Indagine sulla bilateralità in Lombardia: un approfondimento nel settore dell...
Introduzione alle relazioni istituzionali - Spicciariello - LUISS University Press
1. Collana di Marketing politico
e della comunicazione
diretta da Claudio Velardi
2
EMANUELECALVARIO
FRANCOSPICCIARIELLO
INTRODUZIONEALLE
RELAZIONIISTITUZIONALI
Luiss
University
Press
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3. 3
INDICE
Introduzione di Stefano Colarieti 7
Prefazione di Irene Pivetti 9
PARTE PRIMA
1. Le relazioni istituzionali 25
Interessi e gruppi 27
Connotazioni negative del termine
“lobby” in Italia 31
Riferimenti costituzionali 33
I lobbisti in Italia:
profili politico-sociali del fenomeno 37
2. Le fonti del diritto 42
Le fonti di produzione e le norme
giuridiche 43
Rapporti tra le fonti 44
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4. 4
3. Le fonti del diritto dell’Unione Europea 56
Le fonti derivate 54
4. L’organizzazione amministrativa
dello Stato 56
Il governo 56
Il Consiglio dei ministri 57
Il presidente del Consiglio 58
I ministri 58
I sottosegretari di Stato 60
I comitati interministeriali 60
La presidenza del Consiglio dei ministri 63
I ministeri 64
Le agenzie 64
Le aziende e gli enti pubblici 65
Il ruolo delle utility 70
5. Gli enti territoriali 72
Le regioni 78
I comuni 79
Le province 79
Le città metropolitane 80
6. Le autorità indipendenti 80
Banca d’Italia 85
Commissione nazionale per le società
e la Borsa 88
Istituto per la vigilanza sulle assicurazioni
private e di interesse collettivo 90
Autorità garante delle concorrenza
e del mercato 91
Autorità per l’energia elettrica e il gas 95
Autorità per le garanzie
nelle comunicazioni 96
Commissione di garanzia per l’attuazione
della legge sullo sciopero nei servizi
pubblici essenziali 97
Garante per la protezione dei
dati personali 98
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5. 5
7. I cosiddetti organi ausiliari 99
Il Consiglio di Stato 99
La Corte dei Conti 100
Il Consiglio nazionale dell’economia e
del lavoro 100
8. Principi in tema di attività della
pubblica amministrazione 102
Il procedimento amministrativo 103
Gli atti amministrativi 107
Tutela in via amministrativa 110
9. L’organizzazione del Parlamento 114
Il Parlamento nella sua unità 115
Le due Camere e le loro articolazioni
interne 117
Il procedimento legislativo 123
L’iniziativa 124
Le fasi 126
I procedimenti non legislativi 133
10. Gli strumenti conoscitivi
del Parlamento 138
Gli strumenti ispettivi 139
Gli strumenti conoscitivi non ispettivi 146
Altri strumenti conoscitivi 148
11. La manovra finanziaria 149
La copertura delle leggi di spesa 149
L’assetto vigente del sistema di
contabilità pubblica 155
Il Dpef 158
La Relazione previsionale e
programmatica 160
La legge di bilancio 160
La legge finanziaria 162
La sessione di bilancio: l’iter
parlamentare della legge finanziaria 168
Considerazioni conclusive 175
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6. 6
12. La legge comunitaria 180
I contenuti 180
La formazione del disegno
di legge comunitaria 183
La sessione comunitaria 185
13. Il presidente della Repubblica 187
14. La giustizia costituzionale 189
PARTE SECONDA
1. Le principali strategie e tecniche
di lobbying 193
2. Il position paper 200
3. Il monitoraggio istituzionale 203
Il monitoraggio e il processo
comunicativo 205
Il servizio di monitoraggio 207
Scopi del monitoraggio istituzionale 208
La strategia di monitoraggio 210
4. Network monitoring e hub
istituzionali 219
5. Gli errori più comuni dei lobbisti 221
6. Conclusioni 223
APPENDICE
Lobby e gruppi di pressione
negli Usa 223
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7. 7
DALLA COMUNICAZIONE
ALLE RELAZIONI ISTITUZIONALI
Questo è il secondo volume della collana diretta
da Claudio Velardi. L’obiettivo è quello di fornire
un’analisi su come il processo di riforme istituzio-
nali avvenute negli ultimi quindici anni nel
nostro paese non abbia influenzato non solo la
politica e le istituzioni, ma anche i rapporti tra
questi ultimi e i soggetti organizzati, presenti nel
sistema Italia: imprese, associazioni di categoria,
associazioni no profit, cittadini sono attori prota-
gonisti nel rapporto pubblico-privato, e per questo
hanno la necessità di individuare canali di comu-
nicazione-azione per poter interagire nella rap-
presentanza degli interessi.
L’analisi offre un quadro di riferimento dello sce-
nario istituzionale del nostro paese a livello
nazionale e comunitario, individuando, in un
confronto comparato con altre esperienze europee
e internazionali, affinità e caratteristiche comuni.
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8. 8
Ciò al fine di fornire un quadro attuale su come
l’attività di relazioni istituzionali e di lobbyng si
va affermando nel nostro sistema.
Nella seconda parte di questo percorso si delinea
una metodologia di approccio alla professione del
lobbista e all’impatto che in questi ultimi anni ha
svolto positivamente nel rapporto pubblico priva-
to. Come nel primo volume della collana, anche in
questo caso non si tratta di un manuale, ma della
cassetta degli attrezzi, utile per coloro che intendo-
no avvicinarsi a questa attività professionale.
Stefano Colarieti
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9. 9
LOBBY, L’INFORMAZIONE PERSUASIVA
di Irene Pivetti
Un prodotto della storia
Il sistema politico-istituzionale al quale siamo
abituati, edificato nel dopoguerra sulla base di
partiti a forte radicamento sociale e diffusa
organizzazione territoriale, è oggi irreversibil-
mente mutato, e quei potenti canali di comuni-
cazione fra la società civile e i centri decisionali
della politica sono ormai venuti sostanzialmen-
te a mancare. Nella politica postpartitica, dun-
que, la questione della rappresentanza si pone
con assoluta urgenza e, a volte, con una certa
drammaticità, anche a causa dell’ininterrotto
processo di riforme istituzionali che l’Italia in
particolare, ma anche l’Europa, vive in questi
anni, che determina un quadro mutevole e a
volte instabile.
Si pone così la domanda su quali siano i sogget-
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10. 10
ti abilitati alla rappresentanza, se cioè accanto
alla politica non siano da considerare altri cana-
li, primo fra tutti quello professionale, per por-
tare alle istituzioni le istanze dei soggetti sociali
ed economici. Anche perché, mentre le istitu-
zioni faticano ad interpretare la società, l’eco-
nomia si evolve e diviene globale, sospinta
anche dall’accelerazione tecnologica.
La lobby si pone dunque non più come una
prassi ineliminabile, ma sostanzialmente patolo-
gica, del sistema della rappresentanza, bensì
come uno strumento della modernità inserito a
pieno titolo nella dialettica democratica. Tecni-
camente, si può definire come l’opera di infor-
mazione, a scopo persuasivo, dei decisori da
parte di coloro su cui ricadono le conseguenze
delle decisioni. Il fatto che si tratti di interessi
legittimi anche lucrativi, e che tale attività sia
svolta di norma a livello professionale, è la sola
differenza con l’ordinaria rappresentazione di
bisogni che la politica conosce da sempre. Ma è
una differenza che impone una elaborazione
politologica, ed anche etica, chiara e non banale.
A livello europeo, le considerazioni di ordine
economico assumono ancora maggior risalto,
come osservano gli analisti del Parlamento
europeo: “I trattati fondamentali dell’Unione
Europea hanno dato alle imprese (o agents éco-
nomiques) un ruolo particolarmente rilevante
nel processo di integrazione europea. Gli obiet-
tivi politici dell’Unione, infatti, e cioè la conser-
vazione ed il rafforzamento della pace e della
libertà, devono essere perseguiti attraverso l’in-
tegrazione economica” (Lobbying in the Euro-
pean Union: Current Rules and Practices, Parla-
mento europeo, direttorato generale per la
Ricerca, Serie affari costituzionali, AFCO 104
EN, p. 11).
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11. 11
Un ulteriore elemento che spinge i soggetti eco-
nomici ad individuare proprie, autonome ed
efficaci forme di rappresentanza è anche la dif-
ficile congiuntura economica mondiale, che
riduce ovunque i margini di profitto garantiti
dalle sole leggi del mercato, così amplificando
gli effetti sulle imprese di scelte normative, o
anche solo strategiche, da parte delle autorità
europee (Lobbying, cit., p. 54).
È anche per questo motivo che, a partire dalla
scorsa legislatura, la Commissione europea ha
dedicato non poca attenzione alla questione
delle consultazioni in vista dell’adozione di
provvedimenti e al problema della valutazione
anticipata dell’impatto sulle imprese delle pro-
poste legislative, l’una e l’altra orientate alla
normalizzazione dell’azione di lobbying (Sfide
per la politica delle imprese nell’economia fonda-
ta sulla conoscenza, comunicazione della Com-
missione, proposta di decisione del Consiglio rela-
tiva ad un programma pluriennale a favore del-
l’impresa e dell’imprenditorialità [2001-2005],
Bruxelles, 26 aprile 2000, COM [2000] 256).
In particolare, in un recente documento strate-
gico, la Commissione indica“Principi generali e
requisiti minimi” per l’individuazione traspa-
rente, e valida per tutti i dicasteri, dei soggetti
abilitati ad essere consultati. I quali soggetti,
nello specifico, sono le “organizzazioni della
società civile”, ed esattamente:
• le parti interessate da una data politica;
• coloro che parteciperanno all’attuazione
delle misure decise, oppure
• gli organismi che per le finalità dichiarate
che perseguono hanno un interesse diretto
alla definizione di una data politica (Verso
una cultura di maggiore consultazione e dialo-
go, comunicazione della Commissione,
Bruxelles, 11 dicembre 2002, COM [2002]
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12. 12
704). Cioè anche le imprese, ed alcune infat-
ti compaiono nell’elenco dei soggetti consul-
tati per il documento stesso (p. 22).
Bisogna aggiungere che la mappa del potere si
presenta in Europa piuttosto frammentata, con
un moltiplicarsi dei punti di contatto fra i
diversi corpi istituzionali, e fra questi e gli Stati
membri. Ciò significa in teoria una pluralità di
accessi possibili al processo decisionale, per i
gruppi di interesse, e dunque non la mancanza
ma la sovrabbondanza di potenziali canali di
influenza. Non garantendo a nessuno l’esclusi-
vità del contatto con il decisore di riferimento,
questo sistema da un lato preserva il pluralismo
dell’informazione rivolta ai decisori, dall’altro
accende fortemente la competizione fra sogget-
ti portatori di interessi. Ma competizione signi-
fica mercato, e dunque anche sviluppo.
Ciò spiega in parte la rilevantissima presenza
lobbistica presso le istituzioni europee: si stima
che a Bruxelles siano circa 2.600 i gruppi di
interesse che hanno un proprio ufficio perma-
nente (di questi, circa il 10 per cento sono
imprese), 500 le grandi imprese presenti attra-
verso proprie rappresentanze, e 130 gli studi
legali specializzati in diritto comunitario. Ogni
anno, i contatti individuali tra lobbisti e depu-
tati del Parlamento europeo sono stimati in
circa 70 mila (Relazione sul ruolo delle associa-
zioni industriali europee nella definizione delle
politiche dell’Unione [2002/2264 INI], commis-
sione per l’Industria, il commercio estero, la
ricerca e l’energia, A5-0272/2003, p. 8).
Se questa è la realtà, è chiaro che diventa impro-
crastinabile l’adozione di regole deontologiche
e norme di trasparenza per regolare il rapporto
dei portatori di interessi con le istituzioni. Ed è
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13. 13
precisamente ciò che il Parlamento europeo ha
fatto, prevedendo nel proprio regolamento sia
norme per l’iscrizione dei portatori di interesse
in un registro pubblico e consultabile, che li
vincoli ad un codice deontologico, sia norme
sulla questione, connessa, della trasparenza
delle disponibilità finanziarie dei membri del
Parlamento.
