenti parliamo di obbligo come se fosse una cosa astratta, come se ci piovesse dal cielo quest’obbligo di cui noi non comprendiamo i motivi, per cui lo facciamo ad occhi chiusi senza un criterio, senza una logica insomma. Secondo voi a che serve la cartella clinica? Allora è un atto, un documento ufficiale, cioè noi proviamo che, in quel paziente, sono state eseguite determinate prestazioni. Allora in origine quando non c’era questa costruzione così farraginosa dell’ospedale, del servizio sanitario, ecc. la cartella clinica era soltanto un appunto in cui il medico s’appuntava, così, dei concetti, ciò che poteva fare su quel paziente, ciò che già aveva fatto, che risultati ne aveva ottenuti quindi diventava un diario, una memoria dell’evoluzione della patologia del paziente. Logicamente oggi questo sarebbe fuori luogo, acquista invece adesso il valore di atto ufficiale quindi è un obbligo che gli esercenti le professioni sanitarie hanno nei confronti, non più del paziente, ma anche dello Stato, in quanto noi ne rispondiamo nei confronti dello Stato stesso. È un atto pubblico, diventa atto pubblico quindi la falsificazione diventa un reato di falso, materiale o ideologico che sia, in rapporto a come lo abbiamo costruito. Quindi se è un atto pubblico, quello che scriviamo, lo dobbiamo scrivere, dobbiamo scrivere il vero, lo dobbiamo scrivere in maniera completa, dobbiamo scrivere in maniera corretta, cioè corretta che significa, in questo caso, secondo voi? Precisa nelle varie parti, cominciando, correttezza che incomincia con la data, l’ora che è importante, se sono stati più interventi nella stessa giornata
  • 4. quindi la correttezza formale nell’ambito della dimensione temporale nella quale l’intervento, la prestazione viene ad essere eseguita, oltre alla correttezza formale di scriverlo in maniera chiara, in maniera leggibile, in maniera comprensibile, con un senso logico, con una correttezza poi di fatto, inoltre la chiarezza ecco il concetto di chiarezza, così ritorno a quello che anticipavo pure prima, a questo concetto prima; chiaro, deve essere espresso in maniera chiara, sia in termini lessicali ma soprattutto in termini grafologici in maniera che, chi interviene successivamente o contemporaneamente all’estensore, a colui che materialmente scrive in cartella deve saper, deve avere la possibilità di comprendere perfettamente senza possibilità di equivoci, quello che è stato scritto. Oltre questi quattro requisiti, però esiste un altro obbligo, che c’è un obbligo che è molto più rigoroso rispetto a quelli che abbiamo già visto prima, deve essere, quello che noi scriviamo, deve essere scritto in pendenza di degenza e seguendo la sequenza cronologica del verificarsi degli eventi stessi, nel senso, quando noi parliamo in pendenza di degenza, significa che il paziente deve essere ancora degente mentre noi lo stiamo; non è che noi dobbiamo aspettare, come delle volte succede, che il paziente viene ad essere dimesso, allora si accumulano trecento cartelle cliniche e poi ci scriviamo le prime cose che ci vengono per testa e ce le mettiamo a scrivere. Poi la sequenza cronologica, cioè che non è possibile, è contro ogni logica, e rappresenta poi un falso se io scrivo un evento che è capitato in un giorno successivo prima di uno che mi è capitato antecedentemente, se io scrivo ciò che è capitato il 10 dicembre dopo quello che è capitato l’11 dicembre, appunto un falso, occorre che nella successione degli eventi, che la successione degli eventi abbia un senso cronologico, abbia un tempo, una successione cronologica corretta; non posso scrivere prima quello che è capitato dopo e viceversa. Embè ma se la sentenza, queste sono tutte cose desunte da sentenze, per cui se il caso lo dice una o più sentenze significa che il caso è successo, chi ci lavora in ospedale sa che succede anche oggi; è vero? Dunque chi è che, prima di andare avanti poi nel discorso dei requisiti, occorre dire che la cartella clinica e la responsabilità, come dicevamo l’altro giorno della cartella clinica, è del primario. Dice l’art. 7 del decreto del Presidente della Repubblica del 27/03/69 dice che “Il primario è responsabile della regolare compilazione delle cartelle cliniche, dei registri nosologici e della loro conservazione fino alla consegna all’archivio centrale”, mentre l’art. 2 dello stesso decreto dice che “La direzione sanitaria deve essere fornita di un archivio clinico”. Che cosa
