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Capitolo 8
Un nuovo digital divide
(da: Alessandri G., 2013, Tecnologie autonome nella didattica.
Verso la robotica educativa, Morlacchi, Perugia)
Il digital divide, inizialmente inteso come la divisione fra
gruppi di individui legata alle diverse possibilità di accesso
alle tecnologie digitali, sta assumendo oggi un ulteriore
significato.
Il massiccio ed esteso avvento delle tecnologie nella
società si ripercuote necessariamente sulla dimensione
scolastica mediante diversi approcci; tuttavia e
paradossalmente, a una sempre maggiore diffusione delle
tecnologie corrisponde un progressivo e profondo distacco
da esse.
Una tecnologia espone, o meglio, si espone con
un’interfaccia. Nel suo spazio si sviluppa l’interazione, fra
soggetto, artefatto e scopo dell’azione, che esplicita il
carattere strumentale dell’oggetto (Bonsiepe G., 1995).
L’interfaccia ha una doppia natura: facilita e permette
l’azione dell’oggetto sul mondo e facilita le azioni umane
sull’oggetto. Zinna (2002) parla di interfaccia oggetto, nel
primo caso, e di interfaccia soggetto, nel secondo. Ad esempio,
in un coltello l’interfaccia soggetto è il manico e l’interfaccia
oggetto è la lama. Anche l’interfaccia in un computer si
sdoppia in interfaccia soggetto, rappresentata dalla tastiera e
dal mouse, e in interfaccia oggetto, ovvero ciò che appare
sul video, che esplicita le trasformazioni delle nostre azioni
in quelle che il sistema eseguirà influenzando, così, il
mondo esterno.
A fronte di una generale tendenza nell’identificazione tra
tecnologia e interfaccia, quest’ultima intesa e percepita
quale strumento di sviluppo di possibili e specifiche attività,
sempre più la tecnologia si fa sottile: un esempio è il tablet,
che sempre più tende ad assomigliare a fogli, suggerendo
con le proprie dimensioni la stessa sottigliezza della pagina
di giornale. L’essere sottile del tablet rappresenta una
metafora della corrispondente sottigliezza della conoscenza
e della competenza sull’uso delle tecnologie.
Infatti, accanto alla tendenza a impadronirsi delle
funzionalità dell’interfaccia, si riscontra un interesse sempre
minore circa le modalità di funzionamento di un
qualsivoglia dispositivo.
Questa deriva, purtroppo, sta coinvolgendo anche
l’ambito scolastico: l’emergere di un nuovo, più
significativo e profondo digital divide, si può far risalire,
oggi, non tanto alle diverse possibilità di accesso alle
tecnologie quanto, piuttosto, a diversi livelli di qualità
nell’utilizzo delle stesse, laddove, la scuola dovrebbe essere
il luogo in cui è possibile raggiungere lo stesso spessore
competenziale.
Attualmente, solo nella scuola superiore di secondo
grado, alcuni istituti ad indirizzo tecnico sono in grado di
fornire percorsi didattici finalizzati all’acquisizione di
competenze tecnologiche specifiche nel settore informatico
ed elettronico1
. Sarebbe invece auspicabile che la scuola
tutta, in ogni ordine e grado e tenendo conto delle diverse
proposte formative, contribuisca a formare, negli studenti,
un background culturale che permetta loro di dialogare, in
1 Analoga realtà per le tecnologie riferibili ad altri domini.
futuro, in modo consapevole ed efficace con le tecnologie2
.
Formare ad una consapevolezza tecnologica
significherebbe poter contare anche e soprattutto sulla
possibilità di incidere sulla diffusione dello sviluppo
tecnologico e del suo orientamento secondo una modalità
piuttosto che secondo un’altra. Non si possono delegare
queste decisioni solo agli esperti.
Einstein dice che la scuola dovrebbe tendere alla
formazione di giovani con personalità armoniose, che non
siano solo specialisti. Ciò dovrebbe avvenire anche nelle
scuole tecniche, pur se in questi casi occorre saper mediare
fra questa esigenza e quella di preparare studenti che
diventeranno professionisti in specifici settori. La scuola
dovrebbe formare persone che sappiano “pensare e
giudicare indipendentemente” e che abbiano acquisito i
“principi fondamentali del proprio settore”; così costoro
saranno in grado di trovare “sicuramente la propria strada”
e “di adattarsi al progresso e ai mutamenti” più di coloro
“la cui istruzione consiste principalmente nell’acquisizione
di una conoscenza particolareggiata” (Einstein A., 1966,
citato in Antiseri D, 2000, pag. 10). Quanto affermato da
Einstein ci spinge a considerare dannosi i percorsi che
forzano gli studenti verso forti specializzazioni in quanto
rischiano di pregiudicare una crescita armoniosa. Inoltre
una competenza meno specialistica ma maggiormente
distribuita su diversi ambiti, permetterebbe di maturare un
atteggiamento più propositivo nei confronti di se stessi: si
può scegliere con più libertà, evitando percorsi canalizzati
2 Si ribadisce che non si vuole proporre una ‘ingegnerizzazione
informatica’ in modo capillare, anche se con carichi diversi fra i
vari ordini di scuole, ma si auspica unicamente un approccio alla
costruzione con le tecnologie, piuttosto che al semplice uso.