Anche in Italia è necessario dunque assumere
l’iniziativa, non solo sul piano legislativo ma
anche promuovendo un’operazione culturale
che affranchi definitivamente l’attività di
lobbying o relazioni istituzionali dal pregiudi-
zio che la associa ad intese sottobanco, chiaren-
done invece la natura di attività professionale
ad alto contenuto specialistico, garante per que-
sto motivo della trasparenza e linearità dei pro-
pri metodi di azione e della piena liceità dei
suoi obiettivi.
Cinque buoni motivi per regolamentare l’atti-
vità di lobbying
Nonostante l’oggettivo ridimensionamento
(storico) del suo ruolo, il primo snodo strategi-
co di un’operazione culturale e normativa è il
Parlamento nazionale, anche perché una effica-
ce soluzione in questa sede costituisce un utile
parametro per ogni altra assemblea elettiva (per
esempio regioni, enti locali eccetera).
Il Parlamento tuttavia è anche l’istituzione più
problematica, dal punto di vista giuridico. Nella
tradizione latina, infatti, le assemblee elettive
vivono della duplice natura di essere da un lato
il luogo della rappresentanza generale, nell’inte-
resse dell’intera nazione, e dall’altro la condi-
zione perché il singolo sia perfettamente libero
ed indipendente nella manifestazione delle pro-
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14. 14
prie opinioni (art. 67 Cost.: “Ogni membro del
Parlamento rappresenta la Nazione ed esercita
le sue funzioni senza vincolo di mandato”).
Violare o comunque forzare questa indipen-
denza assoluta è incostituzionale, ma lo è anche
lasciare che altri lo facciano. In altre parole, la
libertà del parlamentare è un bene indisponibi-
le, anche per lui stesso.
Nella tradizione anglosassone, viceversa, la fun-
zione della rappresentanza è quella di consenti-
re la regolazione degli interessi legittimi (ed
anche la loro stessa definizione in quanto tali, a
dir la verità), e dunque l’individuazione dei
punti di equilibrio sulla base di una logica con-
trattualistica. In questo contesto, il membro del
Parlamento è amministratore di una delega
intrinsecamente non dissimile da quella socie-
taria, la cui sostanza cioè è il mandato implicito
di massimizzare i profitti contenendo i costi (in
termini di consenso e potere, si capisce, anziché
di denaro).
1) Fiducia nella tenuta del sistema democratico.
Ecco perché, in qualunque contesto costituzio-
nale, l’azione di lobbying, e cioè l’offerta di
informazione ai decisori, ai fini di persuasione,
è un atto di fiducia nella tenuta del sistema
democratico, come acutamente lo definisce
Gina Nieri, consigliere d’amministrazione e
direttore della divisione Affari istituzionali,
legali e analisi strategiche di Mediaset.
La regolazione di questa attività rappresenta
perciò non solo la soluzione di un problema
deontologico, metabolizzando una volta per
tutte la rappresentanza professionale di interessi
all’interno del sistema istituzionale, ma anche
una rilevante opzione etico-politica. Si perse-
gue cioè la trasparenza come metodo unico di
gestione dei rapporti, in nome del rispetto del
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15. 15
patto degli elettori con gli eletti. In questo
modo, gli interessi forti sono ricondotti ai
metodi di dialogo istituzionale propri degli
interessi deboli, e cioè il rapporto democratico.
Ad ulteriore certificazione della linearità del
proprio operato, il parlamentare si impegnerà
alla pubblicità della propria situazione patri-
moniale (c’è nei Parlamenti nazionali, non in
quello europeo), nonché alla pubblicità delle
proprie fonti di finanziamento, come lo stipen-
dio dei collaboratori, le spese per l’organizza-
zione di eventi pubblici eccetera (c’è nel Parla-
mento europeo, non in quelli nazionali).
2) Centralità del Parlamento. Un secondo ed
altrettanto forte motivo per introdurre una
regolazione della presenza dei portatori di inte-
ressi nelle sedi parlamentari, e delle altre assem-
blee legislative, consiste proprio in un recupero
della centralità di queste istituzioni, nella riaf-
fermazione del loro ruolo come luogo necessa-
rio della mediazione, riguadagnando spazi
rispetto al crescente, ed eccessivo, protagoni-
smo di cui in questi ultimi anni hanno goduto
gli esecutivi. La trattativa, cioè, se c’è, si fa in
Parlamento, o almeno così deve essere possibile
che accada.
In questo senso, l’assenza di normativa specifi-
ca è un segno di debolezza istituzionale, e non
di forza, il riconoscimento di un’oggettiva mar-
ginalità nell’equilibrio fra i poteri.
A riprova di ciò si consideri che, mentre sono
relativamente poche le istituzioni legislative
dotate di normativa specifica o di prassi conso-
lidate per i portatori di interessi (anche se molto
autorevoli, come i Parlamenti americano, ingle-
se, europeo), sono al contrario presenti presso-
ché ovunque norme ovvero prassi che regolano
l’azione dei lobbisti presso gli esecutivi.
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16. 16
Si consideri inoltre che, elaborando in prima
battuta un regolamento in materia, ovvero
emanando un atto legislativo che rinvii ad un
regolamento interno, il Parlamento riafferme-
rebbe il potere regolatorio e sanzionatorio dei
suoi organi interni, non solo riguardo i com-
portamenti di persone fisiche, ma legittimando
gli atti di persone giuridiche, il che è in sé una
interessante affermazione di potere.
3) Professionalità politica più moderna. Il terzo
motivo per regolamentare la rappresentanza
professionale di interessi è la promozione di
una (parallela) professionalità politica moder-
na. L’eletto in assemblee legislative si misura
infatti costantemente con l’esigenza di essere
documentato su una molteplicità di temi, molti
dei quali di carattere specialistico, sui quali è
chiamato ad esprimersi con il voto. Solo in
alcuni casi fonte qualificata di informazioni
sono altri soggetti istituzionali. Avvalersi delle
informazioni fornite da soggetti economici
risponde dunque all’esigenza di una professio-
nalità politica più informata e competente.
D’altro canto, normalizzare i rapporti tra mem-
bri eletti e portatori di interessi economici
genera una maggiore facilità ad istituirne di
ulteriori. Il che significa, in effetti, la moltiplica-
zione delle fonti di informazione (non solo di
pressione) a disposizione dell’eletto. Va da sé
che la presenza di più fonti, eventualmente con-
correnti, fa sì che nessuna di esse possa agire da
monopolista (dell’attenzione del legislatore, si
intende). E un regime di concorrenza, anche in
questo caso, è in sé desiderabile.
4) Tutela della sicurezza. In questi anni difficili,
una delle esigenze più sentite è certamente
garantire ai cosiddetti obiettivi sensibili un ade-
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guato livello di sicurezza. In alcuni casi, come
per le istituzioni rappresentative, ciò confligge
con la necessità di riservatezza e discrezione,
nonché di libertà d’azione per i suoi membri,
all’interno, oltre che all’esterno delle sedi istitu-
zionali.
Ecco allora che l’introduzione di specifiche
norme regolamentari sulla presenza di soggetti
esterni, e tuttavia non estranei, alle istituzioni
semplifica molto la necessità di procedure di
sicurezza, affidando ad un vaglio a monte,
obiettivo ed approfondito, la selezione degli
aventi diritto alla circolazione nelle sedi dell’i-
stituzione.
5) Chiarezza sul finanziamento della politica.
Sullo sfondo di questa discussione, e di impor-
tanza strategica, si pone un’altra questione, inti-
mamente connessa con le problematiche della
lobby, e cioè quella del finanziamento della
politica, specialmente da parte di persone giuri-
diche nei confronti di esponenti istituzionali.
Pur lasciando ad altre occasioni l’approfondi-
mento della questione, in questa sede si pone
comunque la distinzione fondamentale fra il
finanziamento delle forze politiche, o di loro
esponenti, ed il finanziamento di membri delle
istituzioni in quanto tali. Ciò perché nel primo
caso il rapporto anche economico che viene ad
instaurarsi fra soggetti diversi sottostà intera-
mente alle norme del diritto privato, è regolato
da normali dinamiche di mercato e deve even-
tualmente solo rispondere alla pubblica opinio-
ne. Nel secondo caso, viceversa, il contributo
economico percepito da un esponente istituzio-
nale interferisce con la funzione di rappresen-
tanza generale svolta dal parlamentare e coin-
volge il ruolo dell’indennità da questi percepita,
precisamente a garanzia della sua libertà ed
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indipendenza (tra parentesi, altra questione di
rango costituzionale, ex art. 69).
Le Autorità di garanzia
Un capitolo a parte, con profili problematici
specifici, è rappresentato in Italia dalle Autorità
di garanzia. Poiché infatti esse hanno anche
poteri di magistratura, al fine di salvaguardarne
l’autonomia ed indipendenza di valutazione
nelle leggi istitutive non è mai previsto, in alcu-
na forma, il concetto di negoziato con soggetti
esterni, mentre per le Autorità europee proprio
il negoziato con gli aventi causa è in alcune cir-
costanze il percorso normale attraverso cui esse
costruiscono la propria posizione.
È opportuno un chiarimento: anche accettando
di escludere il negoziato quando l’Autorità è
chiamata a sanzionare comportamenti illegali,
quando cioè essa eserciti poteri di magistratura,
l’emissione di delibere che non tengano conto
alcuno delle ragioni delle imprese determina
alcuni effetti controproducenti, primo fra tutti
la moltiplicazione dei ricorsi, con il conseguen-
te affollamento dei tribunali amministrativi
nonché, nei casi non infrequenti in cui il ricor-
so delle aziende venga accolto, la disattivazione
parziale o totale della delibera, con conseguen-
te instabilità ed incoerenza normativa. E d’al-
tronde i danni della “regulation by litigation”
sono ben noti.
Parzialmente soddisfacente nel sistema italiano
la possibilità di negoziato in caso di valutazione
di problematiche controverse, come ad esempio
la valutazione di concentrazioni, si sente invece
l’esigenza di introdurre la possibilità di un
negoziato, oggi non previsto, nel momento in
cui le Autorità assumono posizioni formali in
merito a tematiche ad alto contenuto tecnico.
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Di solito, proprio la specificità delle questioni
affrontate richiederebbe approfondimenti ed
un confronto con i soggetti interessati che allo
stato attuale non viene praticato.
Nel frattempo appare necessario per lo meno
generalizzare l’adozione, da parte di queste isti-
tuzioni, di libri bianchi, che costituiscano una
base di discussione pubblica, e perciò traspa-
rente, preliminare all’assunzione di posizioni
formali.
Interpellata su questo punto, l’autorità Antitru-
st ha dato una risposta di segno assolutamente
negativo, di cui si dà conto più avanti in questo
volume. È evidente che qui si sconta una certa
distanza fra l’impostazione data nell’Unione
Europea a tali istituzioni, orientate al confronto
con le parti interessate, e le Autorità garanti ita-
liane, concepite essenzialmente come soggetti
giudicanti.
Criteri normativi
Alla luce di questa analisi, una buona norma
dovrà rendere visibili tutti e solo i professioni-
sti, e perciò rendere pubblicamente trasparente
il loro operato, ed insieme ad essi tutti coloro
che sono socialmente legittimati a compiere
opera di persuasione sui decisori (cioè le varie
lobby sociali), senza inutili irrigidimenti in un
mercato professionale che, per quanto promet-
tente, è ancora al suo stadio iniziale, e per il
quale è perciò necessario mantenere la massima
fluidità nei rapporti fra soggetti diversi.
Comunque la si voglia formulare, la norma
dovrà pertanto soddisfare necessariamente a
queste condizioni:
• Trasparenza. Il lobbista deve dichiarare chi è
e per conto di chi opera. A questo proposito
l’istituzione di un apposito registro, pubbli-
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co e consultabile, pare la soluzione più sem-
plice ed efficace.
• Credibilità. Il lobbista può accreditarsi se il
soggetto per cui lavora rispetta alcune condi-
zioni (personalità giuridica, forma societaria,
documentabile solidità economica). Questa
previsione non si applica agli organismi no
profit.
