Nato ad Asti. Vita di un imprenditore - Capitoli 7-12
1. VII
LA PRIMA GUERRA MONDIALE
Il 28 giugno 1914, al ritorno da una lunga escursione nelle
valli di Lanzo che mi aveva tenuto lontano dal mondo per di
versi giorni, seppi dell’assassinio del principe ereditario au
striaco e di sua moglie per mano di un bosniaco, Gavrilo Prin
cip, armato da movimenti irredentisti serbi. Il tragico episodio
aveva messo in allarme le cancellerie di tutta l’Europa, per le
conseguenze che avrebbe potuto avere sugli instabili equilibri
allora esistenti.
Com’è noto, l’Europa era allora dominata dalla Triplice Al
leanza (GermaniaAustriaItalia) e dall’Intesa (RussiaFrancia
Inghilterra), ma i Balcani erano una polveriera di irredentismi.
L’Austria presentò alla Serbia un ultimatum che fu respinto: di
qui lo scoppio della prima guerra mondiale.
L’Italia era in una posizione decisamente difficile: legata da
un trattato di alleanza militare ad Austria e Germania, era però
del tutto impreparata sotto il profilo militare. Uscita stre mata
dalla guerra di Libia, agitata da correnti antiaustriache, come
poteva schierarsi a fianco dell’Austria contro Francia e Inghil
terra? Sarebbe stata, da parte dei suoi governanti, una mossa
assolutamente impopolare.
Dato che non eravamo stati minimamente consultati prima
della dichiarazione di guerra, ci fu possibile dichiarare la no
stra neutralità. Seguirono mesi di pressioni diplomatiche da
parte sia della Triplice che dell’Intesa per coinvolgerci nel con
CAP07.indd 120 8-07-2011 11:57:35
2. LA PRIMA GUERRA MONDIALE 121
L’assassinio dell’arciduca Francesco Ferdinando d’Asburgo a Sarajevo
il 28 giugno 1914. Tavola di A. Beltrame dalla «Domenica del Corriere».
CAP07.indd 121 8-07-2011 11:57:36
3. 122 NATO AD ASTI
Attilio. Ettore.
Umberto. Rodolfo.
CAP07.indd 122 8-07-2011 11:57:37
4. LA PRIMA GUERRA MONDIALE 123
Ugo. Virginio.
flitto. Neutralisti e interventisti presero posizione contro gli
Imperi Centrali. La corrente interventista (al fianco di Russia
FranciaInghilterra) era trascinata dalle infuocate orazioni di
D’Annunzio e dagli articoli del quotidiano «Il Popolo d’Ita
lia», il cui direttore, Benito Mussolini, lasciato il Partito Socia
lista, era diventato un veemente propagandista dell’interven
to italiano a fianco dell’Intesa. I contrasti sfociarono in scontri
violenti nelle vie e nelle piazze, mentre il governo Salandra si
atteggiava a neutralista ad oltranza.
Ma intanto, in assoluta segretezza, era stato raggiunto l’ac
cordo sul nostro passaggio a fianco dell’Intesa e persino sulla
data della nostra entrata in guerra (24 maggio 1915).
Nel 1912, avendo un fratello ufficiale in servizio permanen
te, avevo fruito di una ferma ridotta: sei mesi ad Asti, al ter
mine dei quali ero stato congedato con i gradi di caporale. Ora
− frequentavo il quarto anno del Politecnico − ero soggetto alla
CAP07.indd 123 8-07-2011 11:57:37
5. 124 NATO AD ASTI
chiamata alle armi secondo il manifesto di mobilitazione del
24 maggio.
Mi presentai così a Torino alla caserma di raccolta dei ri
chiamati. Immediatamente intruppato, la sera stessa fui spedito
al fronte in una colonna autotrasportata. Avevo avuto appe na il
tempo di avvertire i familiari.
In tre giorni, salutati ovunque da folle in festa, arrivammo
al settore assegnatoci, con base a Pieve di Cadore. Il rombo
delle cannonate arrivava fino al nostro accampamento, ma a ri
cordarci che eravamo in guerra era soprattutto il passaggio del
le ambulanze cariche di feriti.
Dopo a lcune setti ma ne fummo trasferiti nel settore
dell’Isonzo, verso le alture di San Michele del Carso. Alla fine
di un luglio rovente, attraversati Veneto e Friuli, raggiungem
mo Gradisca, devastata dalle cannonate. L’impatto con la realtà
della guerra fu tremendo.
Mentre era in pieno svolgimento una delle tante battaglie
per la conquista dell’altopiano carsico, attraversammo l’Ison
zo appoggiandoci alle travature del ponte in ferro fatto crollare
dal nemico. Il fracasso era infernale; tra scoppi di granate e si
bili di mitragliatrici procedevamo verso la postazione assegna
taci incrociando uomini orribilmente mutilati che, riversi sulle
barelle, urlavano di dolore.
Per tutta l’estate e l’autunno proseguirono gli scontri, senza
vantaggi decisivi per l’una o l’altra parte, ma con un immane
spreco di vite umane.
In agosto il nostro reparto, non poco provato, venne ritirato
dalla linea di combattimento e mandato nelle retrovie a Palma
nova. Mentre ci godevamo il breve periodo di riposo, arrivò
l’ordine del Comando di Armata di provvedere all’esecuzione
della sentenza del Tribunale di Guerra che condannava due di
sertori alla fucilazione. L’ordine precisava che l’esecuzione do
veva avvenire su uno spalto del muro di cinta della città, alla
CAP07.indd 124 8-07-2011 11:57:37
6. LA PRIMA GUERRA MONDIALE 125
presenza di drappelli di militari dei vari corpi operanti nel set
tore. Quando seppi di essere compreso nel drappello del no
stro reparto ne fui terribilmente sconvolto, tanto che trovai il
coraggio di implorare il mio comandante perché mi esentasse
dall’obbligo di subire lo strazio di quello spettacolo, e alla fine
fui accontentato.
Purtroppo nel corso del conflitto, poco prima di Caporetto,
dovetti assistere a un caso di applicazione della terribile legge
di guerra della decimazione.
Con l’arrivo delle piogge e il calo della temperatura, la vita
in trincea divenne quasi intollerabile; dato che l’equipaggia
mento era del tutto inadeguato, ci furono innumerevoli casi di
congelamento degli arti inferiori con conseguenti spaventose
amputazioni. Il nemico, che era invece ben attrezzato, non ci
dava respiro con tiri di disturbo giorno e notte.
Essendo rallentata l’azione offensiva nella stagione inverna
le, il Comando Supremo organizzò un turno di licenze di due
settimane. Arrivò infine il mio turno. La partenza avveniva
dalla stazione di Udine dove si fermava la «tradotta», un con
voglio composto da alcune carrozze passeggeri, riservate agli
ufficiali, e una lunga fila di carri merci, i famosi «cavalli otto
uomini quaranta».
In attesa della partenza, incontrai un amico di famiglia, ca
pitano dei bersaglieri. Mentre ci stavamo raccontando le reci
proche disavventure, gli arrivò l’ordine di rientrare immediata
mente, dato che si riteneva imminente un’offensiva nemica. Al
ritorno dalla licenza venni a sapere che quella stessa notte una
granata aveva centrato in pieno la sua postazione e che l’amico
era stato dilaniato dall’esplosione.
Da parte mia, impiegati una notte e un giorno per raggiun
gere Milano, arrivai infine ad Asti e potei riabbracciare i miei
genitori, la sorella Andreina con la sua famiglia, parenti ed
amici e i fratelli Ettore e Ugo anch’essi in licenza: né di Etto
CAP07.indd 125 8-07-2011 11:57:37
7. 126 NATO AD ASTI
re, tenente medico in un battaglione di bersaglieri, né di Ugo,
te nente di artiglieria, avevo saputo più nulla dall’inizio della
guerra. Andai anche a Torino a salutare i compagni del Politec
nico, che però per la maggior parte erano stati chiamati alle
ar mi e intruppati in corsi accelerati per conseguire la nomina
di ufficiali di complemento. Furono poi avviati al fronte dove
non pochi trovarono la morte in combattimento.
Il ritorno al fronte fu piuttosto avventuroso. Non me l’ero
sentita di affrontare il viaggio in tradotta e avevo deciso di usu
fruire dei normali treni viaggiatori, cosa che era rigorosa mente
vietata. Ma riuscii a raggiungere il mio reparto senza incappare
nelle ronde di sorveglianza.
Arrivò infine il giorno in cui il nemico sferrò l’offensiva nel
Trentino, la Strafexpedition. Dato che il fronte cedette in vari
punti, poté dilagare sugli altipiani, cercando di aprirsi un varco
verso la pianura veneta.
Per tamponare l’avanzata, fummo smistati nei settori più
caldi. Furono giorni e notti da tregenda, ma alla fine la linea
del fronte venne ricostituita e potemmo far ritorno sull’Isonzo.
Ai primi di agosto ottenni una breve licenza per presentar
mi agli esami di tecnologia meccanica e economia politica. La
mia preparazione era nulla, ma l’importante era la licenza, non
la promozione. Il Comando aveva però disposto che se non si
fosse superato l’esame, i giorni di licenza sarebbero stati scalati
da quelli della licenza invernale. Ma grazie alla comprensione
dei professori ottenemmo tutti quanti il necessario diciotto.
Nel frattempo si era scatenata con grande violenza la nostra
controffensiva. Raggiunta Gorizia, conquistato il monte Sabo
tino, oltrepassato l’Isonzo, le nostre truppe rimontarono l’alto
piano della Bainsizza occupando importanti punti strategici.
