1. 13.
Laureati pre- e post-riforma:
il parere dei responsabili del personale
di Giovanni Facco
Tra gli obiettivi fondanti la riforma due sono da considerarsi significativi
e riguardano il riavvicinamento della scuola al lavoro e la possibilità di anti-
cipare l’inserimento del laureato nel mondo del lavoro.
Sul raggiungimento o meno di tali obiettivi si sono già spesi molti giudi-
zi negativi in buona parte fondati da pre-giudizi sulla riforma stessa; in real-
tà è difficile esprimere un giudizio e valutare i primi risultati della riforma
dei cicli in quanto i laureati di I livello sono ancora troppo pochi (la rifor-
ma è entrata in vigore nel 2001 e quindi i primi laureati nuovo corso sono
del 2004/2005) e soprattutto non sono disponibili sul mercato del lavoro in
quanto circa l’80% di essi intende procedere nel corso di studi per acquisire
la laurea magistrale.
I dati per ora disponibili non ci aiutano quindi ad esprimere un giudi-
zio; per valutare allora se il percorso intrapreso è quella giusto ci porta a
raggiungere alcuni degli obiettivi della riforma citata, è utile farci aiutare da
dati, indici di carattere generale per comprendere in quale contesto la rifor-
ma si colloca.
1. Alcuni dati
L’indagine del Miur sull’istruzione universitaria 2005 ci offre un primo
quadro generale.
Ogni 100 ragazzi che si diplomano, 73 si iscrivono all’università; ogni
anno si immatricolano circa 350.000 giovani, ma vi è anche un abbandono al
1°anno di circa il 20%; il totale studenti immatricolati è di 1.740.000, di cui
56% sono donne; nel 2004 si sono laureati 260.000 unità, il 63% di questi
era fuori corso (169.000).
Il nostro paese si colloca negli gli ultimi posti in Europa per quanto at-
tiene l’indice di scolarità terziaria: sul totale occupati solo il 10,5% ha una
laurea che sale al 12,7% se si prende in considerazione la sola popolazio-
2. 2 Giovanni Facco
60
50
25
40 25
2
17
9
17 17 12 11 8
30 21 16 14
9
12 6 2
10 9
0
37
20 7
0
8 3
30 30
28 27 25 3 1 0
26 24 26 25 24 0
23 23 12 7 0
22 23 21 20
20 20
10 18
17 16 17
14 13
13 12 12 11
8
7
0
Canada
Giappone
Corea
Svezia
Finlandia
Norvegia
Belgio
Stati Uniti
Spagna
Francia
Irlanda
Australia
Danimarca
Regno Unito
Nuova Zelanda
Svizzera
Islanda
Paesi Bassi
Grecia
Germania
Polonia
Messico
Lussemburgo
Ungheria
Portogallo
Austria
Rep. Slovacca
Italia
Rep. Ceca
Turchia
Media Oecd
Terziario di tipo A Terziario di tipo B
Fig. 13.1. Percentuale di popolazione tra i 25 e i 34 anni che ha conseguito un titolo terzia-
rio (2003).
Fonte: Oecd, Education at a Glance, 2005.
ne tra i 25-34 anni; in valori assoluti, si tratta di 2.600.000 unità su circa
21.000.000 di occupati.
Se si prende a riferimento l’intera popolazione italiana (dati del censi-
mento 2001) le persone laureate sono circa 3.800.000 pari cioè al 4,5% a
fronte di circa 19.500.000 di persone con licenza elementare, 16.000.000 con
licenza media e 14.200.000 con licenza superiore.
In sintesi il nostro paese ha una struttura della popolazione in possesso di
un titolo terziario molto bassa, allo stesso livello della Turchia, della Repubbli-
ca Ceca; paesi come Grecia, Polonia, Messico, Ungheria, che non si collocano
certo tra i primi 10 paesi più industrializzati, ci superano di parecchi punti
percentuali per l’attenzione che prestano nell’investimento sul capitale umano.
