2. "Ognuno di noi ha una storia del
proprio vissuto, un racconto interiore,
la cui continuità, il cui senso è la nostra
vita.
Si potrebbe dire che ognuno di noi
costruisce e vive un racconto, e che
questo racconto è noi stessi, la nostra
identità.
Per essere noi stessi, dobbiamo avere
noi stessi, possedere se necessario
ripossedere, la storia del nostro vissuto.
Dobbiamo ripetere noi stessi, nel senso
etimologico del termine, rievocare il
dramma interiore, il racconto di noi
stessi.
L'uomo ha bisogno di questo racconto,
di un racconto interiore continuo, per
conservare la sua identità, il suo sé".
Oliver Sacks
L'uomo che scambiò sua moglie per un cappello,
Milano, Adelphi, (tr.it.), 1986, pp.153-4.)
3. Introduzione
Il racconto autobiografico è da sempre presente nella
storia dell’umanità: fin dall’antichità l’uomo ha avvertito il
bisogno di fissare la propria esperienza, non solo nel
tentativo di vincere la caducità della sua esistenza, ma
anche per riflettere sul proprio vissuto, comprenderne il
senso ed acquisire nuovo slancio vitale.
L’approccio biografico indica in sociologia una serie di
tecniche metodologiche alquanto diversificate volte alla
raccolta ed all’analisi di racconti di vita, scritti o orali,
sollecitati o autoprodotti, di soggetti “indicati come
rappresentativi di una certa realtà o significativi proprio
per la particolarità del loro percorso esistenziale”.
Tendenzialmente si può affermare che l’approccio
biografico può essere utilizzato per valorizzare gli aspetti
soggettivi di una narrazione (avvicinandosi cosi alla
psicologia) oppure quelli oggettivi relativi all’analisi del
contesto.
4. La pratica della scrittura della propria vita
l’uso dell’autobiografia (autobiografia) e della narrazione orale di sé
(autobiologia) si sta affermando in molti luoghi
educativi e trattamentali (scuole, carceri, comunità
di recupero per tossicodipendenti, residenze per
anziani, centri di accoglienza per immigrati, case
famiglia, centri di orientamento, etc…), come
proposta formativa non terapeutica e non direttiva
finalizzata all'attivazione o ri-attivazione di percorsi
di crescita individuali e di gruppo.
Tale pratica tende a sollecitare nei soggetti il
recupero di quelle "tracce di senso" esistenziali,
spirituali, relazionali, cognitive, affettive presenti
lungo il continuum esperienziale della storia di vita
personale e, spesso, sommerse, opacizzate,
alienate, rese intelleggibili.
5. Le storie di vita sono e fanno formazione, per un
Biografia storia di vita obiettivo autoconoscitivo e trasformativo.
Ogni biografia è il testo di una vita, il libro scritto
quotidianamente senza accorgersene, con gli altri, che
equivale al tracciato che appartiene ad una storia di
formazione.
L’esercizio della riflessività che si determina nel discutere,
non da soli, sulle proprie storie di formazione produce
pratiche trasformative mediante la variazione dei punti di
vista, la presa di distanza affettiva, i distacchi dal proprio
passato, dal presente, dallo stesso futuro.” Duccio Demetrio
introduce così il libro scritto da
Peter Alheit e Stefania Bergamini Storie di vita. Metodologia
di ricerca per le scienze sociali, ediGuerini Studio.
l’approccio autobiografico si viene sempre più
affacciando nelle pratiche pedagogiche e trattamentali
perché essa si offre da sempre, in quanto le è congeniale,
con la caratteristica della sfida educativa; tende a
incoraggiare e a sostenere, cioè, il sentimento di
autostima che è alla base della capacità proattiva di
ridisegnare la personale storia di vita sia in termini di ri-
comprensione di quella precedente, sia in termini di
permanente riformulazione progettuale.
6. La pratica autobiografica, come ogni altra
tecnologia della cura di sé, assume l'idea
guida che ogni uomo và incoraggiato e
sostenuto nello svelamento di quella
storia personale faticosamente costruita
all'interno delle relazioni che ha
organizzato e costantemente ri-organizza
nell'incontro con gli altri e con il mondo
circostante.
Nella prospettiva delineata dagli studi più
recenti, l’autobiografia viene considerata un
vero e proprio metodo educativo, capace
di portare concreti risultati in termini di
recupero, cambiamento e nuova
progettualità.
