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Tommaso Campanella
Presentazione
La missione: delle radici de gran mali del mondo
La vita
La Città Del Sole
Riassunto della Città del Sole
Presentazione




Frate domenicano, filosofo eretico, poeta, astrologo e mago, avventuriero, rivoluzionario, Tommaso
Campanella è l'uomo per il quale vita e pensiero, conoscenza e azione, sono una cosa sola:
                          “Io nacqui a debellar tre mali estremi:
                               tirannide, sofismi, ipocrisia”
La Missione

                                                                        C'era un pacchetto, legato con
                                                                        mezzi di fortuna, che
                                                                        viaggiava nell'aria, in una
                                                                        notte napoletana dei primi
                                                                        anni del Seicento. Seguiva
                                                                        pian piano, con qualche
                                                                        incertezza, i contorni del
                                                                        torrione del Castellano, a
                                                                        Castel    Nuovo,      fino   a
                                                                        raggiungere la mano che lo
                                                                        aspettava, e che si protendeva
                                                                        fuori dalla piccola apertura
                                                                        che, dava aria alla cella. Non
                                                                        conteneva segreti, né, in
                                                                        apparenza, oggetti preziosi:
                                                                        conteneva solo parole, alcuni
                                                                        componimenti in versi che un
altro prigioniero, Tommaso Campanella, aveva scritto e che in quel modo comunicava ai suoi
compagni di sventura, «calandoli con uno filacciolo dalla finestra del torrione». Le poesie sarebbero
arrivate così al loro destinatario, ma solo per poco tempo. Durante una perquisizione della cella,
vengono sequestrate, e vanno a finire, dopo alterne vicende, in un manoscritto della Biblioteca
Nazionale di Napoli. Fu così che fra Tommaso dovette imparare a memoria tutto quello che
scriveva, perché nessuno poteva rubargli o sottrargli i suoi pensieri, sarebbe poi venuto il momento
per poter diffondere i suoi pensieri per il vasto mondo. Trentamila pagine avrebbero occupato quei
pensieri imparati a memoria, la sua mente divenne un’immensa biblioteca i cui libri neanche
l’inquisizione avrebbe potuto bruciare.

                             Delle radici de' gran mali del mondo

                             Io nacqui a debellar tre mali estremi:
                                   tirannide, sofismi, ipocrisia;
                             ond'or m'accorgo con quanta armonia
                           Possanza, Senno, Amor m'insegnò Temi.
                               Questi princìpi son veri e sopremi
                                  della scoverta gran filosofia,
                                  rimedio contra la trina bugia,
                           sotto cui tu, piangendo, o mondo, fremi.
                           Carestie, guerre, pesti, invidia, inganno,
                             ingiustizia, lussuria, accidia, sdegno,
                             tutti a que' tre gran mali sottostanno,
                           che nel cieco amor proprio, figlio degno
                             d'ignoranza, radice e fomento hanno.
                            Dunque a diveller l'ignoranza io vegno.
Quando Antonio Querenghi,
un monsignore della corte
pontificia, che lo vuole
aiutare, lo paragona a Pico
della Mirandola, Campanella
gli    risponde      prendendo
nettamente le distanze: «Io,
signor mio, non ebbi mai li
favori e grazie singulari di
Pico, che fu nobilissimo e
ricchissimo, ed ebbe libri a
copia e maestri assai, e
comodità di filosofare e vita
tranquilla... Ma io in bassa
fortuna nacqui e dalla ventìtrè
anni di mia vita sin ad ora...
sempre fui perseguitato e
calunniato ... Ecco dunque il diverso filosofar mio da quel di Pico; ed io imparo più dall'anatomia
d'una formica o d'una erba... che non da tutti li libri che sono scritti dal principio di secoli sin a mo'»
Attraverso le sue sterminate letture è come se Campanella cercasse qualcos'altro: a esempio la
possibilità di capire - e di inscrivere nel libro della natura - le vicende piccole e straordinarie che
hanno segnato la sua vita di ragazzo. Per capire a esempio la forza magica della musica, quella che
trascina con sé i danzatori di tarantella, e libera i morsicati dalla tarantola dal potere oscuro che li
travolge, scuotendo spasmodicamente il loro corpo. O per capire «i prodigi che abbiamo visto in
mia sorella Emilia, che restò morta per otto ore e riprese vita, e ha raccontato su tutto questo cose
mirabili lo scorso anno»




E' difficile per noi anche solo immaginare quanto questo significava, di coinvolgimento personale e
totale. Per Campanella, come per Bruno, non c'è separazione tra il proprio pensiero e la propri vita:
l'uno e l'altra sono in gioco, insieme, e con essi sono in gioco le possibilità di rinnovamento che il
mondo può accogliere o rifiutare. Occuparsi di profezia, e di fisica, non significa per Campanella
solo elaborare idee. Egli si sente profeta. Osserva che le costellazioni si son spostate, che il sole si è
avvicinato alla terra: sul finire del secolo, il cielo presenta agli uomini un volto nuovo il che
significa che è possibile anche pensare a una nuova società finalmente libera e felice. E tocca a lui,
Campanella, comunicare tutto questo, cominciando da Stilo, dalla sua Calabria, così da avviare la
costruzione di quella Città del Sole che le vicende storiche relegheranno nel genere letterario
dell'utopia, nel mondo, appunto che non c'è.
Questa investitura profetica ha persino lasciato un marchio sul suo corpo: le sette bozze che porta in
testa, in corrispondenza con i sette pianeti. Di qui trae spunto per crearsi una nuova identità. Se
entrando nell'ordine domenicano il giovane Giovan Domenico era stato ribattezzato come
Tommaso, ecco che ora egli si dà un nome nuovo, Settimontano Squilla, che allude alle sette bozze
e ai senso profetico del proprio cognome: lui è la campana che risveglia, che fa aprire gli occhi. Ma
proprio per questo attira le vendette sanguinose di coloro che sono interessati a conservare il
silenzio e le tenebre