• Responsabilità. Il lobbista deve dichiarare il
proprio codice etico, che deve necessaria-
mente includere il divieto ad esercitare pres-
sioni sui decisori. Si prevede dunque la possi-
bilità, in caso di trasgressione, della cancella-
zione dal registro.
• Limitazione. L’accredito sul registro non dà
luogo ad alcun rapporto formale con l’istitu-
zione, e il lobbista ha il dovere di chiarirlo
con i soggetti terzi.
Si colloca in questa linea la proposta di legge
quadro, esaminata dalla Camera nel corso della
passata legislatura, il cui esame è stato sospeso
dopo l’adozione del testo unificato. Spirito della
norma era l’adozione di principi generali ai
quali attenersi affinché ogni istituzione pubblica
si dotasse autonomamente di norme regola-
mentari, rispondenti alle proprie competenze,
come previsto sia dalla legislazione ordinaria sia
dal dettato costituzionale.
Fondamenti costituzionali
Ciò che interessa rilevare qui è il presupposto
giuridico di una eventuale iniziativa legislativa, e
cioè gli artt. 21 e 50 della Costituzione italiana.
L’art. 21, garantendo a tutti i cittadini “il diritto
di manifestare liberamente il proprio pensiero
con la parola, lo scritto e ogni altro mezzo di dif-
fusione”, fonda la libertà di stampa, la quale tut-
tavia è la principale, ma non l’unica possibile
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21. 21
declinazione della libertà di espressione. Infatti,
nel garantire il diritto alla manifestazione del
pensiero, l’articolo implica che ciò possa accade-
re con mezzi adeguati al parlante, alla materia e
al destinatario. E ciò vale anche nel caso in cui si
tratti di punti di vista su un’attività economica,
manifestati ai decisori da parte di portatori di
interessi. Ovvero l’attività lobbistica, appunto.
Quanto all’art. 50 della Costituzione, esso espli-
cita il diritto per i cittadini a“presentare petizio-
ni alle Camere per chiedere provvedimenti legi-
slativi o esporre comuni necessità”. Tale norma,
presente con formulazioni equivalenti nelle
Costituzioni di ogni parte del mondo, è in effet-
ti considerata il fondamento giuridico specifico
dell’attività di lobbying, proprio nei paesi in cui
essa gode di maggiore sviluppo.
La rivalutazione di tale diritto costituzionale è in
linea con l’esigenza costante in politica di un
rapporto sempre più diretto fra gli eletti (Parla-
mento) e la generalità degli elettori, tanto più
ora che, all’appannarsi della capacità dei partiti
di procurare questa comunicazione, si cercano
strumenti alternativi per manifestare ai rappre-
sentanti della nazione la molteplicità degli inte-
ressi legittimi presenti nella cittadinanza.
Qui trova origine il nuovo protagonismo dei
movimenti della società civile, come il ripensa-
mento dei sindacati e delle associazioni di cate-
goria, e il nuovo ruolo delle autonomie funzio-
nali, ma anche lo sviluppo delle competenze
della Corte costituzionale. Qui si radica infine
l’esigenza della comunità economica di godere
di un rapporto trasparente e inequivoco con la
comunità politica, che regole certe ed efficaci
pongano al riparo da comportamenti devianti
ed indebite pressioni.
Responsabile Relazioni istituzionali Reti
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25. 25
1. Le relazioni istituzionali
Il problema della rappresentanza politica è uno
degli argomenti principali dibattuti dalla scien-
za e dalla filosofia politica da Hobbes ai giorni
nostri. Altrettanto, la relazione fra Stato e
società è una delle issue centrali per la demo-
crazia.
I sistemi democratici sono fondati sulla parteci-
pazione, la libera articolazione degli interessi e
la libertà di associazione e, per tramite di questi
diritti, è possibile realizzare la rappresentanza
di interessi, attività che provvede a fare da ponte
fra lo Stato e la società civile.
La portata dei problemi che le moderne società
democratiche si trovano ad affrontare con il
continuo aumentare degli interessi, e delle esi-
genze di rappresentanza, riguarda un possibile
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26. Marketingpolitico
26
eccesso di attivismo da parte degli operatori del
lobbying; un possibile“sovraccarico democrati-
co”; la trasparenza dei comportamenti di lobbi-
sti e detentori di cariche o uffici pubblici, l’ine-
guaglianza nell’acceso ai centri decisionali ecce-
tera.
Le lobby hanno ormai conquistato un ruolo
determinante all’interno delle società che si
definiscono pluraliste, in altre parole in quelle
società in cui l’interesse generale si è frammen-
tato in molteplici interessi particolari. La neces-
sità di avere rappresentanza presso i decisori
per ottenere la tutela dei propri interessi ha
fatto sviluppare le lobby fino a farle diventare il
canale preferenziale attraverso cui, nella mag-
gior parte dei paesi occidentali, il decisore si
informa e prende coscienza dei bisogni sociali.
Questo ruolo, se attuato in determinati limiti
legali e costituzionali, è sostanzialmente demo-
cratico. Le lobby potenzialmente possono assi-
curare la rappresentanza di tutti gli interessi
presso il decisore e quindi far sì che la decisione
presa sia equa.
Legittimare questa azione significa fare delle
conquiste sulla strada della democrazia e della
libertà. Tuttavia il metodo attraverso cui l’in-
fluenza delle lobby è stata attuata si è dimostra-
to spesso illegale. La corruzione è stato purtrop-
po un mezzo molto utilizzato per interloquire
con i decisori e influenzarne le scelte.
Una volta inquadrato il problema in questi ter-
mini, sorge la necessità innanzitutto di studiar-
ne le varie connotazioni e aspetti, e di ricercare
poi le possibili soluzioni ai problemi per mezzo
di una regolamentazione. Una regolamentazio-
ne già esistente in alcuni paesi quali gli Stati
Uniti e il Canada. In alcuni casi invece, accanto
a norme di provenienza statuale, è possibile rin-
venire codici di autoregolamentazione, general-
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27. Parteprima
27
mente realizzati dalle associazioni professionali
che raggruppano gli operatori del settore.
Il fenomeno del lobbying, forma “non ufficiale”
di rappresentanza di interessi, è un argomento
da anni molto studiato dal punto di vista poli-
tologico, ma altrettanto sottovalutato da quello
giuridico. A dimostrazione di ciò vi è l’esistenza
di innumerevoli lavori di scienza politica cui
corrisponde una scarsità estrema di pubblica-
zioni giuridiche. Scarsità principalmente di
materiale in lingua italiana, ma anche in altri
paesi si è costretti spesso a ricorrere ad opinio-
ni dottrinarie elaborate da studi legali (ameri-
cani e canadesi) specializzati nel campo del
lobbying e dei servizi parlamentari.
Il proposito di questo lavoro è cercare di forni-
re gli strumenti di base di tutto ciò che un lob-
bista, o qualcuno che voglia formarsi come tale,
dovrebbe sapere.
Per questo motivo il libro si apre con una vasta
panoramica sulle fonti del diritto e, più in gene-
rale, sulla struttura istituzionale della Repubbli-
ca. Abbiamo poi deciso di includere un breve
inquadramento delle istituzioni europee, verso
le quali molti lobbisti sono ormai costretti ad
indirizzare la propria attività.
Interessi e gruppi
I gruppi svolgono un ruolo importante, se non
fondamentale, nell’attività politica. Formulano
domande, esprimono orientamenti politici,
presentano rivendicazioni, e lo fanno, come ha
scritto il noto politologo della Columbia Uni-
versity David Truman, “per mezzo delle istitu-
zioni del governo o nei confronti di queste”.1
I
gruppi esercitano pressioni per difendere inte-
ressi specifici concreti o assicurare vantaggi
materiali a favore dei propri membri, si oppon-
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28. Marketingpolitico
28
gono ad azioni deliberate che essi ritengono di
dover respingere, esprimono o articolano gli
orientamenti di una parte dell’opinione pubbli-
ca su problemi di interesse collettivo.
Sui governanti sono da sempre state esercitate
le forme più disparate di pressioni, dalle prote-
ste di piazza, fino all’uso della violenza, alle
pacifiche petizioni finalizzate alla risoluzione di
un problema o ad influenzare una decisione.
Ciò che distingue l’epoca moderna è il caratte-
re costante dell’attività dei gruppi, il loro ruolo
preminente nell’influenzare le decisioni e gli
indirizzi politici.
Si è spesso sostenuto che la manifestazione di
interessi particolari è di per sé poco desiderabi-
le, in quanto è possibile che questa risulti con-
traria all’interesse generale. Jean-Jacques Rous-
seau sosteneva che “quando si creano fazioni,
associazioni parziali a spese della grande, la
volontà di ciascuna di queste associazioni
diventa generale rispetto ai suoi membri, e par-
ticolare rispetto allo Stato”, costituendo quindi
un pericolo per l’unità sociale e politica.2
E
Thomas Hobbes diceva che le corporazioni
erano dei “vermi nelle interiora di un uomo
naturale”.3
All’opposto Arthur Bentley, il quale riteneva
che non esiste gruppo che non abbia un suo
interesse, che la società intesa come totalità non
ha alcun interesse di gruppo, e che la funzione
del governo è quella di mediatore fra interessi
diversi nel tentativo di realizzare una situazione
di equilibrio. Il processo legislativo si riduce
così al gioco degli interessi di gruppo, e il reci-
proco accomodamento (log rolling) ne costitui-
sce l’essenza.4
Va detto che le teorie qui citate rappresentano le
ali estreme del pensiero sui gruppi di interesse.
Inoltre, un’eccessiva concentrazione sul ruolo
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dei gruppi rischia di far trascurare il ruolo delle
istituzioni e del comportamento individuale,
oltre che di altri fattori. Una tale concentrazio-
ne, e la tesi che a questa si accompagna, secon-
do la quale la politica è gestita da gruppi di inte-
resse ben organizzati, porta alla convinzione,
sostenuta dal politologo Murray Edelman,5
che
le masse devono accontentarsi di una soddisfa-
zione “simbolica”: il voto!
Ma ciò equivale a considerare l’attività politica
poco più di un insieme di potenti associazioni
che pervengono ad un equilibrio in virtù di
qualche procedimento automatico o mano
invisibile. Come ha rilevato Roy Macridis la
group theory della politica non è in grado di
spiegare le differenze fra i gruppi.6
Queste sono
spiegabili solo in termini di altri fattori quali la
molteplicità dei centri decisionali, le reti di
potere, la natura dei compromessi politici, il
sistema partitico, il consenso eccetera.
La parola “lobby”, come vedremo in seguito,
indica l’attività di coloro che stanno nei corri-
doi, nell’atrio, per esercitare un’azione di pro-
mozione di interessi particolari. È però questa
una parola che presenta una certa ambiguità, in
quanto esprime soltanto una parte del processo
di articolazione degli interessi, come si dice
nella scienza politica. A tal riguardo allora è
meglio introdurre le categorie di gruppo di
interesse e di gruppo di pressione. Ma prima:
cosa vuol dire e da dove nasce il termine
“lobby”?
Il termine“gruppo di pressione”ha, nella lingua
italiana, un sinonimo acquisito dalla tradizione
anglosassone: lobby. Lobby è parola di deriva-
zione latina medioevale (da lobia, portico).
Secondo Adrian Room7
questa parola venne
usata per la prima volta nel 1553 da Thomas
Bacon in The Relikes of Rome; nel 1593 essa
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30. Marketingpolitico
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venne ripresa da William Shakespeare in Henry
VI, Parte seconda, con il significato di “passag-
gio”, “corridoio”. Altre fonti8
fanno derivare
lobby dall’antico alto-tedesco lauba, che signifi-
cava deposito di documenti. Fu nel 1830 circa
che il termine venne ad indicare, nella House of
Commons, quella grande anticamera in cui i
membri del Parlamento usavano votare duran-
te una “division”.
Successivamente il termine venne attribuito a
quella zona del Parlamento in cui i rappresen-
tanti dei gruppi di pressione cercano di contat-
tare i membri del Parlamento stesso. Per indica-
re questi rappresentanti e l’attività da essi eser-
citata, si iniziò, nel diciannovesimo secolo, a far
uso dei termini “lobbyist” e “lobbying”. Estensi-
vamente lobby indica poi il gruppo da essi rap-
presentato.