2. Struttura dell’occupazione
Le analisi effettuate da AlmaLaurea approfondiscono con dettaglio la
struttura dell’offerta, offrendoci una massa di dati unica per comprendere
3. Laureati pre- e post-riforma: il parere dei responsabili del personale 3
50 ULTIMA
COLONNA
40
25
9 NON SI
30
12 17 19
17
8
15
VEDE
3 18
20 11 7
Illeggibile 13 8
13
12
18 3 25 ???
22
10 4
7 17
14 13
11 9 11
9 8 7 5 5
0
Giappone
Stati Uniti
Italia
Svezia
Germania
Finlandia
Francia
Regno Unito
Portogallo
Grecia
Turchia
Israele
Media campione
Canada
Titolo di tipo A di lunga durata Titolo di tipo A di breve durata Titolo di tipo B
(es. laurea 4/5 anni) (es. laurea triennale) (stampo pratico applicativo)
Fig. 13.2. Tipologia dei titoli di istruzione terziaria in possesso dei giovani tra i 25 e i 34 anni.
Fonte: Elaborazione McKinsey su dati Oecd (2004).
sia il funzionamento dell’università sia il comportamento dei giovani in rela-
zione alle scelte intraprese.
La struttura della domanda invece è appena accennata, e senz’altro vi
è necessità di un’analisi più approfondita per poter capire i fenomeni sopra
rappresentati.
Non vi è dubbio che la struttura dei cicli formativi e conseguentemente
l’articolazione e il funzionamento dell’università non può essere schiacciato
sulle esigenze e sui bisogni contingenti del mondo produttivo, anche solo
per il fatto che diversa è la prospettiva e la profondità di campo e differente
è l’approccio pianificatorio di chi opera nel settore produttivo e di chi deve
assicurare una formazione culturale strutturata.
In ogni caso è indispensabile, ma lo vedremo nelle conclusioni, che i
due mondi si parlino, e stabiliscano una stretta relazione sinergica.
Un sintetico quadro della struttura produttiva del nostro paese è co-
munque indispensabile.
Il numero delle unità giuridico-economico (censimento del 2001) in Ita-
lia sono 4.333.000 che assicurano l’occupazione di 19.500.000 unità;
Con riferimento alle sole imprese industriali queste sono 555.000 pari al
12,8% del totale delle unità giuridico-economiche, che assicurano un’occupazio-
ne di circa 5.000.000 unità pari al 26,1% del totale occupati di cui sopra. Ana-
lizzando ancor più in dettaglio la struttura dimensionale delle imprese emerge
4. 4 Giovanni Facco
come da tabella 13.1 che il tessuto produttivo è caratterizzato da una presenza
quasi esclusiva di piccole aziende con una media di addetti pari a 13 unità.
Una struttura industriale che si caratterizza per produzioni a basso im-
patto tecnologico e bassa complessità produttiva-organizzativa, necessaria-
mente trova nei fattori di costo e in particolare nel costo del lavoro ancora
il suo fattore chiave di competitività; una ricerca estesa ai principali paesi
europei dell’Isae effettuata nel 2004 relativa alle attese occupazionali nei vari
settori economici con riferimento ai livelli di istruzione evidenziava che nel-
l’industria vi è una forte prevalenza di occupazione a bassa scolarizzazione;
in particolare su 100 occupati, il 49% ha un livello di istruzione basso, il
39% un livello medio, e solo un 12% un livello alto.
La ricerca inoltre evidenzia che i settori economici del commercio e dei
servizi assicurano un mix occupazionale a più elevata scolarità: per il com-
mercio la percentuale di occupazione ad alta scolarità è il 14%, mentre nei
servizi è il 33%.
La ricerca inoltre evidenziava per i prossimi anni un leggero migliora-
mento della situazione anche nel settore industriale.
