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Note di filosofia politica
Laclau & Mouffe, Gramsci, la democrazia radicale, il populismo

di Pasquale Stanziale

in
Quaderni CRAET Cat. Economia -Aversa (CE)
DIAM Seconda Università Di Napoli
n. 12
dicembre 2009




1
Chantal Mouffe, nata a Charleroi, in Belgio, insegna Scienze Politiche all'università di
Westminster in Inghilterra. Il suo lavoro più conosciuto è Hegemony and Socialist
Strategy, che ha scritto con Ernesto Laclau. Studiosa dei movimenti sorti negli anni ‘60 e
dei nuovi movimenti sociali rigetta il rigoroso determinismo economico di Marx e
l'analisi della società nei soli termini della lotta di classe, con Laclau difendono una
democrazia radicale costruita su un pluralismo agonistico dove tutti i antagonismi
possono essere in grado di esprimersi.




2
Ernesto Laclau è Professor of Government presso l’università di Essex in Inghilterra. Nel
1966 ha ottenuto l'abilitazione all'insegnamento nel suo paese, l’Argentina e, quando un
golpe porta al potere il generale Juan Carlos Onganía, è costretto a rinunciare
all’insegnamento universitario e inizia a lavorare in un istituto di ricerca a Buenos Aires.
Lavora per alcuni anni con lo storico Eric Hobsbawm che lo aiuta a svolgere un dottorato
presso un'università britannica, al termine del quale si trasferisce definitivamente in
Inghilterra 1.
Autore nel 2005 de La ragione populista, Laclau nella sua critica del discorso del potere,
si trova spesso in contrasto con il suo amico ed ex allievo Slavoj Žižek. Nelle sue analisi
si riscontrano vari punti di intersezione con le teorie di Judith Butler, di Althusser e di
Badiou. Attento studioso della storia politica italiana Laclau si è spesso, nei suoi scritti,
riferito al partito nuovo di Togliatti ma il suo interesse maggiore è per Gramsci e in

                                                                                           1
particolare per la categoria di egemonia che, unitamente a Mouffe,                  riprende
articolandola in una prospettiva libertaria ed anti-neoliberale.

3
Scrivono R. Ciccarellli e B. Vecchi a proposito del lavoro più importante di Laclau e
Mouffe:

     […] In quel volume (Hegemony and Socialist Strategy) i due studiosi
     stabilivano un filo rosso all'interno del pensiero critico che poteva
     le:gittimare l'uso del prefissso «post»: l'Antonio Gramsci dei Quaderni dal
     carcere, il Lukàcs di Storia e coscienza di classe, Benjamin nelle Tesi sulla
     storia, la Scuola di Francoforte e Ernst Bloch, poi Sartre con la sua Critica
     della ragione dialettica, A. Gorz di Addio al proletariato. […] Per loro il
     «post-marxismo» non era un'operazione nostalgia, né il desiderio di
     comporre la squadra dei sogni per avere una rendita sul mercato dei
     remainders. Di solito, il «post» è il retro-effetto consolatorio delle letture
     accademiche dalle quali qualcuno ama trarre la linea politica per un partito
     di conio recente, una bussola morale per gli orfani dell'età dell'oro, oppure la
     linea editoriale di una rivista. Con la fine della guerra fredda, invece, quel
     prefisso segnalava la crisi di una cultura globale, il marxismo, e il rifiuto del
     mantra degli ultras liberali, e dei penitenti della sinistra di ogni latitudine e
     colore, che recitava la «morte delle ideologie».
     Era, in altre parole, il segno di un rinnovamento del pensiero critico che non
     disdegnava il pluralismo, la differenza, il femminismo, arrivando in anni più
     recenti a sostenere le ragioni dei movimenti sociali da Seattle in poi. Nessun
     cinismo post-moderno, dunque, ma critica dell'economicismo di ascendenza
     marxiana in base al quale la società è un corpo solido retto da ineludibili
     leggi economiche. Argentino per nascita e inglese d'azione, Laclau
     considera la società, l'economia, la società come il risultato di un
     «agonismo» tra forze plurali che ne impediscono la ricomposizione in
     un'unità astratta. La società non esiste, è il suo assunto iconoclasta. Non
     perché è stata liquidata dall'economia neoliberista, come recita il mantra di
     una lettura apocalittica e «antagonista», ma perché essa non costituisce mai
     un «Tutto» già formato. E così anche per la politica: non c'è un soggetto, ma
     un'egemonia che ne definisce conflittualmente i soggetti e le istituzioni2.

Per quanto riguarda Gramsci E. Laclau sottolinea il fatto che
     “…in Argentina Gramsci era stato tradotto già negli anni Cinquanta. Per
     noi, allora, le sue tesi erano essenziali per comprendere quello che è stato
     chiamato il «rinascimento peronista», un movimento sociale, politico,
     culturale che non poteva essere efficacemente interpretato attraverso una
     griglia analitica tradizionalmente «classista».
     Gli studi gramsciani sul nazional-popolare, sulla formazione di una volontà
     collettiva, l'idea dell'intellettuale collettivo che opera per una riforma morale
     e politica erano usati per prendere congedo da una lettura ossificata della
     società argentina. Inoltre, guardavamo tutti con interesse e partecipazione a
     quanto accadeva nei campus statunitensi o nelle strade di Berlino e di Parigi.
     Il Sessantotto era un rebus importante da risolvere quanto il peronismo,
     perché poneva sempre lo stesso problema: come si può formare una
     soggettività politica fuori dallo schema economicistico della lotta di classe?
     Ho constatato un fatto paradossale che riguarda la ricezione gramsciana.

                                                                                          2
Negli anni Settanta, gli intellettuali critici italiani perdono interesse per
     Gramsci. Ma è questo il decennio in cui fioriscono moltissimi percorsi di
     ricerca che partono da Gramsci e si sviluppano in America Latina, negli
     USA, in Australia e Inghilterra.” 3

E Fabio Frosini, uno dei maggiori studiosi italiani di Gramsci aggiunge:
     […] Quella di Laclau è dunque una formazione, in cui un passaggio
     attraverso Gramsci è quasi naturale. Di ciò si ha la chiara percezione
     leggendo le sue pagine, in cui, anche quando non appare direttamente, il
     riferimento alle categorie centrali dei Quaderni del carcere si fa sempre
     sentire, e che testimoniano di una lettura mai banale, mai stereotipata, ma
     personalissima e accurata (anche se, per esplicita ammissione di Laclau,
     almeno in parte mediata dai contributi di Chantal Mouffe).4
4
Hegemony and Socialist Strategy: Toward a Radical Democratic Politics5 di Ernesto
Laclau e Chantal Mouffe è stato tradotto in un gran numero di paesi- ma a tutt’oggi non
in Italia- ed ha esercitato un'influenza considerevole sulle teorie dei New Social
Movements. In questo libro si riprendono vari aspetti del marxismo nell’idea di dare
contributi innovativi al dibattito contemporaneo sul concetto di democrazia e consentire
una lettura ricaratterizzante del politico.

5
Due obiettivi principali emergono dal contesto di Hegemony and Socialist Strategy: un
obiettivo politico ed un obiettivo teorico. Sul versante politico i due autori si impegnano
a riformulare il progetto socialista per fornire una risposta alla crisi del pensiero di
sinistra sia sul versante comunista sia sul versante social-democratico. Ciò a fronte
dell'importanza crescente assunta dai nuovi movimenti sociali che avevano preso forma
dagli anni 1960, e di cui né il marxismo, né la socialdemocrazia erano capaci di rendere
conto in modo adeguato. L’approccio teorico del lavoro di Laclau e Mouffe consiste
anzitutto nel comprendere le specificità di movimenti dal punto di vista della struttura di
classe, e di andare oltre gli schemi classici dello sfruttamento economico. Il passo
successivo è lo sviluppo una teoria del politico facendo convergere due approcci teorici
distinti: la critica del pensiero post-strutturalista, Derrida, Lacan, Foucault, ma anche
Wittgenstein, i pragmatisti americani e il concetto di egemonia gramsciana.

6
Nel lavoro di Laclau e Mouffe, due categorie principali prendono forma, da un lato, il
concetto di antagonismo e, dall'altro, come abbiamo già accennato variamente, quello di
egemonia. Il concetto di antagonismo risulta assolutamente centrale per i due autori dato
che l’antagonismo, nel contesto delle prassi rivela l'esistenza di conflitti che nessuna
soluzione razionale può sanare…. La lotta, le tensioni tra individui e gruppi sociali sono
inevitabili, e non esiste la soluzione definitiva ai problemi che pongono6. Il principio di
dominio è inerente ad ogni società, poiché definire le identità individuali o collettive,
presuppone l’esclusione di un certo numero di elementi che non sono riconoscibili come
legittimi. Di fatto "la politica richiede decisioni e, nell'impossibilità di trovare un campo
di intesa definitiva, tutti i regimi politici devono stabilire una gerarchia tra differenti
valori, di conseguenza, ogni obiettività sociale è, in ultima istanza, politica e porta con se
le esclusioni della sua origine: ciò che si può definire come il suo esterno costitutivo"7
(vedi le specificazioni al punto 7.4). Si giunge così ad una riformulazione del concetto di

                                                                                            3
pluralismo diverso da quello dell'approccio liberale. Si tratta di un pluralismo che, come
quelli di Nietzsche e di Max Weber, prende atto dell'impossibilità di armonizzare i vari
punti di vista e distingue una dimensione del politico [the political] non sradicabile
dell'antagonismo, diversa dalla politica [politics] che rinvia alle differenti attività che
mirano ad organizzare la coesistenza umana8.
Il secondo concetto fondamentale è quello di egemonia. Scrive F. Frosini relativamente
al concetto nel quadro delle teorizzzazioni 9 presenti in Hegemony and Socialist Strategy:

     […] Egemonia designa pertanto l’insieme di processi e strategie che
     continuamente ri/articolano politicamente la società, costituendo a partire da
     sé stessi, senza nessun riferimento o vincolo oggettivo, la segmentazione
     politica della società. I processi egemonici non sono il riflesso di un ordine
     ad essi esterno, ma l’espressione dell’impossibilità di ordinare una volta per
     tutte la società. È l’irrappresentabilità scientifica della società, ciò che fa si
     che essa sia rappresentabile solo politicamente, cioè progettabile attraverso
     un intervento strategico che, partendo da una serie di elementi che sono
     ordinati in una determinata maniera, costruisce una serie differente, senza
     che né il primo ordinamento, né il secondo, siano in nessun modo
     oggettivamente radicati in un’essenza o legge di sviluppo della società. La
     politica è insomma la costruzione di un ordine contingente, ed è evento
     contingente essa stessa (non è detto che questi due ordini di questioni siano
     identici o conciliabili), in quanto non solo l’ordine nuovo avrebbe potuto
     essere diverso, ma la stessa nuova egemonia avrebbe potuto non affermarsi,
     e neanche essere formulata.10

Per Laclau e Mouffe, questi due concetti, antagonismo ed egemonia, sono indispensabili
per l'elaborazione di una teoria del politico. Sono legati l’uno all'altro nell’idea che
pensare il politico, con l'idea della presenza sempre possibile dell'antagonismo, necessita
di fare a meno della possibilità di trovare un fondamento estremo, e di conseguenza
riconoscere la dimensione di indecidibilità e di contingenza presente in ogni sistema
sociale. Parlare di egemonia implica il fatto che ogni ordine sociale è solamente
l'articolazione contingente di relazioni di potere particolari. La società è allora il prodotto
di una serie di pratiche poste in opera allo scopo di tentare di creare un certo ordine in
un contesto contingente. Sono precisamente queste pratiche che Laclau e Mouffe
chiamano pratiche egemoniche.
Ogni ordine è fondato così sull'esclusione di altri ordini possibili, e rappresenta sempre
l'espressione di una configurazione particolare dei rapporti di potere. In questo senso,
ogni ordine è politico, e tale ordine non potrebbe esistere nell'assenza delle relazioni di
potere che lo plasmano.

7
Laclau e Mouffe si muovono, come loro stessi hanno dichiarato, in un’area post-
marxista. Prendendo atto del fallimento storico delle determinazioni classiche del
marxismo si può dire che i due filosofi delineano nei loro lavori un quadro teorico
piuttosto articolato che parte dal considerare le società contemporanee caratterizzate da
un sociale complesso e senza elementi di omogeneità e pongono poi in primo piano la
serie dei conflitti radicali relativi ai beni comuni ed alle varie e diffuse forme di
emarginazione sociale. Da qui la necessità di strutturare politicamente questi conflitti
verso la costruzione di una pratica egemonica.



                                                                                             4
L’itinerario concettuale poi, principalmente per quanto riguarda Laclau, si snoda
attraverso un serrata serie di nuclei e rimandi teorici di cui ne individuiamo
sinteticamente alcuni strategicamente significativi.



7.1
La categoria di popolo è fondamentale per intendere costruttivamente la politica, questa
categoria si costruisce dentro e fuori dallo stato dato che si confronta con le decisioni del
potere politico ma non può eludere il riconoscimento degli interessi particolari 11. Laclau
qui connette la categoria di popolo con la necessità di forme di democrazia diretta.
Aggiungiamo noi che la categoria di popolo si connette anche in modo strategico con
quella di immaginario, di cui tratta successivamente Laclau, ma che rimanda anche a
tutta una serie di riflessioni su versanti diversi dall’ambito strettamente filosofico-
politico12.

7.2
L’approdo all’egemonia gramsciana porta Laclau a riprendere              la nozione di
surdeterminazione, nozione freudiana che Laclau riprende da Althusser. La logica della
surdeteminazione è una logica decisamente antimetafisica e riguarda le notevoli
inferenze sovrastrutturali sulla dialettica economica che non è mai pura (come del resto
aveva già aveva affermato nel 1890 Engels). Scrive Laclau che la logica della
surdeterminazione

     […] individua la costituzione incompleta, aperta e politicamente negoziabile
     di ogni identità.13

Ciò, per Laclau, conduce al fatto che il sociale è compreso nel simbolico, nella
processualità di questo, oltre il quale non esiste nessuna significazione pertinente ad un
piano d’immanenza. Essere e discorso sono inseparabili e l’universale è inscritto in un
discorso. Conseguentemente

     la società e gli agenti sociali non hanno nessuna essenza e si muovono
     secondo figurazioni precarie e relative che accompagnano la strutturazione
     di un certo ordine.14

In tale ambito di surdeterminazioni, di non oggettivabilità della società in leggi naturali,
laddove una scienza descrittiva della società è impossibile, dato che l’insieme dei
processi simbolici non è rappresentabile in un’immagine univoca, non riconducibile ad
un senso letterale oggettivo, a leggi, ecco che l’egemonia come strategia viene a
rappresentare una forma della politica specificatamente moderna, politica che non può
essere intesa solo come calcolo o amministrazione15.

7.3
Per Laclau quindi non è possibile non assumere una resa dell’universale per aprire ad
una logica della contingenza16 in grado di contribuire alla costruzione di un insieme
concettuale strategico e progettuale17 tale da riscattare pienamente la crisi del
marxismo nelle sue determinazioni storiche. A tale scopo Laclau si rivolge al post-
strutturalismo individuandovi un’area critica di figurazioni teoriche relative al concetto
di discorso18, area critica le cui articolazioni         consentono la rilettura delle


                                                                                           5
surdeterminazioni dei rapporti sociali con le loro connotazioni ideologiche e con le
fluttuazioni dei rapporti tra significanti e significati19.
La società per Laclau risulta allora un campo di differenze e di forze, di apertura del
sociale come fattore costitutivo20 e non un insieme chiuso entro cui è possibile
estrapolare nuclei di ordinazione delle differenze e dei processi.