In quei mesi affluivano al fronte i miei compagni del Politec
nico, nominati nel frattempo ufficiali di complemento, come
ho già accennato. Avevano così evitato le mie dure esperien
CAP07.indd 126 8-07-2011 11:57:37
8. LA PRIMA GUERRA MONDIALE 127
ze come soldato nel primo anno di guerra, al termine del quale
ero ancora allo stato di semplice graduato.
Mi rallegrò quindi la disposizione del Comando di invia
re i militari, in possesso di un determinato titolo di studio,
a un corso accelerato per conseguire la nomina di ufficiale
di complemento. Il corso, in parte teorico a Padova, in parte
pratico presso reparti di linea, avrebbe avuto inizio in no
vembre.
Dopo due mesi molto piacevoli a Padova, fui inviato in un
reggimento di fanteria nelle Giudicarie, in Val di Ledro. A fine
dicembre uno spesso manto di neve copriva la zona lungo la
quale si estendeva la prima linea di trincee. Poiché la neve im
pediva azioni offensive, il grosso delle truppe era stato sistema
to nelle retrovie, mentre davanti alla prima linea era stata
predisposta una serie di avamposti per dare l’allarme, accurata
mente mascherati in modo da non essere individuati dal nemi
co. Si trattava di caverne presidiate da una decina di militari,
con turno settimanale.
Mi toccò il turno che comprendeva il Natale e il Capodan
no, che furono dei più melanconici della mia vita. Passai l’ulti
mo dell’anno in una caverna buia e fredda, mentre dalle trin
cee nemiche arrivava l’eco di canti e di brindisi.
Promosso «aspirante ufficiale» (dopo pochi mesi si diven
tava sottotenenti), fui assegnato alla Seconda Armata e presi
parte a diverse azioni offensive sull’altopiano della Bainsizza.
Parecchi mesi prima una circolare del Comando aveva invi
tato gli ufficiali a presentare domanda d’iscrizione a un corso,
a Padova, di specializzazione in apparecchiature elettriche. La
mia domanda fu accolta e il 20 ottobre mi trasferii a Padova.
Solo due giorni dopo ci fu l’offensiva austriaca di Caporetto
che sfondò il fronte proprio all’altezza della Bainsizza, dove si
trovava il mio reparto. Che non ebbe scampo e rimase prigio
niero fino alla fine del conflitto.
CAP07.indd 127 8-07-2011 11:57:37
9. 128 NATO AD ASTI
Padova divenne un inferno. Vi affluivano incessantemente
colonne di militari sbandati, disarmati, in fuga verso le retro
vie; ovunque scene di disperazione, con treni insufficienti a tra
sportare le folle di militari e civili e strade inadeguate al flusso
dei mezzi bellici.
Ovviamente il corso fu annullato e io fui impiegato come
comandante di compagnia, col compito di rastrellare gli sban
dati e inquadrarli in nuclei in modo da ricostituire una linea
di resi stenza. Nel frattempo il nemico era dilagato nella pia
nura veneta e di lì al Piave dove si era fermato per organizzare
l’afflusso di rifornimenti.
La mia angoscia per le conseguenze della sconfitta era resa
più intensa dai timori per la sorte toccata a Ettore e Ugo, il pri
mo in alta Carnia e quindi tagliato fuori dall’avanzata nemica
nella pianura friulana, il secondo in Cadore e quindi con gran
di difficoltà per arretrare sul Piave. Dopo due mesi senza no
tizie ebbi la gioia di saperli salvi entrambi al di qua del Piave.
Ettore, fuggendo a piedi, attraverso le montagne, dal suo re
parto che aveva deciso di arrendersi, era giunto al Piave ed era
riuscito acrobaticamente ad attraversarlo su un ponte che stava
per essere fatto saltare dai nostri in ritirata; Ugo era riuscito a
ripiegare dal Cadore sul Montello.
Col passare dei giorni e il deflusso di molti profughi verso
l’interno del paese, la situazione andava lentamente normaliz
zandosi. Il nemico si era attestato sulle sponde del Piave gon
fiato dalle piogge e quindi difficile da attraversare.
A metà ottobre fui trasferito al servizio fotoelettrico della
Quarta Armata che operava nel Trentino, con comando a Bel
luno Veronese, un piccolo comune sulle rive dell’Adige. Lì
fui subito destinato a dare il cambio al comandante di una
stazione fotoelettrica di trincea, a Doss Casina, sulle pendici
del monte Altissimo. Ero in preda allo smarrimento, essendo
del tutto all’oscuro sia delle attrezzature che del loro impiego.
CAP07.indd 128 8-07-2011 11:57:37
10. LA PRIMA GUERRA MONDIALE 129
Raggiunta la postazione, il tenente, che attendeva con ansia il
mio arrivo, mi fece rapidamente la consegna lasciandomi al co
mando di una decina di soldati e di un sergente, con i quali
dovevo fronteggiare una situazione ricca di incognite e anche
di branchi di toponi voraci che si infilavano dappertutto, per
sino nei sacchi a pelo.
La stazione era addetta al servizio di illuminazione di un
tratto della terra di nessuno che si snodava tra le nostre trincee
e quelle del nemico, così poco distanti che di giorno erano per
fettamente visibili le vedette.
In quel settore era in atto una singolare azione propagandi
stica del nemico effettuata mediante grandi cartelli che, porta
ti nottetempo in vista delle trincee, incitavano i nostri ad ar
rendersi dato che il Veneto era tutto occupato e ogni resistenza
quindi vana. Il Comando aveva organizzato un drappello di ar
diti col compito di impadronirsi dei cartelli e inviarli ai servizi
di controspionaggio.
La linea era presidiata da alcuni battaglioni di alpini al co
mando del valoroso colonnello Ragni: poco più avanti, altre
centinaia di alpini sistemati in cunicoli o caverne scavate nella
roccia, armati di mitragliatrici, lanciabombe e cannoncini da
trincea. Era una specie di fortezza, dalla quale si potevano ef
fettuare azioni di disturbo fino alle retrovie nemiche.
Ma una notte un manipolo di nemici riuscì ad avanzare
fino alle nostre vedette e, neutralizzatele, ad aprire la via a re
parti che penetrarono nelle caverne dove gli alpini giaceva
no addormentati. Li fecero prigionieri e organizzarono l’of
fensiva.
L’incursione era stata così rapida che il nostro Comando se
ne accorse solo il mattino dopo. Fu subito decisa l’azione per
riprendere la postazione e gli austriaci furono sorpresi in piena
notte da una compagnia di arditi che fecero centinaia di pri
gionieri.
CAP07.indd 129 8-07-2011 11:57:38
11. 130 NATO AD ASTI
Grazie all’ampia disponibilità dei civili, rimasti nella pianu
ra friulana, a fare dello spionaggio in nostro favore, il Coman
do seppe che il nemico stava preparandosi a una nuova offensi
va nel settore del Piave, mirando a dilagare nella pianura
lombarda. Dispose efficaci contromisure: fummo avvertiti del
giorno e dell’ora dell’azione che, per quel che riguardava il no
stro settore, si sarebbe limitata a un intensissimo fuoco di arti
glieria. La vera offensiva sarebbe stata concentrata sul medio
Piave. Ma il piano del nemico fallì; questo fu anche il suo ulti
mo sforzo offensivo.
Nel maggio fui trasferito sul lago di Garda, col compito di
provvedere al funzionamento delle stazioni fotoelettriche col
locate all’estremità del lago. Passai così gli ultimi sei mesi di
guerra nel modo migliore. Le grandi fotoelettriche di giorno
venivano nascoste in caverne e di notte illuminavano il lago per
impedire infiltrazioni austriache. Ero quindi in servizio tutta la
notte, ma praticamente si trattava di una sinecura dato che ero
in un settore, come si soleva dire, di pace separata.
Ricordo molto bene che la linea di difesa di quel settore era
presidiata da un’unità formata da disertori cecoslovacchi, di
straordinario coraggio. Alcuni di loro, ad esempio, dopo esse
re stati trasportati all’estremità del lago, in mano nemica, rag
giungevano a nuoto la riva dove, equipaggiati con divise au
striache, si infiltravano nelle linee nemiche prendendo visione
della dislocazione dei reparti, delle postazioni di artiglieria e
di eventuali preparativi di azioni offensive. Facevano quindi ri
torno alle nostre linee, prima a nuoto e poi salendo su imbar
cazioni. Ma non tutti tornavano e il giorno dopo, in posizioni
bene in vista, si potevano vedere forche con appesi i loro ca
daveri.
A difendere le rive dalle incursioni c’era un battaglione di al
pini al comando di uno dei quattro fratelli Calvi, due dei qua
li erano caduti in combattimento sull’Adamello, mentre il ter zo
CAP07.indd 130 8-07-2011 11:57:38
12. LA PRIMA GUERRA MONDIALE 131
era sottotenente nel battaglione del fratello comandante. Nella
nostra controffensiva autunnale l’amico comandante (con cui
passai molte notti a conversare: ci legava tra l’altro l’amore per
la musica) perse la vita, e poco dopo anche il fratello non so
pravvisse alla febbre spagnola.
All’armistizio, nella generale euforia, decisi di andare a ve
dere Trento, meta sospirata per più di tre anni. Ma raggiunta
Riva del Garda, dove pensavo di approfittare di uno dei tanti
automezzi diretti a Trento, mi sentii improvvisamente male e
tornai rapidamente indietro. Ero anch’io preda della tremenda,
pressoché incurabile spagnola, che stava mietendo più vit time
di quattro anni di guerra. Stentavo a respirare e prima di per
dere conoscenza riuscii ancora ad imprecare contro la sorte che
mi stroncava proprio a guerra conclusa.
