2. La crisi morale dei primi secoli dell’impero
Quando l’impero si affermò come
struttura politica, le aristocrazie delle
città persero progressivamente il loro
ruolo di guida politica.
Contemporaneamente anche i culti
tradizionali entrarono in crisi.
Iside Gli individui, soprattutto i più nobili e
facoltosi, messi in crisi dai nuovi assetti
politici, non si riconoscevano più nei culti
tradizionali e si rivolgevano a nuove
religioni salvifiche: culti di Iside, Mitra,
del Sole, ecc.
Mitra
3. L’organizzazione interna delle comunità originarie
Le prime comunità cristiane si
organizzarono nelle città fra I e III secolo.
Già alla fine del I secolo vi era
separazione tra laici (fedeli non
consacrati) e sacerdoti.
Il gruppo sacerdotale era strutturato in
diaconi (si preparano al ministero
sacerdotale)
preti (sacerdoti consacrati)
vescovi (capi delle comunità cristiane).
S.Ignazio, uno
Il vescovo era il capo della comunità,
dei dotato di grande autorevolezza
primi vescovi
di
personale e religiosa
Antiochia
4. L’adesione al cristianesimo e il ruolo dei vescovi.
L’adesione al cristianesimo era stata nei primi secoli
soprattutto una scelta fatta da aristocratici, in modo
particolare delle città, anche se non mancavano molti fedeli
di estrazione sociale popolare.
Gli aristocratici erano i personaggi politici più importanti
delle comunità cittadine, non esercitavano né le professioni
militari, né svolgevano lavori manuali, vivevano di rendita e
si dedicavano liberamente alla politica e alla filosofia.
I vescovi provenivano per lo più da questa classe sociale
e la loro autorevolezza dipendeva anche da questa origine
aristocratica.
Quando, con la crisi finale dell’impero d’Occidente, i
magistrati urbani vennero a mancare, i vescovi li
sostituirono alla guida delle comunitàcittadine.
5. L’evangelizzazione rurale.
Pievi e diocesi
Dal V secolo le comunità cittadine
cominciarono un’opera massiccia di
evangelizzazione delle campagne
attraverso la creazione di pievi (dal latino
plebs, “popolo”), cioè territori che facevano
capo a chiese rurali dotate di un battistero,
che erano poste sotto l’autorità del
vescovo.
Le pievi sorgevano all’interno di diocesi, i
territori sottoposti al controllo di ogni
vescovo.
Pieve di S. Jacopo, Le diocesi corrispondevano, grosso modo, ai
provincia di
Lucca territori che in epoca imperiale erano
soggette al controllo delle città.
6. Sedi vescovili in Italia alla metà del VI secolo
Densità delle sedi vescovili esistenti nel
territorio italiano verso la metà del VI
secolo.
Come si constata, la maggiore densità di
sede vescovili era concentrata nell’Italia
centro-meridionale, dove esistevano
molte città, e dove la presenza delle
aristocrazie e delle comunità urbane era
più consistente.
Qui le diocesi non erano in grado di
estendere la propria influenza fuori dalle
città
Nell’Italia centro-settentrionale,
invece, la minore presenza di città
favorì la creazione di diocesi
territorialmente estese
7. Evangelizzazione nelle campagne come scambio.
L’evangelizzazione delle campagne si realizzò
come scambio tra culture diverse.
I culti tradizionali pagani nelle campagne ebbero
influenza sul cristianesimo
Si affermarono aspetti della religiosità cristiana
vicini alla sensibilità popolare: il culto dei santi e
delle reliquie.
8. La supremazia delle diocesi maggiori
Le città italiane che erano sedi vescovili resistettero meglio alle
crisi determinate dalle invasioni dei secoli IV – V
I vescovi delle diocesi che avevano come sede le grandi città
(metropoli) dell’impero romano – Costantinopoli, Antiochia,
Alessandra, Roma, Ravenna, Aquileia, Milano – acquisirono
una supremazia “naturale” sui vescovi delle città vicine.
Questa supremazia era simile a quella che le aristocrazie
urbane delle città maggiori ebbero al tempo dell’impero su
quelle delle città meno grandi e importanti.
Le diocesi maggiori furono dette “metropolite”.
Il vescovo di Roma godeva di un particolare prestigio, sia per
il prestigio della città, sia perché era considerato erede di
Pietro, che a Roma era stato martirizzato.
9. IL MONACHESIMO NELLE SUE ARTICOLAZIONI
Anacoreti nel deserto S. Benedetto
consegna la
la sua regola
Gli stiliti
10. Il monachesimo delle origini (III – IV secolo)
“ Le tentazioni di S.Antonio nel deserto”
di F.P. Michetti.
