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DIRITTO ALLA VITA.
La vita, con le sue gioie e le sue difficoltà è uno
degli argomenti che più interessa ai poeti e ai
letterati in generale. In effetti è tutto quello che
abbiamo e la cosa che più conta per ognuno di
noi. Della vita dobbiamo trarne il meglio per noi
stessi e per gli altri, amandola e rispettandola.
La carta costituzionale non prevede direttamente un articolo
che tuteli il diritto “all’esercizio della vita”. L’ultimo comma
dell’articolo 27, tuttavia, dichiara che “non è ammessa la
pena di morte”. Fino al 2007 questo comma specificava che
la suddetta disposizione vigeva “esclusi i casi previsti dalle
leggi penali e militari di guerra”.
Eliminando tale riferimento, oggi, la pena di morte non è
prevista in alcun caso. Questo però non implica di
conseguenza e in ogni caso il diritto alla vita.
Importanti letterati coinvolti:
Trattando di questo ampio e complesso argomento non posso
eludere la figura a noi nota del famoso Cesare Beccaria,
marchese di Milano nato nel marzo 1738, che fu giurista,
filosofo, economista e letterato italiano considerato tra i
massimi esponenti dell'illuminismo italiano, figura di spicco
della scuola illuministica milanese.
Di lui,a riguardo, viene ricordato principalmente la
pubblicazione di Dei diritti e delle pene,la prima,avvenuta nel
1764. Si tratta di un’opera polemica in cui Beccaria, forte della
sua conoscenza giuridica, esamina molti aspetti delle pratiche
processuali dell'epoca individuando una serie di difetti che
impedivano alla giustizia di essere, di fatto, applicata in
maniera equa e giusta: il volume è un successo e procura
molta fama al suo autore.
Il delitto come violazione del
contratto sociale:
Nella sua opera Beccaria
intende il delitto non
come una violazione del
diritto divino, il cui
rispetto è qualcosa che
appartiene alla sensibilità
personale del singolo, ma
come una violazione di
quel contratto sociale che
tutela la stabilità delle
società umane, e che va
sanzionato in quanto tale.
Dei delitti e delle pene:
 Il nome di Cesare Beccaria è, come già affermato, indissolubilmente
legato a quest’opera nella quale il pensatore milanese propone una
radicale riforma del modo stesso d’intendere la giustizia ed il rapporto
che deve esserci tra i delitti e le pene, motivo per cui egli dedica l’opera
ai sovrani illuminati del suo tempo, che indica come benefattori
dell’umanità. Le idee alla base del trattato sono di tipo contrattualistico
ed utilitaristico: le leggi che governano la società devono essere
sottoposte al consenso dei governati ed avere come fine quello di
garantire il più alto grado possibile di felicità al maggior numero possibile
di persone.
 Le istanze portate avanti da Beccaria riguardano anzitutto la tassatività
della legge penale, cioè il fatto che un’azione possa essere definita reato
solo se un preciso articolo di legge la definisce come tale, un principio
teso a limitare la discrezionalità dei giudici durante i processi, e la
generalità della legge, cioè il fatto che nessuno possa considerarsi al di
sopra di essa: questo principio mirava soprattutto ad abbattere i vari
privilegi che permettevano ai nobili di sottrarsi alle pene dopo aver
commesso un delitto.
 Su un piano più strettamente procedurale Beccaria
propone di distinguere la figura dell’accusatore da quella
del giudice, per promuovere l’imparzialità di giudizio di
quest’ultimo, e che le leggi vengano scritte in modo
chiaro e comprensibile da chiunque, sia per permettere a
tutti i cittadini una corretta conoscenza delle leggi che per
limitare la pratica dell’interpretazione delle leggi.
 Beccaria promuove l’idea che gli accusati abbiano dei
diritti processuali garantiti ed anche il principio della
presunzione d’innocenza, cioè che nessuno possa essere
trattato come colpevole finché non è riconosciuto come
tale secondo le norme di legge.
 Quest’ultimo principio è alla base di una delle grandi
riforme proposte da Beccaria ed esposte nel capitolo
intitolato Della tortura, in cui argomenta i motivi per cui la
tortura, diffusissima pratica inquisitoria dell’epoca, va
condannata senza esitazioni.