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Una competenza che si traduca nell’acquisizione di un
sufficiente orientamento sul versante delle tecnologie
informatiche può essere generata, a vari livelli, attraverso
esperienze di costruzione programmi. Con queste attività è
possibile venire a contatto con la struttura del dispositivo
hardware e acquisire una autonomia di lavoro, di scelta e
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tecnologie.
L’orientamento verso una comprensione degli aspetti
formativi legati alle realizzazioni di applicazioni
informatiche non ha sempre incontrato dei sostenitori.
Ad esempio, Jonassen (Jonassen D., 2000, pag. 8) si
chiede retoricamente: “Was it necessary to complete a
course on ‘washing machine literacy’ in order to use the last
new washing machine that you encountered?”;
probabilmente non serve all’addetto all’uso della lavatrice
seguire un corso di alfabetizzazione sulla struttura e sul
funzionamento di una lavatrice, però se riformuliamo la
domanda nel seguente modo “Was it necessary to complete
a course on ‘computer literacy’ in order to use the last new
computer that you encountered?”, la domanda perde il suo
valore retorico e potrebbe valere la pena di articolare una
risposta. “Una alfabetizzazione sulla struttura di un
computer può essere veramente utile se con essa è possibile
sviluppare delle attività che si ritengono utili ai fini del
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studenti possano percepire come rilevanti. […] È bene
conoscere il funzionamento della tecnologia per un suo
migliore utilizzo, ma anche per permettere acquisizioni di
competenze significative nella formazione. Conoscere il
funzionamento di un elaboratore permette, ad esempio, di
capire cosa è e come nasce l’intelligenza artificiale classica,
di cogliere il senso dei sistemi esperti, di comprendere
come si sviluppa la nuova intelligenza artificiale, di
apprendere il significato dei linguaggi e in particolare di
quelli artificiali, di acquisire basi per una corretta
progettazione di artefatti informatici” (Alessandri G., 2008,
pag. 66).
Pierre Bourdieu in Les héritiers. Les étudiants et la culture
(1964, pagg. 103-109), scritto insieme a Jean-Claude
Passeron, conduce una significativa critica alla
riproposizione della disuguaglianza sociale da parte della
scuola del suo tempo. Gli autori spiegavano che i giovani
delle classi popolari erano, non solo, esclusi dagli studi
superiori e universitari ma, fatto ancor più grave, nel
frequentare la scuola ritrovavano una riproduzione della
selezione che già pativano nella società. La scuola avallava i
dislivelli sociali riproponendoli in forme di ineguaglianze
scolastiche; così facendo ratificava e riproduceva la
suddivisione classista esistente nel tessuto sociale. In altre
parole la scuola, piuttosto che facilitare la liberazione e
quindi l’emancipazione, diveniva custode della suddivisione
della società in classi.
Prendendo ad esempio l’analisi di Bourdieu,
applicandola alla diffusione delle tecnologie, la scuola
attualmente mantiene e anzi perpetua la suddivisione in
classi delle competenze digitali. Invece di proporre un uso
significativo delle tecnologie, spesso si interroga ancora se
usarle oppure no e, comunque, troppo spesso nell’ottica di
strumenti facilitatori nei vari ambiti disciplinari.
Nella sua analisi, Bourdieu propone un’azione bifronte:
da un lato una spinta riformatrice che proviene dal mondo
della scuola attraverso una didattica rinnovata e sotto
l’impulso dei docenti e, dall’altro, attraverso illuminate
prese di posizione della classe politica deputata a percepire
le esigenze emergenti dalla società.
Nell’orizzonte attuale del mondo della scuola e dei
vertici politico-istituzionali, allignano, prosperano e si
diffondono iniziative volte a prefigurare un uso massiccio
delle cosiddette nuove tecnologie: lavagne interattive
multimediali, tablet, e-book, libri misti; nel complesso
sempre più si preferisce un semplice uso delle tecnologie,
assottigliandone costantemente il vero significato; sempre
più esse diventano piatte e trasparenti e sempre più assume
dimensioni rilevanti il nuovo digital divide.

