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LA CRISI DELL’IMPERO ROMANO
Gli elementi di questa crisi furono:
1) instabilità dell’ordinamento di Roma
2) trasformazione accelerata delle strutture alla base di questo ordinamento
3) riconoscimento, da parte degli uomini dell’epoca, che la loro età fosse contrassegnata da
precarietà e cambiamento
Dopo Gallieno si assisterà a una stabilizzazione, sulla base di nuovi fondamenti.
In realtà, non tutti gli studiosi sono concordi sulla crisi: alcuni affermano che l’Italia andò
progressivamente in rovina e appariva in condizioni di sfascio già nell’età degli Antonini (III
d.C.); altri affermano invece che l’Italia non dimostrò una crisi in campo agricolo fino all’inizio
del III sec. a.C. Non si deve quindi parlare di crisi, bensì di trasformazione economica, per i
primi due secoli del principato.
Inoltre, vi erano differenze notevole tra le regioni: in Italia centrale c’era una situazione di
maggior benessere, ora in declino; nella Cisalpina, divenuta Provincia solo nel I sec. a.C. e
quindi Italia a pieno dirittto, entrò in crisi solo dopo i Severi (II-III d.C.)
Ora, la crisi divenne totale, a causa delle invasioni barbariche.
In politica interna, la rivendicazione del potere da parte degli imperatori era all’estremo, ma il
loro potere era molto labile. Gli imperatori salivano al trono con violenza, tramite rivolte
militari o guerre civili, per poi decadere allo stesso modo.
Economia
Alla fine del III sec. d.C., quando la documentazione torna abbondante (dagli Antonini in poi
era stata scarsa), vediamo che in Italia si era formato un nuovo sistema agrario. Tra il I e il II
sec. d.C. si ebbe un calo delle esportazioni (il vino restò a livello regionale, importante per
l’economia italica, per far fronte alle città) e un aumento delle importazioni provinciali. Il
compito primario del sistema agrario italico era la sussistenza, non l’esportazione.
Affittando ai coloni, era cambiata la mentalità: il fondo che produceva per l’esportazione era la
grande villa, con vilicus e schiavi, fonte di grossi guadagni; ora le proprietà erano date in affitto
e non rendevano più come prima a causa della carenza di schiavi, dell’alto costo e della
concorrenza dei mercati provinciali. Il colono evitava quindi di spendere per le colture vinicole
da esportazione, sorpassate, e seminava grano. La crisi vinaria era però solo crisi di settore, non
dell’agricoltura in generale, perché il sistema era sempre stato provvedere alle esigenze interne e
a questo si riusciva ancora a provvedere.
Nel 92 d.C. Domiziano, in un momento di grande produzione vinicola, vietò di piantare nuovi
vigneti in Italia e decretò la parziale distruzione dei vigneti nelle Province, lasciandone al
massimo la metà. Questo decreto fu revocato in Asia Minore. Sembra fosse un intervento
protezionistico, volto a migliorare il problema della concorrenza.
Furono intensificate e migliorate le colture, soprattutto cerearicole (costavano meno), per
incrementare la quota di prodotti agricoli provenienti dalla penisola. Si diffuse il colonato.
Settori economici attualmente in crisi erano:
-

la produzione artigiana (nel nord-ovest fu la fine della terra sigillata)

-

il commercio (quasi interrotto)

- l’inflazione in aumento
Nella società, le posizioni di forza e le condizioni economiche dei privilegiati furono scosse; gli
strati bassi erano ormai in situazione disperata (diminuirono le differenze giuridiche, tanto che i
liberi erano trattati come schiavi).
Caracalla concesse la cittadinanza romana a tutti i cittadini liberi dell’impero, ma questo non era
più un privilegio, mirava solo a formare uno strato di humiliores più omogeneo.
Le cause delle crisi erano intrinseche nella struttura dell’economia, basata sulle città e sul loro
territorio: nei primi due secoli dell’impero erano stati spesi molti soldi per la costruzione di opere
pubbliche non redditizie e c’era stata una diminuzione della forza lavoro, a causa della mancanza
di schiavi. Inoltre, le invasioni barbariche avevano fatto sì che aumentasse il potere dell’esercito
e vi fossero molte perdite tra la popolazione.