7.4
Laclau parla, a questo punto, di articolazioni, intendendo queste come pratiche in grado
di strutturare legami di relazione tra gli elementi dell’insieme per costruire un’area
ordinata in grado di presentarsi come discorso21 . Tale discorso nella propria catena di
significanti presenta dei punti nodali in cui vi è coagulazione di significato: blocchi
nella dinamica significante del campo delle surdeterminazioni del sociale come
organizzazione di nuclei di differenze. Questi punti nodali costituiscono momenti di
soluzione della contingenza ma nella misura in cui sfuggono alla logica delle differenze
del campo della contingenza stessa22, campo che è anche caratterizzato dalla ex-
centricità di ogni identità. Si tratta di ciò che in Hegemony viene definita come
dislocazione, graduata in relazione ai valori differenziali delle identità. Attraverso questo
articolazione dislocatoria il capitalismo contemporaneo viene visto da Laclau23, tra varie
altre risultanze, come luogo dell’antagonismo generalizzato in cui alla maggiore
dislocazione delle strutture corrisponde una minore decisionalità nelle determinazioni,
con conseguente liberazione di spazi per le soggettività. Un valore importante poi in
questa complessa processualità è dato da ciò che opera dall’esterno del campo della
contingenza. In tale campo è al lavoro sia una rappresentabilità interna sia una
necessitante rappresentabilità esterna Si tratta di un esterno costitutivo24 (vedi punto 6).
che può offrire risposte come quella del mito: risposta produttiva di nuove oggettività
correlate a forme dell’immaginario sociale.

7.5
Un punto nodale che troviamo in Hegemony è quello relativo al fondamento democratico
di libertà e uguaglianza. Questo punto nodale ha la sua collocazione in una dimensione
che è l’immaginario25, che, come abbiamo visto, troviamo anche come nuova oggettività
connessa con le dinamiche della contingenza e delle surdeterminazioni. La categoria (o
meglio lacanianamente registro del soggetto) di Immaginario costituisce l’approdo di
varie teorizzazioni tra cui le più produttive ci sembrano essere quelle che si collocano
sulla linea Lacan-Žižek, teorizzazioni che si occupano principalmente del rapporto tra
l’Immaginario, il Simbolico ed il Reale in una lettura critica del capitalismo
contemporaneo.

8
Questo insieme teorico ha delle implicazioni politiche cruciali e Laclau e Mouffe
richiamano il fatto che la mondializzazione neoliberale viene intesa come un prodotto
del destino e che non vi è altra scelta. A tale proposito Mouffe in un’intervista 26 ricorda
Margaret Thatcher che ha ripetutamente dichiarato, rispetto alle sue decisioni, che non
vi erano alternative, ciò che un gran numero di socialdemocratici ha accettato
passivamente. Al contrario, dice Mouffe, è evidente che ogni ordine è generato da una
configurazione egemonica data delle relazioni di potere. Lo stato attuale della
mondializzazione, lontano dall’essere naturale, è piuttosto il risultato di una egemonia
neoliberale con le sue strutture di poteri specifici. Ciò significa che è completamente
possibile, secondo Mouffe, rimetterlo in causa, e che le alternative esistono. Mouffe
mostra così come questo concetto di configurazione egemonica è fondamentale per
orientare l'azione politica

                                                                                           6
9
Una tale concezione è radicale, nella misura in cui il politico democratico è riportato alla
sua radice concreta: l'esercizio effettivo del potere che istituisce per il popolo. La
democrazia appare allora a Laclau e Mouffe non più come un regime ma come una
pratica che va ad incarnarsi non solo nelle mode istituzionali di partecipazione, come il
voto, ma anche nelle lotte e in mobilitazioni di tipo non convenzionale. D’altra parte
questo lavoro ai margini dell'ordine politico acquista importanza per i due filosofi nella
misura in cui si fa lotta contro le procedure di dominio e di riproduzione del dominio
stesso. Si tratta allora di una lotta contro il modo di condurre l'attività politica, addirittura
contro i suoi aspetti organizzativi: « la véritable participation, c’est l’invention de ce
sujet imprévisible qui aujourd’hui occupe la rue, de ce mouvement qui ne naît de rien
sinon de la démocratie elle-même » scrive Ranciere. 27.

10
 Nel libro di Laclau e Mouffe altro punto di forza è la rimessa in causa dell'idea stessa di
un ordine naturale, conseguenza dell'azione di forze obiettive relative alla produzione,
alle leggi della storia, allo sviluppo dello spirito. Per i due autori è possibile sostenere
che un altro mondo è possibile. Altri mondi sono sempre possibili, e non si dovrebbe
mai accettare l'idea che le cose non possono essere cambiate. Esistono sempre delle
alternative che sono state escluse dall'egemonia dominante, ma che possono essere
attualizzate. È precisamente ciò che la teoria dell'egemonia permette di comprendere
meglio. Ogni ordine egemonico imposto può essere rimesso in discussione per le
pratiche contro-egemoniche che tentano di disarticolarlo per stabilire altre forme di
egemonia.

11
Queste tesi hanno certo implicazioni molto importanti sul modo di valutare le politiche
emancipatrici. Se la lotta politica consiste sempre nel confronto delle differenti pratiche
egemoniche e dei differenti progetti egemonici, ciò significa che il confronto diviene
permanente dato che non si giungerà mai a forme compiute di democrazia. È la ragione
per quale Laclau e Mouffe formulano il progetto della sinistra- in Hegemony and
Socialist Strategy- in termini di democrazia radicale e plurale e insistono sul fatto che si
tratta di un processo è senza fine. Si tratta di una radicalizzazione delle istituzioni
democratiche esistenti per configurare principi di libertà e di uguaglianza effettivi in un
numero sempre più grande di relazioni sociali.

12
In effetti lo scopo dei due autori è quello di integrare le rivendicazioni dei nuovi
movimenti sociali e di trovare il mezzo di articolare queste nuove rivendicazioni portate
avanti dai movimenti femministi, antirazzisti, omosessuali o ancora ecologisti, con
rivendicazioni formulate in termini di classe. In questa prospettiva, un altro concetto
importante di Hegemony and Socialist Strategy è quello di catena di equivalenze. Contro
la separazione totale tra i movimenti, separazione postulata da varie parti, Laclau e
Mouffe ritengono necessario per la sinistra stabilire una catena di equivalenze tra tutte
queste differenti lotte, affinché, quando i lavoratori definiscono le loro rivendicazioni, si
facciano anche carico delle rivendicazioni della gente di colore, degli immigrati, o delle
femministe. A loro volta le femministe quando definiscono le loro rivendicazioni, non
debbono procedere solo in termini di genere, ma devono prendere anche occuparsi delle
rivendicazioni di altri gruppi, per creare una larga catena di equivalenze tra tutte queste
lotte democratiche. L'obiettivo della sinistra così dovrebbe essere quello di porre in atto

                                                                                               7
una volontà collettiva di tutte le forze democratiche per spingere ad una radicalizzazione
della democrazia e strutturare un’area di egemonia.

13
Un'altra dimensione importante di questo progetto di democrazia radicale riguarda la
possibilità di rompere con l'idea che, se si vuole progredire verso una società più giusta
nelle democrazie occidentali avanzate, è necessario distruggere l'ordine democratico
liberale e costruire un nuovo ordine ripartendo di zero. Laclau e Mouffe criticano qui il
modello rivoluzionario leninista tradizionale e affermano che, nella cornice di una
democrazia pluralistica moderna, un progresso delle istanze democratiche profonde
potrebbe essere realizzato a partire da una critica immanente delle istituzioni imposte.
Dal punto di vista dei due studiosi il problema delle società democratiche moderne non
riguarda i loro principi etico-politici di libertà e di uguaglianza, ma piuttosto il fatto che
questi principi non sono posti in essere. Così, in queste società, la strategia della sinistra
dovrebbe consistere in azioni mirate all'applicazione di questi principi - ciò che non
implica una rottura radicale, ma piuttosto ciò che Gramsci chiama una guerra di
posizione che potrebbe condurre alla creazione da una nuova egemonia.

14
In effetti per ciò che riguarda la possibilità di radicalizzare la democrazia, la situazione è
diversa da trent' anni fa, quando è stato scritto il libro, ha ammesso recentemente
Mouffe28.
All'inizio degli anni 1980 la politica socialdemocratica si presentava ancora largamente
condivisa. Si criticavamo i limiti dei partiti social-democratici e si proponeva una
radicalizzazione della democrazia, ma nessuno immaginava allora, constatano i due
filosofi, che i progressi realizzati dalla socialdemocrazia potessero rivelarsi tanto fragili.
Attraverso Reagan e Thatcher il neoliberalismo ha ottenuto numeroso successi in varie
aree del mondo. Le libertà individuali più elementari, al fondamento dell'ordine politico,
sono state anche recentemente rimesse in causa e in alcuni paesi si è costretti a lottare
contro lo smantellamento delle istituzioni democratiche fondamentali.

15
Laclau e Mouffe constatano oggi la resistenza ed il rifiuto dei vari movimenti sociali
rispetto alla possibilità di lavorare con le istituzioni politiche al potere. Questi
movimenti, per Laclau e Mouffe sono influenzati dalle idee di Hardt e Negri che, nei
loro libri Impero29 e Moltitudine 30, scrivono che i movimenti generati della società civile
devono evitare di collaborare con le istituzioni politiche. Percepiscono tutte queste
istituzioni come molari31, riprendendo il vocabolario di Deleuze e Guattari, come le
macchine di cattura e affermano che il combattimento fondamentale si trova piuttosto a
livello molecolare della micropolitica. In questa prospettiva, le contraddizioni interne
dell'impero debbono portare alla sua caduta e debbono condurre alla vittoria della
moltitudine. In effetti riproducono, secondo Laclau e Mouffe, solo con un vocabolario
diverso, il determinismo marxista della Seconda Internazionale secondo la quale le
contraddizioni interna alle forze di produzione dovevano portare alla caduta del
capitalismo e condurre alla vittoria dal socialismo. La prospettiva di Impero è la stessa -
adattata certamente alle nuove condizioni: ma è ormai il lavoro immateriale che gioca il
ruolo principale, e non sono più il proletariato ma la moltitudine che serve da agente
rivoluzionario. Si è tuttavia in presenza dello stesso tipo di approccio deterministico.
Questo è del resto la ragione per la quale rifiutano l'idea che è necessario creare un'unità
politica tra i differenti movimenti. Ma la domanda politica più importante che Laclau e
Mouffe pongono a Negri e Hardt é: come può la moltitudine tramutarsi in soggetto

                                                                                            8
politico? Riconoscono che i movimenti hanno obiettivi differenti, ma, per essi,
l'articolazione di queste differenze non è un problema. Difatti, nella loro prospettiva, è
proprio perché queste lotte non convergono che sono più radicali e quindi ciascuna di
esse può portare direttamente i suoi colpi al centro virtuale dell'impero. Pensano che un
tale approccio ha avuto un'influenza negativa su certi settori del movimento no-global,
che ha portato ad eludere il problema politico fondamentale: come organizzarsi
nell’evidenza delle differenze per mettere in opera una catena di equivalenza tra le
differenti lotte.

16
La democrazia radicale di Laclau e Mouffe appare ereditiera delle concezioni socialiste
che affermano l'uguaglianza giuridica e politica che presuppongono, per essere reale,
l'uguaglianza sociale ed economica. Parecchi dei suoi sostenitori sono di formazione
marxista e si richiamano a quella che si può definire l'ispirazione democratica presente
dal giovane Marx critico del dominio e dell'alienazione, affermando che la “la
democrazia è l'enigma risolto di tutte le costituzioni"32. Questa linea teorica sembra
convergere col progetto di Castoriadis33 relativamente al concetto di emancipazione che
anima il socialismo marxista. Si distingue tuttavia dal marxismo su alcuni punti
essenziali: a) la democrazia radicale è un'anti-concezione utopistica, b) la lotta politica
non può avere fine, c) prende forma un atteggiamento anti-storicista, d) la lotta non è
legata ad un senso necessitante della storia, e) un anti-economicismo, f) la società non
viene a ridursi in nessun caso al campo dell'economia, g) l’individuo non viene
riduttivamente inteso solo come lavoratore.
Lo spazio politico della lotta tra domini ed emancipazione viene in primo piano, e questo
aspetto è essenziale, imprescindibile; anche il capitalismo non è più l’ unico nemico,
quello principale, ma una forma di dominio tra altri.
Mouffe è convinta che di là dal millenarismo marxista o del "fatto provvidenziale"
tocquevilliano, la democrazia può realizzarsi solo attraverso una praxis politica
conflittuale, mirando un'emancipazione sempre più larga ma sempre incompiuta 34.

17
Dopo Hegemony and Socialist Strategy               Mouffe ha cominciato ad esaminare
criticamente i differenti modelli liberali e, in particolare, quello di John Rawls35. La
critica di Mouffe prende in considerazione il razionalismo e l’individualismo propri del
modello liberale. Il razionalismo, scrive Mouffe36, porta a credere nella possibilità di
una riconciliazione finale dei conflitti grazie alla ragione, di fatto viene impedita la
possibilità di prendere in considerazione ciò che di valido emerge dagli antagonismi. Per
quanto riguarda l’individualismo esso non permette la comprensione del processo di
creazione delle identità politiche che sono sempre delle identità collettive, costruite sotto
forma di una relazione di tipo noi/loro. In più, questo razionalismo e questo
individualismo dominanti nella teoria liberale non permettono a questa di comprendere
il ruolo cruciale giocato in politica da ciò che Mouffe definisce "passioni": vale a dire la
dimensione affettiva che si mobilita contestualmente alla creazione delle identità
politiche. Mouffe cita il caso del nazionalismo: non si può comprendere l'importanza del
nazionalismo se non si considera la mobilitazione degli affects e dei desideri nella
formazione delle identità collettive. È certamente questa la ragione, sostiene Mouffe, per
la quale il pensiero liberale ha sempre fatto fatica ad integrare le differenti
manifestazioni del nazionalismo. Per i liberali, tutto ciò che comporta una dimensione
collettiva viene presentato come arcaico, come qualche cosa di irrazionale che non
dovrebbe esistere più nelle società moderne. Con tali premesse teoriche si spiega
l’incapacità dei liberali nel capire la dinamica stessa della politica.

                                                                                           9
18
Nell’ambito di questo itinerario critico Mouffe trova in Carl Schmitt una critica forte al
liberalismo che ritiene condivisibile37, critica che Schmitt sviluppa negli anni 1920 nel
suo libro La nozione di politica38. Mouffe ritiene la critica del liberismo proposta da
Schmitt fondata e utile per comprendere i sviluppi recenti del pensiero liberale. Schmitt
considera il liberalismo non in grado di comprendere il politico dato che quando tenta
di parlarne utilizza concetti presi in prestito sia dall'economia che dall'etica. Ciò che
corrisponde ai due principali modelli democratici che dominano attualmente la teoria
politica, il modello aggregativo, da un lato, ed il modello deliberativo, dell'altro. Il primo
considera principalmente il campo politico in termini economici. È in relazione a questo
modello che Rawls e Habermas hanno sviluppato i loro modelli alternativi di democrazia
deliberativa mobilitando un approccio etico e/o morale per pensare la politica. A questo
punto termina la condivisione di Mouffe della critica schmittiana del liberismo dato che i
suoi obiettivi riguardano altri percorsi. In ogni caso Schmitt per Mouffe costituisce una
sfida, come essa stessa dichiara,39 e ciò principalmente in relazione al rapporto tra
agonismo e antagonismi.
Mouffe è d’accordo con Schmitt nel riconoscere che una dimensione della politica è data
dalla permanenza di conflitti i quali non presentano una soluzione razionale. La relazione
amico/nemico implica una negazione che non può essere risolta dialetticamente.
Tuttavia, questo conflitto può prendere parecchie forme. Può essere espresso come
l'antagonismo propriamente detto -la forma schmittiana della relazione amico/nemico e
qui, sostiene Mouffe, Schmitt ha evidentemente ragione nel dire che un tale antagonismo
non può essere riconosciuto come legittimo in seno ad una società democratica, perché
conduce alla distruzione dalle aggregazioni politiche. Il conflitto può tuttavia anche
essere espresso sotto una diversa forma che Mouffe propone di chiamare agonismo. La
differenza tra le due consiste nel fatto che nel caso dell'agonismo, non si tratta di un
confronto di tipo amico/nemico ma di un confronto tra avversari che riconoscono la
legittimità di loro rispettive rivendicazioni. Pure sapendo che non c'è soluzione razionale
al loro conflitto, le parti si accordano sui principi etico-politici che organizzano le loro
formazioni politiche pure rimanendo in disaccordo sulle loro interpretazioni.
Mouffe ritiene l’agonismo compatibile con la democrazia costituendo la specificità di
un ordine democratico pluralistico. È la ragione per quale presenta il modello agonistico
della democrazia come un'alternativa ai modelli aggregativi e deliberativi. Dichiara
Mouffe:

     ….questo modello ha il vantaggio che riconoscendo il ruolo delle passioni
     nella creazione delle identità collettive, fornisce una migliore visione della
     dinamica democratica, una visione che riconosce il bisogno di offrire
     differenti forme di identificazione collettiva, intorno ad alternative
     chiaramente definite.40

19
Su tale percorso Mouffe si trova in disaccordo con Ulrich Beck41 ed Anthony Giddens42
secondo i quali il modello della politica come confronto tra avversari sarebbe oramai
obsoleto, ciò che implicherebbe un pensiero che vada al di là dell’opposizione
destra/sinistra. Per Mouffe, un tale, confronto è, al contrario, costitutivo della
democrazia. È evidente che bisogna considerare l'opposizione destra/sinistra a partire da
differenti contesti e differenti periodi storici. Ciò che è realmente in gioco nel distinzione
droite/gauche, è l’evidenza della divisione sociale e il fatto che certi conflitti non
possono essere risolti nell’ambito di un dialogo razionale. Mouffe non nega il fatto che si

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è assistito negli gli ultimi anni a certe osmosi tra sinistra e destra. Tuttavia, mentre
Beck e Giddens vedono in ciò un segno di progresso per la democrazia, Mouffe è
convinta che questa osmosi non è stata produttiva e che è ancora possibile invertire il
processo. Pensa che sia importante resistere, perché tutto ciò, alla fine, può mettere in
pericolo le istituzioni democratiche.
La scomparsa della differenza fondamentale tra i partiti democratici di centro-sinistra e
centro-destra, nota Mouffe, ha per effetto il fatto che le persone smettono di interessarsi
alla politica.

