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I
DIPARTIMENTI
OSPEDALIERI
La storia, i modelli
regionali, i regolamenti
Prima pubblicazione 2000
welfare ebook n. 9/2023
Franco Pesaresi
1
2
FRANCO PESARESI
I DIPARTIMENTI OSPEDALIERI
La storia, i modelli regionali, i regolamenti.
Con un contributo di Riccardo Baci
2000
3
I DIPARTIMENTI OSPEDALIERI.
INDICE
pagina
Prefazione all’edizione digitale del 2023 8
Introduzione. 9
Parte 1: L’organizzazione dipartimentale nella pubblica
amministrazione. 12
1. Cenni sull'organizzazione dipartimentale nella pubblica am-
ministrazione. 12
1.1 I dipartimenti nell’ordinamento regionale 12
1.2 Il dipartimento nell’Università 13
1.3 La Presidenza del Consiglio dei Ministri 15
1.4 I Ministeri 16
1.5 Conclusioni 17
Bibliografia 17
Parte 2: Storia ed attualità dei dipartimenti ospedalieri. 19
2. Dalla Legge Mariotti alla riforma sanitaria
del 1978. 19
di Riccardo Baci
2.1 La riforma ospedaliera del 1968 19
2.1.1 Per la prima volta il legislatore parla
di dipartimento 21
2.2 Le trasformazioni del sistema sanitario:
la complessità quale fattore
critico da fronteggiare 26
2.3 Il dipartimento: strumento ideale per rispondere
4
alla complessità 28
2.3.1 Il dibattito dei primi anni ’70 alimenta l’entusiasmo29
2.3.2 Alcune interessanti esperienze dipartimentali 38
2.3.3 Un’indagine del 1973 segnala il fallimento
di ogni iniziativa 42
2.4 Le cause che hanno ostacolato la nascita dei
dipartimenti 50
2.5 Gli interventi legislativi della metà degli anni ’70 53
2.5.1 La legge 148 del 1975 54
2.5.2 Il DM 8 novembre del ’76 56
2.5.3 Valutazioni dottrinali 61
2.5.4 L’istituzione del dipartimento psichiatrico 66
3. I dipartimenti nella L. 833/1978 67
di Riccardo Baci
3.1.Le novità introdotte dalle legge 833 del ’78. 67
3.2. I dipartimenti nella legge 833 70
3.3. Precettività dell’articolo 17: alcune
valutazioni dottrinali 71
3.3.1. Il modello dipartimentale nelle strutture sanitarie
diverse dai nosocomi 75
3.4 Dipartimenti e modello divisionale 77
3.5 Le normative regionali degli anni ’80 in materia
Dipartimentale 81
3.6 Le ambiguità legislative producono un fallimento
inaspettato 89
3.7. Un’indagine conferma l’immobilismo dei nosocomi. 92
4. Dalle riforma del 1978 ai decreti degli anni ’90. 96
di Franco Pesaresi e Riccardo Baci
4.1 Gli interventi legislativi degli anni ’80 96
4.2 La legislazione dei primi anni ’90 99
4.2.1 Le novità della riforma del ’92 100
4.2.2 I caratteri dei dipartimenti nei
Decreti 502/92 e 517/93 102
4.3. Gli ostacoli alla dipartimentazione negli anni ’80 e
5
nei primi anni ’90 104
4.4. Gli interventi normativi più recenti 110
4.5. Il D. Lgs. 229/1999 114
Appendice (estratto del D. Lgs. 229/1999) 118
5. Cenni sull’organizzazione dipartimentale all’estero 124
5.1 I dipartimenti all’estero 124
5.2 I dipartimenti in Francia 125
5.3 I dipartimenti in Inghilterra 129
6. L'organizzazione dipartimentale oggi 135
6.1 Dipartimento strutturale e dipartimento funzionale 135
6.2 Tipologia di dipartimento 136
6.3 Il nuovo ordinamento ospedaliero: le unità operative 140
6.3.1 Il modulo 141
6.4 I vantaggi prodotti dai dipartimenti 142
6.5 Difficoltà 145
6.6 Il dipartimento e le nuove tecniche di gestione 146
Parte 3: La legislazione regionale sui dipartimenti
ospedalieri. 157
7. I dipartimenti ospedalieri nelle regioni italiane. 158
7.1. I modelli di dipartimento 158
7.2. La definizione 161
7.3. Le finalità del dipartimento 164
7.4. La classificazione dei dipartimenti 167
7.5. L’aggregazione delle unità operative 169
8.5.1. Il dipartimento strutturale e il dipartimento
funzionale 169
8.5.2. Criteri per l’aggregazione 170
7.5.3. Le procedure per l’individuazione dei
dipartimenti 175
6
7.5.4. Particolarità di alcuni dipartimenti 177
7.5.5. I dipartimenti transmurali 179
7.5.6. I dipartimenti misti 181
7.6. Organizzazione ed integrazione dipartimentale 186
7.6.1. L’organizzazione interna del dipartimento 186
7.6.2. Le risorse del dipartimento: uso ed
assegnazione 192
7.6.3. Budget di dipartimento e sistemi
gestionali aziendali 195
7.6.4. La gestione del personale infermieristico
e tecnico 197
7.6.5. Formazione e aggiornamento 199
7.7. Gli incentivi alla dipartimentalizzazione 199
7.8. Responsabilità e autonomia decisionale 200
7.8.1. I livelli decisionali del dipartimento 201
7.8.2. Le attribuzioni dei livelli decisionali
del dipartimento 209
7.8.3. I rapporti fra il dipartimento e gli
altri livelli di direzione 218
7.9. I dipartimenti interaziendali 220
7.9. I risultati dell'assistenza ospedaliera 224
7.9. Sperimentazione e gradualità 225
Conclusioni 226
Bibliografia 227
Riferimento normativi nazionali 228
Riferimenti normativi regionali 229
7
Documentazione: Regolamenti aziendali dei dipartimenti ospeda-
lieri. Pag. 234
1. Azienda Ospedaliera "Niguarda Ca' Granda" di Milano - Regione
Lombardia: " Regolamento tipo del dipartimento".
2. Azienda Ospedaliera "San Salvatore" di Pesaro - Regione Mar-
che: " Regolamento generale del dipartimento" e "Regolamento
del Comitato di dipartimento".
3. Azienda U.S.L. Città di Bologna - Regione Emilia Romagna: "
Regolamento specifico del dipartimento materno-infantile ospe-
daliero".
4. Azienda U.S.L. 9 di Ivrea - Regione Piemonte: "Regolamento sul
funzionamento e le attribuzioni del dipartimento" e " Regolamen-
to del dipartimento di salute mentale".
5. Azienda U.S.L. 2 "Isontina" - Regione Friuli - Venezia Giulia:
"Linee guida per la regolamentazione dei dipartimenti ospedalieri
verticali e orizzontali".
6. Azienda U.S.L. Pisa - Regione Toscana: estratto del " Regola-
mento generale della Azienda".
7. Azienda U.S.L. Rimini - Regione Emilia Romagna: " Regola-
mento di funzionamento del dipartimento immunotrasfusionale
interaziendale delle UU.SS.LL. di Cesena, Forlì e Rimini".
8. Regione Marche: "Regolamento del dipartimento regionale di
medicina fisica e riabilitazione".
Bibliografia generale pag. 329
L’autore pag. 345
8
Prefazione all’edizione digitale del 2023
Ho pubblicato questo libro sui Dipartimenti ospedalieri nel
2000 ed è stato il primo libro che ho curato interamente.
Prima avevo scritto dei capitoli in cinque libri diversi ma
non avevo mai curato un intero libro.
Ha contribuito al libro anche il dott. Riccardo Baci che ha
scritto due capitoli sulla storia dei dipartimenti ospedalieri.
Perché ripubblico in formato ebook questo libro?
Per tre ragioni.
Credevo che fosse un libro perduto ma poi ho ritrovato i fi-
le word del libro. Manca solo un capitolo sul budget nelle
organizzazioni dipartimentali che non ho ritrovato e che è
stato scritto a suo tempo dalla dr.ssa Sonia Piercamilli.
Peccato!
Il libro venne pubblicato da un editore romano che non c’è
più per cui non c’è più la possibilità di procurarsi questo li-
bro.
Infine, ed ecco la ragione più importante, il ritrovamento
dei file in word mi ha fatto venire voglia di sfogliare il li-
bro cartaceo e mi sono accorto che le cose scritte 23 anni fa
sono ancora in gran parte valide ed attuali.
Per cui ho ritenuto che possa essere ancora utile rendere di-
sponibile questo materiale.
23 aprile 2023. Franco Pesaresi
9
Introduzione.
L’idea del dipartimento ospedaliero è nata come risposta alla inade-
guatezza dell’organizzazione ospedaliera basata sulla creazione, ma
in qualche caso anche proliferazione, di unità operative e di servizi
diagnostici che fanno capo a singole discipline mediche, spesso non
dialoganti fra di loro. Lo sviluppo storico dell’organizzazione tradi-
zionale ha prodotto così la necessità di una organizzazione più flessi-
bile, meno costosa e fondata sul concetto della integrazione. Necessi-
tà queste importanti nella struttura sanitaria che ha l’obiettivo della
tutela sanitaria dell’individuo che per essere efficace ha bisogno di
un intervento organico, integrato e spesso multidisciplinare. Da que-
sto punto di vista il dipartimento rappresenta sicuramente uno degli
strumenti più idonei per un approccio integrato al malato e per il su-
peramento delle rigidità tipiche di un assetto organizzativo del lavoro
basato sulla gerarchia e sulla divisione delle competenze per materia.
Le prime norme sul dipartimento sono state introdotte circa 30 anni
fa (art.10 del D.P.R. 128/1969) ma solo negli ultimi 5 anni la discus-
sione e l’impegno per la loro realizzazione hanno subìto una forte ac-
celerazione. Dopo un accenno ai modelli dipartimentali (1° parte)
utilizzati nella pubblica amministrazione, la 2° parte del volume si
occupa proprio di ricostruire l’evoluzione normativa e la storia dei
dipartimenti ospedalieri in Italia e attraverso queste pervenire ad una
definizione concettuale del dipartimento stesso.
In questi ultimi anni molte cose sono cambiate. Infatti, mentre
all’inizio le norme prevedevano una sorta di “promozione” del mo-
dello dipartimentale oggi precise disposizioni fanno sì che
l’organizzazione in dipartimenti degli ospedali sia divenuta un obbli-
go per cui, tutte le regioni italiane, si stanno misurando con i proble-
mi posti da questo modello organizzativo.
Proprio per questo la discussione di oggi è assai diversa da quella del
passato che si basava su interessanti contributi della letteratura. Oggi,
quasi tutte le regioni hanno approvato un loro schema organizzativo
dei dipartimenti per cui possiamo discutere di modelli reali scelti
dalle istituzioni regionali. Ecco perché la 3° parte del volume si oc-
10
cupa dettagliatamente delle norme e degli schemi organizzativi ef-
fettivamente adottati dalle singole regioni a cui peraltro spetta la spe-
cifica competenza.
Il volume si chiude con quello che vorrebbe essere uno strumento di
lavoro e cioè la pubblicazione di alcuni regolamenti aziendali relati-
vi ai dipartimenti. I lettori, soprattutto gli operatori interessati, attra-
verso la lettura di questi documenti potranno realizzare quel con-
fronto con le proprie esperienze, sempre fertile e produttivo.
La speranza è quella di aver fornito un contributo utile per la com-
prensione del dipartimento ed anche qualche argomento che possa
aiutare il dipartimento ospedaliero a diffondersi e a svilupparsi con il
consenso degli operatori.
11
Parte 1
L’organizzazione dipartimentale
nella pubblica amministrazione.
12
1. Cenni sull’organizzazione dipartimentale nel-
la pubblica amministrazione.
SOMMARIO: 1.1 I dipartimenti nell'ordinamento regionale - 1.2
Il dipartimento nell'Università - 1.3 La Presidenza del Consiglio
dei Ministri - 1.4 I Ministeri - 1.5 Conclusioni - Bibliografia.
Il termine “dipartimento” deriva dal lessico giuridico inglese (“de-
partment”) dove significa sostanzialmente ministero. In Italia il ter-
mine è stato utilizzato per l’organizzazione di diversi settori della
pubblica amministrazione e non sempre con l’identico significato: la
Presidenza del Consiglio dei Ministri, i Ministeri, l’Università, le
Regioni e le aziende sanitarie.
1.1. I dipartimenti nell’ordinamento regionale.
I primi enti pubblici ad introdurre una terminologia ed una organiz-
zazione dipartimentale nella propria struttura sono state probabil-
mente le regioni a proposito della propria organizzazione interna.
Diverse regioni hanno infatti previsto la creazione dei dipartimenti
intesi come la risultante del raggruppamento di settori diversi della
organizzazione regionale protesi al perseguimento di obiettivi
omogenei. La regione Liguria, infatti, sin dal 1978 (L.R. 27/1978,
art.18 c.2), stabiliva che “I dipartimenti costituiscono l’aggregazione
orizzontale dei settori che hanno tra di loro carattere di complemen-
tarietà ed interdipendenza in relazione agli obiettivi della Regione
nelle vaste aree di attività e alla natura funzionale ed operativa dei
settori stessi”. Allo stesso modo la regione Abruzzo, nel 1980 (L.R.
11/1980 art.35), affermava che i dipartimenti erano la riunione dei
settori della Giunta regionale che perseguono obiettivi comuni. Essi
sono “costituiti dai componenti della Giunta regionale preposti ai set-
tori omogenei anzidetti ed, in tale composizione, si collocano nella
struttura operativa della stessa Giunta regionale, quali collegi deputa-
ti ad esercitare funzioni di sovrintendenza e di coordinamento
13
sull’apparato amministrativo risultante dalla concentrazione dei cen-
nati settori.” Sintetizzando possiamo dire che i dipartimenti regionali
si configurano come strutture costituite dal raggruppamento di settori
omogenei di funzioni del governo regionale caratterizzati dal conno-
tato della complementarietà e interdipendenza che perseguono, coor-
dinando gli interventi, gli obiettivi della regione.
1.2. Il dipartimento nell’Università.
Dopo le regioni è stata l’Università a prevedere una organizzazione
dipartimentale con la L.28/1980 e soprattutto, dettagliatamente, con
il D.P.R. 11 luglio 1980, n. 382 (artt. 83-86). I dipartimenti universi-
tari vengono presentati come sperimentazioni che le Università pos-
sono avviare intendendoli come aggregazioni di uno o più settori di
ricerca omogenei per fini o per metodo e dei relativi insegnamenti
che promuovono e coordinano le attività di ricerca nelle università,
ferma restando l’autonomia di ogni singolo docente ricercatore. I set-
tori di ricerca e i relativi insegnamenti possono essere afferenti a più
facoltà o a più corsi di laurea della stessa facoltà. Sono dunque i di-
partimenti che organizzano le strutture per la ricerca e ad essi ven-
gono affidati, di norma, i programmi di ricerca che si svolgono
nell’ambito dell’Università. In sostanza il dipartimento promuove e
coordina l’attività di ricerca, organizza e concorre all’organizzazione
dei corsi per il conseguimento del dottorato di ricerca, concorre, con i
consigli di corso, con gli organi direttivi delle scuole di specializza-
zione alla relativa attività didattica.
Il dipartimento universitario ha i suoi organi che sono il direttore, il
consiglio e la giunta con attribuzioni assai rilevanti nel campo della
definizione dei programmi della ricerca e della gestione dei fondi
della ricerca tanto che lo stesso dipartimento ha “autonomia finanzia-
ria ed amministrativa e dispone di personale tecnico ed amministra-
tivo per il suo funzionamento” (D.P.R. 382/80 art. 86).
Il direttore del dipartimento è eletto tra i professori dagli stessi, dai
ricercatori e dagli associati, per tre anni rinnovabili. La Giunta è
composta da almeno tre professori ordinari, tre professori associati,
due ricercatori, il direttore e da un segretario amministrativo con voto
consultivo, eletti dalle singole componenti. La Giunta ha il compito
di coadiuvare il Direttore nell’esercizio delle proprie funzioni.
14
Spetta al direttore presiedere il Consiglio, avere la rappresentanza
del dipartimento, curare l’esecuzione delle decisioni, vigilare
nell’ambito del dipartimento per l’osservanza delle leggi, dello statu-
to e dei regolamenti e tenere i rapporti con gli organi accademici.
Inoltre, il direttore coadiuvato dalla Giunta esercita le seguenti attri-
buzioni:
1. Predispone annualmente le richieste di finanziamenti e
dell’assegnazione di personale non docente per la realizza-
zione dei programmi di ricerca;
2. Propone il piano annuale delle ricerche del dipartimento e la
eventuale organizzazione dei centri di studio;
3. Predispone annualmente una relazione sui risultati della spe-
rimentazione;
4. Mette a disposizione del personale docente i mezzi e le at-
trezzature necessarie per la preparazione dei dottorati di ri-
cerca;
5. Ordina strumenti, lavori, materiale anche bibliografico e
quanto altro serve per il buon funzionamento del diparti-
mento.
Il Consiglio di dipartimento è composto dai professori, dagli assi-
stenti del ruolo ad esaurimento, dai ricercatori, da una rappresentanza
del personale non docente e dagli studenti iscritti al dottorato di ri-
cerca a cui è possibile aggiungere una rappresentanza elettiva degli
studenti. Il Consiglio di dipartimento esercita invece le seguenti at-
tribuzioni:
1. Detta i criteri generali per la utilizzazione dei fondi assegna-
ti al dipartimento per le sue attività di ricerca e per l’uso
coordinato del personale, dei mezzi e degli strumenti in do-
tazione;
2. Approva le proposte formulate dal direttore coadiuvato dalla
Giunta;
3. Approva i singoli piani di studio e di ricerca per il conse-
guimento del dottorato di ricerca;
4. Dà pareri in ordine alle chiamate dei professori;
5. Collabora con gli organi di governo dell’Università;
6. Approva i bilanci preventivi e consuntivi del dipartimento.
In sostanza il dipartimento universitario ha una forte caratterizzazio-
ne contraddistinta dalla autonomia finanziaria ed amministrativa
15
ma ha un campo di azione sostanzialmente limitato occupandosi so-
lo di ricerca.
L’introduzione del dipartimento nell’Università ha eliminato la mol-
tiplicazione di microstrutture specializzate (gli istituti universitari)
che producevano sperpero di risorse e difficoltà di coordinamento per
la frammentazione e la duplicazione delle strutture. La creazione dei
dipartimenti e il contemporaneo assorbimento degli istituti ha per-
messo una ripartizione delle competenze per materia meno settoriale
finalizzata alla promozione, al potenziamento e al coordinamento
della ricerca scientifica.
1.3. La Presidenza del Consiglio dei Ministri.
L’organizzazione dipartimentale è stata introdotta nella Presidenza
del Consiglio dei Ministri con L. n.400/1988 al fine di perseguire l'u-
niformità di indirizzo amministrativo in settori ove sussistevano unità
operative di tipo diverso. La riforma si rese necessaria per riordinare
una struttura di grandi dimensioni formata dai più svariati uffici rag-
gruppati in ripartizioni e servizi, ma che mancavano sia della fase
della verifica del lavoro svolto sia della disponibilità di risorse.
All’interno della Presidenza del Consiglio troviamo due diverse tipo-
logie di dipartimenti:
 Dipartimenti a disposizione delle competenze costituzionali del
Presidente del Consiglio;
 Dipartimenti dipendenti dai Ministri senza portafoglio (Diparti-
mento per la Funzione Pubblica, 1983/1984; Dipartimento per i
rapporti con il Parlamento, 1990; Dipartimento delle politiche
comunitarie, 1990; Dipartimento della Protezione Civile, 1992;
ecc.). Hanno una struttura organizzativa rigida simile a quella di
un Ministero e si caratterizzano per gli ampi poteri di coordina-
mento e di programmazione.
Dal punto di vista dell’organizzazione amministrativa il dipartimen-
to, secondo la L.400/1988 (art.21), sembrerebbe connaturarsi come
una pluralità di uffici con competenza ed organizzazione omogenea a
cui siano state affidate delle funzioni.
16
1.4. I Ministeri.
Nei primi anni novanta, la parola dipartimento è stata utilizzata per
alcuni ministeri come il Ministero dell'Industria , commercio e arti-
gianato, per diversificare le funzioni all'interno del Ministero stesso.
Infatti con L.537/1993 è stata introdotta una netta distinzione tra le
Direzioni Generali, preposte a compiti di amministrazione attiva, e i
dipartimenti aventi, invece, funzioni di supporto, di servizio, di ri-
cerca e di studio.
Successivamente con la Riforma dell’organizzazione del Governo
(L. 30 luglio 1999, n.300) la dipartimentalizzazione è diventata una
modalità organizzativa ampiamente utilizzata ed anche definita. In-
fatti i dipartimenti diventano le strutture di primo livello di 9 ministe-
ri mentre in altri tre (Affari esteri, Difesa, Beni ed attività culturali)
continuano a rimanere le divisioni generali le strutture di riferimento
di primo livello. La legge non dà una definizione compiuta del dipar-
timento ministeriale ma ne definisce i compiti e le attribuzioni. Si di-
ce infatti che sono costituiti per assicurare l’esercizio organico ed in-
tegrato delle funzioni. A questo proposito ad essi sono attribuiti
compiti finali concernenti grandi aree di materie omogenee e i relati-
vi compiti strumentali, ivi compresi quelli di indirizzo e coordina-
mento delle unità di gestione in cui si articolano i dipartimenti stessi,
quelli di organizzazione e quelli di gestione delle risorse strumentali,
finanziarie ed umane ad essi attribuite. Il dipartimento è diretto dal
capo del dipartimento da cui dipendono funzionalmente gli uffici di
livello dirigenziale generale compresi nel dipartimento stesso. Il capo
del dipartimento svolge compiti di coordinamento, direzione e con-
trollo degli uffici di livello dirigenziale generale compresi nel dipar-
timento stesso, al fine di assicurare la continuità delle funzioni
dell’amministrazione ed è responsabile dei risultati complessivamen-
te raggiunti dagli uffici da esso dipendenti, in attuazione degli indi-
rizzi del ministro.
1.5. Conclusioni.
La funzione che lega le varie esperienze dipartimentali esaminate è
senz’altro quella del “coordinamento” di uffici diversi che operano in
settori spesso complementari e/od interdipendenti e che perseguono
finalità predefinite di pubblico interesse.
17
“La funzione del coordinamento si esplica in molteplici istituti o fi-
gure: da quelli che appaiono espressivi di poteri di alta direzione, di
indirizzo e controllo all’interno delle strutture di governo, agli altri
diretti ad assicurare la partecipazione di una volontà coordinatrice al
processo di formazione degli atti. E’ evidente che l’autorità cui sono
affidati poteri di coordinamento occupa spesso una posizione di ver-
tice nell’ordinamento delle funzioni amministrative e per questo è
chiamata a svolgere un ruolo, secondo i casi, di alta direzione o di
vigilanza, ovvero di controllo sull’esercizio delle attività amministra-
tive (Oneto, 1996).
Nell'esercizio del coordinamento una particolare sottolineatura spes-
so viene posta all'esigenza di garantire l'uniformità dell'indirizzo
amministrativo delle unità operative coinvolte.
BIBLIOGRAFIA.
 D. Lgs. 23 luglio 1999, n.300 concernente: “Riforma
dell’organizzazione del Governo, a norma dell’articolo 11 della
L. 15 marzo 1997, n.59”.
 D.P.R. 11 luglio 1980, n.382 concernente: “Riordinamento della
docenza universitaria, relativa fascia di formazione nonché spe-
rimentazione organizzativa e didattica”.
 L. 23 agosto 1988, n.400 concernente : “Disciplina dell’attualità
di Governo e ordinamento della Presidenza del Consiglio dei Mi-
nistri”.
 Oneto A., Cilione G., Gori M.C., Guglielmi A., Mazza M., Maz-
zantini G., Mimmo A.R., Zanoli C., L’organizzazione diparti-
mentale nel processo di riordino della sanità pubblica, Universi-
tà di Bologna- SPISA, 1995-96.
18
Parte 2
Storia e attualità dei
dipartimenti ospedalieri
19
CAPITOLO 2
DALLA LEGGE MARIOTTI ALLA RIFOR-
MA SANITARIA DEL 1978.
di Riccardo Baci
SOMMARIO: 2.1 La riforma ospedaliera del 1968 – 2.1.1 Per la
prima volta il legislatore parla di dipartimento – 2.2 Le trasfor-
mazioni del sistema sanitario: la complessità quale fattore critico
da fronteggiare – 2.3 Il dipartimento: strumento ideale per ri-
spondere alla complessità – 2.3.1 Il dibattito dei primi anni ’70
alimenta l’entusiasmo – 2.3.2 Alcune interessanti esperienze di-
partimentali – 2.3.3 Un’indagine del 1973 segnala il fallimento di
ogni iniziativa – 2.4 Le cause che hanno ostacolato la nascita dei
dipartimenti – 2.5 Gli interventi legislativi della metà degli anni
’70 – 2.5.1 La legge 148 del 1975 – 2.5.2 Il D.M. 8 novembre del
1976 – 2.5.3 Valutazioni dottrinali – 2.5.4 L’istituzione del dipar-
timento psichiatrico
2.1 – LA RIFORMA OSPEDALIERA DEL 1968.
Durante la metà degli anni ’60, consapevoli delle disuguaglianze ter-
ritoriali e sociali generate dal modello di organizzazione sanitaria e
previdenziale basato sull'attività delle mutue, si sviluppò un profondo
dibattito politico in merito alla opportunità di valutare i problemi sa-
nitari in termini universalistici nella convinzione della necessità di
considerare i temi della sanità e dei servizi sociali come fonte di be-
nessere collettivo e primaria esigenza della popolazione al punto da
richiedere un maggior interessamento della programmazione econo-
mica e dell'impegno finanziario pubblici.