Sintomo di crisi fu anche l’indebolimento dell’ordine dei decurioni, che avevano goduto di una
prosperità economica dovuta solo al boom delle Province. Ora, la grande proprietà terriera
minacciava questi medi proprietari, cui mancava anche la forza lavoro (perché i coloni erano
legati a grandi fondi).
Mutamenti della società
L’ordo senatorius non subì cambiamenti nella composizione dell’ordine, sempre caratterizzato
dal prestigio, dalla ricchezza data dalle proprietà terriere, oltre che dall’acquisto delle piccole e
medie proprietà vittime della crisi.
L’ordine perse però il suo potere politico, perché gli imperatori, per tenere unito l’imperium, si
affidarono a persone più efficienti e più qualificate. Così, il senato fu escluso dalle decisioni
politiche a vantaggio del consilium e della burocrazia imperiale. Le cariche amministrative e i
comandi dei senatori furono trasferite ai cavalieri, che avevano maggiore esperienza bellica ed
erano più specializzati nell’amministrazione civile. Nel 262 d.C. i comandi militari e i
governatorati vennero affidati solo ed esclusivamente ai cavalieri, che non rientravano più
nell’ordine senatorio. Ai senatori rimasero poche cariche civili e il governatorato delle Province
senza esercito.
L’ordo equester divenne lo strato più attivo, militarmente e politicamente. I soldati provenivano
dalle Province e così il numero dei provinciali nell’ordine aumentò (soprattutto dalle zone
orientali, danubiane e dall’Africa).
Si crearono delle differenze sociali tra cavalieri impegnati politicamente e militarmente e quelli
ordinari, maggiormente oppressi.
L’ordo decurionum conobbe un impoverimento, a causa delle debolezze economiche generali
delle città e per le spese finanziarie che dovevano subire a vantaggio dello Stato (se prima erano
dei privilegi, ora erano diventati svantaggi sociali). A loro spettavano obbligatoriamente il
restauro delle strade, il riscaldamento dei bagni pubblici, l’organizzazione dei giochi e
l’avvocatura a favore della comunità.
Andarono in crisi le loro proprietà terriere, l’artigianato e il commercio e i membri finirono per
ritirarsi dalla città alle ville.
Inoltre, chi aveva le ricchezze minime per accedere all’ordine dei decurioni era obbligato
forzatamente a farlo.
I militari divennero un gruppo sociale omogeneo, associati in collegia e con culti comuni.
Avevano influenze politiche, prestigio, una posizione economica e privilegi come l’anello d’oro
dei cavalieri e la possibilità di sposarsi invece di poter solo convivere, come avveniva prima.
Dal momento che si trattava di potenziali cavalieri, si comprava la loro fedeltà con questi
privilegi e anche tramite la possibilità offerta di accedere ai bottini, di avere una paga annua e un
congedo, di essere vestiti e nutriti a spese dello Stato.
Anche lo strato inferiore era notevolmente omogeneo.
La condizione migliore la vivevano le persone delle zone militari, in rapporto con l’esercito.
Vennero formandosi anche bande di briganti, costituite da ex schiavi fuggiti ed ex liberti, mentre
i villaggi si spopolavano per il peso fiscale.
Quindi, in generale, vi fu un cambiamento della piramide sociale: all’apice restava l’ordo
senatorius ricco e prestigioso, ma senza potere; quindi l’ordo equester, con enorme potere, ma
oppresso, così come i decurioni; i soldati e i loro familiari erano strati sociali relativamente alti,
con potere, buone condizioni economiche e privilegi; infine, c’erano gli humiliores, indistinti.
Questa società vedeva l’esistenza di conflitti sociali, sia tra gli strati superiori, sia tra stati
inferiori e potere. Il nemico comune era lo strato dominante (ordo equester ed esercito).
Tutti avevano motivo di lamentarsi: i senatori per la perdita di potere (tentarono infatti di
insediare propri imperatori); i decurioni per gli aggravi fiscali di cui soffrivano; la plebe per la
mancanza di assistenza.

L’EPOCA TARDO-ROMANA
Aumentò l’importanza dell’agricoltura, come principale fonte di reddito.
Nel frattempo, si svolsero le invasioni barbariche di Unni (375 d.C.) e Goti (378 d.C.) che portarono
la distruzione di molte città e un crollo di artigianato e commercio.