Eliminazione della pena di morte:
L’altro grande tema polemico dell’opera è
contenuto nel capitolo Della pena di morte,
in cui viene messa in discussione la
prerogativa monarchica di comminare la
pena di morte. Questo diritto non è infatti
accettato dalle varie volontà particolari che
stringono il contratto sociale, quindi non è
accettabile a livello giuridico. Essa non è
nemmeno utile sul piano sociale, poiché
non funziona né come deterrente né come
punizione per i colpevoli, e manca
totalmente quello che dovrebbe essere il
vero obiettivo della pena, cioè quello della
riabilitazione della popolazione.
Cosa dimostra e in che modo lo fa
Beccaria:
Lui prima dimostra che la pena di morte non può mai essere considerata
giusta, perché nessuno, sottoscrivendo il contratto con cui si è costituita la
società, può avere ceduto il diritto alla vita (di cui peraltro neppure
potrebbe disporre, essendo un diritto inalienabile, come aveva insegnato
Locke). Quindi la pena di morte non si configura come un atto di giustizia,
ma come «una guerra della nazione con un cittadino».
Oltre a essere ingiusta, la pena di morte non è neppure utile e necessaria,
Beccaria presenta i due motivi per i quali si potrebbe pensare che essa lo
sia (per salvare la nazione o come deterrente):
1. il primo motivo non vale durante la normale vita di una nazione;
2. il secondo è falso, in quanto si può dimostrare che è più efficace
l’«estensione» della pena che non la sua «intensione». Inoltre punire
con la morte appare un’inutile atrocità ordinata da chi, il legislatore,
dovrebbe fare in modo che le leggi siano moderatrici della condotta degli
uomini.
Un passo dell’opera:
“Non è l’intensione della pena che fa il maggior effetto
sull’animo umano, ma l’estensione di essa; perché la nostra
sensibilità è più facilmente e stabilmente mossa da minime
ma replicate impressioni che da un forte ma passeggero
movi-mento. L’impero dell’abitudine è universale sopra
ogni essere che sente, e come l’uomo parla e cammina e
procacciasi i suoi bisogni col di lei aiuto, cosí l’idee morali
non si stampano nella mente che per durevoli ed iterate
percosse.”
In questo passo è evidente come Beccaria spieghi che non è
l’intensità della pena, ma la sua estensione, a
impressionare gli uomini, e, di conseguenza , a punire nel
“migliore dei modi” i criminali e i colpevoli.
Conclusioni:
Il saggio di Beccaria diventa il fulcro di un dibattito che
si estende rapidamente a livello europeo, diventando
sia oggetto di critiche che di elogi. Nel 1786 Pietro
Leopoldo, granduca di Toscana è il primo sovrano ad
abolire la pena di morte.
Paesi dove è in vigore la pena:
La pena di morte è stata abolita o non è
applicata nella maggioranza degli stati del
mondo mentre è ancora in vigore in altri come
per esempio la Cina, la Bielorussia, l'India, il
Giappone, la Corea del Nord, l'Iran e gli Stati
Uniti d'America dove negli ultimi anni è stato
registrato un alto tasso di “omicidio
legalizzato”
Il diritto alla vita:
Il diritto alla vita è l’unico diritto inviolabile di cui
non è concesso il “non esercizio”: esso, infatti,
non è controbilanciato, come altra faccia della
medaglia, dal diritto a non vivere, dunque a
morire. Il diritto alla vita e all’integrità fisica sono
tutelati dalle leggi civili che incentivano la
donazione di sangue, di organi e tessuti e dalla
legge penale che punisce i delitti contro la vita e
l’incolumità individuale.
Omaggio a Leopardi:
E infine, quale migliore congedo di quello di un
maestro assoluto, uno che davvero dell'uomo e della
vita aveva praticamente capito tutto, e che sceglie di
cantare uno dei doni più belli che abbiamo,
l'immaginazione: L'Infinito, di Giacomo Leopardi:
“L’Infinito” e la concezione della vita:
“Sempre caro mi fu quest'ermo colle,
e questa siepe, che da tanta parte
dell'ultimo orizzonte il guardo
esclude.
Ma sedendo e mirando, interminati
spazi di là da quella, e sovrumani
silenzi, e profondissima quiete
io nel pensier mi fingo, ove per poco
il cor non si spaura. E come il vento
odo stormir tra queste piante, io
quello
infinito silenzio a questa voce
vo comparando: e mi sovvien l'eterno,
e le morte stagioni, e la presente
e viva, e il suon di lei. Così tra questa
immensità s'annega il pensier mio:
e il naufragar m'è dolce in questo
mare.”
