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“Prosperità, sicurezza e coesione sociale:
                     priorità nella gestione della immigrazione”
                              a cura di Gianmario Pisanu


                           Obiettivi pubblici e gestione della immigrazione
L’emergere di nuove potenze economiche in un quadro geopolitico tendenzialmente multipolare e
la continua crescita dei flussi di persone, informazioni e merci, pongono i Governi di fronte
all’opportunità di ridefinire i tradizionali obiettivi pubblici di prosperità, sicurezza interna e
coesione sociale. Per quanto tali obiettivi, singolarmente già complessi, appaiano talvolta
inconciliabili, nessun Paese può sfuggire alla ricerca di una sintesi da tradurre in coerente azione
politica. La gestione della immigrazione, all’interno del generale fenomeno della mobilità umana, è
uno degli strumenti attraverso cui tale azione può concretizzarsi.

La prosperità delle economie mature passa infatti attraverso i 438 milioni di uomini e donne che
faranno ingresso nel mondo del lavoro di qui al 2050, 97% dei quali proverrà da Paesi in via di
sviluppo1. Essi sono la chiave del riequilibrio demografico, condizione essenziale di crescita
economica e stabilità sociale. La tutela della sicurezza nazionale, d’altra parte, richiede oggi il
monitoraggio sistematico degli spostamenti frontalieri. Gestire l’immigrazione significa disporre di
informazioni decisive ai fini della valutazione del rischio e della allocazione delle risorse. Tra i
cittadini, infine, è diffusa la percezione che i migranti riducano le opportunità di lavoro, la sicurezza
personale e la disponibilità di servizi pubblici. Ai Governi il compito di preservare la coesione
sociale riconducendo questi timori alla realtà dei fatti, ma anche ottimizzando la qualità dei flussi
per prevenire disorientamento e conflitti.

                     Tre impostazioni nella gestione del fenomeno migratorio
Ciò detto, anche la gestione della immigrazione rappresenta di per sé uno strumento assai
complesso. Nel 2005 i migranti sono stati 200 milioni, ovvero il 3% della popolazione mondiale.
Nella sola Europa Occidentale sono immigrate 22 milioni di persone, quasi il 12% della popolazione
residente. Ed i migranti non sono gli unici a varcare le frontiere: nello stesso 2005 oltre
800 milioni di persone hanno viaggiato tra Nazioni diverse per fini di turismo o lavoro.




Le nuove dimensioni del fenomeno e la sua vasta articolazione, determinano un generale ritardo
delle Amministrazioni competenti rispetto a servizi pubblici più tradizionali, quali ad esempio
l’assistenza sanitaria o l’istruzione. Inoltre, ragioni storiche e politiche restituiscono un quadro
internazionale piuttosto disomogeneo, strutturato su almeno tre diverse impostazioni.



1   Accenture Corporate and Policy Affairs, “The raise of the multi-polar world”, 2007
Un primo gruppo di Nazioni, tra le quali il Canada, l’Australia e la Nuova Zelanda, sono nate e
cresciute sull’onda di processi migratori. Esse continuano ad associare l’immigrazione
prioritariamente all’obiettivo della prosperità e gestiscono la mobilità umana come fattore
produttivo di sviluppo economico (mercato del lavoro), sociale e culturale.
Le Nazioni Europee, fortemente caratterizzate dal punto vista etnico, interpretano la gestione della
mobilità dando prevalenza agli obiettivi della sicurezza e della coesione sociale, privilegiando il
controllo degli ingressi. Gli Stati Uniti, tradizionalmente collocati nel primo gruppo, hanno
reindirizzato le proprie politiche a valle dell’11 settembre verso una impostazione tecnicamente
allineata a quella del vecchio continente.
Ad una terza ed ultima impostazione è riconducibile l’insieme delle Nazioni originanti. Ad una
tradizione poco restrittiva sta subentrando negli ultimi anni maggiore attenzione: il peso economico
delle rimesse, che la Banca Mondiale stima valere il doppio degli aiuti internazionali ai Paesi in via
di sviluppo2, e l’impoverimento delle rispettive forze lavoro chiamano anche l’India, il Messico o le
Filippine ad occuparsi attivamente della gestione dei flussi migratori.

                            Difficoltà nella gestione della immigrazione
Numerose sono le difficoltà per i Governi che intendano affrontare la gestione dell’immigrazione
attraverso un servizio pubblico strutturato e funzionale. Le autorità politiche e le Amministrazioni
debbono impegnarsi a garantire i flussi richiesti dal sistema economico mentre le opinioni
pubbliche privilegiano questioni di sovranità, identità e sicurezza. Semplificando, i Governi si
trovano a perseguire l’obiettivo della prosperità contro la volontà dei propri cittadini.

Trattandosi di un tema evocativo e profondo, l’immigrazione ha trovato ampio spazio sui media, la
cui attenzione si è generalmente concentrata sugli aspetti negativi del fenomeno, più immediati e
suggestivi3. Le distorsioni indotte nella percezione collettiva non sono state opportunamente
indirizzate dalla politica, che anzi non di rado le ha cavalcate alla conquista di facile consenso.
Numerosi Governi si vedono quindi obbligati ad affiancare all’obiettivo della prosperità economica
politiche di corto respiro, rivolte a placare le ansie delle opinioni pubbliche. La contraddizione di
fondo tra apertura e chiusura del mercato del lavoro determina l’incertezza nel fondamento
normativo e politico di molti servizi pubblici di gestione dell’immigrazione, con conseguenze
potenzialmente catastrofiche: il raggiungimento tanto degli obiettivi economici quanto di quelli di
sicurezza rischia di essere compromesso.

Un secondo ostacolo alla erogazione di un servizio adeguato è di natura strutturale. I Paesi che nella
propria storia non hanno avuto esposizione al fenomeno, si sono limitati a gestire le richieste di
asilo. Le rispettive organizzazioni ed infrastrutture sono oggi disallineate rispetto alle nuove
esigenze ed agli obiettivi della politica.




2   UN Global Commission on International Migration Report 2005
Questo è il contesto all’interno del quale operano i responsabili delle Amministrazioni preposte alla
gestione della immigrazione. Un compito difficilissimo che alcuni, tuttavia, riescono a svolgere con
vigore e straordinario successo. L’Accenture Institute for Public Value ha condotto uno studio in 14
Paesi4, coinvolgendo direttamente i dirigenti delle Amministrazioni competenti. Da un
approfondito dibattito, sono emerse 5 priorità che qualificano le prospettive di sviluppo delle
organizzazioni pubbliche incaricate di governare l’immigrazione e più in generale la mobilità
umana transfrontaliera.

                                               Priorità 1:
         Chiara definizione dei risultati attesi dal servizio di gestione della immigrazione.
Nella gestione di un servizio pubblico, il risultato atteso è il beneficio in termini di migliorata
condizione sociale ed economica degli utenti conseguente all’erogazione della prestazione. Attorno
al risultato atteso la Pubblica Amministrazione definisce la propria strategia, realizza i sistemi,
mette in piedi le procedure e motiva i dipendenti. E’ il risultato atteso a determinare eventuali
cambiamenti e misurare la qualità dell’azione amministrativa. Nel corso della ricerca è emersa la
necessità per le Amministrazioni di conoscere con precisione i propri risultati attesi, ovvero il
proprio ruolo nel perseguimento degli obiettivi pubblici, al fine di allocare con coerenza le risorse
disponibili e cooperare efficacemente con il resto della Pubblica Amministrazione.