I rapporti tra campagna e città non si basavano più sulla forza dei centri urbani di produzione.
Cresceva invece l’importanza delle proprietà terriere, che rinunciarono a commerciare prodotti
artigianali per il fabbisogno, preferendo produrli da sé. Così, quello dei proprietari terrieri divenne
lo strato sociale più importante.
Nel 395 d.C. avvenne la bipartizione dell’impero: nella parte orientale le condizioni sociali erano
più favorevoli, anche per la minore pressione barbarica; nella parte occidentale (che crollerà nel V
sec. d.C.) c’era la pressione barbarica e si vennero formando stati territoriali germanici (Spagna,
Africa, Gallia).
Nel 476 d.C. Romolo Augustolo fu deposto da Odoacre. Era la fine dell’Impero Romano
d’Occidente.
La società
Un editto di Giuliano (361-363 d.C.) stabilì la confisca delle proprietà in luogo della pena di morte,
se si nascondeva il patrimonio di un criminale. Questa decisione dimostra l’importanza che aveva
allora la proprietà.
L’ordo equester cessò di esistere, assorbito in parte dall’ordo senatorius (che aveva perso il potere,
ma restava per prestigio e ricchezza) e in parte dall’ordo decurionum. I decurioni, da quel momento,
vennero detti curiales, perché componenti dei consigli cittadini (curiae).
Nell’ordo senatorius si crearono delle differenze, date dalle proprietà terriere e dal valore delle
cariche. Esistevano perciò gli illustres, gli spectabiles e i clarissimi.
I curiales avevano la funzione di amministratori per lo Stato, erano proprietari terrieri, godevano di
privilegi, ma avevano anche i già ricordati obblighi contributivi.
Negli strati inferiori, la schiavitù era ormai poco importante, ma sussistevano forme di lavoro
forzato. La schiavitù naturalmente continuava ad esistere (c’erano i vernae, le esposizioni di
bambini, gli indebitamenti di persone e le catture di barbari), ma era sempre più simile alla
situazione dei liberi, soprattutto ai coloni legati alla terra, come servi della gleba, che potevano
essere venduti insieme alla proprietà.
La plebs rustica, che viveva fuori dai centri, doveva pagare l’annona, tasse agrarie; la plebs urbana
subiva una tassa sul patrimonio e aveva l’obbligo delle prestazioni lavorative. Insomma, rispetto a
prima, queste due categorie della plebe erano più simili, soprattutto per quel che riguarda gli oneri e
la miseria.
Molte furono le rivolte, risoltesi però più che in rivoluzioni sociali, in fughe, carestie e povertà.
Il nemico era lo Stato, anche per i proprietari terrieri, che offrivano agli strati inferiori protezione
sotto forma di patrocinium. Si preferivano perfino i barbari, allo Stato, se ne favoriva
l’insediamento, anche nell’esercito, e si distribuivano loro terra e beni.
La divisione formale tra oriente e occidente si compì alla morte di Teodosio (379-375). Dei figli,
Arcadio (395-408) ebbe l’Oriente e Onorio (395-423). Essi furono affiancati dal turore Stilicone,
come segno dell’aspirazione al mantenimento di una unità sostanziale. Ma Oriente e Occidente
ebbero comunque diverse strutture di governo e diversi orientamenti politici e da allora i due imperi
furono separati.
La crisi dell’impero era ormai palese e colpì soprattutto le grandi metropoli che, dopo le
distribuzioni di grano, cessate di colpo, si svuotarono. Ma anche i centri medi e minori registrarono
un calo demografico (crisi econimica, carestie, malattie, fuga di abitanti). Si moltiplicarono gli editti
che obbligavano i coltivatori a non abbandonare i campi e ne conseguirono rivolte e ribellioni,
richieste di aiuto perfino ai barbari invasori considerati liberatori, ma più spesso ai proprietari
fondiari. Le grandi proprietà erano infatti meno colpite, perché godevano di più capitali e
manodopera, in grado di resistere alla crisi economica. I grandi proprietari ampliarono così i loro
possedimenti, occupando o acquistando le proprietà minori.