Il termine viene usato correntemente anche per
indicare un certo numero di gruppi, organizza-
zioni, individui, legati tra loro da un comune
interesse ma non necessariamente dal senso di
appartenenza al gruppo.
E, per finire, esso è stato adottato dal linguaggio
giornalistico anche per indicare una manifesta-
zione popolare, con cortei, comizi, uso di car-
telli e striscioni, che ha lo scopo di far pressione
in supporto di (o contro) un preciso provvedi-
mento legislativo.
Tutti gli usi non letterali del termine lobby,
escluso quest’ultimo, sono entrati a far parte
della lingua italiana o, per lo meno, del linguag-
gio giornalistico italiano. Abbiamo quindi:
“lobby”, “lobbies”, “lobbying”, “lobbista” eccete-
ra.
L’Enciclopædia Britannica definisce il
“lobbying”9
come “ogni tentativo posto in esse-
re da individui o gruppi di interesse privati di
influenzare le decisione del governo”.10
Il
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31. Parteprima
31
lobbying, almeno in alcune delle sue manifesta-
zioni, è ormai un’attività ineliminabile in qual-
siasi sistema politico; esso ha acquistato parti-
colare importanza negli Stati Uniti, dove può
presentarsi sotto diverse forme. Le lobby posso-
no infatti intervenire nel processo legislativo
venendo ascoltate dalle commissioni del Con-
gresso. Gli impiegati pubblici possono essere
contattati negli uffici legislativi, in hotel e persi-
no nelle proprie case. Migliaia di lettere o chia-
mate telefoniche sono il mezzo con il quale
questi gruppi lavorano organizzando apposite
campagne d’influenza. Queste organizzazioni
possono fornire ai candidati alle elezioni dena-
ro o servizi di qualsiasi genere. Massicce campa-
gne informative sono effettuate per mezzo delle
più moderne tecniche di comunicazione per
influenzare la pubblica opinione. Sostanziosi, e
decisivi, contributi elettorali possono essere
forniti a politici o membri dell’esecutivo. Tutto
questo, e altro, è lobbying.
Connotazioni negative del termine “lobby”
in Italia
Al termine “lobby” vengono generalmente
attribuite, in Italia, varie connotazioni negative.
Sotto la voce “lobby” di alcuni dizionari della
lingua italiana si legge:“gruppo di potere occul-
to”;11
“gruppo di potere economico-finanziario
che agisce occultamente influenzando le deci-
sioni politiche”;12
“gruppo di interesse che,
mediante pressioni anche illecite su uomini
politici, ottiene provvedimenti a proprio favo-
re”;13
“gruppo di persone che, sebbene estranee
al potere politico, hanno la capacità di influen-
zarne la scelte, soprattutto in materia economi-
co finanziaria”.14
Numerosi politici e giornalisti italiani conside-
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rano tuttora il lobbying portato attraverso
canali diversi da quelli partitici come un’attività
illecita, spesso accompagnata da corruzione,
corporativismo, manipolazione delle informa-
zioni, clientelismo, insomma come un’attività
che “disturba la serena autonomia del giudizio
del legislatore, la neutralità dell’amministratore
pubblico”.15
Questa concezione deriva da un’opinione anti-
ca e diffusa in Europa, e in specie in Italia,
secondo la quale il processo decisionale politico
deve, in una democrazia rappresentativa, essere
monopolizzato dai politici di professione e
quindi dai partiti. Gli interessi che non passano
attraverso questi canali verrebbero quindi rite-
nuti emanazione di centri occulti.16
Questo
monopolio viene rilevato, da numerosi studio-
si, ad esempio nel controllo dei parlamentari,
organizzati in gruppi all’interno dei quali
avrebbero limiti di azione abbastanza ristretti.
Piero Trupia ritiene che questo monopolio, “in
una democrazia parlamentare a pluralismo
dispiegato, si faccia sempre più fatica a spiegare
e a giustificare”.17
Anche nei paesi europei c’è una certa diffidenza
nei confronti di un lobbying condotto al di fuori
dei canali politici tradizionali (cioè quelli gestiti
dalle direzioni dei partiti). Secondo Bruno
Julien, funzionario presso la direzione generale
dell’Agricoltura prima, e all’Ambiente poi, della
Commissione delle Comunità europee, è più
utile, nei singoli paesi europei, convincere il
corpo dirigente di un partito piuttosto che cia-
scuno dei suoi membri, in quanto la misura
della libertà di azione di questi ultimi è molto
ristretta, molto più rispetto, ad esempio, a quel-
la dei politici e dei funzionari statunitensi.18
In effetti gli apparati dirigenti dei partiti hanno
ancora grandi mezzi per fare pressione sui
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governi. Secondo Gianfranco Pasquino, polito-
logo ed ex parlamentare della sinistra, i partiti
politici – seppur indeboliti dal punto di vista
strutturale in seguito ai rivolgimenti sociopoliti-
ci succeduti alla caduta del Muro di Berlino
–esercitano pur sempre il loro potere, ma
soprattutto nel senso negativo di impedire che
vengano prese decisioni non gradite.19
Il potere
positivo di prendere essi stessi decisioni signifi-
cative e farle attuare, invece, verrebbe esercitato
dai partiti solo sporadicamente. Ciò spiega per-
ché le istituzioni siano generalmente assai per-
meabili alle lobby più organizzate e competenti.
Ai partiti e alle istituzioni manca quell’insieme
di nozioni tecnico-specialistiche necessarie per
giungere a una decisione positiva e significativa,
nozioni che al contrario le lobby sono in grado
di fornire. Sempre secondo Pasquino, una lobby
efficace è in grado di produrre e distribuire
informazioni particolarmente abbondanti e di
farle avere sia ai partiti che ai parlamentari. Una
lobby efficace è infatti in grado di presentarsi
come fonte autorevole e di gran lunga superio-
re alle fonti autonome attivabili dalle commis-
sioni o dai singoli parlamentari.
Riferimenti costituzionali
Prescindendo da ogni considerazione di teoria
generale, e rimanendo aderenti al diritto positi-
vo italiano, dal combinato disposto degli artt. 1,
co. 2; 2; 3, co. 2; 18, co. 1 e 49, Cost. si deduce
che la Costituzione ha affidato ai partiti sì
un’importante e insostituibile funzione pubbli-
cistica per la determinazione della politica
nazionale, ma non sembra aver attribuito loro il
monopolio di qualsiasi forma di rappresentan-
za e di partecipazione dei cittadini alla vita poli-
tica e sociale del paese. In particolare, riteniamo
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che l’art. 49 Cost. debba essere messo in relazio-
ne anche con l’art. 3, co. 2, Cost., il quale legit-
tima la formazione e l’azione (con metodi
ovviamente democratici e non violenti) dei
cosiddetti organismi di base, diversi dai partiti e
dai sindacati, tutte le volte che tali organismi
abbiano il fine primario di promuovere e realiz-
zare un’effettiva (o comunque una più diffusa)
partecipazione dei cittadini all’organizzazione
politica, economica e sociale del paese.
Insomma, una volta riconosciuto, come si fa
generalmente, che la società italiana è una
società pluralista, è necessario trarne le debite
conseguenze sul piano istituzionale, se non si
vuole che tale riconoscimento si esaurisca nella
mera rilevazione del dato di fatto. Se, come
abbiamo evidenziato, si evince dalla Costituzio-
ne repubblicana un nuovo concetto a più
dimensioni dell’uomo, inteso non più solamen-
te quale uomo politico, appare non del tutto
esatto concedere patenti di rappresentatività
soltanto alle strutture organizzative tradizionali
della società, che presuppongono un concetto
unidimensionale dell’uomo cittadino.20
La Costituzione italiana richiama poi in quattro
dei suoi articoli alcuni dei caratteri tipici del
lobbismo. In particolare è l’art. 50 Cost. a preci-
sare che “tutti i cittadini possono rivolgere peti-
zioni alle Camere per chiedere provvedimenti
legislativi o esporre comuni necessità”. L’idea
che il nostro Stato sia sordo agli appelli prove-
nienti dal sociale sembra dunque estranea alla
Costituzione. Difatti, in base a quest’articolo, il
diritto dei gruppi d’interesse all’interlocuzione
con il decisore pubblico e l’accesso alle sedi isti-
tuzionali non avrebbe bisogno di autorizzazio-
ni per essere esercitato, semmai di un riconosci-
mento.
Già questo fatto dovrebbe portare automatica-
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35. Parteprima
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mente a una disciplina che indichi le modalità
di accesso alle sedi istituzionali e le condizioni
cui è subordinato l’intervento sociale nei pro-
cessi decisionali pubblici. Ma questa spinta non
è stata colta, anzi. La prima annotazione da
fare, comunque, è che quest’articolo è del tutto
simile al I emendamento della Costituzione
americana.21
Tra i problemi appena ricordati, si sottolineano
le notevoli difficoltà nella regolamentazione
dell’organizzazione interna dei cosiddetti
“corpi sociali”. La libertà di associazione, che
rappresenta uno dei diritti fondamentali delle
società definite pluraliste, è tutelata dall’art. 18
della Costituzione. Esso consente la più ampia
partecipazione possibile dei cittadini alla vita
della comunità, attuabile attraverso l’interazio-
ne con le istituzioni pubbliche; esclude però
ogni forma di autorizzazione e pone come unici
limiti il perseguimento di fini che non siano
vietati ai singoli dalla legge penale, nonché la
costituzione di associazioni segrete e di quelle
che perseguono scopi politici mediante orga-
nizzazioni di carattere militare.
L’attività di lobby rappresenta oltretutto la con-
creta espressione dell’art. 21 della Costituzione
che tutela la libertà di manifestazione del pen-
siero. Tale libertà va comunque intesa non fine
a se stessa, funzionalmente al poter prospettare
e far giungere i propri pareri e valutazioni,
direttamente o indirettamente, anche alle sedi
istituzionali, affinché si concretizzino e diventi-
no reale espressione dei desideri dei cittadini.
Un’ulteriore valutazione da fare è che il lobbi-
smo, trattandosi di attività di influenza sul deci-
sore pubblico, può andare a scontrarsi con l’art.
67 della Costituzione. Il divieto di mandato
imperativo comporta, infatti, che l’eletto debba
perseguire l’interesse generale senza ricevere
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istruzioni vincolanti sul modo di svolgere il
mandato. Questo articolo, eredità del parla-
mentarismo liberale classico, fu ritenuto neces-
sario all’epoca per svincolare gli eletti dagli elet-
tori, “per impedire il prevalere di interessi cor-
porativi di gruppo e per consentire invece che
l’eletto persegua il bene di tutti (l’interesse
nazionale), libero da impegni verso questo o
quel gruppo particolare che ha contribuito ad
eleggerlo”.22
In realtà è bene chiarire che, se scopo delle
lobby è influenzare il decisore pubblico, e le due
Camere in particolare, esse certamente non
intendono in questo modo sostituirsi ad esso.
L’indifferenza dei lobbisti, in generale, verso
obiettivi politici dovrebbe garantire l’autono-
mia dell’esercizio della delega popolare. Le scel-
te politiche spettano infatti agli attori istituzio-
nali, che devono compierle nell’interesse gene-
rale e assumerne la responsabilità.
Per quel che attiene all’autonomia e all’impar-
zialità del decisore pubblico, possono essere
garantite solo da pubblicità, titolarità e forma-
lità dell’atto di decisione, oltre che, chiaramen-
te, dall’etica personale.
Del resto l’attività di lobby è solo una delle pos-
sibili forme di esposizione del decisore pubbli-
co all’influenza sociale. Le campagne di stampa
non sono sempre promosse dalle lobby ma, più
spesso di quanto possa credersi, dal mondo
giornalistico in sintonia con l’opinione pubbli-
ca, rappresentando così un potente strumento
di controllo dell’azione del decisore. Resta
comunque vero che una piena attuazione
odierna dell’art. 67 Cost. si dimostra piuttosto
problematica a causa della permeabilità dei
partiti agli interessi particolari.