L’infinito è un’avventura della mente. L’uomo
cerca l’infinito per evadere dalla realtà. Il poeta
è sopra un colle dove è posta una siepe che gli
impedisce di vedere oltre; ma è proprio questo
ostacolo a permettergli di immaginare cosa c‘è
aldilà .Per Leopardi il mondo è governato da
leggi meccaniche, da una forza operosa che
trasforma in continuazione la materia. Anche
l’uomo è soggetto alle leggi di trasformazione
della materia. Per il poeta l’uomo non è solo
una creatura debole e indifesa di fronte alla
stessa vita, ma è anche un essere talmente
insignificante che, se scomparisse, non
turberebbe minimamente il ritmo della vita
universale. Tale concezione, per Leopardi, è
motivo di tristezza e pessimismo perché egli
avverte dolorosamente i limiti della natura
umana, tutta chiusa nella prigione della
materia,in contrasto con la sua innata
aspirazione all’infinito e all’assoluto. Accanto a
questa prima forma di pessimismo Leopardiano,
dovuto alla concezione materialistica della vita e
dell’universo, ne esiste un’altra di natura
emotiva. Il poeta infatti visse quello che è il
dramma adolescenziale quando ci si trova
davanti a una realtà inaspettatamente diversa
da quella immaginata negli anni e si perdono,
così, poco a poco le illusioni e le speranze.
La concezione del suicidio:
La conclusione del pessimismo
leopardiano dovrebbe corrispondere
col suicidio ma non è così poiché il
poeta lo condanna perché riconosce
che alla vita siamo legati dall’istinto
naturale della conservazione e dal
dovere di solidarietà e fratellanza
con tutti gli uomini, nostri compagni
di infelicità. Al contrario, secondo
Leopardi, per liberarsi dall’angoscia
e dalla noia di vivere (tedio) bisogna
agire, porsi un fine. Questo fine in sé
ha scarso valore,perché tutto è
vano, ma valgono i mezzi per
conseguirlo, come le speranze del
successo e l’impegno che tengono
occupato l’animo e lo liberano dal
pensiero che gli robe in testa.
FINE.
Grazie per l’attenzione!
Gaia De Santis classe 5D a.s.2019/20

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Diritto alla vita

  • 1. DIRITTO ALLA VITA. La vita, con le sue gioie e le sue difficoltà è uno degli argomenti che più interessa ai poeti e ai letterati in generale. In effetti è tutto quello che abbiamo e la cosa che più conta per ognuno di noi. Della vita dobbiamo trarne il meglio per noi stessi e per gli altri, amandola e rispettandola.
  • 2. La carta costituzionale non prevede direttamente un articolo che tuteli il diritto “all’esercizio della vita”. L’ultimo comma dell’articolo 27, tuttavia, dichiara che “non è ammessa la pena di morte”. Fino al 2007 questo comma specificava che la suddetta disposizione vigeva “esclusi i casi previsti dalle leggi penali e militari di guerra”. Eliminando tale riferimento, oggi, la pena di morte non è prevista in alcun caso. Questo però non implica di conseguenza e in ogni caso il diritto alla vita.
  • 3. Importanti letterati coinvolti: Trattando di questo ampio e complesso argomento non posso eludere la figura a noi nota del famoso Cesare Beccaria, marchese di Milano nato nel marzo 1738, che fu giurista, filosofo, economista e letterato italiano considerato tra i massimi esponenti dell'illuminismo italiano, figura di spicco della scuola illuministica milanese. Di lui,a riguardo, viene ricordato principalmente la pubblicazione di Dei diritti e delle pene,la prima,avvenuta nel 1764. Si tratta di un’opera polemica in cui Beccaria, forte della sua conoscenza giuridica, esamina molti aspetti delle pratiche processuali dell'epoca individuando una serie di difetti che impedivano alla giustizia di essere, di fatto, applicata in maniera equa e giusta: il volume è un successo e procura molta fama al suo autore.
  • 4.
  • 5. Il delitto come violazione del contratto sociale: Nella sua opera Beccaria intende il delitto non come una violazione del diritto divino, il cui rispetto è qualcosa che appartiene alla sensibilità personale del singolo, ma come una violazione di quel contratto sociale che tutela la stabilità delle società umane, e che va sanzionato in quanto tale.