Si creò insomma una divaricazione marcata tra
proprietari di latifondi (ricchezza, influenza locale). I loro possedimenti, muniti di fortificazioni e
difesi da guardie, diventano luoghi di rifugio
poveri (ora anche cittadini e contadini)

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  • 1. LA CRISI DELL’IMPERO ROMANO Gli elementi di questa crisi furono: 1) instabilità dell’ordinamento di Roma 2) trasformazione accelerata delle strutture alla base di questo ordinamento 3) riconoscimento, da parte degli uomini dell’epoca, che la loro età fosse contrassegnata da precarietà e cambiamento Dopo Gallieno si assisterà a una stabilizzazione, sulla base di nuovi fondamenti. In realtà, non tutti gli studiosi sono concordi sulla crisi: alcuni affermano che l’Italia andò progressivamente in rovina e appariva in condizioni di sfascio già nell’età degli Antonini (III d.C.); altri affermano invece che l’Italia non dimostrò una crisi in campo agricolo fino all’inizio del III sec. a.C. Non si deve quindi parlare di crisi, bensì di trasformazione economica, per i primi due secoli del principato. Inoltre, vi erano differenze notevole tra le regioni: in Italia centrale c’era una situazione di maggior benessere, ora in declino; nella Cisalpina, divenuta Provincia solo nel I sec. a.C. e quindi Italia a pieno dirittto, entrò in crisi solo dopo i Severi (II-III d.C.) Ora, la crisi divenne totale, a causa delle invasioni barbariche. In politica interna, la rivendicazione del potere da parte degli imperatori era all’estremo, ma il loro potere era molto labile. Gli imperatori salivano al trono con violenza, tramite rivolte militari o guerre civili, per poi decadere allo stesso modo. Economia Alla fine del III sec. d.C., quando la documentazione torna abbondante (dagli Antonini in poi era stata scarsa), vediamo che in Italia si era formato un nuovo sistema agrario. Tra il I e il II sec. d.C. si ebbe un calo delle esportazioni (il vino restò a livello regionale, importante per l’economia italica, per far fronte alle città) e un aumento delle importazioni provinciali. Il compito primario del sistema agrario italico era la sussistenza, non l’esportazione. Affittando ai coloni, era cambiata la mentalità: il fondo che produceva per l’esportazione era la grande villa, con vilicus e schiavi, fonte di grossi guadagni; ora le proprietà erano date in affitto e non rendevano più come prima a causa della carenza di schiavi, dell’alto costo e della concorrenza dei mercati provinciali. Il colono evitava quindi di spendere per le colture vinicole da esportazione, sorpassate, e seminava grano. La crisi vinaria era però solo crisi di settore, non dell’agricoltura in generale, perché il sistema era sempre stato provvedere alle esigenze interne e a questo si riusciva ancora a provvedere. Nel 92 d.C. Domiziano, in un momento di grande produzione vinicola, vietò di piantare nuovi vigneti in Italia e decretò la parziale distruzione dei vigneti nelle Province, lasciandone al massimo la metà. Questo decreto fu revocato in Asia Minore. Sembra fosse un intervento protezionistico, volto a migliorare il problema della concorrenza. Furono intensificate e migliorate le colture, soprattutto cerearicole (costavano meno), per incrementare la quota di prodotti agricoli provenienti dalla penisola. Si diffuse il colonato. Settori economici attualmente in crisi erano: - la produzione artigiana (nel nord-ovest fu la fine della terra sigillata) - il commercio (quasi interrotto) - l’inflazione in aumento Nella società, le posizioni di forza e le condizioni economiche dei privilegiati furono scosse; gli strati bassi erano ormai in situazione disperata (diminuirono le differenze giuridiche, tanto che i liberi erano trattati come schiavi). Caracalla concesse la cittadinanza romana a tutti i cittadini liberi dell’impero, ma questo non era più un privilegio, mirava solo a formare uno strato di humiliores più omogeneo.