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Un nuovo digital divide

  • 1. Capitolo 8 Un nuovo digital divide (da: Alessandri G., 2013, Tecnologie autonome nella didattica. Verso la robotica educativa, Morlacchi, Perugia) Il digital divide, inizialmente inteso come la divisione fra gruppi di individui legata alle diverse possibilità di accesso alle tecnologie digitali, sta assumendo oggi un ulteriore significato. Il massiccio ed esteso avvento delle tecnologie nella società si ripercuote necessariamente sulla dimensione scolastica mediante diversi approcci; tuttavia e paradossalmente, a una sempre maggiore diffusione delle tecnologie corrisponde un progressivo e profondo distacco da esse. Una tecnologia espone, o meglio, si espone con un’interfaccia. Nel suo spazio si sviluppa l’interazione, fra soggetto, artefatto e scopo dell’azione, che esplicita il carattere strumentale dell’oggetto (Bonsiepe G., 1995). L’interfaccia ha una doppia natura: facilita e permette l’azione dell’oggetto sul mondo e facilita le azioni umane sull’oggetto. Zinna (2002) parla di interfaccia oggetto, nel primo caso, e di interfaccia soggetto, nel secondo. Ad esempio, in un coltello l’interfaccia soggetto è il manico e l’interfaccia oggetto è la lama. Anche l’interfaccia in un computer si sdoppia in interfaccia soggetto, rappresentata dalla tastiera e dal mouse, e in interfaccia oggetto, ovvero ciò che appare sul video, che esplicita le trasformazioni delle nostre azioni
  • 2. in quelle che il sistema eseguirà influenzando, così, il mondo esterno. A fronte di una generale tendenza nell’identificazione tra tecnologia e interfaccia, quest’ultima intesa e percepita quale strumento di sviluppo di possibili e specifiche attività, sempre più la tecnologia si fa sottile: un esempio è il tablet, che sempre più tende ad assomigliare a fogli, suggerendo con le proprie dimensioni la stessa sottigliezza della pagina di giornale. L’essere sottile del tablet rappresenta una metafora della corrispondente sottigliezza della conoscenza e della competenza sull’uso delle tecnologie. Infatti, accanto alla tendenza a impadronirsi delle funzionalità dell’interfaccia, si riscontra un interesse sempre minore circa le modalità di funzionamento di un qualsivoglia dispositivo. Questa deriva, purtroppo, sta coinvolgendo anche l’ambito scolastico: l’emergere di un nuovo, più significativo e profondo digital divide, si può far risalire, oggi, non tanto alle diverse possibilità di accesso alle tecnologie quanto, piuttosto, a diversi livelli di qualità nell’utilizzo delle stesse, laddove, la scuola dovrebbe essere il luogo in cui è possibile raggiungere lo stesso spessore competenziale. Attualmente, solo nella scuola superiore di secondo grado, alcuni istituti ad indirizzo tecnico sono in grado di fornire percorsi didattici finalizzati all’acquisizione di competenze tecnologiche specifiche nel settore informatico ed elettronico1 . Sarebbe invece auspicabile che la scuola tutta, in ogni ordine e grado e tenendo conto delle diverse proposte formative, contribuisca a formare, negli studenti, un background culturale che permetta loro di dialogare, in 1 Analoga realtà per le tecnologie riferibili ad altri domini.
  • 3. futuro, in modo consapevole ed efficace con le tecnologie2 . Formare ad una consapevolezza tecnologica significherebbe poter contare anche e soprattutto sulla possibilità di incidere sulla diffusione dello sviluppo tecnologico e del suo orientamento secondo una modalità piuttosto che secondo un’altra. Non si possono delegare queste decisioni solo agli esperti. Einstein dice che la scuola dovrebbe tendere alla formazione di giovani con personalità armoniose, che non siano solo specialisti. Ciò dovrebbe avvenire anche nelle scuole tecniche, pur se in questi casi occorre saper mediare fra questa esigenza e quella di preparare studenti che diventeranno professionisti in specifici settori. La scuola dovrebbe formare persone che sappiano “pensare e giudicare indipendentemente” e che abbiano acquisito i “principi fondamentali del proprio settore”; così costoro saranno in grado di trovare “sicuramente la propria strada” e “di adattarsi al progresso e ai mutamenti” più di coloro “la cui istruzione consiste principalmente nell’acquisizione di una conoscenza particolareggiata” (Einstein A., 1966, citato in Antiseri D, 2000, pag. 10). Quanto affermato da Einstein ci spinge a considerare dannosi i percorsi che forzano gli studenti verso forti specializzazioni in quanto rischiano di pregiudicare una crescita armoniosa. Inoltre una competenza meno specialistica ma maggiormente distribuita su diversi ambiti, permetterebbe di maturare un atteggiamento più propositivo nei confronti di se stessi: si può scegliere con più libertà, evitando percorsi canalizzati 2 Si ribadisce che non si vuole proporre una ‘ingegnerizzazione informatica’ in modo capillare, anche se con carichi diversi fra i vari ordini di scuole, ma si auspica unicamente un approccio alla costruzione con le tecnologie, piuttosto che al semplice uso.