Chiarezza intorno ai risultati attesi si è riscontrata, ad esempio, in Australia e Canada, dove le
rispettive Amministrazioni sono indirizzate ad attrarre e trattenere la giusta quantità e qualità di
flussi in ragione degli obiettivi di prosperità del proprio Governo. Situazione simile in Svezia e
Portogallo, dove i funzionari delle rispettive Amministrazioni hanno chiaro il proprio risultato
atteso: garantire la coesione sociale attraverso l’integrazione5. Al di là degli aspetti operativi, la
consapevolezza del ruolo consente alle Amministrazioni preposte di bilanciare i risultati. Questo è
un punto centrale, poiché la gestione dell’immigrazione coinvolge un gran numero di ambiti
amministrativi e di organizzazioni. Chi è responsabile del controlli di frontiera non può che operare
in completo allineamento con chi definisce le opportunità di impiego, i servizi anagrafici o
l’assistenza sanitaria.

Un servizio strutturato ha quindi bisogno di una strategia articolata e univoca e di un piano che
allinei risorse, prodotti, processi e obiettivi. I responsabili amministrativi debbono sapere quanti
dipendenti (risorse) occorrono a processare le domande nei tempi stabiliti (prodotto) per consentire
ai migranti di stabilirsi negli ambiti occupazionali individuati (processo) contribuendo al
raggiungimento dell’obiettivo pubblico di prosperità (obiettivi). Vale ricordare, inoltre, come un
chiaro quadro delle attese consenta a tutti i livelli dell’organizzazione di operare con maggiore
motivazione e soddisfazione.

In Finlandia gli immigrati sono passati in un decennio dallo 0,3% a oltre il 2,5% della popolazione
residente. Una crescita che ha posto il Governo di fronte alla necessità di affrontare in maniera
strutturata il fenomeno. Nonostante ingenti investimenti e vari adeguamenti normativi, la
situazione nel 2003 era ancora insoddisfacente: 3 mesi per il rilascio di un permesso di soggiorno, 10
mesi per l’esito di una richiesta d’asilo e 3 anni per quello di una domanda di cittadinanza. Il
Governo ha allora creato un sistema di obiettivi condivisi tra le 7 Amnministrazioni variamente
coinvolte nella gestione dell’immigrazione, coordinate da un unico e sovraordinato comitato di

4 Toward greater prosperity, security and social cohesion: critical practices in managing immigration services,
Accenture Institute for Public Value, 2008. I paesi sono Australia, Canada, Finlandia, Irlanda, Giappone,
Nuova Zelanda, Polonia, Portogallo, Sud Africa, Spagna, Svezia, Svizzera, Regno Unito e Stati Uniti
5 Si osserva che non a caso Svezia e Portogallo occupano i primi posti del MIPEX—Migrant Integration Policy

Index, www.integrationindex.eu
coordinamento che ha fissato un insieme di risultati attesi comuni ancora oggi sono in vigore. Sulla
base di tali risultati è stato formulato un piano strategico unitario. Partendo da questa base,
l’Esecutivo ha recentemente lanciato un programma di trasformazione dei processi e delle
infrastrutture di gestione dell’immigrazione6, coinvolgendo in un solo progetto Amministrazioni
diverse ma ormai accomunate da una sola piattaforma decisionale.

                                                 Priorità 2:
           Coinvolgimento sistematico degli utenti del servizio e dei gruppi di interesse.
Oltre ai risultati attesi, le Amministrazioni incaricate di gestire l’immigrazione debbono conoscere
chi beneficerà di tali risultati. La progettazione e l’erogazione di un servizio efficace non può che
fondarsi sui bisogni e le aspettative di utenti, cittadini e gruppi di interesse coinvolti in un
programma di consultazione continuo e aperto.

L’enfasi su questo punto e unanime: la cittadinanza, i politici, il Parlamento, le associazioni
datoriali, i sindacati e le corrispondenti Amministrazioni estere debbono essere consultate in
maniera sistematica, attraverso un dialogo che, secondo Gervaise Appave7, può anche contribuire a
mitigare la retorica negativa che in molti Paesi circonda il fenomeno dell’immigrazione. In alcune
Nazioni tale processo di consultazione assume forme strutturate e trasparenti, come ad esempio in
Nuova Zelanda o in Svezia. In altre i momenti di confronto sono meno formali oppure più
difficoltosi a causa della eccessiva frammentazione delle responsabilità all’interno delle Pubbliche
Amministrazioni.

Certamente il punto di riferimento principale per le Amministrazioni incaricate di gestire
l’immigrazione sono gli utenti, controparte diretta in transazioni quali la richiesta di un permesso di
soggiorno, il superamento di una frontiera o la domanda di asilo politico. Ciascuna organizzazione
dovrebbe porre al centro del proprio agire l’immigrato, consultandolo individualmente per
focalizzare bisogni e aspettative, garantendo un servizio accessibile, semplice, trasparente e
puntuale, strutturando la propria conoscenza dell’utente e accompagnandolo dall’arrivo alla
partenza. Nelle parole di Mary Anne Thompson, Sottosegretario al Department of Labor
neozelandese, “non si tratta semplicemente di trovare loro un lavoro, quanto piuttosto di
comprendere come si sono sistemati, com’è andato l’inserimento scolastico dei loro bambini, quali
sono i loro problemi quotidiani”.

La gran parte delle Amministrazioni analizzate affronta in maniera molto seria il tema della
consultazione dell’utente per focalizzarne bisogni e aspettative. Canada, Portogallo, Finlandia,
Nuova Zelanda, Australia, Sud Africa e Svezia investono ingenti risorse in ricerche, focus group e
interviste campionarie per migliorare la qualità del servizio. Similmente, gran parte delle
Amministrazioni analizzate pubblica standard di qualità che vengono effettivamente rispettati,
spesso costruiti sulla base delle esigenze specifiche dei diversi gruppi etnici di riferimento.

Il Citizen and Immigration Canada (CIC) ha responsabilità molto vaste: l’ammissione di migranti,
studenti, turisti e lavoratori temporanei; la protezione e rilocazione dei rifugiati; l’integrazione dei
migranti e la tutela della sicurezza e salute dei residenti. Al fine di garantire una gestione delle
domande molto semplice, il CIC ha sviluppato un sistema di comunicazione pubblico, trasparente e
universalmente accessibile8 che conduce attraverso i criteri di selezione, consente il dialogo e la
transazione a distanza, permette al migrante di monitorare dal proprio paese d’origine lo stato della

6 www.migri.fi
7 Director of Migration Policy and Research Program, the United Nation’s International Organization for
Migration, based in Geneva
8 www.cic.gc.ca
pratica. La disponibilità di servizi in formato elettronico sta assumendo rilevanza crescente. Il
Servicos de Estrangeiros e Fronteiras (SEF) portoghese gestisce una TV via Internet con funzioni di
indirizzo, successivamente personalizzate attraverso una rete di mediatori culturali9.

E’ chiaro che una visione integrata ed un flusso di informazioni completo sulla esperienza del
migrante rappresenta uno strumento cruciale per l’elaborazione delle politiche di ingresso,
accoglienza, integrazione e sicurezza. Per ottenere tale risultato è necessario convogliare tutte le
informazioni raccolte da fonti diverse (frontiera, sanità, scuola, anagrafe, etc) verso un unico punto
e al contempo garantire al migrante un punto di accesso unico alla Pubblica Amministrazione. Un
sistema unitario è stato realizzato, ad esempio, in Canada ed in Finlandia. Al prevedibile
miglioramento della qualità del servizio ed alla completezza e tempestività della base decisionale
fornita alle autorità competenti, si è sommato un risparmio tra il 30% al 40% sui costi
amministrativi.

Altri paesi, pur non essendo giunti alla sofisticazione operativa appena descritta, hanno comunque
affrontato con impegno l’estensione del servizio al di là del mero ingresso frontaliero.
L’Immigration Bureau della Corea del Sud10, lavorando insieme all’ILO11 (International Labour
Organization) ha realizzato un programma di formazione dei futuri immigranti presso i rispettivi
paesi d’origine. Si tratta di un corso di 150 ore che non solo fornisce strumenti preziosi ai nuovi
cittadini, ma garantisce all’Amministrazione coereana una base informativa fondamentale per la
gestione di ingressi, integrazione e sicurezza. Il SEF portoghese, in collaborazione con l’Alto
Comissariado para a Integração das Minorias12, ha realizzato punti di accesso fisici per gli
immigrati, “il negozio dell’immigrato”, situati nei centri commerciali delle aree urbane e abilitati a
fornire informazioni e servizi in materia di anagrafe, salute, educazione previdenza e fisco.