     […] Guardate il declino inquietante della partecipazione politica alle
     elezioni. Questo declino si spiega per il fatto che la maggior parte dei partiti
     social-democratici hanno deviato talmente verso il centro che sono diventati
     incapaci di proporre un'alternativa all'ordine egemonico che esiste.
     Una democrazia fiorente deve offrire alle persone la possibilità di fare della
     vere scelte. La politica in democrazia deve essere partigiana. Se si vuole che
     i cittadini investano in politica è necessario che sentano che alternative reali
     siano in gioco nella fase elettorale. La disaffezione attuale nei confronti dei
     partiti democratici è abbastanza negativa per la democrazia. In parecchi
     paesi ha condotto al potere i partiti della destra populista che si presentavano
     come i solo partiti portatori di alternative, pretendendo di dare voce a tutti
     quelli che si sentivano trascurati dai partiti di governo.
     Ricordate ciò che è accaduto in Francia al primo giro delle elezioni
     presidenziali del 2002, quando Le Pen, il leader della Fronte nazionale, è
     arrivato secondo e ha eliminato il candidato socialista Lionel Jospin. Per
     essere onesta, ciò mi ha inquietato, ma non sorpreso - durante la campagna
     avevo detto a miei studenti scherzando che c'era tanta differenza tra Chirac e
     Jospin quanta tra Coca-Cola e Pepsi-Cola. Del resto Jospin aveva insistito
     nel dire che il suo programma non era socialista, a partire da ciò numerosi
     elettori non si sono potuti decidere a votare per lui. Dall’altro lato numerosi
     elettori scontenti hanno deciso di votare per Le Pen che, grazie ad
     un'efficace retorica demagogica, è riuscito a mobilitarli contro ciò che
     percepivano come formazioni elitarie completamente indifferenti alle loro
     esigenze. La celebrazione attuale della politica del consenso al centro mi
     inquieta molto, perché sono persuasa che un tale Zeitgeist post-politico fa il
     gioco della destra populista 43.
     […] Quando la democrazia smette di offrire alle persone la possibilità di
     identificarsi con identità politiche collettive, si può osservare che tendono a
     ricercare altre sorgenti di identificazione collettiva.
     Ciò si manifesta per certe forme di identificazione religiosa, in particolare
     negli immigrati musulmani. Un gran numero di studi sociologici hanno
     mostrato che in Francia il declino del Partito comunista era stato
     accompagnato nei lavoratori poco qualificati da un incremento dalle forme
     di affiliazione religiosa. La religione sembra così oggigiorno sostituire i
     partiti nella soddisfazione dal bisogno di appartenere ad una comunità,
     fornendo un altro noi.
     In altri contesti, l'assenza di identificazione collettiva intorno ad identità
     politiche strutturate intorno al confronto destra/sinistra può essere colmato
     anche dalle forme di identificazione regionalistica o nazionalistica. Un tale
     fenomeno non è, a mio avviso, positivo per la democrazia, perché queste
     identità non sono in grado di partecipare validamente al confronto
     agonistico. È la ragione per la quale è una serio errore credere che abbiamo

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raggiunto oramai un buon livello di sviluppo là dove l'individualismo è
     diventato talmente diffuso che le persone non provano neanche più il
     bisogno di avere delle forme collettive di identificazione. La distinzione
     noi/loro è costitutiva della vita sociale, e la democrazia deve fornire i
     discorsi, le pratiche e le istituzioni che permetteranno a queste forme di
     identificazione di essere costruite politicamente.44

20
Per quanto riguarda i movimenti politici attuali Laclau e Mouffe considerano prioritaria
la possibilità di lavorare per costruire un'alternativa al neoliberalismo45. In tal senso punti
di riferimento sono alcune prospettive emerse dalle lotte politiche in alcuni paesi del
Sudamerica. Pur riconoscendo la dimensione nazionale di tali lotte i due filosofi sono
tuttavia convinti che bisogna situare le lotte politiche nel contesto delle varie realtà
regionali. Mouffe qui è d’accordo con Schmitt46 nel considerare il mondo come un
pluriversum e non un universum. Non esiste una forma unica di democrazia in grado di
essere accettata da tutti, in modo universale, varie sono le modalità attraverso cui è
possibile realizzare l'idea democratica in relazione ai vari contesti nazionali. Laclau e
Mouffe ritengono l’Europa l’area in cui dovrebbe riavviarsi il confronto gauche/droite
per creare le condizioni favorevoli ad un democrazia agonistica. In tale ambito la
dimensione europea dovrebbe essere al centro del riflessione della sinistra.

21
Nell’unico suo libro tradotto al momento in italiano, La ragione populista, Laclau si
chiede se il rigetto del populismo non rappresenti semplicemente una forma di rigetto
della politica. È l'ipotesi che difende, convinto che il populismo, lontano dall’essere un
fenomeno irrazionale che minaccia la vita politica, rivela ciò che necessita per la
costruzione dell'identità sociale, idea apparentemente provocatrice che cerca di
sviluppare sistematicamente nel suo libro. Il popolo, sottolinea, non è un dato della
struttura sociale, è una categoria politica fondamentale.
Laclau presenta una vera innovazione nell'interpretazione politica del populismo: perché
nega la relazione intrinseca tra populismo ed autoritarismo. In realtà, questa logica
equivalenziale (vedi punto 12) tra domande eterogenee è concepita come costitutiva
della rappresentazione democratica. Laclau sostiene la tesi secondo la quale le
prospettive attuali sul populismo riproducono, con maggiore o minore sofisticazione,
vecchi pregiudizi scientifici sul concetto di folla. Conseguentemente analizza i diversi
tentativi miranti a delineare una psicologia delle folle, dai lavori fondamentali di Le
Bon, Tarde e Taine, fino alle teorizzazioni di McDougall e Freud e mostra come il
populismo non abbia niente a che vedere col comportamento delle folle.

22
Uno dei meriti di questo lavoro è la ricapitolazione metodica e pedagogicamente chiara
dell'insieme delle sue riflessioni anteriori su domande tanto essenziali come la
costruzione del legame sociale, l'emancipazione degli oppressi, la formazione delle
identità collettive, il rapporto tra particolare ed universale.
A tale proposito, come aveva già affermato in precedenti lavori, lo spazio sociale deve
essere considerato come un spazio discorsivo. Discorso qui va inteso non solo in senso
rigorosamente linguistico del termine ma in senso performativo (sulla linea Austin -
Lacan) di un legame tra parole e azioni che permettono di costituire delle totalità
significative, come nei giochi di linguaggio di Wittgenstein.
Richiamandosi allo strutturalismo saussuriano, come abbiamo già accennato, Laclau
ritiene che non ci sono solo termini positivi nel linguaggio ma unicamente delle

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differenze: una cosa acquista il suo valore solo in un ambito differenziale. Questa teoria
linguistica, Laclau la estende all'analisi dei fatti sociali per privilegiare un approccio
politico all'articolazione delle differenze. Da qui Laclau, attraverso una serie di
argomentazioni, arriva all’idea-chiave: la necessaria tensione in ogni società tra due
logiche- quella della differenza (i particolarismi, la frammentazione del sociale) e quella
dell'equivalenza, (la comunità, il bene comune).

23
Ogni identità sociale (vale a dire discorsiva), afferma Laclau, si costituisce nel punto di
incontro di differenza ed equivalenza, proprio come le identità linguistiche sono sede
delle relazioni sintagmatiche di combinazione e di relazioni paradigmatiche di
sostituzione.47
Ogni politica della pura differenza, sottolinea Laclau, è destinata all'insuccesso. Al
contrario bisogna accettare integralmente il carattere plurale e frammentato delle società
contemporanee a condizione di iscrivere questa pluralità in una logica di equivalenze che
permetta le costruzioni di sfere pubbliche plurali. Correlativamente, se si intendono le
identità sociali come pure differenze fondate sull'antagonismo, bisogna determinare
all'interno il tutto nel quale queste identità si costituiscono. Ora questa totalità nel campo
sociale può esistere solamente come totalità mancata, orizzonte e non fondamento, luogo
di una pienezza (fullness) impossibile a raggiungere.48 Tuttavia, se la totalità è mancata
per sempre, il suo bisogno continua di manifestarsi per la presenza insistente della sua
assenza.

24
Per Laclau ogni identità sociale è divisa tra "le particolarità che essa rappresenta e il
significato più universale di cui è portatrice"49. Da qui questa nozione essenziale, a lungo
richiamata, di un universale come luogo vuoto ma ineluttabilmente necessario. Vi è poi
un passaggio tra l'articolazione relativa alle totalità come orizzonte per sempre mancato
e l'universale come, significante vuoto (sulla linea Lacan-Žižek) principio che trascende
le particolarità. Tale passaggio rimane in Laclau piuttosto approssimato come pure
risulta talvolta avventurosa l’estrapolazione dei concetti freudiani e la loro applicazione
logica al corpo sociale. Si può così, per esempio, legittimamente paragonare sempre
l'orizzonte mancante di una supposta pienezza sociale, quella di una società pienamente
riconciliata, con una riconciliazione mitica che cercheremmo tutti in vano, quella della
diade madre/figlio, la "plénitude della madre primordiale" 50.

25
Il processo di emancipazione politica e sociale ha la sua polarizzazione, per Laclau, nel
significante popolo e questo grazie alla reinterpretazione della nozione di egemonia
gramsciana, ripensata però alla luce della teoria lacaniana dell'oggetto parziale,
l'oggetto a. Non ci soffermeremo qui sull'insieme del percorso teorico di Laclau,
accenniamo solo all'egemonia come “operazione per la quale una particolarità prende un
significato universale incommensurabile con lei stessa.” 51. In certi momenti della storia,
rileva Laclau, il popolo ha potuto incarnare così questa particolarità, assumendo il ruolo
di un'universalità impossibile da raggiungere. Risulta inutile, di conseguenza, negare gli
aspetti affettivi del populismo in nome di una razionalità incontaminata: le logiche che
caratterizzano il populismo sono inserite nel funzionamento reale di ogni spazio
comunitario. Il populismo, in conclusione, è una logica politica che tenta di costituire il
popolo come attore storico a partire da una pluralità di situazioni opposte. Ciò che per
Laclau porta ad una società pienamente riconciliata: un orizzonte politico, addirittura


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mitico (vedi) che segna secondo Laclau la logica universalistica della nozione stessa di
popolo.


26
In quale misura questo pensiero performative del nome di popolo si richiama un certo
pensiero magico, è una domanda che trova la sua risposta analizzando l'uso che Laclau fa
della nozione di significante vuoto. Le identità popolari sono infatti per Laclau il
prodotto di significanti vuoti che queste investono. A questo punto Laclau, con
riferimento alla rivoluzione russa nota come i rivoluzionari condensavano tutti gli
antagonismi della società intorno alle domande il pane, la pace, la terra, il momento del
vuoto era decisivo. Senza i termini vuoti come giustizia, uguaglianza, libertà, sottolinea
Laclau, correlati alle tre domande, queste ultime sarebbero restate chiuse nel loro
particolarismo; "ma a causa del carattere radicale di questo investimento, qualche cosa
del vuoto della "giustizia" e della "libertà" animò queste domande che diventarono così i
nomi di un'universalità che trascendeva il loro contenuto particolare."52, la nominazione,
conclude Laclau, "è il momento-chiave nella costituzione di un popolo"53. Questa
potenza del nome nella teoria del populismo in Laclau non può non rimandare al
concetto di mana, alla sua forza misteriosa, figurazione simbolica di valore zero, il
significante fluttuante studiato da C. Lévi-Strauss, cio che indicherebbe una specie di
deriva magica in Laclau, con la sua insistenza sulla forza della nominazione, con la sua
misteriosa fiducia nella potenza (magica) del popolo.

27
Le ricche analisi che Laclau propone di un certo numero di movimenti politici, come il
peronismo degli anni ‘60 e ‘70 in Argentina o il populismo americano al XIX° secolo,
sono particolarmente convincenti. Come pure la lunga esplorazione dei diversi populismi
italiani, dall'insuccesso del Partito comunista negli anni ‘40 a costituire una coscienza
nazionale, all'uscita della Lega lombarda negli anni ‘80, fino all'evoluzione politica
recente di Berlusconi che si presenta, contrariamente ad un certo numero di idee correnti
con un movimento che l'allontana dal populismo54.

28
Materiali
                                       E. Laclau

     28.1
     […] le tre le dimensioni strutturali necessarie per elaborare il concetto di
     populismo sono […] l'unificazione di una pluralità di domande in una catena
     equivalenziale; la costituzione di una frontiera interna che separi la società
     in due campi; il consolidamento della catena equivalenziale tramite la
     costruzione di un'identità popolare che è qualcosa di qualitativamente
     superiore a una semplice sommatoria degli anelli equivalenziali. 55 […]

     28.2
     […] il punto strategico per la costituzione di un «popolo» resta in larga
     misura una questione aperta. Possiamo avere un populismo dello Stato
     nazionale, che segue il modello giacobino, un populismo regionale, un
     etnopopulismo, e così via. In tutti i casi la logica equivalenziale resterà
     sempre operativa, ma i significanti centrali che unificano la catena


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equivalenziale, quelli che costituiscono la singolarità storica saranno
fondamentalmente diversi. 56 […]

28.3
[…] nell'equilibrio instabile di logica differenziale e logica equivalenziale, è
la prima che sembra spuntarla in Italia. Il che non fa che confermare la tesi
di Surel secondo cui il populismo sarebbe un arsenale di strumenti retorici
(significanti fluttuanti) che può essere messo al servizio delle ideologie giù
disparate. 57 […]

28.4
[…] a questo punto occorre fare una precisazione importante: il fatto che il
significato politico dei significanti fluttuanti dipenda sempre da articolazioni
congiunturali non implica che il loro uso da parte dei politici corrisponda
sempre a una manipolazione cinica o strumentale. Questo potrebbe valere
forse per la cosa nostra di Berlusconi, ma non può essere considerato un
tratto caratteristico del populismo in quanto tale.58 […]