La netta opposizione dei centri di potere ad una riforma in tale sen-
so, convinse allora la classe politica a rinviare il varo di una normati-
20
va così impegnativa nella sua fase di realizzazione a data da destinar-
si e portò il parlamento ad occuparsi della riforma ospedaliera, cer-
tamente più semplice da attuare.
D'altra parte era a tutti evidente che la struttura organizzativa degli
ospedali italiani non era assolutamente in grado di fronteggiare la
maggiore complessità operativa derivante dallo sviluppo della medi-
cina specialistica e soprattutto della tecnologia. Le strutture ospeda-
liere erano gestite come fossero degli enti di beneficenza e non era
raro imbattersi in serie difficoltà di funzionamento che compromet-
tevano la loro stessa missione. Come se non bastasse si poteva assi-
stere ad una forte differenziazione territoriale nella stessa disponibili-
tà di strutture e operatori che in un paese moderno non potevano es-
sere più tollerati (Vicarelli, 1997).
Si arrivò così alla riforma ospedaliera con la Legge n° 132 del 12
febbraio ’68. L'ospedale fu costituito come ente dotato di personalità
giuridica, caratterizzato da autonomia gestionale e patrimoniale,
strettamente legato al territorio in cui operava (si ricordi che i com-
ponenti del consiglio di amministrazione erano eletti prevalentemen-
te dagli enti pubblici territoriali). Ai cittadini fu dato un punto di ri-
ferimento a cui potersi rivolgere in caso di necessità uniformemente
disponibile nel territorio nazionale.
La nuova struttura organizzativa sarebbe stata governata da un consi-
glio di amministrazione che, data la collegialità, avrebbe dovuto ga-
rantire il rispetto dei principi democratici nella gestione degli ospeda-
li. Il Parlamento con la 132 del ’68 affidò al Governo anche la dele-
ga per emanare delle leggi che disciplinassero in modo più ampio i
servizi ospedalieri. Tra queste ci interessa in particolare ricordare il
DPR n° 128 del 27 marzo 1969 relativo all’ordinamento interno dei
servizi ospedalieri che, individuati i servizi fondamentali su cui si ba-
sava l'attività degli ospedali, si soffermava su alcune raccomandazio-
ni squisitamente organizzative che tra poco avremo modo di analiz-
zare.
Le novità della normativa furono molte, soprattutto dal punto di vi-
sta organizzativo, ma nonostante questo la 132 del ’68 non riuscì
comunque a farsi promotrice del cambiamento auspicato e dell'effi-
cienza operativa ricercata, pur restando un punto di riferimento nel
panorama giuridico sanitario per molti anni sino ad arrivare ai giorni
nostri. Per molti versi anzi essa avviò quel processo di burocratizza-
21
zione che, radicato nella mente degli operatori del settore, rappresen-
ta il principale ostacolo al cambiamento culturale promosso recente-
mente (Zanetta, 1997).
2.1.1 – Per la prima volta il legislatore parla di dipartimento
Il DPR 128 del 1969 per la prima volta propose agli operatori del set-
tore ospedaliero un aggregato organizzativo che, negli anni successi-
vi, con molte difficoltà, sarebbe dovuto essere ripresentato più volte
per poi diventare recentemente obbligatorio: il dipartimento.
L'art.10 della normativa intitolato all'organizzazione funzionale delle
divisioni, sezioni, servizi speciali tra loro affini e complementari, re-
cita testualmente: "Le amministrazioni ospedaliere possono realizza-
re nell'ambito di ciascun ospedale, strutture organizzative a tipo di-
partimentale tra divisioni, sezioni e servizi affini e complementari al
fine della loro migliore efficienza operativa, dell'economia di gestio-
ne e del progresso tecnico e scientifico”.
Come possiamo facilmente capire, il legislatore non rese obbligatoria
la creazione dei dipartimenti all'interno degli ospedali, ma si limitò,
in quella fase, a consigliarne l'impiego.
Rendere facoltativo il modello dipartimentale equivaleva già a porlo
in secondo piano rispetto ad altre fattispecie operative ed organizza-
tive che erano invece obbligatorie e su cui si concentrarono gli sforzi
di attuazione delle dirigenze ospedaliere. Se tutto avesse funzionato
bene si sarebbe eventualmente potuto anche sperimentare questa ul-
teriore possibilità, altrimenti nessuno avrebbe potuto avanzare criti-
che o pretendere nulla. Un vincolo di obbligatorietà invece, magari
abbastanza dilazionato nel tempo, avrebbe portato ad un maggiore
dibattito e ad una maggiore attuazione sperimentale che avrebbe po-
tuto rappresentare il punto di partenza per l'adozione della nuova
modalità organizzativa.
Le finalità perseguite attraverso la diffusione dei dipartimenti furono
ben delineate dalla legge: il miglioramento della efficienza operativa
delle divisioni, sezioni e servizi esistenti in ospedale, la realizzazione
di condizioni di economicità di gestione, la promozione del progres-
so tecnico e scientifico.
22
Già allora il legislatore si rese conto dell’importanza dell'efficienza
nello svolgimento delle attività istituzionali ospedaliere. Di fronte a
delle strutture ospedaliere, gestite spesso con criteri tutt'altro che ra-
zionali, l’aumento dell'efficienza diventava un fattore fondamentale
di successo e strumento irrinunciabile per garantire ai cittadini
un’assistenza qualificata e generalizzata. Il dipartimento avrebbe
quindi dovuto garantire economie e razionalità nella gestione di ri-
sorse nonché costituire lo strumento di governo della crescente com-
plessità operativa, tecnologica e scientifica. Una formulazione di
obiettivi sicuramente condivisibile, ma non era sufficientemente
spiegato come il dipartimento avrebbe potuto condurre a tutto questo:
una ulteriore difficoltà da affrontare nel momento realizzativo che
dovette sicuramente pesare come un macigno su coloro che fossero
stati intenzionati ad avviare una seria dipartimentalizzazione. Il di-
partimento avrebbe dovuto raccogliere al suo interno divisioni, se-
zioni, servizi che fossero stati affini e complementari e che attraverso
un maggiore coordinamento avrebbero potuto funzionare meglio al
fine di realizzare gli obiettivi appena visti. Ma che cosa si intendeva,
all’epoca , per divisioni, sezioni e servizi?
Ricordiamo innanzi tutto che non ci troviamo di fronte a delle novità,
anzi, con la legge, veniva riproposta tale e quale la rigida struttura-
zione interna dei nosocomi risalente al decreto Regio n° 1631 del 30
settembre 1938 (capo 1°, articolo 4). Il Regio Decreto del 38 parlava
oltre che di divisione e di sezione, anche di reparto inteso come setto-
re dell'ospedale dove si eseguono determinate e specifiche cure costi-
tuito da una o più divisioni omogenee per patologia trattata, con evi-
denti funzioni di coordinamento. Ci troviamo di fronte a una sorta di
precursore del dipartimento per quanto riguarda gli obbiettivi di inte-
grazione perseguiti che però, non assunse in tale senso alcun rilievo.
Si voleva definire un settore operativo con un campo d'azione più va-
sto di quello riconosciuto alle aree divisionali per cercare di rimedia-
re, fin da allora, alla frammentazione dell'intervento medico creata
dalla suddivisione dell'ospedale in divisioni e sezioni.
Non venne però previsto alcun raccordo tra le diverse strutture esi-
stenti ed anzi, fu precisato che il reparto poteva, se necessario, coin-
cidere con un'unica struttura dotata anche di soli 15 posti letto. Que-
sto “settore” ospedaliero si risolveva così in una semplice colloca-
zione ambientale di più unità specialistiche, priva di ogni funzione
23
coordinativa. Da ciò derivò l'uso distorto del termine rispetto alle fi-
nalità originarie, impiegato fino ad oggi per indicare semplicemente
il luogo della degenza.
L'originale concetto di reparto che pure non venne ripreso dal legisla-
tore del ’68 in modo puntuale, doveva essere comunque confusamen-
te presente nella sua mente nel momento in cui pensò al dipartimen-
to.
Le divisioni, le sezioni e i sevizi erano le strutture organizzative at-
traverso le quali l'ospedale avrebbe dovuto svolgere le sue funzioni
istituzionali: esse sarebbero rimaste praticamente immutate fino agli
anni ’90, con qualche formale variante terminologica. Le divisioni
erano delle entità organizzative che negli ospedali avevano il compi-
to di erogare prestazioni omogenee dal punto di vista sanitario agli
utenti, avvalendosi della collaborazione di un certo numero di perso-
ne e dell'impiego di una certa tipologia e quantità di strumenti tecni-
ci. Ogni divisione si faceva promotrice di un intervento sanitario che
corrispondeva a uno degli insegnamenti clinici previsto in ambito
universitario; l'appartenenza a una di questi insegnamenti era poi
condizione per poter partecipare ai concorsi per primario o comun-
que per sanitario ospedaliero. La divisione diventava così la cellula
operativa fondamentale, attraverso la quale erogare prestazioni e ser-
vizi di diagnosi e cura negli ospedali e modalità organizzativa per di-
stinguere le varie branche operative attivate.
Ogni divisione era diretta da un primario che era investito della re-
sponsabilità medico-gestionale del personale ivi operante, coadiuvato
da aiuti e assistenti con i quali si rapportava secondo uno schema ri-
gidamente gerarchico.
Le sezioni erano delle articolazioni interne alle divisioni, come pre-
visto dagli art.7 e 8 del DPR 17 marzo 1969 n° 128, da realizzare al
fine di ripartire in settori una struttura organizzativa spesso eccessi-
vamente complessa, garantendo così una maggiore specializzazione
degli operatori e maggiore funzionalità complessiva. Anche per
l’individuazione delle sezioni venne prevista la competenza statale:
per cui le sezioni in cui era possibile articolare l'attività ospedaliera
erano individuate dalla normativa nazionale, in particolare, da quella
relativa agli insegnamenti clinici previsti nell’ordinamento universi-
tario.
24
I servizi erano entità organizzative accessorie; erano infatti chiamati
ad erogare prestazioni strettamente strumentali rispetto a quelle ero-
gabili dalle diverse divisioni. L'art.12 e seguenti del DPR 27 marzo
1969 n° 128 evidenziò chiaramente il nesso di strumentalità che le-
gava le due fattispecie organizzative. Inoltre anche i criteri di indi-
viduazione dei servizi dovevano essere desunti dalla normativa stata-
le (AA.VV., 1981). Il legislatore invece non si soffermò abbastanza
sulla definizione dell'assetto organizzativo che i dipartimenti avreb-
bero dovuto assumere e questo nei primi anni dopo la riforma fu un
serio ostacolo alla loro attuazione.
Il secondo comma dell'art.10 del DPR 128 del ’69 affermava che la
definizione dei criteri organizzativi a cui riferirsi per la creazione di
tali strutture dovevano essere deliberati dal consiglio di amministra-
zione, organo decisionale degli enti ospedalieri. Una norma troppo
generica che se da un lato lasciava ampia libertà alle strutture ospe-
daliere dall'altro creava loro non pochi problemi nel definire le carat-
teristiche di una entità fortemente innovativa tutta da sviluppare. Non
a caso dopo pochi anni di fronte alla esigenza di una maggiore chia-
rezza e analiticità, il legislatore intervenne nuovamente per eviden-
ziare le componenti essenziali che si sarebbero dovute prevedere per
realizzare concretamente i dipartimenti.
Il secondo comma dell'art.10 continuava poi aggiungendo che la di-
rezione dei dipartimenti doveva essere affidata ad un comitato: cioè
ad un organo collegiale che avrebbe consentito la partecipazione alle
discussioni e alle decisioni ai dirigenti delle varie sub-organizzazioni
ospedaliere e ad una rappresentanza dei medici che vi lavoravano.
Una previsione questa necessaria al fine di garantire quella integra-
zione di funzioni e competenze che era la principale finalità perse-
guita. In particolare al comitato partecipavano: il direttore sanitario
dell'ospedale, al quale evidentemente era riconosciuto il ruolo di su-
pervisore o comunque di garante dell'unità di azione dei dipartimenti,
in funzione degli obiettivi perseguiti dal nosocomio considerato nella
sua interezza; i primari responsabili delle divisioni; gli aiuti capi di
sezione o di servizi autonomi; nonché gli aiuti ed assistenti in nume-
ro corrispondente alla loro rappresentanza nel consiglio dei sanitari
25
secondo quanto previsto dall'art.13 della legge 12 febbraio 1968, n°
132.1
Evidentemente, si voleva garantire la partecipazione dei vari ruoli
professionali nei dipartimenti mantenendo un certo equilibrio nume-
rico tra gli stessi al fine di evitare una eccessiva influenza di alcune
categorie particolarmente numerose, ma gerarchicamente subordina-
te.
Il DPR 128 del ’69 si fermava qui: la formulazione proposta dal legi-
slatore era molto generica probabilmente condizionata dalla cautela
necessaria per proporre uno schema la cui validità nel nostro paese
era ancora tutta da dimostrare. Inoltre, vi fu, forse, anche una ecces-
siva fiducia nelle strutture ospedaliere e nei suoi dirigenti ritenuti ca-
paci, partendo da questi pochi spunti, di realizzare, di punto in bian-
co, una struttura così complessa.
Ciononostante l'art.10 del DPR n°128 del ’69 ha l'indubbio merito,
seppure con le sue contraddizioni e i suoi silenzi, di aprire la strada
ad un lungo processo di trasformazione organizzativa che ha conti-
nuamente riproposto il dipartimento come fattore di efficienza e inte-
grazione. La normativa appena analizzata non mancò, negli anni
successivi di promuovere un serio dibattito sui dipartimenti: molti fu-
rono gli esperti a manifestare il loro entusiasmo per questa novità, al-
trettanti i convegni in cui si sprecarono lodi e consigli operativi, in-
numerevoli furono i dirigenti di nosocomi a intervenire e prestare la
propria attenzione.
Nei primi anni ’70, spinti da un evidente quanto effimero entusia-
smo, molti ospedali italiani fissarono l'obiettivo di creare una simile
organizzazione nel loro ambito ed è logico presumere che qualche
sforzo in tale senso fu fatto. Ben presto però, di fronte alle difficoltà
incontrate, nel realizzare la riforma nel suo complesso e alla opposi-
1
La legge prevedeva che il consiglio dei sanitari, tra gli altri, fosse compo-
sto anche da aiuti e assistenti in numero uguale e non superiore complessi-
vamente ai due quinti dei componenti del consiglio stesso, eletti in separate
assemblee dagli aiuti e assistenti di ruolo dell'ente ospedaliero e continuava
affermando che ove il numero complessivo degli aiuti e degli assistenti da
eleggere fosse risultato dispari, il componente in più doveva essere attribui-
to agli aiuti.
26
zione interna dei primari, si pensò bene di lasciare tutto com’era ma-
gari usando la giustificazione della mancanza di puntuali linee orga-
nizzative nazionali (che peraltro giunsero nel 1975) (Falanga, 1981).
2.2 – LE TRASFORMAZIONI DEL SISTEMA SANITARIO:
LA COMPLESSITA’ QUALE FATTORE CRITICO DA
FRONTEGGIARE
All'inizio degli anni, ’70 grazie anche alla riforma ospedaliera appe-
na varata, il panorama regolamentare in cui operavano i nosocomi
appariva sufficientemente dettagliato e puntuale. L'ospedale era inca-
ricato dell'attività di diagnosi e cura attraverso l'uso di strutture e tec-
nologie molto articolate e complesse; le funzioni mediche erano as-
segnate al primario coadiuvato da aiuti e assistenti, tutti inquadrati
per singole discipline e investiti del potere di gestione sulle risorse
disponibili. Le varie discipline ospedaliere erano definite da puntuali
norme giuridiche, mentre le funzioni e le responsabilità dei diversi
ruoli professionali erano regolate spesso dalla prassi e in modo diver-
so a seconda del progresso scientifico raggiunto dai vari settori
(Campana, 1986).
Fin dagli anni ’60 apparivano nella loro complessità e in alcuni casi
nella loro drammaticità, le molte trasformazioni verificatesi nel modo
di gestire ed erogare assistenza ospedaliera. Si era assistito ad un
forte aumento della complessità, sia dal punto di vista strutturale, da-
ta la maggiore quantità di risorse necessarie, sia da quello funzionale,
vista l'esigenza di mantenere strettamente collegate competenze e
ruoli fortemente differenziati e risorse dislocate in ambiti operativi
rigidamente separati se non completamente autonomi. Questa situa-
zione seppure con un'intensità differente era presente in ogni realtà
ospedaliera indipendentemente dalle sue dimensioni; si pensi che in
un ospedale di circa 1000 posti letto situato in un capoluogo di pro-
vincia erano presenti, in quegli anni, intorno ai 40 primariati, con e
senza degenza, si contavano almeno 400 centri di costo o di sevizio,
lavoravano sui 1500 dipendenti dei quali 300 erano laureati, accede-
vano giornalmente migliaia di persone.
Un grande e crescente peso stava assumendo la differenziazione
specialistica; fino agli anni ’60 le branche mediche erano poche e
27
consolidate nel tempo, ma ben presto, lo sviluppo della scienza me-
dica portò all'esigenza di creare competenze sempre più specifiche
che potessero fronteggiare le molte patologie in modo più diretto e
professionale. Se fino al 1960 gli ospedali situati in un capoluogo di
provincia erano caratterizzati dalla presenza di 12-15 primariati, ne-
gli anni successivi i grandi reparti furono divisi per il prepotente
emergere di nuove specialità, per l'istituzione di servizi di diagnosi o
cura con pochi posti letto se non, in alcuni casi, privi di degenza. Le
suddivisioni delle branche mediche e chirurgiche esistenti si susse-
guirono ad un ritmo impressionante: dove prima c'era un grande re-
parto o una grande divisione ora se ne riscontravano molte di più, ca-
ratterizzate da piccole dimensioni. Le nuove specialità dopo aver
conquistato l'indipendenza dal punto di vista medico, non esitarono a
conquistare piena dignità professionale e scientifica, anche all'interno
dei luoghi di lavoro. La loro rapida proliferazione non mancò di ge-
nerare nuove esigenze organizzative: ben presto si manifestarono
conflittualità tra le diverse divisioni per l'uso delle risorse comuni e
apparve in tutta la sua crudezza l'esigenza di coordinamento che l'or-
ganizzazione esistente di fatto ostacolava.
Era a tutti evidente il veloce sviluppo della tecnologia che proponeva
agli operatori del settore strumenti di grande validità che finivano per
rivoluzionare le modalità di lavoro dei medici e per richiedere nuove
delicate competenze. Se in passato un medico dotato di una buona
preparazione era in grado di fronteggiare, dal punto di vista profes-
sionale, molte delle patologie che gli si potevano presentare dinanzi,
con il proliferare delle specializzazioni, le competenze divennero più
particolaristiche ed era frequente la necessità, di fronte ai singoli casi
di un consulto con altri specialisti. Il medico migliore non si identi-
ficava più attraverso la sua capacità di acquisire così tante conoscen-
ze da essere in grado di curare ogni malattia, cosa peraltro divenuta
impossibile data la complessità di nozioni ed esperienze necessarie
per fronteggiare le singole patologie, bensì, tramite la sua abilità nel
lavorare in stretta collaborazione con i suoi colleghi. La nuova cultu-
ra della cooperazione si sarebbe dovuta diffondere rapidamente, tutti
ne erano consapevoli eppure chi vedeva ancora nel ruolo tradizionale
dello specialista tuttofare una insostituibile fonte di prestigio non esi-
tò a contrastarla e ad opporsi a qualunque soluzione organizzativa
che avesse potuto agevolarne l'affermazione.
28
Tutte queste novità come già accennato furono causa di un ulteriore
aumento della complessità organizzativa a cui si accompagnò un al-
trettanto rapida crescita dei costi da fronteggiare: ciò finiva inevita-
bilmente con lo spostare il baricentro dell'attenzione sull'attività ge-
stionale che, confermando il suo ruolo cruciale, avrebbe potuto al-
meno in parte risolvere queste problematiche. In realtà le inefficien-
ze erano causate frequentemente non tanto da carenze diagnostiche,
quanto piuttosto da evidenti limiti degli organi direzionali ad ogni li-
vello, limiti legati alla mancanza di competenze specifiche, alla diffi-
coltà di collaborazione o al disinteresse soprattutto dei medici verso
questa funzione giudicata secondaria.
Ricordiamo infine che la situazione appena descritta già ben evidente
alla fine degli anni ’60, sarebbe stata destinata a palesarsi ulterior-
mente negli anni successivi, senza che le soluzioni comunque propo-
ste dal legislatore fossero (Saccani, 1989; Saccani, 1987; Maggi,
1980).
2.3 – IL DIPARTIMENTO: STRUMENTO IDEALE PER RI-
SPONDERE ALLA COMPLESSITA’
Al momento dell’approvazione della legge ospedaliera due erano gli
imperativi che emergevano prioritari: integrazione ed efficienza
all'interno delle strutture sanitarie. Il DPR 128 dei ’69 tentava una
timida risposta proponendo la diffusione dei dipartimenti negli ospe-
dali. Sebbene le norme in materia dipartimentale susseguitesi nel
tempo siano tutte accomunabili dal tentativo di favorire
l’affermazione di questa struttura in ambito ospedaliero sostituendola
con una aperta che tagliasse trasversalmente gli apparati esistenti al
fine di favorire l'integrazione delle competenze e dei ruoli, è pur
sempre osservabile una diversa impostazione metodologica a secon-
da che ci troviamo prima o dopo la riforma ospedaliera del ’78. Te-
nendo conto di questo interessante aspetto e come più volte sottoli-
neato possiamo notare che il DPR 128 del ’69 proponeva una orga-
nizzazione in dipartimenti del tutto eventuale in quanto sottoposta al-
le valutazioni discrezionali del consiglio di amministrazione dell'o-
spedale. Era comunque già ben delineata e lo si poteva leggere fa-
cilmente tra le righe, la volontà di condurre gradatamente al supera-
29
mento dell'articolazione interna degli ospedali in divisioni, sezioni e
servizi che rappresentava il principale ostacolo per il superamento
della rigidità organizzativa ospedaliera.
Infatti, la struttura tradizionale di organizzazione del lavoro era stata
ribadita dalla riforma ospedaliera; appariva quindi, in questo conte-
sto, ancora più coraggiosa la proposta di introdurre, in un assetto ge-
rarchizzato, forme di relazioni funzionali paritetiche. Perfettamente
in linea con questo intento la definizione del comitato di dipartimen-
to e l'indicazione dei suoi componenti fu un evidente tentativo di
modificare in senso funzionale l’assetto gerarchico esistente (Falan-
ga, 1981).
2.3.1 – Il dibattito dei primi anni ’70 alimenta l’entusiasmo
A prescindere da queste valutazioni dottrinali i cui caratteri essenziali
saranno riscontrabili anche con riferimento alle norme successive, il
breve articolo 10 del DPR 128 del '69 fu rapidamente oggetto di am-
pie discussioni da parte delle organizzazioni sindacali, politiche e sa-
nitarie. Ciò avrebbe portato rapidamente al recepimento della nozio-
ne di dipartimento, soprattutto sotto il profilo politico-sindacale,
mentre si sarebbero irrimediabilmente trascurati gli aspetti tecnici
concreti che sarebbero dovuti essere invece privilegiati in ogni tipo
di analisi.
L'immediata conseguenza della parzialità dei profili di analisi trattati
nel dibattito non mancò di creare, fin dal principio, un alone di miste-
ro intorno all'organizzazione dipartimentale configurandola in termi-
ni del tutto astratti. Lo spunto così innovativo del legislatore finiva
per non proporsi in modo sufficientemente chiaro, soprattutto in rife-
rimento alle pratiche modalità di attuazione e per alimentare, come
sempre accade in questi casi, da un lato una forte diffidenza, poi dif-
ficilmente eliminabile, dall'altro un’aggressiva volontà di revisione
dell'istituto che trovava l'unica giustificazione nella non completa
comprensione della sua natura. D’altra parte la modalità migliore per
rifiutare le novità consiste nel sottolinearne la mancata conoscenza o
meglio ancora, nell'evidenziarne l'irrealizzabilità e di fatto questa fu
la strada seguita dai detrattori della realtà dipartimentale.
30
In questo contesto numerose voci si levarono a difesa della nuova
struttura operativa soprattutto di organizzazioni sindacali di settore
tra le quali spiccava l'ANAAO, la quale nei primi anni ’70 si fece ac-
canita sostenitrice del modello dipartimentale proponendone una sua
visione concreta, favorendo l’incontro delle varie posizioni attraverso
congressi e dibattiti, incentivando alla luce del DPR 128 del ’69 la
realizzazione di quanto possibile, con l'ulteriore prospettiva di appor-
tare ancora miglioramenti in futuro.
La proposta che in questi anni l'ANAAO sostenne, pur essendo in
parte ispirata da interessi di categoria, aveva senz'altro il pregio di
avere inquadrato i problemi pratici del lavoro negli ospedali propo-
nendo soluzioni al passo con i tempi.2
Certamente l’ANAAO non fu l’unica associazione di categoria a par-
lare di dipartimenti e a proporre modelli di attuazione, ma altrettanto
sicuramente, nei primi anni ’70, fu quella che vi dedicò la maggiore
attenzione e investì le maggiori risorse per portarne a conoscenza il
significato, per tentare le prime applicazioni sul campo.