                                                Priorità 3:
                 Coordinamento, collaborazione e integrazione tra Amministrazioni.
“Ciò che importiamo non è solo manodopera, importiamo persone. Se nell’immediato la priorità è il
mercato del lavoro, nel lungo termine gli impatti saranno sulla sanità, l’educazione e l’edilizia”13:
l’immigrato è un cittadino che si inserisce a pieno titolo nel sistema di diritti del Paese che lo
accoglie, quindi le Amministrazioni preposte alla gestione dell’immigrazione non possono che
coordinarsi con tutte le strutture che erogano servizi pubblici individuali. Sebbene tale necessità sia
chiara a tutti, è diffusamente rilevabile un certo ritardo nella implementazione di autentiche
politiche di coordinamento. Considerando i casi di maggiore successo, proviamo a definire tre aree
su cui è opportuno concentrare l’attenzione.

Collaborazione tra Amministrazioni interne. Individuare e motivare una leadership autorevole e decisa
può non essere sufficiente a rompere le barriere che un po’ ovunque separano le diverse
Amministrazioni dello Stato. In alcuni paesi si è provveduto a portare attribuzioni prima separate
sotto un unico ombrello amministrativo, sia esso un Ministero esistente piuttosto che da una nuova
organizzazione. E’ il caso del Department of Homeland Security14 statunitense, il quale ha assorbito
22 agenzie che a vario titolo si occupavano di immigrazione. Simili consolidamenti hanno



9 www.sef.pt
10 www.immigration.go.kr
11 www.ilo.org
12 www.acime.gov.pt
13 Gottfreid Zuercher, Direttore dell’International Center for Migration Policy 13Development,

www.icmpd.org
14 www.dhs.gov
riguardato il Bundesamt für Migration und Flüchtlinge15 tedesco, l’Immigration Directorate (UDI)16
norvegese e l’Irish Naturalization and Immigration Service17 (INIS) irlandese. In Francia il processo
è in corso: il “Ministère de l’immigration, de l’intégration, de l’identité nationale et du
développement solidaire”18 sta accentrando le competenze nelle aree del controllo frontaliero,
cittadinanza, integrazione e identificazione personale. Altre Nazioni hanno preferito affrontare il
tema della collaborazione interna limitandosi a complesse reti di protocolli interministeriali.

Collaborazione con organizzazioni non governative. Una seconda area rilevante attiene alla
collaborazione tra le Amministrazioni preposte alla gestione dell’immigrazione e le organizzazioni
non governative, siano esse aziende private oppure associazioni di volontariato. Si osserva presso le
Amministrazioni più efficaci la tendenza a ricorrere all’esternalizzazione tanto di alcune funzioni
interne quanto di funzioni esterne. Tra le prime, comunemente la gestione delle risorse umane,
degli approvvigionamenti e dei sistemi informativi. Le funzioni esterne sono forse più interessanti.
Circa metà delle Amministrazioni analizzate delegano ad organizzazioni terze l’assistenza legale a
supporto dei migranti. Alcune si appoggiano a terzi per l’elaborazione dei dati, l’emissione di
documenti di identificazione e la sicurezza presso i punti di accesso frontalieri. In Australia la rete
delle agenzie di viaggio è stata operativamente coinvolta nel processo di rilascio dei permessi e la
gestione delle domande è in corso di progressiva esternalizzazione, in particolare nel Sud Est
Asiatico. In tale maniera il DIAC19 non solo libera ambasciate e consolati da una mole di lavoro
burocratico insostenibile, ma limita gli ingenti costi di sicurezza connessi con l’affollamento
crescente dei siti diplomatici. Se il lavoro del privato sostiene tipicamente le Amministrazioni nelle
fasi iniziali del processo migratorio (pre-ingresso, ingresso e transito), il ruolo delle associazioni di
volontariato e delle ONG diviene cruciale nella fase post ingresso. Servizi di traduzione, assistenza
logistica e legale, formazione e indirizzo sono erogati con maggiore efficacia da strutture
profondamente radicate nel territorio. Aggiungiamo che tali organizzazioni hanno la capacità di
penetrare con funzioni di recupero le aree di disagio, dove è facile che il migrante sia
marginalizzato a valle di un processo di integrazione mal gestito o non gestito affatto.

Collaborazione internazionale. L’ultima area rilevante è la collaborazione internazionale, fondata sul
riconoscimento della natura globale del fenomeno migratorio. Tale percezione, praticamente
unanime, si spinge a postulare l’insufficienza del mero coordinamento e la necessità di integrazione
operativa, in particolare tra Paesi originanti e Paesi di destinazione. Nella realtà, tuttavia, i
funzionari delle Amministrazioni preposte rimarcano che ad oggi i rapporti internazionali tra le
autorità competenti si limitano ad un selettivo scambio di informazioni ed alla faticosa definizione
di protocolli. Le comprensibili difficoltà ad approfondire le relazioni traggono origine dalla
delicatezza di temi quali la sicurezza nazionale e le relazioni politiche complessive tra Stati.

Una chiave possibile per superare le rigidità è l’identificazione chiara dei benefici comuni ottenibili
tramite la condivisione di obiettivi e risorse. Un buon esempio è il Trattato di Shengen, che consente
agli attuali 26 Stati aderenti di limitare i controlli di frontiera alla porzione di confine esterna
all’aggregazione. Criteri e procedure di ingresso sono stati armonizzati, definendo standard comuni
e intensificando la collaborazione operativa. I frutti dell’integrazione hanno superato l’ambito
dell’immigrazione: grazie a Shengen le polizie dei paesi aderenti dispongono oggi di vari sistemi
(SIS, VIS, Eurodac) di condivisione delle informazioni riguardanti mandati di cattura, veicoli rubati,
documenti di identificazione e banconote segnalate. Su un programma analogo, Smart Border,

15 www.bamf.de
16 www.udi.no
17 www.inis.gov
18 www.immigration.gouv.fr
19 www.immi.gov.au
stanno lavorando dal 2001 Stati Uniti e Canada, cui si è aggiunto il Massico nel 2005 attraverso il
Security and Prosperity Partnership of North America20.

Più in generale, molti paesi di destinazione tentano di seguire le raccomandazioni del Global
Commission on International Migration21 sul così detto capacity building, ovvero sull’adozione di
politiche attive per promuovere lo sviluppo organizzativo, ma anche economico e sociale, dei Paesi
originanti. Si va dai programmi di formazione alle norme che agevolano le rimesse finanziarie, sino
ad arrivare ad ipotesi di portabilità internazionale delle prestazioni previdenziali (Nuova Zelanda).

                                                Priorità 4:
                                Utilizzo consapevole della tecnologia.
La tecnologia svolge un ruolo fondamentale nella gestione della immigrazione. Il suo utilizzo
consente di affrontare con efficacia ed efficienza il trattamento delle richieste di soggiorno, il varco
sicuro e ordinato dei punti di ingresso, l’organizzazione di un sistema di intelligence degno di
questo nome, la condivisione tra Amministrazioni interne ed esterne di una piattaforma informativa
comune. Gli ultimi anni hanno visto investimenti ingenti nell’ambito dei controlli di frontiera, dove
tecnologie sempre più sofisticate vengono utilizzate per cercare un punto di equilibrio tra la
sicurezza nazionale ed i benefici economici connessi alla libera circolazione di persone e merci.

Si possono rilevare due aspetti importanti nella corretta utilizzazione della tecnologia: da una parte
l’organizzazione che adotta nuovi sistemi deve essere capace di focalizzarli su risultati attesi definiti
in maniera inequivocabile, dall’altra i Governi dovrebbero avere chiaro che la tecnologia è uno
strumento talvolta necessario a trovare una soluzione, ma non è mai la soluzione.