La regolamentazione dell’attività di lobby
potrebbe contribuire a garantire maggior tra-
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sparenza e quindi maggior possibilità di con-
trollo da parte dell’opinione pubblica sulle
influenze dei vari soggetti che interferiscono nei
processi deliberativi pubblici. Esattamente
come avviene negli Stati Uniti, e come fa l’U-
nione Europea promovendo i codici di autore-
golamentazione.
La somma degli articoli della nostra Costituzio-
ne non differisce più di tanto dal I emendamen-
to della Costituzione americana. Essi tutelano le
medesime attività che tutela il I emendamento.
Eppure nonostante la costituzionalità delle
azioni di lobbying, c’è un solco piuttosto ampio
tra l’Italia e gli Stati Uniti. Sono la legittimazio-
ne e il riconoscimento dell’attività di lobbying a
segnare questo divario. Se ne sottolinea l’im-
portanza, la fisiologia della loro presenza, ma
non le si legittima e riconosce. Sostanzialmente
identica la base costituzionale, diametralmente
opposto il risultato politico e sociale.
I lobbisti in Italia: profili politico-sociali
del fenomeno23
Chi è il lobbista doc? E come accede alle sale del
Palazzo?
Il termine “lobbyist” pare essere stato inaugura-
to dal presidente degli Stati Uniti Ulysses Grant,
che disprezzava i rappresentanti degli interessi
particolari che usavano riunirsi nella lobby del
Willard Hotel di Washington.
Le varie definizioni legali (il Federal Regulation
of Lobbying Act del 1946, ad esempio, descrive-
va il lobbista come colui che cerca di influenza-
re le decisioni legislative; una descrizione più
accurata è ora rinvenibile nel Lobbying Disclo-
sure Act del 1995) non sono abbastanza esplica-
tive di quale sia realmente la sua funzione.
È colui che parla a favore della costruzione di
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un edificio di fronte ad un consiglio circoscri-
zionale, che interviene presso una commissione
del Parlamento o di un consiglio regionale in
favore di un’impresa, o chi partecipa tramite la
costituzione di un gruppo di studio alla reda-
zione di un progetto di legge. Tutti questi sog-
getti svolgono una funzione di rappresentanza
di interessi e possono essere definite “lobbisti”
nel senso più ampio del termine.
Lobbisti sono tutte le persone che portano avan-
ti professionalmente un’attività di lobbying nella
maniera sopra descritta, di solito funzionari a
tempo pieno al servizio di potenti organizzazio-
ni quali quelle dei commercianti e degli agricol-
tori, oppure sindacalisti, liberi professionisti con
molti clienti in grado di pagare per i servizi offer-
ti, o anche cittadini che impegnano il loro tempo
per portare avanti le proprie rivendicazioni.
In assenza di elenchi ufficiali che indichino i
soggetti abilitati a tale tipo di attività, tracciare
l’identikit del lobbista italiano non risulta del
tutto agevole. Si possono tuttavia individuare
alcune grandi categorie: prima tra tutte quella
degli incaricati per le relazioni istituzionali
delle grandi associazioni imprenditoriali, quelli
che la dottrina Usa definisce association lobbyi-
sts, i quali, esercitando permanentemente il loro
mandato di rappresentanza, percorrono ogni
giorno i corridoi di Montecitorio e palazzo
Madama.
Quindi i rappresentanti delle maggiori imprese,
sia pubbliche che private, i company lobbyists.
Seguono i delegati di enti pubblici ed enti loca-
li territoriali e non, per i quali viene svolta
anche un’attività di pubbliche relazioni.
Più occasionali, ma non meno importanti, sono
poi i membri delle associazioni dagli scopi civi-
ci, le Ong, i cause lobbyists; per non parlare degli
incaricati per le relazioni istituzionali di studi
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specializzati che, su richiesta dei clienti, pro-
muovono l’accelerazione o, se del caso, l’affos-
samento dell’iter di particolari atti legislativi, i
cosiddetti contract lobbyists.
Da segnalare i sottocasi dei giornalisti, degli
assistenti parlamentari o dei collaboratori degli
uffici di gabinetto ministeriali che, forti del loro
accredito presso le Camere o presso i palazzi
governativi, possono a tempo perso promuove-
re questo o quell’interesse particolare.
In questa ideale classifica di effettivi e potenzia-
li lobbisti un posto a parte lo occupano gli ex
parlamentari e gli ex funzionari governativi o di
autorità indipendenti, i quali, in virtù della tra-
dizionale benevolenza loro tributata, possono
entrare e uscire dalle loro passate sedi di lavoro
senza limitazioni di sorta, arrivando a contatta-
re chi di dovere con evidente facilità.
A voler quantificare il fenomeno, tuttavia, ci si
accorge che i frequentatori abituali del Palazzo
non ammontano a più di un centinaio di ele-
menti, mentre quelli saltuari raggiungono le
diverse centinaia: in ogni caso ben poca cosa
rispetto ai 13mila iscritti presso i registri del
Congresso statunitense e agli oltre 14mila cal-
colati dagli organi dell’Unione Europea.
Come operano. Per quanto riguarda il problema
dell’accesso occorre subito dire che il nostro
ordinamento non tiene assolutamente conto
dell’esistenza dei gruppi di pressione. Le uniche
fonti normative che si occupano indirettamen-
te di tali soggetti sono i regolamenti di Camera
e Senato quando, nel disciplinare le attività
conoscitive, nonché i lavori dei comitati ristret-
ti delle rispettive commissioni (artt. 43, 47 e 48
Sen., artt. 79 e 144 Cam.), parlano di inviti a
“qualsiasi persona in grado di fornire elementi
utili ai fini dell’indagine”.
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C’è da dire che il massimo dell’ambizione per il
lobbista è essere ammesso, più che a questo tipo
di indagini, a particolari forme di udienze che si
tengono presso le commissioni nel corso del
procedimento legislativo, qualora i parlamenta-
ri avvertano la necessità di audizioni personali
per meglio comprendere la natura del proble-
ma che si accingono a disciplinare: le cosiddet-
te, appunto, udienze legislative. Quale occasio-
ne migliore per il rappresentante del gruppo di
pressione per comunicare le proprie istanze?
Tuttavia, nonostante tali udienze siano ormai
entrate nella prassi, i regolamenti parlamentari
non ne fanno minimamente menzione: con la
conseguenza di rendere così questi incontri
assolutamente informali e al riparo da ogni
forma di regolamentazione e pubblicità.
Va da sé che, alla luce di questi fatti, i gruppi di
pressione terranno molto al fatto che il proget-
to di legge in questione venga assegnato in
commissione in sede deliberante, in modo tale
da poter agire su un ristretto numero di parla-
mentari ed evitare così l’esame in assemblea,
luogo per sua stessa natura evidentemente
affollato. Ancora una volta quindi, con buona
pace di studiosi del calibro di Manzella che ne
reclamano la razionalizzazione, le lacune del
sistema favoriscono quella che è stata definita la
“carsicità” del processo di decisione parlamen-
tare. E le conseguenti manovre occulte dei
manipoli dei gruppi di pressione.
Ma il canale privilegiato che i lobbisti general-
mente privilegiano è quello del vis à vis col sin-
golo parlamentare. Ottenuto il permesso di
accedere al Palazzo dai questori delle Camere, o
a seguito di un appuntamento col deputato o il
senatore in questione, il lobbista in carriera
entra nei palazzi istituzionali,24
incontra il poli-
tico, gli consegna il suo position paper o il clas-
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sico foglietto con le “osservazioni e proposte di
modifica”.
Va ricordato che ogni parlamentare infatti, pur
nell’ambito della disciplina di gruppo, è libero
sia di presentare progetti di legge ed emenda-
menti su qualsiasi argomento sia di esprimere
in materia opinioni del tutto personali. Ecco
quindi che il rapporto personale si fa veicolo di
interessi particolaristici, all’insegna sempre del-
l’informalità e del non controllo da parte di
chicchessia. Provocando le ire di quanti, pur
ammettendo la pratica dell’“avvicinamento”,
non tollerano il fatto che l’informazione data
debba essere appannaggio di un singolo e non
di tutto il corpo parlamentare. La ratio degli
incontri, peraltro, sembra per lo più escludere
gli abbinamenti ideologici, favorendo invece in
larga misura quelli geografici. Qualora infatti
una determinata attività imprenditoriale debba
nascere o magari essere più semplicemente
favorita in una certa area del paese, il contatto
verrà cercato con un esponente di tale zona,
magari specializzato professionalmente nel set-
tore in questione.
La professionalità del lobbista. Al di là dell’im-
maginario collettivo sul lobbista faccendiere-
comunicatore-Pr, in realtà il lobbista è (deve
essere) un professionista a tutto tondo, con pre-
cise competenze tecnico-relazionali. Innanzi-
tutto è fondamentale che abbia una delega chia-
ra in relazione all’interesse rappresentato. Il
lobbista deve essere, fare in modo di diventare
un esperto del settore rappresentato, cercando
quindi di costituire un punto di riferimento del
decisore pubblico nel settore in cui opera. Di
conseguenza, oltre che di livello, il parere
espresso dal lobbista deve essere quanto più
obiettivo e motivato, sì da diventare autorevole
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42. Marketingpolitico
42
e inattaccabile dagli interessati in opposizione.
E infine, alla base, deve esserci una perfetta
conoscenza di istituzioni e procedure. Cono-
scenza indispensabile ai fini del dispiegamento
delle forze per l’attività di influenza sul deci-
sion-maker pubblico.
Per questa ragione, prima di continuare ad ana-
lizzare le lobby e l’attività di lobbying, essendo
questo libro un’introduzione alle relazioni isti-
tuzionali, cerchiamo di dare un quadro di quel-
la che è la struttura giuridico-istituzionale ita-
liana, cogliendo i punti in cui l’attività del lob-
bista si realizza e dispiega secondo gli interessi
rappresentati e gli obiettivi da realizzare.
2. Le fonti del diritto
Dell’espressione “fonti del diritto” è necessario
innanzitutto comprendere il significato con
riguardo al diritto e che cosa si intende per
diritto quando lo si mette in rapporto con le sue
fonti: il concetto di fonte del diritto, dunque,
riferito, in termini generali, ad ogni fatto (com-
prensivo degli atti) che ponga in essere una
norma giuridica. Va poi chiarito che tutta la
problematica della teoria delle fonti si riferisce
solo alle cosiddette fonti di produzione, quelle
cioè che creano diritto, dalle quali vanno tenu-
te distinte le fonti di cognizione, che servono
esclusivamente a rendere conoscibili le norme
giuridiche, e cioè i documenti e le pubblicazio-
ni ufficiali attraverso cui il diritto viene reso
noto al pubblico (la Gazzetta Ufficiale della
Repubblica; la raccolta ufficiale degli atti nor-
mativi della Repubblica; le raccolte ufficiali
degli usi e i testi unici meramente compilativi).
In questa sede si parlerà soltanto delle fonti di
produzione.
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43. Parteprima
43
Le fonti di produzione e le norme giuridiche
Nel nostro ordinamento (artt. 1 ss. preleggi) si
incontra un elenco di fonti che già all’origine
non poteva considerarsi tassativo perché già
allora incompleto.
Inoltre, le disposizioni sulla legge premesse al
codice civile sono cronologicamente anteriori
rispetto alla Costituzione: di conseguenza si è
presentata l’esigenza di coordinarle con le suc-
cessive disposizioni in materia derivanti dal
testo costituzionale.
All’opposto, il silenzio dei testi costituzionali in
relazione a fonti istituite da norme legislative
ordinarie, anteriori o successive, pone il proble-
ma se ed entro quali limiti la legge ordinaria
possa istituire in un ordinamento a costituzio-
ne rigida come l’attuale fonti normative non
previste in sede costituzionale.