7. Compito dell'educatore autobiografo è
quello di favorire lo sviluppo di uno spazio riflessivo e
conversazionale condiviso sì da promuovere forme di
esperienza individuali e collettive autenticamente vissute.
l’educatore autobiografico Il lavoro con gli altri attraverso la ricostruzione della loro
storia narrata mediante le più diverse forme comunicative
(il racconto orale o scritto, il disegno, il mimo, la
recitazione, l’autovideonarrazione ) implica, però, in primo
luogo un’autoformazione da parte dell’educatore o
formatore .
L’educatore che lavora con il metodo autobiografico
incontra spesso la difficoltà di porre le necessarie
distanze tra la sua vita e il racconto di coloro che aiuta,
spesso a scapito di un sano equilibrio relazionale. Diventa
quindi essenziale lo scambio e il contatto con i colleghi,
per evitare "scivolamenti empatici .
Si dovrà quindi adottare un metodo di lavoro che sviluppi
l’empatia, contrasti l’assunzione di comportamenti
moralistici o diagnostici, eviti l’emissione di giudizi e
l’adozione di atteggiamenti direttivi o distaccati.
In sintesi occorre sviluppare le seguenti abilità sociali:
sensibilità percettiva, consapevolezza emotiva, capacità
di valorizzare, gratificare e rinforzare.
8. “La comprensione che ognuno
La storia siamo noi ha di se stesso è narrativa: non
posso cogliere me stesso al di
fuori del tempo e dunque al di
fuori del racconto”
(Paul Ricoeur, 1988)
“Questo mi fa venire in mente
una storia...” (Gregory Bateson)
Accanto al pensiero
paradigmatico che persegue
l’ideale di un sistema descrittivo
ed esplicativo formale e
matematico, esiste un pensiero
narrativo. (v. J. Bruner, 1996)
9. Emergono con forza le interconnessioni che legano
pratiche riflessive e la riflessione autobiografica con
orientamento orientamento
l’ e la progettazione
prospettica, affinchè si possano dispiegare per la
persona, prospettive di scelta e di azione
la narrazione di sé deve produrre dei
cambiamenti nelle rappresentazioni mentali che essa
ha di sé e quindi dovrà apportare nuove
consapevolezze all’identità, nel concetto di sé e
nell’autostima.
La riflessione autobiografica deve essere orientata
alla reale attuazione del sé e della prospettiva di
progettazione futura.
10. il colloquio narrativo/1
• Raccogliere una storia vuol dire diventar testimoni ascoltando qualcun altro che
racconta, riconoscendo l'importanza e l'unicità del narrante.
• Il testimone ascolta e restituisce la storia riconoscendola; egli diventa portavoce.
• Quando raccontiamo facciamo esperienza di:
eterostima: emozione che si prova nel momento in cui la nostra storia
diventa importante per qualcun altro.
esostima: emozione che proviamo quando siamo in grado di fare un
discorso di senso compiuto.
autostima: emozione in cui il narratore riconosce di avere una storia
significativa e degna di essere narrata.
• Lo svelamento è il momento in cui il riconoscimento e la restituzione della nostra
storia ci fa rendere conto di ciò che ci è successo.
• Lo scrivano intelligente è l'operatore sanitario che trascrive la storia dell'altro
non come un caso clinico ma come una vicenda umana. Egli è colui che stimola
la narrazione e la prende in custodia.
11. il colloquio narrativo/2
il colloquio narrativo costituisce lo strumento di raccolta di una storia e si
configura come un percorso relazionale.
1. Patto: deve essere chiaro nel definire gli scopi e i tempi del percorso.
2. Colloqui narrativi: si raccoglie la storia o parte di essa seguendo una traccia.
3. Trascrizione dei colloqui: sbobinamento.
4. Restituzione dei testi: attraverso un colloquio di approfondimento, in esso è
possibile chiarire alcune parti, ampliare la narrazione o modificarla.
5. Trascrizione colloquio di approfondimento: si trasforma il testo in una
monografia narrativa.
6. Restituzione della monografia: il narratore in questa fase si dovrebbe
riconoscere in essa. La storia finale è sempre co-costruita perché scritta a 4
mani.
12. il colloquio narrativo/3
Alcune caratteristiche del colloquio narrativo:
Luogo: deve essere tranquillo, accogliente e dove non si rischia di
essere interrotti, se possibile si va a casa del soggetto.
Tempo: va calcolato in basa alla durata della nostra attenzione,
quanto si riesce a sostenere un ascolto attivo.