Il sistema di controllo delle frontiere statunitensi realizzato a valle dei tragici fatti dell’11 settembre
dal Department of Homeland Security ha influenzato in varia misura i progetti successivamente
sviluppati in altre Nazioni.




Il DHS ha registrati nel 2006 170 milioni di ingressi. L’insieme delle attività indicate nella figura è
rivolto a garantire “un continuum di misure di sicurezza che iniziano all’estero e si sviluppano
dall’arrivo del visitatore alla sua partenza dagli Stati Uniti”. Il lavoro di gestione della mobilità
umana inizia presso le sedi diplomatiche, dove vengono raccolte impronte digitali e immagine del
volto, subito comparate con le basi dati criminali interne ed internazionali. Al momento
dell’ingresso negli Stati Uniti i dati biometrici sono utilizzati per verificare l’identità effettiva del
visitatore. Da allora in poi ogni interazione con la Pubblica Amministrazione (soggiorno, impiego,
etc) è gestita attraverso la base dati del DHS. Ogni violazione è immediatamente condivisa con le
autorità di volta in volta competenti per immediata sanzione. L’uscita dal paese è ancora registrata e
le informazioni raccolte entrano a fare parte di un articolato sistema di analisi, il quale restituisce un

20   www.spp.gov
21   www.gcim.org
quadro del fenomeno tempestivo e puntuale di rischi e minacce. Non sfuggono inoltre le potenziali
integrazioni con i sistemi privati (finanziari, commerciali, etc) a supporto di eventuali attività di
tracciamento, indagine e controllo. Il motore del sistema è un insieme estremamente complesso di
tecnologie. Database, stazioni mobili, e rilevazioni biometriche integrate in un’unica architettura
informatica consentono al DHS di intercettare quotidianamente (dati 2006) oltre 1.000 immigrati
irregolari e criminali ricercati22.

Dalla esperienza statunitense altri Governi hanno raccolto spunti importanti: il concetto di “confine
virtuale”, ovvero la collocazione delle prime misure di sicurezza nella fase precedente all’arrivo
fisico del visitatore presso i punti di ingresso; la disponibilità per gli operatori, dalle unità di
sicurezza fisse o mobili al singolo addetto all’ufficio di collocamento, delle medesime informazioni
sullo status di un particolare soggetto; l’utilizzo sistematico della biometria per la verifica
dell’identità.

Il Regno Unito, in particolare, sta seguendo il modello adottato negli Stati Uniti. Dal 2005 è in
funzione presso gli aeroporti l’IRIS (Iris Recognition Immigration System), basato su applicazioni
biometriche. Attualmente il sistema è in fase di integrazione con un più vasto programma di
gestione delle frontiere denominato eBorders e gestito dalla UK Border Agency23 (UKBA).

                                                Priorità 5:
                      Misurazione dei risultati sulla base dei benefici prodotti.
Tutte le organizzazioni pubbliche incaricate della gestione dell’immigrazione annoverano tra le
priorità la misurazione dell’efficacia dell’azione amministrativa sulla base dei benefici prodotti, ma
sottolineano anche che le maggiori carenze si riscontrano proprio in quest’area. Il così detto sistema
di misurazione della performance dovrebbe consentire di verificare se l’insieme delle infrastrutture,
dei processi e delle risorse umane impiegate hanno effettivamente prodotto i benefici attesi. Tale
verifica non può evidentemente basarsi sulla rilevazione di indicatori gestionali interni.




Il numero di permessi di soggiorno rilasciati, ad esempio, è il prodotto di una servizio. La sua
quantificazione non ci dice nulla intorno al risultato ottenuto dall’Amministrazione in termini di
qualità della prestazione (beneficio per l’utente) o di contributo alla crescita della sicurezza e del
benessere del Paese (beneficio per la collettività). Ne’ ci dice secondo quali modalità quel contributo
si è dispiegato. A tale fine i sistemi di misurazione della performance dovrebbero incorporare

22   Fact Sheet: Select DHS 2007 Achievements, www.dhs.gov/xnews/releases/pr_119747138027.shtm
23   www.ukba.homeoffice.gov.uk
indicaotri capaci di definire l’impatto della azione amministrativa sugli utenti e sulle aree sociali
interessate. Nelle parole di Graham Burton Joseph, Direttore dell’Immigration Policy and Directives
sudafricano “noi ci preoccupiamo poco dei numeri e invece promuoviamo continue ricerche,
controlli di qualità e verifiche per essere certi che le attività quotidiane siano davvero indirizzate
verso gli obiettivi istituzionali.”

In generale, un alto funzionario del Migration Policy Institute24 ha assimilato l’attuale attività di
numerose Amministrazioni incaricate di gestire l’immigrazione a quella dei vigili del fuoco:
attendono la criticità per intervenire reattivamente con strumenti spesso coercitivi, senza poterla
prevedere e anticipare e quindi, in effetti, gestire.

                                      Cenni sulla situazione italiana
L’Italia rientra in quel gruppo di Nazioni che ha conosciuto l’immigrazione solo in tempi recenti:
negli ultimi 20 anni si è passati da poche migliaia a 3.500.000 di presenze regolari (6% della
popolazione). Di qui le difficoltà delle nostre Amministrazioni nella gestione del fenomeno e la
crescente attenzione verso i temi della sicurezza. Le ricerche indicano infatti che, nonostante tassi di
delittuosità calanti e inferiori alla media UE25, gli italiani si sentono comparativamente meno sicuri
dei concittadini europei e più di tutti associano alla immigrazione i propri timori26. Tale percezione
è alimentata, come in altri paesi, dall’orientamento dei media verso gli aspetti negativi del
fenomeno27 e dalla retorica politica. Una maggiore razionalità indurrebbe tuttavia a considerare che
al fine di mantenere invariato il numero degli italiani in età lavorativa nei prossimi 20 anni, saranno
necessari mediamente 300.000 nuovi immigrati l’anno28: più che altrove la futura prosperità della
Nazione sembra dipendere dalla sua capacità di attrarre ed integrare forza lavoro dall’estero.

                                                Conclusioni
L’immigrazione rappresenta una straordinaria opportunità. Ove efficacemente gestita, essa può
contribuire significativamente allo sviluppo economico, sociale e culturale della Nazione nel pieno
rispetto della sua sicurezza interna. Nel mondo multi-polare, di cui oggi tanto si parla, la capacità di
aprirsi senza perdere il controllo sui propri obiettivi pubblici rappresenta un risultato politico di
estremo valore.
Sono state indicate 5 esigenze da porre alla base dello sviluppo delle Amministrazioni incaricate di
gestire l’immigrazione nel quadro più generale della mobilità umana: risultati attesi chiaramente
declinati e condivisi in coerenza con gli obiettivi pubblici, dialogo continuo e strutturato con
l’utenza ed i gruppi di interesse, collaborazione con le altre Amministrazioni interne e con gli
omologhi esteri, utilizzo appropriato della tecnologia e capacità di valutare la propria attività
rispetto ai risultati sociali effettivamente conseguiti.
Con tutta probabilità, negli anni a venire l’immigrazione acquisterà ancora maggiore visibilità tra le
priorità dei Governi e nella nostra vita quotidiana. Mentre tra Nazioni si farà più aspra la
competizione, attraverso i confini circoleranno in quantità crescente risorse umane, informazioni e
merci preziose. L’auspicio è che le Amministrazioni incaricate di governare il passaggio di questi
flussi in trasparenza e sicurezza abbiano capacità e strumenti per farlo nel più saggio dei modi, cioè
bilanciando i grandi obiettivi pubblici di prosperità, tranquillità e coesione sociale.