                                        Anima immortale

                          Di cervel dentro un pugno io sto, e divoro
                             tanto, che quanti libri tiene il mondo
                              non saziâr l'appetito mio profondo:
                         quanto ho mangiato! e del digiun pur moro.
                          D'un gran mondo Aristarco, e Metrodoro
                           di più cibommi, e più di fame abbondo;
                               disiando e sentendo, giro in tondo;
                            e quanto intendo più, tanto più ignoro.
                        Dunque immagin sono io del Padre immenso,
                           che gli enti, come il mar li pesci, cinge,
                                e sol è oggetto dell'amante senso;
                        cui il sillogismo è stral, che al segno attinge;
                              l'autorità è man d'altri; donde penso
                             sol certo e lieto chi s'illuia e incinge.
La Vita
Nelle campagne di Stilo, a Stignano uno dei casali
del piccolo paesino ionico della Calabria, terra
desolata dal malgoverno spagnolo, dalle calamità
naturali e dalle scorrerie turche, nasce il 5 settembre
1568 in una casa dove per far luce si accendeva un
fascio di stoppie, Giovan Domenico Campanella,
dal padre Geronimo, ciabattino analfabeta ma
saggio, e da Caterinella Martello, un'intelligente
contadina con tanti figli da accudire. Il piccolo
Giovan Domenico, assetato di una voglia
insaziabile di conoscere e scoprire, cresce con i
racconti paterni attorno al focolare domestico, dai
quali intuisce che la possibilità di apprendere
passava, così come avveniva fino a pochi decenni
prima, attraverso la chiesa. Precocissimo, brucia in
lui la sete di sapere: ammaliato dall'eloquenza di un
frate domenicano, a 13 anni entra nell'Ordine dei
predicatori e diventa frate Tommaso. I suoi maestri
delle discipline grammaticali, filosofiche e
teologiche iniziano ad alimentare forti dubbi nel
giovane dotato di sfavillante ingegno: Campanella,
Campanella, tu non farai buon fine, dice il maestro
dei novizi al domenicano dall'ingegno vivace che nelle sue poesie scriveva: "Di cervel dentro un
pugno io sto, e divoro tanto, che quanti libri tiene il mondo non saziar l'appetito mio profondo:
quanto ho mangiato! e del digiun pur moro". Nel 1588 arriva a Cosenza, 'l'Atene delle Calabrie', che
in quel periodo gode il suo massimo splendore, ricca di effervescenza culturale, grazie
all'Accademia cosentina, rifondata da B. Telesio. Dopo un viaggio occasionale, svolto a bordo di
una carrozza a quattro cavalli, ad accogliere il giovane Campanella nel convento dei Domenicani
                                                      (un tempo sede dell'Università, la terza del
                                                      Viceregno) sito nei pressi della confluenza del
                                                      fiume Crati con il Busento, è padre Enriquez. E'
                                                      qui che il grande pensatore inizia a divorare i
                                                      testi telesiani introvabili altrove ed inizia ad
                                                      entusiasmarsi per le opere di quello che
                                                      considererà il suo maestro di vita e che, pur non
                                                      riuscendolo mai ad incontrare personalmente,
                                                      rimarrà sempre l'ispiratore della sua fisica e
                                                      cosmologia.
                                                      Il 3 ottobre 1588 Telesio muore e Campanella,
                                                      portandosi nel Duomo di Cosenza per rendere
                                                      omaggio alla salma del suo maestro, da lui
                                                      considerato il genio più grande di tutto l'intero
                                                      secolo, per ringraziarlo dei suoi preziosi
                                                      insegnamenti e per aver ricevuto l'ispirazione
                                                      divina alle confluenze dei fiumi, getta sul
                                                      catafalco un madrigale in latino di omaggio
                                                      devoto.
                                                      Nell'autunno del 1588 Campanella viene
allontanato dai suoi superiori dal convento di Cosenza, per aver pronunciato l'elogio funebre del
filosofo eterodosso cosentino e per aver stretto amicizia con un astrologo negromante di nome
Abrahm. Fu trasferito nel convento di Altomonte, dove compose in pochi mesi una nutrita apologia
del Telesio con il titolo di Philosophia sensibus demonstrata, la filosofia dimostrata con i sensi e
non più appresa supinamente sui libri.
Incurante dell'obbligo di residenza, si reca a Napoli dove nel 1591 subisce un primo processo 'per
congiura con i demoni'; prosciolto dal processo inizia a viaggiare, partendo da Roma, quindi
Firenze, Bologna e Padova, dove studia per un anno. Insofferente all'aristotelismo dogmatico inizia
ad esplorare senza remore lo scibile del suo tempo.
In seguito alle sue idee poco ortodosse in materia religiosa, si ritrovò ben presto nel mirino degli
inquisitori, dai quali fu accusato di eresia e rinchiuso in carcere a Roma. Infrazioni disciplinari,
intemperanze verbali, opinioni eterodosse, dispute incaute, forniscono al Sant'Uffizio materia per un
duplice processo che si concluderà in Roma nel dicembre 1597 con l'ordine di far rientro verso la
nativa Calabria. Nel 1599 tornò in Calabria a Squillace dove tentò di organizzare una rivolta contro
il dominio spagnolo a favore dei Turchi e di gettare le basi per una profonda riforma religiosa, ma
fu tradito da alcuni compagni e, dopo aver tentato la fuga, fu processato e condannato a morte nel
carcere di Castel dell'Ovo a Napoli, un fortilizio di origine normanna. Sfuggì alla condanna a morte
simulando la pazzia per 27 anni, senza cedere alle pesanti torture cui venne sottoposto nel tentativo
si strappargli l'abiura. In questo periodo malgrado la sorveglianza persecutoria, le proibitive
condizioni ambientali, le torture, la mancanza di libri, ritesseva le 30.000 pagine dell'immensa tela
delle sue opere. Durante la prigionia compose La monarchia di Spagna, La Teologia, L'Apologia
pro Galileo, le Poesie, La Città del Sole.
La Città del Sole
                                             I Solari o abitanti della Città del Sole vivendo in simbiosi
                                             con la natura che li circonda, riescono ad avere con essa
                                             un rapporto di armonia e di rispetto secondo il giusto
                                             presupposto che il genere umano non è avulso dal resto
                                             dell'ambiente ma ne è parte integrante e di esso è una
                                             componente fondamentale. Credono nell'immortalità
                                             dell'anima e rivolgono le preghiere più solenni al cielo di
                                             cui indagano i segreti astrologici.
                                             Le fonti delle poesie di Campanella sono i classici latini
                                             Lucrezio e Virgilio, ma hanno un'influenza determinante
                                             anche Gioacchino da Fiore e Dante. Campanella spesso
                                             si propone in esse, non senza enfasi, come portavoce
                                             della verità: Io nacqui a debellar tre mali estremi:
                                             tirannide, sofismi, ipocrisia; [...], dunque a diveller
                                             l'ignoranza io vengo.
                                             In tutte queste opere come nelle successive, è presente la
                                             fisica naturalistica di Telesio che gli si rivelò coerente e
                                             liberatrice, svincolata dall'aristotelismo dominante che i
                                             docenti ripetevano meccanicamente da secoli e sulla
                                             quale avevano costruito il loro potere accademico e
                                             religioso. Telesio il telo della tua faretra uccide dai
                                             sofisti in mezzo al campo degli ingegni il tiranno senza
                                             scampo; libertà dolce alla verità, impetra. Nel 1604 è
                                             trasferito a Castel sant'Elmo in una fossa sotterranea
umida e senza luce, ove resta legato mani e piedi per quattro durissimi anni tra sofferenze ed
umiliazioni. Nel 1613 Campanella ricevette Tobia Adami, letterato tedesco che riuscì a salvare
parte dei suoi manoscritti che venivano ricomposti e rielaborati più volte in seguito ai sequestri dei
suoi carcerieri, consegnandogli tutte le sue maggiori opere che questi trasporta in Germania. Inizia
ad intrecciare un carteggio quotidiano di oltre 200 lettere. L'autore preferì firmarsi "Settimontano
Squilla", attraverso una duplice allusione al senso profetico del proprio cognome. Campanella si
sente un profeta; ha sette protuberanze in testa sulla sua scatola cranica in corrispondenza con i sette
pianeti allora conosciuti. Campanella diventa Squilla: è lui la campana che risveglia, che fa aprire
gli occhi alle genti e di conseguenza non può che attirarsi l'ira di coloro i quali nel governare
vogliono mantenere le tenebre. Dopo essere trasferito da Napoli a Roma, nel 1626 riacquistò una
parziale libertà. Fu una libertà effimera in quanto subito dopo un mese viene di nuovo incarcerato a
Roma per rendere conto al tribunale ecclesiastico di quei fatti che la giustizia laica gli aveva
rimesso dopo una lunga espiazione. Rimase quindi per altri due anni di dura prigionia nel palazzo
romano del Sant'Uffizio, e fu rimesso in libertà per intercessione del Papa Urbano VIII di cui si
attirò il favore grazie alla sua conoscenza della magia. Fu costretto poi dall'invidia dei curiali a
fuggire da Roma e a rifugiarsi in Francia, dietro suggerimento del Pontefice, per timore di essere
accusato di un nuovo complotto contro la Spagna, dove potè godere della benevolenza di numerosi
suoi estimatori. L'1 dicembre 1634 veniva accolto a Parigi da tutto il mondo della cultura,
diventando consigliere politico del potente cardinale Richelieu, che gli assicura onori ed una sorta
di vitalizio. L'indomabile perseguitato però non rinuncia a calmare il suo spirito ribelle e continua a
lottare per i suoi forti ideali politici e religiosi che trovano l'espressione più alta nell'universale
monarchia cattolica unificatrice di tutta la terra. La guerra dei trent'anni, entra nel vivo e Parigi
festeggia la nascita del futuro Luigi XIV al quale Campanella prepara l'oroscopo alla presenza di re
Luigi XIII che ne rimane affascinato. All'alba del 21 Maggio 1639 spirò tra le preghiere dei
confratelli domenicani del convento della Rue St-Honorè. E' sepolto nella fossa comune come
semplice frate in pieno rispetto delle sue ultime volontà. Le sue ceneri in seguito all'abbattimento di
quell'edificio nel 1793, andarono disperse. Tutti gli uomini cha amano il sapere, la forza e l’amore
lo piangono, ma, soprattutto, lo ricordano.
Riassunto Della Citta' Del Sole
UNA SOMMARIA DESCRIZIONE DELLA CITTA' : Sorge nell'alta campagna un colle, sopra il
quale sta la maggior parte della città; ma arrivano i suoi giri molto spazio fuor delle radici del
monte, il quale è tanto, che la città fa due miglia di diametro e più, e viene ad essere sette miglia di
circolo; ma, per la levatura, più abitazioni ha, che si fosse in piano. La città è distinta in sette gironi
grandissimi, nominati dalli sette pianeti, e s'entra dall'uno all'altro per quattro strade e per quattro
porte, alli quattro angoli del mondo spettanti; ma sta in modo che, se fosse espugnato il primo
girone, bisogna più travaglio al secondo e poi più; talché sette fiate bisogna espugnarla per vincerla.
Ma io son di parere, che neanche il primo si può, tanto è grosso e terrapieno, ed ha valguardi,
torrioni, artelleria e fossati di fuora.

I REGGITORI DELLA CITTA' : Un Principe Sacerdote tra loro, che s'appella Sole, e in lingua
nostra si dice Metafisico: questo è capo di tutti in spirituale e temporale, e tutti li negozi in lui si
terminano. Ha tre Principi collaterali: Pon, Sin, Mor, che vuol dir: Potestà, Sapienza e Amore. Il
Potestà ha cura delle guerre e delle paci e dell'arte militare; è supremo nella guerra, ma non sopra
Sole; ha cura dell'offiziali, guerrieri, soldati, munizioni, fortificazioni ed espugnazioni. Il Sapienza
ha cura di tutte le scienze e delli dottori e magistrati dell'arti liberali e meccaniche, tiene sotto di sé
tanti offiziali quante son le scienze: ci è l'Astrologo, il Cosmografo, il Geometra, il Loico, il
Rettorico, il Grammatico, il Medico, il Fisico, il Politico, il Morale; e tiene un libro solo, dove stan
tutte le scienze, che fa leggere a tutto il popolo ad usanza di Pitagorici. E questo ha fatto pingere in
tutte le muraglie, su li rivellini, dentro e di fuori, tutte le scienze. (...) Il Amore ha cura della
generazione, con unir li maschi e le femine in modo che faccin buona razza; e si riden di noi che
attendemo alla razza de cani e cavalli, e trascuramo la nostra. Tien cura dell'educazione, delle
medicine, spezierie, del seminare e raccogliere li frutti, delle biade, delle mense e d'ogni altra cosa
pertinente al vitto e vestito e coito, ed ha molti maestri e maestre dedicate a queste arti. Il Metafisico
tratta tutti questi negozi con loro, ché senza lui nulla si fa, ed ogni cosa la communicano essi
quattro, e dove il Metafisico inchina, son d'accordo.

COMUNISMO DI BENI E DI AFFETTI : Tutte cose son communi; ma stan in man di offiziali le
dispense, onde non solo il vitto, ma le scienze e onori e spassi son communi, ma in maniera che non
si può appropriare cosa alcuna. Dicono essi che tutta la proprietà nasce da far casa appartata, e figli
e moglie propria, onde nasce l'amor proprio; ché, per sublimar a ricchezze o a dignità il figlio o
lasciarlo erede, ognuno diventa o rapace publico, se non ha timore, sendo potente; o avaro ed
insidioso ed ippocrita, si è impotente. Ma quando perdono l'amor proprio, resta il commune solo.

L'EDUCAZIONE : E s'allevan tutti in tutte l'arti. Dopo gli tre anni li fanciulli imparano la lingua e
l'alfabeto nelle mura, caminando in quattro schiere; e quattro vecchi li guidano e insegnano, e poi li
fan giocare e correre, per rinforzarli, e sempre scalzi e scapigli, fin alli sette anni, e li conducono
nell'officine dell'arti, cosidori, pittori, orefici, ecc.; e mirano l'inclinazione. Dopo li sette anni vanno
alle lezioni delle scienze naturali, tutti; ché son quattro lettori della medesima lezione, e in quattro
ore tutte quattro le squadre si spediscono; perché, mentre gli altri si esercitano col corpo, o fan gli
pubblici servizi, gli altri stanno alla lezione. Poi tutti si mettono alle matematiche, medicine ed altre
scienze, e ci è continua disputa tra di loro e concorrenza; e quelli poi diventano offiziali di quella
scienza, dove miglior profitto fanno, o di quell'arte meccanica, perché ognuna ha il suo capo. Ed in
campagna, nei lavori e nella pastura delle bestie pur vanno a imparare; e quello è tenuto di più gran
nobiltà, che più arti impara, e meglio le fa. Onde si ridono di noi, che gli artefici appellamo ignobili,
e diciamo nobili quelli, che null'arte imparano e stanno oziosi e tengon in ozio e lascivia tanti
servitori con roina della republica.
LA GIUSTIZIA : Le leggi son pochissime, tutte scritte in una tavola di rame alla porta del tempio,
cioè nelle colonne, nelle quali ci son scritte tutte le quiddità delle cose in breve: che cosa è Dio, che
cosa è angelo, che cosa è mondo, stella, uomo, ecc., con gran sale, e d'ogni virtù la diffinizione. E li
giudici d'ogni virtù hanno la sedia in quel loco, quando giudicano, e dicono: "Ecco, tu peccasti
contra questa diffinizione: leggi"; e così poi lo condanna o d'ingratitudine o di pigrizia o
d'ignoranza; e le condanne son certe vere medicine, più che pene, e di soavità grande.