Una prima riflessione è di natura strutturale: un tessuto produttivo così
povero, fragile, e polverizzato in un’infinità di piccole aziende non ha la ne-
cessità né la possibilità di utilizzare e impiegare risorse ad alta qualificazio-
ne; d’altra parte una struttura povera di risorse altamente secolarizzate non è
stimolata a introdurre innovazioni e miglioramenti di processo o di prodotto
per riposizionarsi sul mercato o per mantenere le attuali posizioni; questo
comportamento tende a generare un non-sviluppo che tende a peggiorare il
quadro di partenza.
Inoltre le grandi aziende, che come evidenziato nella tabella 9.1 rappre-
sentano lo 0,3%, (in valori assoluti 1.500 unità) del totale imprese, tendono
per effetto della competizione sempre più aspra a razionalizzare il ciclo pro-
duttivo, a de-localizzare altrove le attività produttive, quindi a perdere occu-
pazione anche di qualità.
Modificare e invertire questa tendenza delle imprese sarà molto difficile
e comunque i tempi saranno lunghi in quanto necessiteranno di un quadro
di proposte e di interventi di politica economica a livello di paese che in
questo momento non si intravedono.
Tab. 13.1. MANCA DIDA
Dimensioni N. unità locali % Occupati % Media addetti
0-49 543.000 97,8 2.770.000 54,8 13
50-249 10.500 1,9 1.059.000 20,9 149
Oltre 250 1500 0,3 1.230.000 24,3 776
Totale 555.000 100,0 5.059.000 100,0
5. Laureati pre- e post-riforma: il parere dei responsabili del personale 5
2.1. Andamento dell’occupazione
Un altro elemento di analisi è dato dalla struttura dell’occupazione e
delle assunzioni.
Un primo dato [Istat 2004] evidenzia che il tasso di occupazione tra la
popolazione con età compresa tra i 15-64 anni è passato dal 52,3% del 1993
al 57,4% del 2004, quindi un +5,1%; ma nello stesso periodo il tasso di oc-
cupazione dei giovani di età tra i 15-24 anni è passato dal 30,3% del 1993
al 27,2% del 2004, quindi un –3,1%.
Le previsioni di assunzioni effettuate dall’Isae nel 2004 e riferite agli
anni 2005 e 2006, evidenziano per il 2005 che solo il 36,7% delle imprese
intervistate ha manifestato interesse ad assumere, percentuale che si riduce al
28% per il 2006; circa la tipologia delle assunzioni prevalgono con il 51%,
assunzioni con contratti a tempo determinato e per il 2006 si prevedono in-
crementi per i soli contratti a progetto.
Analizzando in dettaglio le caratteristiche della nuova occupazione del
2005 (effettuata da Union Camere-Ministero del Lavoro-Sistema informativo
Excelsior) emerge che su 647.000 assunzioni previste:
• 108.000 attengono profili professionali di elevata specializzazione;
• 229.000 riguardano operai specializzati;
• 310.000 personale a bassa qualificazione.
Inoltre il 60% di tali assunzioni vengono richieste da aziende con di-
mensioni 1-49 addetti e solo il 19% da aziende di dimensioni oltre 500 ad-
detti; circa 150.000 tra le assunzioni previste riguardano la ricerca di per-
sonale extracomunitario da parte delle piccole aziende del Centro Nord; e
ancora 57.000 sono laureati (il 22% dei laureati in un anno).
