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Una vita imperfetta



                                         Elogio della pazienza
                                            di Francesco Donato Perillo



Nasce una nuova rubrica: “Una vita imperfetta”, dedicata a chi, come la
maggioranza di noi, non separa la vita dal lavoro, lo considera anzi parte
integrante della vita, non un suo surrogato, quasi fosse una fiction o una re-
cita cui siamo obbligati, ma una sua parte imprescindibile. E non una parte
sezionata, ufficiale, pubblica, professionale, distinta da quella che è la vita
privata: non c’è e non può esserci un dentro e un fuori del lavoro. Esso è
luogo in cui si porta tutta la propria carica affettiva, perché anche le rela-
zioni organizzative ne sono profondamente investite. In questo senso, pur
se tra vincoli, condizionamenti e avversità di ogni genere, la condizione
del lavoratore –e ancora di più quella del lavoratore-manager, in quanto
anche responsabile di altre persone– è paradossalmente un’esperienza di
libertà. Forse è per questo che riusciamo a non avvertire fino alle estreme
conseguenze la frustrazione dell’isolamento o quella dell’indifferenza, quel
sentirsi invisibili, in cui tante volte il lavoro nelle organizzazioni ci caccia:
l’assenza di un committment dall’alto, un mancato riconoscimento, anche
solo con una parola, a fronte di un lavoro riuscito, la delusione per un obiettivo appena sfiorato ma non centrato,
la mancanza di riscontro alle tue mail. E’ il lavoro nella mia azienda, in qualunque azienda, in qualunque organiz-
zazione. Ho sentito anche monaci lamentarsi dei comportamenti organizzativi del convento, del priore come dei
confratelli. E’ proprio la vita, con le sue contraddizioni, i suoi alti e i suoi bassi.
Questo i lettori di Persone & Conoscenze lo sanno bene, convinti che spendersi nel proprio mestiere è conquista
dell’indipendenza, di uno spazio personale che non può essere intaccato né da un capo arrogante né da colleghi
arrivisti, perché è lì che posso sentirmi in sintonia con la mia storia e acquisire invulnerabilità rispetto ai momenti
alti come a quelli bassi. Non è la felicità, ma almeno è una via per non perderla di vista, forse l’unica concessa dalle
logiche spietate delle organizzazioni.
C’è poi il secondo aspetto: l’imperfezione. Già quasi sinonimo della vita stessa, esprimendone la caratteristica fon-
dante. Ma qui, al di là di ogni filosofare, ci riferiamo alla vita manageriale, quella del fronte, quella concreta della
trincea quotidiana. Chi non ricorda L’imperfezione manageriale, tra i primi coraggiosi libri di Pier Luigi Celli? Si
era nel pieno degli anni ’90, il mondo aziendale non aveva ancora prodotto quel contesto sfilacciato, disorganico,
imprevedibile, para-virtuale in cui siamo costretti ad agire oggi. Celli, all’epoca manager operativo e di primo pia-
no in grandi aziende, aveva colto in anticipo i segnali deboli di quella che sarebbe poi diventata una frana che ha
investito tutti. La frana delle certezze della pianificazione e del controllo, della sicumera del management scientifi-
co, del mito assoluto del produttivismo, cui corrispondeva la maschera del manager rigoroso ed efficientista: fattori
rivelatisi incompatibili con la gestione della complessità. Invece è proprio la consapevolezza dell’imperfezione a
poter guidare il manager tra le variabili indefinite e le dinamiche non lineari della navigazione aziendale. A partire
da quel libro di Celli e dalle suggestioni del pensiero debole che Edgar Morin andava diffondendo in quegli anni,
l’imperfezione è stata forse la scoperta manageriale più importante del secolo (il ventunesimo), la definitiva rottura
degli schemi tayloristi, l’apertura alla dimensione umanistica della gestione. La valorizzazione dell’intelligenza
emotiva, delle competenze relazionali, la stessa scoperta della diversità, a rifletterci bene, non ne sono che la con-
seguenza.
Dall’imperfezione manageriale alla vita imperfetta il passo è perciò breve, quasi un’equazione: la vita di noi mana-
ger imperfetti è narrazione, fatta di esperienze da condividere, pratiche vissute, sentimenti da esprimere, convin-
zioni da mettere in discussione, humanities. Opinioni e non verità. Vita di ricerca e non solo di produzione.
Alla luce di queste riflessioni, lasciamo questa prima pagina con una domanda di attualità: ci sono per l’impresa
post-fordista scorciatoie o formule per sopravvivere nell’economia globalizzata? E riformuliamola in riferimento
allo spostamento dei confini delle relazioni sindacali avviato dalla linea Marchionne: può un accordo sindacale
–peraltro privo di una significativa componente– risolvere il problema della competitività con il mondo emergente
ad est? Forse può aiutare. O al contrario agire come un boomerang motivazionale. Il punto, a mio parere, è che non
c’è nessuna new-co che possa sottrarsi all’imperfezione e alla necessità di cucire con pazienza manageriale il tessuto
delle sue relazioni umane.