LA RELIGIONE : Sommo sacerdote è il Sole; e tutti gli offiziali son sacerdoti, parlando delli capi,
ed offizio loro è purgar le conscienze. Talché tutti si confessano a quelli, ed essi imparano che sorti
di peccati regnano. E si confessano alli tre maggiori tanto li peccati propri, quanto gli strani in
genere, senza nominare gli peccatori, e li tre poi si confessano al Sole. Il quale conosce che sorti di
errori corrono e sovviene alli bisogni della città e fa a Dio sacrifizio ed orazioni, a cui esso confessa
li peccati suoi e di tutto il popolo publicamente in su l'altare, ogni volta che sia necessario per
amendarli, senza nominar alcuno. E così assolve il popolo, ammonendo che si guardi in quelli
errori, e confessa i suoi in publico e poi fa sacrifizio a Dio, che voglia assolvere tutta la città ed
ammaestrarla e difenderla.

UN SACRIFICIO INCRUENTO : Il sacrifizio è questo, che dimanda al popolo chi si vol sacrificare
per gli suoi membri, e così un di quelli più buoni si sacrifica. E 'l sacerdote lo pone sopra una
tavola, che è tenuta da quattro funi, che stanno a quattro girelle della cupola, e, fatta l'orazione a Dio
che riceva quel sacrifizio nobile e voluntario umano (non di bestie involuntarie, come fanno i
Gentili), fa tirar le funi; e questo saglie in alto alla cupoletta e qui si mette in orazione; e li si dà da
magnare parcamente, sino a tanto che la città è espiata. Ed esso con orazioni e digiuni prega Dio,
che riceva il pronto sacrifizio suo; e così, dopo venti o trenta giorni, placata l'ira di Dio, torna a
basso per le parti di fuore o si fa sacerdote; e questo è sempre onorato e ben voluto, perché esso si
dà per morto, ma Dio non vuol che mora.

LA PREGHIERA : L'orazioni si fan alli quattro angoli del mondo orizzontali, e la mattina prima a
levante, poi a ponente, poi ad austro, poi a settentrione; la sera al riverso, prima a ponente, poi a
levante, poi a settentrione, poi ad austro.

IL SOLE : Onorano il sole e le stelle come cose viventi e statue di Dio e tempi celesti; ma non
l'adorano, e più onorano il sole. Nulla creatura adorano di latria, altro che Dio, e pero a lui serveno
solo sotto l'insegna del sole, ch'è insegna e volto di Dio, da cui viene la luce e 'l calore ed ogni altra
cosa. Pero l'altare è come un sole fatto, e li sacerdoti pregano Dio nel sole e nelle stelle, com'in
altari, e nel cielo, come tempio; e chiamano gli angeli buoni per intercessori, che stanno nelle stelle,
vive case loro, e che le bellezze sue Dio più le mostro in cielo e nel sole, come suo trofeo e statua.

L'IMMORTALITA' : Tengono per cosa certa l'immortalità dell'anima, e che s'accompagni,
morendo, con spiriti buoni o rei, secondo il merito. Ma li luoghi delle pene e premi non l'han tanto
per certi; ma assai ragionevole pare che sia il cielo e i luochi sotterranei. Stanno anche molto curiosi
di sapere se queste sono eterne o no. Di più son certi che vi siano angeli buoni e tristi, come avviene
tra gli uomini, ma quel che sarà di loro aspettano avviso dal cielo. Stanno in dubbio se ci siano altri
mondi fuori di questo, ma stimano pazzia dir che non ci sia niente, perché il niente né dentro né
fuori del mondo è, e Dio, infinito ente, non comporta il niente seco.

IL PECCATO ORIGINALE : Essi confessano che nel mondo ci sia gran corruttela, e che gli uomini
si reggono follemente e non con ragione; e che i buoni pateno e i tristi reggono; (...). Dal che
argomentano che ci sia stato gran scompiglio nelle cose umane(...); ma confessano che l'età del
mondo succedono secondo l'ordine di pianeti (...). E questa nostra età par che sia di Mercurio, si
bene le congiunzioni magne l'intravariano, e l'anomalie han gran forza fatale. Finalmente dicono
ch'è felice il cristiano, che si contenta di credere che sia avvenuto per il peccato d'Adamo tanto
scompiglio, e credono che dai padri a' figli corre il male più della pena che della colpa.

UN AUSPICIO EUROCENTRICO : Se questi, che seguon solo la legge della natura, sono tanto
vicini al cristianesimo, che nulla cosa aggiunge alla legge naturale si non i sacramenti, io cavo
argumento di questa relazione che la vera legge è la cristiana, e che, tolti gli abusi, sarà signora del
mondo. E che pero gli Spagnuoli trovaro il resto del mondo, benché il primo trovatore fu il
Colombo vostro genovese, per unirlo tutto ad una legge; e questi filosofi saran testimoni della
verità, eletti da Dio.