24 www.migrationpolicy.org
25 Tra tutte The burden of crime in EU, United Nations Interregional Crime and Justice Research Institute
(UNICRI), 2005
26 Demos-La Polis, 2007
27 L’immagine degli immigrati in televisione, CENSIS, 2002, dove si rileva che l’immigrato è rappresentato nel

80% dei casi all’interno di una vicenda negativa.
28 La rivoluzione in culla, Billari e Dalla Zuana, Università Bocconi Editore, 2008

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Gianmario Pisanu e la gestione del fenomeno migratorio

  • 1. “Prosperità, sicurezza e coesione sociale: priorità nella gestione della immigrazione” a cura di Gianmario Pisanu Obiettivi pubblici e gestione della immigrazione L’emergere di nuove potenze economiche in un quadro geopolitico tendenzialmente multipolare e la continua crescita dei flussi di persone, informazioni e merci, pongono i Governi di fronte all’opportunità di ridefinire i tradizionali obiettivi pubblici di prosperità, sicurezza interna e coesione sociale. Per quanto tali obiettivi, singolarmente già complessi, appaiano talvolta inconciliabili, nessun Paese può sfuggire alla ricerca di una sintesi da tradurre in coerente azione politica. La gestione della immigrazione, all’interno del generale fenomeno della mobilità umana, è uno degli strumenti attraverso cui tale azione può concretizzarsi. La prosperità delle economie mature passa infatti attraverso i 438 milioni di uomini e donne che faranno ingresso nel mondo del lavoro di qui al 2050, 97% dei quali proverrà da Paesi in via di sviluppo1. Essi sono la chiave del riequilibrio demografico, condizione essenziale di crescita economica e stabilità sociale. La tutela della sicurezza nazionale, d’altra parte, richiede oggi il monitoraggio sistematico degli spostamenti frontalieri. Gestire l’immigrazione significa disporre di informazioni decisive ai fini della valutazione del rischio e della allocazione delle risorse. Tra i cittadini, infine, è diffusa la percezione che i migranti riducano le opportunità di lavoro, la sicurezza personale e la disponibilità di servizi pubblici. Ai Governi il compito di preservare la coesione sociale riconducendo questi timori alla realtà dei fatti, ma anche ottimizzando la qualità dei flussi per prevenire disorientamento e conflitti. Tre impostazioni nella gestione del fenomeno migratorio Ciò detto, anche la gestione della immigrazione rappresenta di per sé uno strumento assai complesso. Nel 2005 i migranti sono stati 200 milioni, ovvero il 3% della popolazione mondiale. Nella sola Europa Occidentale sono immigrate 22 milioni di persone, quasi il 12% della popolazione residente. Ed i migranti non sono gli unici a varcare le frontiere: nello stesso 2005 oltre 800 milioni di persone hanno viaggiato tra Nazioni diverse per fini di turismo o lavoro. Le nuove dimensioni del fenomeno e la sua vasta articolazione, determinano un generale ritardo delle Amministrazioni competenti rispetto a servizi pubblici più tradizionali, quali ad esempio l’assistenza sanitaria o l’istruzione. Inoltre, ragioni storiche e politiche restituiscono un quadro internazionale piuttosto disomogeneo, strutturato su almeno tre diverse impostazioni. 1 Accenture Corporate and Policy Affairs, “The raise of the multi-polar world”, 2007
  • 2. Un primo gruppo di Nazioni, tra le quali il Canada, l’Australia e la Nuova Zelanda, sono nate e cresciute sull’onda di processi migratori. Esse continuano ad associare l’immigrazione prioritariamente all’obiettivo della prosperità e gestiscono la mobilità umana come fattore produttivo di sviluppo economico (mercato del lavoro), sociale e culturale. Le Nazioni Europee, fortemente caratterizzate dal punto vista etnico, interpretano la gestione della mobilità dando prevalenza agli obiettivi della sicurezza e della coesione sociale, privilegiando il controllo degli ingressi. Gli Stati Uniti, tradizionalmente collocati nel primo gruppo, hanno reindirizzato le proprie politiche a valle dell’11 settembre verso una impostazione tecnicamente allineata a quella del vecchio continente. Ad una terza ed ultima impostazione è riconducibile l’insieme delle Nazioni originanti. Ad una tradizione poco restrittiva sta subentrando negli ultimi anni maggiore attenzione: il peso economico delle rimesse, che la Banca Mondiale stima valere il doppio degli aiuti internazionali ai Paesi in via di sviluppo2, e l’impoverimento delle rispettive forze lavoro chiamano anche l’India, il Messico o le Filippine ad occuparsi attivamente della gestione dei flussi migratori. Difficoltà nella gestione della immigrazione Numerose sono le difficoltà per i Governi che intendano affrontare la gestione dell’immigrazione attraverso un servizio pubblico strutturato e funzionale. Le autorità politiche e le Amministrazioni debbono impegnarsi a garantire i flussi richiesti dal sistema economico mentre le opinioni pubbliche privilegiano questioni di sovranità, identità e sicurezza. Semplificando, i Governi si trovano a perseguire l’obiettivo della prosperità contro la volontà dei propri cittadini. Trattandosi di un tema evocativo e profondo, l’immigrazione ha trovato ampio spazio sui media, la cui attenzione si è generalmente concentrata sugli aspetti negativi del fenomeno, più immediati e suggestivi3. Le distorsioni indotte nella percezione collettiva non sono state opportunamente indirizzate dalla politica, che anzi non di rado le ha cavalcate alla conquista di facile consenso. Numerosi Governi si vedono quindi obbligati ad affiancare all’obiettivo della prosperità economica politiche di corto respiro, rivolte a placare le ansie delle opinioni pubbliche. La contraddizione di fondo tra apertura e chiusura del mercato del lavoro determina l’incertezza nel fondamento normativo e politico di molti servizi pubblici di gestione dell’immigrazione, con conseguenze potenzialmente catastrofiche: il raggiungimento tanto degli obiettivi economici quanto di quelli di sicurezza rischia di essere compromesso. Un secondo ostacolo alla erogazione di un servizio adeguato è di natura strutturale. I Paesi che nella propria storia non hanno avuto esposizione al fenomeno, si sono limitati a gestire le richieste di asilo. Le rispettive organizzazioni ed infrastrutture sono oggi disallineate rispetto alle nuove esigenze ed agli obiettivi della politica. 2 UN Global Commission on International Migration Report 2005
  • 3. Questo è il contesto all’interno del quale operano i responsabili delle Amministrazioni preposte alla gestione della immigrazione. Un compito difficilissimo che alcuni, tuttavia, riescono a svolgere con vigore e straordinario successo. L’Accenture Institute for Public Value ha condotto uno studio in 14 Paesi4, coinvolgendo direttamente i dirigenti delle Amministrazioni competenti. Da un approfondito dibattito, sono emerse 5 priorità che qualificano le prospettive di sviluppo delle organizzazioni pubbliche incaricate di governare l’immigrazione e più in generale la mobilità umana transfrontaliera. Priorità 1: Chiara definizione dei risultati attesi dal servizio di gestione della immigrazione. Nella gestione di un servizio pubblico, il risultato atteso è il beneficio in termini di migliorata condizione sociale ed economica degli utenti conseguente all’erogazione della prestazione. Attorno al risultato atteso la Pubblica Amministrazione definisce la propria strategia, realizza i sistemi, mette in piedi le procedure e motiva i dipendenti. E’ il risultato atteso a determinare eventuali cambiamenti e misurare la qualità dell’azione amministrativa. Nel corso della ricerca è emersa la necessità per le Amministrazioni di conoscere con precisione i propri risultati attesi, ovvero il proprio ruolo nel perseguimento degli obiettivi pubblici, al fine di allocare con coerenza le risorse disponibili e cooperare efficacemente con il resto della Pubblica Amministrazione. Chiarezza intorno ai risultati attesi si è riscontrata, ad esempio, in Australia e Canada, dove