Caricato su un camioncino fui subito trasportato al Lazza
retto di Peschiera, vera anticamera del cimitero, dove, a mia in
saputa, era ricoverato anche mio fratello Virginio.
Scampai incredibilmente alla morte (e la stessa fortuna toc
cò a mio fratello), non certo grazie a farmaci che allora non esi
stevano, e raggiunsi il Comando del mio reparto a Verona. La
città brulicava di ufficiali di ogni arma e grado, tutti esultanti
per la vittoria.
Al contrario, lo stato di profonda prostrazione fisica accen
tuava in me la malinconia di fronte all’allegria altrui. Pensa
vo al mio incerto futuro (avevo ormai ventisei anni), alla valan
ga di esami da superare prima della laurea e dell’indipendenza
economica. Mi aggiravo così con aria depressa negli uffici del
mio Comando, in attesa di essere destinato a qualche specifi
ca funzione, infagottato nell’uniforme grigioverde del soldato
di truppa, con appuntate le stellette, contrassegno del grado di
ufficiale.
A Pescantina, un piccolo comune a poche decine di chilome
tri da Verona, ameno luogo di villeggiatura della borghesia cit
CAP07.indd 131 8-07-2011 11:57:38
13. 132 NATO AD ASTI
tadina, era stato costituito un centro di raccolta del materia
le elettrico abbandonato dal nemico in fuga. Al Comando non
parve vero di accogliere la mia richiesta di provvedere, insieme
ad un collega, all’organizzazione dell’immagazzinamento.
Mi fermai in quella simpatica cittadina poco più di un mese,
godendo, come unica autorità militare, della cordiale considera
zione degli abitanti. Recuperai così rapidamente le forze e la
gioia di vivere.
D’accordo col mio collega, requisii una confortevole villetta
(assenti gli ignari proprietari) e ci vissi comodamente, consu
mando pasti luculliani preparati da un soldatocuoco provetto.
Dopo qualche giorno vedemmo spuntare un paio di topolini di
tipo casalingo, attratti dall’odore del cibo. Superato il ricordo
dei loro consimili di chiavica, gettammo loro briciole di pane
stabilendo rapporti cordiali, sia pure nel rispetto delle recipro
che zone d’influenza.
CAP07.indd 132 8-07-2011 11:57:38
14. VIII
L’INGRESSO NEL MONDO DEL LAVORO
Alla fine del dicembre 1918, su disposizioni del Comando
Supremo dirette a consentire agli studenti universitari di ri
prendere gli studi interrotti, ottenni una licenza di sei mesi e
nell’agosto del ’19 fui definitivamente congedato.
Volevo laurearmi al più presto in modo da non gravare ulte
riormente sulle finanze di mio padre, compromesse dalle vicen
de belliche e dalla crescente inflazione.
Grazie alla divisa di excombattente e alla croce di guerra ri
uscii a laurearmi in poco più di un anno (il 20 marzo 1920), so
stenendo una media di un esame al mese. Ma la congiuntura
era decisamente sfavorevole; le industrie, e in particolare quel
le meccaniche ed elettriche, erano in fase di conversione a in
dustrie di pace; gli excombattenti reclamavano a ragione di ri
prendere i posti abbandonati per correre al fronte e che nel
frattempo erano stati occupati. Che possibilità di impiego po
teva avere un neolaureato? Mi presentai alle imprese più im
portanti, ma senza esito. Alla fine mi ricordai delle «Officine e
Fonderie G. Martina e Fratello» (ho già raccontato che il Mar
tina aveva costruito nel 1895 la prima automobile italiana).
Alla sua scuola si erano formati ingegneri di alto livello che
erano poi andati a dirigere importanti industrie. Ma era noto
che Giovanni Martina era molto severo, in particolare con i
giovani neolaureati. Chiesi comunque un colloquio.
Lo vedevo per la prima volta: un uomo anziano, col pizzo
CAP08.indd 133 8-07-2011 11:56:39
15. 134 NATO AD ASTI
brizzolato, austero e imponente. Non perse tempo per dirmi che
non aveva bisogno di ingegneri; declinò anche la mia successiva
richiesta di entrare nell’ufficio tecnico come disegnatore. Stavo
congedandomi quando, in dialetto piemontese, mi disse: «Un
posto glielo potrei offrire, ma da apprendista meccanico».
La proposta mi sembrò una burla: dopo diciotto anni di
scuola, di cui cinque al Politecnico, ecco cosa mi veniva offer
to! Ma, superato lo sconcerto, accettai. Avrei fatto pratica in
un’officina meccanica, sia pure come apprendista, e la cosa mi
sarebbe stata in tutti i casi utile. Nel frattempo poteva venir
fuori qualcosa di meglio. Il cav. Martina mi precisò che la gior
nata lavorativa iniziava alle sette, e, dulcis in fundo, che gli ap
prendisti non erano pagati.
Già il giorno dopo ero al banco degli aggiustatori dove ven
ni rifornito di utensili, di un disegno, di un pezzo di metallo
grezzo dal quale, a forza di lima, avrei dovuto tirar fuori l’og
getto rappresentato dal disegno. Fu un compito non da poco.
Dopo diversi mesi passai alle macchine utensili, al tornio, alla
fresatrice, alla rettifica: stavo diventando un meccanico pro
vetto!
Durante la guerra, come graduato di truppa ero entrato in
contatto con gente di varia estrazione sociale; nuovamente, in
officina, feci amicizia con semplici lavoratori, solidarizzando
con le loro difficoltà sia economiche che personali.
In quegli anni la vita degli operai era molto dura: l’orario
era di sessanta ore alla settimana (e spesso si lavorava anche la
mattina dei giorni festivi), nulla l’assistenza sanitaria, insuffi
ciente quella infortunistica, sconosciute ferie e pensione. I duri
sacrifici imposti dalla lunga guerra e le difficoltà economiche
aggravate dall’inflazione suscitavano inoltre fermenti, scioperi
e richieste di una maggior giustizia sociale.
Nel 192021 le strade erano percorse da cortei imponenti di
operai che sfociarono nell’occupazione delle fabbriche.
CAP08.indd 134 8-07-2011 11:56:39
16. L’INGRESSO NEL MONDO DEL LAVORO 135
La mia situazione era delicata: ero un lavoratore, un ope
raio, ma nello stesso tempo ero pur sempre dall’altra parte del
la barricata. Se mi fossi unito all’occupazione avrei potuto su
scitare il sospetto di essere un informatore del padrone; decisi
quindi di restarne fuori.
Quando le grandi agitazioni operaie ebbero termine, ripre
si il mio posto di lavoro. Fu allora che Martina mi convocò nel
suo ufficio. Appurato che sapevo il tedesco, mi propose di ac
compagnare lui, l’amico industriale Giovanni Strola e il dott.
Mario Mimolo, rappresentante per l’Italia di una ditta di Pfor
zheim, in un viaggio in Svizzera e in Germania, per esami nare la
possibilità di costruire in Italia un’azienda per la produ zione di
tubi metallici flessibili. Com’è ovvio, accettai immediatamente.
Dato che non avevo mai sentito parlare di questi tubi, Martina
mi fece vedere il catalogo della ditta tedesca, la cui copertina
era interamente occupata da un mostruoso ser pente a tre teste:
una emetteva lingue di fuoco dalle fauci spa lancate, un’altra
getti di vapore come un soffione, la terza turbini di vento ciclo
nico. Che idea bizzarra usare per la pubblicità un serpente, che
non gode di buona fama!
Partimmo per Lucerna per verificare anzitutto la proposta
insieme agli industriali svizzeri. Ebbi l’impressione di entra
re in un altro mondo: lasciavo un paese stremato dallo sforzo
bel lico, in preda a violente lotte intestine, impoverito, smarrito,
sfiduciato, e mi trovavo in un paese dove tutto emanava sicu
rezza, laboriosità, pace sociale.
Scendemmo nel lussuoso albergo Eden, dove trovammo ad
attenderci due industriali svizzeri. Non potevo certo imma
ginare l’importanza decisiva di quell’incontro per il mio fu
turo di imprenditore. Se all’inizio fu solo una collabora zione
tecnicoeconomica, col passare del tempo si consolidò tra noi
una grande amicizia che si tramandò alle generazioni suc
cessive.
CAP08.indd 135 8-07-2011 11:56:39
17. 136 NATO AD ASTI
I due industriali svizzeri erano l’ingegner Otto MeyerKel
ler e Alberi Dreyer, titolari della società «O. MeyerKeller &
C. Metallschlauchfabrik». Prima della guerra la loro azien
da produceva apparecchi di riscaldamento, attività che aveva
no abbandonato per darsi, in collaborazione con i tedeschi, alla
produzione dei tubi flessibili.
MeyerKeller era un uomo simpatico, dai modi impeccabi
li; Dreyer, che apparteneva a una famiglia di albergatori, aveva
sempre avuto una grande passione per la meccanica (in segui
to potei apprezzarne la geniale capacità inventiva). Ci accompa
gnarono a visitare lo stabilimento che era un modesto capanno
ne di legno, dove alcune macchine producevano tubi flessibili,
poi tagliati in varie lunghezze a seconda dell’impiego. Attigua
al capannone vidi una baracca di legno per i servizi ammini
strativi. I dipendenti non superavano la decina.
Raggiunta un’intesa di massima (con riserva di conclusione
dopo aver visitato la fabbrica tedesca), pranzammo insieme in
un ristorante con una superba vista sul lago e le montagne in
nevate. MeyerKeller era accompagnato dalla moglie Henriette,
col portamento di una gran dama, Dreyer dalla giovane con
sorte.