28.5
[…] A questo punto, possiamo approfondire la questione dell'alternativa
italiana basandoci sulla nostra distinzione tra nome e concetto. Dire che il
Partito comunista, come partito della classe operaia, doveva concentrare la
sua attività nel Nord industriale, perché era lì che si trovava la classe
operaia, equivale a dire che la categoria «classe operaia» era dotata di un
contenuto concettuale in grado di farci distinguere alcuni oggetti nel mondo.
In tal caso, il nostro nominarli non ha alcuna funzione performativa, serve
solo a riconoscerli. Il nome è qui il mezzo trasparente con cui qualcosa che è
concettualmente comprensibile mostra se stesso. Nominare una serie di ele-
menti eterogenei come «classe operaia», invece, significa fare qualcosa di
diverso: questa operazione egemonica produce performativamente l'unità di
quegli elementi, il cui mescolarsi e fondersi in una singola entità non è che il
risultato dell'operazione di nominazione. Il nome o il significante che
possiede - per tornare all'espressione di Copjec - il «valore-seno» del latte
costituisce qui un'assoluta singolarità storica, perché non esiste un correlato
concettuale di ciò a cui esso fa riferimento.
Per certi versi, questo è quel che accade sempre, perché non esiste un
concetto tanto puro da non essere ecceduto da significati che gli sono
associati solo in maniera connotativa. È naturale che in persone di due
nazioni diverse il termine «classe operaia» scattano diversi tipi di
associazione. Il problema cruciale, tuttavia, è se significati associati
resteranno periferici rispetto a un centro che rimarrà concettualmente
identico, e quindi «universale», o se essi contamineranno il momento della
determinazione concettuale, ne penetreranno la sostanza, cosicché alla fine,
passo dopo passo, il centro cesserà di essere un concetto, per diventare un
nome (un significante vuoto). Solo quando quest'ultima trasformazione ha
avuto luogo, possiamo parlare di una singolarità storica. E quando ciò si
verifica, non ci troviamo più di fronte a un agente settoriale come la
«classe»: siamo di fronte a un «popolo».
Era questo, indubbiamente, il progetto di Togliatti negli anni Quaranta. Il
partito, per come egli vedeva le cose, doveva intervenire su una pluralità di
fronti democratici (doveva sostenere una pluralità di domande particolari,

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nei nostri termini) e condurli a una qualche unità (intesa come
un'unificazione equivalenziale). In tal modo, ognuna di queste domande
isolate sarebbe diventata più forte grazie ai nessi stabiliti con le altre
domande e, cosa ancora più importante, tutte avrebbero ottenuto un accesso
alla sfera pubblica. Attraverso la presenza di questa nuova costellazione di
domande, la sfera pubblica sarebbe diventata più democratica e, vista la
dispersione geografica di questa costellazione, veramente nazionale. Il che
avrebbe reso possibile andare oltre il gentlemen's agreement tra le cricche
del Nord e quelle del Sud nel governo del paese. Si trattava di costruire il
«popolo» come singolarità storica.59[…]

28.6
[…] è esemplare il percorso politico di Silvio Berlusconi. Come nota Surel,
nella sua carriera assistiamo a un distacco dal populismo e a una graduale
«normalizzazione» della sua forza politica, reinserita mano a mano in un
sistema ricostruito. Nel 1994 il discorso politico di Berlusconi era ancora
assai eterogeneo: il populismo era di sicuro presente e accentuava la sua
distanza dalla tanto screditata classe politica. Tuttavia, erano presenti pure
altri ingredienti come l'anticomunismo (in parte investito di sfumature
populistiche) o come la difesa del liberalismo economico e del
conservatorismo sociale. Nel trambusto che portò alla caduta del suo primo
governo, in ogni caso, il populismo rimase ancora la questione centrale. Da
un lato, infatti, l'anticomunismo aveva perso ogni senso dopo che il PCI si
era trasformato nel Partito democratico della sinistra; dall'altro, il libe-
ralismo economico faceva sempre più a pugni col programma sociale ed
economico di Bossi e con lo statalismo di Alleanza nazionale. Ciò lasciò
Berlusconi senza radici all'interno del sistema. «Berlusconi, una volta
spogliato dei suoi orpelli - anticomunismo, liberalismo, conservatorismo -,
poté trovare supporto solo in un discorso semplicistico, a forti tinte
populiste, di denuncia delle istituzioni giudiziarie e dei tradizionali attori
politici, descritti come becchini del regime democratico e traditori della
volontà popolare»60. Negli anni seguenti ebbe inizio invece quel movimento
di normalizzazione di cui abbiamo detto (la nostra logica differenziale).
Surel elenca tre mutamenti sostanziali: primo, il liberalismo economico
viene a giocare un ruolo sempre più centrale nel ritratto che Berlusconi offre
di se stesso (si paragona a Thatcher, Blair, Aznar); secondo, Forza Italia
diventa un partito dal funzionamento interno sempre più normale (cessa di
essere una formazione ad hoc controllata dalla Fininvest); terzo, l'alleanza
tra le tre componenti della coalizione si fa più solida e integrata al sistema
dei partiti.61 Da quel momento in avanti gli elementi populisti, anche se
parzialmente recuperati durante le campagne elettorali, tendono a sfumare.
Le logiche equivalenziali cessano cioè di essere il cemento ideologico della
coalizione.
Vorrei trarre ora dalla nostra analisi alcune conclusioni teoriche più generali.
L'interesse del caso italiano sta nel fatto che l'Italia era il sistema politico
meno integrato in Europa occidentale, quello in cui lo Stato nazionale era
meno capace di egemonizzare i vari aspetti della vita sociale. In tale
situazione, la comunità non poteva essere data per scontata, e le domande
sociali potevano essere assorbite dall'apparato dello Stato centrale solo in
maniera imperfetta. In circostanze del genere, la costruzione di un «popolo»
assumeva un'importanza capitale; la tentazione populista non era mai troppo
lontana. La «nazione» e la «regione» come limiti della comunità furono due
                                                                                   16
progetti basati sull'espansione delle logiche equivalenziali. Nessuno dei due,
però, riuscita diventare un principio di ricostruzione della comunità.62[…]




                                    S. Žižek

28.7
[…] È chiaro ora perché Laclau preferisca il populismo alla lotta di classe: il
populismo fornisce una matrice « trascendentale » neutrale di lotta aperta, il
cui contenuto e le cui poste in gioco sono essi stessi definiti dalla lotta
contingente per l'egemonia, mentre la « lotta di classe» presuppone un
particolare gruppo sociale (la classe operaia) come agente politico
privilegiato; questo privilegio non è esso stesso l'esito della lotta egemonica,
ma è fondato sulla «posizione sociale oggettiva » di questo gruppo - la lotta
politico-ideologica è dunque ridotta in ultima istanza a un epifenomeno di
processi sociali «oggetti», dei poteri e dei loro conflitti. Per Laclau, al
contrario, il fatto che una certa lotta particolare sia elevata a «equivalente
universale» di tutte le lotte non è predeterminato, ma è esso stesso il
risultato della lotta politica contingente per l'egemonia. In alcune
circostanze, questa lotta può essere la lotta operaia, in altre la lotta
patriottica anticoloniale, in altre ancora la lotta antirazzista per la tolleranza
culturale... Non c'è niente nelle qualità positive inerenti a una particolare
lotta che possa predestinarla a un tale ruolo egemonico di «equivalente
generale» di tutte le lotte. La lotta per l'egemonia dunque non solo
presuppone uno scarto irriducibile tra la forma universale e la molteplicità di
contenuti particolari, ma anche il processo contingente attraverso cui uno di
questi contenuti è «transustanziato» in incarnazione immediata della
dimensione universale. Ad esempio (ed è l'esempio fornito dallo stesso
Laclau), nella Polonia degli anni Ottanta, le rivendicazioni particolari di
Solidarnosc furono innalzate a incarnazione del rifiuto globale da parte del
popolo del regime comunista, così che tutte le differenti versioni
dell'opposizione anticomunista (dall'opposizione conservatrice-nazionalista
passando per la versione liberaldemocratica e la dissidenza culturale, sino
alle proteste dei lavoratori di sinistra) si riconobbero nel significante vuoto
«Solidarnosc».63[…]

28.8
[…] Sebbene la teoria del populismo di Laclau si stagli oggi come uno dei
grandi (e, sfortunatamente per la teoria sociale, rari) esempi di vero rigore
concettuale […] la serie di condizioni formali che enumera non sono
sufficienti per giustificare il fatto di definire un fenomeno come «populista».
Ciò che bisogna aggiungere è il modo in cui il discorso populista sposta l'an-
tagonismo e costruisce il nemico: nel populismo, il nemico viene
esteriorizzato/reificato in un'entità ontologica positiva (anche se questa
entità è spettrale), il cui annientamento restaurerà equilibrio e giustizia;


                                                                                     17
simmetricamente la nostra identità - quella degli attori politici populisti - è
percepita come preesistente all'attacco del nemico.64[…]

28.9
[…] concordo con il tentativo di Laclau di definire il populismo in modo
formale-concettuale, prendendo anche nota di come, nel suo ultimo libro,
abbia chiaramente spostato la propria posizione dalla «democrazia radicale »
al populismo (la democrazia viene ora ridotta al momento della
rivendicazione democratica all'interno del sistema); tuttavia, come gli è
chiaro, il populismo può essere anche molto reazionario: come tracciare una
linea di confine. C'è un modo per tracciare questa linea su un piano formale-
concettuale? La mia scommessa è che la risposta sia « sì ».65[…]

28.10
[…] Non ogni costruzione basata sul popolo e non ogni azione compiuta per
conto del popolo come soggetto politico è eo ipso populismo. Nello stesso
modo in cui Laclau ama sottolineare che la Società non esiste, nemmeno il
Popolo esiste, e il problema del populismo è che, all'interno del suo
orizzonte, il Popolo esiste: l'esistenza del Popolo è garantita dalla sua
eccezione costitutiva, dall'esteriorizzazione del Nemico in un
intruso/ostacolo reale. La formula di un riferimento autenticamente
democratico al popolo deve dunque essere una parafrasi della definizione
della bellezza come Zweckmassigkeit ohne Zweck data da Kant: il popolare
senza il Popolo, ovvero, la scissione del popolo, la fenditura del popolo,
attraversato da un antagonismo costitutivo che gli impedisce di acquistare la
piena identità sostanziale di un Popolo. Per questo il populismo, lungi dal
rappresentare il politico in sé, implica sempre un minimo di depoliticiz-
zazione, una « naturalizzazione » del politico.
Questo spiega il paradosso fondamentale del fascismo autoritario, l'inverso
quasi simmetrico di ciò che Chantal Mouffe chiama «paradosso
democratico»66: se la scommessa della democrazia (istituzionale) è integrare
la lotta antagonista all'interno dello spazio istituzionale/differenziale,
trasformandola in un agonismo sottoposto a regole, il fascismo procede nella
direzione opposta. Mentre il fascismo, nel suo modo di agire, porta la logica
antagonista sino al suo estremo (parlando di « lotta all'ultimo sangue » tra sé
e i suoi nemici, e mantenendo sempre - se non realizzando - una minima
minaccia extraistituzionale di violenza, di « pressione diretta del popolo »,
aggirando i complessi canali legali e istituzionali), esso si pone come
obiettivo politico esattamente l'opposto, la costruzione di un corpo sociale
gerarchico estremamente ordinato (non è strano che il fascismo si basi
sempre su metafore organicistiche e corporative). Questo contrasto può
essere reso bene nei termini della contrapposizione lacaniana tra il «soggetto
dell'enunciazione» e il «soggetto dell'enunciato (contenuto) »: mentre la
democrazia ammette la lotta antagonista come proprio obiettivo (in
lacanese: come suo enunciato, suo contenuto), il suo procedimento è
sistemico e regolato; il fascismo, al contrario, cerca di imporre l'obiettivo
dell'armonia strutturata gerarchicamente facendo leva su un antagonismo
sfrenato....
In modo simile, l'ambiguità della classe media, questa contraddizione
incarnata (come afferma Marx a proposito di Proudhon), è esemplificata nel
migliore dei modi dal modo in cui si relaziona alla politica: da un lato, la

                                                                                  18
classe media è contro la politicizzazione, vuole solo difendere il proprio stile
di vita, che la si lasci lavorare e vivere la sua vita in pace, il che spiega
perché tende a supportare i colpi di mano autoritari che promettono di farla
finita con la folle mobilitazione politica della società, cosi che tutti possano
tornare al loro lavoro. Dall'altro, i membri della classe media - sotto forma
di maggioranza morale, infaticabile lavoratrice e patriottica, posta sotto mi-
naccia - sono i principali istigatori della mobilitazione popolare di massa
sotto forma di populismo di destra.67[…]

28.11
[…] L'analisi di Laclau presenta anche altre debolezze […] Il nucleo della
sua analisi del populismo è rappresentato dalla categoria di «rivendicazione
sociale» (nel doppio significato del termine: richiesta e affermazione). La
ragione strategica della scelta del termine è chiara: il soggetto della
rivendicazione si costituisce attraverso il fatto di lanciare questa
rivendicazione; il «popolo» dunque si costituisce attraverso una catena di
rivendicazioni, è il risultato performativo del fatto di aver avanzato queste
rivendicazioni, non è un gruppo preesistente. Laclau definisce come «
democratica» questa rivendicazione elementare, precedente alla sua even-
tuale concatenazione in una serie di equivalenze; nel suo impiego
leggermente eccentrico, il termine fa riferimento a una rivendicazione che
funziona all'interno del sistema socio-politico - in altre parole, essa viene
esperita come una rivendicazione particolare, anziché essere frustrata e
dunque costretta a inscriversi all'interno di una serie antagonista di
equivalenze. Sebbene metta l'accento sul fatte che, in uno spazio politico
istituzionale « normale », ci sono ovviamente molteplici conflitti, ma questi
conflitti vengono affrontati uno alla volta, senza mettere in moto degli
antagonismi/alleanze trasversali, Laclau è ben consapevole che le catene di
equivalenze possono formarsi anche all'interno di uno spazio democratico
istituzionale. 68[…]

28.12
[…] Ciò che Laclau ha dimenticato di mettere in rilievo qui è, non solo
l'unicità della democrazia rispetto alla sua contrapposizione concettuale tra
logica delle differenze (la società come un sistema regolato globale) e logica
delle equivalenze (lo spazio sociale scisso in due campi antagonisti che
equiparano le loro differenze interne), ma anche l'intimo intreccio delle due
logiche. La prima cosa da notare è che, solo in un sistena politico
democratico, la logica antagonista delle equivalenze è inscritta nel sistema
politico stesso, come suo carattere strutturale fondamentale.69[…]

28.13
[…] L'opera di Mouffe […] mostra una maggiore pertinenza, con il suo
tentativo eroico di mettere insieme democrazia e spirito della lotta
antagonista, rifiutando entrambi gli estremi: da un lato la celebrazione della
lotta e dello scontro eroici che sospendono la democrazia e le sue regole
(Nietzsche, Heidegger, Schmitt); dall'altro, l'evacuazione della lotta auten-
tica dallo spazio democratico, così che tutto ciò che rimane è una
competizione anemica sottoposta a regole (Habermas).70 Qui Mouffe ha
ragione a sottolinare che la violenza ritorna come vendetta nell'esclusione di
coloro che non si adeguano alle regole della comunicazione libera. Tuttavia,

                                                                                   19
la maggiore minaccia alla democrazia nei paesi democratici odierni non
     risiede in nessuno di questi estremi, ma nella morte del politico attraverso la
     « mercificazione » della politica. La posta in gioco in questo caso non è il
     modo in cui i politici sono confezionati e venduti come mercé alle elezioni;
     un problema molto più profondo è che le elezioni stesse sono concepite alla
     stregua dell’acquisto di merci (il potere in questo caso): esse implicano una
     competizione tra differenti merci-partiti e i nostri voti come il denaro che
     compra il governo che vogliamo. Ciò che viene perduto in questa
     concezione della politica come uno dei tanti servizi che compriamo è la
     politica come dibattito pubblico condiviso su questioni e decisioni che ci
     riguardano tutti.71[…]

29
Appendice

Ci sembra abbastanza degno di rilevo quanti scrive Davide Tarizzo nella parte terminale
della sua introduzione a La ragione populista :