  • 5. significa? Significa che, fino a che la cartella resta presso il reparto, la responsabilità anche se materialmente è tenuta dal caposala o viene ad essere conservata in un luogo X, la responsabilità di fatto è del primario; come è responsabilità generica del primario che venga ad essere compilata attentamente. Quando invece la cartella clinica viene completata in tutte le sue parti e viene inviata in direzione sanitaria, la conservazione, l’archiviazione è a cura del direttore sanitario che deve appunto occuparsi, è responsabile della tenuta, dell’archivio delle cartelle. Oggi ci sta la microfilmatura, esistono tutta una serie. Quindi la conservazione è limitata? No, non è limitata. Se lei si riferisce a quanto tempo deve essere conservata, no, è molto in discussione questo discorso. Non è chiaro quanto tempo deve passare di conservazione perché per esempio lei trova in alcune parti dice 20 anni, in altre 30 anni ma, signori miei, se la cartella clinica è relativa ad un ragazzo di 12 anni, i 20 anni è limitativo. Voi non potete nemmeno entrare nel discorso di limitare le possibilità; tenete anche conto delle possibilità statistiche, epidemiologiche o che in un futuro ciò che è stato fatto potrebbe essere tratto da queste cartelle cliniche. Logicamente, conservare il cartaceo nel modo in cui da noi vengono conservati diventa alimento per topi mentre invece se vengono ad essere microfilmati, vengono ad essere conservati in maniera molto più moderna, mettiamola così, per non usare parole oltraggiose, allora si occupa meno spazio, è più facile la ricerca e tutto diventerebbe più semplice sempre che ci sia qualcuno che se ne occupi, vabbè ma abbiamo trovato il sistema perché ci si rivolge a ditte esterne. Adesso vi leggo un paio di sentenze da cui poi possono essere presi in considerazione tutto ciò che non si deve fare. Questa sentenza della corte di cassazione dice “La titolarità dell’obbligo di redigere le cartelle cliniche relative ad ammalati ricoverati in ospedali pubblici, tra parentesi le sentenze sono un poco strane perché molti giudici non sanno quello che stanno dicendo, allora il problema non è che ci sta una differenza tra l’ospedale pubblico e la clinica privata convenzionata, sono la stessa cosa, le cartelle strumentalmente sono un minimo diverse tra quelle del ricovero ordinario rispetto a quelle del day- hospital, come ben sapete. Non è rilevante l’obbligo. Non è ai fini dell’individuazione delle persone responsabili per le annotazioni ideologicamente false ed inserite, infatti i responsabili sono tutti coloro che abbiano moralmente partecipato alla falsificazione. Che significa? Se io scrivo un falso in cartella clinica relativo al periodo in cui io sono stato di guardia o un infermiere scrive un falso nella cartella infermieristica
  • 6. relativamente al suo turno di lavoro, diventa un, sono coinvolti tutti, anche quelli che intervengono dopo, che potevano notare che io avevo scritto il falso, non sempre è così misconosciuta la possibilità di poterlo poi nascondere, spesso è chiaro, è evidente che quello ha scritto il falso, allora, nel momento in cui non viene successivamente ad essere corretto quanto di falso è stato scritto, nel non correggerlo, io partecipo alla falsità dello scritto precedentemente; diventa di fatto, se ci fate caso, è logica la questione, in quanto ciascuno controlla l’altro e dal poter essere controllato si evita che taluno possa scrivere il falso, possa diciamo falsificare l’atto. “La sussistenza del delitto di falsità ideologica in atto pubblico, va ritenuta anche nel caso in cui il pubblico ufficiale affonda la propria firma su atto, da altri predisposto, senza curarsi di controllarne il contenuto”, cioè se io scrivo questo concetto, questo fatto che non è vero, è falso, non si è mai verificato e lo faccio firmare al collega di guardia è tale e quale; quello che firma senza controllare che cosa ho scritto, è partecipe al reato di falsità ideologica. La cartella clinica adempie la funzione di diario del decorso della malattia e di altri fatti clinici rilevanti, per cui gli eventi devono essere annotati contestualmente al loro verificarsi. Contestualmente al loro verificarsi significa nel momento in cui si verificano, logicamente lo dovete leggere in senso un poco più estensivo, non è che nel momento in cui il paziente ha la crisi ipertensiva tu prima di vedere che devi fare, glielo scrivi in cartella clinica, ma è un contestualmente che ha un significato lato, ma dopo che hai fatto quello che dovevi lo devi annotare, non è che lo annoti dopo 48 ore, questo è il significato, ma nel momento in cui si realizza cioè là per là, subito dopo che hai osservato la tua funzione principale che non è quella di scrivere in cartella clinica, ma è quella di curare il paziente, di salvaguardare la salute del paziente. “Pertanto la cartella clinica acquista il carattere di definitività in relazione ad ogni singola annotazione ed esce dalla disponibilità del suo autore nel momento stesso in cui la singola annotazione viene registrata”. Che significa? Significa che nel momento in cui io scrivo in cartella clinica ed ho completato quello che ho scritto, ho messo il punto ed ho firmato, esce dalla mia disponibilità, io non posso fare più niente, non posso fare cancellature, non posso fare correzioni, è come se non mi appartenesse più; esce dalla mia disponibilità quindi diventa definitivo; nel momento in cui io ho completato l’annotazione in cartella clinica, diventa definitiva. È un definitivo non assoluto, è definitivo rispetto a quello che io ho scritto per cui se intervieni poi tu e ti accorgi dell’errore che io ho commesso, non