  • 6. Dei delitti e delle pene:  Il nome di Cesare Beccaria è, come già affermato, indissolubilmente legato a quest’opera nella quale il pensatore milanese propone una radicale riforma del modo stesso d’intendere la giustizia ed il rapporto che deve esserci tra i delitti e le pene, motivo per cui egli dedica l’opera ai sovrani illuminati del suo tempo, che indica come benefattori dell’umanità. Le idee alla base del trattato sono di tipo contrattualistico ed utilitaristico: le leggi che governano la società devono essere sottoposte al consenso dei governati ed avere come fine quello di garantire il più alto grado possibile di felicità al maggior numero possibile di persone.  Le istanze portate avanti da Beccaria riguardano anzitutto la tassatività della legge penale, cioè il fatto che un’azione possa essere definita reato solo se un preciso articolo di legge la definisce come tale, un principio teso a limitare la discrezionalità dei giudici durante i processi, e la generalità della legge, cioè il fatto che nessuno possa considerarsi al di sopra di essa: questo principio mirava soprattutto ad abbattere i vari privilegi che permettevano ai nobili di sottrarsi alle pene dopo aver commesso un delitto.
  • 7.  Su un piano più strettamente procedurale Beccaria propone di distinguere la figura dell’accusatore da quella del giudice, per promuovere l’imparzialità di giudizio di quest’ultimo, e che le leggi vengano scritte in modo chiaro e comprensibile da chiunque, sia per permettere a tutti i cittadini una corretta conoscenza delle leggi che per limitare la pratica dell’interpretazione delle leggi.  Beccaria promuove l’idea che gli accusati abbiano dei diritti processuali garantiti ed anche il principio della presunzione d’innocenza, cioè che nessuno possa essere trattato come colpevole finché non è riconosciuto come tale secondo le norme di legge.  Quest’ultimo principio è alla base di una delle grandi riforme proposte da Beccaria ed esposte nel capitolo intitolato Della tortura, in cui argomenta i motivi per cui la tortura, diffusissima pratica inquisitoria dell’epoca, va condannata senza esitazioni.
  • 8. Eliminazione della pena di morte: L’altro grande tema polemico dell’opera è contenuto nel capitolo Della pena di morte, in cui viene messa in discussione la prerogativa monarchica di comminare la pena di morte. Questo diritto non è infatti accettato dalle varie volontà particolari che stringono il contratto sociale, quindi non è accettabile a livello giuridico. Essa non è nemmeno utile sul piano sociale, poiché non funziona né come deterrente né come punizione per i colpevoli, e manca totalmente quello che dovrebbe essere il vero obiettivo della pena, cioè quello della riabilitazione della popolazione.
  • 9. Cosa dimostra e in che modo lo fa Beccaria: Lui prima dimostra che la pena di morte non può mai essere considerata giusta, perché nessuno, sottoscrivendo il contratto con cui si è costituita la società, può avere ceduto il diritto alla vita (di cui peraltro neppure potrebbe disporre, essendo un diritto inalienabile, come aveva insegnato Locke). Quindi la pena di morte non si configura come un atto di giustizia, ma come «una guerra della nazione con un cittadino». Oltre a essere ingiusta, la pena di morte non è neppure utile e necessaria, Beccaria presenta i due motivi per i quali si potrebbe pensare che essa lo sia (per salvare la nazione o come deterrente): 1. il primo motivo non vale durante la normale vita di una nazione; 2. il secondo è falso, in quanto si può dimostrare che è più efficace l’«estensione» della pena che non la sua «intensione». Inoltre punire con la morte appare un’inutile atrocità ordinata da chi, il legislatore, dovrebbe fare in modo che le leggi siano moderatrici della condotta degli uomini.
  • 10. Un passo dell’opera: “Non è l’intensione della pena che fa il maggior effetto sull’animo umano, ma l’estensione di essa; perché la nostra sensibilità è più facilmente e stabilmente mossa da minime ma replicate impressioni che da un forte ma passeggero movi-mento. L’impero dell’abitudine è universale sopra ogni essere che sente, e come l’uomo parla e cammina e procacciasi i suoi bisogni col di lei aiuto, cosí l’idee morali non si stampano nella mente che per durevoli ed iterate percosse.” In questo passo è evidente come Beccaria spieghi che non è l’intensità della pena, ma la sua estensione, a impressionare gli uomini, e, di conseguenza , a punire nel “migliore dei modi” i criminali e i colpevoli.