Il dipartimento fu così immediatamente definito come aggregato ope-
rativo capace di promuovere la collaborazione tra diverse componen-
ti professionali e tecniche assolutamente imposta dalla realtà assi-
stenziale ospedaliera. Se ne evidenziava la necessità al-
la luce delle caratteristiche dell'attività di insegnamento e ricerca
aventi tipicamente natura interdisciplinare; alla luce della necessità di
promuovere una formazione continua negli operatori del settore che
soltanto il lavoro di gruppo poteva effettivamente realizzare. Infine,
il dipartimento era sostenuto come strumento per superare l'eccessiva
gerarchizzazione dei ruoli sui luoghi di lavoro e per diffondere la
democraticità dei rapporti tra i vari operatori, fonte di una crescita
culturale e professionale continua.
La constatazione che, in tutti i settori economici si stava affermando
incontrastata la spinta all'integrazione dei compiti, alla dinamicità e
alla flessibilità dell'organizzazione del lavoro e l'ulteriore osserva-
2
L'ANAAO era ed è l'associazione sindacale che rappresenta gli aiuti e as-
sistenti ospedalieri, categoria, che ricordiamo solo qualche anno prima nel
1964 aveva ottenuto la stabilità del posto di lavoro e ora mirava ad un ruo-
lo di maggiore rilievo operativo all’interno degli ospedali.
31
zione della sostanziale staticità delle strutture sanitarie, fossilizzate
su consolidati equilibri di potere, portarono a sostenere il dipartimen-
to quale strumento capace di modernizzare efficacemente un univer-
so ospedaliero caratterizzato spesso dalla carenza di preparazione di
base, dalla mancanza ed inadeguatezza delle risorse fisiche a disposi-
zione, dall’impossibilità di promuovere la maturazione professionale
dei dipendenti ai vari livelli. Il dipartimento, attraverso l'istituzione
del comitato direttivo previsto dallo stesso DPR 128 del ’69, avrebbe
consentito l'integrazione di competenze appartenenti ai professionisti
coinvolti; la creazione tra i membri dell'équipe di uno stato di ami-
chevole interesse e collaborazione; la crescita culturale continuamen-
te alimentata da nuovi spunti e problemi condivisi dai componenti
(Paci, 1973; Perraro (1973).
Nel gennaio del 1971, in occasione del congresso nazionale dell'A-
NAAO, alla presenza di numerose personalità del mondo medico ve-
niva individuata la tendenza alla diffusione del principio delle cure
graduate3
e si proponeva il dipartimento inteso come équipe polispe-
cialistica e polidisciplinare a cui potevano essere riferite sia la re-
sponsabilità del singolo medico nei confronti del paziente trattato, sia
quella di gruppo, per quanto attiene alla integrazione delle compe-
tenze, per meglio fronteggiare le singole situazioni patologiche.
Si poneva, infine, l'attenzione sul dipartimento di emergenza quale
organizzazione ideale per fronteggiare l'enorme eterogeneità delle
competenze nelle diverse situazioni che si sarebbero potute presenta-
re. Si arrivava anche ad individuare la concreta organizzazione fun-
zionale del dipartimento di emergenza, le varie aree ospedaliere che
si sarebbero dovute integrare, le dotazioni di personale necessarie.
Il convegno regionale dell'ANAAO, tenuto a Pisa nel giugno ’71,
poneva nuovamente la sua attenzione sulla necessità di abbattere le
gerarchie e favorire la comunicazione tra le strutture al fine di far
conquistare nuova dignità agli operatori; si ribadiva inoltre l'esigenza
di far decollare rapidamente il dipartimento descritto, non in termini
avveniristici, ma come organizzazione profondamente attuale. Si
3
Il postulato delle cure graduate imponeva la distinzione di quattro aree di inter-
vento caratterizzate da diverse gradazioni di intensità delle prestazioni: l’area delle
cure intensive, delle cure intermedie o ordinarie, quella delle cure distanziate rivol-
te ai convalescenti e infine delle cure a lunga scadenza per lungodegenti.
32
proponeva un identikit del coordinatore di dipartimento che avrebbe
dovuto essere eletto democraticamente tra coloro che avevano le mi-
gliori qualità umane e capacità gestionali. Egli avrebbe dovuto garan-
tire la necessaria funzione di coordinamento degli operatori coinvol-
ti, punto di riferimento per ogni problematica che potesse pre-
sentarsi all'interno del gruppo; promotore della dinamicità delle strut-
ture coinvolte e delle funzioni svolte, della democrazia interna e
dell'esercizio corale della medicina (Giannotti, 1971; Boffi, 1971).
Nel settembre ’71 l'ANAAO di Firenze formalizzava una proposta
dipartimentale molto interessante che avrebbe offerto validissimi
spunti al dibattito. Si definiva il gruppo di lavoro come l’unità opera-
tiva elementare in continua evoluzione che avrebbe assicurato la dif-
fusione di una nuova concezione dell’attività ospedaliera. Si eviden-
ziava poi l’esigenza di creare dei dipartimenti che fossero capaci di
mutare i loro orientamenti repentinamente, adeguandosi alle istanze
manifestate dall’ambiente esterno, al fine di garantire l’efficacia dei
singoli gruppi di lavoro. Evidentemente si cercava di permettere lo
sfruttamento di tutte le competenze presenti in ambito ospedaliero,
valorizzando maggiormente il ruolo del personale paramedico e cer-
cando di evitare che la creazione dei dipartimenti fosse occasione per
il diffondersi di giochi di potere che avrebbero permesso il raggiun-
gimento di posizioni di comando non per meriti scientifici o profes-
sionali, ma per interessi politici. Si concludeva, osservando l'inade-
guatezza della legge che avrebbe consentito la realizzazione di un di-
partimento non perfetto, secondo i propositi dell’associazione, ma
comunque, un passo avanti rispetto alla situazione precedente e con
evidenti possibilità di ulteriore miglioramento (ANAAO Firenze,
1971).
Nei mesi successivi non sarebbero mancati altri interventi, altri con-
vegni, altre tavole rotonde sull’argomento: ne emergeva una proposta
chiara che vedeva il dipartimento come luogo nel quale confluivano
in modo paritario esperienze e competenze diverse, basato indissolu-
bilmente sul principio della collegialità delle decisioni.
Quella dell'ANAAO era in quel periodo la proposta dipartimentale
più organica, centro del dibattito e dell'interesse non solo delle altre
associazioni sindacali ma anche della classe politica degli enti locali:
certamente non mancavano istanze derivanti da rivendicazioni di ca-
tegoria e da interessi di parte, ma nel complesso il modello appariva
33
in molti casi davvero lungimirante. L'idea che il dipartimento non
potesse ricondursi ad uno schema rigido predefinito, oppure la pro-
posta di una forte integrazione con la realtà sanitaria esterna agli
ospedali, l'individuazione del ruolo centrale che, nella diffusione del-
la novità organizzativa, avrebbero dovuto giocare le regioni, antici-
pavano lo stesso legislatore che di lì a pochi anni avrebbe riproposto
puntualmente ognuno di questi spunti.
La proposta dipartimentale dell'ANAAO, non fu però l'unica: ciò
contribuì a rendere più interessante il dibattito tra i vari esperti e le
organizzazioni di categoria.
Il professor C. Zanussi, in rappresentanza del mondo universitario,
nel rilevare le molteplici realizzazioni dipartimentali in vari paesi
considerava prioritaria l'autoregolazione del dipartimento e l'estrema
flessibilità decisionale, operativa e organizzativa e per questo propo-
neva la creazione di strutture molto piccole (composte da 3-5 divi-
sioni e da alcuni servizi) che avrebbero poi dovuto fare affidamento
su ambiti interdipartimentali comuni (radiologia, biblioteca, laborato-
ri). Zanussi distingueva i dipartimenti assistenziali, dedicati all'atti-
vità di cura, e dai dipartimenti didattici, prevalentemente impegnati
nell'insegnamento. Il relatore evidenziava, infine il rischio che la
funzione di integrazione tipica dei dipartimenti potesse essere ostaco-
lata dalla mancanza di adeguate strutture edilizie che di fatto impedi-
vano l'uso razionale degli ambienti e la corretta distribuzione dei
supporti fisici dipartimentali e interdipartimentali. In mancanza di
una disposizione corretta delle risorse era incombente il pericolo di
creare un insieme scoordinato di reparti e servizi, sulla carta uniti, ma
nella realtà del tutto autonomi e incapaci di comunicare (Zanussi,
1973).
La Federazione dei Lavoratori Ospedalieri prometteva, in quegli an-
ni, il proprio appoggio all'iniziativa dipartimentale a condizione che
si proponessero forme democratiche di partecipazione dei sanitari al
comitato di dipartimento (Sibaud, 1973).
L'associazione dei medici di direzione sanitaria degli ospedali
(ANMDO), nella persona di E. Guzzanti, nel rilevare l'affermazione
del principio delle cure graduate osservava l'opportunità di creare
dei dipartimenti con caratteri diversi in ognuno dei quattro settori in-
teressati. Nel settore delle cure intensive le competenze polispeciali-
stiche e interdisciplinari necessarie avrebbero potuto consigliare di-
34
verse soluzioni quali la creazione di nuovi primariati, ma così facen-
do non si sarebbe incentivata l'integrazione delle funzioni o la crea-
zione di un dipartimento d’emergenza secondo una concezione della
terapia intensiva totalizzante ormai consolidata anche a livello inter-
nazionale. Per quanto riguarda la fase valutativa, Guzzanti riteneva
assolutamente necessaria una organizzazione dipartimentale funzio-
nale che consentisse di raggruppare sezioni e divisioni affini e com-
plementari che da sole non erano in grado (troppo isolate) di pro-
muovere alcun processo di crescita culturale (rientrerebbe in quest'a-
rea il dipartimento di medicina interna). Nell’area delle cure estensi-
ve Guzzanti proponeva la creazione di dipartimenti che riunissero di-
visioni e servizi che terminata la loro attività inviavano gli infermi
nelle strutture per lungodegenti in modo da coordinare l'uso delle
stesse. Per la fase alternativa o ambulatoriale il dipartimento sem-
brava necessario al fine di garantire la continuità nel processo di cura
del malato e la necessaria integrazione con gli operatori esterni tra i
quali spiccava il ruolo del medico di famiglia (Guzzanti, 1973).
I primari, dal canto loro, non si dimostravano certo entusiasti dell'i-
dea dipartimentale: molto sornionamente ribadivano la validità della
struttura divisionale ammettendo semmai la necessità di qualche in-
tervento correttivo non strutturale. Al limite essi si dichiaravano di-
sposti ad accettare divisioni più piccole, più numerose, più specializ-
zate (ciò avrebbe garantito l'aumento del numero dei primari); esse
avrebbero potuto essere raggruppate in dipartimenti, ma la responsa-
bilità gestionale delle risorse sarebbe dovuta rimanere a livello divi-
sionale. Certamente l'idea di creare i dipartimenti e aprire la strada a
organizzazioni più democratiche del lavoro non li entusiasmava (Do-
cumento dei Primari, 1972).
Accanto a queste autorevoli posizioni devono però essere rilevati an-
che tanti imbarazzati silenzi che testimoniavano, in alcuni casi,
l’intento di non entrare in un dibattito spinoso, in altri, l'attesa degli
eventi in altri ancora, una malcelata opposizione alla nascita dei di-
partimenti.
Ricordiamo poi che in sede di accordo nazionale di lavoro dei dipen-
denti ospedalieri, siglato il 23 giugno ’74, nella parte riservata alla
partecipazione e alla formazione professionale dei dipendenti,
all'art.16, si parlava di dipartimento. Constatata la mancata attua-
zione dei dipartimenti negli ospedali e ribadita l'assoluta necessità di
35
diffondere strutture che consentissero il collegamento interdisciplina-
re degli operatori, le parti richiedevano, nella sperimentazione, un
ruolo attivo di indirizzo e di scelta; inoltre rivendicavano maggiore
democraticità in ambito decisionale. Si riproponeva la priorità della
realizzazione del dipartimento di emergenza, come si evinceva
dall'art. 66 opportunamente dedicato agli standard di personale da as-
segnare a tale struttura. Un chiaro segno della volontà sindacale, que-
sta volta unitaria, di appoggiare l'iniziativa dipartimentale (Ciocia,
1975).
Nel marzo ’72, in occasione di un convegno sull’argomento, si con-
statava, forse un po’ frettolosamente, che i concetti ispiratori dell'idea
dipartimentale erano oramai acquisiti da molti politici, amministrato-
ri, medici ed operatori sanitari al punto che, ottimisticamente, si rite-
neva che le prime realizzazioni non avrebbero tardato a manifestarsi.
Si registrava anche una voce discordante dei primari che ipotizzava-
no l'esistenza di condizionamenti dovuti ad evidenti interessi di cate-
goria.
Dal punto di vista operativo si distinguevano saggiamente due mo-
menti: il primo, organizzativo, che avrebbe dovuto condurre alla
concentrazione del dipartimento di due o più divisioni; il secondo, di
tipo culturale, che avrebbe condotto ad una nuova visione dei rappor-
ti umani, alla distribuzione delle responsabilità in base alle capacità,
alla valorizzazione del patrimonio professionale esistente al suo in-
terno (si poneva l'accento sul problema di natura culturale che ben
lontano dall'essere risolto si ripropone oggi tale e quale).
Nel corso di una tavola rotonda nel ’73, si riproponevano gli elemen-
ti poc’anzi analizzati e ci si soffermava sull'esigenza in sede realiz-
zativa di approvare uno statuto di dipartimento avente valenza politi-
ca che ribadisse i caratteri dell'organizzazione democratica del lavoro
e un regolamento avente natura tecnico-organizzativa che avrebbe
definito le modalità dell'attività assistenziale, dell'attività di ricerca e
studio, dell'uso del personale nel rispetto delle linee direttrici propo-
ste dallo statuto. Gli operatori sanitari, nel dipartimento, avrebbero
dovuto quindi maturare competenze specialistiche opportunamente
integrate da conoscenze culturali polivalenti, tali da creare una men-
talità elastica, da consentire una leale cooperazione con i colleghi e
una adattabilità ai mutamenti repentini imposti dalla scienza.
36
Particolare attenzione veniva rivolta al dipartimento di emergenza,
descritto come una vera e propria priorità, data la complessità e l'am-
piezza delle prestazioni da erogare in quest'area sebbene ci fosse la
consapevolezza delle difficoltà concrete che si sarebbero dovute af-
frontare sul piano pratico: anche legate alla carenza di risorse e strut-
ture oltre che alla mancanza di volontà di integrazione dei responsa-
bili delle varie branche coinvolte (Boffi, 193).
Agli occhi di tutti erano inoltre evidenti le molteplici interpretazioni
fornite, sia da singoli, sia da associazioni o commissioni, di fronte
all'esigenza sempre più sentita di realizzare i dipartimenti ospedalieri,
che, se alimentavano la discussione fornendo numerosi spunti per un
ulteriore approfondimento della problematica, finivano anche inevi-
tabilmente per confondere le idee dando adito a valutazioni distorte,
spesso contrastanti tra lorocome peraltro si sottolineava in un interes-
sante articolo pubblicato sul n°5 di Iniziativa Ospedaliera del giugno
1971. In più circostanze si individuava negli interessi dei primari in-
vestiti del più ampio potere ospedaliero dalla normativa vigente, il
principale ostacolo alla realizzazione dei dipartimenti (Iniziativa
Ospedaliera, settembre 1971).
Un articolo comparso su Iniziativa Ospedaliera, nel giugno ’73, si
soffermava, definendo le caratteristiche e le finalità del dipartimento,
sul rischio che in fase attuativa ci si limitasse a creare delle semplici
aggregazioni funzionali di strutture già esistenti che di fatto avrebbe-
ro mantenuto tutte le loro carenze e si sottolineava la necessità di
creare rapidamente, nella mentalità del personale, i presupposti per la
diffusione di un nuovo metodo di lavoro. C’era il concreto rischio di
ripetere su scala più ampia le inefficienze e le carenze delle divisioni.
In questa rapida ricognizione ci si è limitati a citare soltanto alcuni
dei convegni tenutosi in quei primi anni ’70 e a riassumere, in pochi
chiari concetti, una serie di proposte e osservazioni sulle quali si
erano di fatto versati fiumi di inchiostro. Molte personalità politiche,
sindacali o mediche avevano evidenziato le loro idee creando un coro
unanime di convinto sostegno all’idea dipartimentale che, anche se
spesso sostenuta con l’intento di difendere interessi particolaristici,
appariva come l’unica possibile evoluzione dell’organizzazione
ospedaliera. Tante volte si erano ribadite in sedi diverse le stesse
considerazioni, al punto che anche il più accanito oppositore avrebbe
comunque compreso gli obbiettivi e i vantaggi che i dipartimenti
37
creavano nei nosocomi. Appariva poi a tutti l'esigenza primaria di
avviare, anche su base volontaristica, una seria sperimentazione di
soluzioni diverse.
Nei primi anni ’70 non mancarono, sebbene non fosse ancora obbli-
gatorio, alcuni interventi legislativi regionali che proponevano il mo-
dello dipartimentale alle amministrazioni ospedaliere. Le regioni in-
fatti non erano ancora investite del ruolo promozionale che in futuro
la legge nazionale avrebbe loro riconosciuto in materia dipartimenta-
le: si trattava di isolati interventi che non sarebbero stati in grado di
suscitare l'attenzione degli operatori, ma che sono comunque interes-
santi dal punto di vista metodologico.
La legge regionale abruzzese del 26 aprile 1974 n°14 delineava un
modello dipartimentale dalla portata non solo funzionale e teorica,
ma anche immediatamente operativa. Le varie linee gerarchiche pre-
senti nei nosocomi venivano così ad essere integrate all'interno del
dipartimento: le risorse pur essendo assegnate alle specifiche unità
operative erano gestite, tenendo conto delle necessità del dipartimen-
to, in modo flessibile. Era assicurata una certa democraticità inter-
na. Si trattava di spunti che andavano oltre il generico articolo 10 del
DPR 128 del ’69, per anticipare in parte le norme successive; pur-
troppo dovendo rispettare la norma statale e nel tentativo di mantene-
re l'autonomia dell'ente ospedaliero si riproponeva la natura eventua-
le dei dipartimenti e non si faceva sufficiente attenzione al legame
esistente tra programmazione e organizzazione. La Basilicata e la
Liguria rispettivamente con la L.R. n° 50 del 9 giugno ’75 e la L.R.
n° 51 del 30 dicembre ’73 prevedevano i dipartimenti nell'organizza-
zione dei servizi sanitari di emergenza non così puntualmente come
aveva fatto l'Abruzzo, ma inquadrandoli comunque quali organizza-
zioni strumentali al coordinamento delle attività svolte (Speranza,
1985; Falanga et al., 1981).
Si era definito il dipartimento, si erano condivise le finalità persegui-
te, si erano proposte soluzioni sicuramente valide sulla carta, si erano
individuate le opposizioni e le difficoltà soprattutto culturali, ci si era
impegnati entusiasticamente ai vari livelli politico, sindacale, medi-
co, ad avviare la sperimentazione e a migliorare la normativa: tutto
avrebbe fatto presumere che il decollo dell’apparato dipartimentale
sarebbe stato imminente.
38
Come se non bastasse, spinti dall’enfasi inizialmente prodotta
dall’art.10 DPR 128 del ’69, in numerosi ospedali si erano compiuti i
primi passi verso la dipartimentazione.
2.3.2 – Alcune interessanti esperienze dipartimentali
L’istituzione dei dipartimenti all'interno degli ospedali poteva essere
conseguenza dell'iniziativa delle stesse amministrazioni ospedaliere
che si avvalevano dell'art.10 del DPR 128, altre volte era la stessa
commissione interna dei nosocomi, una organizzazione sindacale, a
creare i presupposti per la sua nascita, infine l'iniziativa poteva essere
presa direttamente dagli stessi operatori che, sul campo, volevano
superare le problematiche del lavoro quotidiano. Spesso lo spunto
era offerto dalle carenze di strutture (locali, attrezzature, strumenti) e
dall'inadeguatezza organizzativa che creavano evidenti inefficienze e
una generalizzata insoddisfazione degli stessi dipendenti. Il diparti-
mento diveniva lo strumento per abbattere i rigidi sistemi gerarchici
e riportare ad un razionale uso delle risorse presenti. Possiamo rapi-
damente citare alcuni esempi indicativi.
Proprio attraverso i passaggi logici appena esposti, nel novembre ’71,
i dipendenti che a qualsiasi titolo lavorassero nell'area chirurgica
dell’ospedale di Careggi, riuniti in commissione, arrivarono ad
esprimere la volontà di procedere in tempi brevi all'organizzazione
dipartimentale della chirurgia, secondo le modalità e i fini previsti
dal DPR 328 del ’69 art.10. In concomitanza a questa decisione,
venne discusso e approvato uno statuto che di fatto tracciava gli ele-
menti essenziali del dipartimento e venne richiesto al consiglio di
amministrazione dell'arciospedale di S.M. Nuova, di cui l'ospedale di
Careggi faceva parte, l’avallo dello stesso statuto e l’adozione di un
provvedimento formale che sancisse definitivamente la nuova strut-
tura (Iniziativa Ospedaliera, 1973).
Sulla stessa linea, nel febbraio ’72, il personale medico delle divisio-
ni di medicina, dei servizi di elettro-cardiologia, di laboratorio e di
radiologia si riunì e deliberò la creazione di un dipartimento di medi-
cina presso l'arciospedale di S. M. Nuova a Firenze definendo uno
statuto poi rapidamente approvato dal consiglio di amministrazione
del nosocomio (Milli, 1973).
39
Nel dicembre ’72 a Foggia, presso il locale ospedale regionale tutto
era pronto per avviare l'attività del dipartimento didattico. La stessa
amministrazione ospedaliera consapevole della necessità di promuo-
vere lo sviluppo e il coordinamento delle scuole esistenti per il per-
sonale paramedico e in vista dell'istituzione di corsi parauniversitari
per gli aspiranti medici aveva incaricato, qualche mese prima, il
consiglio dei sanitari di istituire una commissione di studio.
L’esigenza di maggiore integrazione era resa evidente dallo spreco di
risorse e dalla sovrapposizione di competenze delle varie scuole: ben
presto, erano stati definiti e approvati un regolamento e uno statuto.
Tutto era pronto per la concreta attuazione ma già qualcuno avanzava
il dubbio che non vi fosse effettiva volontà di realizzazione (Pelle-
grino, 1973).
Nel luglio del ’73, una apposita commissione, venne incaricata dal
consiglio dei sanitari dell'ospedale S.M. Battuti di Treviso di porre
sotto studio le modalità attraverso le quali superare le carenze orga-
nizzative e di cooperazione tra le varie sub-discipline nell'area impe-
gnata nella lotta alle malattie tumorali. Il settore oncologico, che di
fatto raccoglie nel suo ambito di operatività una patologia che con
modalità spesso differenti colpisce organi diversi richiedendo cure
differenziate, necessita quindi di competenze sempre più specialisti-
che: l'obbiettivo dell'integrazione delle conoscenze e degli interventi
medici, chirurgici e terapeutici diventa di insostituibile importanza.
La commissione concludeva i suoi lavori individuando nel diparti-
mento oncologico, che sarebbe stato opportuno realizzare il più ra-
pidamente possibile, l'organizzazione ideale per fronteggiare queste
peculiarità (Azzi, 1973).
Nel novembre ’73, nella struttura ospedaliera di Livorno, ci si ram-
maricava di non avere ancora provveduto a promuovere alcuna ini-
ziativa in materia dipartimentale. In effetti durante gli anni prece-
denti si era assistito ad una forte espansione edilizia, alla moderniz-
zazione di macchinari, all'adeguamento della dotazione di strumenti
ma a tutto questo non era corrisposto un proporzionale miglioramen-
to qualitativo dell'assistenza ospedaliera: essa evidentemente passava
attraverso una nuova organizzazione del lavoro. Numerosi erano sta-
ti i piani di lavoro, che negli anni precedenti avevano previsto l'isti-
tuzione dei dipartimenti rimasti tutti puntualmente lettera morta. Fi-
nalmente il consiglio di amministrazione dell'ospedale si decideva a
40
sottoporre allo studio delle organizzazioni sindacali, delle associa-
zioni mediche, degli operatori sanitari e degli enti locali la problema-
tica con il fine ultimo di suscitare delle proposte per la realizzazione
del dipartimento d'emergenza, di quello oncologico e pediatrico.
L'organo direttivo del nosocomio si riservava comunque il diritto di
istituire formalmente i dipartimenti e procedere all’emanazione dei
relativi statuti e regolamenti (Casuccio, 1973).
Nel settembre ’74, il consiglio di amministrazione dell'arciospedale
S.M. Nuova di Reggio Emilia per cercare di recepire le richieste dei
sindacati, le proposte degli enti locali, dei politici e degli stessi medi-
ci e le novità di una riforma sanitaria imperniata sulla tutela attiva
della salute, promuoveva la graduale riorganizzazione interna su basi
dipartimentali, definendo anche una sorta di pseudo-regolamento del
dipartimento (Iniziativa Ospedaliera n. 9/1974).
Presso l'ospedale San Giovanni di Roma il problema del sovraffolla-
mento delle corsie dovuto alla mancata coordinazione nell’uso delle
risorse disponibili finiva inevitabilmente per rendere caotica e ineffi-
ciente l'attività dei dipendenti, che spesso erano condotti alle soglie
dell'esasperazione. Gli stessi operatori sanitari promossero, nel no-
vembre '75, la formazione di una commissione che, ben presto, arrivò
ad evidenziare la necessità di istituire un dipartimento di urgenza e
accettazione che, gestendo meglio le emergenze e consentendo una
programmazione razionale dei ricoveri, certamente non avrebbe ri-
solto di punto in bianco tutti i problemi ma avrebbe comunque con-
sentito un uso più razionale delle risorse e soprattutto un allentamen-
to della pressione a cui giornalmente erano sottoposti i lavoratori. Si
definiva anche una proposta nella quale erano individuati dettaglia-
tamente tutte le divisioni e i servizi che si sarebbero dovuti coinvol-
gere e le competenze loro riservate (Barbatano, 1975).