32    PERSONE&CONOSCENZE N.65

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  • 1. Una vita imperfetta Elogio della pazienza di Francesco Donato Perillo Nasce una nuova rubrica: “Una vita imperfetta”, dedicata a chi, come la maggioranza di noi, non separa la vita dal lavoro, lo considera anzi parte integrante della vita, non un suo surrogato, quasi fosse una fiction o una re- cita cui siamo obbligati, ma una sua parte imprescindibile. E non una parte sezionata, ufficiale, pubblica, professionale, distinta da quella che è la vita privata: non c’è e non può esserci un dentro e un fuori del lavoro. Esso è luogo in cui si porta tutta la propria carica affettiva, perché anche le rela- zioni organizzative ne sono profondamente investite. In questo senso, pur se tra vincoli, condizionamenti e avversità di ogni genere, la condizione del lavoratore –e ancora di più quella del lavoratore-manager, in quanto anche responsabile di altre persone– è paradossalmente un’esperienza di libertà. Forse è per questo che riusciamo a non avvertire fino alle estreme conseguenze la frustrazione dell’isolamento o quella dell’indifferenza, quel sentirsi invisibili, in cui tante volte il lavoro nelle organizzazioni ci caccia: l’assenza di un committment dall’alto, un mancato riconoscimento, anche solo con una parola, a fronte di un lavoro riuscito, la delusione per un obiettivo appena sfiorato ma non centrato, la mancanza di riscontro alle tue mail. E’ il lavoro nella mia azienda, in qualunque azienda, in qualunque organiz- zazione. Ho sentito anche monaci lamentarsi dei comportamenti organizzativi del convento, del priore come dei confratelli. E’ proprio la vita, con le sue contraddizioni, i suoi alti e i suoi bassi. Questo i lettori di Persone & Conoscenze lo sanno bene, convinti che spendersi nel proprio mestiere è conquista dell’indipendenza, di uno spazio personale che non può essere intaccato né da un capo arrogante né da colleghi arrivisti, perché è lì che posso sentirmi in sintonia con la mia storia e acquisire invulnerabilità rispetto ai momenti alti come a quelli bassi. Non è la felicità, ma almeno è una via per non perderla di vista, forse l’unica concessa dalle logiche spietate delle organizzazioni. C’è poi il secondo aspetto: l’imperfezione. Già quasi sinonimo della vita stessa, esprimendone la caratteristica fon- dante. Ma qui, al di là di ogni filosofare, ci riferiamo alla vita manageriale, quella del fronte, quella concreta della trincea quotidiana. Chi non ricorda L’imperfezione manageriale, tra i primi coraggiosi libri di Pier Luigi Celli? Si era nel pieno degli anni ’90, il mondo aziendale non aveva ancora prodotto quel contesto sfilacciato, disorganico, imprevedibile, para-virtuale in cui siamo costretti ad agire oggi. Celli, all’epoca manager operativo e di primo pia- no in grandi aziende, aveva colto in anticipo i segnali deboli di quella che sarebbe poi diventata una frana che ha investito tutti. La frana delle certezze della pianificazione e del controllo, della sicumera del management scientifi- co, del mito assoluto del produttivismo, cui corrispondeva la maschera del manager rigoroso ed efficientista: fattori rivelatisi incompatibili con la gestione della complessità. Invece è proprio la consapevolezza dell’imperfezione a poter guidare il manager tra le variabili indefinite e le dinamiche non lineari della navigazione aziendale. A partire da quel libro di Celli e dalle suggestioni del pensiero debole che Edgar Morin andava diffondendo in quegli anni, l’imperfezione è stata forse la scoperta manageriale più importante del secolo (il ventunesimo), la definitiva rottura degli schemi tayloristi, l’apertura alla dimensione umanistica della gestione. La valorizzazione dell’intelligenza emotiva, delle competenze relazionali, la stessa scoperta della diversità, a rifletterci bene, non ne sono che la con- seguenza. Dall’imperfezione manageriale alla vita imperfetta il passo è perciò breve, quasi un’equazione: la vita di noi mana- ger imperfetti è narrazione, fatta di esperienze da condividere, pratiche vissute, sentimenti da esprimere, convin- zioni da mettere in discussione, humanities. Opinioni e non verità. Vita di ricerca e non solo di produzione. Alla luce di queste riflessioni, lasciamo questa prima pagina con una domanda di attualità: ci sono per l’impresa post-fordista scorciatoie o formule per sopravvivere nell’economia globalizzata? E riformuliamola in riferimento allo spostamento dei confini delle relazioni sindacali avviato dalla linea Marchionne: può un accordo sindacale –peraltro privo di una significativa componente– risolvere il problema della competitività con il mondo emergente ad est? Forse può aiutare. O al contrario agire come un boomerang motivazionale. Il punto, a mio parere, è che non c’è nessuna new-co che possa sottrarsi all’imperfezione e alla necessità di cucire con pazienza manageriale il tessuto delle sue relazioni umane. 32 PERSONE&CONOSCENZE N.65