  • 7. devi cancellare ma devi riscrivere non sopra ma sotto dicendo, annotando quella che è la nuova nozione, la nuova verità o ciò che è cambiato o quello che è vero e che era stato sbagliato nell’annotazione precedente senza cancellare quella che c’era prima. Dopo quanto tempo? Quando te ne accorgi, può essere pure che io ho finito l’annotazione, mi accorgo di aver sbagliato, non debbo cancellare, ma riscrivo la parte, chiarisco quello che ho sbagliato, creando una nuova annotazione. Qual è la differenza tra falso materiale e falso ideologico? Falso materiale, materiale è quando una cosa, misuro la pressione e scrivo un dato che non è vero, ideologico è quando lo creo un qualcosa di non vero fin dall’inizio, dico che ho misurato la pressione ma non l’ho misurata. Ogni volta che il medico scrive qualcosa in cartella dovrebbe firmare? È un buon uso. Anche quando si fa il giro e annota un cambio terapia? Il cambio della terapia è una delle cose che si fa più facilmente, il cambio terapia viene fatto sempre. E va firmato? Vede, molte volte in molti posti oggi, l’obbligo sarebbe firmare altrimenti quello che fa fede è la grafia. Per quanto riguarda questi problemi di terapia, vale pure molto un accordo all’interno del reparto dove il medico sa che deve scriverlo in cartella, ma lo va prima a scrivere nel foglio della terapia e poi dopo lo trascrive, lo corregge in cartella clinica o perlomeno ci sono degli accordi che vengono ad essere presi, dice guarda ho cambiato la terapia. Non esistono regole specifiche, le sentenze non sono nemmeno leggi, sono sentenze, per cui ti danno delle indicazioni a cui uno deve attenersi. È logico in un ospedale dove ci sono dei sanitari che turnano, è buona regola firmare soprattutto quando io detto a lei, per cui non è nemmeno la mia grafia, ma la grafia è la sua, che sta in cartella per cui dopo io non ci metto nemmeno la mia firma nessuno sa chi è che ha creato questo atto, vi sembra? Ma anche nei confronti dei colleghi, proprio per un rispetto nei confronti degli altri ognuno si assume le proprie responsabilità, controfirmando quanto viene a mutare in cartella clinica, penso che sia la cosa più semplice e logica da fare. Comunque poi si risale sempre, perché se si tratta di un giorno di guardia il 10/11/2007 basta prendere i registri, i turni, ecc. che comunque stanno agli atti e si vede chi era di turno. Alcune volte viene usato il sistema del dettare la terapia, io detto la terapia; perché cosa c’è di illegale? Io chiedo la cortesia, per un motivo qualsiasi, alla signora; dico alla signora: “vi detto la terapia”. Se ci stanno dei problemi delle, diciamo, delle possibilità di cattiva interpretazione vado a vedere in cartella clinica se c’è questo riportato, ma non è che il collega, per esempio, cambia a testa sua, perciò è
  • 8. occorre se scrive, se c’è la grafia dell’infermiere, sarebbe buona norma che il medico ci mette una firma, in maniera per dire che è stata fatta sotto la propria responsabilità. Non possiamo fare il caso specifico, se casomai lei non ha fiducia nei confronti del collega precedente che potrebbe avere mutato artatamente certe disposizioni. Ma il problema può essere una distrazione, una cosa qualsiasi, ma in casi di questo genere, su una tantum, uno chiama un momento il medico e gli dice: “scusa ma hai dato tu queste disposizioni?”. Tenete conto che al di là dei problemi personali, al di là del concetto che uno ha del collega, del medico, del sottoposto, di chi volete, l’obiettivo principale che dovrebbe essere univoco, di tutti quanti è la salute del paziente non creargli altri problemi, questo è. Allora uno si deve industriare; se lei, giustamente ha il minimo sospetto che è stato sbagliata o artatamente alterata la terapia, lei va alla fonte che è stato il dottore X di guardia lo chiami un momento, tanto ormai con il cellulare, e gli dici: “dottore avete fatto voi questo?” tanto non c’è nulla di no, perché poi sarebbe l’unico modo per risolvere realmente il problema. Non esiste la legge, d’altra parte ricordatevi che quanto più c’è la legge a dirvi che cosa dovete fare, succede un guaio, per cui non auspicate mai che vi sia una norma per ogni problema, perché è la fine; la legge non può prevedere tutte le possibilità allora le leggi purtroppo hanno le maglie larghe, soprattutto in Italia. Insomma, vi stringe la legge, non vi da la possibilità di lavorare, non crediate che sia meglio quando c’è una legge, perché non ci sono quei mezzi per interpretarla. Dove non è operativa la cartella