Focalizzando l’attenzione sul personale laureato (istat) si evidenzia la
tendenza ad una diminuzione delle opportunità di occupazione:
• nel 2004 a tre anni dalla laurea il 74% dei laureati svolgeva una atti-
vità lavorativa stabile, nel 1989 erano il 78,2%, nel 1995 erano il 66,5%; le
principali criticità sono rappresentate dal Sud e dalla diminuzione dell’occu-
pazione femminile; in cima alla graduatoria, in termini di tasso di occupazio-
ne, si collocano gli ingegneri con il 90,8%, anche se in diminuzione rispetto
al 1993 (93%);
• tra coloro che svolgono un’attività stabile (74% di cui sopra) il 65,6%
ha un contratto a tempo indeterminato; tale % migliora per gli ingegneri
con un 81,4% (erano il 83,3% nel 2001), peggiora in quanto sotto media
per i laureati in materie umanistiche (tra il 30-50%) e per le donne (58%);
• nel lavoro atipico e occasionale gli ingegneri hanno presenze marginali
(4,3%), come pure i laureati in materie chimico-farmaceutiche (2,4%); altre
tipologie di laureati invece sono più penalizzate e si collocano tra il 15-20%.
Infine l’occupazione nella grande azienda, come già anticipato, tende a
diminuire.
6. 6 Giovanni Facco
L’Istat nella sua ultima indagine (2006) evidenzia che per ogni 1000 oc-
cupati nella grande azienda si perdono ogni anno mediamente 9 posti di la-
voro, cambiando anche il mix del turnover e cioè si perdono 12 posti di la-
voro a tempo indeterminato e si acquisiscono +3 posti a tempo determinato;
la situazione peggiora nell’industria dove i posti a tempo indeterminato persi
sono addirittura 29/1.000; meglio la situazione nel settore dei Servizi dove
viene rimpiazzato completamente il turnover, ma anche in questo caso i tem-
pi indeterminati sono sostituiti da tempi determinati.
Infine per completare il quadro (indagine Isfol 2004 la domanda di la-
voro qualificato), ogni 100 posti di lavoro offerti in Italia, 16,4% richiedono
la laurea, 22,9% un diploma, 62,7% nessun titolo; rispetto all’Europa la dif-
ferenza è sostanziale e negativa, rispettivamente 37,7% la laurea, 12,7% un
diploma, 49,7% nessun titolo.
Anche la seconda riflessione ha carattere strutturale: un sistema produt-
tivo con le caratteristiche delineate incide fortemente sui livelli dell’occupa-
zione, sia in ordine alle quantità, sia alla tipologia dei contratti di lavoro uti-
lizzati, sia per quanto attiene alla struttura dei livelli di scolarità richiesti. Le
ricerche sinteticamente riportate, tutte, anche se con viste differenti, confer-
mano questi dati.
Le questioni quindi che si presentano sono di diverso ordine:
1. l’occupazione tende a crescere in modo marginale riguardando prin-
cipalmente le piccole e medie aziende; tale occupazione è maggiormente
legata alla congiuntura dei mercati, ai carichi di lavoro, al maggior utilizzo
degli impianti, piuttosto che ad una dinamica strutturale di crescita delle di-
mensioni;
2. gli ingressi nel mercato del lavoro qualificato vengono assorbiti in
parte e con difficoltà scontando una crescita bassa del sistema industriale in
quanto, per assicurare la competitività, si risparmiano posti di lavoro non
sostituendo il turnover, effettuando de-localizazioni, razionalizzazioni produt-
tive;
3. il sistema dei servizi e la pubblica amministrazione tendono ad assi-
curare un’occupazione a scolarità più alta con tassi maggiori in quanto han-
no necessità di procedere rapidamente a profonde trasformazioni organiz-
zative recuperando efficienza e più alti tassi di produttività che richiedono
risorse umane più capaci, con competenze e più flessibili;
4. l’ingresso dei giovani sul mercato del lavoro sconta una flessibilità
contrattuale che si protrae nel tempo oltre a quanto era prevedibile, perden-
do quindi i suoi caratteri di innovatività perché si trasforma in precarietà
invece che in stabilità;
5. i laureati/anno (circa 260.000) anche se sono come numero inferio-
ri a quelli di altri paesi europei, ciononostante non riescono se non con %
basse ad essere inseriti in lavori stabili.