Citiamo infine, tra i molti, un esempio di sperimentazione del dipar-
timento di emergenza. Nell’aprile '75 la regione Piemonte, al fine di
migliorare i servizi di pronto soccorso sul territorio, istituiva il dipar-
timento di emergenza da collocare presso i vari enti ospedalieri op-
portunamente individuati. Ai consigli di amministrazione di tali no-
socomi furono, a cura della regione, inviate alcune spiegazioni in
merito alla delibera poc’anzi citata e si richiese un resoconto su
quanto si poteva immediatamente realizzare, sulle modifiche da ap-
portare alle strutture esistenti, su quanto doveva essere creato ex no-
41
vo. Il dipartimento di emergenza nella regione diveniva così di fatto
obbligatorio: una scelta questa davvero coraggiosa anche se la man-
canza di risorse e soprattutto la carenza di personale da assegnare
stabilmente al dipartimento rendevano estremamente lunghi i tempi
di realizzazione. Di fronte agli ingenti costi da sostenere si paventa-
va il rischio che la regione fosse tentata di istituire i dipartimenti sul-
la carta senza però dotarli dei necessari supporti di personale , attrez-
zature e locali (Ricciardiello, 1975).
Quelle riportate sono soltanto alcune delle varie iniziative a cui si po-
té assistere in molti ospedali d'Italia, soprattutto di elevate dimensio-
ni dove, l'esigenza di cooperazione era più sentita. Anche da questi
brevi scorci di situazioni profondamente diverse appare chiara la
consapevolezza dei problemi del settore ospedaliero e la convinzione
che i dipartimenti avrebbero potuto risolverne alcuni; stupisce addi-
rittura la decisione con la quale ci si avviava a realizzare delle strut-
ture anche complesse. Allo stesso tempo però appaiono alcuni limiti.
Le iniziative erano certamente lodevoli, ma non andavano quasi mai
oltre la semplice proposta dipartimentale da sottoporre poi alla valu-
tazione del consiglio di amministrazione degli enti ospedalieri. An-
che quando c'era una delibera di attuazione dell'organo direttivo no-
socomiale si prevedeva un lungo arco di tempo per passare alla fase
realizzativa che era spesso sufficiente a rinviarne la realizzazione.
Erano numerose le testimonianze in merito al momento iniziale in
cui l'idea dipartimentale sembrava affermarsi, in cui si istituivano le
organizzazioni ma niente si diceva sui successivi sviluppi, non si ri-
levava alcuna enunciazione trionfalistica dei risultati raggiunti che
pure ci si sarebbe dovuta attendere tenuto conto dell'entusiasmo delle
prime testimonianze. Molto probabilmente mancavano risultati con-
creti da pubblicizzare. Se inizialmente si parlava di diverse tipologie
di dipartimento, con il passare degli anni, tale varietà diminuì forte-
mente e vi fu una evidente convergenza, e le testimonianze rintrac-
ciate lo provano, sul dipartimento d’emergenza sicuramente il più
necessario nella realtà ospedaliera e il più facile da concepire non
tanto strutturalmente quanto concettualmente e culturalmente. Non
si vede infatti quale altro modello sarebbe stato possibile applicare
all’area dell'urgenza data la sua complessità e l'evidente esigenza di
coordinamento delle diverse aree coinvolte.
42
2.3.3 – Un’indagine del 1973 segnala il fallimento di ogni iniziati-
va
A prescindere da queste osservazioni, la conferma dei timori eviden-
ziati appare immediatamente fondata analizzando i dati di una ricer-
ca condotta sul campo dal dottor Carlo Campana nel 1973 e 1974 che
fu oggetto di una relazione alla tavola rotonda sul dipartimento ospe-
daliero, in occasione del congresso nazionale della CIMO a Milano
tenutosi nel giugno ’74. Ne derivava una fotografia, basata su dati
reali della diffusione dei dipartimenti già a qualche anno dall'entrata
in vigore del DPR n° 128 del 1969, che, pur non rispettando alcuna
metodologia statistica, permetteva di leggere alcune conclusioni in-
dicative. CAMPANA (’86).
Nel 1973 venne inviato un questionario a 161 direzioni sanitarie di
altrettanti ospedali italiani. Nel questionario si richiedevano infor-
mazione generiche sulle divisioni e i servizi esistenti nell'ospedale e
soprattutto sui dipartimenti chiedendo di distinguere quelli istituiti ed
operanti, quelli istituiti ma non ancora operanti, quelli oggetto di so-
lo studio.
Si sarebbe così potuto avere un'idea sul numero dei dipartimenti esi-
stenti e soprattutto sulla tipologia a cui appartenevano. La stessa in-
dagine, con le medesime modalità, fu ripetuta nel 1974 al fine di con-
frontare per quanto possibile i dati così raccolti ed avere una qualche
idea sull’evoluzione delle sperimentazioni iniziate nel ’73.
Nel 1973 pervennero 85 risposte e nel 1974 ne giunsero 97 (a fronte
dei 161 questionari inviati ogni volta). In particolare vennero distinte
tre tipologie dipartimentali. La prima comprendeva i dipartimenti che
accorpavano attività identiche, affini e complementari con l’impiego
in comune di aree di servizio (si pensi al dipartimento di medicina o
chirurgia generaleo a quello di cardiologia). Tabella 2.1
La seconda tipologia comprendeva le attività polispecialistiche che
impiegavano strutture specifiche per esse predisposte e usavano ser-
vizi in comune (ad esempio il dipartimento di emergenza, riabilita-
zione o lungodegenza). Tabella 2.2
La terza area dipartimentale raccoglieva le attività specialistiche che
non richiedevano specifiche strutture di servizio (si pensi al diparti-
mento di medicina preventiva o di insegnamento). Tabella 2.3
43
I dati raccolti vennero opportunamente ripartiti sulle tre tipologie
come si evince dalle tabelle citate.
Tenendo conto di questa ripartizione possiamo confrontare i dati re-
lativi ai due anni. Occupiamoci innanzi tutto dei dipartimenti chia-
mati ad integrare attività identiche, affini e complementari con uso
comune di servizi ospedalieri (cfr. tab. 2.1): essi di fatto riguardava-
no importanti aree ospedaliere che se non razionalizzate potevano
operare con inefficienze soprattutto derivanti da sovrapposizioni o
tempi morti nell'uso dei servizi centralizzati necessari.
Tabella 2.1 - Dipartimenti che accorpano attività identiche affini
o complementari con impiego comune di strutture di servizio.
DIPARTIMENTI ISTITUITI ED
OPERANTI
ISTITUITI E NON
OPERANTI
ALLO STUDIO TOTALE
1973 1974 1973 1974 1973 1974 197
3
197
4
MEDICINA Firenze Firen-
ze
Prato Prato Napoli -
Berga-
mo
4 2
CHIRURGIA Firenze Firen-
ze
Napoli 2 1
OSTETRICO PEDIA-
TRICO
Berga-
mo
Reg-
gio
Emilia
Firenze Firenze Napoli
Arezzo
Reggio
Milano
(2)
Arezzo
7 3
PEDIATRIA Prato
Firenze
Prato
Firenze
Arezzo
Monza
Ferrara
Monza
Ferrara
4 5
CARDIOLOGIA Verona Vero-
na
Firenze Firenze Napoli
(2)
Berga-
mo
Gallara-
te 5 3
PNEUMOLOGIA Firenze Firen-
ze
Padova 1 2
URO-NEFROLOGIA Ancona
Pontede-
ra
Firenze
Napoli
Pontede-
ra Fi-
renze
Padova
Ancona
4 4
GASTROENTEROLO-
GIA
Padova Padova Ancona Genova
2 2
DERMATOLOGIA Udine 1
ENDOCRINOLOGIA Padova 1
NEUROCHIRURGIA Verona Vero-
na
1 1
NEUROLOGIA Firenze Firenze
Padova
Ferrara
Napoli
Ferrara
Ancona 3 4
44
CHIRURGIA MAXIL-
LO-FACCIALE
Ferrara Ferrara
1 1
MEDICINA DEL LA-
VORO
Milano 1
GERIATRIA Verona Vero-
na
Trieste
Reggio
Reggio
2 3
PATOLOGIA CLINICA Monza Monza Napoli
(2)
Milano
Lucca
5 1
RADIOLOGIA Trieste Trieste Firenze Firenze Bologna
Lucca
Napoli 5 2
TOTALE 9 9 14 17 27 9 50 35
Fonte: Campana, 1986.
Tabella 2.2 - Dipartimenti che accorpano attività polispecialisti-
che con impiego di strutture specialistiche all'uopo predisposto.
DIPARTIMENTI ISTITUITI ED
OPERANTI
ISTITUITI E NON
OPERANTI
ALLO STUDIO TOTALE
1973 1974 1973 1974 1973 1974 1973 1974
PRONTO SOC-
CORSO
Rho Foggia
Napoli
Foggia
Bergamo
Gallarate
Napoli 2 5
P.S. e TER.INT. La Spezia Genova 1 1
TERAPIA D'URG. Monza Monza 1 1
TERAPIA INT. Lodi Lodi Rho Foligno 2 2
EMERGENZA Busto
A.
Busto A. Ravenna
Modena
Reggio
Arezzo
Imola
Siena
Modena
Trieste 3 7
URGENZA Savona Terni
Cesena 2 1
MEDICINA
D'URG.
Prato Prato
Magenta
Lecco
Magenta
Lucca
Napoli
Lucca
Terni
4 5
ASTANTERIA Terni 1
RIANIMAZIONE Pontedera
Firenze
Pontedera
Firenze
Rho
h
2 4
RIABILITAZIONE Terni 1
45
LUNGODEGENZA Viterbo 1
TOTALE 1 2 5 9 14 15 20 26
Fonte: Campana, 1986.
Tabella 2.3 - Dipartimenti che accorpano attività polispecialisti-
che senza esigenza di specifici servizi.
DIPARTIMENTI ISTITUITI ED
OPERANTI
ISTITUITI E
NON OPERANTI
ALLO STUDIO TOTALE
1973 1974 1973 1974 1973 1974 1973 1974
MEDICINA
PRVENTIVA
Genova Milano
Montebel.
Lucca 4
ONCOLOGIA Ravenna Ravenna Busto
A.
Cesena
3 1
ARTRITE REUM. Bologna Bologna 1 1
DIDATTICO Ancona
Tivoli
Ancona
2 1
MEDICINA PERIN. Pontedera
Milano
Padova Venezia
4
CONSULTORIO Pontedera 1
METBOLOGIA Padova 1
TRAUMATOLOGIA Padova 1
PAT. VASCOLARE Padova 1
MED. INTERNA Lucca 1
FARMACIA Firenze Firenze 1 1
ANALISI CLINICA Firenze Firenze 1 1
MED. OPERATIVA Lucca 1 1
UNITA' CORONA-
RICA
Pinerolo
Senigallia
2
MALAT. TIROIDEE Torino 1
MED. PREV.
ANTI TUMORALE
Torino 1
TERAPIAPIA DO-
LORE
Bergamo
1
MALATTIE CAR-
DIACHE INAF.
Napoli
1
TOTALE 2 3 4 8 9 7 15 18
Fonte: Campana, 1986.
46
Nel 1973 le iniziative dipartimentali intraprese erano ben 50 apparte-
nenti a 18 tipologie diverse. Di queste, 9 erano già operative, 14 era-
no state oggetto di istituzione ma non erano ancora concretamente
operanti e 27 erano ancora in fase di studio. Scendendo a un ulterio-
re livello di dettaglio 45 dipartimenti associavano reparti di cura, i
restanti 5 strutture di servizio.4
Nel 1974 le strutture dipartimentali di questo tipo si erano ridotte a
35: 9 erano operanti, 17 solo istituite, 9 allo studio.5
Nel 1973/74 un solo dipartimento era divenuto operante tra quelli
elencati nella tabella 1, quello di maternità e infanzia di Reggio Emi-
lia che in sede di prima indagine era ancora in fase di studio.
Nessun dipartimento già istituito nel ’73 era divenuto nell'anno suc-
cessivo effettivamente operativo e di 3 non si era più avuto alcuna
notizia. Erano però rilevabili 6 strutture di nuova istituzione.
Tra i numerosi dipartimenti in fase di studio nel ’73 soltanto 1 era
stato istituito pur non essendo ancora divenuto operativo. Tre nuovi
dipartimenti erano entrati nella fase di studio e ben 21 organizzazioni
oggetto di progettazione nel ’73 non erano state più rintracciate nei
risultati della seconda inchiesta.
E' indicativo come in un'area così rilevante quale quella presa in con-
siderazione, un numero di iniziative dipartimentali così elevato siano
sfociate nel nulla, sorprende anche la netta diminuzione di nuove ini-
ziative rispetto a quelle del periodo precedente. Probabilmente le
difficoltà di integrazione di competenze affini, ma comunque rimaste
fino a quel momento autonome, avevano rapidamente smorzato i
primi entusiasmi.
Nel settore delle attività polispecialistiche (cfr. tab.2.2) che richie-
devano l'uso di servizi in comune avevamo, nel 1973, 20 dipartimenti
4
Ben 7 riguardavano il settore ostetrico pediatrico, 5 il cardiologico-
pneumologico, 5 il radiologico, 5 la patologia clinica, 4 il nefrologico, 4 il pediatri-
co, 4 l'internistico, 3 il neurologico.
5
I più gettonati erano il settore pediatrico (5), il nefrologico (4), il neurologico (4),
il geriatrico (3). Le iniziative nel campo ostettrico-pediatrico e in quello cardiolo-
gico erano però passate a 3, rispettivamente da 7 e 5 che erano precedentemente,
un calo altrettanto evidente si era registrato sia in patologia clinica, sia in radiolo-
gia.
47
: 1 già operativo, 5 solo istituiti e 14 allo studio. Ben 15 riguardavano
il pronto soccorso e l'area delle emergenze.
Nel 1974 le iniziative dipartimentali erano diventate 26: 2 operanti, 9
istituite e 15 allo studio. I dipartimenti di emergenza erano netta-
mente preponderanti con ben 22 unità in corso di realizzazione. Un
dipartimento, nel ’73 solo deliberato, nel ’74 era divenuto operativo;
di uno istituito non si avevano più notizie, 6 nuovi dipartimenti erano
stati istituiti nel ’74.
Tra i dipartimenti allo studio si annoveravano nel ’74 ben 11 nuove
iniziative tutte nell'area dell'emergenza. Delle 14 iniziative in studio
nel ’73 ne erano sopravvissute solo 4 mentre delle altre non c’erano
più tracce.
E' indicativo il fatto che ci sia stato addirittura un incremento dei di-
partimenti d'emergenza mentre ancora è elevato il numero delle si-
tuazioni che si sono risolte probabilmente con un nulla di fatto.
Nel ’73 si potevano rilevare 15 iniziative relative ai dipartimenti per
il coordinamento di attività polispecialistica che non necessitano di
strutture di servizio particolari (cfr. tab.2.3): 2 operanti, 4 solo istitui-
te, 9 allo studio.6
Nel ’74 i dipartimenti per i quali esisteva una testimonianza erano
18: 3 operativi, 8 regolamentati, 7 in progettazione.7
Delle 15 iniziative del ’73 solo 4 sono state riconfermate anche se
nessuna di esse era avanzata allo stadio successivo (sono tutte rima-
ste a livello di semplice istituzione).
Le nuove iniziative del ’74 erano 13. Per quanto riguarda le aree di-
sciplinari interessate c'era una evidente disomogeneità.
Ricordiamo infine che nessuna iniziativa dipartimentale era stata de-
nunciata da 47 ospedali nel ’73 e da ben 55 nel ’74.
A questo punto possiamo trarre alcune conclusioni. Restando alle ci-
fre osserviamo nella tabella 2.4 che delle 85 iniziative dipartimentali
del ’73 si era scesi alle sole 79 del 1974. La diminuzione poteva es-
sere ricondotta al calo dei dipartimenti del 1° che erano passate da
50 a 35. Erano aumentati i dipartimenti del 2° tipo (da 20 a 26) e an-
6
4 relative alla medicina preventiva e sociale, 3 all'oncologia, 2 all'insegnamento.
7
4 di medicina perinatale, 1 d’insegnamento. Erano diminuite le iniziative nel set-
tore oncologico passate da 3 a l.
48
che se più modestamente quelle del 3° tipo ( da 15 a 18). Le scelte
dipartimentali riguardavano prevalentemente l'area delle emergenze
in senso lato a cui risultavano interessati ben 22 ospedali.
Tabella 2.4 - Confronto tra i progetti di dipartimento del 1973 e
1974.
DIPARTIMENTI ISTITUITI
E OPE-
RANTI
ISTITUITI
MA NON
OPERANTI
ALLO
STUDIO
TOTALE
1973 1974 1973 1974 1973 1974 1973 1974
Dipartimenti che accorpano attività
identiche affini o complementari con
impiego comune di strutture di servizio
9 9 14 17 27 9 50 35
Dipartimenti che accorpano attività
polispecialistiche con impiego di strut-
ture specialistiche all'uopo predisposto
1 2 5 9 14 15 20 26
Dipartimenti che accorpano attività
polispecialistiche senza esigenza di
specifici servizi
2 3 4 8 9 7 15 18
TOTALE 12 14 23 34 50 31 85 79
Fonte: Campana, 1986.
Spostando il nostro angolo di analisi allo stadio di sviluppo dei dipar-
timenti, si può osservare che a fronte di un modesto incremento dei
dipartimenti operanti (si passava da 12 a 14), di una notevole crescita
di quelli solo istituiti (da 23 a 34), vi era una evidente diminuzione
delle iniziative allo studio (da 50 a 31).
Molto probabilmente la riduzione delle iniziative allo studio era do-
vuta all'esaurirsi della fase iniziale caratterizzata da entusiasmi locali
indotti da interessi politici più che da motivazioni tecniche.
L'altro dato indicativo è la diminuzione delle iniziative del primo tipo
e il contemporaneo forte aumento dei dipartimenti d’emergenza. Ciò
poneva in evidenza la profonda difficoltà a passare dalla scelta con-
tingente di realizzare un dipartimento per fronteggiare impellenti esi-
genze di servizio, (come nel caso delle strutture d'emergenza), ad una
visione globale che inquadrasse il dipartimento come nuova entità
organizzativa funzionale generalizzata all'intero ospedale.
Il proliferare delle iniziative nel settore del pronto soccorso inteso in
senso ampio può essere facilmente spiegato dalla maggiore facilità di
49
comprensione della ragione d'essere del dipartimento in termini teo-
rici. In effetti è a tutti ben evidente che un malato in fase di emer-
genza-urgenza può aver bisogno dell'intervento contemporaneo di
più operatori. Inoltre erano in quegli anni particolarmente preoccu-
panti le enormi carenze dei servizi di emergenza e accettazione degli
ospedali italiani, tanto che si richiedeva da più parti un qualche inter-
vento risolutore.
Questa tendenza peraltro era ampiamente confermata come si evince
dalla tabella 2.5 relativa alle sole nuove iniziative, dal fatto che tra di
esse nel 1974 prevalevano in modo assoluto le scelte del secondo ti-
po che, ricordiamo, comprende il pronto soccorso.
La tabella 2.6 cerca di riassumere i dati relativi al destino delle espe-
rienze avviate nel 1973. Per più del 50% di tali iniziative, solo un
anno dopo, non si avevano più notizie ed è logico presumere che
nessuna di esse fosse andata a buon fine. Ma quello che più colpisce
è la situazione di evidente stallo in cui si trovavano le iniziative del
1973 che fossero sopravvissute fino al ’74: solo 4 dipartimenti su 40
erano riusciti a evolvere verso uno stadio successivo rispetto a quello
in cui si collocavano un anno prima.
Tabella 2.5 - Nuove iniziative sorte tra il 1973 e 1974.
DIPARTIMENTI ISTITUITI
E OPE-
RANTI
ISTITUITI
MA NON
OPERANTI
ALLO
STUDIO
TOTALE
Dipartimenti che accorpano
attività identiche affini o
complementari con impiego
comune di strutture di servi-
zio
6 4 10
Dipartimenti che accorpano
attività polispecialistiche con
impiego di strutture speciali-
stiche all'uopo predisposto
5 11 16
Dipartimenti che accorpano
attività polispecialistiche sen-
za esigenza di specifici servi-
zi
3 4 6 13
TOTALE 3 15 21 39
Fonte: Campana, 1986.
50
Tabella 2.6 - Evoluzione delle iniziative denunciate nel 1973.
DIPARTI-
MENTI
TOTA-
LE 1973
RITROVATE NEL 1974 NON PIU'
RITROVA-
TE NEL
1974
TOTA-
LE
ALLO
STESSO
LIVEL-
LO
AD UNO
STADIO
PIU'
AVANZA-
TO
Dipartimenti che
accorpano attivi-
tà identiche affini
o complementari
con impiego co-
mune di strutture
di servizio
50 25 23 2 25
Dipartimenti che
accorpano attivi-
tà polispecialisti-
che con impiego
di strutture spe-
cialistiche all'uo-
po predisposto
20 11 9 2 9
Dipartimenti che
accorpano attivi-
tà polispecialisti-
che senza esi-
genza di specifici
servizi
15 4 4 11
TOTALE 85 40 36 4 45
Fonte: Campana, 1986.
Tutto questo mette in risalto le notevoli difficoltà che il dipartimento
incontrava nel suo passaggio dalla fase di studio alla fase operativa
quando non fossero definiti con chiarezza e in modo particolareggia-
to fin dal principio i presupposti tecnici e funzionali che ne sono fon-
damento.
2.4 – LE CAUSE CHE HANNO OSTACOLATO LA NASCITA
DEI DIPARTIMENTI
Il panorama che si presentava nel ’74 era certamente scoraggiante.
Già in quegli anni si cercava comunque di trovare una qualche spie-
51
gazione ai ritardi che si stavano inevitabilmente accumulando e ai si-
stematici fallimenti delle diverse esperienze.
Il principale ostacolo all’affermazione dei dipartimenti sembra essere
stata l'istituzione primariale che non voleva rinunciare al suo ruolo
dirigenziale nell'ospedale; ne era una evidente conferma ogni dichia-
razione dei suoi rappresentanti, diretta a smorzare gli entusiasmi e ad
ostacolare le iniziative. Certamente i primari all’interno delle divi-
sioni avevano un enorme potere che spesso veniva gestito all’insegna
del più rigido corporativismo. Nessuno era disposto a rinunciare a
tanti privilegi e i dipartimenti avrebbero prodotto inevitabilmente,
con il passare del tempo, questo risultato.
Molti furono anche i tentativi di approfittare delle trasformazioni per
lasciare in realtà tutto com'era (si cambiava il nome dell'apparato or-
ganizzativo ma ogni cosa sarebbe rimasta come prima). Alcuni osta-
colavano apertamente i dipartimenti e promuovevano la moltiplica-
zione dei primariati. Molte organizzazioni sindacali che avrebbero
potuto dare un forte impulso alle trasformazioni comunque avviate,
finivano per lo scontrarsi tra loro o peggio ancora per cedere
anch’esse a interessi particolaristici favorendo così il perfetto immo-
bilismo decisionale e operativo.
C'era un profondo attaccamento alle tradizioni, alle abitudini, a certi
modelli statici che non erano tali da consentire efficienti e piacevoli
condizioni di lavoro ma per lo meno permettevano di avere un ruolo
attivo all'interno della complessa organizzazione ospedaliera. Le ca-
renze nella preparazione di base degli operatori ai vari livelli riduce-
va la qualità degli interventi organizzativi e impediva la maturazione
di un impegno alla trasformazione che avrebbe potuto evidenziare ta-
le impreparazione; una sorta di timore verso novità i cui effetti erano
imprevedibili. E pensare che proprio i dipartimenti avrebbero
senz'altro favorito la crescita professionale di tutto il personale sani-
tario.
C'era una impreparazione culturale che avrebbe impedito ogni forma
di lavoro di gruppo: l'individualismo imperava incontrastato. I dipar-
timenti dato il contesto normativo potevano nascere, quasi esclusi-
vamente, in conseguenza del libero consenso di tutti i lavoratori im-
plicati con un'evidente prova di buona volontà. Altrettanto rapida-
mente di fronte alle difficoltà il consenso poteva venire meno vanifi-
cando ogni intento (Ciocia, 1976). C’erano anche resistenze legate
52
alla mancanza di un approfondito confronto all'interno del corpo sa-
nitario e di questo con l'amministrazione ospedaliera. Possiamo pe-
raltro distinguere diversi atteggiamenti degli operatori: alcuni rifiuta-
vano i dipartimenti temendo il cambiamento del modo di lavorare;
alcuni li consideravano espressione della lotta di classe con la quale
le categorie meno responsabilizzate ambivano ad avere maggiore po-
tere; alcuni promuovevano una resistenza cocciuta e conservatrice
all'iniziativa, altri tendevano a strafare, ad enfatizzare gli obiettivi e
gli strumenti dipartimentali nella convinzione esagerata di poter ri-
solvere tutti i problemi dei nosocomi. Tutti atteggiamenti fuorvianti
a cui si aggiungevano una miriade di posizioni intermedie che testi-
moniavano l'evidente varietà delle interpretazioni, spesso dettate dal-
la mancanza di approfondite conoscenze in materia (Perraro, 1975).