infermieristica, l’infermiere può scrivere sulla cartella clinica? No però può scrivere, aspetta, la collega prima si riferiva ad una scrittura sotto dettatura, non ad una annotazione per principio sua, di sua iniziativa, non lo puoi fare. La cartella infermieristica, vedete, è un binario, con quella della cartella medica, diciamo, clinica, sono due binari che corrono paralleli e sarà lo scontro del futuro perché, se io ci scrivo una cosa e voi ce ne scrivete un’altra, uno di noi ha detto una stupidaggine, c’è poco da fare. Dove non è operativa la cartella infermieristica, valgono la consegna ed il rapporto? Ma ormai quasi dappertutto c’è la cartella infermieristica. La consegna ha lo stesso valore? Sì vabbe ma la cartella infermieristica ha una sua connotazione molto più particolare, molto più precisa, veramente diventa una raccolta, la consegna è una cosa così insomma; noi stiamo parlando di documento ufficiale. Il magistrato sequestra la cartella infermieristica, non sequestra i fogli della consegna. Quando ci sta la cartella infermieristica, si sequestra sia la cartella clinica che la cartella
  • 9. infermieristica. L’infermiere può scrivere sulla cartella clinica? Cerchiamo di essere logici. Allora quali sono i compiti del medico? I compiti del medico sono quelli diagnostici e terapeutici, tutto ciò che riguarda la diagnosi, l’assistenza e la terapia è compito del medico; allora se lei nella cartella clinica, mentre io sono di guardia, scrive la pressione, la frequenza cardiaca, la temperatura o la diuresi, tutto quello che scrive anche in cartella infermieristica tecnicamente potrebbe pure andare, anche se sono io che sono di guardia che ne ho la responsabilità, ma io ho fiducia in lei e dico vabbè lo scriva, ma più di questo non puoi scrivere, non è che puoi scrivere la correzione della terapia. Non si può scrivere neanche se si è allontanato il paziente? No, perché se si è allontanato il paziente la responsabilità di chi è? È anche sua, ma è primariamente del medico di guardia, non credo che spetti a lei scrivere che il paziente si è allontanato. Ripeto la diuresi, la pressione, cose di queste ma nella cartella clinica, a meno che lei non scriva sotto la mia responsabilità, io sto occupato con un paziente e dico signora, per favore scriva questo in cartella clinica però dopo metto io la firma, soprattutto in pronto soccorso dove casomai viene ad essere certificata la presenza. Se l’infermiere scrive in cartella clinica cose di una certa gravità crea dei problemi al medico perché qualcuno gli può dire ‘tu dove stavi?’. La consegna non è un documento ufficiale diciamo, tecnicamente si va a vedere la cartella infermieristica. Alcuni ospedali ce l’hanno la cartella infermieristica, altri no. Dunque finiamo un momento, dice ‘Ne consegue che le modifiche, le aggiunte integrano un falso punibile, anche se il soggetto abbia agito per ristabilire la verità perché violano le garanzie di certezza accordate agli atti pubblici’. Significa che se io in questo mio appunto, in questo mio scrivere in cartella clinica ho corretto mentre lo scrivevo, ho corretto quello che stavo scrivendo, ho cancellato, io commetto comunque un falso, in quanto io altero la verità, in quanto l’atto pubblico deve avere il requisito della certezza, deve essere sicuro, c’è bisogno che ci sia sicurezza che quello che c’è scritto è vero, bisogna dare credito a quello che è stato scritto; la certezza la potete dare non cancellando e riscrivendo oppure usando un bianchetto e riscrivendo sopra, ma semplicemente, proprio per dare il senso della certezza all’atto pubblico, mettendo tra parentesi quello che è stato scritto ma è sbagliato e poi ci scrivete dopo in maniera che deve essere chiaro quello che avete scritto di sbagliato e quello che avete corretto come idea, come senso del vostro intervento, in maniera che sono chiare tutte e due, il concetto sbagliato ed il concetto che è vero; questo è il
  • 10. senso della certezza perciò nella sentenza successiva dice che è vietato la gomma per cancellare, l’uso di penne, di inchiostri cancellabili, è vietato l’uso del bianchetto, è vietato ricancellare in maniera che non sia leggibile quanto è stato scritto precedentemente, tutte queste cose sono tutte vietate dalla norma. Deve essere scritto, pure l’aggiunta successiva, deve essere chiaro però quello che noi avevamo sbagliato, in maniera da essere chiaro l’errore. Se un medico scrive in cartella e non firma senza neanche il timbro, può essere passibile di qualcosa? Tecnicamente si potrebbe firmare con l’aggiunta del numero di matricola identificativa perché molte volte dalla firma non capisco chi è l’estensore. Vi rendete conto una cartella che viene presa in considerazione dopo 15 anni, hai perso il senso di chi è per cui si dovrebbe mettere questo numero identificativo. In alcuni ospedali ho visto ultimamente che c’è il timbro a