     […] colpisce che nella sua analisi del populismo non sia neppure sfiorata
     una questione importante (che certo rende indigeribile questo dato di cruda
     realtà agli esponenti del mainstream normativistico). Parlo del paternalismo
     politico e della questione del padre. Se c'è un tratto tipico del populismo, le
     analisi di Laclau alludono solo implicitamente, è proprio il paternalismo del
     capo, cioè l'asimmetria del rapporto politico che si viene a creare tra chi
     guida e chi è guidato (e che potrebbe anche indurre a parlare, un domani, di
     maternalismo politico). Eppure così stanno le cose, non solo nei fatti, ma
     anche nella teoria di Laclau, che nei suoi esempi storici di populismo ci
     parla soprattutto di capi sempre maschi) e così facendo ci parla di padri. La
     domanda è: quanti tipi di posizione paterna esistono? E a ruota: quanti tipi di
     paternalismo politico esistono? Il tipo di paternalismo che ha in. mente
     Laclau è un paternalismo nevrotico, che rimane inchiodato all’impossibilità
     de la società, senza farne un dramma, per così dire, ma senza nemmeno
     «cedere sul proprio desiderio» politico. Žižek lo ha rimproverato di farci
     arretrare in tal modo nell'impotenza nevrotica dell'ideale frustrante. Non mi
     pare che sia questo il punto, giacché l’ideale, il politico, è qui sintomatizzato
     e si tratta, secondo Laclau, di imparare a saperci fare (così come per un
     nevrotico, spiega Lacan, si tratta di imparare a saperci fare col sintomo)36.
     Questo, se noi vivessimo in uno spazio collettivo nevrotico e sintomatizzato.
     Ma cosi? Noi viviamo davvero in uno spazio collettivo in cui le domande
     sociali si agglutinano, o quantomeno tendono a farlo, in significanti politici
     che ne condensano l'equivalente insoddisfazione? O noi viviamo in uno
     spazio collettivo che non si scompone più (almeno solo) in domande sociali,
     bensì in punti di godimento che corrono il rischio di scompaginare ogni
     relazione equivalenziale è antagonistica, (nel senso di Laclau)? Faccio un
     solo esempio - se ne potrebbero fare a bizzeffe - di questa psicopatologia
     della politica quotidiana cui sto alludendo: l'ascolto di un leader come
     Sarkozy, oggi, è concentrato tutto sul modo in cui egli propone di assorbire
     e soddisfare le diverse domande sociali, oppure è orientato - magari non
     soltanto, ma anche - a coglierne gli echi di godimento (il divorzio dalla
     moglie, i figli, i viaggi, il matrimonio con Carla Bruni)? Come gode

                                                                                         20
Sarkozy? È felice? Questa è, ora come ora, la domanda in Francia, o almeno
     c'è anche questa, oltre alle classiche domande sociali. Chi ambisce a
     occupare una posizione di leadership, chi fa politica in prima persona,
     oscuramente lo annusa. E ci propina i segni del suo godimento, subito
     incassati da quel gigantesco orecchio, il nostro orecchio, che sono i mass
     media. Chi si sarebbe mai preoccupato di sapere, nell'Italia degli anni
     Cinquanta, se Togliatti o De Gasperi si divertivano ad andare in bicicletta? E
     chi non sa oggi che questo è l'hobby di Prodi? Il capo deve darci dei segni
     che gode in un modo o nell'altro. Che gode ed è felice persine nel prendersi
     cura di noi come un padre perverso, che adora i suoi figli come dei feticci e
     racconta di continuo barzellette. La cosa importante, comunque, è che sia
     allegro e che lo dia a vedere (tutto il contrario del politico di cinquant'anni
     fa, che sorrideva poco nell'incombenza di un ideale sempre da raggiungere).
     E perché un politico deve farci vedere che gode, di questi tempi, se vuole
     restare dov'è? Perché per «noi», che viviamo nel tempo di una crisi del
     Nome-del-Padre, un padre appare così: nelle spoglie di un padre vivo e
     vegeto che se la spassa. Questo padre non incardina più la sua particolarità
     ad un simbolo universalizzante che tende a sublimarla in qualcosa di più alto
     (nella scrittura di un ideale che ne uccide il godimento), questo padre è
     soddisfatto di sé e rivendica la propria particolarità, la propria felicità di
     fronte a un universale che tiene in vita solo con la beffa denigrante. E se
     questo padre non ci darà a vedere che gode, noi intuiremo, postuleremo
     comunque il suo godimento, ne origlieremo le telefonate, magari, oppure ne
     sbirceremo le fotografie strappate clandestinamente, perché è proprio questo
     il padre che ci aspetta, una volta entrato in crisi l'ordine simbolico (cioè
     l'articolazione simbolica universalizzante del Nome-del-Padre). Questo
     padre deve farci vedere che gode, ormai, se vuole fare il padre. E se non ce
     lo farà vedere, noi sapremo in ogni caso che gode di nascosto. Ma co-
     minceremo anche a sospettare che, se non lo da a vedere, è perché è felice e
     si diverte a nostre spese (violando quel «contratto» tipicamente perverso
     che, a dispetto della «legge», stipula una circolazione scenografica del
     godimento). 72


Quanto scrive Tarizzo è interessante per due ragioni.

29.1
Anzitutto perché Laclau effettivamente affronta in modo sfumato il problema del
paternalismo del leader nell’ambito populistico. Nel capito sesto del libro73 il rapporto
tra la struttura interna del populismo e il leader viene esaminato sia attraverso la
canonica categoria della rappresentazione (“la costruzione di un popolo è impossibile
[…] senza che siano all’opera meccanismi di rappresentazione”74) sia attraverso le
dinamiche che consentono l’identificazione dell’emergere di un popolo con un
significante vuoto. Rimane scoperto l’aspetto paternalistico del capo che, come nota
Tarizzo, è proprio del populismo e che sembra presentare, a questo punto, qualche
elemento di contrasto con quanto affermato nel libro da Laclau a proposito della
situazione italiana (vedi punto 27).

29.2
L’analisi di Tarizzo, nel suo evidenziare la categoria del paternalismo del capo, mostra
come sia analiticamente efficiente ed esplicativo lo strumentario teorico hegeliano-

                                                                                       21
lacaniano-žižekiano per leggere le varie forme del potere ed i risvolti a queste connesse.
Tarizzo, in effetti, delinea, alla fine della sua introduzione al libro di Laclau, un insieme
di riflessioni che possono ben aprire ad un percorso analitico più ampio e produttivo
relativamente al politico, utilizzando, sempre sulla linea Lacan-Žižek, quell’apparato
teorico che va dalla trasgressione intrinseca alla distanza cinica, alla dialettica relativa
ai registri Immaginario-Simbolico-Reale75. Investendo pure, in tale ambito, anche il
quadro politico dell’Italia contemporanea. Ma siamo, a questo punto, già in un’altra
storia.



Riferimenti bibliografici
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8
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9
    A. Gramsci, Quaderni del carcere, Einaudi, Torino 1977 (2)
10
     F. Frosini, Politica e verità. cit.
11
     E. Laclau, Quel significante politico cit.
12
  S. Žižek , L’epidemia dell’immaginario, Meltemi, Roma 2004.
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P. Stanziale, Scenari tra economia e scienze umane ovvero dall’immaginario al
godimento, Quaderni Craet Sec. Un. Napoli, 9- 3/2009.
13
     E. Laclau C. Mouffe, Hegemony and Socialist Strategy cit.
14
     E. Laclau C. Mouffe, Hegemony and Socialist Strategy cit.
15
     F. Frosini, Politica e verità- Gramsci dopo Laclau cit.


                                                                                          22
16
     F. Frosini, Politica e verità- Gramsci dopo Laclau cit.
17
  E. Laclau, New Reflections on the Revolution of Our Time cit.
E. Laclau C. Mouffe, Hegemony and Socialist Strategy cit.

18
   Tra altri
J. Lacan, Scritti, Einaudi, Torino 1974.
J. Lacan, Radiofonia Televisione, Einaudi, Torino 1982.
S. Žižek, Il grande Altro, Feltrinelli, Milano 1999.
J. Derrida, Marx & sons. Politica, spettralità, decostruzione, Mimesis, Roma 2008.
19
     E. Laclau, New Reflections on the Revolution of Our Time cit.
20
     E. Laclau C. Mouffe, Hegemony and Socialist Strategy cit.
21
  E. Laclau C. Mouffe, Hegemony and Socialist Strategy cit.
Siamo qui sulla linea Althusser-Foucault-Lacan- Žižek. Comunque un riferimento
evidente è J. Lacan, Radiofonia. Televisione cit.
22
     E. Laclau C. Mouffe, Hegemony and Socialist Strategy cit.
23
     E. Laclau, New Reflections on the Revolution of Our Time cit.
24
  E. Laclau, New Reflections on the Revolution of Our Time cit.
F. Frosini, Politica e verità cit.
25
     E. Laclau C. Mouffe, Hegemony and Socialist Strategy cit.
26
     E. Wagner, Und jetzt, Frau Mouffe? cit.
27
     J. Ranciere, Aux bords du politique, La Fabrique, Paris 1998 (1990).
28
     E. Wagner, Und jetzt, Frau Mouffe? cit.
29
     A. Negri M. Hardt, Impero, Rizzoli, Milano 2001.
30
 M. Hardt A. Negri, Multitude. Guerre et Démocratie à l’age de l’Empire, La
Découverte, Paris 2004.
31
 G. Deleuze F. Guattari, L’anti-Edipo. Capitalismo e schizofrenia, Einaudi, Torino
2002
32
  K. Marx, Critique de l’Etat hégélien, Union générale d’éditions – 10/18, Paris 1976
(1843).
33
   C. Castoriadis. La démocratie comme procédure et comme régime, in La montée de
l’insignifiance, Seuil, Paris 1996.
C. Castoriadis, Le contenu du socialisme, Union générale d’éditions – 10/18. Paris 1979.
34
     E. Wagner, Und jetzt, Frau Mouffe? Cit.



                                                                                      23
35
  J. Rawls, Liberalismo politico, Nuova Cultura, Torino 2008.
J. Rawls Lezioni di storia della filosofia politica, Feltrinelli, Milano 2009.
J. Rawls, Una teoria della giustizia, Feltrinelli, Milano 2008.
36
 E. Wagner, Und jetzt, Frau Mouffe?cit.
C. Mouffe, The Democratic Paradox, Verso, London 2000.
37
  C. Mouffe, The Challenge of Carl Schmitt, Verso, London – New York 1999.
C. Mouffe, The Democratic Paradox cit.
38
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C. Schmitt, La condizione storico-spirituale dell’odierno parlamentarismo (1926 )
Giappichelli, Torino, 2004.
39
     E. Wagner,Und jetzt, Frau Mouffe? cit.
40
     E. Wagner , Und jetzt, Frau Mouffe?cit.
41
  U. Beck Che cos'è la globalizzazione. Rischi e prospettive della società planetaria,
Carocci, Roma 2009.
U. Beck, Capitalismo e teoria sociale. Marx, Durkheim, Weber, Laterza, Bari 2008.
42
  A. Giddens, L'Europa nell'età globale, Il Saggiatore, Milano 2009.
A. Giddens, Identità e società moderna, Ne t - Il Saggiatore, Milano 2002.
43
     E. Wagner, Und jetzt, Frau Mouffe? cit.
44
     E. Wagner, Und jetzt, Frau Mouffe?cit.
45
     E. Laclau C. Mouffe, Hegemony and Socialist Strategy cit.
46
     C. Schmitt, Le categorie del politico cit.
47
     E. Laclau, La ragione populista cit.
48
     E. Laclau, La ragione populista cit.
49
     E. Laclau, La ragione populista cit.
50
     E. Laclau, La ragione populista cit.
51
     E. Laclau, La ragione populista, cit.
52
     E. Laclau, La ragione populista cit.
53
     E. Laclau, La ragione populista cit.
54
     E. Laclau, La ragione populista, cit.
55
     E. Laclau, La ragione populista, cit.
56
     E. Laclau, La ragione populista cit.


                                                                                         24
57
     E. Laclau, La ragione populista cit.
58
     E. Laclau, La ragione populista cit.
59
     E. Laclau, La ragione populista cit.
60
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tentation populiste en Europe, La Decouverte, Paris 2003.
Ma anche
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61
     Y. Surel, Berlusconi, leader populiste? cit.
62
     E. Laclau, La ragione populista cit.
63
     S. Žižek, In difesa delle cause perse, Ponte alle Grazie, Milano 2009.
64
     S. Žižek, In difesa delle cause perse cit.
65
     S. Žižek, In difesa delle cause perse cit.
66
     C. Mouffe, The Democratic Paradox cit.
67
     S. Žižek, In difesa delle cause perse cit.
68
     S. Žižek, In difesa delle cause perse cit.
69
     S. Žižek, In difesa delle cause perse cit.
70
     C. Mouffe, The democratic paradox cit.
71
     S. Žižek, In difesa delle cause perse cit.
72
   D. Tarizzo, Populismo: chi starà ad ascoltare?, Introduzione a La ragione populista
cit.
73
   E. Laclau, Populismo, rappresentazione e democrazia in La ragione populista cit.
74
     E. Laclau, Populismo, rappresentazione e democrazia in La ragione populista cit.
75
  S. Žižek , L’epidemia dell’immaginario cit.
S. Žižek, Il grande Altro cit.
S. Žižek, Il godimento come fattore politico, R. Cortina Editore, Milano 2001.
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York-Frankfurt am Main 2001.
C. Mouffe, Sul politico. Democrazia e rappresentazione dei conflitti, B. Mondadori,
Milano 2007.