  • 11. Conclusioni: Il saggio di Beccaria diventa il fulcro di un dibattito che si estende rapidamente a livello europeo, diventando sia oggetto di critiche che di elogi. Nel 1786 Pietro Leopoldo, granduca di Toscana è il primo sovrano ad abolire la pena di morte.
  • 12. Paesi dove è in vigore la pena: La pena di morte è stata abolita o non è applicata nella maggioranza degli stati del mondo mentre è ancora in vigore in altri come per esempio la Cina, la Bielorussia, l'India, il Giappone, la Corea del Nord, l'Iran e gli Stati Uniti d'America dove negli ultimi anni è stato registrato un alto tasso di “omicidio legalizzato”
  • 13.
  • 14. Il diritto alla vita: Il diritto alla vita è l’unico diritto inviolabile di cui non è concesso il “non esercizio”: esso, infatti, non è controbilanciato, come altra faccia della medaglia, dal diritto a non vivere, dunque a morire. Il diritto alla vita e all’integrità fisica sono tutelati dalle leggi civili che incentivano la donazione di sangue, di organi e tessuti e dalla legge penale che punisce i delitti contro la vita e l’incolumità individuale.
  • 15.
  • 16. Omaggio a Leopardi: E infine, quale migliore congedo di quello di un maestro assoluto, uno che davvero dell'uomo e della vita aveva praticamente capito tutto, e che sceglie di cantare uno dei doni più belli che abbiamo, l'immaginazione: L'Infinito, di Giacomo Leopardi:
  • 17. “L’Infinito” e la concezione della vita: “Sempre caro mi fu quest'ermo colle, e questa siepe, che da tanta parte dell'ultimo orizzonte il guardo esclude. Ma sedendo e mirando, interminati spazi di là da quella, e sovrumani silenzi, e profondissima quiete io nel pensier mi fingo, ove per poco il cor non si spaura. E come il vento odo stormir tra queste piante, io quello infinito silenzio a questa voce vo comparando: e mi sovvien l'eterno, e le morte stagioni, e la presente e viva, e il suon di lei. Così tra questa immensità s'annega il pensier mio: e il naufragar m'è dolce in questo mare.” L’infinito è un’avventura della mente. L’uomo cerca l’infinito per evadere dalla realtà. Il poeta è sopra un colle dove è posta una siepe che gli impedisce di vedere oltre; ma è proprio questo ostacolo a permettergli di immaginare cosa c‘è aldilà .Per Leopardi il mondo è governato da leggi meccaniche, da una forza operosa che trasforma in continuazione la materia. Anche l’uomo è soggetto alle leggi di trasformazione della materia. Per il poeta l’uomo non è solo una creatura debole e indifesa di fronte alla stessa vita, ma è anche un essere talmente insignificante che, se scomparisse, non turberebbe minimamente il ritmo della vita universale. Tale concezione, per Leopardi, è motivo di tristezza e pessimismo perché egli avverte dolorosamente i limiti della natura umana, tutta chiusa nella prigione della materia,in contrasto con la sua innata aspirazione all’infinito e all’assoluto. Accanto a questa prima forma di pessimismo Leopardiano, dovuto alla concezione materialistica della vita e dell’universo, ne esiste un’altra di natura emotiva. Il poeta infatti visse quello che è il dramma adolescenziale quando ci si trova davanti a una realtà inaspettatamente diversa da quella immaginata negli anni e si perdono, così, poco a poco le illusioni e le speranze.
  • 18. La concezione del suicidio: La conclusione del pessimismo leopardiano dovrebbe corrispondere col suicidio ma non è così poiché il poeta lo condanna perché riconosce che alla vita siamo legati dall’istinto naturale della conservazione e dal dovere di solidarietà e fratellanza con tutti gli uomini, nostri compagni di infelicità. Al contrario, secondo Leopardi, per liberarsi dall’angoscia e dalla noia di vivere (tedio) bisogna agire, porsi un fine. Questo fine in sé ha scarso valore,perché tutto è vano, ma valgono i mezzi per conseguirlo, come le speranze del successo e l’impegno che tengono occupato l’animo e lo liberano dal pensiero che gli robe in testa.
  • 19.
  • 20. FINE. Grazie per l’attenzione! Gaia De Santis classe 5D a.s.2019/20