  • 4. esclusivamente verso i settori pesantemente praticati durante la formazione scolastica. Una competenza che si traduca nell’acquisizione di un sufficiente orientamento sul versante delle tecnologie informatiche può essere generata, a vari livelli, attraverso esperienze di costruzione programmi. Con queste attività è possibile venire a contatto con la struttura del dispositivo hardware e acquisire una autonomia di lavoro, di scelta e anche di intervento sullo sviluppo sociale delle stesse tecnologie. L’orientamento verso una comprensione degli aspetti formativi legati alle realizzazioni di applicazioni informatiche non ha sempre incontrato dei sostenitori. Ad esempio, Jonassen (Jonassen D., 2000, pag. 8) si chiede retoricamente: “Was it necessary to complete a course on ‘washing machine literacy’ in order to use the last new washing machine that you encountered?”; probabilmente non serve all’addetto all’uso della lavatrice seguire un corso di alfabetizzazione sulla struttura e sul funzionamento di una lavatrice, però se riformuliamo la domanda nel seguente modo “Was it necessary to complete a course on ‘computer literacy’ in order to use the last new computer that you encountered?”, la domanda perde il suo valore retorico e potrebbe valere la pena di articolare una risposta. “Una alfabetizzazione sulla struttura di un computer può essere veramente utile se con essa è possibile sviluppare delle attività che si ritengono utili ai fini del raggiungimento di obiettivi di apprendimento e che gli studenti possano percepire come rilevanti. […] È bene conoscere il funzionamento della tecnologia per un suo migliore utilizzo, ma anche per permettere acquisizioni di competenze significative nella formazione. Conoscere il funzionamento di un elaboratore permette, ad esempio, di
  • 5. capire cosa è e come nasce l’intelligenza artificiale classica, di cogliere il senso dei sistemi esperti, di comprendere come si sviluppa la nuova intelligenza artificiale, di apprendere il significato dei linguaggi e in particolare di quelli artificiali, di acquisire basi per una corretta progettazione di artefatti informatici” (Alessandri G., 2008, pag. 66). Pierre Bourdieu in Les héritiers. Les étudiants et la culture (1964, pagg. 103-109), scritto insieme a Jean-Claude Passeron, conduce una significativa critica alla riproposizione della disuguaglianza sociale da parte della scuola del suo tempo. Gli autori spiegavano che i giovani delle classi popolari erano, non solo, esclusi dagli studi superiori e universitari ma, fatto ancor più grave, nel frequentare la scuola ritrovavano una riproduzione della selezione che già pativano nella società. La scuola avallava i dislivelli sociali riproponendoli in forme di ineguaglianze scolastiche; così facendo ratificava e riproduceva la suddivisione classista esistente nel tessuto sociale. In altre parole la scuola, piuttosto che facilitare la liberazione e quindi l’emancipazione, diveniva custode della suddivisione della società in classi. Prendendo ad esempio l’analisi di Bourdieu, applicandola alla diffusione delle tecnologie, la scuola attualmente mantiene e anzi perpetua la suddivisione in classi delle competenze digitali. Invece di proporre un uso significativo delle tecnologie, spesso si interroga ancora se usarle oppure no e, comunque, troppo spesso nell’ottica di strumenti facilitatori nei vari ambiti disciplinari. Nella sua analisi, Bourdieu propone un’azione bifronte: da un lato una spinta riformatrice che proviene dal mondo della scuola attraverso una didattica rinnovata e sotto l’impulso dei docenti e, dall’altro, attraverso illuminate
  • 6. prese di posizione della classe politica deputata a percepire le esigenze emergenti dalla società. Nell’orizzonte attuale del mondo della scuola e dei vertici politico-istituzionali, allignano, prosperano e si diffondono iniziative volte a prefigurare un uso massiccio delle cosiddette nuove tecnologie: lavagne interattive multimediali, tablet, e-book, libri misti; nel complesso sempre più si preferisce un semplice uso delle tecnologie, assottigliandone costantemente il vero significato; sempre più esse diventano piatte e trasparenti e sempre più assume dimensioni rilevanti il nuovo digital divide.