In ogni caso, per ricostruire un qualche elenco
dalle stesse disposizioni costituzionali occorre
precisare che la Costituzione regola le fonti-
fatto soltanto con riferimento alle norme inter-
nazionali generalmente riconosciute (art. 10,
co. 1). Quanto, invece, alle fonti-atto, la ricogni-
zione può riassumersi nei seguenti termini ben-
ché, bisogna avvertire, senza alcuna pretesa di
esaustività:
– la Costituzione;
– le leggi di revisione costituzionale e le altre
leggi costituzionali (art. 138), tra le quali vanno
ricompresi gli statuti delle regioni ad autono-
mia speciale (art. 116);
– le fonti del diritto dell’Unione Europea;
– le leggi ordinarie dello Stato (art. 70);
– gli statuti e le leggi regionali delle regioni ad
autonomia ordinaria e di quelle ad autonomia
speciale, cui vanno equiparate le leggi delle pro-
vince di Trento e Bolzano;
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44. Marketingpolitico
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– i decreti legislativi delegati (art. 76);
– i decreti legge (art. 77);
– il referendum popolare abrogativo (art. 75);
– i contratti collettivi ex art. 39 (se e quando la
disposizione riceverà attuazione pratica);
– i regolamenti interni degli organi costituzio-
nali;
– i regolamenti parlamentari (art. 65);
– i regolamenti governativi;
– i regolamenti ministeriali e interministeriali;
– i regolamenti regionali;
– gli statuti provinciali e comunali;
– i regolamenti provinciali e comunali.
Rapporti tra le fonti
Oltre al principio della “inesauribilità” delle
fonti, si deve riconoscere anche quello della
“abrogabilità”, in quanto una norma prodotta
da una fonte non può essere dichiarata sottrat-
ta all’abrogazione ad opera delle future manife-
stazioni della stessa fonte, essendo impossibile
per un potere attribuirsi un’efficacia che esso
originariamente non possiede.
L’abrogazione può essere:
– espressa;
– tacita;
– implicita.
Deve quindi essere ricordato anche il principio
di irretroattività, il quale, pur non essendo costi-
tuzionalizzato (se non per la legge penale) e
quindi derogabile da parte del legislatore ordina-
rio, costituisce comunque, ad avviso della Corte
costituzionale,25
un principio generale dell’ordi-
namento, le cui deroghe sono quindi sottoposte
ad un sindacato di ragionevolezza.
Costituzione. “Un governo senza una costituzio-
ne è potere senza diritto”.26
La Costituzione
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45. Parteprima
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della Repubblica italiana è entrata in vigore il 1°
gennaio 1948. Essa venne approvata il 22
dicembre del 1947 dall’Assemblea costituente,
la cui elezione si era tenuta in contemporanea
con il referendum istituzionale per la scelta fra
monarchia e repubblica.
La Costituzione italiana è:
– scritta (a differenza, ad esempio, di quella
inglese),27
perché consacrata in un documento
formale;
– democratica, a differenza dello statuto alberti-
no del 1848, perché volontariamente adottata,
come abbiamo visto, attraverso l’Assemblea
costituente;
– lunga, perché include i principi fondamentali
dello Stato e i diritti dei cittadini, accanto alle
norme dell’organizzazione dello Stato;
– aperta,28
nel senso che non punta all’indivi-
duazione del punto di equilibrio tra i diversi
interessi, limitandosi ad elencarli e lasciando
alla legge il compito di bilanciarli;
– programmatica,29
tesa cioè a stabilire un pro-
gramma da realizzare;
– rigida, in quanto non modificabile con una
procedura legislativa ordinaria, ma attraverso
un iter aggravato (ex art. 138).
La Costituzione è un complesso di norme giu-
ridiche che sono alla base dell’ordinamento
della Repubblica.
Essa è composta di 139 articoli30
e 18 disposizio-
ni transitorie e finali.
La Costituzione si apre con i “Principi fonda-
mentali” (artt. 1-12) che ne costituiscono le
premesse politico-ideologiche, a rappresentare
le culture dei costituenti.
È quindi divisa in due parti: la prima (artt. 13-
54), dedicata ai “Diritti e doveri dei cittadini”,
che introduce le garanzie relative a:
– libertà individuali (Tit. I, Rapporti civili);
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– diritti sociali (Tit. II, Rapporti etico-sociali);
– diritti e libertà economiche (Tit. III, Rapporti
economici);
– modi in cui il popolo esercita la sua sovranità
(Tit. IV, Rapporti politici).
La seconda parte (artt. 55-139), sull’“Ordina-
mento della Repubblica”, presenta gli organi
costituzionali:
– Parlamento (Tit. I, suddiviso nelle due sezioni
relative alle Camere, artt. 55-69, e alla formazio-
ne delle leggi, artt. 70-82);
– presidente della Repubblica (Tit. II, artt. 83-
91);
– governo (Tit. III, artt. 92-96);
– magistratura (Tit. IV, artt. 101-110);
– regioni, province, comuni (Tit. V, artt. 114-
133);
– garanzie costituzionali (Tit. VI, artt. 134-137
per la Corte costituzionale e art. 138 per la revi-
sione costituzionale).
Leggi costituzionali e leggi di revisione costituzio-
nale. La legge costituzionale è una legge conte-
nente norme che si aggiungono a quelle della
Costituzione o che le abrogano o modificano:
in questi due ultimi casi si parla più propria-
mente di legge di revisione costituzionale.
Le leggi costituzionali sono approvate dal Parla-
mento con un iter “aggravato” (ex art. 138
Cost.) che richiede maggioranze più ampie di
quelle necessarie per le leggi ordinarie: una
doppia approvazione da parte di ciascuna delle
due Camere con un intervallo di tempo tra una
votazione e l’altra non inferiore a tre mesi.
Le leggi di revisione costituzionale e quelle
costituzionali possono essere sottoposte a refe-
rendum sospensivo-consultivo qualora nella
seconda votazione non venga raggiunta la mag-
gioranza dei 2/3 in una delle due Camere e se,
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entro tre mesi dalla pubblicazione sulla Gazzet-
ta Ufficiale, ne facciano richiesta 1/5 dei mem-
bri di una Camera, 500 mila elettori ovvero 5
consigli regionali.
La legge costituzionale ha la stessa forza giuridi-
ca della Costituzione: in tal modo, nel contrasto
tra una norma della Costituzione e una legge
costituzionale successiva, il criterio interpretati-
vo applicabile è quello secondo il quale la
norma posteriore nel tempo abroga la norma
anteriore incompatibile, a meno che la legge
costituzionale violi i principi fondamentali, nel
qual caso prevale sempre la Costituzione.
Leggi ordinarie. Sono le leggi deliberate dalle
Camere secondo l’iter previsto dagli artt. 70 ss.
della Costituzione. In particolare la legge ordi-
naria può:
– modificare o abrogare, nell’ambito della sua
competenza, ogni disposizione vigente, fatta
eccezione per quelle di rango costituzionale;
– resistere all’abrogazione e alla modificazione
da parte di fonti di rango inferiore;
– essere soggetta al controllo di costituzionalità;
– essere sottoposta a referendum abrogativo.
Leggi regionali. Nel nostro ordinamento, le
regioni e le province autonome di Trento e Bol-
zano sono titolari di potestà normativa che si
esplica attraverso l’emanazione di atti che, sotto
il profilo formale e procedurale, sono assimila-
bili alle leggi formali dello Stato.
Con legge regionale si possono disciplinare le
materie per le quali sia prevista una potestà
legislativa a loro favore.
Le leggi regionali hanno un’efficacia limitata al
territorio della regione che le emana.
La regione è autorizzata a esercitare la potestà
legislativa proprio dalla Costituzione, che le
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48. Marketingpolitico
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conferisce competenza legislativa:
– concorrente, quando ad esercitarla sono con-
giuntamente lo Stato e la regione, anche se in
momenti diversi;
– esclusiva-residuale, nelle materie in cui non
esiste una competenza esclusiva dello Stato né
una concorrente.
La Costituzione non elenca le materie in cui c’è
la competenza esclusiva delle regioni, ma preve-
de una clausola generale in cui viene detto che
in tutte la materie in cui non è espressamente
prevista una competenza dello Stato o una
competenza concorrente dello Stato e della
regione, quest’ultima ha competenza esclusiva.
L’attività legislativa delle regioni, così come
quella statale, deve rispettare, quali limiti gene-
rali comuni, la Costituzione e i vincoli derivan-
ti dall’ordinamento comunitario e dagli obbli-
ghi internazionali.
Una particolare posizione assume lo statuto
regionale,31
adottato con un procedimento
aggravato (doppia deliberazione e referendum
eventuale), e unico atto legislativo regionale
ancora impugnabile in via preventiva (entro
trenta giorni) da parte dello Stato.
Gli statuti delle regioni speciali non sono fonti
regionali: essendo adottati con legge costituzio-
nale (art. 116 Cost.), sono fonti statali.
Decreti legislativi. I decreti legislativi sono atti
emanati dal governo su espressa legge di delega-
zione o legge delega del Parlamento che lo auto-
rizza a svolgere la funzione legislativa entro
determinati limiti.
La delega legislativa è normalmente conferita
dal Parlamento nei casi di particolare comples-
sità della materia sulla quale legiferare.
Con la legge di delegazione o legge delega, il
Parlamento indica al governo:
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49. Parteprima
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– la materia oggetto della delega sulla quale il
governo potrà legiferare in via eccezionale;
– il termine entro il quale il governo deve fare
uso di questa potestà legislativa;
– i principi e i criteri direttivi a cui il governo
dovrà ispirarsi nell’emanare il decreto legislati-
vo.
Il governo, in osservanza al contenuto della
legge di delegazione, delibera il testo normativo
che verrà poi emanato con decreto del presi-
dente della Repubblica e pubblicato, come le
leggi, sulla Gazzetta Ufficiale.
Decreti legge. I decreti legge sono emanati dal
governo solo nei casi straordinari di necessità e
di urgenza.
Il decreto legge, a differenza del decreto legisla-
tivo, è un atto che il governo delibera diretta-
mente sotto la sua responsabilità, senza aver
ottenuto una delega dal Parlamento, deposita-
rio della funzione legislativa. Oltre a quello,
decisamente elastico, della necessità e urgenza,
un altro limite alla decretazione d’urgenza è
relativo alla impossibilità per il governo di ema-
nare decreti in quelle materie (approvazione del
bilancio o dell’esercizio provvisorio, autorizza-
zione alla ratifica di trattati internazionali ecce-
tera) per le quali è previsto il controllo politico
del Parlamento sul governo.
Il decreto legge è deliberato dal Consiglio dei
ministri, emanato con decreto del presidente
della Repubblica e pubblicato sulla Gazzetta
Ufficiale. Il decreto legge entra in vigore imme-
diatamente con la sua pubblicazione sulla Gaz-
zetta Ufficiale. Deve essere presentato alle
Camere per la conversione in legge nel giorno
stesso della sua pubblicazione; entro cinque
giorni da tale data, le Camere, anche se sciolte,
si devono riunire per esaminarlo e convertirlo
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in legge. Per evitare abusi, la Costituzione stabi-
lisce che perde di efficacia sin dall’inizio (cioè si
considera come mai venuto in esistenza) se non
è convertito in legge dal Parlamento entro i 60
giorni successivi alla sua emanazione.32
Referendum popolari abrogativi. Il referendum è
il più importante istituto di democrazia diretta,
in quanto prevede l’intervento diretto del
popolo nell’esercizio dell’indirizzo politico
senza il tramite dei suoi rappresentanti. Con il
referendum i cittadini sono chiamati ad espri-
mere un consenso che acquista un’efficacia rile-
vante in merito all’abrogazione di una legge,
alla revisione della Costituzione e altro.
Il referendum è costituzionale o sospensivo
quando si inserisce nella procedura di revisione
della Costituzione o di emanazione di leggi
costituzionali.
Il referendum è abrogativo quando è indetto al
fine di deliberare circa l’abrogazione totale o
parziale di una legge o di un atto avente forza di
legge. Esso può essere richiesto da 500 mila elet-
tori o 5 consigli regionali.
Non possono essere sottoposte a referendum
abrogativo leggi di bilancio, di amnistia e di
indulto, di autorizzazione a ratificare trattati
internazionali.
Alcune forme di referendum possono essere
svolte a livello regionale e comunale o locale.
Contratti collettivi ex art. 39. I contratti collettivi
di lavoro, in base alla previsione dell’art. 39 della
Costituzione, avrebbero dovuto costituire una
fonte del diritto“ibrida”, presentando, per la loro
formazione, il corpo del contratto e, per la loro
efficacia erga omnes, l’anima della legge. Ma l’art.