Atteggiamento: sono necessari l'ascolto attivo, l'assenza di
giudizio e l'empatia.
Gli interventi devono favorire la comunicazione, per questo si possono
usare interventi:
Ad eco: ripetere le ultime cose dette chiedendo chiarificazioni.
Di riformulazione: ripetere con parole nostre ciò che ha detto
l'altro chiedendo se si è capito correttamente.
Di riflessione dei sentimenti: si ripropongono i sentimenti che
l'altro sta provando.
Di ricapitolazione: utili per evidenziare le contraddizioni.
Nel caso in cui l'altro non riesca ad esprimere alcune cose, non bisogna
mai insistere. È necessario evitare l'atteggiamento da esperto e il consolare
l'altro
13. il colloquio narrativo/4
Il colloquio segue sempre una traccia semi-strutturata che
analizzerà i temi che ci interessano, essa va imparata a memoria.
La traccia è composta da domande:
• Sugli eventi della storia personale, si utilizza la memoria episodica.
• Sui significati che richiedono definizioni, il significato che ha avuto quel
determinato evento.
• Evocative, che richiamano l'uso della metafora.
• Meta-cognitive, chiedono di riflettere sulla propria immagine/storia alla
luce di quello che si è raccontato, si fa una riflessione sulla riflessione.
14. La narrazione può essere usata come
narrazione e intercultura strumento di educazione interculturale, ossia un
educazione alla differenza, essa riguarda tutte le
differenze ma in particolare l'approccio con persone
che arrivano da culture differenti.
L'identità è qualcosa che ha che fare con noi stessi,
quello che siamo ma anche con l'alterità, ovvero ciò
che pensiamo degli altri.
L'identità presuppone l'esistenza di esseri unici ed
irripetibili, è fatta di caratteristiche personali, non
esiste aldilà dell'esperienza e ha bisogno di
qualcuno a cui mostrarsi, necessita della relazione.
L’identità si mostra e cambia attraverso la
narrazione.
Identità plurima = caratteristica dell'età
adulta dove si concentrano più identità che si
influenzano reciprocamente, si adegua la propria
identità al contesto.
Identità multipla = in un mondo
attraversato da flussi culturali diversi e
contraddittori, l’identità deve fare i conti con la
diversità, deve sapersi adattare sopportando le
ambivalenze.
15. Identità “traiettoria” = è come se l'identità fosse
traiettoria individuale un percorso, essa è temporale e spaziale, c'è
qualcosa dentro di noi che si modifica continuamente
perciò l'identità può seguire traiettorie identitarie
convergenti o divergenti.
L'Io tessitore è l'identità che tiene insieme, ricompone
le esperienze e fa si che noi siamo sempre noi stessi.
L'identità nomade e la doppia assenza sono concetti
che hanno a che fare con le persone che si spostano
nello spazio. Queste caratteristiche portano a sentirsi
fuori luogo ovunque, manca l'appartenenza.
L'alterità è tutto ciò che non sono io, “l'altro comincia
accanto a me”
Non esistono alterità totali perché sono sempre
presenti elementi di somiglianza tra me e l'altro.
Alterità immediata = si riconoscono molti elementi di
somiglianza.
Alterità lontana = si riconoscono pochi elementi di
somiglianza.
Non si può capire o conoscere pienamente l'altro
come non si può conoscere interamente noi stessi.
Si può accogliere l'altro con le sue differenze.
16. Gli stereotipi sono un modo per categorizzare e
io mi scrivo generalizzare le esperienze.
io sono il mio Noi viviamo d stereotipi, l'importante è non farsi
guidare solo da essi e non trasformarli in pregiudizi.
racconto Il pregiudizio ci fa pensare che le cose negative siano
legate ad alterità lontane.
Per fare si che identità e alterità si fondano si può
utilizzare un laboratorio autobiografico, ovvero uno
spazio riflessivo attraverso la scrittura del sé.
Il laboratorio autobiografico consente di
raccontare frammenti di sé all'altro che condivide e
connette questi racconti con i propri.
Il laboratorio autobiografico è definito come uno spazio
soglia, ovvero una frontiera dove le identità si
affacciano verso l'altro mantenendo però le proprie
caratteristiche, ovviando così alla nostra paura di
diventare altro.
La raccolta di storie di migrazione hanno importanza
sia per chi le racconta che per la collettività, diventano
processo di apprendimento e cambiamento sociale.
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