IL PENSIERO DI CAMPANELLA
Al pensiero di Telesio si ispira direttamente, almeno all' inizio della propria attività filosofica,
Tommaso Campanella . Il pensiero di Campanella ha in comune con quello di Telesio il principio
della consapevolezza del proprio sentire. In Campanella tuttavia, questo assunto si trasforma, con
più forza e più esplicitamente che in Telesio , nel principio dell'universale animazione della natura .
Il mondo naturale appare come permeato da una forza di attrazione che induce tutti i corpi a
ricercare il contatto vicendevole e a godere di esso, in modo da riempire ogni porzione dello spazio
ed eliminare il vuoto. Gli esseri si trovano pertanto in un rapporto di universale interazione
reciproca: studiando tale connessione e le proprietà naturali degli enti, che da essa conseguono,
l'uomo può intervenire sulla natura per mezzo della magia - tema assente in Telesio - la quale trova
quindi una piena legittimazione come strumento di indagine e di operatività . La nozione di una
universale interazione delle cose implica immediatamente il principio dell' unità della natura,
comprovato del resto dal fatto che da Dio, che è assoluta unità , non può derivare nulla di
sostanzialmente molteplice . Di conseguenza, la molteplicità é mera apparenza : la differenziazione
dei singoli esseri finiti non si fonda su una distinzione reale e metafisica , ma soltanto sulla loro
distinguibilità logica e formale . Essendo se stessa , ogni cosa si differenzia dalle altre , non é le
altre : in questo senso essa contiene il non essere , il nulla . Ma tale non essere , e la molteplicità che
su di esso si fonda , é un' astrazione che può essere colta solo dalla ragione e non tocca la sostanza
del mondo , che é e che non può che essere unica e unitaria . Nella natura Campanella vede operare
tre principi fondamentali ( o " proprincipi " ) cui egli dà il nome di primalità dell' essere. La prima é
la potenza , in virtù della quale gli enti possono essere e agire . La seconda é la sapienza, intesa ( in
base al principio della sensibilità universale ) come un senso che di per sè permette agli enti non
solo di conoscere se stessi , ma anche i propri contrari , in modo da diventare principio di azione e
di ordine in tutto il mondo naturale. La terza é l' amore, inteso, oltrechè come principio di
unificazione, come tendenza alla conservazione di sè e della propria specie ( come già diceva
Platone ) . Questi principi costitutivi dell' essere, essendo coessenziali e indisgiungibili, presentano
pari dignità e valore: ciononostante essi sembrano assumere di volta in volta una posizione
preminente a seconda del punto di vista dal quale vengono considerati . Nel mondo, inoltre, le
primalità si trovano in forma impura, frammiste con i rispettivi predicati negativi dell' impotenza ,
dell' insipienza e dell' odio . Ma nell' ente supremo esse si trovano allo stato puro e definiscono i tre
predicati essenziali della divinità . Il rapporto tra le primalità allo stato puro e le loro manifestazioni
impure definisce anche il rapporto insieme di immanenza e di trascendenza che intercorre tra Dio e
il mondo : pur essendo "a tutte cose interno", principio vivificatore e animatore della natura, Dio
non si risolve nè nelle singole manifestazioni di essa nè nella loro somma quantitativa . La teoria
della conoscenza di Campanella mutua dal pensiero di Telesio il privilegiamento della sensibilità su
ogni altra forma di sapere . Tuttavia la gnoseologia di Campanella presenta un' articolazione più
complessa di quella telesiana e, soprattutto, é strettamente connessa con la dottrina metafisica delle
primalità dell' essere. Ciascuna delle tre primalità può esplicare se stessa solo in virtù di un
originario riferimento al soggetto . Così la prima primalità é potenza di agire e di patire soltanto in
quanto é potenza di essere un soggetto che agisce e che patisce . La primalità dell' amore induce gli
enti a permanere nel loro stato, in quanto ciascuno di essi ama il proprio essere ( come oggetto ) e
fonda su ciò il proprio rapporto con gli oggetti esterni: amiamo il cibo che ci nutre in quanto
amiamo noi stessi nutriti; amiamo la luce che ci illumina in quanto amiamo noi stessi illuminati . La
primalità della sapienza, a sua volta, é conoscenza della realtà in quanto é primariamente
conoscenza di sè e solo conseguentemente conoscenza delle modificazioni che gli oggetti esterni
imprimono sul soggetto: non si conoscono direttamente le cose, ma si conosce se stessi modificati
dalle cose. La relazione tra il soggetto conoscente e l' oggetto conosciuto si fonda su un originario
rapporto del soggetto con se stesso. Campanella distingue dunque una forma di conoscenza illata ,
cioè proveniente dall' esterno, e una forma di conoscenza innata, consistente appunto nella
originaria consapevolezza che il soggetto ha di se stesso. Senza questo originario e preliminare
sapere di sè ( scire sui ) non sarebbe infatti possibile alcuna consapevolezza del mutamento indotto
nel soggetto dall' azione degli oggetti esterni e , quindi, neppure alcuna conoscenza di questi ultimi .
Il conoscere implica un parziale permanere nel proprio stato originale e un parziale mutarsi . Esso
significa, in certa misura , " divenire altro ", cioè morire in parte a se stessi . La conoscenza , come
trasmutazione della natura del conoscibile , é una perdita parziale di essere , un aspetto del continuo
divenire proprio della caducità degli enti creati . Per ciò stesso , tuttavia , essa fornisce un accesso
alla vita eterna quando come oggetto conoscibile si ponga la divinità : in questo caso il risolversi
nell' oggetto conoscibile implica una trasmutazione della natura divina . Anche nella dottrina della
conoscenza , quindi , Campanella conferma la profonda religiosità del proprio pensiero . Il mondo
della natura viene da Campanella investito di sacralità . Esso é per un verso un libro scritto dalla
mano di Dio e per altro verso il tempio vivente di Dio stesso . L' aspetto della vitalità é ciò che
maggiormente conta agli occhi di Campanella , che in esso pone le basi di una rinnovata formazione
religiosa e intellettuale dell' uomo . Il libro del mondo rappresenta il testo originale al quale
rivolgersi , perchè sommo é il suo autore , mentre i libri dei filosofi ne sono solamente trascrizioni ,
che in quanto tali sono intaccate da molteplici errori . Campanella si pone dunque in aperta
polemica con la cultura libresca , nei confronti della quale l' appello alla natura riveste la funzione
di un richiamo all' importanza dell' esperienza diretta . La pur stimabile figura di Pico della
Mirandola rappresenta l' archetipo dell' intellettuale da biblioteca , nutrito di libri , ma soltanto di
quelli . Dal canto suo , Campanella dichiara di aver imparato dall' " anatomia " , cioè dall'
investigazione diretta , di un filo d' erba o di una formica più di quanto avrebbe potuto imparare da
tutti i libri letti da Pico . L' esigenza dell' istruzione ( fermo restando che essa deve fondarsi sull'
esperienza ) é costantemente proclamata da Campanella . Essa va intesa , da un lato , come nuova
formazione dell' intellettuale , sollecitato a sottrarsi ai condizionamenti della cultura tradizionale , e
, dall' altro , come vera e propria istruzione popolare . Nella Città del sole si manifesta una grande
attenzione per l' educazione dei fanciulli , sviluppata secondo criteri rigorosamente collettivistici e
fondata sul richiamo all' esperienza , alla pratica , al contatto diretto tra il discente e l' oggetto di
conoscenza . La città stessa , sulle cui mura sono raffigurate le storie del passato , diventa libro . Il
programma pedagogico é essenziale al sistema filosofico di Campanella . La prospettiva eroica
nella quale egli si propone al lettore é proclamazione di una missione volta alla rigenerazione del
genere umano , la quale non potrà realizzarsi se innanzi tutto non si provvederà a divellare l'
ignoranza : questa é infatti la radice dalla quale nascono i tre grandi mali del mondo . Essi sono la
tirannide , cioè il degenerare del potere politico in un arbitrio umano che ha smarrito il rapporto con
l' autorità divina ; i sofismi , cioè il degenerare della cultura in un verbalismo che ha perso il
rapporto con la realtà ; l' ipocrisia , cioè il degenerare di una religiosità che ha dimenticato il
rapporto con l' interiorità , unica garanzia dell' unione tra divino e umano . Il vero filosofo , infatti ,
persegue e realizza il fine ultimo dell' universo contemplando Dio che é interno a tutte le cose .
Strettamente connesso all' esigenza di rinnovamento é anche il pensiero politico di Campanella ,
esposto nella Città del sole . Ministri di Sol sono Pon , Sin e Mor ( personificazioni delle tre
primalità della potenza , della sapienza e dell' amore ) ai quali spetta rispettivamente il controllo
della guerra ( Pon ) , delle scienze e delle arti ( Sin ) , della salute e della riproduzione ( Mor ) .
Nella Città del sole , infatti , vige una vigorosa comunione dei beni e delle donne : i congiungimenti
sono regolati dal potere pubblico in modo da promuovere , per così dire , il progresso genetico della
stirpe . Elemento importante della vita pubblica é il lavoro , che é considerato l' unico fattore di
differenziazione dei cittadini in base alle loro capacità . L' utopia di Campanella é sinceramente
animata dalla duplice esigenza di realizzare la giustizia sociale e di educare gli uomini ai più
genuini valori e alla vera religiosità : ma gli strumenti che egli propone , non lasciando quasi
nessuno spazio alla libertà dell' autodeterminazione individuale , rendono la sua utopia assai meno
moderna di quella formulata quasi un secolo prima da Tommaso Moro .
Tarantella
Il termine tarantella non e´altro che il semplice diminutivo di “taranta”. In latino ( lycosa tarentula)
indica la “tarantola” e cioè il particolare mitico ragno frequente nel territorio apulo intorno
all'importante città della Magna Grecia ionica (corrispondente alla Puglia centro-meridionale)
Taranto.
Il nome del ballo riconduce al rituale di terapia coreutico-musicale del tarantismo e cioè alla
credenza di scacciare mali fisici e psichici causati dal mitico morso della tarantola attraverso una
danza sfrenata e prolungata. Questo tipo di terapia riconosciuto dal punto di vista medico nella città
di Taranto ai tempi della Magna Grecia ha dato forse il nome alla danza e riconduce quindi ad una
probabile influenza dei riti Dionisiaci diffusi in Grecia.
Il tarantismo, come fenomeno mitico e magico-rituale di cura o di venerazione del morso di un
animale trova analogie anche in altre aree del Mediterraneo (l'argia in Sardegna con coreo-terapia,
tarantola o scorpione in Spagna o in Portogallo con analogo ballo detto tarantella, identificazioni
con altri animali in Marocco e Algeria, vipere e serpenti di S. Domenico, S. Donato, S. Sabino, S.
Vito, S. Paolo e altri protettori in varie parti del sud Italia, le danzamanie del ballo di S. Vito nella
Germania medioevale, etc.). Tale ramificazione del rito è chiaro segno di un diffuso bisogno di
enfatizzare e nel contempo di esorcizzare nemici naturali visti come emblema del male, di ricerca di
protezione e di integrazione sociale dei sofferenti di malattie mentali e psichiche, ma anche forse
come residuo di antichi processi di deificazioni zoomorfe.
Nel sud d'Italia, accanto alla danza come mezzo terapeutico per guarire dal male o per lenirne gli
effetti (tipico del tarantismo pugliese, che però comprende anche il fenomeno di identificazione e di
violento antagonismo con il ragno) è attestata la credenza popolare secondo la quale il ballare
insistentemente la tarantella sia solo uno dei possibili effetti del morso della tarantola, così come
                                                                                         quella del
                                                                                         cantare, di
                                                                                         gridare, di fare
                                                                                         il buffone, di
                                                                                         rotolarsi per
                                                                                         terra o saltare.
                                                                                         Tutti questi
                                                                                         risvolti di un
                                                                                         medesimo
                                                                                         complesso
                                                                                         fenomeno di
                                                                                         rapporto
                                                                                         magico-
                                                                                         simbolico col
                                                                                         mondo animale
                                                                                         e di medicina
                                                                                         popolare
                                                                                         rivelano i
                                                                                         parallelismi
                                                                                         con un altro
evento più antico vissuto anch'esso in ambito religioso o negli anfratti della religione marginale di
molti popoli antichi del mediterraneo ed orientali: l'estasi.
Giungere attraverso la danza ad uno stato di sospensione dell'esercizio dei sensi, alla perdita della
coscienza di sé e della realtà per mettersi in contatto con la dimensione soprannaturale,
incamerando dosi eccezionali di forza fisica e morale e poteri straordinari (quali la chiaroveggenza,
lo stato mediatico, la personificazione di altrui identità, ecc.) è probabilmente il nucleo archetipo
della tarantella come danza di esaltazione, di ebbrezza psicofisica, di taumaturgia.
ARGIA
S'argia l'essere soprannaturale, l'animaletto velenoso e mortale che punge perché ama danzare,
cantare e travestirsi. In Sardegna riso e pianto, festa e malattia si confondono nell'Argia, la tarantola
sempre pronta a colpire chi per lei si cimenterà in balli e canti sfrenati.
In Sardegna la amano perché dà vita a feste e divertimenti, la odiano perché provoca malattia e
umiliazione: si tratta dell'argia, una vera e propria ballerina variopinta. In realtà è un animaletto
piccolo e molto velenoso: alcuni lo descrivono come un ragno, altri come una grossa formica.
In ogni caso, la sua puntura può essere mortale se non curata nei tempi e nei modi imposti dalla
tradizione.
S'argia è avvolta da mille misteri: per i sardi è la sola sopravissuta allo sterminio voluto da Dio
degli animali velenosi dell'isola. Rari gli incontri con qualche "argia maschio": quasi unicamente
"femmina", si presenta con tanto di corpetto e gonna. I colori degli abiti indicano il suo stato civile,
come per le donne sarde: nubile, sposata o vedova. Il nero indica la vedova, il bianco la nubile, il
maculato la sposa.
Nell'isola, la vita agricola e pastorale sono molto faticose, dure e senza riposo. A volte il pastore o il
contadino decide di distendersi solo per un attimo all'ombra di un albero... proprio allora l'argia è
pronta a colpire. Non c'è un orario preferito dall'argia: la notte, l'alba, il mezzogiorno, non importa.
Sicuramente punge d'estate, in campagna, durante i lavori pastorali, di mietitura, di spigolatura o di
raccolta delle fave. Comunque sempre nei momenti di stanchezza, di riposo e di abbandono, quando
il lavoratore è meno vigile. Predilige gli uomini alle donne. I contadini imparano fin da bambini a
stare attenti alle punture dell'argia. Prima di andare a letto pronunciano vari scongiuri contro questo
pericoloso nemico. Se si accorgono di essere stati punti disinfettano subito la parte colpita
urinandoci sopra: la vera cura, però, sarà un'altra...
Dopo la puntura dell'argia, la vittima non è più la stessa persona: subisce una vera e propria
possessione da parte dell'animale. L'unica speranza di salvezza è scoprire le caratteristiche dell'argia
colpevole.Tutto il paese si impegna in questa "indagine": si suona e si danza per scoprire le
preferenze dell'argia. Si fanno indossare al malato abiti femminili dai diversi colori per poter capire
se l'argia è nubile, sposa o vedova. Si cerca anche di interrogare il malato stesso per ottenere altre
informazioni. Il risultato? Una festa ricca di suoni, balli e colori. L'argia deve essere messa allo
scoperto entro tre giorni esatti: solo dopo essere stata individuata e accontentata si allontanerà e
permetterà al malato di ritrovare la sua identità e dignità.
In Sardegna la puntura dell'argia è curata anche con altri sistemi, diversi dal ballo e dal
travestimento. In alcuni paesi, le donne si dispongono intorno al malato e muovono i loro setacci
per la farina su telai di legno. Accompagnano i suoni di questi strumenti tradizionali con tipici canti
femminili.
In altre zone dell'isola, per la cura si prepara un grande forno all'aperto. Si accende il fuoco con
tralci di vite posti a formare una croce. Il malato si siede accanto alle fiamme mentre altri ballano
vicino a lui, con in mano tralci di vite accesi. Nel sassarese, invece, l'infortunato è avvolto in un
sacco e seppellito fino al collo nel letame. Il corpo della vittima è talvolta semplicemente immerso
in una tinozza piena di acqua calda.
L'ARGIA OGGI
Non aver paura di riposarti all'ombra di qualche albero, nelle vaste campagne della Sardegna: ormai
l'argia sembra essersi decisa a lasciar perdere balli e canti. Si sente spesso dire che le arge sono
morte: come, quando e perché non si sa. Ma una cosa è certa: le danze e le feste in Sardegna sono
più vive che mai.