39, che è norma autorizzativa e non obbligante,
non è stato attuato. Ai contratti collettivi viene
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perciò riconosciuta in via generale nel nostro
ordinamento, soltanto un’efficacia inter partes,
derogata soltanto laddove, in via transitoria,
siano stati recepiti in decreti legislativi, oppure
vengano utilizzati dal giudice per determinare
un minimo normativo ex art. 36 Cost.
Regolamenti di organizzazione degli organi costi-
tuzionali. I regolamenti di organizzazione degli
organi costituzionali derivano dall’autonomia
organizzativa degli stessi, godendo quindi di un
fondamento sia logico sia, nel testo della Costi-
tuzione, giuridico.
A lungo definiti come diritto particolare e non
oggettivo, più correttamente si devono ritenere
fonti di rango primario cui è riservata, in virtù
del principio di competenza, la disciplina di
determinati settori.
Tra di essi assumono particolare rilevanza i
regolamenti della Corte costituzionale e i rego-
lamenti parlamentari, sui quali ultimi la Corte
costituzionale si è dichiarata incompetente a
giudicare, posto il principio dell’insindacabilità
degli interna corporis.
Ciascuna Camera ha infatti il potere di emana-
re regolamenti che ne disciplinino l’organizza-
zione e il funzionamento finalizzati da una
parte ad escludere che della materia abbia a
occuparsi altra e diversa fonte normativa, dal-
l’altra a garantire il ruolo delle minoranze in
Parlamento in sede di approvazione degli stessi.
Regolamenti dell’esecutivo o del governo. In base
alla potestà regolamentare del governo, regolata
in modo diretto dall’art. 17 della legge
400/1988, questo emana regolamenti diretti
generalmente a produrre norme subordinate a
quelle primarie (leggi ordinarie, decreti legisla-
tivi e regolamenti comunitari).
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I regolamenti governativi sono fonti secondarie,
e come tali non possono derogare né alla Costi-
tuzione né alle leggi ordinarie. Inoltre non pos-
sono regolare materie coperte da riserva di
legge, sia essa assoluta o relativa. Infine non
possono prevedere sanzioni penali.
A seconda del soggetto che li emana si distin-
guono in:
– regolamenti del presidente del Consiglio, ema-
nati dal presidente del Consiglio dei ministri
nell’esercizio delle sue funzioni;
– regolamenti ministeriali, emanati dai singoli
ministri nell’ambito delle competenze del dica-
stero o ministero che presiedono;
– regolamenti interministeriali, emanati dal pre-
sidente del Consiglio dei ministri e riguardanti
materie afferenti a più ministeri.
A seconda del contenuto si distinguono in:
– regolamenti di esecuzione, adottati per regola-
re le modalità di esecuzione di una legge senza
introdurre novità giuridiche sostanziali e senza
creare nuovi diritti, obblighi o doveri a carico
dei cittadini;
– regolamenti di attuazione e integrazione, adot-
tati per integrare o attuare i principi contenuti
all’interno di una legge o decreto legislativo,
sempre che si tratti di materie non coperte da
una riserva di legge assoluta;
– regolamenti indipendenti, con cui il governo
detta norme di interesse pubblico, al di là di
quanto già previsto dalla legge, determinando
spesso nuovi diritti e doveri dei cittadini;
– regolamenti delegati, finalizzati a permettere
un processo di delegificazione. Essi sono ema-
nati dal governo su delega del Parlamento e
disciplinano ex novo una materia precedente-
mente disciplinata da norma primaria abrogan-
dola per espressa previsione contenuta nella
delega (norma primaria).
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Regolamenti regionali. La scelta relativa alla tito-
larità del potere regolamentare è riservata allo
statuto regionale:33
la materia, che rappresente-
rebbe un ulteriore elemento del contenuto
necessario dell’atto regionale, sarebbe sottratta,
salvo esplicito rinvio dello statuto stesso, anche
allo stesso legislatore regionale. Inoltre, lo statu-
to non dovrà assegnare la titolarità della funzio-
ne normativa necessariamente ed esclusiva-
mente al consiglio ovvero alla giunta, ma potrà
optare tra le molteplici soluzioni intermedie,
attribuendo, ad esempio, il potere regolamenta-
re sia all’uno che all’altro, con una ripartizione
delle competenze per materie ovvero sulla base
dell’ampiezza che si vorrà conferire alla fonte
regolamentare, o ancora, lo statuto potrà rimet-
tere tale scelta direttamente al legislatore.
3. Le fonti del diritto dell’Unione Europea
L’insieme di norme che regolano l’organizzazio-
ne e lo sviluppo della Comunità Europea, ora
denominata Unione Europea, e i rapporti tra
questa e gli Stati membri formano il sistema giu-
ridico comunitario. Essendo l’Italia uno Stato
membro, non solo le fonti del diritto comunita-
rio sono applicabili ed efficaci sul nostro territo-
rio, ma queste sono da considerarsi addirittura
prevalenti sulle fonti di diritto interno.
Se infatti la fonte italiana interferisce con la
fonte comunitaria nella disciplina di una stessa
materia, i giudici che si trovino a giudicare una
controversia inerente quella materia dovranno
disapplicare la fonte italiana ed applicare la
fonte comunitaria, se legittima.
Le fonti dell’ordinamento comunitario si
distinguono in:
– fonti primarie, in quanto costituiscono la base
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e la legittimazione delle competenze e dei pote-
ri attribuiti all’Unione Europea conferiti e sta-
biliti nei trattati istitutivi;
– fonti derivate, in quanto derivano la loro legit-
timazione e il loro riconoscimento dai trattati
istitutivi.
Le fonti derivate
Regolamenti. Sono gli atti giuridici più impor-
tanti dopo i trattati. Sono caratterizzati:
– dalla loro portata generale: creano norme giu-
ridiche uguali per tutti i cittadini degli Stati
membri e sono uniformemente validi in tutti
gli Stati della Comunità;
– dalla loro efficacia diretta: cioè non devono
essere recepiti nel diritto nazionale, ma al con-
trario attribuiscono diritti e doveri (meglio,
creano situazioni giuridiche soggettive attive e
passive) ai cittadini dell’Unione al pari delle
rispettive norme nazionali.
Gli Stati membri e i loro organi e autorità sono
vincolati direttamente al diritto della Comunità
e lo debbono osservare e far osservare alla stes-
sa stregua del diritto interno.
Sono organi competenti a emanare i regola-
menti:
– il Parlamento Ue congiuntamente al Consiglio
(novità introdotta dal trattato di Maastricht);
– il Consiglio (a volte col parere del Parlamento
europeo);
– la Commissione (trattasi di regolamenti
gerarchicamente inferiori, esecutivi e di inte-
grazione di quelli precedenti).
I regolamenti possono risultare però:
– illegittimi quando contrastano coi trattati. In
tal caso il giudice competente a verificarne l’il-
legittimità ed eventualmente annullarli è la
Corte di Giustizia della Comunità;
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– contrari alla Costituzione. La Corte costitu-
zionale ha affermato che i regolamenti possono
derogare alla Costituzione, e alle leggi costitu-
zionali, ma non ai principi fondamentali della
stessa (art. 1/12), non ha chiarito, tuttavia, a chi
spetti risolvere il conflitto;
– contrari alle leggi ordinarie e ad altri atti
aventi forza di legge. Su questo la Corte costi-
tuzionale ha affermato che il conflitto fra la
legge ordinaria e il regolamento deve essere
risolto dal giudice ordinario in base al criterio
della competenza (se la materia è di competen-
za della Comunità il giudice disapplicherà la
legge italiana e applicherà il regolamento e
viceversa).
I regolamenti vengono pubblicati sulla Gazzet-
ta Ufficiale delle Comunità Europee, ed entrano
in vigore normalmente dopo 20 giorni dalla
loro pubblicazione (salvo che non sia previsto
un periodo di vacatio legis diverso).
Direttive. Sono atti normativi vincolanti rivolti
a tutti o ad alcuni Stati membri. Sono emanate
per lo più dal Consiglio dei ministri, eventual-
mente su proposta della Commissione. Hanno
lo scopo fornire i criteri e i principi in base ai
quali i singoli Stati devono disciplinare con
propri atti materie per le quali si richiede un’ar-
monizzazione/convergenza delle discipline dei
diversi paesi. Ricordiamo per esempio le diret-
tive in materia di bilancio delle imprese; quelle
in materia d’imposizione indiretta; quelle in
materia di sicurezza sul lavoro e non eccetera.
La direttiva prevede sempre un arco di tempo
più o meno lungo (misurabile in genere in ter-
mini di anni) per dar modo ai vari paesi di met-
tersi in regola; oltre tale termine scattano per gli
Stati inadempienti vere e proprie sanzioni,
pecuniarie e non. L’efficacia ha inizio dalla data
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di comunicazione ufficiale della direttiva stessa
agli Stati membri.
Decisioni. Sono atti giuridici vincolanti con i
quali gli organi comunitari in modo diretto e
immediato regolano casi che vedono coinvolti
cittadini, imprese o Stati.
Le decisioni non sono fonti normative in senso
proprio (cioè non producono norme generali e
astratte), ma creano regole concrete al pari di
un contratto, una sentenza, un provvedimento
amministrativo.
Raccomandazioni e pareri. Si tratta di atti
comunitari non vincolanti con i quali gli orga-
ni comunitari rivolgono consigli, suggerimenti,
caldeggiano provvedimenti rivolgendosi gene-
ralmente a Stati membri e a volte anche a citta-
dini o a imprese. Più precisamente:
– nelle raccomandazioni gli organi comunitari
consigliano l’adozione di dati provvedimenti;
– coi pareri gli organi comunitari esprimono
giudizi su situazioni oggettive o su determinati
comportamenti nella Comunità o in uno Stato
membro. I pareri hanno notevole importanza
politica e morale.
4. L’organizzazione amministrativa dello Stato
Il governo
All’interno del sistema costituzionale italiano il
governo è inquadrato come organo: costituzio-
nale, quale potere dello Stato partecipante alla
funzione di direzione politica dello Stato stesso;
complesso, perché composto da più organi; tito-
lare di funzioni politiche, legislative, esecutive e
di controllo.
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57
L’articolo 92 della Costituzione elenca gli orga-
ni necessari di cui si compone il governo della
Repubblica: presidente del Consiglio, ministri,
Consiglio dei ministri.
La legge 400/1988 prevede poi i seguenti orga-
ni, cosiddetti non necessari: Consiglio di gabi-
netto,34
comitati di ministri e comitati intermi-
nisteriali, vicepresidenti del Consiglio, ministri
senza portafoglio, sottosegretari di Stato e com-
missari straordinari del governo.
Il Consiglio dei ministri
È un organo costituzionale collegiale, formato
da tutti i ministri, dal presidente del Consiglio
(che lo presiede) e dal sottosegretario alla pre-
sidenza del Consiglio, che esercita le funzioni
di segretario senza voto deliberativo.
Le attribuzioni del Consiglio dei ministri sono
precisate dalla legge 400/1988, che assegna a
presidente e Consiglio dei ministri maggior
autonomia rispetto ai singoli ministri. Le attri-
buzioni quindi sono: indirizzo politico e
amministrativo della nazione; deliberazioni
sulla politica normativa del governo, in termi-
ni di disegni di legge, comunicazioni,35
decreti
legge e regolamenti; determinazione dell’atteg-
giamento del governo nei rapporti con le
regioni; risoluzione dei conflitti di attribuzione
fra ministri.
È poi necessaria una delibera del Consiglio dei
ministri per gli atti che richiedono il parere
(obbligatorio ma non vincolante) del Consi-
glio di Stato, qualora il ministro competente
non intenda conformarsi al parere e per le
richieste alla Corte dei Conti di registrazione o
apposizione del visto ad atti con riserva; lo
stesso avviene per l’elenco dei nuovi sottose-
gretari e per le nomine delle alte gerarchie
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amministrative o di amministratori di aziende
controllate dallo Stato.
Il presidente del Consiglio
Nominato con decreto del presidente della
Repubblicana da lui controfirmato, dura in
carica finché il governo ha la fiducia delle
Camere. Requisiti unici necessari: cittadinanza
italiana, godimento dei diritti civili e politici.