le rispettive Amministrazioni sono indirizzate ad attrarre e trattenere la giusta quantità e qualità di flussi in ragione degli obiettivi di prosperità del proprio Governo. Situazione simile in Svezia e Portogallo, dove i funzionari delle rispettive Amministrazioni hanno chiaro il proprio risultato atteso: garantire la coesione sociale attraverso l’integrazione5. Al di là degli aspetti operativi, la consapevolezza del ruolo consente alle Amministrazioni preposte di bilanciare i risultati. Questo è un punto centrale, poiché la gestione dell’immigrazione coinvolge un gran numero di ambiti amministrativi e di organizzazioni. Chi è responsabile del controlli di frontiera non può che operare in completo allineamento con chi definisce le opportunità di impiego, i servizi anagrafici o l’assistenza sanitaria. Un servizio strutturato ha quindi bisogno di una strategia articolata e univoca e di un piano che allinei risorse, prodotti, processi e obiettivi. I responsabili amministrativi debbono sapere quanti dipendenti (risorse) occorrono a processare le domande nei tempi stabiliti (prodotto) per consentire ai migranti di stabilirsi negli ambiti occupazionali individuati (processo) contribuendo al raggiungimento dell’obiettivo pubblico di prosperità (obiettivi). Vale ricordare, inoltre, come un chiaro quadro delle attese consenta a tutti i livelli dell’organizzazione di operare con maggiore motivazione e soddisfazione. In Finlandia gli immigrati sono passati in un decennio dallo 0,3% a oltre il 2,5% della popolazione residente. Una crescita che ha posto il Governo di fronte alla necessità di affrontare in maniera strutturata il fenomeno. Nonostante ingenti investimenti e vari adeguamenti normativi, la situazione nel 2003 era ancora insoddisfacente: 3 mesi per il rilascio di un permesso di soggiorno, 10 mesi per l’esito di una richiesta d’asilo e 3 anni per quello di una domanda di cittadinanza. Il Governo ha allora creato un sistema di obiettivi condivisi tra le 7 Amnministrazioni variamente coinvolte nella gestione dell’immigrazione, coordinate da un unico e sovraordinato comitato di 4 Toward greater prosperity, security and social cohesion: critical practices in managing immigration services, Accenture Institute for Public Value, 2008. I paesi sono Australia, Canada, Finlandia, Irlanda, Giappone, Nuova Zelanda, Polonia, Portogallo, Sud Africa, Spagna, Svezia, Svizzera, Regno Unito e Stati Uniti 5 Si osserva che non a caso Svezia e Portogallo occupano i primi posti del MIPEX—Migrant Integration Policy Index, www.integrationindex.eu
  • 4. coordinamento che ha fissato un insieme di risultati attesi comuni ancora oggi sono in vigore. Sulla base di tali risultati è stato formulato un piano strategico unitario. Partendo da questa base, l’Esecutivo ha recentemente lanciato un programma di trasformazione dei processi e delle infrastrutture di gestione dell’immigrazione6, coinvolgendo in un solo progetto Amministrazioni diverse ma ormai accomunate da una sola piattaforma decisionale. Priorità 2: Coinvolgimento sistematico degli utenti del servizio e dei gruppi di interesse. Oltre ai risultati attesi, le Amministrazioni incaricate di gestire l’immigrazione debbono conoscere chi beneficerà di tali risultati. La progettazione e l’erogazione di un servizio efficace non può che fondarsi sui bisogni e le aspettative di utenti, cittadini e gruppi di interesse coinvolti in un programma di consultazione continuo e aperto. L’enfasi su questo punto e unanime: la cittadinanza, i politici, il Parlamento, le associazioni datoriali, i sindacati e le corrispondenti Amministrazioni estere debbono essere consultate in maniera sistematica, attraverso un dialogo che, secondo Gervaise Appave7, può anche contribuire a mitigare la retorica negativa che in molti Paesi circonda il fenomeno dell’immigrazione. In alcune Nazioni tale processo di consultazione assume forme strutturate e trasparenti, come ad esempio in Nuova Zelanda o in Svezia. In altre i momenti di confronto sono meno formali oppure più difficoltosi a causa della eccessiva frammentazione delle responsabilità all’interno delle Pubbliche Amministrazioni. Certamente il punto di riferimento principale per le Amministrazioni incaricate di gestire l’immigrazione sono gli utenti, controparte diretta in transazioni quali la richiesta di un permesso di soggiorno, il superamento di una frontiera o la domanda di asilo politico. Ciascuna organizzazione dovrebbe porre al centro del proprio agire l’immigrato, consultandolo individualmente per focalizzare bisogni e aspettative, garantendo un servizio accessibile, semplice, trasparente e puntuale, strutturando la propria conoscenza dell’utente e accompagnandolo dall’arrivo alla partenza. Nelle parole di Mary Anne Thompson, Sottosegretario al Department of Labor neozelandese, “non si tratta semplicemente di trovare loro un lavoro, quanto piuttosto di comprendere come si sono sistemati, com’è andato l’inserimento scolastico dei loro bambini, quali sono i loro problemi quotidiani”. La gran parte delle Amministrazioni analizzate affronta in maniera molto seria il tema della consultazione dell’utente per focalizzarne bisogni e aspettative. Canada, Portogallo, Finlandia, Nuova Zelanda, Australia, Sud Africa e Svezia investono ingenti risorse in ricerche, focus group e interviste campionarie per migliorare la qualità del servizio. Similmente, gran parte delle Amministrazioni analizzate pubblica standard di qualità che vengono effettivamente rispettati, spesso costruiti sulla base delle esigenze specifiche dei diversi gruppi etnici di riferimento. Il Citizen and Immigration Canada (CIC) ha responsabilità molto vaste: l’ammissione di migranti, studenti, turisti e lavoratori temporanei; la protezione e rilocazione dei rifugiati; l’integrazione dei migranti e la tutela della sicurezza e salute dei residenti. Al fine di garantire una gestione delle domande molto semplice, il CIC ha sviluppato un sistema di comunicazione pubblico, trasparente e universalmente accessibile8 che conduce attraverso i criteri di selezione, consente il dialogo e la transazione a distanza, permette al migrante di monitorare dal proprio paese d’origine lo stato della 6 www.migri.fi 7 Director of Migration Policy and Research Program, the United Nation’s International Organization for Migration, based in Geneva 8 www.cic.gc.ca
  • 5. pratica. La disponibilità di servizi in formato elettronico sta assumendo rilevanza crescente. Il Servicos de Estrangeiros e Fronteiras (SEF) portoghese gestisce una TV via Internet con funzioni di indirizzo, successivamente personalizzate attraverso una rete di mediatori culturali9. E’ chiaro che una visione integrata ed un flusso di informazioni completo sulla esperienza del migrante rappresenta uno strumento cruciale per l’elaborazione delle politiche di ingresso, accoglienza, integrazione e sicurezza. Per ottenere tale risultato è necessario convogliare tutte le informazioni raccolte da fonti diverse (frontiera, sanità, scuola, anagrafe, etc) verso un unico punto e al contempo garantire al migrante un punto di accesso unico alla Pubblica Amministrazione. Un sistema unitario è stato realizzato, ad esempio, in Canada ed in Finlandia. Al prevedibile miglioramento della qualità del servizio ed alla completezza e tempestività della base decisionale fornita alle autorità competenti, si è sommato un risparmio tra il 30% al 40% sui costi amministrativi. Altri paesi, pur non essendo giunti alla sofisticazione operativa appena descritta, hanno comunque affrontato con impegno l’estensione del servizio al di là del mero ingresso frontaliero. L’Immigration Bureau della Corea del Sud10, lavorando insieme all’ILO11 (International Labour Organization) ha realizzato un programma di formazione dei futuri immigranti presso i rispettivi paesi d’origine. Si tratta di un corso di 150 ore che non solo fornisce strumenti preziosi ai nuovi cittadini, ma garantisce