Il giorno dopo partimmo, noi tre italiani, per Pforzheim,
una caratteristica città della Foresta Nera che nella seconda
guerra mondiale sarà rasa al suolo dai bombardamenti. Pforz
heim era allora un centro mondiale dell’industria della gioielle
ria che dava lavoro a quasi tutta la popolazione.
Ci incontrammo con i fratelli Witzenmann, Emil e Adolf,
titolari dell’azienda di tubi flessibili. Anche loro venivano dai
gioielli: il padre Heinrich aveva infatti fondato, nel 1854, a ven
tisette anni, un laboratorio per la produzione di braccialetti e
collane che ottenne un grande successo, grazie soprattutto a
certe collane formate da un tubicino, snodato e flessibile, rica
vato da due nastri sagomati a U (collane che diventeranno fa
CAP08.indd 136 8-07-2011 11:56:39
18. L’INGRESSO NEL MONDO DEL LAVORO 137
Heinrich Witzenmann.
CAP08.indd 137 8-07-2011 11:56:39
19. 138 NATO AD ASTI
Emil Witzenmann.
CAP08.indd 138 8-07-2011 11:56:40
20. L’INGRESSO NEL MONDO DEL LAVORO 139
Adolf Witzenmann.
CAP08.indd 139 8-07-2011 11:56:40
21. 140 NATO AD ASTI
I ragazzi Herbert e
Walter Witzenmann in
un segmento di tubo di
1.800 mm (1910 ca.).
mose col nome di Gänsgürtelkette). Per far fronte alla richiesta,
studiò macchine speciali per la produzione in serie del serpen
tello, in collaborazione coll’ingegner Eugène Levalasseur, tito
lare dell’ufficio di rappresentanza aperto a Parigi, il maggior
centro di vendita dei suoi prodotti.
Mentre una sera i due amici, Heinrich e Eugène, passeggia
vano per i boulevard parigini, la loro attenzione fu attratta da
alcuni uomini che innaffiavano la strada con tubi di canapa che
perdevano acqua da numerosi buchi, infastidendo i passanti. A
quel tempo il trasporto di fluidi avveniva attraverso tubi di ca
napa con interno di gomma, che non sopportavano alte tempe
rature ed erano soggetti a strozzature e danneggiamenti.
Un mezzo per il trasporto e la conservazione dei liquidi fu in
dispensabile al genere umano fin dai primordi (sull’evoluzione
della storia dei contenitori e degli elementi tubolari flessibi li se
gnalo il libro di H. C. Feldhaus, 100 Jahren Metallschlauchfabrik,
Knoblauch 1954). L’uomo primitivo traeva principalmen
CAP08.indd 140 8-07-2011 11:56:41
22. L’INGRESSO NEL MONDO DEL LAVORO 141
te dagli animali quanto gli era indispensabile per la soprav
vivenza, usandone le interiora sia come recipienti sia come ele
menti tubolari per il travaso dei liquidi. Per millenni vennero
così utilizzati lo stomaco e le budella degli animali: in un anti
co vaso greco, ad esempio, è raffigurata una persona che versa
da un otre, ottenuto dalla pelle di un quadrupede, del liquido
in bocca ad un compagno riverso per terra. Quando gli eserciti
si mettevano in moto equipaggiavano i reparti con quadrupedi
carichi di otri colmi d’acqua. Uno storico greco racconta di un
re arabo che per fornire d’acqua una zona desertica si servì di
budella di animali colme delle acque del fiume Koris.
Per mantenere integra la sezione di passaggio del tubo flessi
bile furono col tempo adottati vari accorgimenti; il più usato
era quello di infilare dentro il tubo, a distanze regolari, anel
li di legno. In una miniatura del XIV secolo è raffigurata una
persona chiusa in una camera stagna immersa in acqua; la re
spirazione è assicurata da un tubo flessibile irrigidito con i pre
Miniatura del 1350 ca.
CAP08.indd 141 8-07-2011 11:56:41
23. 142 NATO AD ASTI
Miniatura del 1430 ca. Pittura del 1430 ca.
detti anelli, il quale mette in comunicazione la camera stagna
con un galleggiante situato a fior d’acqua. Così, in un mano
scritto redatto intorno al 1430, è raffigurato un sommozzato
re intento al recupero di materiali giacenti sul fondo. L’uomo
è chiuso in una specie di scafandro da cui si diparte un tubo
flessibile. Col passare del tempo le budella furono sostituite da
elementi tubolari ottenuti con strisce di tela o di cuoio, cucite
longitudinalmente.
Nei nostri anni ’30 si verificò un singolare ritorno all’impie
go di budella di maiale. Col passaggio, nei motori degli aerei,
dal tipo raffreddato ad acqua con cilindri in linea ai motori
stellari raffreddati ad aria, si rese necessario collegare il carbu
ratore con un tubo flessibile che presentasse un’adeguata resi
stenza alle fortissime vibrazioni del motore, oltre a non esse
re aggredito dal carburante. Venne depositato il brevetto di un
CAP08.indd 142 8-07-2011 11:56:41
24. L’INGRESSO NEL MONDO DEL LAVORO 143
tubo flessibile formato da budella di maiale, convenientemen
te trattato con sostanze chimiche antiputrefacenti, e rafforzato
da spirali metalliche in modo da impedirne lo schiacciamento e
assicurarne la resistenza alla pressione interna. Venne impiega
to con successo, ma durava poco perché la parete delle budel
la diventava rapidamente fragile e incapace di resistere alle vi
brazioni.
L’impiego del cuoio e della tela consentì di fabbricare tubi di
diametri e lunghezza vari, aprendone l’utilizzazione a nuovi set
tori. Nella cattedrale di Würzburg si può ammirare un curioso
bassorilievo che rappresenta Dio assiso in cielo che conversa
con la Vergine Maria tramite un lungo tubo portavoce. Ad Am
sterdam un monumento è dedicato a Jan van Maler, inventore
nel 1673 del tubo antincendio. L’evoluzione radicale della tec
nologia dei tubi flessibili avvenne grazie al caucciù, una resina
attaccaticcia ricavata da un albero, l’albero della gomma, por
tato in Europa da viaggiatori di ritorno da lontani continenti.
Si appurò che, impregnati di caucciù, i tessuti diventavano im
permeabili. Ben presto questa resina venne me scolata ad altre
sostanze e ne furono stabilizzate le caratteristiche con la vulca
nizzazione.
Osservando a Parigi quei tubi difettosi, Witzenmann ebbe
la geniale idea di utilizzare il suo serpentello per farne un tubo
flessibile che, a differenza di quello di gomma, avesse un’ade
guata resistenza meccanica, termica e chimica. Costruì così un
tubo flessibile di metallo, la cui fabbricazione era semplificata
dato che impiegava un nastro anziché due. Per ridurre i costi
ricorse all’acciaio dolce, reso inossidabile da un sottile strato
di zinco.
Ottenne in questo modo un tubo flessibile di metallo a tenu
ta perfetta, di lunghezza e diametro a piacere e lo brevettò as
sicurandosene l’esclusiva. Il successo fu immediato, tanto che il
giovane inventore abbandonò la produzione di collane e diede
CAP08.indd 143 8-07-2011 11:56:41
25. 144 NATO AD ASTI
Portale della Cattedrale di Würzburg, 1450.
CAP08.indd 144 8-07-2011 11:56:42
26. L’INGRESSO NEL MONDO DEL LAVORO 145
vita a una nuova industria cui si dedicò totalmente, la «Schlau
chfabrik Pforzheim».
Fu un’innovazione di grande importanza nel campo delle
co struzioni meccaniche, elettriche, chimiche, siderurgiche, in
agricoltura, nelle industrie alimentari ecc. (Una curiosità: tro
vò un ingegnoso impiego anche nella realizzazione di un orolo
gio che traeva la forza necessaria per azionare il suo meccani
smo dalle variazioni di temperatura dell’ambiente).
In un clima di grande cordialità discutemmo con i fratelli
Witzenmann le condizioni dell’accordo e visitammo lo stabili
mento: un fabbricato a più piani, con macchinari in piena atti
vità. Rimasi molto impressionato dall’ordine, la pulizia, la di
sciplina delle maestranze, i cui capireparto ci accoglievano con
un ossequio quasi militaresco.
Un piano era occupato da una serie di avvolgitrici del nastro
in tubo che funzionavano automaticamente, senza bisogno di
manodopera. Una vera e propria anticipazione dell’attuale au
tomazione!
Dal primo brevetto (1855) erano passati diversi decenni du
rante i quali l’impresa si era ampliata e perfezionata, creando
tutta una serie di tipi adatti alle più svariate applicazioni. Dava
lavoro a centinaia di operai e impiegati e godeva di una fama
mondiale.
Ogni nostro dubbio si dileguò e al posto del serpente con
le sue tre paurose teste ci apparvero le sorridenti sembianze di
quattro Re Magi (Emil e Adolf Witzenmann, MeyerKeller e
Dreyer) che ci recavano in dono i tesori della loro esperienza di
industriali di successo. La collaborazione con loro si rafforzò
di anno in anno e così l’amicizia e la solidarietà.
I promotori torinesi si convinsero rapidamente delle pro
spettive e redditività dell’investimento, ma si trattava ora di
passare alla costituzione della nuova impresa, alla realizzazione
totale dell’impianto industriale e all’avviamento della produ
CAP08.indd 145 8-07-2011 11:56:42
27. 146 NATO AD ASTI
Lo stabilimento
Due brevetti della ditta «Witzenmann» (1885 e 1889).