Secondo i racconti che lo riguardano,
Antonio visse da eremita dentro il sepolcro
di una tomba vuota.
Il monachesimo è un fenomeno attestato solo dal III secolo d.C., soprattutto tra
Medio Oriente e Egitto. I monaci erano chiamati anacoreti.
La scelta di vivere lontano dagli altri uomini (monos= uno) era strettamente
individuale e nasceva sia da un radicale rifiuto del mondo, sia dal desiderio di
purificazione attraverso il sacrificio e l’ascesi
Esso fu praticato soprattutto nei deserti ai margini delle città di Siria e Egitto.
Forme particolari di monachesimo furono dendrismo (vita isolata su alberi) e stilitismo
(vita isolata su colonne)
11. Il cenobitismo: da Pacomio alla Gallia occidentale (secoli IV –V)
Nel IV secolo Pacomio, un ex soldato devoto a
Cristo, in Egitto, dopo un’esperienza di monachesimo
individuale, diede inizio alla pratica del cenobitismo,
cioè la vita in comune dei monaci sulla base di una
regola che riguardava ogni aspetto della vita
quotidiana: preghiera, lavoro, abbigliamento e
alimentazione.
Pacomio
In Occidente il monachesimo si diffuse nella forma
cenobitica, in primo luogo in Gallia occidentale per
impulso di Martino, vescovo di Tours.
Nel V secolo in Gallia sorsero diversi monasteri
(cenobi), come a Lérins.
S. Martino di Tours
13. L’azione di S. Girolamo
In Italia le prime esperienze monastiche
riguardarono l’aristocrazia romana
alla fine del IV secolo.
Girolamo di Stridone (Dalmazia) ebbe
un ruolo importante in questa
esperienza: egli visse come eremita
nel deserto della Siria, studiando e
pregando.
S. Girolamo, Tornato a Roma nel 382 divenne il
anacoreta nel
deserto referente spirituale di molti nobili che
praticavano la vita monastica nelle
proprie case.
S. Girolamo, monaco
dopo il ritorno a Egli promosse l’esperienza del
Roma cenobitismo soprattutto tra le
aristocratiche romane e poi in Italia.
14. Benedetto da Norcia e il monachesimo “regolare”
L’azione di Benedetto da Norcia (480 –
547) fu determinante per il monachesimo.
Egli fondò nel 529 a Montecassino (Fr) un
monastero, in cui la comunità dei residenti
era organizzata sulla base di una Regola
redatta dallo stesso Bendetto.
S. Benedetto , con la sua Regola
In essa egli aveva fissato momenti precisi
da dedicare durante la giornata
(compresa la notte) alla preghiera e al
lavoro, momenti che coesistevano e si
integravano nella vita monastica
L’Abbazia di Montecassino
15. I principali precetti della “Regola” benedettina
La Regola di Benedetto è basata sul fatto che la vita
monastica sia una scelta spirituale.
Il monaco è guidato dall’abate nella pratica della virtù
cristiane: obbedienza, silenzio,umiltà erano le più importanti.
La carità era il “fuoco” che vivificava l’esistenza individuale e
collettiva.
La vita del monaco benedettino era divisa tra l’ufficio divino,
Benedetto dà la sua
la penitenza, il lavoro quotidiano e le diverse responsabilità.
Regola ai monaci Il lavoro manuale, artigiano e agricolo, era molto importante,
ma esso serve solo se funzionale al miglioramento spirituale
del monaco.
Il notissimo motto di S. Benedetto era, “Ora et labora”.
Intorno ai monasteri, i benedettini ricavarono campi da
coltivare, che affittavano a contadini, che pagavano un
affitto al monastero.
Benedetto e Totila
16. I monaci trasmettono la cultura classica ai posteri
I monaci ebbero un ruolo
culturale importantissimo,
perché copiarono e
conservarono molti testi
della cultura classica che le
vicende della penisola
italiana e dell’Europa
occidentale avrebbero
condannato alla dispersione
o alla distruzione.
Un monaco al lavoro
nel suo scriptorium
17. I monasteri dall’Irlanda all’Europa.
L’Irlanda fu l’area nord europea che vide il
maggiore sviluppo del monachesimo.
L’Irlanda non era mai stata conquistata dai romani
e non conosceva urbanizzazione.
Era socialmente divisa in tribù a capo delle quali
erano i druidi, sacerdoti dei culti celtici tradizionali.