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Tommaso Campanella

  • 1. Tommaso Campanella Presentazione La missione: delle radici de gran mali del mondo La vita La Città Del Sole Riassunto della Città del Sole
  • 2. Presentazione Frate domenicano, filosofo eretico, poeta, astrologo e mago, avventuriero, rivoluzionario, Tommaso Campanella è l'uomo per il quale vita e pensiero, conoscenza e azione, sono una cosa sola: “Io nacqui a debellar tre mali estremi: tirannide, sofismi, ipocrisia”
  • 3. La Missione C'era un pacchetto, legato con mezzi di fortuna, che viaggiava nell'aria, in una notte napoletana dei primi anni del Seicento. Seguiva pian piano, con qualche incertezza, i contorni del torrione del Castellano, a Castel Nuovo, fino a raggiungere la mano che lo aspettava, e che si protendeva fuori dalla piccola apertura che, dava aria alla cella. Non conteneva segreti, né, in apparenza, oggetti preziosi: conteneva solo parole, alcuni componimenti in versi che un altro prigioniero, Tommaso Campanella, aveva scritto e che in quel modo comunicava ai suoi compagni di sventura, «calandoli con uno filacciolo dalla finestra del torrione». Le poesie sarebbero arrivate così al loro destinatario, ma solo per poco tempo. Durante una perquisizione della cella, vengono sequestrate, e vanno a finire, dopo alterne vicende, in un manoscritto della Biblioteca Nazionale di Napoli. Fu così che fra Tommaso dovette imparare a memoria tutto quello che scriveva, perché nessuno poteva rubargli o sottrargli i suoi pensieri, sarebbe poi venuto il momento per poter diffondere i suoi pensieri per il vasto mondo. Trentamila pagine avrebbero occupato quei pensieri imparati a memoria, la sua mente divenne un’immensa biblioteca i cui libri neanche l’inquisizione avrebbe potuto bruciare. Delle radici de' gran mali del mondo Io nacqui a debellar tre mali estremi: tirannide, sofismi, ipocrisia; ond'or m'accorgo con quanta armonia Possanza, Senno, Amor m'insegnò Temi. Questi princìpi son veri e sopremi della scoverta gran filosofia, rimedio contra la trina bugia, sotto cui tu, piangendo, o mondo, fremi. Carestie, guerre, pesti, invidia, inganno, ingiustizia, lussuria, accidia, sdegno, tutti a que' tre gran mali sottostanno, che nel cieco amor proprio, figlio degno d'ignoranza, radice e fomento hanno. Dunque a diveller l'ignoranza io vegno.
  • 4. Quando Antonio Querenghi, un monsignore della corte pontificia, che lo vuole aiutare, lo paragona a Pico della Mirandola, Campanella gli risponde prendendo nettamente le distanze: «Io, signor mio, non ebbi mai li favori e grazie singulari di Pico, che fu nobilissimo e ricchissimo, ed ebbe libri a copia e maestri assai, e comodità di filosofare e vita tranquilla... Ma io in bassa fortuna nacqui e dalla ventìtrè anni di mia vita sin ad ora... sempre fui perseguitato e calunniato ... Ecco dunque il diverso filosofar mio da quel di Pico; ed io imparo più dall'anatomia d'una formica o d'una erba... che non da tutti li libri che sono scritti dal principio di secoli sin a mo'» Attraverso le sue sterminate letture è come se Campanella cercasse qualcos'altro: a esempio la possibilità di capire - e di inscrivere nel libro della natura - le vicende piccole e straordinarie che hanno segnato la sua vita di ragazzo. Per capire a esempio la forza magica della musica, quella che trascina con sé i danzatori di tarantella, e libera i morsicati dalla tarantola dal potere oscuro che li travolge, scuotendo spasmodicamente il loro corpo. O per capire «i prodigi che abbiamo visto in mia sorella Emilia, che restò morta per otto ore e riprese vita, e ha raccontato su tutto questo cose mirabili lo scorso anno» E' difficile per noi anche solo immaginare quanto questo significava, di coinvolgimento personale e totale. Per Campanella, come per Bruno, non c'è separazione tra il proprio pensiero e la propri vita: l'uno e l'altra sono in gioco, insieme, e con essi sono in gioco le possibilità di rinnovamento che il mondo può accogliere o rifiutare. Occuparsi di profezia, e di fisica, non significa per Campanella solo elaborare idee. Egli si sente profeta. Osserva che le costellazioni si son spostate, che il sole si è avvicinato alla terra: sul finire del secolo, il cielo presenta agli uomini un volto nuovo il che significa che è possibile anche pensare a una nuova società finalmente libera e felice. E tocca a lui, Campanella, comunicare tutto questo, cominciando da Stilo, dalla sua Calabria, così da avviare la costruzione di quella Città del Sole che le vicende storiche relegheranno nel genere letterario dell'utopia, nel mondo, appunto che non c'è.
  • 5. Questa investitura profetica ha persino lasciato un marchio sul suo corpo: le sette bozze che porta in testa, in corrispondenza con i sette pianeti. Di qui trae spunto per crearsi una nuova identità. Se entrando nell'ordine domenicano il giovane Giovan Domenico era stato ribattezzato come Tommaso, ecco che ora egli si dà un nome nuovo, Settimontano Squilla, che allude alle sette bozze e ai senso profetico del proprio cognome: lui è la campana che risveglia, che fa aprire gli occhi. Ma proprio per questo attira le vendette sanguinose di coloro che sono interessati a conservare il silenzio e le tenebre Anima immortale Di cervel dentro un pugno io sto, e divoro tanto, che quanti libri tiene il mondo non saziâr l'appetito mio profondo: quanto ho mangiato! e del digiun pur moro. D'un gran mondo Aristarco, e Metrodoro di più cibommi, e più di fame abbondo; disiando e sentendo, giro in tondo; e quanto intendo più, tanto più ignoro. Dunque immagin sono io del Padre immenso, che gli enti, come il mar li pesci, cinge, e sol è oggetto dell'amante senso; cui il sillogismo è stral, che al segno attinge; l'autorità è man d'altri; donde penso sol certo e lieto chi s'illuia e incinge.
  • 6. La Vita Nelle campagne di Stilo, a Stignano uno dei casali del piccolo paesino ionico della Calabria, terra desolata dal malgoverno spagnolo, dalle calamità naturali e dalle scorrerie turche, nasce il 5 settembre 1568 in una casa dove per far luce si accendeva un fascio di stoppie, Giovan Domenico Campanella, dal padre Geronimo, ciabattino analfabeta ma saggio, e da Caterinella Martello, un'intelligente contadina con tanti figli da accudire. Il piccolo Giovan Domenico, assetato di una voglia insaziabile di conoscere e scoprire, cresce con i racconti paterni attorno al focolare domestico, dai quali intuisce che la possibilità di apprendere passava, così come avveniva fino a pochi decenni prima, attraverso la chiesa. Precocissimo, brucia in lui la sete di sapere: ammaliato dall'eloquenza di un frate domenicano, a 13 anni entra nell'Ordine dei predicatori e diventa frate Tommaso. I suoi maestri delle discipline grammaticali, filosofiche e teologiche iniziano ad alimentare forti dubbi nel giovane dotato di sfavillante ingegno: Campanella, Campanella, tu non farai buon fine, dice il maestro dei novizi al domenicano dall'ingegno vivace che nelle sue poesie scriveva: "Di cervel dentro un pugno io sto, e divoro tanto, che quanti libri tiene il mondo non saziar l'appetito mio profondo: quanto ho mangiato! e del digiun pur moro". Nel 1588 arriva a Cosenza, 'l'Atene delle Calabrie', che in quel periodo gode il suo massimo splendore, ricca di effervescenza culturale, grazie all'Accademia cosentina, rifondata da B. Telesio. Dopo un viaggio occasionale, svolto a bordo di una carrozza a quattro cavalli, ad accogliere il giovane Campanella nel convento dei Domenicani (un tempo sede dell'Università, la terza del Viceregno) sito nei pressi della confluenza del fiume Crati con il Busento, è padre Enriquez. E' qui che il grande pensatore inizia a divorare i testi telesiani introvabili altrove ed inizia ad entusiasmarsi per le opere di quello che considererà il suo maestro di vita e che, pur non riuscendolo mai ad incontrare personalmente, rimarrà sempre l'ispiratore della sua fisica e cosmologia. Il 3 ottobre 1588 Telesio muore e Campanella, portandosi nel Duomo di Cosenza per rendere omaggio alla salma del suo maestro, da lui considerato il genio più grande di tutto l'intero secolo, per ringraziarlo dei suoi preziosi insegnamenti e per aver ricevuto l'ispirazione divina alle confluenze dei fiumi, getta sul catafalco un madrigale in latino di omaggio devoto. Nell'autunno del 1588 Campanella viene allontanato dai suoi superiori dal convento di Cosenza, per aver pronunciato l'elogio funebre del
  • 7. filosofo eterodosso cosentino e per aver stretto amicizia con un astrologo negromante di nome Abrahm. Fu trasferito nel convento di Altomonte, dove compose in pochi mesi una nutrita apologia del Telesio con il titolo di Philosophia sensibus demonstrata, la filosofia dimostrata con i sensi e non più appresa supinamente sui libri. Incurante dell'obbligo di residenza, si reca a Napoli dove nel 1591 subisce un primo processo 'per congiura con i demoni'; prosciolto dal processo inizia a viaggiare, partendo da Roma, quindi Firenze, Bologna e Padova, dove studia per un anno. Insofferente all'aristotelismo dogmatico inizia ad esplorare senza remore lo scibile del suo tempo. In seguito alle sue idee poco ortodosse in materia religiosa, si ritrovò ben presto nel mirino degli inquisitori, dai quali fu accusato di eresia e rinchiuso in carcere a Roma. Infrazioni disciplinari, intemperanze verbali, opinioni eterodosse, dispute incaute, forniscono al Sant'Uffizio materia per un duplice processo che si concluderà in Roma nel dicembre 1597 con l'ordine di far rientro verso la nativa Calabria. Nel 1599 tornò in Calabria a Squillace dove tentò di organizzare una rivolta contro il dominio spagnolo a favore dei Turchi e di gettare le basi per una profonda riforma religiosa, ma fu tradito da alcuni compagni e, dopo aver tentato la fuga, fu processato e condannato a morte nel carcere di Castel dell'Ovo a Napoli, un fortilizio di origine normanna. Sfuggì alla condanna a morte simulando la pazzia per 27 anni, senza cedere alle pesanti torture cui venne sottoposto nel tentativo si strappargli l'abiura. In questo periodo malgrado la sorveglianza persecutoria, le proibitive condizioni ambientali, le torture, la mancanza di libri, ritesseva le 30.000 pagine dell'immensa tela delle sue opere. Durante la prigionia compose La monarchia di Spagna, La Teologia, L'Apologia pro Galileo, le Poesie, La Città del Sole.