© by P. Stanziale 2009




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  • 1. Note di filosofia politica Laclau & Mouffe, Gramsci, la democrazia radicale, il populismo di Pasquale Stanziale in Quaderni CRAET Cat. Economia -Aversa (CE) DIAM Seconda Università Di Napoli n. 12 dicembre 2009 1 Chantal Mouffe, nata a Charleroi, in Belgio, insegna Scienze Politiche all'università di Westminster in Inghilterra. Il suo lavoro più conosciuto è Hegemony and Socialist Strategy, che ha scritto con Ernesto Laclau. Studiosa dei movimenti sorti negli anni ‘60 e dei nuovi movimenti sociali rigetta il rigoroso determinismo economico di Marx e l'analisi della società nei soli termini della lotta di classe, con Laclau difendono una democrazia radicale costruita su un pluralismo agonistico dove tutti i antagonismi possono essere in grado di esprimersi. 2 Ernesto Laclau è Professor of Government presso l’università di Essex in Inghilterra. Nel 1966 ha ottenuto l'abilitazione all'insegnamento nel suo paese, l’Argentina e, quando un golpe porta al potere il generale Juan Carlos Onganía, è costretto a rinunciare all’insegnamento universitario e inizia a lavorare in un istituto di ricerca a Buenos Aires. Lavora per alcuni anni con lo storico Eric Hobsbawm che lo aiuta a svolgere un dottorato presso un'università britannica, al termine del quale si trasferisce definitivamente in Inghilterra 1. Autore nel 2005 de La ragione populista, Laclau nella sua critica del discorso del potere, si trova spesso in contrasto con il suo amico ed ex allievo Slavoj Žižek. Nelle sue analisi si riscontrano vari punti di intersezione con le teorie di Judith Butler, di Althusser e di Badiou. Attento studioso della storia politica italiana Laclau si è spesso, nei suoi scritti, riferito al partito nuovo di Togliatti ma il suo interesse maggiore è per Gramsci e in 1
  • 2. particolare per la categoria di egemonia che, unitamente a Mouffe, riprende articolandola in una prospettiva libertaria ed anti-neoliberale. 3 Scrivono R. Ciccarellli e B. Vecchi a proposito del lavoro più importante di Laclau e Mouffe: […] In quel volume (Hegemony and Socialist Strategy) i due studiosi stabilivano un filo rosso all'interno del pensiero critico che poteva le:gittimare l'uso del prefissso «post»: l'Antonio Gramsci dei Quaderni dal carcere, il Lukàcs di Storia e coscienza di classe, Benjamin nelle Tesi sulla storia, la Scuola di Francoforte e Ernst Bloch, poi Sartre con la sua Critica della ragione dialettica, A. Gorz di Addio al proletariato. […] Per loro il «post-marxismo» non era un'operazione nostalgia, né il desiderio di comporre la squadra dei sogni per avere una rendita sul mercato dei remainders. Di solito, il «post» è il retro-effetto consolatorio delle letture accademiche dalle quali qualcuno ama trarre la linea politica per un partito di conio recente, una bussola morale per gli orfani dell'età dell'oro, oppure la linea editoriale di una rivista. Con la fine della guerra fredda, invece, quel prefisso segnalava la crisi di una cultura globale, il marxismo, e il rifiuto del mantra degli ultras liberali, e dei penitenti della sinistra di ogni latitudine e colore, che recitava la «morte delle ideologie». Era, in altre parole, il segno di un rinnovamento del pensiero critico che non disdegnava il pluralismo, la differenza, il femminismo, arrivando in anni più recenti a sostenere le ragioni dei movimenti sociali da Seattle in poi. Nessun cinismo post-moderno, dunque, ma critica dell'economicismo di ascendenza marxiana in base al quale la società è un corpo solido retto da ineludibili leggi economiche. Argentino per nascita e inglese d'azione, Laclau considera la società, l'economia, la società come il risultato di un «agonismo» tra forze plurali che ne impediscono la ricomposizione in un'unità astratta. La società non esiste, è il suo assunto iconoclasta. Non perché è stata liquidata dall'economia neoliberista, come recita il mantra di una lettura apocalittica e «antagonista», ma perché essa non costituisce mai un «Tutto» già formato. E così anche per la politica: non c'è un soggetto, ma un'egemonia che ne definisce conflittualmente i soggetti e le istituzioni2. Per quanto riguarda Gramsci E. Laclau sottolinea il fatto che “…in Argentina Gramsci era stato tradotto già negli anni Cinquanta. Per noi, allora, le sue tesi erano essenziali per comprendere quello che è stato chiamato il «rinascimento peronista», un movimento sociale, politico, culturale che non poteva essere efficacemente interpretato attraverso una griglia analitica tradizionalmente «classista». Gli studi gramsciani sul nazional-popolare, sulla formazione di una volontà collettiva, l'idea dell'intellettuale collettivo che opera per una riforma morale e politica erano usati per prendere congedo da una lettura ossificata della società argentina. Inoltre, guardavamo tutti con interesse e partecipazione a quanto accadeva nei campus statunitensi o nelle strade di Berlino e di Parigi. Il Sessantotto era un rebus importante da risolvere quanto il peronismo, perché poneva sempre lo stesso problema: come si può formare una soggettività politica fuori dallo schema economicistico della lotta di classe? Ho constatato un fatto paradossale che riguarda la ricezione gramsciana. 2
  • 3. Negli anni Settanta, gli intellettuali critici italiani perdono interesse per Gramsci. Ma è questo il decennio in cui fioriscono moltissimi percorsi di ricerca che partono da Gramsci e si sviluppano in America Latina, negli USA, in Australia e Inghilterra.” 3 E Fabio Frosini, uno dei maggiori studiosi italiani di Gramsci aggiunge: […] Quella di Laclau è dunque una formazione, in cui un passaggio attraverso Gramsci è quasi naturale. Di ciò si ha la chiara percezione leggendo le sue pagine, in cui, anche quando non appare direttamente, il riferimento alle categorie centrali dei Quaderni del carcere si fa sempre sentire, e che testimoniano di una lettura mai banale, mai stereotipata, ma personalissima e accurata (anche se, per esplicita ammissione di Laclau, almeno in parte mediata dai contributi di Chantal Mouffe).4 4 Hegemony and Socialist Strategy: Toward a Radical Democratic Politics5 di Ernesto Laclau e Chantal Mouffe è stato tradotto in un gran numero di paesi- ma a tutt’oggi non in Italia- ed ha esercitato un'influenza considerevole sulle teorie dei New Social Movements. In questo libro si riprendono vari aspetti del marxismo nell’idea di dare contributi innovativi al dibattito contemporaneo sul concetto di democrazia e consentire una lettura ricaratterizzante del politico. 5 Due obiettivi principali emergono dal contesto di Hegemony and Socialist Strategy: un obiettivo politico ed un obiettivo teorico. Sul versante politico i due autori si impegnano a riformulare il progetto socialista per fornire una risposta alla crisi del pensiero di sinistra sia sul versante comunista sia sul versante social-democratico. Ciò a fronte dell'importanza crescente assunta dai nuovi movimenti sociali che avevano preso forma dagli anni 1960, e di cui né il marxismo, né la socialdemocrazia erano capaci di rendere conto in modo adeguato. L’approccio teorico del lavoro di Laclau e Mouffe consiste anzitutto nel comprendere le specificità di movimenti dal punto di vista della struttura di classe, e di andare oltre gli schemi classici dello sfruttamento economico. Il passo successivo è lo sviluppo una teoria del politico facendo convergere due approcci teorici distinti: la critica del pensiero post-strutturalista, Derrida, Lacan, Foucault, ma anche Wittgenstein, i pragmatisti americani e il concetto di egemonia gramsciana. 6 Nel lavoro di Laclau e Mouffe, due categorie principali prendono forma, da un lato, il concetto di antagonismo e, dall'altro, come abbiamo già accennato variamente, quello di egemonia. Il concetto di antagonismo risulta assolutamente centrale per i due autori dato che l’antagonismo, nel contesto delle prassi rivela l'esistenza di conflitti che nessuna soluzione razionale può sanare…. La lotta, le tensioni tra individui e gruppi sociali sono inevitabili, e non esiste la soluzione definitiva ai problemi che pongono6. Il principio di dominio è inerente ad ogni società, poiché definire le identità individuali o collettive, presuppone l’esclusione di un certo numero di elementi che non sono riconoscibili come legittimi. Di fatto "la politica richiede decisioni e, nell'impossibilità di trovare un campo di intesa definitiva, tutti i regimi politici devono stabilire una gerarchia tra differenti valori, di conseguenza, ogni obiettività sociale è, in ultima istanza, politica e porta con se le esclusioni della sua origine: ciò che si può definire come il suo esterno costitutivo"7 (vedi le specificazioni al punto 7.4). Si giunge così ad una riformulazione del concetto di 3
  • 4. pluralismo diverso da quello dell'approccio liberale. Si tratta di un pluralismo che, come quelli di Nietzsche e di Max Weber, prende atto dell'impossibilità di armonizzare i vari punti di vista e distingue una dimensione del politico [the political] non sradicabile dell'antagonismo, diversa dalla politica [politics] che rinvia alle differenti attività che mirano ad organizzare la coesistenza umana8. Il secondo concetto fondamentale è quello di egemonia. Scrive F. Frosini relativamente al concetto nel quadro delle teorizzzazioni 9 presenti in Hegemony and Socialist Strategy: […] Egemonia designa pertanto l’insieme di processi e strategie che continuamente ri/articolano politicamente la società, costituendo a partire da sé stessi, senza nessun riferimento o vincolo oggettivo, la segmentazione politica della società. I processi egemonici non sono il riflesso di un ordine ad essi esterno, ma l’espressione dell’impossibilità di ordinare una volta per tutte la società. È l’irrappresentabilità scientifica della società, ciò che fa si che essa sia rappresentabile solo politicamente, cioè progettabile attraverso un intervento strategico che, partendo da una serie di elementi che sono ordinati in una determinata maniera, costruisce una serie differente, senza che né il primo ordinamento, né il secondo, siano in nessun modo oggettivamente radicati in un’essenza o legge di sviluppo della società. La politica è insomma la costruzione di un ordine contingente, ed è evento contingente essa stessa (non è detto che questi due ordini di questioni siano identici o conciliabili), in quanto non solo l’ordine nuovo avrebbe potuto essere diverso, ma la stessa nuova egemonia avrebbe potuto non affermarsi, e neanche essere formulata.10 Per Laclau e Mouffe, questi due concetti, antagonismo ed egemonia, sono indispensabili per l'elaborazione di una teoria del politico. Sono legati l’uno all'altro nell’idea che pensare il politico, con l'idea della presenza sempre possibile dell'antagonismo, necessita di fare a meno della possibilità di trovare un fondamento estremo, e di conseguenza riconoscere la dimensione di indecidibilità e di contingenza presente in ogni sistema sociale. Parlare di egemonia implica il fatto che ogni ordine sociale è solamente l'articolazione contingente di relazioni di potere particolari. La società è allora il prodotto di una serie di pratiche poste in opera allo scopo di tentare di creare un certo ordine in un contesto contingente. Sono precisamente queste pratiche che Laclau e Mouffe chiamano pratiche egemoniche. Ogni ordine è fondato così sull'esclusione di altri ordini possibili, e rappresenta sempre l'espressione di una configurazione particolare dei rapporti di potere. In questo senso, ogni ordine è politico, e tale ordine non potrebbe esistere nell'assenza delle relazioni di potere che lo plasmano. 7 Laclau e Mouffe si muovono, come loro stessi hanno dichiarato, in un’area post- marxista. Prendendo atto del fallimento storico delle determinazioni classiche del marxismo si può dire che i due filosofi delineano nei loro lavori un quadro teorico piuttosto articolato che parte dal considerare le società contemporanee caratterizzate da un sociale complesso e senza elementi di omogeneità e pongono poi in primo piano la serie dei conflitti radicali relativi ai beni comuni ed alle varie e diffuse forme di emarginazione sociale. Da qui la necessità di strutturare politicamente questi conflitti verso la costruzione di una pratica egemonica. 4
  • 5. L’itinerario concettuale poi, principalmente per quanto riguarda Laclau, si snoda attraverso un serrata serie di nuclei e rimandi teorici di cui ne individuiamo sinteticamente alcuni strategicamente significativi. 7.1 La categoria di popolo è fondamentale per intendere costruttivamente la politica, questa categoria si costruisce dentro e fuori dallo stato dato che si confronta con le decisioni del potere politico ma non può eludere il riconoscimento degli interessi particolari 11. Laclau qui connette la categoria di popolo con la necessità di forme di democrazia diretta. Aggiungiamo noi che la categoria di popolo si connette anche in modo strategico con quella di immaginario, di cui tratta successivamente Laclau, ma che rimanda anche a tutta una serie di riflessioni su versanti diversi dall’ambito strettamente filosofico- politico12. 7.2 L’approdo all’egemonia gramsciana porta Laclau a riprendere la nozione di surdeterminazione, nozione freudiana che Laclau riprende da Althusser. La logica della surdeteminazione è una logica decisamente antimetafisica e riguarda le notevoli inferenze sovrastrutturali sulla dialettica economica che non è mai pura (come del resto aveva già aveva affermato nel 1890 Engels). Scrive Laclau che la logica della surdeterminazione […] individua la costituzione incompleta, aperta e politicamente negoziabile di ogni identità.13 Ciò, per Laclau, conduce al fatto che il sociale è compreso nel simbolico, nella processualità di questo, oltre il quale non esiste nessuna significazione pertinente ad un piano d’immanenza. Essere e discorso sono inseparabili e l’universale è inscritto in un discorso. Conseguentemente la società e gli agenti sociali non hanno nessuna essenza e si muovono secondo figurazioni precarie e relative che accompagnano la strutturazione di un certo ordine.14 In tale ambito di surdeterminazioni, di non oggettivabilità della società in leggi naturali, laddove una scienza descrittiva della società è impossibile, dato che l’insieme dei processi simbolici non è rappresentabile in un’immagine univoca, non riconducibile ad un senso letterale oggettivo, a leggi, ecco che l’egemonia come strategia viene a rappresentare una forma della politica specificatamente moderna, politica che non può essere intesa solo come calcolo o amministrazione15. 7.3 Per Laclau quindi non è possibile non assumere una resa dell’universale per aprire ad una logica della contingenza16 in grado di contribuire alla costruzione di un insieme concettuale strategico e progettuale17 tale da riscattare pienamente la crisi del marxismo nelle sue determinazioni storiche. A tale scopo Laclau si rivolge al post- strutturalismo individuandovi un’area critica di figurazioni teoriche relative al concetto di discorso18, area critica le cui articolazioni consentono la rilettura delle 5
  • 6. surdeterminazioni dei rapporti sociali con le loro connotazioni ideologiche e con le fluttuazioni dei rapporti tra significanti e significati19. La società per Laclau risulta allora un campo di differenze e di forze, di apertura del sociale come fattore costitutivo20 e non un insieme chiuso entro cui è possibile estrapolare nuclei di ordinazione delle differenze e dei processi. 7.4 Laclau parla, a questo punto, di articolazioni, intendendo queste come pratiche in grado di strutturare legami di relazione tra gli elementi dell’insieme per costruire un’area ordinata in grado di presentarsi come discorso21 . Tale discorso nella propria catena di significanti presenta dei punti nodali in cui vi è coagulazione di significato: blocchi nella dinamica significante del campo delle surdeterminazioni del sociale come organizzazione di nuclei di differenze. Questi punti nodali costituiscono momenti di soluzione della contingenza ma nella misura in cui sfuggono alla logica delle differenze del campo della contingenza stessa22, campo che è anche caratterizzato dalla ex- centricità di ogni identità. Si tratta di ciò che in Hegemony viene definita come dislocazione, graduata in relazione ai valori differenziali delle identità. Attraverso questo articolazione dislocatoria il capitalismo contemporaneo viene visto da Laclau23, tra varie altre risultanze, come luogo dell’antagonismo generalizzato in cui alla maggiore dislocazione delle strutture corrisponde una minore decisionalità nelle determinazioni, con conseguente liberazione di spazi per le soggettività. Un valore importante poi in questa complessa processualità è dato da ciò che opera dall’esterno del campo della contingenza. In tale campo è al lavoro sia una rappresentabilità interna sia una necessitante rappresentabilità esterna Si tratta di un esterno costitutivo24 (vedi punto 6). che può offrire risposte come quella del mito: risposta produttiva di nuove oggettività correlate a forme dell’immaginario sociale. 7.5 Un punto nodale che troviamo in Hegemony è quello relativo al fondamento democratico di libertà e uguaglianza. Questo punto nodale ha la sua collocazione in una dimensione che è l’immaginario25, che, come abbiamo visto, troviamo anche come nuova oggettività connessa con le dinamiche della contingenza e delle surdeterminazioni. La categoria (o meglio lacanianamente registro del soggetto) di Immaginario costituisce l’approdo di varie teorizzazioni tra cui le più produttive ci sembrano essere quelle che si collocano sulla linea Lacan-Žižek, teorizzazioni che si occupano principalmente del rapporto tra l’Immaginario, il Simbolico ed il Reale in una lettura critica del capitalismo contemporaneo. 8 Questo insieme teorico ha delle implicazioni politiche cruciali e Laclau e Mouffe richiamano il fatto che la mondializzazione neoliberale viene intesa come un prodotto del destino e che non vi è altra scelta. A tale proposito Mouffe in un’intervista 26 ricorda Margaret Thatcher che ha ripetutamente dichiarato, rispetto alle sue decisioni, che non vi erano alternative, ciò che un gran numero di socialdemocratici ha accettato passivamente. Al contrario, dice Mouffe, è evidente che ogni ordine è generato da una configurazione egemonica data delle relazioni di potere. Lo stato attuale della mondializzazione, lontano dall’essere naturale, è piuttosto il risultato di una egemonia neoliberale con le sue strutture di poteri specifici. Ciò significa che è completamente possibile, secondo Mouffe, rimetterlo in causa, e che le alternative esistono. Mouffe mostra così come questo concetto di configurazione egemonica è fondamentale per orientare l'azione politica 6