CAP08.indd 146 8-07-2011 11:56:42
28. L’INGRESSO NEL MONDO DEL LAVORO 147
zione. Per questo era indispensabile disporre di una persona di
piena affidabilità, con la capacità di affrontare e risolvere i nu
merosi e complessi problemi tecnici e amministrativi.
Il cav. Martina, che negli anni dell’apprendistato si era fatto
di me un giudizio favorevole, dopo essersi consultato con i soci,
propose il mio nome, tenuto anche conto della mia conoscenza
della lingua tedesca, di notevole importanza per i rapporti con
i soci svizzeri e tedeschi.
Il sogno di diventare imprenditore si stava così realizzando
in modo insperato. Inutile dire che quando il cav. Martina mi
fece la proposta, la mia disponibilità fu immediata ed entusia
stica. Posi un’unica condizione: di essere accolto anche come
socio. Non mi parve vero di passare di colpo da apprendista a
imprenditore.
Tornai a Pforzheim e vi rimasi circa sei mesi, durante i quali
mi impadronii dei procedimenti tecnologici di produzione del
nuovo prodotto per l’impianto della fabbrica torinese, nonché
delle tecniche per la sua commercializzazione. A Pforzheim
avevo temuto di imbattermi in un’atmosfera ostile: dopo tutto
ero un «traditore italiano», di quell’Italia che, in spregio al
trattato di alleanza, era passata nel campo nemico. Ebbi invece
un’accoglienza calorosa, a partire dalla famiglia Witzenmann
(in particolare da mamma Berta).
Nel frattempo − novembre 1921 − si era legalmente costi
tuita la società, sotto la ragione sociale «Compagnia Italiana
Tubi Metallici Flessibili S.A.», con capitale 1.100.000 lire. Ne
facevano parte:
Cav. Giovanni Martina Ing. Rodolfo De Benedetti Ca
millo De Benedetti Giovanni Strola Salomone Sinigaglia
Isaia Levi Conte Corsi Metallschlauchfabrik Lucerna (nelle
persone dell’ing. Otto MeyerKeller e Albert Dreyer) Metall
schlauchfabrik Pforzheim (nelle persone di Emil e Adolf Wit
zenmann).
CAP08.indd 147 8-07-2011 11:56:43
29. 148 NATO AD ASTI
Walter Witzenmann.
CAP08.indd 148 8-07-2011 11:56:43
30. CAP08.indd 149
L’INGRESSO NEL MONDO DEL LAVORO
149
Pforzheim 1988. Da sinistra: Walter Witzenmann, Rodolfo De Benedetti e Otto Meyer.
8-07-2011 11:56:43
31. 150 NATO AD ASTI
Otto Meyer.
CAP08.indd 150 8-07-2011 11:56:44
32. L’INGRESSO NEL MONDO DEL LAVORO 151
Albert Dreyer.
CAP08.indd 151 8-07-2011 11:56:44
33. 152 NATO AD ASTI
Fu una decisione coraggiosa, in una congiuntura così poco
favorevole ad iniziative imprenditoriali. Sugli imprenditori e
sulla borghesia facoltosa incombeva infatti lo spauracchio del
bolscevismo, la cui ideologia trovava un fertile terreno tra i la
voratori: scioperi a macchia d’olio, occupazione delle fabbri
che, dimostrazioni contro i «nuovi ricchi», i «pescecani» che
avevano accumulato ricchezze dalle forniture all’esercito e non
di rado avevano il cattivo gusto di esibirle.
In questo clima maturava l’affermazione del movimento fa
scista: branchi di avventurieri, con l’appoggio del capitale, si
radunavano sempre più consistenti sotto le bandiere del tribu
no Mussolini.
Mio padre, liberale di lunga tradizione e ferma convinzione,
non cessò mai di manifestare la sua viscerale avversione al fa
scismo. Con intuito profetico continuava a dire: «Questo Mus
solini ci porterà tutti alla rovina» e noi figli condividevamo le
sue idee.
Dalla fine del 1918, tra excombattenti ed exarditi si an
davano costituendo squadre fasciste, sotto il comando di ras lo
cali che si facevano largo col terrore e le spedizioni punitive a
base di manganello e olio di ricino. Il fascismo nascente trova
va anche seguito in larghi strati di exmezzadri, diventati pro
prietari agricoli, che vi vedevano un utile alleato nella difesa
dei diritti acquisiti nello smembramento delle grandi proprie
tà terriere.
Nella ormai totale ingovernabilità del paese, con il parla
mento paralizzato dalle lotte tra i partiti e da continue crisi
di governo, il fascismo prendeva sempre più piede anche tra i
commercianti e gli industriali. I ministeri si succedevano ai mi
nisteri, tutti impotenti di fronte al disordine dilagante e al ter
rore; a nulla servivano gli ordini impartiti dai prefetti, senza
autorità di fronte alle violenze delle squadracce fasciste. Così
nel giro di pochi anni si assisté al consolidamento della dittatu
CAP08.indd 152 8-07-2011 11:56:44
34. L’INGRESSO NEL MONDO DEL LAVORO 153
ra fascista, alla capitolazione della monarchia, alla costituzione
della milizia di regime, all’Ovra, al confino degli indesiderabi
li: alla soppressione insomma di ogni libertà.
Mentre l’opposizione era costretta alla clandestinità, il regi
me inneggiava al benessere riconquistato e all’ordine restaura
to. Ci fu, è innegabile, una ripresa delle attività produttive
(mentre si dava il via alla bonifica di zone incolte e malsane).
Apparvero allora eccezionali figure di capitani d’industria che
precorsero i tempi delle nuove tecnologie: l’imprenditore Gua
lino, anche artista e umanista, Donegani e Panzarasa, alfieri
delle industrie chimiche e petrolchimiche, Motta e Ponti, ani
matori dell’utilizzazione del «carbone bianco», Olivetti con le
sue macchine da scrivere, Toepliz come tecnico bancario e, tra
tutti il più grande, Giovanni Agnelli.
La costituzione della nostra società fu per me una svolta de
cisiva: con la mia partecipazione alla sottoscrizione del capitale
sociale entravo, spiantato ma orgoglioso, nel mondo capitalisti
co. Dato che non disponevo di capitali, né avrei osato chieder
soldi a mio padre, mi rivolsi a suo fratello Camillo, grande zio
e grande banchiere, e ottenni in prestito L. 25.000, che per i
tempi costituivano un notevole indebitamento.
Con slancio e passione incominciai a dar esecuzione al pro
getto. Acquistai un fabbricato (per motivi economici avevamo
escluso l’idea di costruircelo) che consisteva in un paio di ca
pannoni nei quali sistemai l’officina, il magazzino, i servizi e l’uf
ficio. Il riscaldamento dipendeva da alcune stufe, che avevano
però più che altro una funzione di rappresentanza. Inizialmente
assunsi alcuni operai che dovetti addestrare alla specifica tecno
logia di fabbricazione: fra essi il primissimo fu Angelo Bellotti,
che dimostrò particolari capacità e mi seguì in tutte le congiun
ture favorevoli ed avverse sino al pensionamento.
Gli investimenti nel fabbricato, per renderlo adatto alla pro
duzione, nei macchinari, nelle attrezzature ecc., assorbirono
CAP08.indd 153 8-07-2011 11:56:44
35. 154 NATO AD ASTI
pressoché totalmente il capitale sociale, cosicché, quando si fu
in grado di iniziare la produzione, lo si dovette reintegrare, il
che non entusiasmò la maggior parte dei soci. L’orgoglio di aver
impiantato in Italia una nuova industria altamente specia lizzata
si sgonfiava di fronte alla necessità di dover riaprire i cordoni
della borsa, dopo appena due anni. Dubbi e perplessità erano
alimentati anche dalle impreviste difficoltà commerciali. La
clientela non era infatti granché disposta ad abbandonare le
abituali fonti di rifornimento per la problematica produzione
di una fabbrica che muoveva i primi passi.
La politica di abbassare i prezzi sarebbe stata controprodu
cente sia sotto il profilo economico, sia perché non è facile con
vincere il cliente a giudicare la bontà di un oggetto dalle sue
qualità e non dal prezzo. Era un circolo vizioso: per realizzare
maggiori profitti era necessario aumentare le vendite e quindi
la produzione, cosa che richiedeva investimenti. Ma per procu
rarseli, occorreva aumentare le vendite, cosa che richiedeva in
vestimenti per ridurre i costi di produzione.
La sola via di scampo era l’afflusso di capitali freschi, con
l’intervento finanziario dei soci, oppure l’indebitamento, l’u
nica cosa che si può fare quando non si hanno soldi, che però
diventano difficili da trovare per un’impresa appena nata.
Un’impresa, la nostra, che in realtà era stata impostata male
e superficialmente: era stato stanziato un capitale insufficien
te a coprire le spese del primo impianto, non si era previsto un
adeguato capitale circolante, si era assurdamente divisa la parte
tecnicoproduttiva da quella commerciale e amministrativa.
Convocai allora i soci, dichiarando con fermezza la mia non
disponibilità ad andare avanti in una situazione che si sareb
be fatalmente conclusa col fallimento dell’impresa. Chiesi per
me la carica di consigliere delegato, con pieni poteri statutari,
avendo sotto il mio diretto controllo la parte contabileammi
nistrativa e il diritto di sorveglianza sulla parte commerciale.
CAP08.indd 154 8-07-2011 11:56:44
36. L’INGRESSO NEL MONDO DEL LAVORO 155
Raffaello Mondini. Ferdinando Mondini.