secco col nome e cognome del medico, il numero di matricola con la Divisione di afferenza e quindi la firma del medico, ma sono mosche bianche questi ospedali. L’importante è che sia chiara la grafia per l’attribuzione, sia chiaro quello che è scritto, sia chiaro chi l’ha scritto, poi che ci sia il numero o solo il cognome o se mettiamo il cognome in stampatello già è tanto, abbiamo risolto il problema. L’ottimo è sempre nemico del bene. Ovviamente quello che è stato detto per la cartella, vale per ogni altra cosa, vale per il registro delle prenotazioni, vale per il registro del sangue, della raccolta sangue, donatori, vale per il registro degli interventi operatori, insomma tutto l’iter, tutto ciò che sono dati ufficiali che non possono essere mutati, non dovrebbero essere manipolati. Se invece della registrazione cartacea ci fosse la registrazione informatizzata? È la stessa cosa, dovreste con una grande forma di attenzione tramutare le norme esistenti per la cartella manuale per la cartella informatizzata; non dovrebbe essere dissimile. EUTANASIA Che cos’è l’eutanasia? Il codice penale italiano non prevede l’eutanasia, prevede un altro tipo di reato che si chiama ‘omicidio del consenziente’, ma ora stiamo parlando di eutanasia e sono due cose distinte e separate. Eutanasia che significa? Tecnicamente il significato di eutanasia non può essere buona morte. Ci può mai essere una morte buona!? Significa, di fatto, morte dignitosa, quello che si cerca è di dare una dignità alla morte di questo soggetto, di questo paziente, cioè far sì che muoia
  • 11. dignitosamente. In questo caso dignitosamente che significa? Perché usiamo il termine dignitoso? Che cosa ostacola questo paziente nei confronti della famiglia, nei confronti della società? Il dolore, sono le sofferenze, i dolori incoercibili, difficilmente superabili attraverso la somministrazione di farmaci, che vengono a creare questa mancata dignità della persona che soffre. La persona che soffre in maniera così indicibile vive un momento della sua vita poco dignitoso, non ha dignità nella prosecuzione della vita. Questo è il riferimento, cioè togliere la sofferenza tant’è che fra i compiti si dice che c’è questo sollievo dalla sofferenza. All’eutanasia è contrario l’Ordine dei medici ed anche il Collegio degli infermieri perché chi è deputato a curare non può essere deputato a dare la morte o comunque a facilitare, ad accelerare l’evento morte. Oggi è vietato in Italia. Noi quindi di che paziente stiamo parlando? Stiamo parlando di un paziente particolare, un paziente a cui è stata diagnosticata una patologia insanabile, prognosi quindi sfavorevole, con una prognosi a breve-medio termine e che, oltre ad una morte certa a breve scadenza, comunque la patologia di cui il paziente soffre, lo fa soffrire in maniera molto forte; dolore che non sempre e non del tutto può essere vinto dall’utilizzo di farmaci. Occorre dire che noi abbiamo quindi un obbligo di supportare questo paziente, non solo sotto il profilo sanitario nel tentativo di alleviargli il dolore e, nello stesso tempo, di curare, di sostenere le funzioni vitali ma anche di sostenerlo sotto il profilo psichico, sotto il profilo morale, sotto il profilo soprattutto umano, dargli quell’appoggio morale che delle volte vale molto più che non la banale e semplice somministrazione di medicinali. Pensate a quante persone, soprattutto anziane sono un po’ abbandonate nel momento in cui soffrono e non sono più autonome, autosufficienti nei confronti di queste patologie. Quindi eutanasia è questo tentativo molte volte pietoso di dare la morte a questo soggetto, in modo da far sì che finiscano le sue sofferenze, finisca di patire, finisca di soffrire. Possiamo distinguere due tipi essenzialmente di eutanasia: 1. un’eutanasia commissiva e 2. un’eutanasia omissiva. L’eutanasia commissiva è quella che si realizza nel momento in cui somministriamo al paziente una sostanza in dosi tossiche o letali. Cosa si somministra? Il farmaco antidolorifico che avete a disposizione, invece di
  • 12. darglielo in dosi terapeutiche già quello che lui assume normalmente, glielo si dà in dose molto più elevata. L’eutanasia omissiva, invece, è il non somministrare al soggetto, quindi l’omissione di terapia, di farmaci che sostengono gli apparati vitali dell’organismo, quindi l’apparato cardio-circolatorio, quello respiratorio e quello del sistema nervoso centrale. In effetti in questo modo si determinerebbe un’accelerazione dell’exitus, tu lo fai sopravvenire in un tempo più breve, però c’è anche la possibilità nell’ambito dell’omissiva che venga evitata la somministrazione al paziente di sostanze nutritive e di liquidi, il paziente già ormai defedato a cui tu non somministri più il nutrimento, sostanze nutritive e liquidi e quindi il soggetto va incontro a morte proprio per una situazione di disidratazione. Alcune