  • 2. Le cause delle crisi erano intrinseche nella struttura dell’economia, basata sulle città e sul loro territorio: nei primi due secoli dell’impero erano stati spesi molti soldi per la costruzione di opere pubbliche non redditizie e c’era stata una diminuzione della forza lavoro, a causa della mancanza di schiavi. Inoltre, le invasioni barbariche avevano fatto sì che aumentasse il potere dell’esercito e vi fossero molte perdite tra la popolazione. Sintomo di crisi fu anche l’indebolimento dell’ordine dei decurioni, che avevano goduto di una prosperità economica dovuta solo al boom delle Province. Ora, la grande proprietà terriera minacciava questi medi proprietari, cui mancava anche la forza lavoro (perché i coloni erano legati a grandi fondi). Mutamenti della società L’ordo senatorius non subì cambiamenti nella composizione dell’ordine, sempre caratterizzato dal prestigio, dalla ricchezza data dalle proprietà terriere, oltre che dall’acquisto delle piccole e medie proprietà vittime della crisi. L’ordine perse però il suo potere politico, perché gli imperatori, per tenere unito l’imperium, si affidarono a persone più efficienti e più qualificate. Così, il senato fu escluso dalle decisioni politiche a vantaggio del consilium e della burocrazia imperiale. Le cariche amministrative e i comandi dei senatori furono trasferite ai cavalieri, che avevano maggiore esperienza bellica ed erano più specializzati nell’amministrazione civile. Nel 262 d.C. i comandi militari e i governatorati vennero affidati solo ed esclusivamente ai cavalieri, che non rientravano più nell’ordine senatorio. Ai senatori rimasero poche cariche civili e il governatorato delle Province senza esercito. L’ordo equester divenne lo strato più attivo, militarmente e politicamente. I soldati provenivano dalle Province e così il numero dei provinciali nell’ordine aumentò (soprattutto dalle zone orientali, danubiane e dall’Africa). Si crearono delle differenze sociali tra cavalieri impegnati politicamente e militarmente e quelli ordinari, maggiormente oppressi. L’ordo decurionum conobbe un impoverimento, a causa delle debolezze economiche generali delle città e per le spese finanziarie che dovevano subire a vantaggio dello Stato (se prima erano dei privilegi, ora erano diventati svantaggi sociali). A loro spettavano obbligatoriamente il restauro delle strade, il riscaldamento dei bagni pubblici, l’organizzazione dei giochi e l’avvocatura a favore della comunità. Andarono in crisi le loro proprietà terriere, l’artigianato e il commercio e i membri finirono per ritirarsi dalla città alle ville. Inoltre, chi aveva le ricchezze minime per accedere all’ordine dei decurioni era obbligato forzatamente a farlo. I militari divennero un gruppo sociale omogeneo, associati in collegia e con culti comuni. Avevano influenze politiche, prestigio, una posizione economica e privilegi come l’anello d’oro dei cavalieri e la possibilità di sposarsi invece di poter solo convivere, come avveniva prima. Dal momento che si trattava di potenziali cavalieri, si comprava la loro fedeltà con questi privilegi e anche tramite la possibilità offerta di accedere ai bottini, di avere una paga annua e un congedo, di essere vestiti e nutriti a spese dello Stato. Anche lo strato inferiore era notevolmente omogeneo. La condizione migliore la vivevano le persone delle zone militari, in rapporto con l’esercito. Vennero formandosi anche bande di briganti, costituite da ex schiavi fuggiti ed ex liberti, mentre i villaggi si spopolavano per il peso fiscale.