La struttura ospedaliera nel suo complesso si caratterizzava per una
forte staticità funzionale, organizzativa, territoriale, edilizia, avallata
dalla riforma ospedaliera che non era coerente con la dinamicità e
l'innovatività dei dipartimenti. Inoltre i nosocomi erano caratterizzati
da settorialità dovute alla stratificazione gerarchica che rallentava
l'affermazione di uno schema funzionale di tipo integrato.
La programmazione ospedaliera, che pure aveva fatto tanti buoni
propositi non era quasi mai riuscita a passare alla fase attuativa. La
programmazione regionale dal canto suo non era mai andata oltre la
fase di studio e non era certo riuscita ad impedire la proliferazione di
reparti e servizi; inoltre quasi mai formulava delle direttive univoche
lasciando così nella indeterminatezza le amministrazioni ospedaliere.
Per gli ospedali di più modeste dimensioni mancavano modelli di
confronto dato che i nosocomi più grandi non avevano ancora affron-
tato il problema dipartimentale. La mancanza di esperienze collauda-
te alle quali fare riferimento era un forte freno all'avvio di ogni pro-
getto; le poche esperienze presenti non erano del tutto sovrapponibili
alle realtà locali: una pedissequa copiatura portava spesso a tragici
fallimenti in contesti evidentemente diversi (Scattolin, 1973).
Negli ospedali zonali le dimensioni erano talmente ridotte da aggiun-
gere ulteriori difficoltà alla creazione di qualsiasi dipartimento inter-
no; si imponeva la creazione di strutture intraospedaliere in una logi-
ca di integrazione che ancora non era concepibile (Casuccio, 1973).
I DIPARTIMENTI OSPEDALIERI
I DIPARTIMENTI OSPEDALIERI
I DIPARTIMENTI OSPEDALIERI
I DIPARTIMENTI OSPEDALIERI
I DIPARTIMENTI OSPEDALIERI
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  • 3. 2 FRANCO PESARESI I DIPARTIMENTI OSPEDALIERI La storia, i modelli regionali, i regolamenti. Con un contributo di Riccardo Baci 2000
  • 4. 3 I DIPARTIMENTI OSPEDALIERI. INDICE pagina Prefazione all’edizione digitale del 2023 8 Introduzione. 9 Parte 1: L’organizzazione dipartimentale nella pubblica amministrazione. 12 1. Cenni sull'organizzazione dipartimentale nella pubblica am- ministrazione. 12 1.1 I dipartimenti nell’ordinamento regionale 12 1.2 Il dipartimento nell’Università 13 1.3 La Presidenza del Consiglio dei Ministri 15 1.4 I Ministeri 16 1.5 Conclusioni 17 Bibliografia 17 Parte 2: Storia ed attualità dei dipartimenti ospedalieri. 19 2. Dalla Legge Mariotti alla riforma sanitaria del 1978. 19 di Riccardo Baci 2.1 La riforma ospedaliera del 1968 19 2.1.1 Per la prima volta il legislatore parla di dipartimento 21 2.2 Le trasformazioni del sistema sanitario: la complessità quale fattore critico da fronteggiare 26 2.3 Il dipartimento: strumento ideale per rispondere
  • 5. 4 alla complessità 28 2.3.1 Il dibattito dei primi anni ’70 alimenta l’entusiasmo29 2.3.2 Alcune interessanti esperienze dipartimentali 38 2.3.3 Un’indagine del 1973 segnala il fallimento di ogni iniziativa 42 2.4 Le cause che hanno ostacolato la nascita dei dipartimenti 50 2.5 Gli interventi legislativi della metà degli anni ’70 53 2.5.1 La legge 148 del 1975 54 2.5.2 Il DM 8 novembre del ’76 56 2.5.3 Valutazioni dottrinali 61 2.5.4 L’istituzione del dipartimento psichiatrico 66 3. I dipartimenti nella L. 833/1978 67 di Riccardo Baci 3.1.Le novità introdotte dalle legge 833 del ’78. 67 3.2. I dipartimenti nella legge 833 70 3.3. Precettività dell’articolo 17: alcune valutazioni dottrinali 71 3.3.1. Il modello dipartimentale nelle strutture sanitarie diverse dai nosocomi 75 3.4 Dipartimenti e modello divisionale 77 3.5 Le normative regionali degli anni ’80 in materia Dipartimentale 81 3.6 Le ambiguità legislative producono un fallimento inaspettato 89 3.7. Un’indagine conferma l’immobilismo dei nosocomi. 92 4. Dalle riforma del 1978 ai decreti degli anni ’90. 96 di Franco Pesaresi e Riccardo Baci 4.1 Gli interventi legislativi degli anni ’80 96 4.2 La legislazione dei primi anni ’90 99 4.2.1 Le novità della riforma del ’92 100 4.2.2 I caratteri dei dipartimenti nei Decreti 502/92 e 517/93 102 4.3. Gli ostacoli alla dipartimentazione negli anni ’80 e
  • 6. 5 nei primi anni ’90 104 4.4. Gli interventi normativi più recenti 110 4.5. Il D. Lgs. 229/1999 114 Appendice (estratto del D. Lgs. 229/1999) 118 5. Cenni sull’organizzazione dipartimentale all’estero 124 5.1 I dipartimenti all’estero 124 5.2 I dipartimenti in Francia 125 5.3 I dipartimenti in Inghilterra 129 6. L'organizzazione dipartimentale oggi 135 6.1 Dipartimento strutturale e dipartimento funzionale 135 6.2 Tipologia di dipartimento 136 6.3 Il nuovo ordinamento ospedaliero: le unità operative 140 6.3.1 Il modulo 141 6.4 I vantaggi prodotti dai dipartimenti 142 6.5 Difficoltà 145 6.6 Il dipartimento e le nuove tecniche di gestione 146 Parte 3: La legislazione regionale sui dipartimenti ospedalieri. 157 7. I dipartimenti ospedalieri nelle regioni italiane. 158 7.1. I modelli di dipartimento 158 7.2. La definizione 161 7.3. Le finalità del dipartimento 164 7.4. La classificazione dei dipartimenti 167 7.5. L’aggregazione delle unità operative 169 8.5.1. Il dipartimento strutturale e il dipartimento funzionale 169 8.5.2. Criteri per l’aggregazione 170 7.5.3. Le procedure per l’individuazione dei dipartimenti 175
  • 7. 6 7.5.4. Particolarità di alcuni dipartimenti 177 7.5.5. I dipartimenti transmurali 179 7.5.6. I dipartimenti misti 181 7.6. Organizzazione ed integrazione dipartimentale 186 7.6.1. L’organizzazione interna del dipartimento 186 7.6.2. Le risorse del dipartimento: uso ed assegnazione 192 7.6.3. Budget di dipartimento e sistemi gestionali aziendali 195 7.6.4. La gestione del personale infermieristico e tecnico 197 7.6.5. Formazione e aggiornamento 199 7.7. Gli incentivi alla dipartimentalizzazione 199 7.8. Responsabilità e autonomia decisionale 200 7.8.1. I livelli decisionali del dipartimento 201 7.8.2. Le attribuzioni dei livelli decisionali del dipartimento 209 7.8.3. I rapporti fra il dipartimento e gli altri livelli di direzione 218 7.9. I dipartimenti interaziendali 220 7.9. I risultati dell'assistenza ospedaliera 224 7.9. Sperimentazione e gradualità 225 Conclusioni 226 Bibliografia 227 Riferimento normativi nazionali 228 Riferimenti normativi regionali 229
  • 8. 7 Documentazione: Regolamenti aziendali dei dipartimenti ospeda- lieri. Pag. 234 1. Azienda Ospedaliera "Niguarda Ca' Granda" di Milano - Regione Lombardia: " Regolamento tipo del dipartimento". 2. Azienda Ospedaliera "San Salvatore" di Pesaro - Regione Mar- che: " Regolamento generale del dipartimento" e "Regolamento del Comitato di dipartimento". 3. Azienda U.S.L. Città di Bologna - Regione Emilia Romagna: " Regolamento specifico del dipartimento materno-infantile ospe- daliero". 4. Azienda U.S.L. 9 di Ivrea - Regione Piemonte: "Regolamento sul funzionamento e le attribuzioni del dipartimento" e " Regolamen- to del dipartimento di salute mentale". 5. Azienda U.S.L. 2 "Isontina" - Regione Friuli - Venezia Giulia: "Linee guida per la regolamentazione dei dipartimenti ospedalieri verticali e orizzontali". 6. Azienda U.S.L. Pisa - Regione Toscana: estratto del " Regola- mento generale della Azienda". 7. Azienda U.S.L. Rimini - Regione Emilia Romagna: " Regola- mento di funzionamento del dipartimento immunotrasfusionale interaziendale delle UU.SS.LL. di Cesena, Forlì e Rimini". 8. Regione Marche: "Regolamento del dipartimento regionale di medicina fisica e riabilitazione". Bibliografia generale pag. 329 L’autore pag. 345
  • 9. 8 Prefazione all’edizione digitale del 2023 Ho pubblicato questo libro sui Dipartimenti ospedalieri nel 2000 ed è stato il primo libro che ho curato interamente. Prima avevo scritto dei capitoli in cinque libri diversi ma non avevo mai curato un intero libro. Ha contribuito al libro anche il dott. Riccardo Baci che ha scritto due capitoli sulla storia dei dipartimenti ospedalieri. Perché ripubblico in formato ebook questo libro? Per tre ragioni. Credevo che fosse un libro perduto ma poi ho ritrovato i fi- le word del libro. Manca solo un capitolo sul budget nelle organizzazioni dipartimentali che non ho ritrovato e che è stato scritto a suo tempo dalla dr.ssa Sonia Piercamilli. Peccato! Il libro venne pubblicato da un editore romano che non c’è più per cui non c’è più la possibilità di procurarsi questo li- bro. Infine, ed ecco la ragione più importante, il ritrovamento dei file in word mi ha fatto venire voglia di sfogliare il li- bro cartaceo e mi sono accorto che le cose scritte 23 anni fa sono ancora in gran parte valide ed attuali. Per cui ho ritenuto che possa essere ancora utile rendere di- sponibile questo materiale. 23 aprile 2023. Franco Pesaresi
  • 10. 9 Introduzione. L’idea del dipartimento ospedaliero è nata come risposta alla inade- guatezza dell’organizzazione ospedaliera basata sulla creazione, ma in qualche caso anche proliferazione, di unità operative e di servizi diagnostici che fanno capo a singole discipline mediche, spesso non dialoganti fra di loro. Lo sviluppo storico dell’organizzazione tradi- zionale ha prodotto così la necessità di una organizzazione più flessi- bile, meno costosa e fondata sul concetto della integrazione. Necessi- tà queste importanti nella struttura sanitaria che ha l’obiettivo della tutela sanitaria dell’individuo che per essere efficace ha bisogno di un intervento organico, integrato e spesso multidisciplinare. Da que- sto punto di vista il dipartimento rappresenta sicuramente uno degli strumenti più idonei per un approccio integrato al malato e per il su- peramento delle rigidità tipiche di un assetto organizzativo del lavoro basato sulla gerarchia e sulla divisione delle competenze per materia. Le prime norme sul dipartimento sono state introdotte circa 30 anni fa (art.10 del D.P.R. 128/1969) ma solo negli ultimi 5 anni la discus- sione e l’impegno per la loro realizzazione hanno subìto una forte ac- celerazione. Dopo un accenno ai modelli dipartimentali (1° parte) utilizzati nella pubblica amministrazione, la 2° parte del volume si occupa proprio di ricostruire l’evoluzione normativa e la storia dei dipartimenti ospedalieri in Italia e attraverso queste pervenire ad una definizione concettuale del dipartimento stesso. In questi ultimi anni molte cose sono cambiate. Infatti, mentre all’inizio le norme prevedevano una sorta di “promozione” del mo- dello dipartimentale oggi precise disposizioni fanno sì che l’organizzazione in dipartimenti degli ospedali sia divenuta un obbli- go per cui, tutte le regioni italiane, si stanno misurando con i proble- mi posti da questo modello organizzativo. Proprio per questo la discussione di oggi è assai diversa da quella del passato che si basava su interessanti contributi della letteratura. Oggi, quasi tutte le regioni hanno approvato un loro schema organizzativo dei dipartimenti per cui possiamo discutere di modelli reali scelti dalle istituzioni regionali. Ecco perché la 3° parte del volume si oc-
  • 11. 10 cupa dettagliatamente delle norme e degli schemi organizzativi ef- fettivamente adottati dalle singole regioni a cui peraltro spetta la spe- cifica competenza. Il volume si chiude con quello che vorrebbe essere uno strumento di lavoro e cioè la pubblicazione di alcuni regolamenti aziendali relati- vi ai dipartimenti. I lettori, soprattutto gli operatori interessati, attra- verso la lettura di questi documenti potranno realizzare quel con- fronto con le proprie esperienze, sempre fertile e produttivo. La speranza è quella di aver fornito un contributo utile per la com- prensione del dipartimento ed anche qualche argomento che possa aiutare il dipartimento ospedaliero a diffondersi e a svilupparsi con il consenso degli operatori.
  • 13. 12 1. Cenni sull’organizzazione dipartimentale nel- la pubblica amministrazione. SOMMARIO: 1.1 I dipartimenti nell'ordinamento regionale - 1.2 Il dipartimento nell'Università - 1.3 La Presidenza del Consiglio dei Ministri - 1.4 I Ministeri - 1.5 Conclusioni - Bibliografia. Il termine “dipartimento” deriva dal lessico giuridico inglese (“de- partment”) dove significa sostanzialmente ministero. In Italia il ter- mine è stato utilizzato per l’organizzazione di diversi settori della pubblica amministrazione e non sempre con l’identico significato: la Presidenza del Consiglio dei Ministri, i Ministeri, l’Università, le Regioni e le aziende sanitarie. 1.1. I dipartimenti nell’ordinamento regionale. I primi enti pubblici ad introdurre una terminologia ed una organiz- zazione dipartimentale nella propria struttura sono state probabil- mente le regioni a proposito della propria organizzazione interna. Diverse regioni hanno infatti previsto la creazione dei dipartimenti intesi come la risultante del raggruppamento di settori diversi della organizzazione regionale protesi al perseguimento di obiettivi omogenei. La regione Liguria, infatti, sin dal 1978 (L.R. 27/1978, art.18 c.2), stabiliva che “I dipartimenti costituiscono l’aggregazione orizzontale dei settori che hanno tra di loro carattere di complemen- tarietà ed interdipendenza in relazione agli obiettivi della Regione nelle vaste aree di attività e alla natura funzionale ed operativa dei settori stessi”. Allo stesso modo la regione Abruzzo, nel 1980 (L.R. 11/1980 art.35), affermava che i dipartimenti erano la riunione dei settori della Giunta regionale che perseguono obiettivi comuni. Essi sono “costituiti dai componenti della Giunta regionale preposti ai set- tori omogenei anzidetti ed, in tale composizione, si collocano nella struttura operativa della stessa Giunta regionale, quali collegi deputa- ti ad esercitare funzioni di sovrintendenza e di coordinamento
  • 14. 13 sull’apparato amministrativo risultante dalla concentrazione dei cen- nati settori.” Sintetizzando possiamo dire che i dipartimenti regionali si configurano come strutture costituite dal raggruppamento di settori omogenei di funzioni del governo regionale caratterizzati dal conno- tato della complementarietà e interdipendenza che perseguono, coor- dinando gli interventi, gli obiettivi della regione. 1.2. Il dipartimento nell’Università. Dopo le regioni è stata l’Università a prevedere una organizzazione dipartimentale con la L.28/1980 e soprattutto, dettagliatamente, con il D.P.R. 11 luglio 1980, n. 382 (artt. 83-86). I dipartimenti universi- tari vengono presentati come sperimentazioni che le Università pos- sono avviare intendendoli come aggregazioni di uno o più settori di ricerca omogenei per fini o per metodo e dei relativi insegnamenti che promuovono e coordinano le attività di ricerca nelle università, ferma restando l’autonomia di ogni singolo docente ricercatore. I set- tori di ricerca e i relativi insegnamenti possono essere afferenti a più facoltà o a più corsi di laurea della stessa facoltà. Sono dunque i di- partimenti che organizzano le strutture per la ricerca e ad essi ven- gono affidati, di norma, i programmi di ricerca che si svolgono nell’ambito dell’Università. In sostanza il dipartimento promuove e coordina l’attività di ricerca, organizza e concorre all’organizzazione dei corsi per il conseguimento del dottorato di ricerca, concorre, con i consigli di corso, con gli organi direttivi delle scuole di specializza- zione alla relativa attività didattica. Il dipartimento universitario ha i suoi organi che sono il direttore, il consiglio e la giunta con attribuzioni assai rilevanti nel campo della definizione dei programmi della ricerca e della gestione dei fondi della ricerca tanto che lo stesso dipartimento ha “autonomia finanzia- ria ed amministrativa e dispone di personale tecnico ed amministra- tivo per il suo funzionamento” (D.P.R. 382/80 art. 86). Il direttore del dipartimento è eletto tra i professori dagli stessi, dai ricercatori e dagli associati, per tre anni rinnovabili. La Giunta è composta da almeno tre professori ordinari, tre professori associati, due ricercatori, il direttore e da un segretario amministrativo con voto consultivo, eletti dalle singole componenti. La Giunta ha il compito di coadiuvare il Direttore nell’esercizio delle proprie funzioni.
  • 15. 14 Spetta al direttore presiedere il Consiglio, avere la rappresentanza del dipartimento, curare l’esecuzione delle decisioni, vigilare nell’ambito del dipartimento per l’osservanza delle leggi, dello statu- to e dei regolamenti e tenere i rapporti con gli organi accademici. Inoltre, il direttore coadiuvato dalla Giunta esercita le seguenti attri- buzioni: 1. Predispone annualmente le richieste di finanziamenti e dell’assegnazione di personale non docente per la realizza- zione dei programmi di ricerca; 2. Propone il piano annuale delle ricerche del dipartimento e la eventuale organizzazione dei centri di studio; 3. Predispone annualmente una relazione sui risultati della spe- rimentazione; 4. Mette a disposizione del personale docente i mezzi e le at- trezzature necessarie per la preparazione dei dottorati di ri- cerca; 5. Ordina strumenti, lavori, materiale anche bibliografico e quanto altro serve per il buon funzionamento del diparti- mento. Il Consiglio di dipartimento è composto dai professori, dagli assi- stenti del ruolo ad esaurimento, dai ricercatori, da una rappresentanza del personale non docente e dagli studenti iscritti al dottorato di ri- cerca a cui è possibile aggiungere una rappresentanza elettiva degli studenti. Il Consiglio di dipartimento esercita invece le seguenti at- tribuzioni: 1. Detta i criteri generali per la utilizzazione dei fondi assegna- ti al dipartimento per le sue attività di ricerca e per l’uso coordinato del personale, dei mezzi e degli strumenti in do- tazione; 2. Approva le proposte formulate dal direttore coadiuvato dalla Giunta; 3. Approva i singoli piani di studio e di ricerca per il conse- guimento del dottorato di ricerca; 4. Dà pareri in ordine alle chiamate dei professori; 5. Collabora con gli organi di governo dell’Università; 6. Approva i bilanci preventivi e consuntivi del dipartimento. In sostanza il dipartimento universitario ha una forte caratterizzazio- ne contraddistinta dalla autonomia finanziaria ed amministrativa
  • 16. 15 ma ha un campo di azione sostanzialmente limitato occupandosi so- lo di ricerca. L’introduzione del dipartimento nell’Università ha eliminato la mol- tiplicazione di microstrutture specializzate (gli istituti universitari) che producevano sperpero di risorse e difficoltà di coordinamento per la frammentazione e la duplicazione delle strutture. La creazione dei dipartimenti e il contemporaneo assorbimento degli istituti ha per- messo una ripartizione delle competenze per materia meno settoriale finalizzata alla promozione, al potenziamento e al coordinamento della ricerca scientifica. 1.3. La Presidenza del Consiglio dei Ministri. L’organizzazione dipartimentale è stata introdotta nella Presidenza del Consiglio dei Ministri con L. n.400/1988 al fine di perseguire l'u- niformità di indirizzo amministrativo in settori ove sussistevano unità operative di tipo diverso. La riforma si rese necessaria per riordinare una struttura di grandi dimensioni formata dai più svariati uffici rag- gruppati in ripartizioni e servizi, ma che mancavano sia della fase della verifica del lavoro svolto sia della disponibilità di risorse. All’interno della Presidenza del Consiglio troviamo due diverse tipo- logie di dipartimenti:  Dipartimenti a disposizione delle competenze costituzionali del Presidente del Consiglio;  Dipartimenti dipendenti dai Ministri senza portafoglio (Diparti- mento per la Funzione Pubblica, 1983/1984; Dipartimento per i rapporti con il Parlamento, 1990; Dipartimento delle politiche comunitarie, 1990; Dipartimento della Protezione Civile, 1992; ecc.). Hanno una struttura organizzativa rigida simile a quella di un Ministero e si caratterizzano per gli ampi poteri di coordina- mento e di programmazione. Dal punto di vista dell’organizzazione amministrativa il dipartimen- to, secondo la L.400/1988 (art.21), sembrerebbe connaturarsi come una pluralità di uffici con competenza ed organizzazione omogenea a cui siano state affidate delle funzioni.
  • 17. 16 1.4. I Ministeri. Nei primi anni novanta, la parola dipartimento è stata utilizzata per alcuni ministeri come il Ministero dell'Industria , commercio e arti- gianato, per diversificare le funzioni all'interno del Ministero stesso. Infatti con L.537/1993 è stata introdotta una netta distinzione tra le Direzioni Generali, preposte a compiti di amministrazione attiva, e i dipartimenti aventi, invece, funzioni di supporto, di servizio, di ri- cerca e di studio. Successivamente con la Riforma dell’organizzazione del Governo (L. 30 luglio 1999, n.300) la dipartimentalizzazione è diventata una modalità organizzativa ampiamente utilizzata ed anche definita. In- fatti i dipartimenti diventano le strutture di primo livello di 9 ministe- ri mentre in altri tre (Affari esteri, Difesa, Beni ed attività culturali) continuano a rimanere le divisioni generali le strutture di riferimento di primo livello. La legge non dà una definizione compiuta del dipar- timento ministeriale ma ne definisce i compiti e le attribuzioni. Si di- ce infatti che sono costituiti per assicurare l’esercizio organico ed in- tegrato delle funzioni. A questo proposito ad essi sono attribuiti compiti finali concernenti grandi aree di materie omogenee e i relati- vi compiti strumentali, ivi compresi quelli di indirizzo e coordina- mento delle unità di gestione in cui si articolano i dipartimenti stessi, quelli di organizzazione e quelli di gestione delle risorse strumentali, finanziarie ed umane ad essi attribuite. Il dipartimento è diretto dal capo del dipartimento da cui dipendono funzionalmente gli uffici di livello dirigenziale generale compresi nel dipartimento stesso. Il capo del dipartimento svolge compiti di coordinamento, direzione e con- trollo degli uffici di livello dirigenziale generale compresi nel dipar- timento stesso, al fine di assicurare la continuità delle funzioni dell’amministrazione ed è responsabile dei risultati complessivamen- te raggiunti dagli uffici da esso dipendenti, in attuazione degli indi- rizzi del ministro. 1.5. Conclusioni. La funzione che lega le varie esperienze dipartimentali esaminate è senz’altro quella del “coordinamento” di uffici diversi che operano in settori spesso complementari e/od interdipendenti e che perseguono finalità predefinite di pubblico interesse.
  • 18. 17 “La funzione del coordinamento si esplica in molteplici istituti o fi- gure: da quelli che appaiono espressivi di poteri di alta direzione, di indirizzo e controllo all’interno delle strutture di governo, agli altri diretti ad assicurare la partecipazione di una volontà coordinatrice al processo di formazione degli atti. E’ evidente che l’autorità cui sono affidati poteri di coordinamento occupa spesso una posizione di ver- tice nell’ordinamento delle funzioni amministrative e per questo è chiamata a svolgere un ruolo, secondo i casi, di alta direzione o di vigilanza, ovvero di controllo sull’esercizio delle attività amministra- tive (Oneto, 1996). Nell'esercizio del coordinamento una particolare sottolineatura spes- so viene posta all'esigenza di garantire l'uniformità dell'indirizzo amministrativo delle unità operative coinvolte. BIBLIOGRAFIA.  D. Lgs. 23 luglio 1999, n.300 concernente: “Riforma dell’organizzazione del Governo, a norma dell’articolo 11 della L. 15 marzo 1997, n.59”.  D.P.R. 11 luglio 1980, n.382 concernente: “Riordinamento della docenza universitaria, relativa fascia di formazione nonché spe- rimentazione organizzativa e didattica”.  L. 23 agosto 1988, n.400 concernente : “Disciplina dell’attualità di Governo e ordinamento della Presidenza del Consiglio dei Mi- nistri”.  Oneto A., Cilione G., Gori M.C., Guglielmi A., Mazza M., Maz- zantini G., Mimmo A.R., Zanoli C., L’organizzazione diparti- mentale nel processo di riordino della sanità pubblica, Universi- tà di Bologna- SPISA, 1995-96.