volte è il peso nella misura più pietosa possibile nei confronti di questi pazienti che, essendo già defedati per fatti loro è anche difficile che pongano il problema di ulteriore aggravio di sofferenze che lei comunque gli produce. Se qualcuno ha letto il giornale 7-8 giorni fa c’era un articolo a proposito proprio di questo, che anche la Chiesa era intervenuta dicendo che è fondamentale l’apporto di liquidi e di sostanze nutritive ai pazienti che versano in queste condizioni; ma non c’è bisogno che lo dica la Chiesa perché basta il senso di umanità che dovrebbe essere in ciascuno di noi però se intanto è successo il fatto, significa che qualcosa si era verificato tanto da produrre l’intervento di queste persone. Secondo voi qual è più semplice da realizzare, l’omissiva o la commissiva? L’omissiva è casomai anche quella più semplice a realizzarsi e oserei dire che si realizza anche più di frequente diciamo in quanto, vuoi per motivi pietistici, vuoi per motivi anche cattivi perché molte volte la persona anziana che verte in queste condizioni cliniche diventa un peso insostenibile anche per la famiglia e poi, mentre è facilmente dimostrabile la somministrazione in dosi tossiche di una sostanza estranea, in quanto tu nei liquidi biologici comunque, tecnicamente, se domani qualcuno te lo chiede, è possibile reperirla, quindi tu la dimostri; mentre invece l’omissiva non si può dimostrare, diventa un po’ complicato, non si può trovare quello che non si è dato e stiamo sempre parlando di persone comunque defedate e te lo aspetti proprio, indipendentemente dalla mancata somministrazione. Però intanto, da un punto di vista giuridico, giudiziario, la persona in quelle condizioni che poi giunge a morte, la famiglia non è che si ribella o va a chiedere, lo vive casomai come una liberazione, il discorso è questo. Ora invece, che cosa esiste in Italia? In Italia esiste il concetto di omicidio del
  • 13. consenziente, cioè l’altro ieri abbiamo visto che esistono tre tipi di reati: doloso, preterintenzionale e colposo. Ora aggiungiamo un quarto tipo di omicidio: l’omicidio del consenziente, che è un omicidio rubricato a parte. L’art.579 del Codice Penale che tratta appunto dell’omicidio del consenziente, dice “Chiunque cagiona la morte di un uomo –un uomo non nel senso maschilista– con il consenso di lui, è punito con la reclusione da 6 a 15 anni. Allora non si applicano le aggravanti indicate nell’art.71, invece si applicano le disposizioni relative all’omicidio se il fatto è commesso contro una persona minore di anni 18; contro una persona inferma di mente o che si trova in condizioni di deficienza psichica, per un’altra infermità; o per abuso di sostanze alcoliche o stupefacenti; oppure contro una persona il cui consenso sia stato, dal colpevole estorto, con violenta suggestione o carpito con l’inganno.” Allora la pena dice da 6 a 15 anni: è una pena intermedia tra il colposo e quello doloso, perciò si chiama anche omicidio attenuato in quanto che la pena subisce una minima, una certa diminuzione, come entità, rispetto alle altre forme di omicidi, in quanto che viene ad essere persa in considerazione, tenuto in considerazione questo senso pietistico, pietoso che spinge a portare, a condurre a morte il soggetto, però attenti, dice del consenziente tant’è che dopo esclude la possibilità di poter compiere questo omicidio su una persona inferiore di anni 18; persona inferma di mente o in condizioni di deficienza psichica; o in abuso di sostanze stupefacenti ed alcoliche; oppure contro persone il cui consenso sia stato estorto con l’inganno. Che significa? Cioè sono tutti quei casi in cui il consenso non è valido, vi sembra? Quindi omicidio del consenziente, ma secondo voi una persona che ha, che patisce di una forma neoplastica incurabile, in una fase terminale, soggetto ad una serie di terapie, ha avuto già casomai un intervento chirurgico, ha fatto la chemioterapia, radioterapia varie alternative, è sotto comunque terapie con sostanze analgesiche, oppiacee o non, secondo voi è capace di intendere e di volere!? Io addirittura, già col sintomo dolore, direi che il soggetto non è capace di intendere e di volere, in quanto che il sintomo dolore è uno di quei sintomi che ti portano ad accettare qualsiasi, il dolore di denti facendo un caso incalzante né sovrapponibile, ma che nella sua diversità comunque diventa calzante, che cosa faremmo per far passare quel dolore di denti? Saremmo capaci di assumere qualsiasi sostanza, anche la più velenosa possibile, o togliere qualsiasi dente pur di far passare; è vero? In quel caso non dai il consenso perché è lo stesso sintomo che ti porta ad accelerare, in un caso del genere,