Il presidente del Consiglio è in posizione di
supremazia rispetto ai ministri, che coordina,
ma ai quali non è superiore gerarchicamente, in
quanto non può avocare a sé gli atti di compe-
tenza dei singoli ministri, annullarli o dare indi-
cazioni vincolanti. Può infatti solo promuovere
le attività dei ministri, indirizzandole sulla base
delle deliberazioni del Consiglio.
Il presidente del Consiglio cura poi i rapporti
con gli altri organi costituzionali, con le istitu-
zioni europee e con le autonomie.
A tal riguardo: promuove, ai sensi della legge
87/1953, i giudizi di legittimità dinanzi alla
Corte costituzionale; presiede le conferenze
permanenti delle autonomie e si avvale di un
apposito dipartimento per gli affari regionali
della presidenza del Consiglio e dei commissari
di governo nelle regioni.36
I ministri
I ministri sono nominati con decreto del presi-
dente della Repubblica su proposta del presi-
dente del Consiglio e sono revocabili con gli
stessi limiti con cui è revocabile, dal presidente
della Repubblica, il presidente del Consiglio.
I ministri sono titolari delle sole funzioni di alta
amministrazione, in quanto le funzioni di
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gestione e direzione della stessa spettano invece
ai rispettivi dirigenti, in ossequio al principio di
separazione fra politica e amministrazione.
I ministri sono responsabili: per gli atti esclusi-
vamente propri; per gli atti formalmente del
capo dello Stato che essi hanno controfirmato
(ex art. 89 Cost.); per gli atti dei loro sottoposti
riconducibili ad un atto di volontà del ministro.
Il governo ha approvato il 29 luglio 1999 in via definitiva,
in attuazione dei capo II della legge 59/1997 (cosiddetta
legge Bassanini 1), il decreto sulla riforma dell’organizza-
zione del governo (d. lgs. 300/1999) e il decreto sulla rifor-
ma della presidenza del Consiglio dei ministri (d. lgs.
300/1999).
La parte più significativa del provvedimento che riguarda
l’organizzazione del governo è quella che prevede l’accorpa-
mento dei ministeri in modo da superare, come richiede la
legge di delega, la frammentazione e la sovrapposizione
delle competenze, realizzando la semplificazione della deci-
sione a livello politico e amministrativo.
Alcune modifiche si sono poi succedute nel 2001, con l’isti-
tuzione, per decreto, dei ministeri della Salute e delle Comu-
nicazioni.
L’elenco, oggi, comprende quindi in primo luogo i ministeri
degli Affari esteri, dell’Interno, della Giustizia, della Difesa.
È prevista poi l’istituzione di tre ministeri economici: il mini-
stero dell’Economia e delle finanze (che accorpa i ministeri
del Tesoro e delle Finanze, il ministero delle Attività produt-
tive (che accorpa i ministeri dell’Industria e del Commercio
con l’estero), il ministero delle Comunicazioni.
Due i ministeri del territorio: il ministero dell’Ambiente e
della tutela del territorio e quello delle Infrastrutture e dei
trasporti, che accorpano in due strutture i ministeri del-
l’Ambiente, dei Lavori pubblici e dei trasporti e della navi-
gazione, oltre al dipartimento delle Aree urbane e al dipar-
timento dei Servizi tecnici nazionali della presidenza del
Consiglio dei ministri.
Vi è poi un unico ministero del Lavoro e delle politiche socia-
li, che unifica il ministero del Lavoro e il dipartimento della
Solidarietà sociale presso la presidenza dei Consiglio.
Ci sono infine il ministero della Salute, il ministero dell’I-
struzione, dell’università e della ricerca (che unifica i mini-
steri della Pubblica istruzione e dell’Università e della ricer-
ca), il ministero per i Beni e le attività culturali; il ministero
delle Politiche agricole e forestali.
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I sottosegretari di Stato
I sottosegretari di Stato, previsti dall’art. 10
della legge 400/1988, coadiuvano i ministri
nella loro attività, esercitando le competenze
dagli stessi espressamente delegate. Sono nomi-
nati dal presidente della Repubblica, su propo-
sta del presidente del Consiglio dei ministri di
concerto con il ministro che il sottosegretario
deve coadiuvare.
Al contrario dei ministri senza portafoglio, i
quali fanno parte a pieno titolo del Consiglio
dei ministri, i sottosegretari non prendono
parte alle sedute del Consiglio con la sola ecce-
zione del sottosegretario alla presidenza del
Consiglio, cui sono affidate le funzioni di segre-
tario del Consiglio dei ministri.
Svolgono solo attività delegate, ma assumono le
stesse responsabilità dei ministri.
I comitati interministeriali
All’interno dell’organo Consiglio dei ministri esi-
stono, poi, organi collegiali più ristretti, composti
da più ministri; comitati non previsti dalla Costi-
tuzione, ma con funzioni di grande importanza.
Il primo fu il Consiglio di gabinetto, introdotto
nel 1983 dal primo governo Craxi con funzioni
non deliberanti e oggi previsto (come facoltativo)
dall’art. 6 della legge 400/1988. Poi, i comitati
interministeriali: ci sono alcuni atti complessi che
sono emanati d’accordo tra più ministri; oppure,
su proposta di un ministro e di concerto con gli
altri ministri. Ora, quando questo concerto è isti-
tuzionale (cioè quando la legge prevede che,
periodicamente, atti complessi vengano emanati
sulla base di accordi tra determinati ministri)
questi ministri insieme formano comitati inter-
ministeriali di carattere permanente.
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Il più importante è il Cipe (Comitato intermi-
nisteriale per la programmazione economica),
che svolge le principali funzioni di indirizzo
politico-economico del governo. Assai impor-
tanti sono anche le funzioni del Cicr: esso ha la
direzione politica in materia di credito, rispar-
mio e valuta, in collegamento con la Banca d’I-
talia.
Sulla base degli indirizzi fissati dal governo, il
Cipe stabilisce le linee generali di politica eco-
nomico-finanziaria per la predisposizione dei
documenti programmatici; elabora gli indirizzi
delle diverse politiche settoriali, assicurandone
il coordinamento con gli obiettivi occupaziona-
li e di sviluppo, in particolare delle aree depres-
se; approva piani e programmi di investimento
e assegna i relativi finanziamenti ai soggetti
responsabili dell’attuazione; tiene conto, nelle
proprie deliberazioni, dei risultati conseguiti
rispetto agli obiettivi precedentemente pro-
grammati.
Il Cipe è competente, in via generale, su materie
di rilevante valenza intersettoriale e su inter-
venti con prospettive di medio-lungo termine,
ovvero con significative implicazioni economi-
co-finanziarie. Svolge quindi un ruolo di coor-
dinamento degli interventi di politica economi-
ca sul piano territoriale e settoriale.
Il ruolo è reso più efficace dall’istituzione, nel-
l’ambito del Comitato, di commissioni incari-
cate dell’istruttoria di decisioni e interventi in
settori di particolare rilevanza: commissione
per il Coordinamento delle politiche economi-
che nazionali con le politiche comunitarie;
commissione per l’Occupazione e il sostegno e
lo sviluppo delle attività produttive; commis-
sione per le Infrastrutture; commissione per la
Ricerca e la formazione; commissione per il
Commercio estero; commissione per lo Svilup-
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po sostenibile; commissione per la Sanità e le
politiche sociali; Nars (Nucleo di consulenza
per l’attuazione delle linee guida per la regola-
zione dei servizi di pubblica utilità); Ctim
(Comitato tecnico interministeriale per la
montagna).
Ogni commissione è formata da sottosegretari
in rappresentanza delle amministrazioni inte-
ressate, con una responsabilità diretta dell’am-
ministrazione “capofila” e un ruolo di raccordo
politico-istituzionale svolto dal sottosegretario
del ministero del Tesoro, del bilancio e della
programmazione economica, segretario del
Cipe.
Il Nars e il Ctim sono organismi di carattere
tecnico formati da esperti e da rappresentanti
delle amministrazioni interessate.
Ogni commissione è supportata da un gruppo
di lavoro interministeriale, composto da fun-
zionari delle varie amministrazioni interessate.
Il collegamento fra le attività delle commissioni
e il relativo coordinamento tecnico è affidato al
direttore del Servizio centrale di segreteria del
Cipe. Gli uffici del Servizio assicurano il neces-
sario supporto alle sedute del Comitato e delle
commissioni.
La legge 537/1993 ha previsto la soppressione di
molti comitati (come il Cip e il Cir) e le rispet-
tive funzioni sono state affidate al Cipe.
È stato oggetto di recenti interventi legislati-
vi anche il Cicr, Comitato Interministeriale
per il Credito e il Risparmio. Tale comitato è
presieduto dal Ministro dell’Economia e
delle Finanze e vi partecipano in qualità di
membri il Ministro delle Infrastrutture, il
Ministro dell’Agricoltura, il Ministro dello
Sviluppo Economico, il Ministro del Com-
mercio estero, il Governatore della Banca
d’Italia.
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Il Cicr ha il compito di vigilare per tutelare il
risparmio e l’esercizio della funzione creditizia;
favorisce i settori economici che ne hanno più
bisogno indirizzando verso di loro le operazio-
ni di credito delle banche. Serve quindi a dare
un indirizzo generale e politico al sistema del
credito.
Ha sia funzioni deliberative per quanto riguarda
l’indirizzo del credito e del risparmio, sia fun-
zioni normative. Le decisioni vengono rese ese-
cutive attraverso l’attività del Ministro
dell’Economia e della Banca d’Italia.
Una recente modifica è stata proposta dal
Governo, che in data 31 agosto ha licenziato uno
schema di decreto legislativo di riforma del TUB,
in virtù della delega contenuta nella Legge 262
del 2005. La modifica, che riguarda la composi-
zione del Cicr, prevede che le autorità di vigilan-
za Consob e Antitrust possono essere convocate
dal ministro dell'Economia. La Banca d’Italia
conserva in pieno la sua autonomia e rimane l’u-
nica autorità di controllo che sarà presente‘d’ob-
bligo’ alle riunioni del Cicr. Consob e Antitrust,
come detto, potranno partecipare solo su invito
del ministro dell’Economia.
La presidenza del Consiglio dei ministri
La presidenza del Consiglio dei ministri è la
struttura istituzionale di supporto all’attività del
presidente del Consiglio.
L’organizzazione della presidenza del Consiglio
dei ministri è stata recentemente rivisitata con il
decreto del presidente del Consiglio dei ministri
del 23 luglio 2002.
I dipartimenti della presidenza del Consiglio
affidati a ministri senza portafoglio sono: dipar-
timento per i Rapporti con il Parlamento; dipar-
timento per il Coordinamento delle politiche
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comunitarie; dipartimento per gli Affari regio-
nali; dipartimento della Funzione pubblica;
dipartimento per l’Innovazione e le tecnologie;
dipartimento per le Riforme istituzionali e la
devoluzione; dipartimento per le Pari opportu-
nità; dipartimento per gli Italiani nel mondo;37
dipartimento per il Programma di governo;
dipartimento per i Rapporti del governo con le
regioni e le autonomie locali.
I ministeri
Il ministero è la ripartizione fondamentale
dell’amministrazione centrale italiana. L’art.
95 della Costituzione attribuisce alla legge
ordinaria il compito di determinare il numero,
le attribuzioni e l’organizzazione dei ministeri.
La tradizione della burocrazia nazionale vede
ogni ministero suddiviso in direzioni generali,
articolate in direzioni centrali (a loro volta
divise in servizi, divisioni, fino alle sezioni o
uffici).
Per influenzare e dirigere l’attività ammini-
strativa, i ministri si servono di specifici Uffici
di gabinetto, generalmente composti da perso-
ne estranee all’amministrazione, di nomina
politica, con funzioni di staff.
Le agenzie
La seconda parte del decreto legislativo
300/1999, oltre all’accorpamento dei ministe-
ri, prevede l’istituzione di undici agenzie, tutte
risultanti dalla trasformazione di strutture
ministeriali e dall’accorpamento di compiti
prima diffusi in capo a più soggetti: Agenzia
per la protezione civile; Agenzia delle entrate;
Agenzia delle dogane; Agenzia del territorio;
Agenzia del demanio; Agenzia per le normati-
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