Avuto il consenso, mi occupai prima di tutto della riorganiz
zazione dell’ufficio vendita, affidandolo a un ingegnere di gran
de intelligenza, Raffaello Mondini e a suo fratello Ferdi nando,
i quali mi furono validi collaboratori e amici fraterni fi no alla
loro prematura scomparsa.
Il mercato assorbiva un volume limitato di tubi metallici
flessibili, e lo sforzo di rosicchiare qualche cliente alla concor
renza estera avrebbe prodotto ben poco. Non era questione di
prezzo o di qualità del prodotto, bisognava scoprire nuove pos
sibilità di impiego che utilizzassero le valenze tecnologiche pro
prie del tubo flessibile di metallo, superando le limitazioni dei
tubi di gomma o di materie plastiche. Era dunque necessa rio
offrire alla clientela validi e efficienti servizi, affrontando pro
blemi che il tubo metallico flessibile poteva vantaggiosa mente
risolvere.
Questa fu l’impostazione commerciale che assicurò successi
e profitti alla società.
CAP08.indd 155 8-07-2011 11:56:45
37. 156 NATO AD ASTI
L’industria automobilistica era in crescente espansione e
stava per lanciare la vetturetta 509, in allestimento nei gran
diosi stabilimenti del Lingotto, appena ultimati. Giovanni
Agnelli coinvolgeva nel suo entusiasmo e gusto del rischio uno
staff di collaboratori eccezionali, tra cui l’ingegner Dante Gia
cosa, dalla cui fervida fantasia uscirono per decenni modelli di
auto che diffusero il nome della Fiat nel mondo. Non mi fu dif
ficile attirare la sua attenzione sulle insolite possibilità di im
piego dei tubi flessibili.
La 509 era la prima vettura Fiat con impianto di illumina
zione e avviamento azionati attraverso cavi elettrici che aveva
no bisogno di essere protetti dal calore del motore e dagli agen
ti chimici. Allo scopo poteva servire il nostro tubo flessibile.
Che infatti venne adottato.
Sempre nel settore dell’auto, pensai di utilizzare il nostro
tubo nella disagevole operazione di rifornimento del carburan
te. Non esistevano ancora le stazioni di servizio con distributo
ri automatici e il rifornimento avveniva mediante latte o bidoni
e con l’aiuto di un imbuto. Operazione molto scomoda e pe
ricolosa: non di rado un po’ di benzina si spandeva per terra o
sulla carrozzeria danneggiandone la verniciatura e con rischio
di incendi.
Pensai di eliminare l’imbuto sostituendolo con un pezzo di
tubo flessibile saldamente avvitato alla latta: immesso il tubo
nel serbatoio si sollevava il bidone. Ma il liquido defluiva dalla
latta a condizione che vi entrasse dell’aria. Superai l’ostaco
lo mettendo a un’estremità del tubo una specie di bocchetto
ne terminante con una filettatura multipla, in modo da poterlo
av vitare ai vari tipi di bidoni in commercio, e che a metà aveva
una presa d’aria che metteva in comunicazione l’esterno con
l’interno facendovi entrare tanta aria quanto liquido ne usciva.
Col nome di «travasatore di benzina CIT» (dove CIT stava
per Compagnia Italiana Tubi) entrò in commercio. Fu un suc
CAP08.indd 156 8-07-2011 11:56:45
38. L’INGRESSO NEL MONDO DEL LAVORO 157
Il travasatore di benzina CIT.
CAP08.indd 157 8-07-2011 11:56:45
39. 158 NATO AD ASTI
cesso al di là di ogni previsione; i rivenditori di benzina ne dif
fusero l’uso; le società petrolifere ne fecero consistenti acqui sti.
Ne traemmo anche indirettamente un vantaggio di tipo propa
gandistico: il nostro tubo poteva garantire prestazioni scono
sciute a quelli di gomma.
Col diffondersi dei distributori a contatore, la vendita del
nostro travasatore diminuì, ma nel frattempo la situazione eco
nomica della società era migliorata. Per promuovere la cono
scenza del nostro prodotto, decisi di presentarlo alla Fiera
Campionaria di Milano, che in quegli anni era allestita in ba
racche di legno allineate sui bastioni di Porta Venezia. La Fiera
fu solennemente inaugurata da Vittorio Emanuele III, che mo
strò interesse per il nostro prodotto e lo esaminò a lungo.
Ben presto gli esercizi si chiusero in nero, consentendo
mi glioramenti tecnici e operativi. Il parco macchine fu ade
guato alle esigenze produttive, il fabbricato ristrutturato, mi
gliorati i servizi, gli uffici ampliati e dignitosamente arreda
ti. Nel frat tempo si era stabilita una proficua collaborazione
con Alberi Dreyer, con scambio di idee, progetti, notizie sulla
concorren za in Europa. Nacque così l’idea di avviare i contat
ti con aziende americane. Un’idea che ebbe più tardi svilup
pi di grande importanza in campo imprenditoriale, tecnico e
commerciale.
In Italia Mussolini aveva rafforzato la sua posizione, imbri
gliando in una certa misura sia le spedizioni punitive delle
squadracce sia la lotta sindacale. Il paese sembrava avviato ver
so un periodo di prosperità. In questo clima, nel giugno 1924,
un fatto criminoso sconvolse l’opinione pubblica facendo va
cillare il regime: il rapimento dell’on. Giacomo Matteotti, in
flessibile leader dell’opposizione. Dopo alcuni mesi di indagi
ni il suo cadavere venne ritrovato sotto mezzo metro di terra
sul ciglio di un bosco. Gli autori dell’omicidio vennero iden
tificati.
CAP08.indd 158 8-07-2011 11:56:45
40. L’INGRESSO NEL MONDO DEL LAVORO 159
I deputati dell’opposizione disertarono il parlamento riti
randosi sull’Aventino. Dopo un periodo di grande tensione
Mussolini riprese il controllo della situazione e col discorso del
3 gennaio 1925 annunciò misure che imposero definitivamente
la sua dittatura, con la repressione di ogni forma di opposizio
ne e l’instaurazione di un duro regime poliziesco.
Nella seconda metà del decennio 192030 l’andamento pro
duttivo e commerciale della nostra impresa era decisamente
positivo. Mi ero tra l’altro assicurato la possibilità di partecipa
re a gare per la fornitura alle Ferrovie dello Stato, alla Regia
Marina, al Regio Esercito, alla nascente aviazione. Con soddi
sfazione dei soci i profitti si facevano sempre più consistenti,
assicurando una remunerazione al capitale investito.
CAP08.indd 159 8-07-2011 11:56:45
41. IX
TRA LE DUE GUERRE
A metà del 1929, in piena crisi mondiale, mio cugino Isaia
Levi, un industriale torinese affermato nel ramo tessile e pio
niere dell’industria della confezione, mi convocò nel suo uffi
cio. Mi raccontò che nel lontano 1917 si era lasciato convince
re ad entrare in un’impresa per lui anomala, quella della penna
stilografica, dove imperava la Waterman.
A convincerlo era stato un giovane ragioniere, Franco Negri,
che, mostrandogli una Waterman, aveva pressappoco detto:
«Forse non sa che questa penna, venduta a 15 lire, ha un costo
di fabbricazione che arriva al massimo a 4 lire. Le propongo un
affare fantastico: fabbricarne una lei alle stesse condizioni».
Il cugino Isaia era un uomo disponibile a lanciarsi in nuove
iniziative in campo commerciale. Una decina d’anni prima,
sotto la sigla «Fabbriche Riunite per la Vendita Diretta ai Sar
ti», aveva organizzato un sistema per raggiungere i numerosis
simi sarti dei comuni e paesi lontani dai grandi centri, offrendo
loro l’occorrente per la confezione degli abiti. I sarti potevano
ordinarli sulla base di un ricco campionario inviato in ogni sta
gione.
Era un mezzo che consentiva anche di liberarsi di tessuti
fuori moda ma ancora vendibili in provincia. Il successo strepi
toso aveva indotto mio cugino ad esaminare senza pregiudi
zi ogni nuova proposta. Nel caso della stilografica, però, Isaia,
che non era certo uno sprovveduto, fece osservare al Negri che
CAP09.indd 160 8-07-2011 11:56:13
42. TRA LE DUE GUERRE 161
l’iniziativa avrebbe comportato ingenti investimenti e che non
sarebbe stato facile trovare capi e maestranze all’altezza.
Ma Negri riuscì a convincerlo che con sole 50.000 lire gli
avrebbe consegnato una fabbrica perfettamente funzionante.
Spesso gli «onesti incapaci» sono più pericolosi dei «capaci di
sonesti». Isaia si lasciò convincere. Le prime cinquantamila
svanirono in un battibaleno, ne servirono altre cinquanta e an
cora cinquanta.... fino ad arrivare ai milioni, sempre col mirag
gio dell’affermazione di una stilografica nazionale cui era stato
dato un nome pretenzioso, «Aurora». Mio cugino aveva ormai
impegnato nella fabbrica ingenti capitali e, quel che più gli pre
meva, il suo prestigio.
Restava però affezionato all’impresa. A chi lo invitava a de
sistere ribatteva che non esisteva al mondo un prodotto che as
sommasse in sé tante qualità positive: la penna stilografica si
acquista, si rompe, si perde, si regala, si ruba. Aveva comunque
nel frattempo licenziato il Negri. Ora gli occorreva un sostitu
to: conoscevo qualcuno adatto?