  • 14. il sintomo dolore che certamente è molto più incalzante, difficilmente è più incoercibile, difficilmente superabile perché comunque l’uso protratto, continuo di farmaci antidolorifici sono, la maggior parte agiscono anche a livello del sistema nervoso centrale, deprimendo il sistema nervoso centrale, comunque alterano le capacità intellettive, ne acuiscono alcune ma certamente ne deprimono delle altre, per cui un soggetto di questo genere è incapace di intendere e di volere? Quindi vedete che a questo punto, l’omicidio del consenziente è come se non esistesse, lo potete leggere tale e quale al concetto di eutanasia, andremmo a fare enormi discussioni su se il soggetto a cui è stato dato la morte, il soggetto, il paziente a cui è stato dato la morte era capace di intendere e di volere. Secondo voi, Welby, nel momento in cui è morto, era capace di intendere e di volere? Non era un neoplastico, ma comunque stava da 25 anni legato al respiratore automatico, a una serie di terapie, a una serie di obblighi legati alla patologia; secondo voi, è capace di intendere e di volere? Anche se era capace di farsi capire attraverso l’utilizzo di apparecchiature alternative, non è questo l’importante, ma lui aveva quella capacità di intendere, di capire e di volere realmente quello che avrebbe chiesto? Io penso di no, penso assolutamente che non era capace di intendere e di volere. Era diverso il concetto dell’espressione, casomai della moglie, ma non per cattiveria, che esprimeva, forse lei, conoscendo il marito, esprimeva un concetto che il marito casomai avrebbe espresso se fosse stato lucido; interpretava casomai un pensiero, una volontà del soggetto conoscendolo, ma certamente non poteva. Lo Stato di fronte a queste cose è impotente, il medico, l’infermiere, di fronte a questi atti, non può che aiutare il paziente nel trapasso, ma non facilitare il trapasso o non produrre il trapasso, ma soltanto lenire le sofferenze, sollevare dalla sofferenza, questo è il concetto, fisica e psichica, fisica e morale del paziente, e quello stare vicino al paziente, quel partecipare. Accanimento terapeutico. Che cos’è, secondo voi, l’accanimento terapeutico? Ritorniamo un attimo al caso Welby: secondo voi, qual è quest’accanimento terapeutico nel caso di Welby? Come può essere descritto questo accanimento terapeutico? Cosa hanno fatto a Welby che corrisponde all’accanimento terapeutico? Il ministro Turco ha detto che nel caso Welby si stava producendo un accanimento terapeutico, in quanto lo si teneva legato ad un respiratore artificiale. Definiamo un attimo l’accanimento terapeutico: è quella attività diagnostica o terapeutica che viene ad essere prodotta, eseguita sul paziente che produce altre sofferenze oppure dalla quale non si possa
  • 15. attendere un beneficio per la salute del malato oppure un miglioramento della qualità della vita del soggetto stesso; quindi è un qualcosa soprattutto di ex novo che viene ad essere eseguito sul paziente, è il nuovo intervento chirurgico, sul paziente neoplastico per esempio, che è inutile, io so che quell’intervento non serve a niente; se tutto va bene potrebbe procurargli un prolungamento della vita di 10-15 giorni, cioè in cui il gioco, il rischio dell’intervento non vale il beneficio che mi posso attendere perché è vero che può avere 10-15 giorni di vita in più però soffre di più o può rimanere sotto i ferri in corso di intervento in quanto si tratta di un paziente che non è nelle migliori condizioni oppure lo sottopongo ad un ciclo di chemioterapia ulteriore oltre quelli che ha già fatto quando so che anche questo ciclo non avrà risultati effettivi validi in termini di beneficio per il paziente, come dire lo sottopongo a delle sofferenze, dei disagi non solo di carattere fisico, ma anche di carattere psichico, pensate a tutti i risvolti che una prestazione di una somministrazione di un ciclo chemioterapico ha nei confronti dei pazienti, con tutti i risvolti anche di carattere personale, estetico nei confronti di terzi, la sua incapacità e non voglia di frequentare terzi, cioè la dignità della vita ma dignità la qualità della vita, è questa la qualità della vita; stiamo parlando di ciò che io non vorrei nel momento in cui che mi impedirebbero di svolgere una vita normale, sociale, quel poco che mi resta da vivere io lo vivo insieme agli altri. E nel caso in cui il paziente è in coma e magari non ci sono segni di miglioramento? In questi casi, si utilizza un’altra formula: se non esiste possibilità di ottenere un grave beneficio per la qualità di vita, in questi pazienti occorre però sostenere gli organi vitali fino al raggiungimento del coma irreversibile, non c’è altra possibilità. È quando c’è il coma irreversibile che c’è l’obbligo da parte del primario del reparto di rianimazione di sollecitare, di far intervenire la Direzione Sanitaria, che a quel punto, una volta stabilito il coma irreversibile la Direzione Sanitaria nomina la commissione per la definizione della malattia, anche se non c’è l’obiettivo della donazione degli organi, non è importante, non è solo per la donazione degli organi. Questa è la norma, lasciamo stare che non viene ad essere fatto perché soprattutto in caso di persone giovani, chi glielo dice alla madre ed al padre!? Ugualmente gli organi vitali vanno sostenuti, come fai a non sostenerli? Se è legato ad un respiratore automatico, tu già stai sostenendo la respirazione, i farmaci che tu gli dai di sostegno teorico dell’apparato cardio-circolatorio ma quello sta immobile, non è che fa un’attività fisica, serve giusto per una forma di dilatazione minima in maniera di aumentare