  • 3. Quindi, in generale, vi fu un cambiamento della piramide sociale: all’apice restava l’ordo senatorius ricco e prestigioso, ma senza potere; quindi l’ordo equester, con enorme potere, ma oppresso, così come i decurioni; i soldati e i loro familiari erano strati sociali relativamente alti, con potere, buone condizioni economiche e privilegi; infine, c’erano gli humiliores, indistinti. Questa società vedeva l’esistenza di conflitti sociali, sia tra gli strati superiori, sia tra stati inferiori e potere. Il nemico comune era lo strato dominante (ordo equester ed esercito). Tutti avevano motivo di lamentarsi: i senatori per la perdita di potere (tentarono infatti di insediare propri imperatori); i decurioni per gli aggravi fiscali di cui soffrivano; la plebe per la mancanza di assistenza. L’EPOCA TARDO-ROMANA Aumentò l’importanza dell’agricoltura, come principale fonte di reddito. Nel frattempo, si svolsero le invasioni barbariche di Unni (375 d.C.) e Goti (378 d.C.) che portarono la distruzione di molte città e un crollo di artigianato e commercio. I rapporti tra campagna e città non si basavano più sulla forza dei centri urbani di produzione. Cresceva invece l’importanza delle proprietà terriere, che rinunciarono a commerciare prodotti artigianali per il fabbisogno, preferendo produrli da sé. Così, quello dei proprietari terrieri divenne lo strato sociale più importante. Nel 395 d.C. avvenne la bipartizione dell’impero: nella parte orientale le condizioni sociali erano più favorevoli, anche per la minore pressione barbarica; nella parte occidentale (che crollerà nel V sec. d.C.) c’era la pressione barbarica e si vennero formando stati territoriali germanici (Spagna, Africa, Gallia). Nel 476 d.C. Romolo Augustolo fu deposto da Odoacre. Era la fine dell’Impero Romano d’Occidente. La società Un editto di Giuliano (361-363 d.C.) stabilì la confisca delle proprietà in luogo della pena di morte, se si nascondeva il patrimonio di un criminale. Questa decisione dimostra l’importanza che aveva allora la proprietà. L’ordo equester cessò di esistere, assorbito in parte dall’ordo senatorius (che aveva perso il potere, ma restava per prestigio e ricchezza) e in parte dall’ordo decurionum. I decurioni, da quel momento, vennero detti curiales, perché componenti dei consigli cittadini (curiae). Nell’ordo senatorius si crearono delle differenze, date dalle proprietà terriere e dal valore delle cariche. Esistevano perciò gli illustres, gli spectabiles e i clarissimi. I curiales avevano la funzione di amministratori per lo Stato, erano proprietari terrieri, godevano di privilegi, ma avevano anche i già ricordati obblighi contributivi. Negli strati inferiori, la schiavitù era ormai poco importante, ma sussistevano forme di lavoro forzato. La schiavitù naturalmente continuava ad esistere (c’erano i vernae, le esposizioni di bambini, gli indebitamenti di persone e le catture di barbari), ma era sempre più simile alla situazione dei liberi, soprattutto ai coloni legati alla terra, come servi della gleba, che potevano essere venduti insieme alla proprietà. La plebs rustica, che viveva fuori dai centri, doveva pagare l’annona, tasse agrarie; la plebs urbana subiva una tassa sul patrimonio e aveva l’obbligo delle prestazioni lavorative. Insomma, rispetto a prima, queste due categorie della plebe erano più simili, soprattutto per quel che riguarda gli oneri e la miseria. Molte furono le rivolte, risoltesi però più che in rivoluzioni sociali, in fughe, carestie e povertà. Il nemico era lo Stato, anche per i proprietari terrieri, che offrivano agli strati inferiori protezione sotto forma di patrocinium. Si preferivano perfino i barbari, allo Stato, se ne favoriva
  • 4. l’insediamento, anche nell’esercito, e si distribuivano loro terra e beni. La divisione formale tra oriente e occidente si compì alla morte di Teodosio (379-375). Dei figli, Arcadio (395-408) ebbe l’Oriente e Onorio (395-423). Essi furono affiancati dal turore Stilicone, come segno dell’aspirazione al mantenimento di una unità sostanziale. Ma Oriente e Occidente ebbero comunque diverse strutture di governo e diversi orientamenti politici e da allora i due imperi furono separati. La crisi dell’impero era ormai palese e colpì soprattutto le grandi metropoli che, dopo le distribuzioni di grano, cessate di colpo, si svuotarono. Ma anche i centri medi e minori registrarono un calo demografico (crisi econimica, carestie, malattie, fuga di abitanti). Si moltiplicarono gli editti che obbligavano i coltivatori a non abbandonare i campi e ne conseguirono rivolte e ribellioni, richieste di aiuto perfino ai barbari invasori considerati liberatori, ma più spesso ai proprietari fondiari. Le grandi proprietà erano infatti meno colpite, perché godevano di più capitali e manodopera, in grado di resistere alla crisi economica. I grandi proprietari ampliarono così i loro possedimenti, occupando o acquistando le proprietà minori. Si creò insomma una divaricazione marcata tra proprietari di latifondi (ricchezza, influenza locale). I loro possedimenti, muniti di fortificazioni e difesi da guardie, diventano luoghi di rifugio poveri (ora anche cittadini e contadini)