L’azienda aveva all’incirca 250 dipendenti e l’organizzazione
tecnicocommerciale lasciava molto a desiderare. Potevo tem
poraneamente assisterlo io nelle scadenze più immediate? Ben
ché la mia azienda richiedesse una continua presenza, non me
la sentii di deluderlo e accettai, limitatamente all’ordina ria am
ministrazione e in attesa dell’assunzione di un nuovo diretto
re generale. Così tutti i dopocena presi ad andare nella sua fab
brica. La mia giornata lavorativa sfiorava in tal modo le tredici
ore!
Per un paio di settimane mi limitai a guardarmi attorno, ar
rivando ben presto a conclusioni decisamente negative: il nu
mero di operai e capireparto era esorbitante; la produzione pro
capite era bassa e quindi i costi sproporzionatamente alti ri
spetto ai possibili ricavi; la qualità del prodotto molto discuti
bile, con una forte percentuale di scarti.
CAP09.indd 161 8-07-2011 11:56:13
43. 162 NATO AD ASTI
Si era lanciato sul mercato, con molta réclame, un prodotto
difettoso. Ricordo ancora benissimo la pubblicità: una grossa
testa d’uomo dall’espressione soddisfatta sulla cui fronte, trac
ciata da una mano che impugnava una penna Aurora, troneg
giava la scritta «Ricordate».
Ma ricordare un prodotto difettoso è sempre controprodu
cente. Isaia aveva inviato un’Aurora in avorio con guarnizioni
d’oro a Gabriele D’Annunzio. Dopo qualche tempo gli tornò
indietro con le seguenti parole scritte di pugno dal poeta: «Vi
restituisco la vostra arcigocciolante Aurora! ». Si seppe poi che
D’Annunzio, intervenendo a una cerimonia, aveva messo l’Au
rora nel taschino della sua bianca giubba da Comandante, sulla
quale era ben presto apparsa una larga chiazza d’inchiostro.
Una delle prime pubblicità
della penna «Aurora».
CAP09.indd 162 8-07-2011 11:56:13
44. TRA LE DUE GUERRE 163
Pubblicità «Aurora» (1923).
Ero rimasto molto sorpreso dall’esistenza in fabbrica di un
reparto in cui si costruiva un modello di tornio a revolver auto
matico, una macchina molto complicata che si poteva reperire
sul mercato. Altrettanto sorprendente risultò la mia visita al la
boratorio chimico dove ci si era imbarcati nell’impresa di pro
durre leghe ferrose inossidabili. Vidi coi miei occhi un chimico
affaccendarsi attorno a un forno per inventare l’acciaio inossi
dabile! Non sto a citare altre assurdità; mi parve chiaro che per
riassestare l’azienda occorreva procedere a totale ridimensio
namento e ristrutturazione.
Allo scopo mi furono concessi pieni poteri. Presi subito i
provvedimenti più urgenti: chiusi il laboratorio chimico e il
CAP09.indd 163 8-07-2011 11:56:14
45. 164 NATO AD ASTI
reparto addetto ai torni automatici, ridussi di un centinaio le
unità lavorative, introdussi macchinari più moderni, dispo
si un’accurata vigilanza nel reparto fabbricazione pennini, in
modo da evitare o rendere molto difficile la sottrazione del
l’oro.
Alla fine del primo semestre la produzione era sensibilmen
te migliorata e il virus della stilografica mi si era insinuato nelle
vene, dove sarebbe restato a lungo.
Ritenni opportuno informarmi sulla situazione tecnologi
ca e commerciale delle industrie del ramo e per questo andai
in Germania. Già il primo viaggio ad Amburgo (nel 1930) si
ri velò proficuo e feci ritorno in patria con un certo nume
ro di utensili per la lavorazione dell’ebanite e con un note
vole ba gaglio di documentazione su tipi, prezzi, pubblicità...
Nel 1933, in occasione di un viaggio negli Stati Uniti, pensai
di presentarmi alle tre maggiori fabbriche di penne stilografi
che: Waterman, Scheaffer, Parker, nella mia qualità di diret
tore della fabbrica di penne Aurora di Torino. Chiesi di visi
tare le loro fabbriche dichiarandomi lieto di una loro visita al
mio stabilimento a Torino. Tutte e tre si dichiararono dispo
nibili, ma sia Waterman che Parker mi fissarono una data
troppo lontana. Non così la Scheaffer che potei visitare in
tutti i reparti di lavorazione acquisendo dati sui tempi e sui
sistemi di produzione.
Restava da affrontare lo scoglio principale, quello commer
ciale. Bisognava riuscire a imporre la nostra penna alla clientela
in concorrenza con ditte di fama mondiale. Il nome Aurora era
molto compromesso, ma mio cugino, non senza validi motivi,
preferì non cambiarlo. Bisognava escogitare novità vantaggio
se per il consumatore e che giustificassero un prezzo eventual
mente superiore, dato che, se la «mia» Aurora fosse costata di
meno, sarebbe apparsa svalutata secondo la psicologia dell’ac
quirente.
CAP09.indd 164 8-07-2011 11:56:14
46. TRA LE DUE GUERRE 165
Ma cosa mai si poteva introdurre di sostanzialmente nuovo
in una stilografica? Furono cervelli americani della fabbri
ca Parker a scoprirlo: il punto debole della Waterman, fatta in
ebanite, era la sua fragilità, per cui se la penna cadeva, spesso si
rompeva. Ecco l’idea! Fare la penna in materiale infrangibi le,
sostituendo all’ebanite la celluloide. Tramite la stampa il pub
blico fu informato che da un grattacielo sarebbero stati lanciati
fasci di penne Parker che sarebbero rimaste intatte piombando
a terra.
La penna era di colore diverso (rosso mattone) rispetto a
quella in ebanite, ma il suo prezzo di vendita era quasi il dop
pio, cosa che permetteva di allearsi il venditore e di incremen
tare la spesa pubblicitaria. Con grande prontezza uscii sul mer
cato italiano con penne infrangibili.
Pensai anche al modo di facilitare il rifornimento di inchio
stro. Col sistema in uso era facile imbrattarsi le dita; ricorsi al
lora a una «cartuccia», un piccolo serbatoio pieno d’inchiostro
di facile e rapida sostituzione. Feci domanda di brevetto al «Pa
tentamt» tedesco, che disponeva di una documentazione ecce
zionale nel campo dei brevetti.
La vicenda di un’invenzione e del suo brevetto è molto simi
le all’incontro con la donna dei propri sogni. La si conosce per
caso, ci si sente di colpo conquistati e quando si è corrisposti
può capitare di accorgersi di essere stati preceduti. Così fu per
la mia «cartuccia»: l’ufficio brevetti mi comunicò che quella
che credevo una novità aveva «anteriorità».
Abbandonai comunque l’idea perché all’epoca non erano
disponibili le materie prime adatte. Solo l’avvento della plastica
consentirà, parecchi anni dopo, la produzione di cartucce pie
ne d’inchiostro. Ebbe invece successo la creazione di una sot
tomarca dell’Aurora, che battezzai «Olo», di colore nero, messa
in vendita esclusivamente nelle edicole delle stazioni. Costava
anche di meno, dato che non era gravata da spese pubblicita
CAP09.indd 165 8-07-2011 11:56:14
47. 166 NATO AD ASTI
rie. Pari successo ebbe un’altra sottomarca, la «Asco», offer ta
a scopi propagandistici. Un terzo successo arrivò con la stilo
grafica da scrittoio, 1’«Aurotavo».
Ritenni a questo punto utile farmi conoscere all’estero e par
tecipai alla Fiera Campionaria di Lipsia, che mi aprì la via all’e
sportazione in Svizzera, Spagna, Polonia ecc. Firmai anche un
accordo con una fabbrica francese che produceva matite a mi na
continua, la «Edacoto», ottenendone l’esclusiva per l’Italia e
concedendo in cambio quella della penna per la Francia.
Ero vicino ai quarant’anni e ancora scapolo: il lavoro mi
aveva totalmente assorbito. Ma ora che l’impresa cui mi ero de
dicato anima e corpo figurava tra le prime in Europa nel set
tore, pensai seriamente al matrimonio.
Così, nel dicembre 1931, mi sposai con Pierina Fumel, che
era entrata nella mia ditta come giovanissima ragioniera nel
1921 e con gli anni era diventata una delle mie collaboratri
ci più preziose. Dotata di una forte personalità, aliena da ogni
compromesso, intelligente e sensibile, divenne per me una com
pagna incomparabile, avendo in comune gli stessi ideali nella
vita privata e in quella pubblica.
Rimasta orfana a sei anni del padre Sciamyl Fumel, colon
nello di fanteria morto prematuramente cadendo da cavallo
durante manovre militari a Spilimbergo, conobbe insieme al
fratello Giorgio e alla giovane madre Emilia, donna dotata di
grande equilibrio e straordinaria dolcezza, un lungo periodo di
ristrettezze.
La carriera militare era una tradizione nella famiglia Fumel:
un avo paterno, nobile francese del marchesato di Fumel (dal
l’omonima città situata nel dipartimento LotetGaronne), allo
scoppio della rivoluzione era fuggito in Italia stabilendosi a
Ivrea. Suo figlio Pietro, nonno di Pierina, entrò poi nell’eserci
to italiano e vi raggiunse il grado di generale. Le cronache del
tempo ricordano i suoi inflessibili − e anche sbrigativi − sistemi
CAP09.indd 166 8-07-2011 11:56:14
48. TRA LE DUE GUERRE 167
nella repressione del brigantaggio meridionale, un incarico che
gli era stato affidato, con pieni poteri, dal governo.