  • 7. 9 Una tale concezione è radicale, nella misura in cui il politico democratico è riportato alla sua radice concreta: l'esercizio effettivo del potere che istituisce per il popolo. La democrazia appare allora a Laclau e Mouffe non più come un regime ma come una pratica che va ad incarnarsi non solo nelle mode istituzionali di partecipazione, come il voto, ma anche nelle lotte e in mobilitazioni di tipo non convenzionale. D’altra parte questo lavoro ai margini dell'ordine politico acquista importanza per i due filosofi nella misura in cui si fa lotta contro le procedure di dominio e di riproduzione del dominio stesso. Si tratta allora di una lotta contro il modo di condurre l'attività politica, addirittura contro i suoi aspetti organizzativi: « la véritable participation, c’est l’invention de ce sujet imprévisible qui aujourd’hui occupe la rue, de ce mouvement qui ne naît de rien sinon de la démocratie elle-même » scrive Ranciere. 27. 10 Nel libro di Laclau e Mouffe altro punto di forza è la rimessa in causa dell'idea stessa di un ordine naturale, conseguenza dell'azione di forze obiettive relative alla produzione, alle leggi della storia, allo sviluppo dello spirito. Per i due autori è possibile sostenere che un altro mondo è possibile. Altri mondi sono sempre possibili, e non si dovrebbe mai accettare l'idea che le cose non possono essere cambiate. Esistono sempre delle alternative che sono state escluse dall'egemonia dominante, ma che possono essere attualizzate. È precisamente ciò che la teoria dell'egemonia permette di comprendere meglio. Ogni ordine egemonico imposto può essere rimesso in discussione per le pratiche contro-egemoniche che tentano di disarticolarlo per stabilire altre forme di egemonia. 11 Queste tesi hanno certo implicazioni molto importanti sul modo di valutare le politiche emancipatrici. Se la lotta politica consiste sempre nel confronto delle differenti pratiche egemoniche e dei differenti progetti egemonici, ciò significa che il confronto diviene permanente dato che non si giungerà mai a forme compiute di democrazia. È la ragione per quale Laclau e Mouffe formulano il progetto della sinistra- in Hegemony and Socialist Strategy- in termini di democrazia radicale e plurale e insistono sul fatto che si tratta di un processo è senza fine. Si tratta di una radicalizzazione delle istituzioni democratiche esistenti per configurare principi di libertà e di uguaglianza effettivi in un numero sempre più grande di relazioni sociali. 12 In effetti lo scopo dei due autori è quello di integrare le rivendicazioni dei nuovi movimenti sociali e di trovare il mezzo di articolare queste nuove rivendicazioni portate avanti dai movimenti femministi, antirazzisti, omosessuali o ancora ecologisti, con rivendicazioni formulate in termini di classe. In questa prospettiva, un altro concetto importante di Hegemony and Socialist Strategy è quello di catena di equivalenze. Contro la separazione totale tra i movimenti, separazione postulata da varie parti, Laclau e Mouffe ritengono necessario per la sinistra stabilire una catena di equivalenze tra tutte queste differenti lotte, affinché, quando i lavoratori definiscono le loro rivendicazioni, si facciano anche carico delle rivendicazioni della gente di colore, degli immigrati, o delle femministe. A loro volta le femministe quando definiscono le loro rivendicazioni, non debbono procedere solo in termini di genere, ma devono prendere anche occuparsi delle rivendicazioni di altri gruppi, per creare una larga catena di equivalenze tra tutte queste lotte democratiche. L'obiettivo della sinistra così dovrebbe essere quello di porre in atto 7
  • 8. una volontà collettiva di tutte le forze democratiche per spingere ad una radicalizzazione della democrazia e strutturare un’area di egemonia. 13 Un'altra dimensione importante di questo progetto di democrazia radicale riguarda la possibilità di rompere con l'idea che, se si vuole progredire verso una società più giusta nelle democrazie occidentali avanzate, è necessario distruggere l'ordine democratico liberale e costruire un nuovo ordine ripartendo di zero. Laclau e Mouffe criticano qui il modello rivoluzionario leninista tradizionale e affermano che, nella cornice di una democrazia pluralistica moderna, un progresso delle istanze democratiche profonde potrebbe essere realizzato a partire da una critica immanente delle istituzioni imposte. Dal punto di vista dei due studiosi il problema delle società democratiche moderne non riguarda i loro principi etico-politici di libertà e di uguaglianza, ma piuttosto il fatto che questi principi non sono posti in essere. Così, in queste società, la strategia della sinistra dovrebbe consistere in azioni mirate all'applicazione di questi principi - ciò che non implica una rottura radicale, ma piuttosto ciò che Gramsci chiama una guerra di posizione che potrebbe condurre alla creazione da una nuova egemonia. 14 In effetti per ciò che riguarda la possibilità di radicalizzare la democrazia, la situazione è diversa da trent' anni fa, quando è stato scritto il libro, ha ammesso recentemente Mouffe28. All'inizio degli anni 1980 la politica socialdemocratica si presentava ancora largamente condivisa. Si criticavamo i limiti dei partiti social-democratici e si proponeva una radicalizzazione della democrazia, ma nessuno immaginava allora, constatano i due filosofi, che i progressi realizzati dalla socialdemocrazia potessero rivelarsi tanto fragili. Attraverso Reagan e Thatcher il neoliberalismo ha ottenuto numeroso successi in varie aree del mondo. Le libertà individuali più elementari, al fondamento dell'ordine politico, sono state anche recentemente rimesse in causa e in alcuni paesi si è costretti a lottare contro lo smantellamento delle istituzioni democratiche fondamentali. 15 Laclau e Mouffe constatano oggi la resistenza ed il rifiuto dei vari movimenti sociali rispetto alla possibilità di lavorare con le istituzioni politiche al potere. Questi movimenti, per Laclau e Mouffe sono influenzati dalle idee di Hardt e Negri che, nei loro libri Impero29 e Moltitudine 30, scrivono che i movimenti generati della società civile devono evitare di collaborare con le istituzioni politiche. Percepiscono tutte queste istituzioni come molari31, riprendendo il vocabolario di Deleuze e Guattari, come le macchine di cattura e affermano che il combattimento fondamentale si trova piuttosto a livello molecolare della micropolitica. In questa prospettiva, le contraddizioni interne dell'impero debbono portare alla sua caduta e debbono condurre alla vittoria della moltitudine. In effetti riproducono, secondo Laclau e Mouffe, solo con un vocabolario diverso, il determinismo marxista della Seconda Internazionale secondo la quale le contraddizioni interna alle forze di produzione dovevano portare alla caduta del capitalismo e condurre alla vittoria dal socialismo. La prospettiva di Impero è la stessa - adattata certamente alle nuove condizioni: ma è ormai il lavoro immateriale che gioca il ruolo principale, e non sono più il proletariato ma la moltitudine che serve da agente rivoluzionario. Si è tuttavia in presenza dello stesso tipo di approccio deterministico. Questo è del resto la ragione per la quale rifiutano l'idea che è necessario creare un'unità politica tra i differenti movimenti. Ma la domanda politica più importante che Laclau e Mouffe pongono a Negri e Hardt é: come può la moltitudine tramutarsi in soggetto 8
  • 9. politico? Riconoscono che i movimenti hanno obiettivi differenti, ma, per essi, l'articolazione di queste differenze non è un problema. Difatti, nella loro prospettiva, è proprio perché queste lotte non convergono che sono più radicali e quindi ciascuna di esse può portare direttamente i suoi colpi al centro virtuale dell'impero. Pensano che un tale approccio ha avuto un'influenza negativa su certi settori del movimento no-global, che ha portato ad eludere il problema politico fondamentale: come organizzarsi nell’evidenza delle differenze per mettere in opera una catena di equivalenza tra le differenti lotte. 16 La democrazia radicale di Laclau e Mouffe appare ereditiera delle concezioni socialiste che affermano l'uguaglianza giuridica e politica che presuppongono, per essere reale, l'uguaglianza sociale ed economica. Parecchi dei suoi sostenitori sono di formazione marxista e si richiamano a quella che si può definire l'ispirazione democratica presente dal giovane Marx critico del dominio e dell'alienazione, affermando che la “la democrazia è l'enigma risolto di tutte le costituzioni"32. Questa linea teorica sembra convergere col progetto di Castoriadis33 relativamente al concetto di emancipazione che anima il socialismo marxista. Si distingue tuttavia dal marxismo su alcuni punti essenziali: a) la democrazia radicale è un'anti-concezione utopistica, b) la lotta politica non può avere fine, c) prende forma un atteggiamento anti-storicista, d) la lotta non è legata ad un senso necessitante della storia, e) un anti-economicismo, f) la società non viene a ridursi in nessun caso al campo dell'economia, g) l’individuo non viene riduttivamente inteso solo come lavoratore. Lo spazio politico della lotta tra domini ed emancipazione viene in primo piano, e questo aspetto è essenziale, imprescindibile; anche il capitalismo non è più l’ unico nemico, quello principale, ma una forma di dominio tra altri. Mouffe è convinta che di là dal millenarismo marxista o del "fatto provvidenziale" tocquevilliano, la democrazia può realizzarsi solo attraverso una praxis politica conflittuale, mirando un'emancipazione sempre più larga ma sempre incompiuta 34. 17 Dopo Hegemony and Socialist Strategy Mouffe ha cominciato ad esaminare criticamente i differenti modelli liberali e, in particolare, quello di John Rawls35. La critica di Mouffe prende in considerazione il razionalismo e l’individualismo propri del modello liberale. Il razionalismo, scrive Mouffe36, porta a credere nella possibilità di una riconciliazione finale dei conflitti grazie alla ragione, di fatto viene impedita la possibilità di prendere in considerazione ciò che di valido emerge dagli antagonismi. Per quanto riguarda l’individualismo esso non permette la comprensione del processo di creazione delle identità politiche che sono sempre delle identità collettive, costruite sotto forma di una relazione di tipo noi/loro. In più, questo razionalismo e questo individualismo dominanti nella teoria liberale non permettono a questa di comprendere il ruolo cruciale giocato in politica da ciò che Mouffe definisce "passioni": vale a dire la dimensione affettiva che si mobilita contestualmente alla creazione delle identità politiche. Mouffe cita il caso del nazionalismo: non si può comprendere l'importanza del nazionalismo se non si considera la mobilitazione degli affects e dei desideri nella formazione delle identità collettive. È certamente questa la ragione, sostiene Mouffe, per la quale il pensiero liberale ha sempre fatto fatica ad integrare le differenti manifestazioni del nazionalismo. Per i liberali, tutto ciò che comporta una dimensione collettiva viene presentato come arcaico, come qualche cosa di irrazionale che non dovrebbe esistere più nelle società moderne. Con tali premesse teoriche si spiega l’incapacità dei liberali nel capire la dinamica stessa della politica. 9
  • 10. 18 Nell’ambito di questo itinerario critico Mouffe trova in Carl Schmitt una critica forte al liberalismo che ritiene condivisibile37, critica che Schmitt sviluppa negli anni 1920 nel suo libro La nozione di politica38. Mouffe ritiene la critica del liberismo proposta da Schmitt fondata e utile per comprendere i sviluppi recenti del pensiero liberale. Schmitt considera il liberalismo non in grado di comprendere il politico dato che quando tenta di parlarne utilizza concetti presi in prestito sia dall'economia che dall'etica. Ciò che corrisponde ai due principali modelli democratici che dominano attualmente la teoria politica, il modello aggregativo, da un lato, ed il modello deliberativo, dell'altro. Il primo considera principalmente il campo politico in termini economici. È in relazione a questo modello che Rawls e Habermas hanno sviluppato i loro modelli alternativi di democrazia deliberativa mobilitando un approccio etico e/o morale per pensare la politica. A questo punto termina la condivisione di Mouffe della critica schmittiana del liberismo dato che i suoi obiettivi riguardano altri percorsi. In ogni caso Schmitt per Mouffe costituisce una sfida, come essa stessa dichiara,39 e ciò principalmente in relazione al rapporto tra agonismo e antagonismi. Mouffe è d’accordo con Schmitt nel riconoscere che una dimensione della politica è data dalla permanenza di conflitti i quali non presentano una soluzione razionale. La relazione amico/nemico implica una negazione che non può essere risolta dialetticamente. Tuttavia, questo conflitto può prendere parecchie forme. Può essere espresso come l'antagonismo propriamente detto -la forma schmittiana della relazione amico/nemico e qui, sostiene Mouffe, Schmitt ha evidentemente ragione nel dire che un tale antagonismo non può essere riconosciuto come legittimo in seno ad una società democratica, perché conduce alla distruzione dalle aggregazioni politiche. Il conflitto può tuttavia anche essere espresso sotto una diversa forma che Mouffe propone di chiamare agonismo. La differenza tra le due consiste nel fatto che nel caso dell'agonismo, non si tratta di un confronto di tipo amico/nemico ma di un confronto tra avversari che riconoscono la legittimità di loro rispettive rivendicazioni. Pure sapendo che non c'è soluzione razionale al loro conflitto, le parti si accordano sui principi etico-politici che organizzano le loro formazioni politiche pure rimanendo in disaccordo sulle loro interpretazioni. Mouffe ritiene l’agonismo compatibile con la democrazia costituendo la specificità di un ordine democratico pluralistico. È la ragione per quale presenta il modello agonistico della democrazia come un'alternativa ai modelli aggregativi e deliberativi. Dichiara Mouffe: ….questo modello ha il vantaggio che riconoscendo il ruolo delle passioni nella creazione delle identità collettive, fornisce una migliore visione della dinamica democratica, una visione che riconosce il bisogno di offrire differenti forme di identificazione collettiva, intorno ad alternative chiaramente definite.40 19 Su tale percorso Mouffe si trova in disaccordo con Ulrich Beck41 ed Anthony Giddens42 secondo i quali il modello della politica come confronto tra avversari sarebbe oramai obsoleto, ciò che implicherebbe un pensiero che vada al di là dell’opposizione destra/sinistra. Per Mouffe, un tale, confronto è, al contrario, costitutivo della democrazia. È evidente che bisogna considerare l'opposizione destra/sinistra a partire da differenti contesti e differenti periodi storici. Ciò che è realmente in gioco nel distinzione droite/gauche, è l’evidenza della divisione sociale e il fatto che certi conflitti non possono essere risolti nell’ambito di un dialogo razionale. Mouffe non nega il fatto che si 10
  • 11. è assistito negli gli ultimi anni a certe osmosi tra sinistra e destra. Tuttavia, mentre Beck e Giddens vedono in ciò un segno di progresso per la democrazia, Mouffe è convinta che questa osmosi non è stata produttiva e che è ancora possibile invertire il processo. Pensa che sia importante resistere, perché tutto ciò, alla fine, può mettere in pericolo le istituzioni democratiche. La scomparsa della differenza fondamentale tra i partiti democratici di centro-sinistra e centro-destra, nota Mouffe, ha per effetto il fatto che le persone smettono di interessarsi alla politica. […] Guardate il declino inquietante della partecipazione politica alle elezioni. Questo declino si spiega per il fatto che la maggior parte dei partiti social-democratici hanno deviato talmente verso il centro che sono diventati incapaci di proporre un'alternativa all'ordine egemonico che esiste. Una democrazia fiorente deve offrire alle persone la possibilità di fare della vere scelte. La politica in democrazia deve essere partigiana. Se si vuole che i cittadini investano in politica è necessario che sentano che alternative reali siano in gioco nella fase elettorale. La disaffezione attuale nei confronti dei partiti democratici è abbastanza negativa per la democrazia. In parecchi paesi ha condotto al potere i partiti della destra populista che si presentavano come i solo partiti portatori di alternative, pretendendo di dare voce a tutti quelli che si sentivano trascurati dai partiti di governo. Ricordate ciò che è accaduto in Francia al primo giro delle elezioni presidenziali del 2002, quando Le Pen, il leader della Fronte nazionale, è arrivato secondo e ha eliminato il candidato socialista Lionel Jospin. Per essere onesta, ciò mi ha inquietato, ma non sorpreso - durante la campagna avevo detto a miei studenti scherzando che c'era tanta differenza tra Chirac e Jospin quanta tra Coca-Cola e Pepsi-Cola. Del resto Jospin aveva insistito nel dire che il suo programma non era socialista, a partire da ciò numerosi elettori non si sono potuti decidere a votare per lui. Dall’altro lato numerosi elettori scontenti hanno deciso di votare per Le Pen che, grazie ad un'efficace retorica demagogica, è riuscito a mobilitarli contro ciò che percepivano come formazioni elitarie completamente indifferenti alle loro esigenze. La celebrazione attuale della politica del consenso al centro mi inquieta molto, perché sono persuasa che un tale Zeitgeist post-politico fa il gioco della destra populista 43. […] Quando la democrazia smette di offrire alle persone la possibilità di identificarsi con identità politiche collettive, si può osservare che tendono a ricercare altre sorgenti di identificazione collettiva. Ciò si manifesta per certe forme di identificazione religiosa, in particolare negli immigrati musulmani. Un gran numero di studi sociologici hanno mostrato che in Francia il declino del Partito comunista era stato accompagnato nei lavoratori poco qualificati da un incremento dalle forme di affiliazione religiosa. La religione sembra così oggigiorno sostituire i partiti nella soddisfazione dal bisogno di appartenere ad una comunità, fornendo un altro noi. In altri contesti, l'assenza di identificazione collettiva intorno ad identità politiche strutturate intorno al confronto destra/sinistra può essere colmato anche dalle forme di identificazione regionalistica o nazionalistica. Un tale fenomeno non è, a mio avviso, positivo per la democrazia, perché queste identità non sono in grado di partecipare validamente al confronto agonistico. È la ragione per la quale è una serio errore credere che abbiamo 11