  • 19. 18 Parte 2 Storia e attualità dei dipartimenti ospedalieri
  • 20. 19 CAPITOLO 2 DALLA LEGGE MARIOTTI ALLA RIFOR- MA SANITARIA DEL 1978. di Riccardo Baci SOMMARIO: 2.1 La riforma ospedaliera del 1968 – 2.1.1 Per la prima volta il legislatore parla di dipartimento – 2.2 Le trasfor- mazioni del sistema sanitario: la complessità quale fattore critico da fronteggiare – 2.3 Il dipartimento: strumento ideale per ri- spondere alla complessità – 2.3.1 Il dibattito dei primi anni ’70 alimenta l’entusiasmo – 2.3.2 Alcune interessanti esperienze di- partimentali – 2.3.3 Un’indagine del 1973 segnala il fallimento di ogni iniziativa – 2.4 Le cause che hanno ostacolato la nascita dei dipartimenti – 2.5 Gli interventi legislativi della metà degli anni ’70 – 2.5.1 La legge 148 del 1975 – 2.5.2 Il D.M. 8 novembre del 1976 – 2.5.3 Valutazioni dottrinali – 2.5.4 L’istituzione del dipar- timento psichiatrico 2.1 – LA RIFORMA OSPEDALIERA DEL 1968. Durante la metà degli anni ’60, consapevoli delle disuguaglianze ter- ritoriali e sociali generate dal modello di organizzazione sanitaria e previdenziale basato sull'attività delle mutue, si sviluppò un profondo dibattito politico in merito alla opportunità di valutare i problemi sa- nitari in termini universalistici nella convinzione della necessità di considerare i temi della sanità e dei servizi sociali come fonte di be- nessere collettivo e primaria esigenza della popolazione al punto da richiedere un maggior interessamento della programmazione econo- mica e dell'impegno finanziario pubblici. La netta opposizione dei centri di potere ad una riforma in tale sen- so, convinse allora la classe politica a rinviare il varo di una normati-
  • 21. 20 va così impegnativa nella sua fase di realizzazione a data da destinar- si e portò il parlamento ad occuparsi della riforma ospedaliera, cer- tamente più semplice da attuare. D'altra parte era a tutti evidente che la struttura organizzativa degli ospedali italiani non era assolutamente in grado di fronteggiare la maggiore complessità operativa derivante dallo sviluppo della medi- cina specialistica e soprattutto della tecnologia. Le strutture ospeda- liere erano gestite come fossero degli enti di beneficenza e non era raro imbattersi in serie difficoltà di funzionamento che compromet- tevano la loro stessa missione. Come se non bastasse si poteva assi- stere ad una forte differenziazione territoriale nella stessa disponibili- tà di strutture e operatori che in un paese moderno non potevano es- sere più tollerati (Vicarelli, 1997). Si arrivò così alla riforma ospedaliera con la Legge n° 132 del 12 febbraio ’68. L'ospedale fu costituito come ente dotato di personalità giuridica, caratterizzato da autonomia gestionale e patrimoniale, strettamente legato al territorio in cui operava (si ricordi che i com- ponenti del consiglio di amministrazione erano eletti prevalentemen- te dagli enti pubblici territoriali). Ai cittadini fu dato un punto di ri- ferimento a cui potersi rivolgere in caso di necessità uniformemente disponibile nel territorio nazionale. La nuova struttura organizzativa sarebbe stata governata da un consi- glio di amministrazione che, data la collegialità, avrebbe dovuto ga- rantire il rispetto dei principi democratici nella gestione degli ospeda- li. Il Parlamento con la 132 del ’68 affidò al Governo anche la dele- ga per emanare delle leggi che disciplinassero in modo più ampio i servizi ospedalieri. Tra queste ci interessa in particolare ricordare il DPR n° 128 del 27 marzo 1969 relativo all’ordinamento interno dei servizi ospedalieri che, individuati i servizi fondamentali su cui si ba- sava l'attività degli ospedali, si soffermava su alcune raccomandazio- ni squisitamente organizzative che tra poco avremo modo di analiz- zare. Le novità della normativa furono molte, soprattutto dal punto di vi- sta organizzativo, ma nonostante questo la 132 del ’68 non riuscì comunque a farsi promotrice del cambiamento auspicato e dell'effi- cienza operativa ricercata, pur restando un punto di riferimento nel panorama giuridico sanitario per molti anni sino ad arrivare ai giorni nostri. Per molti versi anzi essa avviò quel processo di burocratizza-
  • 22. 21 zione che, radicato nella mente degli operatori del settore, rappresen- ta il principale ostacolo al cambiamento culturale promosso recente- mente (Zanetta, 1997). 2.1.1 – Per la prima volta il legislatore parla di dipartimento Il DPR 128 del 1969 per la prima volta propose agli operatori del set- tore ospedaliero un aggregato organizzativo che, negli anni successi- vi, con molte difficoltà, sarebbe dovuto essere ripresentato più volte per poi diventare recentemente obbligatorio: il dipartimento. L'art.10 della normativa intitolato all'organizzazione funzionale delle divisioni, sezioni, servizi speciali tra loro affini e complementari, re- cita testualmente: "Le amministrazioni ospedaliere possono realizza- re nell'ambito di ciascun ospedale, strutture organizzative a tipo di- partimentale tra divisioni, sezioni e servizi affini e complementari al fine della loro migliore efficienza operativa, dell'economia di gestio- ne e del progresso tecnico e scientifico”. Come possiamo facilmente capire, il legislatore non rese obbligatoria la creazione dei dipartimenti all'interno degli ospedali, ma si limitò, in quella fase, a consigliarne l'impiego. Rendere facoltativo il modello dipartimentale equivaleva già a porlo in secondo piano rispetto ad altre fattispecie operative ed organizza- tive che erano invece obbligatorie e su cui si concentrarono gli sforzi di attuazione delle dirigenze ospedaliere. Se tutto avesse funzionato bene si sarebbe eventualmente potuto anche sperimentare questa ul- teriore possibilità, altrimenti nessuno avrebbe potuto avanzare criti- che o pretendere nulla. Un vincolo di obbligatorietà invece, magari abbastanza dilazionato nel tempo, avrebbe portato ad un maggiore dibattito e ad una maggiore attuazione sperimentale che avrebbe po- tuto rappresentare il punto di partenza per l'adozione della nuova modalità organizzativa. Le finalità perseguite attraverso la diffusione dei dipartimenti furono ben delineate dalla legge: il miglioramento della efficienza operativa delle divisioni, sezioni e servizi esistenti in ospedale, la realizzazione di condizioni di economicità di gestione, la promozione del progres- so tecnico e scientifico.
  • 23. 22 Già allora il legislatore si rese conto dell’importanza dell'efficienza nello svolgimento delle attività istituzionali ospedaliere. Di fronte a delle strutture ospedaliere, gestite spesso con criteri tutt'altro che ra- zionali, l’aumento dell'efficienza diventava un fattore fondamentale di successo e strumento irrinunciabile per garantire ai cittadini un’assistenza qualificata e generalizzata. Il dipartimento avrebbe quindi dovuto garantire economie e razionalità nella gestione di ri- sorse nonché costituire lo strumento di governo della crescente com- plessità operativa, tecnologica e scientifica. Una formulazione di obiettivi sicuramente condivisibile, ma non era sufficientemente spiegato come il dipartimento avrebbe potuto condurre a tutto questo: una ulteriore difficoltà da affrontare nel momento realizzativo che dovette sicuramente pesare come un macigno su coloro che fossero stati intenzionati ad avviare una seria dipartimentalizzazione. Il di- partimento avrebbe dovuto raccogliere al suo interno divisioni, se- zioni, servizi che fossero stati affini e complementari e che attraverso un maggiore coordinamento avrebbero potuto funzionare meglio al fine di realizzare gli obiettivi appena visti. Ma che cosa si intendeva, all’epoca , per divisioni, sezioni e servizi? Ricordiamo innanzi tutto che non ci troviamo di fronte a delle novità, anzi, con la legge, veniva riproposta tale e quale la rigida struttura- zione interna dei nosocomi risalente al decreto Regio n° 1631 del 30 settembre 1938 (capo 1°, articolo 4). Il Regio Decreto del 38 parlava oltre che di divisione e di sezione, anche di reparto inteso come setto- re dell'ospedale dove si eseguono determinate e specifiche cure costi- tuito da una o più divisioni omogenee per patologia trattata, con evi- denti funzioni di coordinamento. Ci troviamo di fronte a una sorta di precursore del dipartimento per quanto riguarda gli obbiettivi di inte- grazione perseguiti che però, non assunse in tale senso alcun rilievo. Si voleva definire un settore operativo con un campo d'azione più va- sto di quello riconosciuto alle aree divisionali per cercare di rimedia- re, fin da allora, alla frammentazione dell'intervento medico creata dalla suddivisione dell'ospedale in divisioni e sezioni. Non venne però previsto alcun raccordo tra le diverse strutture esi- stenti ed anzi, fu precisato che il reparto poteva, se necessario, coin- cidere con un'unica struttura dotata anche di soli 15 posti letto. Que- sto “settore” ospedaliero si risolveva così in una semplice colloca- zione ambientale di più unità specialistiche, priva di ogni funzione
  • 24. 23 coordinativa. Da ciò derivò l'uso distorto del termine rispetto alle fi- nalità originarie, impiegato fino ad oggi per indicare semplicemente il luogo della degenza. L'originale concetto di reparto che pure non venne ripreso dal legisla- tore del ’68 in modo puntuale, doveva essere comunque confusamen- te presente nella sua mente nel momento in cui pensò al dipartimen- to. Le divisioni, le sezioni e i sevizi erano le strutture organizzative at- traverso le quali l'ospedale avrebbe dovuto svolgere le sue funzioni istituzionali: esse sarebbero rimaste praticamente immutate fino agli anni ’90, con qualche formale variante terminologica. Le divisioni erano delle entità organizzative che negli ospedali avevano il compi- to di erogare prestazioni omogenee dal punto di vista sanitario agli utenti, avvalendosi della collaborazione di un certo numero di perso- ne e dell'impiego di una certa tipologia e quantità di strumenti tecni- ci. Ogni divisione si faceva promotrice di un intervento sanitario che corrispondeva a uno degli insegnamenti clinici previsto in ambito universitario; l'appartenenza a una di questi insegnamenti era poi condizione per poter partecipare ai concorsi per primario o comun- que per sanitario ospedaliero. La divisione diventava così la cellula operativa fondamentale, attraverso la quale erogare prestazioni e ser- vizi di diagnosi e cura negli ospedali e modalità organizzativa per di- stinguere le varie branche operative attivate. Ogni divisione era diretta da un primario che era investito della re- sponsabilità medico-gestionale del personale ivi operante, coadiuvato da aiuti e assistenti con i quali si rapportava secondo uno schema ri- gidamente gerarchico. Le sezioni erano delle articolazioni interne alle divisioni, come pre- visto dagli art.7 e 8 del DPR 17 marzo 1969 n° 128, da realizzare al fine di ripartire in settori una struttura organizzativa spesso eccessi- vamente complessa, garantendo così una maggiore specializzazione degli operatori e maggiore funzionalità complessiva. Anche per l’individuazione delle sezioni venne prevista la competenza statale: per cui le sezioni in cui era possibile articolare l'attività ospedaliera erano individuate dalla normativa nazionale, in particolare, da quella relativa agli insegnamenti clinici previsti nell’ordinamento universi- tario.
  • 25. 24 I servizi erano entità organizzative accessorie; erano infatti chiamati ad erogare prestazioni strettamente strumentali rispetto a quelle ero- gabili dalle diverse divisioni. L'art.12 e seguenti del DPR 27 marzo 1969 n° 128 evidenziò chiaramente il nesso di strumentalità che le- gava le due fattispecie organizzative. Inoltre anche i criteri di indi- viduazione dei servizi dovevano essere desunti dalla normativa stata- le (AA.VV., 1981). Il legislatore invece non si soffermò abbastanza sulla definizione dell'assetto organizzativo che i dipartimenti avreb- bero dovuto assumere e questo nei primi anni dopo la riforma fu un serio ostacolo alla loro attuazione. Il secondo comma dell'art.10 del DPR 128 del ’69 affermava che la definizione dei criteri organizzativi a cui riferirsi per la creazione di tali strutture dovevano essere deliberati dal consiglio di amministra- zione, organo decisionale degli enti ospedalieri. Una norma troppo generica che se da un lato lasciava ampia libertà alle strutture ospe- daliere dall'altro creava loro non pochi problemi nel definire le carat- teristiche di una entità fortemente innovativa tutta da sviluppare. Non a caso dopo pochi anni di fronte alla esigenza di una maggiore chia- rezza e analiticità, il legislatore intervenne nuovamente per eviden- ziare le componenti essenziali che si sarebbero dovute prevedere per realizzare concretamente i dipartimenti. Il secondo comma dell'art.10 continuava poi aggiungendo che la di- rezione dei dipartimenti doveva essere affidata ad un comitato: cioè ad un organo collegiale che avrebbe consentito la partecipazione alle discussioni e alle decisioni ai dirigenti delle varie sub-organizzazioni ospedaliere e ad una rappresentanza dei medici che vi lavoravano. Una previsione questa necessaria al fine di garantire quella integra- zione di funzioni e competenze che era la principale finalità perse- guita. In particolare al comitato partecipavano: il direttore sanitario dell'ospedale, al quale evidentemente era riconosciuto il ruolo di su- pervisore o comunque di garante dell'unità di azione dei dipartimenti, in funzione degli obiettivi perseguiti dal nosocomio considerato nella sua interezza; i primari responsabili delle divisioni; gli aiuti capi di sezione o di servizi autonomi; nonché gli aiuti ed assistenti in nume- ro corrispondente alla loro rappresentanza nel consiglio dei sanitari
  • 26. 25 secondo quanto previsto dall'art.13 della legge 12 febbraio 1968, n° 132.1 Evidentemente, si voleva garantire la partecipazione dei vari ruoli professionali nei dipartimenti mantenendo un certo equilibrio nume- rico tra gli stessi al fine di evitare una eccessiva influenza di alcune categorie particolarmente numerose, ma gerarchicamente subordina- te. Il DPR 128 del ’69 si fermava qui: la formulazione proposta dal legi- slatore era molto generica probabilmente condizionata dalla cautela necessaria per proporre uno schema la cui validità nel nostro paese era ancora tutta da dimostrare. Inoltre, vi fu, forse, anche una ecces- siva fiducia nelle strutture ospedaliere e nei suoi dirigenti ritenuti ca- paci, partendo da questi pochi spunti, di realizzare, di punto in bian- co, una struttura così complessa. Ciononostante l'art.10 del DPR n°128 del ’69 ha l'indubbio merito, seppure con le sue contraddizioni e i suoi silenzi, di aprire la strada ad un lungo processo di trasformazione organizzativa che ha conti- nuamente riproposto il dipartimento come fattore di efficienza e inte- grazione. La normativa appena analizzata non mancò, negli anni successivi di promuovere un serio dibattito sui dipartimenti: molti fu- rono gli esperti a manifestare il loro entusiasmo per questa novità, al- trettanti i convegni in cui si sprecarono lodi e consigli operativi, in- numerevoli furono i dirigenti di nosocomi a intervenire e prestare la propria attenzione. Nei primi anni ’70, spinti da un evidente quanto effimero entusia- smo, molti ospedali italiani fissarono l'obiettivo di creare una simile organizzazione nel loro ambito ed è logico presumere che qualche sforzo in tale senso fu fatto. Ben presto però, di fronte alle difficoltà incontrate, nel realizzare la riforma nel suo complesso e alla opposi- 1 La legge prevedeva che il consiglio dei sanitari, tra gli altri, fosse compo- sto anche da aiuti e assistenti in numero uguale e non superiore complessi- vamente ai due quinti dei componenti del consiglio stesso, eletti in separate assemblee dagli aiuti e assistenti di ruolo dell'ente ospedaliero e continuava affermando che ove il numero complessivo degli aiuti e degli assistenti da eleggere fosse risultato dispari, il componente in più doveva essere attribui- to agli aiuti.
  • 27. 26 zione interna dei primari, si pensò bene di lasciare tutto com’era ma- gari usando la giustificazione della mancanza di puntuali linee orga- nizzative nazionali (che peraltro giunsero nel 1975) (Falanga, 1981). 2.2 – LE TRASFORMAZIONI DEL SISTEMA SANITARIO: LA COMPLESSITA’ QUALE FATTORE CRITICO DA FRONTEGGIARE All'inizio degli anni, ’70 grazie anche alla riforma ospedaliera appe- na varata, il panorama regolamentare in cui operavano i nosocomi appariva sufficientemente dettagliato e puntuale. L'ospedale era inca- ricato dell'attività di diagnosi e cura attraverso l'uso di strutture e tec- nologie molto articolate e complesse; le funzioni mediche erano as- segnate al primario coadiuvato da aiuti e assistenti, tutti inquadrati per singole discipline e investiti del potere di gestione sulle risorse disponibili. Le varie discipline ospedaliere erano definite da puntuali norme giuridiche, mentre le funzioni e le responsabilità dei diversi ruoli professionali erano regolate spesso dalla prassi e in modo diver- so a seconda del progresso scientifico raggiunto dai vari settori (Campana, 1986). Fin dagli anni ’60 apparivano nella loro complessità e in alcuni casi nella loro drammaticità, le molte trasformazioni verificatesi nel modo di gestire ed erogare assistenza ospedaliera. Si era assistito ad un forte aumento della complessità, sia dal punto di vista strutturale, da- ta la maggiore quantità di risorse necessarie, sia da quello funzionale, vista l'esigenza di mantenere strettamente collegate competenze e ruoli fortemente differenziati e risorse dislocate in ambiti operativi rigidamente separati se non completamente autonomi. Questa situa- zione seppure con un'intensità differente era presente in ogni realtà ospedaliera indipendentemente dalle sue dimensioni; si pensi che in un ospedale di circa 1000 posti letto situato in un capoluogo di pro- vincia erano presenti, in quegli anni, intorno ai 40 primariati, con e senza degenza, si contavano almeno 400 centri di costo o di sevizio, lavoravano sui 1500 dipendenti dei quali 300 erano laureati, accede- vano giornalmente migliaia di persone. Un grande e crescente peso stava assumendo la differenziazione specialistica; fino agli anni ’60 le branche mediche erano poche e
  • 28. 27 consolidate nel tempo, ma ben presto, lo sviluppo della scienza me- dica portò all'esigenza di creare competenze sempre più specifiche che potessero fronteggiare le molte patologie in modo più diretto e professionale. Se fino al 1960 gli ospedali situati in un capoluogo di provincia erano caratterizzati dalla presenza di 12-15 primariati, ne- gli anni successivi i grandi reparti furono divisi per il prepotente emergere di nuove specialità, per l'istituzione di servizi di diagnosi o cura con pochi posti letto se non, in alcuni casi, privi di degenza. Le suddivisioni delle branche mediche e chirurgiche esistenti si susse- guirono ad un ritmo impressionante: dove prima c'era un grande re- parto o una grande divisione ora se ne riscontravano molte di più, ca- ratterizzate da piccole dimensioni. Le nuove specialità dopo aver conquistato l'indipendenza dal punto di vista medico, non esitarono a conquistare piena dignità professionale e scientifica, anche all'interno dei luoghi di lavoro. La loro rapida proliferazione non mancò di ge- nerare nuove esigenze organizzative: ben presto si manifestarono conflittualità tra le diverse divisioni per l'uso delle risorse comuni e apparve in tutta la sua crudezza l'esigenza di coordinamento che l'or- ganizzazione esistente di fatto ostacolava. Era a tutti evidente il veloce sviluppo della tecnologia che proponeva agli operatori del settore strumenti di grande validità che finivano per rivoluzionare le modalità di lavoro dei medici e per richiedere nuove delicate competenze. Se in passato un medico dotato di una buona preparazione era in grado di fronteggiare, dal punto di vista profes- sionale, molte delle patologie che gli si potevano presentare dinanzi, con il proliferare delle specializzazioni, le competenze divennero più particolaristiche ed era frequente la necessità, di fronte ai singoli casi di un consulto con altri specialisti. Il medico migliore non si identi- ficava più attraverso la sua capacità di acquisire così tante conoscen- ze da essere in grado di curare ogni malattia, cosa peraltro divenuta impossibile data la complessità di nozioni ed esperienze necessarie per fronteggiare le singole patologie, bensì, tramite la sua abilità nel lavorare in stretta collaborazione con i suoi colleghi. La nuova cultu- ra della cooperazione si sarebbe dovuta diffondere rapidamente, tutti ne erano consapevoli eppure chi vedeva ancora nel ruolo tradizionale dello specialista tuttofare una insostituibile fonte di prestigio non esi- tò a contrastarla e ad opporsi a qualunque soluzione organizzativa che avesse potuto agevolarne l'affermazione.
  • 29. 28 Tutte queste novità come già accennato furono causa di un ulteriore aumento della complessità organizzativa a cui si accompagnò un al- trettanto rapida crescita dei costi da fronteggiare: ciò finiva inevita- bilmente con lo spostare il baricentro dell'attenzione sull'attività ge- stionale che, confermando il suo ruolo cruciale, avrebbe potuto al- meno in parte risolvere queste problematiche. In realtà le inefficien- ze erano causate frequentemente non tanto da carenze diagnostiche, quanto piuttosto da evidenti limiti degli organi direzionali ad ogni li- vello, limiti legati alla mancanza di competenze specifiche, alla diffi- coltà di collaborazione o al disinteresse soprattutto dei medici verso questa funzione giudicata secondaria. Ricordiamo infine che la situazione appena descritta già ben evidente alla fine degli anni ’60, sarebbe stata destinata a palesarsi ulterior- mente negli anni successivi, senza che le soluzioni comunque propo- ste dal legislatore fossero (Saccani, 1989; Saccani, 1987; Maggi, 1980). 2.3 – IL DIPARTIMENTO: STRUMENTO IDEALE PER RI- SPONDERE ALLA COMPLESSITA’ Al momento dell’approvazione della legge ospedaliera due erano gli imperativi che emergevano prioritari: integrazione ed efficienza all'interno delle strutture sanitarie. Il DPR 128 dei ’69 tentava una timida risposta proponendo la diffusione dei dipartimenti negli ospe- dali. Sebbene le norme in materia dipartimentale susseguitesi nel tempo siano tutte accomunabili dal tentativo di favorire l’affermazione di questa struttura in ambito ospedaliero sostituendola con una aperta che tagliasse trasversalmente gli apparati esistenti al fine di favorire l'integrazione delle competenze e dei ruoli, è pur sempre osservabile una diversa impostazione metodologica a secon- da che ci troviamo prima o dopo la riforma ospedaliera del ’78. Te- nendo conto di questo interessante aspetto e come più volte sottoli- neato possiamo notare che il DPR 128 del ’69 proponeva una orga- nizzazione in dipartimenti del tutto eventuale in quanto sottoposta al- le valutazioni discrezionali del consiglio di amministrazione dell'o- spedale. Era comunque già ben delineata e lo si poteva leggere fa- cilmente tra le righe, la volontà di condurre gradatamente al supera-
  • 30. 29 mento dell'articolazione interna degli ospedali in divisioni, sezioni e servizi che rappresentava il principale ostacolo per il superamento della rigidità organizzativa ospedaliera. Infatti, la struttura tradizionale di organizzazione del lavoro era stata ribadita dalla riforma ospedaliera; appariva quindi, in questo conte- sto, ancora più coraggiosa la proposta di introdurre, in un assetto ge- rarchizzato, forme di relazioni funzionali paritetiche. Perfettamente in linea con questo intento la definizione del comitato di dipartimen- to e l'indicazione dei suoi componenti fu un evidente tentativo di modificare in senso funzionale l’assetto gerarchico esistente (Falan- ga, 1981). 2.3.1 – Il dibattito dei primi anni ’70 alimenta l’entusiasmo A prescindere da queste valutazioni dottrinali i cui caratteri essenziali saranno riscontrabili anche con riferimento alle norme successive, il breve articolo 10 del DPR 128 del '69 fu rapidamente oggetto di am- pie discussioni da parte delle organizzazioni sindacali, politiche e sa- nitarie. Ciò avrebbe portato rapidamente al recepimento della nozio- ne di dipartimento, soprattutto sotto il profilo politico-sindacale, mentre si sarebbero irrimediabilmente trascurati gli aspetti tecnici concreti che sarebbero dovuti essere invece privilegiati in ogni tipo di analisi. L'immediata conseguenza della parzialità dei profili di analisi trattati nel dibattito non mancò di creare, fin dal principio, un alone di miste- ro intorno all'organizzazione dipartimentale configurandola in termi- ni del tutto astratti. Lo spunto così innovativo del legislatore finiva per non proporsi in modo sufficientemente chiaro, soprattutto in rife- rimento alle pratiche modalità di attuazione e per alimentare, come sempre accade in questi casi, da un lato una forte diffidenza, poi dif- ficilmente eliminabile, dall'altro un’aggressiva volontà di revisione dell'istituto che trovava l'unica giustificazione nella non completa comprensione della sua natura. D’altra parte la modalità migliore per rifiutare le novità consiste nel sottolinearne la mancata conoscenza o meglio ancora, nell'evidenziarne l'irrealizzabilità e di fatto questa fu la strada seguita dai detrattori della realtà dipartimentale.