7. Laureati pre- e post-riforma: il parere dei responsabili del personale 7
3. Considerazioni conclusive
• La struttura produttiva del nostro paese difficilmente può cambiare in
tempi rapidi i suoi tratti caratteristici delineati sopra: in altre parole si gioca
un po’ in difesa per mantenere un risultato che a nessuno piace, ma ancor
peggio sarebbe perdere ulteriormente posizioni.
• L’intervento pubblico, nonostante le difficoltà di bilancio, è l’unico
che può assicurare-stimolare anche attraverso politiche del lavoro mirate, in-
centivi, politiche fiscali, industriali, previdenziali e un nuovo ruolo della po-
litica internazionale verso paesi ad elevata crescita industriale e sviluppo, una
spinta ad incrementare l’attenzione al miglioramento e all’innovazione dei
prodotti-processi (gli unici che possono garantire un aumento quantitativo
di risorse ad alta scolarità nel sistema oltre ad una crescita della produzione
e dei volumi per mercati nuovi e in sviluppo).
• La struttura pubblica in senso lato assorbe circa il 50% del Pil e una
sua profonda trasformazione (infrastrutture, pubblica amministrazione, inve-
stimenti pubblici, università, sanità, sicurezza…) da sola metterebbe in moto
meccanismi di crescita molto forti che aiuterebbero il sistema; anzi forse è la
sola condizione pensabile che può assicurare impulso e attrazione di investi-
menti esteri, ormai presenti in percentuale insignificante.
• Questo quadro deve poter coesistere con azioni da realizzarsi nel bre-
ve termine attivando una serie di provvedimenti anche strutturali che rispon-
dano a problemi quali:
a) il rapporto tra università e imprese/strutture produttive è ancora oc-
casionale; questo non aiuta a comprendere il mondo dei lavori: ciò richie-
de un costante interscambio anche fisico di presenze di docenti in azienda,
stage di studenti ma analoga presenza di tecnici e dirigenti dell’azienda in
università (superare barriere istituzionali); in questo vi è anche responsabilità
delle imprese che molte volte vedono questo con «fastidio»;
b) il percorso «3 + 2» non è affatto chiaro e non si è riusciti ancora a
specificarne l’identità, che rimane sfuocata (un po’ come il rapporto ginna-
sio-liceo classico);
c) il tema della professionalizzazione e del rafforzamento della filiera
tecnico-applicativa non è definito sia come percorso formativo (le discipline
e le tecniche didattiche e le modalità relazionali con studenti sono le stesse
di prima), ma soprattutto non si identificano profili professionali da inserire
sul mercato e soprattutto in relazione a quali bisogni;
d) vi è la necessità di una più elevata formazione tecnica-operativa, che
nella cultura del nostro paese è sempre stata considerata di serie B;
e) la stessa formalizzazione dei titoli di studio in chiave «gerarchica e
di importanza» contribuisce, complice le difficoltà del mercato del lavoro, a
caricare di significati sociali una scelta;
f) superamento di «abitudini aziendali» di approvvigionarsi di compe-
8. 8 Giovanni Facco
tenze in surplus consistenti nell’impiego di laureati in attività per le quali
sono sufficienti quelle del diploma di laurea, ma superamento anche di ste-
reotipi che legano il titolo di studio allo status sociale;
g) l’accesso elevato alla laurea specialistica sembra confermare un trend
del passato di ripiego di fronte alle difficoltà del mercato del lavoro; forse
una maggior selettività potrebbe assicurare una presenza più elevata di di-
plomi di laurea sul mercato;
h) si sono fatti passi in avanti nelle capacità di comunicare e orientare
le scelte del percorso formativo in relazione anche all’andamento del merca-
to del lavoro; non v’è dubbio che una conoscenza anticipata e approfondi-
ta dell’andamento del mercato del lavoro, frutto anche della collaborazione
tra imprese, loro associazioni, istituzioni pubbliche di ricerca, e università,
aiuterebbe il sistema nel suo complesso a funzionare bene e soprattutto ad
assicurare ai giovani meno sofferenze e più soddisfazione.