all’Amministrazione coereana una base informativa fondamentale per la gestione di ingressi, integrazione e sicurezza. Il SEF portoghese, in collaborazione con l’Alto Comissariado para a Integração das Minorias12, ha realizzato punti di accesso fisici per gli immigrati, “il negozio dell’immigrato”, situati nei centri commerciali delle aree urbane e abilitati a fornire informazioni e servizi in materia di anagrafe, salute, educazione previdenza e fisco. Priorità 3: Coordinamento, collaborazione e integrazione tra Amministrazioni. “Ciò che importiamo non è solo manodopera, importiamo persone. Se nell’immediato la priorità è il mercato del lavoro, nel lungo termine gli impatti saranno sulla sanità, l’educazione e l’edilizia”13: l’immigrato è un cittadino che si inserisce a pieno titolo nel sistema di diritti del Paese che lo accoglie, quindi le Amministrazioni preposte alla gestione dell’immigrazione non possono che coordinarsi con tutte le strutture che erogano servizi pubblici individuali. Sebbene tale necessità sia chiara a tutti, è diffusamente rilevabile un certo ritardo nella implementazione di autentiche politiche di coordinamento. Considerando i casi di maggiore successo, proviamo a definire tre aree su cui è opportuno concentrare l’attenzione. Collaborazione tra Amministrazioni interne. Individuare e motivare una leadership autorevole e decisa può non essere sufficiente a rompere le barriere che un po’ ovunque separano le diverse Amministrazioni dello Stato. In alcuni paesi si è provveduto a portare attribuzioni prima separate sotto un unico ombrello amministrativo, sia esso un Ministero esistente piuttosto che da una nuova organizzazione. E’ il caso del Department of Homeland Security14 statunitense, il quale ha assorbito 22 agenzie che a vario titolo si occupavano di immigrazione. Simili consolidamenti hanno 9 www.sef.pt 10 www.immigration.go.kr 11 www.ilo.org 12 www.acime.gov.pt 13 Gottfreid Zuercher, Direttore dell’International Center for Migration Policy 13Development, www.icmpd.org 14 www.dhs.gov
  • 6. riguardato il Bundesamt für Migration und Flüchtlinge15 tedesco, l’Immigration Directorate (UDI)16 norvegese e l’Irish Naturalization and Immigration Service17 (INIS) irlandese. In Francia il processo è in corso: il “Ministère de l’immigration, de l’intégration, de l’identité nationale et du développement solidaire”18 sta accentrando le competenze nelle aree del controllo frontaliero, cittadinanza, integrazione e identificazione personale. Altre Nazioni hanno preferito affrontare il tema della collaborazione interna limitandosi a complesse reti di protocolli interministeriali. Collaborazione con organizzazioni non governative. Una seconda area rilevante attiene alla collaborazione tra le Amministrazioni preposte alla gestione dell’immigrazione e le organizzazioni non governative, siano esse aziende private oppure associazioni di volontariato. Si osserva presso le Amministrazioni più efficaci la tendenza a ricorrere all’esternalizzazione tanto di alcune funzioni interne quanto di funzioni esterne. Tra le prime, comunemente la gestione delle risorse umane, degli approvvigionamenti e dei sistemi informativi. Le funzioni esterne sono forse più interessanti. Circa metà delle Amministrazioni analizzate delegano ad organizzazioni terze l’assistenza legale a supporto dei migranti. Alcune si appoggiano a terzi per l’elaborazione dei dati, l’emissione di documenti di identificazione e la sicurezza presso i punti di accesso frontalieri. In Australia la rete delle agenzie di viaggio è stata operativamente coinvolta nel processo di rilascio dei permessi e la gestione delle domande è in corso di progressiva esternalizzazione, in particolare nel Sud Est Asiatico. In tale maniera il DIAC19 non solo libera ambasciate e consolati da una mole di lavoro burocratico insostenibile, ma limita gli ingenti costi di sicurezza connessi con l’affollamento crescente dei siti diplomatici. Se il lavoro del privato sostiene tipicamente le Amministrazioni nelle fasi iniziali del processo migratorio (pre-ingresso, ingresso e transito), il ruolo delle associazioni di volontariato e delle ONG diviene cruciale nella fase post ingresso. Servizi di traduzione, assistenza logistica e legale, formazione e indirizzo sono erogati con maggiore efficacia da strutture profondamente radicate nel territorio. Aggiungiamo che tali organizzazioni hanno la capacità di penetrare con funzioni di recupero le aree di disagio, dove è facile che il migrante sia marginalizzato a valle di un processo di integrazione mal gestito o non gestito affatto. Collaborazione internazionale. L’ultima area rilevante è la collaborazione internazionale, fondata sul riconoscimento della natura globale del fenomeno migratorio. Tale percezione, praticamente unanime, si spinge a postulare l’insufficienza del mero coordinamento e la necessità di integrazione operativa, in particolare tra Paesi originanti e Paesi di destinazione. Nella realtà, tuttavia, i funzionari delle Amministrazioni preposte rimarcano che ad oggi i rapporti internazionali tra le autorità competenti si limitano ad un selettivo scambio di informazioni ed alla faticosa definizione di protocolli. Le comprensibili difficoltà ad approfondire le relazioni traggono origine dalla delicatezza di temi quali la sicurezza nazionale e le relazioni politiche complessive tra Stati. Una chiave possibile per superare le rigidità è l’identificazione chiara dei benefici comuni ottenibili tramite la condivisione di obiettivi e risorse. Un buon esempio è il Trattato di Shengen, che consente agli attuali 26 Stati aderenti di limitare i controlli di frontiera alla porzione di confine esterna all’aggregazione. Criteri e procedure di ingresso sono stati armonizzati, definendo standard comuni e intensificando la collaborazione operativa. I frutti dell’integrazione hanno superato l’ambito dell’immigrazione: grazie a Shengen le polizie dei paesi aderenti dispongono oggi di vari sistemi (SIS, VIS, Eurodac) di condivisione delle informazioni riguardanti mandati di cattura, veicoli rubati, documenti di identificazione e banconote segnalate. Su un programma analogo, Smart Border, 15 www.bamf.de 16 www.udi.no 17 www.inis.gov 18 www.immigration.gouv.fr 19 www.immi.gov.au
  • 7. stanno lavorando dal 2001 Stati Uniti e Canada, cui si è aggiunto il Massico nel 2005 attraverso il Security and Prosperity Partnership of North America20. Più in generale, molti paesi di destinazione tentano di seguire le raccomandazioni del Global Commission on International Migration21 sul così detto capacity building, ovvero sull’adozione di politiche attive per promuovere lo sviluppo organizzativo, ma anche economico e sociale, dei Paesi originanti. Si va dai programmi di formazione alle norme che agevolano le rimesse finanziarie, sino ad arrivare ad ipotesi di portabilità internazionale delle prestazioni previdenziali (Nuova Zelanda). Priorità 4: Utilizzo consapevole della tecnologia. La tecnologia svolge un ruolo fondamentale nella gestione della immigrazione. Il suo utilizzo consente di affrontare con efficacia ed efficienza il trattamento delle richieste di soggiorno, il varco sicuro e ordinato dei punti di ingresso, l’organizzazione di un sistema di intelligence degno di questo nome, la condivisione tra Amministrazioni interne ed esterne di una piattaforma informativa comune. Gli ultimi anni hanno visto investimenti ingenti nell’ambito dei controlli di frontiera, dove tecnologie sempre più sofisticate vengono utilizzate per cercare un punto di equilibrio tra la sicurezza nazionale ed i benefici economici connessi alla libera circolazione di persone e merci. Si possono rilevare due aspetti importanti nella corretta utilizzazione della tecnologia: da una parte l’organizzazione che adotta nuovi sistemi deve essere capace di focalizzarli su risultati attesi definiti in maniera inequivocabile, dall’altra i Governi dovrebbero avere chiaro che la tecnologia è