  • 31. 30 In questo contesto numerose voci si levarono a difesa della nuova struttura operativa soprattutto di organizzazioni sindacali di settore tra le quali spiccava l'ANAAO, la quale nei primi anni ’70 si fece ac- canita sostenitrice del modello dipartimentale proponendone una sua visione concreta, favorendo l’incontro delle varie posizioni attraverso congressi e dibattiti, incentivando alla luce del DPR 128 del ’69 la realizzazione di quanto possibile, con l'ulteriore prospettiva di appor- tare ancora miglioramenti in futuro. La proposta che in questi anni l'ANAAO sostenne, pur essendo in parte ispirata da interessi di categoria, aveva senz'altro il pregio di avere inquadrato i problemi pratici del lavoro negli ospedali propo- nendo soluzioni al passo con i tempi.2 Certamente l’ANAAO non fu l’unica associazione di categoria a par- lare di dipartimenti e a proporre modelli di attuazione, ma altrettanto sicuramente, nei primi anni ’70, fu quella che vi dedicò la maggiore attenzione e investì le maggiori risorse per portarne a conoscenza il significato, per tentare le prime applicazioni sul campo. Il dipartimento fu così immediatamente definito come aggregato ope- rativo capace di promuovere la collaborazione tra diverse componen- ti professionali e tecniche assolutamente imposta dalla realtà assi- stenziale ospedaliera. Se ne evidenziava la necessità al- la luce delle caratteristiche dell'attività di insegnamento e ricerca aventi tipicamente natura interdisciplinare; alla luce della necessità di promuovere una formazione continua negli operatori del settore che soltanto il lavoro di gruppo poteva effettivamente realizzare. Infine, il dipartimento era sostenuto come strumento per superare l'eccessiva gerarchizzazione dei ruoli sui luoghi di lavoro e per diffondere la democraticità dei rapporti tra i vari operatori, fonte di una crescita culturale e professionale continua. La constatazione che, in tutti i settori economici si stava affermando incontrastata la spinta all'integrazione dei compiti, alla dinamicità e alla flessibilità dell'organizzazione del lavoro e l'ulteriore osserva- 2 L'ANAAO era ed è l'associazione sindacale che rappresenta gli aiuti e as- sistenti ospedalieri, categoria, che ricordiamo solo qualche anno prima nel 1964 aveva ottenuto la stabilità del posto di lavoro e ora mirava ad un ruo- lo di maggiore rilievo operativo all’interno degli ospedali.
  • 32. 31 zione della sostanziale staticità delle strutture sanitarie, fossilizzate su consolidati equilibri di potere, portarono a sostenere il dipartimen- to quale strumento capace di modernizzare efficacemente un univer- so ospedaliero caratterizzato spesso dalla carenza di preparazione di base, dalla mancanza ed inadeguatezza delle risorse fisiche a disposi- zione, dall’impossibilità di promuovere la maturazione professionale dei dipendenti ai vari livelli. Il dipartimento, attraverso l'istituzione del comitato direttivo previsto dallo stesso DPR 128 del ’69, avrebbe consentito l'integrazione di competenze appartenenti ai professionisti coinvolti; la creazione tra i membri dell'équipe di uno stato di ami- chevole interesse e collaborazione; la crescita culturale continuamen- te alimentata da nuovi spunti e problemi condivisi dai componenti (Paci, 1973; Perraro (1973). Nel gennaio del 1971, in occasione del congresso nazionale dell'A- NAAO, alla presenza di numerose personalità del mondo medico ve- niva individuata la tendenza alla diffusione del principio delle cure graduate3 e si proponeva il dipartimento inteso come équipe polispe- cialistica e polidisciplinare a cui potevano essere riferite sia la re- sponsabilità del singolo medico nei confronti del paziente trattato, sia quella di gruppo, per quanto attiene alla integrazione delle compe- tenze, per meglio fronteggiare le singole situazioni patologiche. Si poneva, infine, l'attenzione sul dipartimento di emergenza quale organizzazione ideale per fronteggiare l'enorme eterogeneità delle competenze nelle diverse situazioni che si sarebbero potute presenta- re. Si arrivava anche ad individuare la concreta organizzazione fun- zionale del dipartimento di emergenza, le varie aree ospedaliere che si sarebbero dovute integrare, le dotazioni di personale necessarie. Il convegno regionale dell'ANAAO, tenuto a Pisa nel giugno ’71, poneva nuovamente la sua attenzione sulla necessità di abbattere le gerarchie e favorire la comunicazione tra le strutture al fine di far conquistare nuova dignità agli operatori; si ribadiva inoltre l'esigenza di far decollare rapidamente il dipartimento descritto, non in termini avveniristici, ma come organizzazione profondamente attuale. Si 3 Il postulato delle cure graduate imponeva la distinzione di quattro aree di inter- vento caratterizzate da diverse gradazioni di intensità delle prestazioni: l’area delle cure intensive, delle cure intermedie o ordinarie, quella delle cure distanziate rivol- te ai convalescenti e infine delle cure a lunga scadenza per lungodegenti.
  • 33. 32 proponeva un identikit del coordinatore di dipartimento che avrebbe dovuto essere eletto democraticamente tra coloro che avevano le mi- gliori qualità umane e capacità gestionali. Egli avrebbe dovuto garan- tire la necessaria funzione di coordinamento degli operatori coinvol- ti, punto di riferimento per ogni problematica che potesse pre- sentarsi all'interno del gruppo; promotore della dinamicità delle strut- ture coinvolte e delle funzioni svolte, della democrazia interna e dell'esercizio corale della medicina (Giannotti, 1971; Boffi, 1971). Nel settembre ’71 l'ANAAO di Firenze formalizzava una proposta dipartimentale molto interessante che avrebbe offerto validissimi spunti al dibattito. Si definiva il gruppo di lavoro come l’unità opera- tiva elementare in continua evoluzione che avrebbe assicurato la dif- fusione di una nuova concezione dell’attività ospedaliera. Si eviden- ziava poi l’esigenza di creare dei dipartimenti che fossero capaci di mutare i loro orientamenti repentinamente, adeguandosi alle istanze manifestate dall’ambiente esterno, al fine di garantire l’efficacia dei singoli gruppi di lavoro. Evidentemente si cercava di permettere lo sfruttamento di tutte le competenze presenti in ambito ospedaliero, valorizzando maggiormente il ruolo del personale paramedico e cer- cando di evitare che la creazione dei dipartimenti fosse occasione per il diffondersi di giochi di potere che avrebbero permesso il raggiun- gimento di posizioni di comando non per meriti scientifici o profes- sionali, ma per interessi politici. Si concludeva, osservando l'inade- guatezza della legge che avrebbe consentito la realizzazione di un di- partimento non perfetto, secondo i propositi dell’associazione, ma comunque, un passo avanti rispetto alla situazione precedente e con evidenti possibilità di ulteriore miglioramento (ANAAO Firenze, 1971). Nei mesi successivi non sarebbero mancati altri interventi, altri con- vegni, altre tavole rotonde sull’argomento: ne emergeva una proposta chiara che vedeva il dipartimento come luogo nel quale confluivano in modo paritario esperienze e competenze diverse, basato indissolu- bilmente sul principio della collegialità delle decisioni. Quella dell'ANAAO era in quel periodo la proposta dipartimentale più organica, centro del dibattito e dell'interesse non solo delle altre associazioni sindacali ma anche della classe politica degli enti locali: certamente non mancavano istanze derivanti da rivendicazioni di ca- tegoria e da interessi di parte, ma nel complesso il modello appariva
  • 34. 33 in molti casi davvero lungimirante. L'idea che il dipartimento non potesse ricondursi ad uno schema rigido predefinito, oppure la pro- posta di una forte integrazione con la realtà sanitaria esterna agli ospedali, l'individuazione del ruolo centrale che, nella diffusione del- la novità organizzativa, avrebbero dovuto giocare le regioni, antici- pavano lo stesso legislatore che di lì a pochi anni avrebbe riproposto puntualmente ognuno di questi spunti. La proposta dipartimentale dell'ANAAO, non fu però l'unica: ciò contribuì a rendere più interessante il dibattito tra i vari esperti e le organizzazioni di categoria. Il professor C. Zanussi, in rappresentanza del mondo universitario, nel rilevare le molteplici realizzazioni dipartimentali in vari paesi considerava prioritaria l'autoregolazione del dipartimento e l'estrema flessibilità decisionale, operativa e organizzativa e per questo propo- neva la creazione di strutture molto piccole (composte da 3-5 divi- sioni e da alcuni servizi) che avrebbero poi dovuto fare affidamento su ambiti interdipartimentali comuni (radiologia, biblioteca, laborato- ri). Zanussi distingueva i dipartimenti assistenziali, dedicati all'atti- vità di cura, e dai dipartimenti didattici, prevalentemente impegnati nell'insegnamento. Il relatore evidenziava, infine il rischio che la funzione di integrazione tipica dei dipartimenti potesse essere ostaco- lata dalla mancanza di adeguate strutture edilizie che di fatto impedi- vano l'uso razionale degli ambienti e la corretta distribuzione dei supporti fisici dipartimentali e interdipartimentali. In mancanza di una disposizione corretta delle risorse era incombente il pericolo di creare un insieme scoordinato di reparti e servizi, sulla carta uniti, ma nella realtà del tutto autonomi e incapaci di comunicare (Zanussi, 1973). La Federazione dei Lavoratori Ospedalieri prometteva, in quegli an- ni, il proprio appoggio all'iniziativa dipartimentale a condizione che si proponessero forme democratiche di partecipazione dei sanitari al comitato di dipartimento (Sibaud, 1973). L'associazione dei medici di direzione sanitaria degli ospedali (ANMDO), nella persona di E. Guzzanti, nel rilevare l'affermazione del principio delle cure graduate osservava l'opportunità di creare dei dipartimenti con caratteri diversi in ognuno dei quattro settori in- teressati. Nel settore delle cure intensive le competenze polispeciali- stiche e interdisciplinari necessarie avrebbero potuto consigliare di-
  • 35. 34 verse soluzioni quali la creazione di nuovi primariati, ma così facen- do non si sarebbe incentivata l'integrazione delle funzioni o la crea- zione di un dipartimento d’emergenza secondo una concezione della terapia intensiva totalizzante ormai consolidata anche a livello inter- nazionale. Per quanto riguarda la fase valutativa, Guzzanti riteneva assolutamente necessaria una organizzazione dipartimentale funzio- nale che consentisse di raggruppare sezioni e divisioni affini e com- plementari che da sole non erano in grado (troppo isolate) di pro- muovere alcun processo di crescita culturale (rientrerebbe in quest'a- rea il dipartimento di medicina interna). Nell’area delle cure estensi- ve Guzzanti proponeva la creazione di dipartimenti che riunissero di- visioni e servizi che terminata la loro attività inviavano gli infermi nelle strutture per lungodegenti in modo da coordinare l'uso delle stesse. Per la fase alternativa o ambulatoriale il dipartimento sem- brava necessario al fine di garantire la continuità nel processo di cura del malato e la necessaria integrazione con gli operatori esterni tra i quali spiccava il ruolo del medico di famiglia (Guzzanti, 1973). I primari, dal canto loro, non si dimostravano certo entusiasti dell'i- dea dipartimentale: molto sornionamente ribadivano la validità della struttura divisionale ammettendo semmai la necessità di qualche in- tervento correttivo non strutturale. Al limite essi si dichiaravano di- sposti ad accettare divisioni più piccole, più numerose, più specializ- zate (ciò avrebbe garantito l'aumento del numero dei primari); esse avrebbero potuto essere raggruppate in dipartimenti, ma la responsa- bilità gestionale delle risorse sarebbe dovuta rimanere a livello divi- sionale. Certamente l'idea di creare i dipartimenti e aprire la strada a organizzazioni più democratiche del lavoro non li entusiasmava (Do- cumento dei Primari, 1972). Accanto a queste autorevoli posizioni devono però essere rilevati an- che tanti imbarazzati silenzi che testimoniavano, in alcuni casi, l’intento di non entrare in un dibattito spinoso, in altri, l'attesa degli eventi in altri ancora, una malcelata opposizione alla nascita dei di- partimenti. Ricordiamo poi che in sede di accordo nazionale di lavoro dei dipen- denti ospedalieri, siglato il 23 giugno ’74, nella parte riservata alla partecipazione e alla formazione professionale dei dipendenti, all'art.16, si parlava di dipartimento. Constatata la mancata attua- zione dei dipartimenti negli ospedali e ribadita l'assoluta necessità di
  • 36. 35 diffondere strutture che consentissero il collegamento interdisciplina- re degli operatori, le parti richiedevano, nella sperimentazione, un ruolo attivo di indirizzo e di scelta; inoltre rivendicavano maggiore democraticità in ambito decisionale. Si riproponeva la priorità della realizzazione del dipartimento di emergenza, come si evinceva dall'art. 66 opportunamente dedicato agli standard di personale da as- segnare a tale struttura. Un chiaro segno della volontà sindacale, que- sta volta unitaria, di appoggiare l'iniziativa dipartimentale (Ciocia, 1975). Nel marzo ’72, in occasione di un convegno sull’argomento, si con- statava, forse un po’ frettolosamente, che i concetti ispiratori dell'idea dipartimentale erano oramai acquisiti da molti politici, amministrato- ri, medici ed operatori sanitari al punto che, ottimisticamente, si rite- neva che le prime realizzazioni non avrebbero tardato a manifestarsi. Si registrava anche una voce discordante dei primari che ipotizzava- no l'esistenza di condizionamenti dovuti ad evidenti interessi di cate- goria. Dal punto di vista operativo si distinguevano saggiamente due mo- menti: il primo, organizzativo, che avrebbe dovuto condurre alla concentrazione del dipartimento di due o più divisioni; il secondo, di tipo culturale, che avrebbe condotto ad una nuova visione dei rappor- ti umani, alla distribuzione delle responsabilità in base alle capacità, alla valorizzazione del patrimonio professionale esistente al suo in- terno (si poneva l'accento sul problema di natura culturale che ben lontano dall'essere risolto si ripropone oggi tale e quale). Nel corso di una tavola rotonda nel ’73, si riproponevano gli elemen- ti poc’anzi analizzati e ci si soffermava sull'esigenza in sede realiz- zativa di approvare uno statuto di dipartimento avente valenza politi- ca che ribadisse i caratteri dell'organizzazione democratica del lavoro e un regolamento avente natura tecnico-organizzativa che avrebbe definito le modalità dell'attività assistenziale, dell'attività di ricerca e studio, dell'uso del personale nel rispetto delle linee direttrici propo- ste dallo statuto. Gli operatori sanitari, nel dipartimento, avrebbero dovuto quindi maturare competenze specialistiche opportunamente integrate da conoscenze culturali polivalenti, tali da creare una men- talità elastica, da consentire una leale cooperazione con i colleghi e una adattabilità ai mutamenti repentini imposti dalla scienza.
  • 37. 36 Particolare attenzione veniva rivolta al dipartimento di emergenza, descritto come una vera e propria priorità, data la complessità e l'am- piezza delle prestazioni da erogare in quest'area sebbene ci fosse la consapevolezza delle difficoltà concrete che si sarebbero dovute af- frontare sul piano pratico: anche legate alla carenza di risorse e strut- ture oltre che alla mancanza di volontà di integrazione dei responsa- bili delle varie branche coinvolte (Boffi, 193). Agli occhi di tutti erano inoltre evidenti le molteplici interpretazioni fornite, sia da singoli, sia da associazioni o commissioni, di fronte all'esigenza sempre più sentita di realizzare i dipartimenti ospedalieri, che, se alimentavano la discussione fornendo numerosi spunti per un ulteriore approfondimento della problematica, finivano anche inevi- tabilmente per confondere le idee dando adito a valutazioni distorte, spesso contrastanti tra lorocome peraltro si sottolineava in un interes- sante articolo pubblicato sul n°5 di Iniziativa Ospedaliera del giugno 1971. In più circostanze si individuava negli interessi dei primari in- vestiti del più ampio potere ospedaliero dalla normativa vigente, il principale ostacolo alla realizzazione dei dipartimenti (Iniziativa Ospedaliera, settembre 1971). Un articolo comparso su Iniziativa Ospedaliera, nel giugno ’73, si soffermava, definendo le caratteristiche e le finalità del dipartimento, sul rischio che in fase attuativa ci si limitasse a creare delle semplici aggregazioni funzionali di strutture già esistenti che di fatto avrebbe- ro mantenuto tutte le loro carenze e si sottolineava la necessità di creare rapidamente, nella mentalità del personale, i presupposti per la diffusione di un nuovo metodo di lavoro. C’era il concreto rischio di ripetere su scala più ampia le inefficienze e le carenze delle divisioni. In questa rapida ricognizione ci si è limitati a citare soltanto alcuni dei convegni tenutosi in quei primi anni ’70 e a riassumere, in pochi chiari concetti, una serie di proposte e osservazioni sulle quali si erano di fatto versati fiumi di inchiostro. Molte personalità politiche, sindacali o mediche avevano evidenziato le loro idee creando un coro unanime di convinto sostegno all’idea dipartimentale che, anche se spesso sostenuta con l’intento di difendere interessi particolaristici, appariva come l’unica possibile evoluzione dell’organizzazione ospedaliera. Tante volte si erano ribadite in sedi diverse le stesse considerazioni, al punto che anche il più accanito oppositore avrebbe comunque compreso gli obbiettivi e i vantaggi che i dipartimenti
  • 38. 37 creavano nei nosocomi. Appariva poi a tutti l'esigenza primaria di avviare, anche su base volontaristica, una seria sperimentazione di soluzioni diverse. Nei primi anni ’70 non mancarono, sebbene non fosse ancora obbli- gatorio, alcuni interventi legislativi regionali che proponevano il mo- dello dipartimentale alle amministrazioni ospedaliere. Le regioni in- fatti non erano ancora investite del ruolo promozionale che in futuro la legge nazionale avrebbe loro riconosciuto in materia dipartimenta- le: si trattava di isolati interventi che non sarebbero stati in grado di suscitare l'attenzione degli operatori, ma che sono comunque interes- santi dal punto di vista metodologico. La legge regionale abruzzese del 26 aprile 1974 n°14 delineava un modello dipartimentale dalla portata non solo funzionale e teorica, ma anche immediatamente operativa. Le varie linee gerarchiche pre- senti nei nosocomi venivano così ad essere integrate all'interno del dipartimento: le risorse pur essendo assegnate alle specifiche unità operative erano gestite, tenendo conto delle necessità del dipartimen- to, in modo flessibile. Era assicurata una certa democraticità inter- na. Si trattava di spunti che andavano oltre il generico articolo 10 del DPR 128 del ’69, per anticipare in parte le norme successive; pur- troppo dovendo rispettare la norma statale e nel tentativo di mantene- re l'autonomia dell'ente ospedaliero si riproponeva la natura eventua- le dei dipartimenti e non si faceva sufficiente attenzione al legame esistente tra programmazione e organizzazione. La Basilicata e la Liguria rispettivamente con la L.R. n° 50 del 9 giugno ’75 e la L.R. n° 51 del 30 dicembre ’73 prevedevano i dipartimenti nell'organizza- zione dei servizi sanitari di emergenza non così puntualmente come aveva fatto l'Abruzzo, ma inquadrandoli comunque quali organizza- zioni strumentali al coordinamento delle attività svolte (Speranza, 1985; Falanga et al., 1981). Si era definito il dipartimento, si erano condivise le finalità persegui- te, si erano proposte soluzioni sicuramente valide sulla carta, si erano individuate le opposizioni e le difficoltà soprattutto culturali, ci si era impegnati entusiasticamente ai vari livelli politico, sindacale, medi- co, ad avviare la sperimentazione e a migliorare la normativa: tutto avrebbe fatto presumere che il decollo dell’apparato dipartimentale sarebbe stato imminente.
  • 39. 38 Come se non bastasse, spinti dall’enfasi inizialmente prodotta dall’art.10 DPR 128 del ’69, in numerosi ospedali si erano compiuti i primi passi verso la dipartimentazione. 2.3.2 – Alcune interessanti esperienze dipartimentali L’istituzione dei dipartimenti all'interno degli ospedali poteva essere conseguenza dell'iniziativa delle stesse amministrazioni ospedaliere che si avvalevano dell'art.10 del DPR 128, altre volte era la stessa commissione interna dei nosocomi, una organizzazione sindacale, a creare i presupposti per la sua nascita, infine l'iniziativa poteva essere presa direttamente dagli stessi operatori che, sul campo, volevano superare le problematiche del lavoro quotidiano. Spesso lo spunto era offerto dalle carenze di strutture (locali, attrezzature, strumenti) e dall'inadeguatezza organizzativa che creavano evidenti inefficienze e una generalizzata insoddisfazione degli stessi dipendenti. Il diparti- mento diveniva lo strumento per abbattere i rigidi sistemi gerarchici e riportare ad un razionale uso delle risorse presenti. Possiamo rapi- damente citare alcuni esempi indicativi. Proprio attraverso i passaggi logici appena esposti, nel novembre ’71, i dipendenti che a qualsiasi titolo lavorassero nell'area chirurgica dell’ospedale di Careggi, riuniti in commissione, arrivarono ad esprimere la volontà di procedere in tempi brevi all'organizzazione dipartimentale della chirurgia, secondo le modalità e i fini previsti dal DPR 328 del ’69 art.10. In concomitanza a questa decisione, venne discusso e approvato uno statuto che di fatto tracciava gli ele- menti essenziali del dipartimento e venne richiesto al consiglio di amministrazione dell'arciospedale di S.M. Nuova, di cui l'ospedale di Careggi faceva parte, l’avallo dello stesso statuto e l’adozione di un provvedimento formale che sancisse definitivamente la nuova strut- tura (Iniziativa Ospedaliera, 1973). Sulla stessa linea, nel febbraio ’72, il personale medico delle divisio- ni di medicina, dei servizi di elettro-cardiologia, di laboratorio e di radiologia si riunì e deliberò la creazione di un dipartimento di medi- cina presso l'arciospedale di S. M. Nuova a Firenze definendo uno statuto poi rapidamente approvato dal consiglio di amministrazione del nosocomio (Milli, 1973).
  • 40. 39 Nel dicembre ’72 a Foggia, presso il locale ospedale regionale tutto era pronto per avviare l'attività del dipartimento didattico. La stessa amministrazione ospedaliera consapevole della necessità di promuo- vere lo sviluppo e il coordinamento delle scuole esistenti per il per- sonale paramedico e in vista dell'istituzione di corsi parauniversitari per gli aspiranti medici aveva incaricato, qualche mese prima, il consiglio dei sanitari di istituire una commissione di studio. L’esigenza di maggiore integrazione era resa evidente dallo spreco di risorse e dalla sovrapposizione di competenze delle varie scuole: ben presto, erano stati definiti e approvati un regolamento e uno statuto. Tutto era pronto per la concreta attuazione ma già qualcuno avanzava il dubbio che non vi fosse effettiva volontà di realizzazione (Pelle- grino, 1973). Nel luglio del ’73, una apposita commissione, venne incaricata dal consiglio dei sanitari dell'ospedale S.M. Battuti di Treviso di porre sotto studio le modalità attraverso le quali superare le carenze orga- nizzative e di cooperazione tra le varie sub-discipline nell'area impe- gnata nella lotta alle malattie tumorali. Il settore oncologico, che di fatto raccoglie nel suo ambito di operatività una patologia che con modalità spesso differenti colpisce organi diversi richiedendo cure differenziate, necessita quindi di competenze sempre più specialisti- che: l'obbiettivo dell'integrazione delle conoscenze e degli interventi medici, chirurgici e terapeutici diventa di insostituibile importanza. La commissione concludeva i suoi lavori individuando nel diparti- mento oncologico, che sarebbe stato opportuno realizzare il più ra- pidamente possibile, l'organizzazione ideale per fronteggiare queste peculiarità (Azzi, 1973). Nel novembre ’73, nella struttura ospedaliera di Livorno, ci si ram- maricava di non avere ancora provveduto a promuovere alcuna ini- ziativa in materia dipartimentale. In effetti durante gli anni prece- denti si era assistito ad una forte espansione edilizia, alla moderniz- zazione di macchinari, all'adeguamento della dotazione di strumenti ma a tutto questo non era corrisposto un proporzionale miglioramen- to qualitativo dell'assistenza ospedaliera: essa evidentemente passava attraverso una nuova organizzazione del lavoro. Numerosi erano sta- ti i piani di lavoro, che negli anni precedenti avevano previsto l'isti- tuzione dei dipartimenti rimasti tutti puntualmente lettera morta. Fi- nalmente il consiglio di amministrazione dell'ospedale si decideva a
  • 41. 40 sottoporre allo studio delle organizzazioni sindacali, delle associa- zioni mediche, degli operatori sanitari e degli enti locali la problema- tica con il fine ultimo di suscitare delle proposte per la realizzazione del dipartimento d'emergenza, di quello oncologico e pediatrico. L'organo direttivo del nosocomio si riservava comunque il diritto di istituire formalmente i dipartimenti e procedere all’emanazione dei relativi statuti e regolamenti (Casuccio, 1973). Nel settembre ’74, il consiglio di amministrazione dell'arciospedale S.M. Nuova di Reggio Emilia per cercare di recepire le richieste dei sindacati, le proposte degli enti locali, dei politici e degli stessi medi- ci e le novità di una riforma sanitaria imperniata sulla tutela attiva della salute, promuoveva la graduale riorganizzazione interna su basi dipartimentali, definendo anche una sorta di pseudo-regolamento del dipartimento (Iniziativa Ospedaliera n. 9/1974). Presso l'ospedale San Giovanni di Roma il problema del sovraffolla- mento delle corsie dovuto alla mancata coordinazione nell’uso delle risorse disponibili finiva inevitabilmente per rendere caotica e ineffi- ciente l'attività dei dipendenti, che spesso erano condotti alle soglie dell'esasperazione. Gli stessi operatori sanitari promossero, nel no- vembre '75, la formazione di una commissione che, ben presto, arrivò ad evidenziare la necessità di istituire un dipartimento di urgenza e accettazione che, gestendo meglio le emergenze e consentendo una programmazione razionale dei ricoveri, certamente non avrebbe ri- solto di punto in bianco tutti i problemi ma avrebbe comunque con- sentito un uso più razionale delle risorse e soprattutto un allentamen- to della pressione a cui giornalmente erano sottoposti i lavoratori. Si definiva anche una proposta nella quale erano individuati dettaglia- tamente tutte le divisioni e i servizi che si sarebbero dovuti coinvol- gere e le competenze loro riservate (Barbatano, 1975). Citiamo infine, tra i molti, un esempio di sperimentazione del dipar- timento di emergenza. Nell’aprile '75 la regione Piemonte, al fine di migliorare i servizi di pronto soccorso sul territorio, istituiva il dipar- timento di emergenza da collocare presso i vari enti ospedalieri op- portunamente individuati. Ai consigli di amministrazione di tali no- socomi furono, a cura della regione, inviate alcune spiegazioni in merito alla delibera poc’anzi citata e si richiese un resoconto su quanto si poteva immediatamente realizzare, sulle modifiche da ap- portare alle strutture esistenti, su quanto doveva essere creato ex no-
  • 42. 41 vo. Il dipartimento di emergenza nella regione diveniva così di fatto obbligatorio: una scelta questa davvero coraggiosa anche se la man- canza di risorse e soprattutto la carenza di personale da assegnare stabilmente al dipartimento rendevano estremamente lunghi i tempi di realizzazione. Di fronte agli ingenti costi da sostenere si paventa- va il rischio che la regione fosse tentata di istituire i dipartimenti sul- la carta senza però dotarli dei necessari supporti di personale , attrez- zature e locali (Ricciardiello, 1975). Quelle riportate sono soltanto alcune delle varie iniziative a cui si po- té assistere in molti ospedali d'Italia, soprattutto di elevate dimensio- ni dove, l'esigenza di cooperazione era più sentita. Anche da questi brevi scorci di situazioni profondamente diverse appare chiara la consapevolezza dei problemi del settore ospedaliero e la convinzione che i dipartimenti avrebbero potuto risolverne alcuni; stupisce addi- rittura la decisione con la quale ci si avviava a realizzare delle strut- ture anche complesse. Allo stesso tempo però appaiono alcuni limiti. Le iniziative erano certamente lodevoli, ma non andavano quasi mai oltre la semplice proposta dipartimentale da sottoporre poi alla valu- tazione del consiglio di amministrazione degli enti ospedalieri. An- che quando c'era una delibera di attuazione dell'organo direttivo no- socomiale si prevedeva un lungo arco di tempo per passare alla fase realizzativa che era spesso sufficiente a rinviarne la realizzazione. Erano numerose le testimonianze in merito al momento iniziale in cui l'idea dipartimentale sembrava affermarsi, in cui si istituivano le organizzazioni ma niente si diceva sui successivi sviluppi, non si ri- levava alcuna enunciazione trionfalistica dei risultati raggiunti che pure ci si sarebbe dovuta attendere tenuto conto dell'entusiasmo delle prime testimonianze. Molto probabilmente mancavano risultati con- creti da pubblicizzare. Se inizialmente si parlava di diverse tipologie di dipartimento, con il passare degli anni, tale varietà diminuì forte- mente e vi fu una evidente convergenza, e le testimonianze rintrac- ciate lo provano, sul dipartimento d’emergenza sicuramente il più necessario nella realtà ospedaliera e il più facile da concepire non tanto strutturalmente quanto concettualmente e culturalmente. Non si vede infatti quale altro modello sarebbe stato possibile applicare all’area dell'urgenza data la sua complessità e l'evidente esigenza di coordinamento delle diverse aree coinvolte.