  • 8. La Città del Sole I Solari o abitanti della Città del Sole vivendo in simbiosi con la natura che li circonda, riescono ad avere con essa un rapporto di armonia e di rispetto secondo il giusto presupposto che il genere umano non è avulso dal resto dell'ambiente ma ne è parte integrante e di esso è una componente fondamentale. Credono nell'immortalità dell'anima e rivolgono le preghiere più solenni al cielo di cui indagano i segreti astrologici. Le fonti delle poesie di Campanella sono i classici latini Lucrezio e Virgilio, ma hanno un'influenza determinante anche Gioacchino da Fiore e Dante. Campanella spesso si propone in esse, non senza enfasi, come portavoce della verità: Io nacqui a debellar tre mali estremi: tirannide, sofismi, ipocrisia; [...], dunque a diveller l'ignoranza io vengo. In tutte queste opere come nelle successive, è presente la fisica naturalistica di Telesio che gli si rivelò coerente e liberatrice, svincolata dall'aristotelismo dominante che i docenti ripetevano meccanicamente da secoli e sulla quale avevano costruito il loro potere accademico e religioso. Telesio il telo della tua faretra uccide dai sofisti in mezzo al campo degli ingegni il tiranno senza scampo; libertà dolce alla verità, impetra. Nel 1604 è trasferito a Castel sant'Elmo in una fossa sotterranea umida e senza luce, ove resta legato mani e piedi per quattro durissimi anni tra sofferenze ed umiliazioni. Nel 1613 Campanella ricevette Tobia Adami, letterato tedesco che riuscì a salvare parte dei suoi manoscritti che venivano ricomposti e rielaborati più volte in seguito ai sequestri dei suoi carcerieri, consegnandogli tutte le sue maggiori opere che questi trasporta in Germania. Inizia ad intrecciare un carteggio quotidiano di oltre 200 lettere. L'autore preferì firmarsi "Settimontano Squilla", attraverso una duplice allusione al senso profetico del proprio cognome. Campanella si sente un profeta; ha sette protuberanze in testa sulla sua scatola cranica in corrispondenza con i sette pianeti allora conosciuti. Campanella diventa Squilla: è lui la campana che risveglia, che fa aprire gli occhi alle genti e di conseguenza non può che attirarsi l'ira di coloro i quali nel governare vogliono mantenere le tenebre. Dopo essere trasferito da Napoli a Roma, nel 1626 riacquistò una parziale libertà. Fu una libertà effimera in quanto subito dopo un mese viene di nuovo incarcerato a Roma per rendere conto al tribunale ecclesiastico di quei fatti che la giustizia laica gli aveva rimesso dopo una lunga espiazione. Rimase quindi per altri due anni di dura prigionia nel palazzo romano del Sant'Uffizio, e fu rimesso in libertà per intercessione del Papa Urbano VIII di cui si attirò il favore grazie alla sua conoscenza della magia. Fu costretto poi dall'invidia dei curiali a fuggire da Roma e a rifugiarsi in Francia, dietro suggerimento del Pontefice, per timore di essere accusato di un nuovo complotto contro la Spagna, dove potè godere della benevolenza di numerosi suoi estimatori. L'1 dicembre 1634 veniva accolto a Parigi da tutto il mondo della cultura, diventando consigliere politico del potente cardinale Richelieu, che gli assicura onori ed una sorta di vitalizio. L'indomabile perseguitato però non rinuncia a calmare il suo spirito ribelle e continua a lottare per i suoi forti ideali politici e religiosi che trovano l'espressione più alta nell'universale monarchia cattolica unificatrice di tutta la terra. La guerra dei trent'anni, entra nel vivo e Parigi festeggia la nascita del futuro Luigi XIV al quale Campanella prepara l'oroscopo alla presenza di re Luigi XIII che ne rimane affascinato. All'alba del 21 Maggio 1639 spirò tra le preghiere dei confratelli domenicani del convento della Rue St-Honorè. E' sepolto nella fossa comune come
  • 9. semplice frate in pieno rispetto delle sue ultime volontà. Le sue ceneri in seguito all'abbattimento di quell'edificio nel 1793, andarono disperse. Tutti gli uomini cha amano il sapere, la forza e l’amore lo piangono, ma, soprattutto, lo ricordano.
  • 10. Riassunto Della Citta' Del Sole UNA SOMMARIA DESCRIZIONE DELLA CITTA' : Sorge nell'alta campagna un colle, sopra il quale sta la maggior parte della città; ma arrivano i suoi giri molto spazio fuor delle radici del monte, il quale è tanto, che la città fa due miglia di diametro e più, e viene ad essere sette miglia di circolo; ma, per la levatura, più abitazioni ha, che si fosse in piano. La città è distinta in sette gironi grandissimi, nominati dalli sette pianeti, e s'entra dall'uno all'altro per quattro strade e per quattro porte, alli quattro angoli del mondo spettanti; ma sta in modo che, se fosse espugnato il primo girone, bisogna più travaglio al secondo e poi più; talché sette fiate bisogna espugnarla per vincerla. Ma io son di parere, che neanche il primo si può, tanto è grosso e terrapieno, ed ha valguardi, torrioni, artelleria e fossati di fuora. I REGGITORI DELLA CITTA' : Un Principe Sacerdote tra loro, che s'appella Sole, e in lingua nostra si dice Metafisico: questo è capo di tutti in spirituale e temporale, e tutti li negozi in lui si terminano. Ha tre Principi collaterali: Pon, Sin, Mor, che vuol dir: Potestà, Sapienza e Amore. Il Potestà ha cura delle guerre e delle paci e dell'arte militare; è supremo nella guerra, ma non sopra Sole; ha cura dell'offiziali, guerrieri, soldati, munizioni, fortificazioni ed espugnazioni. Il Sapienza ha cura di tutte le scienze e delli dottori e magistrati dell'arti liberali e meccaniche, tiene sotto di sé tanti offiziali quante son le scienze: ci è l'Astrologo, il Cosmografo, il Geometra, il Loico, il Rettorico, il Grammatico, il Medico, il Fisico, il Politico, il Morale; e tiene un libro solo, dove stan tutte le scienze, che fa leggere a tutto il popolo ad usanza di Pitagorici. E questo ha fatto pingere in tutte le muraglie, su li rivellini, dentro e di fuori, tutte le scienze. (...) Il Amore ha cura della generazione, con unir li maschi e le femine in modo che faccin buona razza; e si riden di noi che attendemo alla razza de cani e cavalli, e trascuramo la nostra. Tien cura dell'educazione, delle medicine, spezierie, del seminare e raccogliere li frutti, delle biade, delle mense e d'ogni altra cosa pertinente al vitto e vestito e coito, ed ha molti maestri e maestre dedicate a queste arti. Il Metafisico tratta tutti questi negozi con loro, ché senza lui nulla si fa, ed ogni cosa la communicano essi quattro, e dove il Metafisico inchina, son d'accordo. COMUNISMO DI BENI E DI AFFETTI : Tutte cose son communi; ma stan in man di offiziali le dispense, onde non solo il vitto, ma le scienze e onori e spassi son communi, ma in maniera che non si può appropriare cosa alcuna. Dicono essi che tutta la proprietà nasce da far casa appartata, e figli e moglie propria, onde nasce l'amor proprio; ché, per sublimar a ricchezze o a dignità il figlio o lasciarlo erede, ognuno diventa o rapace publico, se non ha timore, sendo potente; o avaro ed insidioso ed ippocrita, si è impotente. Ma quando perdono l'amor proprio, resta il commune solo. L'EDUCAZIONE : E s'allevan tutti in tutte l'arti. Dopo gli tre anni li fanciulli imparano la lingua e l'alfabeto nelle mura, caminando in quattro schiere; e quattro vecchi li guidano e insegnano, e poi li fan giocare e correre, per rinforzarli, e sempre scalzi e scapigli, fin alli sette anni, e li conducono nell'officine dell'arti, cosidori, pittori, orefici, ecc.; e mirano l'inclinazione. Dopo li sette anni vanno alle lezioni delle scienze naturali, tutti; ché son quattro lettori della medesima lezione, e in quattro ore tutte quattro le squadre si spediscono; perché, mentre gli altri si esercitano col corpo, o fan gli pubblici servizi, gli altri stanno alla lezione. Poi tutti si mettono alle matematiche, medicine ed altre scienze, e ci è continua disputa tra di loro e concorrenza; e quelli poi diventano offiziali di quella scienza, dove miglior profitto fanno, o di quell'arte meccanica, perché ognuna ha il suo capo. Ed in campagna, nei lavori e nella pastura delle bestie pur vanno a imparare; e quello è tenuto di più gran nobiltà, che più arti impara, e meglio le fa. Onde si ridono di noi, che gli artefici appellamo ignobili, e diciamo nobili quelli, che null'arte imparano e stanno oziosi e tengon in ozio e lascivia tanti servitori con roina della republica.