  • 16. il flusso sanguigno, non è che gli devi fare chissà che cosa per sostenere gli organi vitali. Perciò in alcuni casi quelli che fanno? Tolgono l’apporto idrico e calorico, in maniera che si determina uno squilibrio e quindi vanno a morte e questo è vietato, ma il resto c’è un acceleramento, anche se sospendesse i farmaci non è che automaticamente c’è l’exitus nell’ immediatezza; come se fosse un leggero acceleramento della morte, tenendo conto che il paziente però è immobile in un letto. Tu se sospendi i farmaci che sostengono gli organi di persone che stanno in attività o perlomeno sono autosufficienti e che camminano tu aumenti la possibilità del rischio, è diverso, l’apporto necessario è maggiore. Tenete conto che l’accanimento è quello in più che viene effettuato, certamente nel caso di Welby l’essere legato al respiratore automatico non era accanimento; se glielo levavano moriva non dopo qualche giorno ma dopo due minuti. L’ultima considerazione da fare in termini di eutanasia riguarda i testamenti biologici. Si chiamano ‘desideri precedentemente espressi’ e sono previsti anche come accenno però, la legge n°145/2001 art.9 che dice: “I desideri precedentemente espressi a proposito di un intervento medico su di un paziente che al momento della prestazione non è in grado di esprimere la sua volontà, saranno tenuti in considerazione”. Vedete com’è generico: ‘saranno tenuti in considerazione’. Perché non può accettare diciamo così del tutto questi desideri che vengono precedentemente espressi? Il legislatore non può dire ‘quello che ha richiesto deve essere esaudito’. Perché bisogna fare alcune considerazioni, tutti sono in grado di esprimere i propri desideri, tutti sono consapevoli di ciò che vorrebbero, tutti sono consapevoli di volerlo in quel momento e questi sono i vari punti, cioè una persona che non ha niente a che fare con la sanità, è in grado di esprimere quello che vorrebbe che non si facesse sulla sua persona in certe situazioni!? Non riesce nemmeno ad individuarle queste situazioni. Che chiedi? Dici “Non voglio essere attaccato al respiratore automatico!?” Esiste pure la possibilità che tu sei attaccato per alcuni giorni al respiratore automatico per superare un momento traumatico forte che hai subito per esserne poi liberato successivamente, mica una volta attaccato ci devi rimanere legato vita natural durante! Quindi devi pure chiarire, allora se i tuoi desideri debbono esseri tenuti in considerazione, occorre che siano formulati in maniera esatta, specificando le situazioni, per cui diventa un ‘papiello’ che non finisce mai, papiello che lui non può scrivere, non ha la cognizione logica il cittadino comune, dovrebbe essere assistito da un medico specialista in rianimazione, in
  • 17. chirurgia d’urgenza, medicina d’urgenza, in qualcosa di specifico che lo aiuta a descrivere le proprie volontà, ma non deve essere, non può essere generico. Un’ ulteriore valutazione: ciò che un ragazzo di 18-20 anni esprime sotto l’ondata dell’entusiasmo giovanile,è valido poi a 30 anni, a 35 anni, quando casomai ha un figlio? È valido? Non credo. Cambiano i rapporti, cambiano anche le sue necessità, le sue volontà, cambia il suo diritto ad avere dei desideri, nel senso che non hai più dei diritti ma hai dei doveri nei confronti di terzi che sono maggioritari rispetto ai tuoi diritti; ma indipendentemente da questo, anche se sono trascorsi 10 anni può darsi che io ho maturato un pensiero diverso, non l’ho ancora scritto. E’ possibile, o no!? E poi, essendo noi Italiani, secondo noi tra quello che noi esprimiamo oggi e quello che si verificherà tra 5 anni, sotto sotto al momento in cui si è verificato, siamo sicuri che diciamo “NO”!?. O diciamo, aspetta un momento, mi dai una possibilità. E’ vero, o no? Tra aspettare il pericolo ed affrontarlo esiste una differenza sostanziale, perché è nella natura dell’uomo, no? E’ nella natura di tutti, perché se lo vedi da lontano dici “Vabbè!”. Ma nel momento in cui lo affronti, ti colpisce è diverso, quindi ecco che i problemi sia il problema di espressione che deve essere corretta, deve essere aiutata da qualcuno; gli stessi problemi del testamento patrimoniale se voi ci fate caso insomma, nel testamento dovete specificare bene cos’è che lasci a quello, cos’è che lasci a quell’altro, d’accordo?