  • 43. 42 2.3.3 – Un’indagine del 1973 segnala il fallimento di ogni iniziati- va A prescindere da queste osservazioni, la conferma dei timori eviden- ziati appare immediatamente fondata analizzando i dati di una ricer- ca condotta sul campo dal dottor Carlo Campana nel 1973 e 1974 che fu oggetto di una relazione alla tavola rotonda sul dipartimento ospe- daliero, in occasione del congresso nazionale della CIMO a Milano tenutosi nel giugno ’74. Ne derivava una fotografia, basata su dati reali della diffusione dei dipartimenti già a qualche anno dall'entrata in vigore del DPR n° 128 del 1969, che, pur non rispettando alcuna metodologia statistica, permetteva di leggere alcune conclusioni in- dicative. CAMPANA (’86). Nel 1973 venne inviato un questionario a 161 direzioni sanitarie di altrettanti ospedali italiani. Nel questionario si richiedevano infor- mazione generiche sulle divisioni e i servizi esistenti nell'ospedale e soprattutto sui dipartimenti chiedendo di distinguere quelli istituiti ed operanti, quelli istituiti ma non ancora operanti, quelli oggetto di so- lo studio. Si sarebbe così potuto avere un'idea sul numero dei dipartimenti esi- stenti e soprattutto sulla tipologia a cui appartenevano. La stessa in- dagine, con le medesime modalità, fu ripetuta nel 1974 al fine di con- frontare per quanto possibile i dati così raccolti ed avere una qualche idea sull’evoluzione delle sperimentazioni iniziate nel ’73. Nel 1973 pervennero 85 risposte e nel 1974 ne giunsero 97 (a fronte dei 161 questionari inviati ogni volta). In particolare vennero distinte tre tipologie dipartimentali. La prima comprendeva i dipartimenti che accorpavano attività identiche, affini e complementari con l’impiego in comune di aree di servizio (si pensi al dipartimento di medicina o chirurgia generaleo a quello di cardiologia). Tabella 2.1 La seconda tipologia comprendeva le attività polispecialistiche che impiegavano strutture specifiche per esse predisposte e usavano ser- vizi in comune (ad esempio il dipartimento di emergenza, riabilita- zione o lungodegenza). Tabella 2.2 La terza area dipartimentale raccoglieva le attività specialistiche che non richiedevano specifiche strutture di servizio (si pensi al diparti- mento di medicina preventiva o di insegnamento). Tabella 2.3
  • 44. 43 I dati raccolti vennero opportunamente ripartiti sulle tre tipologie come si evince dalle tabelle citate. Tenendo conto di questa ripartizione possiamo confrontare i dati re- lativi ai due anni. Occupiamoci innanzi tutto dei dipartimenti chia- mati ad integrare attività identiche, affini e complementari con uso comune di servizi ospedalieri (cfr. tab. 2.1): essi di fatto riguardava- no importanti aree ospedaliere che se non razionalizzate potevano operare con inefficienze soprattutto derivanti da sovrapposizioni o tempi morti nell'uso dei servizi centralizzati necessari. Tabella 2.1 - Dipartimenti che accorpano attività identiche affini o complementari con impiego comune di strutture di servizio. DIPARTIMENTI ISTITUITI ED OPERANTI ISTITUITI E NON OPERANTI ALLO STUDIO TOTALE 1973 1974 1973 1974 1973 1974 197 3 197 4 MEDICINA Firenze Firen- ze Prato Prato Napoli - Berga- mo 4 2 CHIRURGIA Firenze Firen- ze Napoli 2 1 OSTETRICO PEDIA- TRICO Berga- mo Reg- gio Emilia Firenze Firenze Napoli Arezzo Reggio Milano (2) Arezzo 7 3 PEDIATRIA Prato Firenze Prato Firenze Arezzo Monza Ferrara Monza Ferrara 4 5 CARDIOLOGIA Verona Vero- na Firenze Firenze Napoli (2) Berga- mo Gallara- te 5 3 PNEUMOLOGIA Firenze Firen- ze Padova 1 2 URO-NEFROLOGIA Ancona Pontede- ra Firenze Napoli Pontede- ra Fi- renze Padova Ancona 4 4 GASTROENTEROLO- GIA Padova Padova Ancona Genova 2 2 DERMATOLOGIA Udine 1 ENDOCRINOLOGIA Padova 1 NEUROCHIRURGIA Verona Vero- na 1 1 NEUROLOGIA Firenze Firenze Padova Ferrara Napoli Ferrara Ancona 3 4
  • 45. 44 CHIRURGIA MAXIL- LO-FACCIALE Ferrara Ferrara 1 1 MEDICINA DEL LA- VORO Milano 1 GERIATRIA Verona Vero- na Trieste Reggio Reggio 2 3 PATOLOGIA CLINICA Monza Monza Napoli (2) Milano Lucca 5 1 RADIOLOGIA Trieste Trieste Firenze Firenze Bologna Lucca Napoli 5 2 TOTALE 9 9 14 17 27 9 50 35 Fonte: Campana, 1986. Tabella 2.2 - Dipartimenti che accorpano attività polispecialisti- che con impiego di strutture specialistiche all'uopo predisposto. DIPARTIMENTI ISTITUITI ED OPERANTI ISTITUITI E NON OPERANTI ALLO STUDIO TOTALE 1973 1974 1973 1974 1973 1974 1973 1974 PRONTO SOC- CORSO Rho Foggia Napoli Foggia Bergamo Gallarate Napoli 2 5 P.S. e TER.INT. La Spezia Genova 1 1 TERAPIA D'URG. Monza Monza 1 1 TERAPIA INT. Lodi Lodi Rho Foligno 2 2 EMERGENZA Busto A. Busto A. Ravenna Modena Reggio Arezzo Imola Siena Modena Trieste 3 7 URGENZA Savona Terni Cesena 2 1 MEDICINA D'URG. Prato Prato Magenta Lecco Magenta Lucca Napoli Lucca Terni 4 5 ASTANTERIA Terni 1 RIANIMAZIONE Pontedera Firenze Pontedera Firenze Rho h 2 4 RIABILITAZIONE Terni 1
  • 46. 45 LUNGODEGENZA Viterbo 1 TOTALE 1 2 5 9 14 15 20 26 Fonte: Campana, 1986. Tabella 2.3 - Dipartimenti che accorpano attività polispecialisti- che senza esigenza di specifici servizi. DIPARTIMENTI ISTITUITI ED OPERANTI ISTITUITI E NON OPERANTI ALLO STUDIO TOTALE 1973 1974 1973 1974 1973 1974 1973 1974 MEDICINA PRVENTIVA Genova Milano Montebel. Lucca 4 ONCOLOGIA Ravenna Ravenna Busto A. Cesena 3 1 ARTRITE REUM. Bologna Bologna 1 1 DIDATTICO Ancona Tivoli Ancona 2 1 MEDICINA PERIN. Pontedera Milano Padova Venezia 4 CONSULTORIO Pontedera 1 METBOLOGIA Padova 1 TRAUMATOLOGIA Padova 1 PAT. VASCOLARE Padova 1 MED. INTERNA Lucca 1 FARMACIA Firenze Firenze 1 1 ANALISI CLINICA Firenze Firenze 1 1 MED. OPERATIVA Lucca 1 1 UNITA' CORONA- RICA Pinerolo Senigallia 2 MALAT. TIROIDEE Torino 1 MED. PREV. ANTI TUMORALE Torino 1 TERAPIAPIA DO- LORE Bergamo 1 MALATTIE CAR- DIACHE INAF. Napoli 1 TOTALE 2 3 4 8 9 7 15 18 Fonte: Campana, 1986.
  • 47. 46 Nel 1973 le iniziative dipartimentali intraprese erano ben 50 apparte- nenti a 18 tipologie diverse. Di queste, 9 erano già operative, 14 era- no state oggetto di istituzione ma non erano ancora concretamente operanti e 27 erano ancora in fase di studio. Scendendo a un ulterio- re livello di dettaglio 45 dipartimenti associavano reparti di cura, i restanti 5 strutture di servizio.4 Nel 1974 le strutture dipartimentali di questo tipo si erano ridotte a 35: 9 erano operanti, 17 solo istituite, 9 allo studio.5 Nel 1973/74 un solo dipartimento era divenuto operante tra quelli elencati nella tabella 1, quello di maternità e infanzia di Reggio Emi- lia che in sede di prima indagine era ancora in fase di studio. Nessun dipartimento già istituito nel ’73 era divenuto nell'anno suc- cessivo effettivamente operativo e di 3 non si era più avuto alcuna notizia. Erano però rilevabili 6 strutture di nuova istituzione. Tra i numerosi dipartimenti in fase di studio nel ’73 soltanto 1 era stato istituito pur non essendo ancora divenuto operativo. Tre nuovi dipartimenti erano entrati nella fase di studio e ben 21 organizzazioni oggetto di progettazione nel ’73 non erano state più rintracciate nei risultati della seconda inchiesta. E' indicativo come in un'area così rilevante quale quella presa in con- siderazione, un numero di iniziative dipartimentali così elevato siano sfociate nel nulla, sorprende anche la netta diminuzione di nuove ini- ziative rispetto a quelle del periodo precedente. Probabilmente le difficoltà di integrazione di competenze affini, ma comunque rimaste fino a quel momento autonome, avevano rapidamente smorzato i primi entusiasmi. Nel settore delle attività polispecialistiche (cfr. tab.2.2) che richie- devano l'uso di servizi in comune avevamo, nel 1973, 20 dipartimenti 4 Ben 7 riguardavano il settore ostetrico pediatrico, 5 il cardiologico- pneumologico, 5 il radiologico, 5 la patologia clinica, 4 il nefrologico, 4 il pediatri- co, 4 l'internistico, 3 il neurologico. 5 I più gettonati erano il settore pediatrico (5), il nefrologico (4), il neurologico (4), il geriatrico (3). Le iniziative nel campo ostettrico-pediatrico e in quello cardiolo- gico erano però passate a 3, rispettivamente da 7 e 5 che erano precedentemente, un calo altrettanto evidente si era registrato sia in patologia clinica, sia in radiolo- gia.
  • 48. 47 : 1 già operativo, 5 solo istituiti e 14 allo studio. Ben 15 riguardavano il pronto soccorso e l'area delle emergenze. Nel 1974 le iniziative dipartimentali erano diventate 26: 2 operanti, 9 istituite e 15 allo studio. I dipartimenti di emergenza erano netta- mente preponderanti con ben 22 unità in corso di realizzazione. Un dipartimento, nel ’73 solo deliberato, nel ’74 era divenuto operativo; di uno istituito non si avevano più notizie, 6 nuovi dipartimenti erano stati istituiti nel ’74. Tra i dipartimenti allo studio si annoveravano nel ’74 ben 11 nuove iniziative tutte nell'area dell'emergenza. Delle 14 iniziative in studio nel ’73 ne erano sopravvissute solo 4 mentre delle altre non c’erano più tracce. E' indicativo il fatto che ci sia stato addirittura un incremento dei di- partimenti d'emergenza mentre ancora è elevato il numero delle si- tuazioni che si sono risolte probabilmente con un nulla di fatto. Nel ’73 si potevano rilevare 15 iniziative relative ai dipartimenti per il coordinamento di attività polispecialistica che non necessitano di strutture di servizio particolari (cfr. tab.2.3): 2 operanti, 4 solo istitui- te, 9 allo studio.6 Nel ’74 i dipartimenti per i quali esisteva una testimonianza erano 18: 3 operativi, 8 regolamentati, 7 in progettazione.7 Delle 15 iniziative del ’73 solo 4 sono state riconfermate anche se nessuna di esse era avanzata allo stadio successivo (sono tutte rima- ste a livello di semplice istituzione). Le nuove iniziative del ’74 erano 13. Per quanto riguarda le aree di- sciplinari interessate c'era una evidente disomogeneità. Ricordiamo infine che nessuna iniziativa dipartimentale era stata de- nunciata da 47 ospedali nel ’73 e da ben 55 nel ’74. A questo punto possiamo trarre alcune conclusioni. Restando alle ci- fre osserviamo nella tabella 2.4 che delle 85 iniziative dipartimentali del ’73 si era scesi alle sole 79 del 1974. La diminuzione poteva es- sere ricondotta al calo dei dipartimenti del 1° che erano passate da 50 a 35. Erano aumentati i dipartimenti del 2° tipo (da 20 a 26) e an- 6 4 relative alla medicina preventiva e sociale, 3 all'oncologia, 2 all'insegnamento. 7 4 di medicina perinatale, 1 d’insegnamento. Erano diminuite le iniziative nel set- tore oncologico passate da 3 a l.
  • 49. 48 che se più modestamente quelle del 3° tipo ( da 15 a 18). Le scelte dipartimentali riguardavano prevalentemente l'area delle emergenze in senso lato a cui risultavano interessati ben 22 ospedali. Tabella 2.4 - Confronto tra i progetti di dipartimento del 1973 e 1974. DIPARTIMENTI ISTITUITI E OPE- RANTI ISTITUITI MA NON OPERANTI ALLO STUDIO TOTALE 1973 1974 1973 1974 1973 1974 1973 1974 Dipartimenti che accorpano attività identiche affini o complementari con impiego comune di strutture di servizio 9 9 14 17 27 9 50 35 Dipartimenti che accorpano attività polispecialistiche con impiego di strut- ture specialistiche all'uopo predisposto 1 2 5 9 14 15 20 26 Dipartimenti che accorpano attività polispecialistiche senza esigenza di specifici servizi 2 3 4 8 9 7 15 18 TOTALE 12 14 23 34 50 31 85 79 Fonte: Campana, 1986. Spostando il nostro angolo di analisi allo stadio di sviluppo dei dipar- timenti, si può osservare che a fronte di un modesto incremento dei dipartimenti operanti (si passava da 12 a 14), di una notevole crescita di quelli solo istituiti (da 23 a 34), vi era una evidente diminuzione delle iniziative allo studio (da 50 a 31). Molto probabilmente la riduzione delle iniziative allo studio era do- vuta all'esaurirsi della fase iniziale caratterizzata da entusiasmi locali indotti da interessi politici più che da motivazioni tecniche. L'altro dato indicativo è la diminuzione delle iniziative del primo tipo e il contemporaneo forte aumento dei dipartimenti d’emergenza. Ciò poneva in evidenza la profonda difficoltà a passare dalla scelta con- tingente di realizzare un dipartimento per fronteggiare impellenti esi- genze di servizio, (come nel caso delle strutture d'emergenza), ad una visione globale che inquadrasse il dipartimento come nuova entità organizzativa funzionale generalizzata all'intero ospedale. Il proliferare delle iniziative nel settore del pronto soccorso inteso in senso ampio può essere facilmente spiegato dalla maggiore facilità di
  • 50. 49 comprensione della ragione d'essere del dipartimento in termini teo- rici. In effetti è a tutti ben evidente che un malato in fase di emer- genza-urgenza può aver bisogno dell'intervento contemporaneo di più operatori. Inoltre erano in quegli anni particolarmente preoccu- panti le enormi carenze dei servizi di emergenza e accettazione degli ospedali italiani, tanto che si richiedeva da più parti un qualche inter- vento risolutore. Questa tendenza peraltro era ampiamente confermata come si evince dalla tabella 2.5 relativa alle sole nuove iniziative, dal fatto che tra di esse nel 1974 prevalevano in modo assoluto le scelte del secondo ti- po che, ricordiamo, comprende il pronto soccorso. La tabella 2.6 cerca di riassumere i dati relativi al destino delle espe- rienze avviate nel 1973. Per più del 50% di tali iniziative, solo un anno dopo, non si avevano più notizie ed è logico presumere che nessuna di esse fosse andata a buon fine. Ma quello che più colpisce è la situazione di evidente stallo in cui si trovavano le iniziative del 1973 che fossero sopravvissute fino al ’74: solo 4 dipartimenti su 40 erano riusciti a evolvere verso uno stadio successivo rispetto a quello in cui si collocavano un anno prima. Tabella 2.5 - Nuove iniziative sorte tra il 1973 e 1974. DIPARTIMENTI ISTITUITI E OPE- RANTI ISTITUITI MA NON OPERANTI ALLO STUDIO TOTALE Dipartimenti che accorpano attività identiche affini o complementari con impiego comune di strutture di servi- zio 6 4 10 Dipartimenti che accorpano attività polispecialistiche con impiego di strutture speciali- stiche all'uopo predisposto 5 11 16 Dipartimenti che accorpano attività polispecialistiche sen- za esigenza di specifici servi- zi 3 4 6 13 TOTALE 3 15 21 39 Fonte: Campana, 1986.
  • 51. 50 Tabella 2.6 - Evoluzione delle iniziative denunciate nel 1973. DIPARTI- MENTI TOTA- LE 1973 RITROVATE NEL 1974 NON PIU' RITROVA- TE NEL 1974 TOTA- LE ALLO STESSO LIVEL- LO AD UNO STADIO PIU' AVANZA- TO Dipartimenti che accorpano attivi- tà identiche affini o complementari con impiego co- mune di strutture di servizio 50 25 23 2 25 Dipartimenti che accorpano attivi- tà polispecialisti- che con impiego di strutture spe- cialistiche all'uo- po predisposto 20 11 9 2 9 Dipartimenti che accorpano attivi- tà polispecialisti- che senza esi- genza di specifici servizi 15 4 4 11 TOTALE 85 40 36 4 45 Fonte: Campana, 1986. Tutto questo mette in risalto le notevoli difficoltà che il dipartimento incontrava nel suo passaggio dalla fase di studio alla fase operativa quando non fossero definiti con chiarezza e in modo particolareggia- to fin dal principio i presupposti tecnici e funzionali che ne sono fon- damento. 2.4 – LE CAUSE CHE HANNO OSTACOLATO LA NASCITA DEI DIPARTIMENTI Il panorama che si presentava nel ’74 era certamente scoraggiante. Già in quegli anni si cercava comunque di trovare una qualche spie-
  • 52. 51 gazione ai ritardi che si stavano inevitabilmente accumulando e ai si- stematici fallimenti delle diverse esperienze. Il principale ostacolo all’affermazione dei dipartimenti sembra essere stata l'istituzione primariale che non voleva rinunciare al suo ruolo dirigenziale nell'ospedale; ne era una evidente conferma ogni dichia- razione dei suoi rappresentanti, diretta a smorzare gli entusiasmi e ad ostacolare le iniziative. Certamente i primari all’interno delle divi- sioni avevano un enorme potere che spesso veniva gestito all’insegna del più rigido corporativismo. Nessuno era disposto a rinunciare a tanti privilegi e i dipartimenti avrebbero prodotto inevitabilmente, con il passare del tempo, questo risultato. Molti furono anche i tentativi di approfittare delle trasformazioni per lasciare in realtà tutto com'era (si cambiava il nome dell'apparato or- ganizzativo ma ogni cosa sarebbe rimasta come prima). Alcuni osta- colavano apertamente i dipartimenti e promuovevano la moltiplica- zione dei primariati. Molte organizzazioni sindacali che avrebbero potuto dare un forte impulso alle trasformazioni comunque avviate, finivano per lo scontrarsi tra loro o peggio ancora per cedere anch’esse a interessi particolaristici favorendo così il perfetto immo- bilismo decisionale e operativo. C'era un profondo attaccamento alle tradizioni, alle abitudini, a certi modelli statici che non erano tali da consentire efficienti e piacevoli condizioni di lavoro ma per lo meno permettevano di avere un ruolo attivo all'interno della complessa organizzazione ospedaliera. Le ca- renze nella preparazione di base degli operatori ai vari livelli riduce- va la qualità degli interventi organizzativi e impediva la maturazione di un impegno alla trasformazione che avrebbe potuto evidenziare ta- le impreparazione; una sorta di timore verso novità i cui effetti erano imprevedibili. E pensare che proprio i dipartimenti avrebbero senz'altro favorito la crescita professionale di tutto il personale sani- tario. C'era una impreparazione culturale che avrebbe impedito ogni forma di lavoro di gruppo: l'individualismo imperava incontrastato. I dipar- timenti dato il contesto normativo potevano nascere, quasi esclusi- vamente, in conseguenza del libero consenso di tutti i lavoratori im- plicati con un'evidente prova di buona volontà. Altrettanto rapida- mente di fronte alle difficoltà il consenso poteva venire meno vanifi- cando ogni intento (Ciocia, 1976). C’erano anche resistenze legate
  • 53. 52 alla mancanza di un approfondito confronto all'interno del corpo sa- nitario e di questo con l'amministrazione ospedaliera. Possiamo pe- raltro distinguere diversi atteggiamenti degli operatori: alcuni rifiuta- vano i dipartimenti temendo il cambiamento del modo di lavorare; alcuni li consideravano espressione della lotta di classe con la quale le categorie meno responsabilizzate ambivano ad avere maggiore po- tere; alcuni promuovevano una resistenza cocciuta e conservatrice all'iniziativa, altri tendevano a strafare, ad enfatizzare gli obiettivi e gli strumenti dipartimentali nella convinzione esagerata di poter ri- solvere tutti i problemi dei nosocomi. Tutti atteggiamenti fuorvianti a cui si aggiungevano una miriade di posizioni intermedie che testi- moniavano l'evidente varietà delle interpretazioni, spesso dettate dal- la mancanza di approfondite conoscenze in materia (Perraro, 1975). La struttura ospedaliera nel suo complesso si caratterizzava per una forte staticità funzionale, organizzativa, territoriale, edilizia, avallata dalla riforma ospedaliera che non era coerente con la dinamicità e l'innovatività dei dipartimenti. Inoltre i nosocomi erano caratterizzati da settorialità dovute alla stratificazione gerarchica che rallentava l'affermazione di uno schema funzionale di tipo integrato. La programmazione ospedaliera, che pure aveva fatto tanti buoni propositi non era quasi mai riuscita a passare alla fase attuativa. La programmazione regionale dal canto suo non era mai andata oltre la fase di studio e non era certo riuscita ad impedire la proliferazione di reparti e servizi; inoltre quasi mai formulava delle direttive univoche lasciando così nella indeterminatezza le amministrazioni ospedaliere. Per gli ospedali di più modeste dimensioni mancavano modelli di confronto dato che i nosocomi più grandi non avevano ancora affron- tato il problema dipartimentale. La mancanza di esperienze collauda- te alle quali fare riferimento era un forte freno all'avvio di ogni pro- getto; le poche esperienze presenti non erano del tutto sovrapponibili alle realtà locali: una pedissequa copiatura portava spesso a tragici fallimenti in contesti evidentemente diversi (Scattolin, 1973). Negli ospedali zonali le dimensioni erano talmente ridotte da aggiun- gere ulteriori difficoltà alla creazione di qualsiasi dipartimento inter- no; si imponeva la creazione di strutture intraospedaliere in una logi- ca di integrazione che ancora non era concepibile (Casuccio, 1973).