  • 11. LA GIUSTIZIA : Le leggi son pochissime, tutte scritte in una tavola di rame alla porta del tempio, cioè nelle colonne, nelle quali ci son scritte tutte le quiddità delle cose in breve: che cosa è Dio, che cosa è angelo, che cosa è mondo, stella, uomo, ecc., con gran sale, e d'ogni virtù la diffinizione. E li giudici d'ogni virtù hanno la sedia in quel loco, quando giudicano, e dicono: "Ecco, tu peccasti contra questa diffinizione: leggi"; e così poi lo condanna o d'ingratitudine o di pigrizia o d'ignoranza; e le condanne son certe vere medicine, più che pene, e di soavità grande. LA RELIGIONE : Sommo sacerdote è il Sole; e tutti gli offiziali son sacerdoti, parlando delli capi, ed offizio loro è purgar le conscienze. Talché tutti si confessano a quelli, ed essi imparano che sorti di peccati regnano. E si confessano alli tre maggiori tanto li peccati propri, quanto gli strani in genere, senza nominare gli peccatori, e li tre poi si confessano al Sole. Il quale conosce che sorti di errori corrono e sovviene alli bisogni della città e fa a Dio sacrifizio ed orazioni, a cui esso confessa li peccati suoi e di tutto il popolo publicamente in su l'altare, ogni volta che sia necessario per amendarli, senza nominar alcuno. E così assolve il popolo, ammonendo che si guardi in quelli errori, e confessa i suoi in publico e poi fa sacrifizio a Dio, che voglia assolvere tutta la città ed ammaestrarla e difenderla. UN SACRIFICIO INCRUENTO : Il sacrifizio è questo, che dimanda al popolo chi si vol sacrificare per gli suoi membri, e così un di quelli più buoni si sacrifica. E 'l sacerdote lo pone sopra una tavola, che è tenuta da quattro funi, che stanno a quattro girelle della cupola, e, fatta l'orazione a Dio che riceva quel sacrifizio nobile e voluntario umano (non di bestie involuntarie, come fanno i Gentili), fa tirar le funi; e questo saglie in alto alla cupoletta e qui si mette in orazione; e li si dà da magnare parcamente, sino a tanto che la città è espiata. Ed esso con orazioni e digiuni prega Dio, che riceva il pronto sacrifizio suo; e così, dopo venti o trenta giorni, placata l'ira di Dio, torna a basso per le parti di fuore o si fa sacerdote; e questo è sempre onorato e ben voluto, perché esso si dà per morto, ma Dio non vuol che mora. LA PREGHIERA : L'orazioni si fan alli quattro angoli del mondo orizzontali, e la mattina prima a levante, poi a ponente, poi ad austro, poi a settentrione; la sera al riverso, prima a ponente, poi a levante, poi a settentrione, poi ad austro. IL SOLE : Onorano il sole e le stelle come cose viventi e statue di Dio e tempi celesti; ma non l'adorano, e più onorano il sole. Nulla creatura adorano di latria, altro che Dio, e pero a lui serveno solo sotto l'insegna del sole, ch'è insegna e volto di Dio, da cui viene la luce e 'l calore ed ogni altra cosa. Pero l'altare è come un sole fatto, e li sacerdoti pregano Dio nel sole e nelle stelle, com'in altari, e nel cielo, come tempio; e chiamano gli angeli buoni per intercessori, che stanno nelle stelle, vive case loro, e che le bellezze sue Dio più le mostro in cielo e nel sole, come suo trofeo e statua. L'IMMORTALITA' : Tengono per cosa certa l'immortalità dell'anima, e che s'accompagni, morendo, con spiriti buoni o rei, secondo il merito. Ma li luoghi delle pene e premi non l'han tanto per certi; ma assai ragionevole pare che sia il cielo e i luochi sotterranei. Stanno anche molto curiosi di sapere se queste sono eterne o no. Di più son certi che vi siano angeli buoni e tristi, come avviene tra gli uomini, ma quel che sarà di loro aspettano avviso dal cielo. Stanno in dubbio se ci siano altri mondi fuori di questo, ma stimano pazzia dir che non ci sia niente, perché il niente né dentro né fuori del mondo è, e Dio, infinito ente, non comporta il niente seco. IL PECCATO ORIGINALE : Essi confessano che nel mondo ci sia gran corruttela, e che gli uomini si reggono follemente e non con ragione; e che i buoni pateno e i tristi reggono; (...). Dal che argomentano che ci sia stato gran scompiglio nelle cose umane(...); ma confessano che l'età del mondo succedono secondo l'ordine di pianeti (...). E questa nostra età par che sia di Mercurio, si bene le congiunzioni magne l'intravariano, e l'anomalie han gran forza fatale. Finalmente dicono
  • 12. ch'è felice il cristiano, che si contenta di credere che sia avvenuto per il peccato d'Adamo tanto scompiglio, e credono che dai padri a' figli corre il male più della pena che della colpa. UN AUSPICIO EUROCENTRICO : Se questi, che seguon solo la legge della natura, sono tanto vicini al cristianesimo, che nulla cosa aggiunge alla legge naturale si non i sacramenti, io cavo argumento di questa relazione che la vera legge è la cristiana, e che, tolti gli abusi, sarà signora del mondo. E che pero gli Spagnuoli trovaro il resto del mondo, benché il primo trovatore fu il Colombo vostro genovese, per unirlo tutto ad una legge; e questi filosofi saran testimoni della verità, eletti da Dio. IL PENSIERO DI CAMPANELLA Al pensiero di Telesio si ispira direttamente, almeno all' inizio della propria attività filosofica, Tommaso Campanella . Il pensiero di Campanella ha in comune con quello di Telesio il principio della consapevolezza del proprio sentire. In Campanella tuttavia, questo assunto si trasforma, con più forza e più esplicitamente che in Telesio , nel principio dell'universale animazione della natura . Il mondo naturale appare come permeato da una forza di attrazione che induce tutti i corpi a ricercare il contatto vicendevole e a godere di esso, in modo da riempire ogni porzione dello spazio ed eliminare il vuoto. Gli esseri si trovano pertanto in un rapporto di universale interazione reciproca: studiando tale connessione e le proprietà naturali degli enti, che da essa conseguono, l'uomo può intervenire sulla natura per mezzo della magia - tema assente in Telesio - la quale trova quindi una piena legittimazione come strumento di indagine e di operatività . La nozione di una universale interazione delle cose implica immediatamente il principio dell' unità della natura, comprovato del resto dal fatto che da Dio, che è assoluta unità , non può derivare nulla di sostanzialmente molteplice . Di conseguenza, la molteplicità é mera apparenza : la differenziazione dei singoli esseri finiti non si fonda su una distinzione reale e metafisica , ma soltanto sulla loro distinguibilità logica e formale . Essendo se stessa , ogni cosa si differenzia dalle altre , non é le altre : in questo senso essa contiene il non essere , il nulla . Ma tale non essere , e la molteplicità che su di esso si fonda , é un' astrazione che può essere colta solo dalla ragione e non tocca la sostanza del mondo , che é e che non può che essere unica e unitaria . Nella natura Campanella vede operare tre principi fondamentali ( o " proprincipi " ) cui egli dà il nome di primalità dell' essere. La prima é la potenza , in virtù della quale gli enti possono essere e agire . La seconda é la sapienza, intesa ( in base al principio della sensibilità universale ) come un senso che di per sè permette agli enti non solo di conoscere se stessi , ma anche i propri contrari , in modo da diventare principio di azione e di ordine in tutto il mondo naturale. La terza é l' amore, inteso, oltrechè come principio di unificazione, come tendenza alla conservazione di sè e della propria specie ( come già diceva Platone ) . Questi principi costitutivi dell' essere, essendo coessenziali e indisgiungibili, presentano pari dignità e valore: ciononostante essi sembrano assumere di volta in volta una posizione preminente a seconda del punto di vista dal quale vengono considerati . Nel mondo, inoltre, le primalità si trovano in forma impura, frammiste con i rispettivi predicati negativi dell' impotenza , dell' insipienza e dell' odio . Ma nell' ente supremo esse si trovano allo stato puro e definiscono i tre predicati essenziali della divinità . Il rapporto tra le primalità allo stato puro e le loro manifestazioni impure definisce anche il rapporto insieme di immanenza e di trascendenza che intercorre tra Dio e il mondo : pur essendo "a tutte cose interno", principio vivificatore e animatore della natura, Dio non si risolve nè nelle singole manifestazioni di essa nè nella loro somma quantitativa . La teoria della conoscenza di Campanella mutua dal pensiero di Telesio il privilegiamento della sensibilità su ogni altra forma di sapere . Tuttavia la gnoseologia di Campanella presenta un' articolazione più complessa di quella telesiana e, soprattutto, é strettamente connessa con la dottrina metafisica delle primalità dell' essere. Ciascuna delle tre primalità può esplicare se stessa solo in virtù di un
  • 13. originario riferimento al soggetto . Così la prima primalità é potenza di agire e di patire soltanto in quanto é potenza di essere un soggetto che agisce e che patisce . La primalità dell' amore induce gli enti a permanere nel loro stato, in quanto ciascuno di essi ama il proprio essere ( come oggetto ) e fonda su ciò il proprio rapporto con gli oggetti esterni: amiamo il cibo che ci nutre in quanto amiamo noi stessi nutriti; amiamo la luce che ci illumina in quanto amiamo noi stessi illuminati . La primalità della sapienza, a sua volta, é conoscenza della realtà in quanto é primariamente conoscenza di sè e solo conseguentemente conoscenza delle modificazioni che gli oggetti esterni imprimono sul soggetto: non si conoscono direttamente le cose, ma si conosce se stessi modificati dalle cose. La relazione tra il soggetto conoscente e l' oggetto conosciuto si fonda su un originario rapporto del soggetto con se stesso. Campanella distingue dunque una forma di conoscenza illata , cioè proveniente dall' esterno, e una forma di conoscenza innata, consistente appunto nella originaria consapevolezza che il soggetto ha di se stesso. Senza questo originario e preliminare sapere di sè ( scire sui ) non sarebbe infatti possibile alcuna consapevolezza del mutamento indotto nel soggetto dall' azione degli oggetti esterni e , quindi, neppure alcuna conoscenza di questi ultimi . Il conoscere implica un parziale permanere nel proprio stato originale e un parziale mutarsi . Esso significa, in certa misura , " divenire altro ", cioè morire in parte a se stessi . La conoscenza , come trasmutazione della natura del conoscibile , é una perdita parziale di essere , un aspetto del continuo divenire proprio della caducità degli enti creati . Per ciò stesso , tuttavia , essa fornisce un accesso alla vita eterna quando come oggetto conoscibile si ponga la divinità : in questo caso il risolversi nell' oggetto conoscibile implica una trasmutazione della natura divina . Anche nella dottrina della conoscenza , quindi , Campanella conferma la profonda religiosità del proprio pensiero . Il mondo della natura viene da Campanella investito di sacralità . Esso é per un verso un libro scritto dalla mano di Dio e per altro verso il tempio vivente di Dio stesso . L' aspetto della vitalità é ciò che maggiormente conta agli occhi di Campanella , che in esso pone le basi di una rinnovata formazione religiosa e intellettuale dell' uomo . Il libro del mondo rappresenta il testo originale al quale rivolgersi , perchè sommo é il suo autore , mentre i libri dei filosofi ne sono solamente trascrizioni , che in quanto tali sono intaccate da molteplici errori . Campanella si pone dunque in aperta polemica con