Nell’isola l’evangelizzazione, a partire da
S.Patrizio, fu condotta da monaci e il modello di
organizzazione religiosa che si affermò fu quello
S. Colombano fu un grande abate monastico.
irlandese fondatore di monasteri:
San Gallo in Svizzera e Bobbio Gli abati, i capi delle comunità monastiche,
(Pc) in Italia furono sue creazioni. svolsero le funzioni che nell’Europa continentale
La peregrinatio,cioè la mobilità dei ebbero i vescovi.
monaci irlandesi attraverso
I monaci irlandesi si portarono in Europa continentale
l’Europa, fu il loro punto di forza:
la loro missione era la
e qui fondarono, tra Gallia, Europa centrale e Italia
conversione. monasteri che obbedivano a una regola più rigida di
quella bendettina.
18. La conversione dei barbari /1: re e aristocrazie.
La conversione dei barbari al cristianesimo cominciò intorno ai
secoli IV e V, a partire dalle aristocrazie politico – militari di
ogni popolo e tribù.
In genere il primo a convertirsi era il re, in quanto tra i popoli
seminomadi il sovrano aveva un valore sacrale: se il re si
convertiva, il suo popolo avrebbe perso il riferimento dei suoi
culti tradizionali e quindi questa conversione facilitava quella
dei suoi sudditi.
Le aristocrazie dei popoli barbari capirono che per rafforzare
il loro potere sociale e economico sarebbe stato utile
intraprendere le carriere ecclesiastiche.
19. La conversione dei barbari/ 2: esaltazione del lato “eroico”
del cristianesimo
Le nuove aristocrazie legate alla forza e alle armi
penetrarono nelle gerarchie ecclesiastiche e religiose
portandovi i propri valori: uso della forza, pratica quotidiana
della violenza.
Questi valori rafforzarono il lato eroico e combattivo della
religione cristiana: vennero esaltate nella mentalità e nelle
narrazioni religiose le figure dei martiri e la combattività della
religione.
I monasteri, per quanto fossero luoghi che rifiutavano
programmaticamente la violenza, conobbero la diffusione di
una terminologia militaresca, sulla base della quale il monaco
era definito miles Dei (soldato di Dio), e la sua vita diventava.
militia Christi
20. L’arianesimo e l’opera di apostolato di Ulfila
Le popolazioni barbariche furono
convertite al culto cristiano secondo la
teologia ariana.
L’arianesimo si diffuse con ampiezza
perché era portato dai monaci che
convertirono per primi le popolazioni
germaniche.
La traduzione della Bibbia in Fu molto importante l’opera del
lingua gota fatta
da Ulfila favorì la penetrazione
vescovo Ulfila, visigoto, per la
del cristianizzazione dei barbari.
messaggio cristiano tra i barbari.
L’arianesimo diventò un simbolo Egli tradusse in lingua gota il testo
di identità etnica più che una
scelta teologica della Bibbia.
21. I contrasti teologici sulla figura di Cristo
Le interpretazioni dottrinali e le forme di culto furono rese
molto varie dal fatto che esistessero sia in Oriente, che in
Occidente, diverse sedi episcopali e che le sedi patriarcali
fossero numerose.
Nacquero contrasti dogmatici forti tra le diverse comunità
cristiane, soprattutto sulla questione della Trinità: la
molteplicità delle figure divine era in contrasto con la cultura
filosofica classica, per la quale l’Essere era Uno per
definizione.
I contrasti si incentrarono sulla necessità di definire la
natura di Cristo: umana o divina ?
Nestorio,
patriarca di
Ad Antiochia (Asia minore)si riteneva che la natura umana di
Antiochia Cristo fosse prevalente, secondo l’insegnamento di Nestorio;
Ad Alessandria (Egitto) la posizione prevalente era che Cristo
avesse una natura prevalentemente divina (monofisitismo)
22. Lo scisma dei “Tre Capitoli”, vescovi italiani contro
Giustiniano.
Nel 544 Giustiniano emanò l’editto dei Tre Capitoli (diviso appunto in tre
disposizioni) con il quale condannava le posizioni di tre seguaci di
Nestorio. Esso doveva valere per tutti i territori imperiali.
I vescovi occidentali, guidati da Vigilio, vescovo di Roma, rifiutarono di
applicare l’editto, non perché favorevoli ai nestoriani, ma per contrastare
le mire espansionistiche di Giustiniano sull’Occidente.
Vigilio fu arrestato, trasferito a Costantinopoli e costretto a firmare
l’editto, ma gli altri vescovi della penisola italiana rifiutarono comunque
l’editto, e questo provocò uno scisma: VI – VII secolo.
Le sedi metropolite italiane rifiutavano ogni autorità centralistica, compresa
quella del vescovo di Roma.