uno strumento talvolta necessario a trovare una soluzione, ma non è mai la soluzione. Il sistema di controllo delle frontiere statunitensi realizzato a valle dei tragici fatti dell’11 settembre dal Department of Homeland Security ha influenzato in varia misura i progetti successivamente sviluppati in altre Nazioni. Il DHS ha registrati nel 2006 170 milioni di ingressi. L’insieme delle attività indicate nella figura è rivolto a garantire “un continuum di misure di sicurezza che iniziano all’estero e si sviluppano dall’arrivo del visitatore alla sua partenza dagli Stati Uniti”. Il lavoro di gestione della mobilità umana inizia presso le sedi diplomatiche, dove vengono raccolte impronte digitali e immagine del volto, subito comparate con le basi dati criminali interne ed internazionali. Al momento dell’ingresso negli Stati Uniti i dati biometrici sono utilizzati per verificare l’identità effettiva del visitatore. Da allora in poi ogni interazione con la Pubblica Amministrazione (soggiorno, impiego, etc) è gestita attraverso la base dati del DHS. Ogni violazione è immediatamente condivisa con le autorità di volta in volta competenti per immediata sanzione. L’uscita dal paese è ancora registrata e le informazioni raccolte entrano a fare parte di un articolato sistema di analisi, il quale restituisce un 20 www.spp.gov 21 www.gcim.org
  • 8. quadro del fenomeno tempestivo e puntuale di rischi e minacce. Non sfuggono inoltre le potenziali integrazioni con i sistemi privati (finanziari, commerciali, etc) a supporto di eventuali attività di tracciamento, indagine e controllo. Il motore del sistema è un insieme estremamente complesso di tecnologie. Database, stazioni mobili, e rilevazioni biometriche integrate in un’unica architettura informatica consentono al DHS di intercettare quotidianamente (dati 2006) oltre 1.000 immigrati irregolari e criminali ricercati22. Dalla esperienza statunitense altri Governi hanno raccolto spunti importanti: il concetto di “confine virtuale”, ovvero la collocazione delle prime misure di sicurezza nella fase precedente all’arrivo fisico del visitatore presso i punti di ingresso; la disponibilità per gli operatori, dalle unità di sicurezza fisse o mobili al singolo addetto all’ufficio di collocamento, delle medesime informazioni sullo status di un particolare soggetto; l’utilizzo sistematico della biometria per la verifica dell’identità. Il Regno Unito, in particolare, sta seguendo il modello adottato negli Stati Uniti. Dal 2005 è in funzione presso gli aeroporti l’IRIS (Iris Recognition Immigration System), basato su applicazioni biometriche. Attualmente il sistema è in fase di integrazione con un più vasto programma di gestione delle frontiere denominato eBorders e gestito dalla UK Border Agency23 (UKBA). Priorità 5: Misurazione dei risultati sulla base dei benefici prodotti. Tutte le organizzazioni pubbliche incaricate della gestione dell’immigrazione annoverano tra le priorità la misurazione dell’efficacia dell’azione amministrativa sulla base dei benefici prodotti, ma sottolineano anche che le maggiori carenze si riscontrano proprio in quest’area. Il così detto sistema di misurazione della performance dovrebbe consentire di verificare se l’insieme delle infrastrutture, dei processi e delle risorse umane impiegate hanno effettivamente prodotto i benefici attesi. Tale verifica non può evidentemente basarsi sulla rilevazione di indicatori gestionali interni. Il numero di permessi di soggiorno rilasciati, ad esempio, è il prodotto di una servizio. La sua quantificazione non ci dice nulla intorno al risultato ottenuto dall’Amministrazione in termini di qualità della prestazione (beneficio per l’utente) o di contributo alla crescita della sicurezza e del benessere del Paese (beneficio per la collettività). Ne’ ci dice secondo quali modalità quel contributo si è dispiegato. A tale fine i sistemi di misurazione della performance dovrebbero incorporare 22 Fact Sheet: Select DHS 2007 Achievements, www.dhs.gov/xnews/releases/pr_119747138027.shtm 23 www.ukba.homeoffice.gov.uk
  • 9. indicaotri capaci di definire l’impatto della azione amministrativa sugli utenti e sulle aree sociali interessate. Nelle parole di Graham Burton Joseph, Direttore dell’Immigration Policy and Directives sudafricano “noi ci preoccupiamo poco dei numeri e invece promuoviamo continue ricerche, controlli di qualità e verifiche per essere certi che le attività quotidiane siano davvero indirizzate verso gli obiettivi istituzionali.” In generale, un alto funzionario del Migration Policy Institute24 ha assimilato l’attuale attività di numerose Amministrazioni incaricate di gestire l’immigrazione a quella dei vigili del fuoco: attendono la criticità per intervenire reattivamente con strumenti spesso coercitivi, senza poterla prevedere e anticipare e quindi, in effetti, gestire. Cenni sulla situazione italiana L’Italia rientra in quel gruppo di Nazioni che ha conosciuto l’immigrazione solo in tempi recenti: negli ultimi 20 anni si è passati da poche migliaia a 3.500.000 di presenze regolari (6% della popolazione). Di qui le difficoltà delle nostre Amministrazioni nella gestione del fenomeno e la crescente attenzione verso i temi della sicurezza. Le ricerche indicano infatti che, nonostante tassi di delittuosità calanti e inferiori alla media UE25, gli italiani si sentono comparativamente meno sicuri dei concittadini europei e più di tutti associano alla immigrazione i propri timori26. Tale percezione è alimentata, come in altri paesi, dall’orientamento dei media verso gli aspetti negativi del fenomeno27 e dalla retorica politica. Una maggiore razionalità indurrebbe tuttavia a considerare che al fine di mantenere invariato il numero degli italiani in età lavorativa nei prossimi 20 anni, saranno necessari mediamente 300.000 nuovi immigrati l’anno28: più che altrove la futura prosperità della Nazione sembra dipendere dalla sua capacità di attrarre ed integrare forza lavoro dall’estero. Conclusioni L’immigrazione rappresenta una straordinaria opportunità. Ove efficacemente gestita, essa può contribuire significativamente allo sviluppo economico, sociale e culturale della Nazione nel pieno rispetto della sua sicurezza interna. Nel mondo multi-polare, di cui oggi tanto si parla, la capacità di aprirsi senza perdere il controllo sui propri obiettivi pubblici rappresenta un risultato politico di estremo valore. Sono state indicate 5 esigenze da porre alla base dello sviluppo delle Amministrazioni incaricate di gestire l’immigrazione nel quadro più generale della mobilità umana: risultati attesi chiaramente declinati e condivisi in coerenza con gli obiettivi pubblici, dialogo continuo e strutturato con l’utenza ed i gruppi di interesse, collaborazione con le altre Amministrazioni interne e con gli omologhi esteri, utilizzo appropriato della tecnologia e capacità di valutare la propria attività rispetto ai risultati sociali effettivamente conseguiti. Con tutta probabilità, negli anni a venire l’immigrazione acquisterà ancora maggiore visibilità tra le priorità dei Governi e nella nostra vita quotidiana. Mentre tra Nazioni si farà più aspra la competizione, attraverso i confini circoleranno in quantità crescente risorse umane, informazioni e merci preziose. L’auspicio è che le Amministrazioni incaricate di governare il passaggio di questi flussi in trasparenza e sicurezza abbiano capacità e strumenti per farlo nel più saggio dei modi, cioè bilanciando i grandi obiettivi pubblici di prosperità, tranquillità e coesione sociale. 24 www.migrationpolicy.org 25 Tra tutte The burden of crime in EU, United Nations Interregional Crime and Justice Research Institute (UNICRI), 2005 26 Demos-La Polis, 2007 27 L’immagine degli immigrati in televisione, CENSIS, 2002, dove si rileva che l’immigrato è rappresentato nel 80% dei casi all’interno di una vicenda negativa. 28 La rivoluzione in culla, Billari e Dalla Zuana, Università Bocconi Editore, 2008