la cultura libresca , nei confronti della quale l' appello alla natura riveste la funzione di un richiamo all' importanza dell' esperienza diretta . La pur stimabile figura di Pico della Mirandola rappresenta l' archetipo dell' intellettuale da biblioteca , nutrito di libri , ma soltanto di quelli . Dal canto suo , Campanella dichiara di aver imparato dall' " anatomia " , cioè dall' investigazione diretta , di un filo d' erba o di una formica più di quanto avrebbe potuto imparare da tutti i libri letti da Pico . L' esigenza dell' istruzione ( fermo restando che essa deve fondarsi sull' esperienza ) é costantemente proclamata da Campanella . Essa va intesa , da un lato , come nuova formazione dell' intellettuale , sollecitato a sottrarsi ai condizionamenti della cultura tradizionale , e , dall' altro , come vera e propria istruzione popolare . Nella Città del sole si manifesta una grande attenzione per l' educazione dei fanciulli , sviluppata secondo criteri rigorosamente collettivistici e fondata sul richiamo all' esperienza , alla pratica , al contatto diretto tra il discente e l' oggetto di conoscenza . La città stessa , sulle cui mura sono raffigurate le storie del passato , diventa libro . Il programma pedagogico é essenziale al sistema filosofico di Campanella . La prospettiva eroica nella quale egli si propone al lettore é proclamazione di una missione volta alla rigenerazione del genere umano , la quale non potrà realizzarsi se innanzi tutto non si provvederà a divellare l' ignoranza : questa é infatti la radice dalla quale nascono i tre grandi mali del mondo . Essi sono la tirannide , cioè il degenerare del potere politico in un arbitrio umano che ha smarrito il rapporto con l' autorità divina ; i sofismi , cioè il degenerare della cultura in un verbalismo che ha perso il rapporto con la realtà ; l' ipocrisia , cioè il degenerare di una religiosità che ha dimenticato il rapporto con l' interiorità , unica garanzia dell' unione tra divino e umano . Il vero filosofo , infatti , persegue e realizza il fine ultimo dell' universo contemplando Dio che é interno a tutte le cose . Strettamente connesso all' esigenza di rinnovamento é anche il pensiero politico di Campanella , esposto nella Città del sole . Ministri di Sol sono Pon , Sin e Mor ( personificazioni delle tre primalità della potenza , della sapienza e dell' amore ) ai quali spetta rispettivamente il controllo
  • 14. della guerra ( Pon ) , delle scienze e delle arti ( Sin ) , della salute e della riproduzione ( Mor ) . Nella Città del sole , infatti , vige una vigorosa comunione dei beni e delle donne : i congiungimenti sono regolati dal potere pubblico in modo da promuovere , per così dire , il progresso genetico della stirpe . Elemento importante della vita pubblica é il lavoro , che é considerato l' unico fattore di differenziazione dei cittadini in base alle loro capacità . L' utopia di Campanella é sinceramente animata dalla duplice esigenza di realizzare la giustizia sociale e di educare gli uomini ai più genuini valori e alla vera religiosità : ma gli strumenti che egli propone , non lasciando quasi nessuno spazio alla libertà dell' autodeterminazione individuale , rendono la sua utopia assai meno moderna di quella formulata quasi un secolo prima da Tommaso Moro .
  • 15. Tarantella Il termine tarantella non e´altro che il semplice diminutivo di “taranta”. In latino ( lycosa tarentula) indica la “tarantola” e cioè il particolare mitico ragno frequente nel territorio apulo intorno all'importante città della Magna Grecia ionica (corrispondente alla Puglia centro-meridionale) Taranto. Il nome del ballo riconduce al rituale di terapia coreutico-musicale del tarantismo e cioè alla credenza di scacciare mali fisici e psichici causati dal mitico morso della tarantola attraverso una danza sfrenata e prolungata. Questo tipo di terapia riconosciuto dal punto di vista medico nella città di Taranto ai tempi della Magna Grecia ha dato forse il nome alla danza e riconduce quindi ad una probabile influenza dei riti Dionisiaci diffusi in Grecia. Il tarantismo, come fenomeno mitico e magico-rituale di cura o di venerazione del morso di un animale trova analogie anche in altre aree del Mediterraneo (l'argia in Sardegna con coreo-terapia, tarantola o scorpione in Spagna o in Portogallo con analogo ballo detto tarantella, identificazioni con altri animali in Marocco e Algeria, vipere e serpenti di S. Domenico, S. Donato, S. Sabino, S. Vito, S. Paolo e altri protettori in varie parti del sud Italia, le danzamanie del ballo di S. Vito nella Germania medioevale, etc.). Tale ramificazione del rito è chiaro segno di un diffuso bisogno di enfatizzare e nel contempo di esorcizzare nemici naturali visti come emblema del male, di ricerca di protezione e di integrazione sociale dei sofferenti di malattie mentali e psichiche, ma anche forse come residuo di antichi processi di deificazioni zoomorfe. Nel sud d'Italia, accanto alla danza come mezzo terapeutico per guarire dal male o per lenirne gli effetti (tipico del tarantismo pugliese, che però comprende anche il fenomeno di identificazione e di violento antagonismo con il ragno) è attestata la credenza popolare secondo la quale il ballare insistentemente la tarantella sia solo uno dei possibili effetti del morso della tarantola, così come quella del cantare, di gridare, di fare il buffone, di rotolarsi per terra o saltare. Tutti questi risvolti di un medesimo complesso fenomeno di rapporto magico- simbolico col mondo animale e di medicina popolare rivelano i parallelismi con un altro evento più antico vissuto anch'esso in ambito religioso o negli anfratti della religione marginale di molti popoli antichi del mediterraneo ed orientali: l'estasi. Giungere attraverso la danza ad uno stato di sospensione dell'esercizio dei sensi, alla perdita della coscienza di sé e della realtà per mettersi in contatto con la dimensione soprannaturale, incamerando dosi eccezionali di forza fisica e morale e poteri straordinari (quali la chiaroveggenza, lo stato mediatico, la personificazione di altrui identità, ecc.) è probabilmente il nucleo archetipo della tarantella come danza di esaltazione, di ebbrezza psicofisica, di taumaturgia.
  • 16. ARGIA S'argia l'essere soprannaturale, l'animaletto velenoso e mortale che punge perché ama danzare, cantare e travestirsi. In Sardegna riso e pianto, festa e malattia si confondono nell'Argia, la tarantola sempre pronta a colpire chi per lei si cimenterà in balli e canti sfrenati. In Sardegna la amano perché dà vita a feste e divertimenti, la odiano perché provoca malattia e umiliazione: si tratta dell'argia, una vera e propria ballerina variopinta. In realtà è un animaletto piccolo e molto velenoso: alcuni lo descrivono come un ragno, altri come una grossa formica. In ogni caso, la sua puntura può essere mortale se non curata nei tempi e nei modi imposti dalla tradizione. S'argia è avvolta da mille misteri: per i sardi è la sola sopravissuta allo sterminio voluto da Dio degli animali velenosi dell'isola. Rari gli incontri con qualche "argia maschio": quasi unicamente "femmina", si presenta con tanto di corpetto e gonna. I colori degli abiti indicano il suo stato civile, come per le donne sarde: nubile, sposata o vedova. Il nero indica la vedova, il bianco la nubile, il maculato la sposa. Nell'isola, la vita agricola e pastorale sono molto faticose, dure e senza riposo. A volte il pastore o il contadino decide di distendersi solo per un attimo all'ombra di un albero... proprio allora l'argia è pronta a colpire. Non c'è un orario preferito dall'argia: la notte, l'alba, il mezzogiorno, non importa. Sicuramente punge d'estate, in campagna, durante i lavori pastorali, di mietitura, di spigolatura o di raccolta delle fave. Comunque sempre nei momenti di stanchezza, di riposo e di abbandono, quando il lavoratore è meno vigile. Predilige gli uomini alle donne. I contadini imparano fin da bambini a stare attenti alle punture dell'argia. Prima di andare a letto pronunciano vari scongiuri contro questo pericoloso nemico. Se si accorgono di essere stati punti disinfettano subito la parte colpita urinandoci sopra: la vera cura, però, sarà un'altra... Dopo la puntura dell'argia, la vittima non è più la stessa persona: subisce una vera e propria possessione da parte dell'animale. L'unica speranza di salvezza è scoprire le caratteristiche dell'argia colpevole.Tutto il paese si impegna in questa "indagine": si suona e si danza per scoprire le preferenze dell'argia. Si fanno indossare al malato abiti femminili dai diversi colori per poter capire se l'argia è nubile, sposa o vedova. Si cerca anche di interrogare il malato stesso per ottenere altre informazioni. Il risultato? Una festa ricca di suoni, balli e colori. L'argia deve essere messa allo scoperto entro tre giorni esatti: solo dopo essere stata individuata e accontentata si allontanerà e permetterà al malato di ritrovare la sua identità e dignità. In Sardegna la puntura dell'argia è curata anche con altri sistemi, diversi dal ballo e dal travestimento. In alcuni paesi, le donne si dispongono intorno al malato e muovono i loro setacci per la farina su telai di legno. Accompagnano i suoni di questi strumenti tradizionali con tipici canti femminili. In altre zone dell'isola, per la cura si prepara un grande forno all'aperto. Si accende il fuoco con tralci di vite posti a formare una croce. Il malato si siede accanto alle fiamme mentre altri ballano vicino a lui, con in mano tralci di vite accesi. Nel sassarese, invece, l'infortunato è avvolto in un sacco e seppellito fino al collo nel letame. Il corpo della vittima è talvolta semplicemente immerso in una tinozza piena di acqua calda. L'ARGIA OGGI Non aver paura di riposarti all'ombra di qualche albero, nelle vaste campagne della Sardegna: ormai l'argia sembra essersi decisa a lasciar perdere balli e canti. Si sente spesso dire che le arge sono morte: come, quando e perché non si sa. Ma una cosa è certa: le danze e le feste in Sardegna sono più vive che mai.