La mamma di Pierina apparteneva invece alla famiglia Maz
za nella quale era tradizione seguire la carriera giudiziaria. Il
nonno Enrico Mazza arrivò al grado di procuratore generale
della Corte di Cassazione. Nell’ambito della numerosa paren
tela di mia moglie fui accolto con affetto e considerazione, per
cui mi inserii con naturalezza nell’atmosfera familiare.
Fin dall’inizio del nostro matrimonio, Pierina con generosi
tà e amore si dedicò alla nuova famiglia, senza mai un attimo di
cedimento o sconforto nei momenti difficili, e da allora è stata
una forza determinante nella mia vita di sposo, di padre, di im
prenditore, nella sorte favorevole e avversa.
Ben presto Pierina mi regalò due tesori: Franco e Carlo, che
furono oggetto di tutti i nostri pensieri, sogni, affanni e gioie.
Ma torniamo al lavoro. In quegli anni avevo esaminato, in
sieme ad Alberi Dreyer, l’idea di fabbricare un prodotto già in
uso all’estero. Si trattava di una specie di soffietto interamen
te metallico (chiamato «membrana elastica metallica»), capace
di movimenti assiali sotto l’azione di forze interne o esterne, e
che era impiegato soprattutto nella fabbricazione dei termosta
ti. Realizzammo l’idea allargando così ulteriormente la no
stra attività (anche se non potevamo prevedere lo sviluppo che
avremmo impresso ai soffietti quando saremmo entrati nel set
tore dei compensatori di dilatazione, che divenne in seguito il
più prestigioso e rilevante sotto il profilo economico).
Sempre in quegli anni ebbi la fortuna di conoscere l’ingegner
Giuseppe Gabrielli, il numero uno della nascente scienza delle
costruzioni aeronautiche, un esperto di livello mondiale. Studiai
l’impiego del mio tubo nel campo aeronautico. Il problema era
che il tubo doveva sopportare forti vibrazioni, mantenere una
perfetta resistenza chimica e meccanica ed essere incombusti
bile. Quest’ultima condizione era la più difficile da realizzare.
CAP09.indd 167 8-07-2011 11:56:14
49. 168 NATO AD ASTI
Pierina De Benedetti Fumel nel giorno del matrimonio.
CAP09.indd 168 8-07-2011 11:56:14
50. TRA LE DUE GUERRE 169
Rodolfo De Benedetti nel giorno del matrimonio.
CAP09.indd 169 8-07-2011 11:56:15
51. CAP09.indd 170
170
NATO AD ASTI
Un reparto della «Compagnia Italiana Tubi Metallici Flessibili» negli anni ‘30.
8-07-2011 11:56:15
52. TRA LE DUE GUERRE 171
Concessione al Giappone del brevetto per i tubi flessibili.
CAP09.indd 171 8-07-2011 11:56:16
53. 172 NATO AD ASTI
Dopo molti tentativi riuscii nell’impresa e presentai il mio
tubo agli organi competenti del Genio aeronautico che lo ap
provarono, autorizzandone l’impiego prima negli aerei milita
ri, poi in quelli civili. Feci subito domanda di brevetto in Ger
mania (avevo battezzato il prodotto «Avioflex») e, ottenutolo,
ne estesi la registrazione in tutti i paesi industrializzati, Giap
pone incluso.
Il successo riportato mi permise di affrontare il mercato
mondiale. Quanto a quello italiano, le ordinazioni affluivano in
numero sempre crescente, costringendomi a grossi investi menti
in macchinari, soprattutto nella produzione della raccorderia (i
tubi erano muniti di raccordi terminali, in modo da poterli im
mediatamente montare sugli aerei).
Costituii allora, appositamente, la «Torneria Meccanica Su
balpina» che sistemai in vasti capannoni con un adeguato par
co macchine.
Le vicende della mia vita di cittadino, imprenditore, padre
di famiglia sono state così intimamente intrecciate e condizio
nate dalla situazione del mio paese e dal clima internazionale,
che nel raccontarle non posso fare a meno di situarle nell’intri
cata storia di quegli anni.
Anche Mussolini aveva dovuto confrontarsi con i terribili
problemi conseguenti alla crisi del 192931. Prese, ad esempio,
provvedimenti eccezionali per il salvataggio di imprese indu
striali, commerciali, finanziarie e bancarie. I fallimenti, infatti,
erano in aumento pauroso: per tamponare le falle che si apriva
no in tutti i rami dell’economia nazionale venne creato, com’è
noto, l’Istituto per la Ricostruzione Industriale (IRI) che, se
servì a tenere in piedi imprese pericolanti, aprì la strada all’im
presa pubblica, con pesanti conseguenze politiche, economi
che e sociali.
Date le modeste dimensioni della mia azienda (una cinquan
tina di dipendenti), riuscii a fronteggiare la terribile crisi bar
CAP09.indd 172 8-07-2011 11:56:16
54. TRA LE DUE GUERRE 173
camenandomi tra riduzioni d’orario, lavori di manutenzione,
ampliamento delle scorte. Mi fu così possibile, grazie anche ai
soci che si erano rassegnati a non percepire utili, non ricorrere
ai licenziamenti, fedele alla regola che mi ero imposto fin dal
l’inizio: non licenziare mai nessuno. Soprattutto non avevo il
peso di debiti a breve e medio termine, avendo sempre aborrito
gli investimenti finanziati da istituti di credito.
Ma le misure antirecessione non bastarono a placare il mal
contento popolare: esse non diminuivano il numero dei disoc
cupati e stentavano a rivitalizzare industrie, commercio e agri
coltura. È in questa congiuntura che Mussolini cominciò a
caldeggiare l’idea della conquista dell’Etiopia che avrebbe ri
solto molti problemi: si dava lavoro alle industrie e si contribui
va al l’occupazione, tenuto conto che gli obblighi militari avreb
bero assorbito una buona percentuale di disoccupati.
La diplomazia italiana dovette misurarsi con l’ostilità delle
grandi potenze coloniali. Inghilterra e Francia si appellarono
alla Società delle Nazioni che decretò di applicare all’Italia san
zioni economiche. Ma le sanzioni non bastarono a far desi stere
Mussolini dalle sue decisioni, e all’inizio dell’ottobre 1935, dal
famoso balcone di Palazzo Venezia, davanti a una folla osan
nante, il duce, riferendosi all’incidentescontro di UalUal1, an
nunciò di aver dato ordine alle nostre truppe di varcare il con
fine etiopico.
Il Comando Supremo venne affidato al quadrumviro gen.
Emilio De Bono, che si dimostrò ben presto l’uomo sbaglia
to nel posto sbagliato e dovette essere sostituito dal gen. Pietro
Badoglio. Badoglio, ottenuti rapidamente i rinforzi richiesti,
1
Località in una zona di incerta appartenenza che, a causa della presenza
di pozzi di importanza vitale, era rivendicata sia dai somali che dagli etiopi
ci. Il 5 dicembre 1934 avvenne lo scontro, con decine di morti da entrambe le
parti. Intervennero allora Francia e Inghilterra, timorose dello scoppio di una
guerra coloniale, e avviarono trattative anche col governo italiano.
CAP09.indd 173 8-07-2011 11:56:16
55. 174 NATO AD ASTI
completò la conquista e entrò trionfalmente ad Addis Abeba.
L’Etiopia, assieme ai possedimenti somali ed eritrei, diventava
parte del ricostituito impero romano che Mussolini, il 9 maggio
1936, proclamò riapparso sui colli di Roma. Respinto l’estremo
tentativo del Negus di far condannare l’Italia dalla Società del
le Nazioni, cessarono le sanzioni e Mussolini fu acclamato fon
datore dell’impero e primo maresciallo d’Italia.
Negli anni dalla fine della grande crisi allo scoppio della se
conda guerra mondiale la mia impresa compì un eccezionale
salto di qualità. Grazie a notevoli innovazioni tecnologiche ero
diventato il leader indiscusso del mercato nazionale del tubo
flessibile. Ero il principale, se non esclusivo, fornitore dell’avia
zione civile e militare, delle forze armate, dell’industria pe
trolchimica, elettrotecnica e dei trasporti. In stretta collabora
zione con gli amici Dreyer, Meyer e Witzenmann pensai a
un’espansione a livello europeo, anche per aggirare le sempre
maggiori difficoltà nell’esportazione. Non era impossibile, dato
che le nostre tre imprese costituivano un complesso che era di
gran lunga il più agguerrito e completo in campo mondiale.
Proponemmo così a concorrenti stranieri, scelti tra i più
qualificati, piani di collaborazione, offrendo lo sfruttamento
della nostra tecnologia, brevetti, strutture di ricerca in cam
bio di «royalties» o di cessioni di pacchetti azionari. In Fran
cia scegliemmo la « Manifacture Métallurgique de la Joncher»;
in Inghilterra «The Power Flexible Tubing Co.». Le trattative si
conclusero positivamente e con reciproca soddisfazione. (Ov
viamente, dopo la dichiarazione di guerra dell’Italia all’Inghil
terra, sarò espulso dal consiglio di amministrazione e dalla
par tecipazione azionaria della società inglese, mentre quella
francese sospenderà il pagamento di «redevances».)
I lusinghieri risultati ottenuti in Europa ci indussero a pren
dere in esame la possibilità di estendere la nostra presenza an
che agli Stati Uniti. Poiché non disponevamo di dati sulla si
CAP09.indd 174 8-07-2011 11:56:16
56. TRA LE DUE GUERRE 175
Alcuni tipi di tubi flessibili.
CAP09.indd 175 8-07-2011 11:56:16
57. 176 NATO AD ASTI
Un compensatore di dilatazione per alte pressioni.
CAP09.indd 176 8-07-2011 11:56:17