  • 12. raggiunto oramai un buon livello di sviluppo là dove l'individualismo è diventato talmente diffuso che le persone non provano neanche più il bisogno di avere delle forme collettive di identificazione. La distinzione noi/loro è costitutiva della vita sociale, e la democrazia deve fornire i discorsi, le pratiche e le istituzioni che permetteranno a queste forme di identificazione di essere costruite politicamente.44 20 Per quanto riguarda i movimenti politici attuali Laclau e Mouffe considerano prioritaria la possibilità di lavorare per costruire un'alternativa al neoliberalismo45. In tal senso punti di riferimento sono alcune prospettive emerse dalle lotte politiche in alcuni paesi del Sudamerica. Pur riconoscendo la dimensione nazionale di tali lotte i due filosofi sono tuttavia convinti che bisogna situare le lotte politiche nel contesto delle varie realtà regionali. Mouffe qui è d’accordo con Schmitt46 nel considerare il mondo come un pluriversum e non un universum. Non esiste una forma unica di democrazia in grado di essere accettata da tutti, in modo universale, varie sono le modalità attraverso cui è possibile realizzare l'idea democratica in relazione ai vari contesti nazionali. Laclau e Mouffe ritengono l’Europa l’area in cui dovrebbe riavviarsi il confronto gauche/droite per creare le condizioni favorevoli ad un democrazia agonistica. In tale ambito la dimensione europea dovrebbe essere al centro del riflessione della sinistra. 21 Nell’unico suo libro tradotto al momento in italiano, La ragione populista, Laclau si chiede se il rigetto del populismo non rappresenti semplicemente una forma di rigetto della politica. È l'ipotesi che difende, convinto che il populismo, lontano dall’essere un fenomeno irrazionale che minaccia la vita politica, rivela ciò che necessita per la costruzione dell'identità sociale, idea apparentemente provocatrice che cerca di sviluppare sistematicamente nel suo libro. Il popolo, sottolinea, non è un dato della struttura sociale, è una categoria politica fondamentale. Laclau presenta una vera innovazione nell'interpretazione politica del populismo: perché nega la relazione intrinseca tra populismo ed autoritarismo. In realtà, questa logica equivalenziale (vedi punto 12) tra domande eterogenee è concepita come costitutiva della rappresentazione democratica. Laclau sostiene la tesi secondo la quale le prospettive attuali sul populismo riproducono, con maggiore o minore sofisticazione, vecchi pregiudizi scientifici sul concetto di folla. Conseguentemente analizza i diversi tentativi miranti a delineare una psicologia delle folle, dai lavori fondamentali di Le Bon, Tarde e Taine, fino alle teorizzazioni di McDougall e Freud e mostra come il populismo non abbia niente a che vedere col comportamento delle folle. 22 Uno dei meriti di questo lavoro è la ricapitolazione metodica e pedagogicamente chiara dell'insieme delle sue riflessioni anteriori su domande tanto essenziali come la costruzione del legame sociale, l'emancipazione degli oppressi, la formazione delle identità collettive, il rapporto tra particolare ed universale. A tale proposito, come aveva già affermato in precedenti lavori, lo spazio sociale deve essere considerato come un spazio discorsivo. Discorso qui va inteso non solo in senso rigorosamente linguistico del termine ma in senso performativo (sulla linea Austin - Lacan) di un legame tra parole e azioni che permettono di costituire delle totalità significative, come nei giochi di linguaggio di Wittgenstein. Richiamandosi allo strutturalismo saussuriano, come abbiamo già accennato, Laclau ritiene che non ci sono solo termini positivi nel linguaggio ma unicamente delle 12
  • 13. differenze: una cosa acquista il suo valore solo in un ambito differenziale. Questa teoria linguistica, Laclau la estende all'analisi dei fatti sociali per privilegiare un approccio politico all'articolazione delle differenze. Da qui Laclau, attraverso una serie di argomentazioni, arriva all’idea-chiave: la necessaria tensione in ogni società tra due logiche- quella della differenza (i particolarismi, la frammentazione del sociale) e quella dell'equivalenza, (la comunità, il bene comune). 23 Ogni identità sociale (vale a dire discorsiva), afferma Laclau, si costituisce nel punto di incontro di differenza ed equivalenza, proprio come le identità linguistiche sono sede delle relazioni sintagmatiche di combinazione e di relazioni paradigmatiche di sostituzione.47 Ogni politica della pura differenza, sottolinea Laclau, è destinata all'insuccesso. Al contrario bisogna accettare integralmente il carattere plurale e frammentato delle società contemporanee a condizione di iscrivere questa pluralità in una logica di equivalenze che permetta le costruzioni di sfere pubbliche plurali. Correlativamente, se si intendono le identità sociali come pure differenze fondate sull'antagonismo, bisogna determinare all'interno il tutto nel quale queste identità si costituiscono. Ora questa totalità nel campo sociale può esistere solamente come totalità mancata, orizzonte e non fondamento, luogo di una pienezza (fullness) impossibile a raggiungere.48 Tuttavia, se la totalità è mancata per sempre, il suo bisogno continua di manifestarsi per la presenza insistente della sua assenza. 24 Per Laclau ogni identità sociale è divisa tra "le particolarità che essa rappresenta e il significato più universale di cui è portatrice"49. Da qui questa nozione essenziale, a lungo richiamata, di un universale come luogo vuoto ma ineluttabilmente necessario. Vi è poi un passaggio tra l'articolazione relativa alle totalità come orizzonte per sempre mancato e l'universale come, significante vuoto (sulla linea Lacan-Žižek) principio che trascende le particolarità. Tale passaggio rimane in Laclau piuttosto approssimato come pure risulta talvolta avventurosa l’estrapolazione dei concetti freudiani e la loro applicazione logica al corpo sociale. Si può così, per esempio, legittimamente paragonare sempre l'orizzonte mancante di una supposta pienezza sociale, quella di una società pienamente riconciliata, con una riconciliazione mitica che cercheremmo tutti in vano, quella della diade madre/figlio, la "plénitude della madre primordiale" 50. 25 Il processo di emancipazione politica e sociale ha la sua polarizzazione, per Laclau, nel significante popolo e questo grazie alla reinterpretazione della nozione di egemonia gramsciana, ripensata però alla luce della teoria lacaniana dell'oggetto parziale, l'oggetto a. Non ci soffermeremo qui sull'insieme del percorso teorico di Laclau, accenniamo solo all'egemonia come “operazione per la quale una particolarità prende un significato universale incommensurabile con lei stessa.” 51. In certi momenti della storia, rileva Laclau, il popolo ha potuto incarnare così questa particolarità, assumendo il ruolo di un'universalità impossibile da raggiungere. Risulta inutile, di conseguenza, negare gli aspetti affettivi del populismo in nome di una razionalità incontaminata: le logiche che caratterizzano il populismo sono inserite nel funzionamento reale di ogni spazio comunitario. Il populismo, in conclusione, è una logica politica che tenta di costituire il popolo come attore storico a partire da una pluralità di situazioni opposte. Ciò che per Laclau porta ad una società pienamente riconciliata: un orizzonte politico, addirittura 13
  • 14. mitico (vedi) che segna secondo Laclau la logica universalistica della nozione stessa di popolo. 26 In quale misura questo pensiero performative del nome di popolo si richiama un certo pensiero magico, è una domanda che trova la sua risposta analizzando l'uso che Laclau fa della nozione di significante vuoto. Le identità popolari sono infatti per Laclau il prodotto di significanti vuoti che queste investono. A questo punto Laclau, con riferimento alla rivoluzione russa nota come i rivoluzionari condensavano tutti gli antagonismi della società intorno alle domande il pane, la pace, la terra, il momento del vuoto era decisivo. Senza i termini vuoti come giustizia, uguaglianza, libertà, sottolinea Laclau, correlati alle tre domande, queste ultime sarebbero restate chiuse nel loro particolarismo; "ma a causa del carattere radicale di questo investimento, qualche cosa del vuoto della "giustizia" e della "libertà" animò queste domande che diventarono così i nomi di un'universalità che trascendeva il loro contenuto particolare."52, la nominazione, conclude Laclau, "è il momento-chiave nella costituzione di un popolo"53. Questa potenza del nome nella teoria del populismo in Laclau non può non rimandare al concetto di mana, alla sua forza misteriosa, figurazione simbolica di valore zero, il significante fluttuante studiato da C. Lévi-Strauss, cio che indicherebbe una specie di deriva magica in Laclau, con la sua insistenza sulla forza della nominazione, con la sua misteriosa fiducia nella potenza (magica) del popolo. 27 Le ricche analisi che Laclau propone di un certo numero di movimenti politici, come il peronismo degli anni ‘60 e ‘70 in Argentina o il populismo americano al XIX° secolo, sono particolarmente convincenti. Come pure la lunga esplorazione dei diversi populismi italiani, dall'insuccesso del Partito comunista negli anni ‘40 a costituire una coscienza nazionale, all'uscita della Lega lombarda negli anni ‘80, fino all'evoluzione politica recente di Berlusconi che si presenta, contrariamente ad un certo numero di idee correnti con un movimento che l'allontana dal populismo54. 28 Materiali E. Laclau 28.1 […] le tre le dimensioni strutturali necessarie per elaborare il concetto di populismo sono […] l'unificazione di una pluralità di domande in una catena equivalenziale; la costituzione di una frontiera interna che separi la società in due campi; il consolidamento della catena equivalenziale tramite la costruzione di un'identità popolare che è qualcosa di qualitativamente superiore a una semplice sommatoria degli anelli equivalenziali. 55 […] 28.2 […] il punto strategico per la costituzione di un «popolo» resta in larga misura una questione aperta. Possiamo avere un populismo dello Stato nazionale, che segue il modello giacobino, un populismo regionale, un etnopopulismo, e così via. In tutti i casi la logica equivalenziale resterà sempre operativa, ma i significanti centrali che unificano la catena 14
  • 15. equivalenziale, quelli che costituiscono la singolarità storica saranno fondamentalmente diversi. 56 […] 28.3 […] nell'equilibrio instabile di logica differenziale e logica equivalenziale, è la prima che sembra spuntarla in Italia. Il che non fa che confermare la tesi di Surel secondo cui il populismo sarebbe un arsenale di strumenti retorici (significanti fluttuanti) che può essere messo al servizio delle ideologie giù disparate. 57 […] 28.4 […] a questo punto occorre fare una precisazione importante: il fatto che il significato politico dei significanti fluttuanti dipenda sempre da articolazioni congiunturali non implica che il loro uso da parte dei politici corrisponda sempre a una manipolazione cinica o strumentale. Questo potrebbe valere forse per la cosa nostra di Berlusconi, ma non può essere considerato un tratto caratteristico del populismo in quanto tale.58 […] 28.5 […] A questo punto, possiamo approfondire la questione dell'alternativa italiana basandoci sulla nostra distinzione tra nome e concetto. Dire che il Partito comunista, come partito della classe operaia, doveva concentrare la sua attività nel Nord industriale, perché era lì che si trovava la classe operaia, equivale a dire che la categoria «classe operaia» era dotata di un contenuto concettuale in grado di farci distinguere alcuni oggetti nel mondo. In tal caso, il nostro nominarli non ha alcuna funzione performativa, serve solo a riconoscerli. Il nome è qui il mezzo trasparente con cui qualcosa che è concettualmente comprensibile mostra se stesso. Nominare una serie di ele- menti eterogenei come «classe operaia», invece, significa fare qualcosa di diverso: questa operazione egemonica produce performativamente l'unità di quegli elementi, il cui mescolarsi e fondersi in una singola entità non è che il risultato dell'operazione di nominazione. Il nome o il significante che possiede - per tornare all'espressione di Copjec - il «valore-seno» del latte costituisce qui un'assoluta singolarità storica, perché non esiste un correlato concettuale di ciò a cui esso fa riferimento. Per certi versi, questo è quel che accade sempre, perché non esiste un concetto tanto puro da non essere ecceduto da significati che gli sono associati solo in maniera connotativa. È naturale che in persone di due nazioni diverse il termine «classe operaia» scattano diversi tipi di associazione. Il problema cruciale, tuttavia, è se significati associati resteranno periferici rispetto a un centro che rimarrà concettualmente identico, e quindi «universale», o se essi contamineranno il momento della determinazione concettuale, ne penetreranno la sostanza, cosicché alla fine, passo dopo passo, il centro cesserà di essere un concetto, per diventare un nome (un significante vuoto). Solo quando quest'ultima trasformazione ha avuto luogo, possiamo parlare di una singolarità storica. E quando ciò si verifica, non ci troviamo più di fronte a un agente settoriale come la «classe»: siamo di fronte a un «popolo». Era questo, indubbiamente, il progetto di Togliatti negli anni Quaranta. Il partito, per come egli vedeva le cose, doveva intervenire su una pluralità di fronti democratici (doveva sostenere una pluralità di domande particolari, 15
  • 16. nei nostri termini) e condurli a una qualche unità (intesa come un'unificazione equivalenziale). In tal modo, ognuna di queste domande isolate sarebbe diventata più forte grazie ai nessi stabiliti con le altre domande e, cosa ancora più importante, tutte avrebbero ottenuto un accesso alla sfera pubblica. Attraverso la presenza di questa nuova costellazione di domande, la sfera pubblica sarebbe diventata più democratica e, vista la dispersione geografica di questa costellazione, veramente nazionale. Il che avrebbe reso possibile andare oltre il gentlemen's agreement tra le cricche del Nord e quelle del Sud nel governo del paese. Si trattava di costruire il «popolo» come singolarità storica.59[…] 28.6 […] è esemplare il percorso politico di Silvio Berlusconi. Come nota Surel, nella sua carriera assistiamo a un distacco dal populismo e a una graduale «normalizzazione» della sua forza politica, reinserita mano a mano in un sistema ricostruito. Nel 1994 il discorso politico di Berlusconi era ancora assai eterogeneo: il populismo era di sicuro presente e accentuava la sua distanza dalla tanto screditata classe politica. Tuttavia, erano presenti pure altri ingredienti come l'anticomunismo (in parte investito di sfumature populistiche) o come la difesa del liberalismo economico e del conservatorismo sociale. Nel trambusto che portò alla caduta del suo primo governo, in ogni caso, il populismo rimase ancora la questione centrale. Da un lato, infatti, l'anticomunismo aveva perso ogni senso dopo che il PCI si era trasformato nel Partito democratico della sinistra; dall'altro, il libe- ralismo economico faceva sempre più a pugni col programma sociale ed economico di Bossi e con lo statalismo di Alleanza nazionale. Ciò lasciò Berlusconi senza radici all'interno del sistema. «Berlusconi, una volta spogliato dei suoi orpelli - anticomunismo, liberalismo, conservatorismo -, poté trovare supporto solo in un discorso semplicistico, a forti tinte populiste, di denuncia delle istituzioni giudiziarie e dei tradizionali attori politici, descritti come becchini del regime democratico e traditori della volontà popolare»60. Negli anni seguenti ebbe inizio invece quel movimento di normalizzazione di cui abbiamo detto (la nostra logica differenziale). Surel elenca tre mutamenti sostanziali: primo, il liberalismo economico viene a giocare un ruolo sempre più centrale nel ritratto che Berlusconi offre di se stesso (si paragona a Thatcher, Blair, Aznar); secondo, Forza Italia diventa un partito dal funzionamento interno sempre più normale (cessa di essere una formazione ad hoc controllata dalla Fininvest); terzo, l'alleanza tra le tre componenti della coalizione si fa più solida e integrata al sistema dei partiti.61 Da quel momento in avanti gli elementi populisti, anche se parzialmente recuperati durante le campagne elettorali, tendono a sfumare. Le logiche equivalenziali cessano cioè di essere il cemento ideologico della coalizione. Vorrei trarre ora dalla nostra analisi alcune conclusioni teoriche più generali. L'interesse del caso italiano sta nel fatto che l'Italia era il sistema politico meno integrato in Europa occidentale, quello in cui lo Stato nazionale era meno capace di egemonizzare i vari aspetti della vita sociale. In tale situazione, la comunità non poteva essere data per scontata, e le domande sociali potevano essere assorbite dall'apparato dello Stato centrale solo in maniera imperfetta. In circostanze del genere, la costruzione di un «popolo» assumeva un'importanza capitale; la tentazione populista non era mai troppo lontana. La «nazione» e la «regione» come limiti della comunità furono due 16
  • 17. progetti basati sull'espansione delle logiche equivalenziali. Nessuno dei due, però, riuscita diventare un principio di ricostruzione della comunità.62[…] S. Žižek 28.7 […] È chiaro ora perché Laclau preferisca il populismo alla lotta di classe: il populismo fornisce una matrice « trascendentale » neutrale di lotta aperta, il cui contenuto e le cui poste in gioco sono essi stessi definiti dalla lotta contingente per l'egemonia, mentre la « lotta di classe» presuppone un particolare gruppo sociale (la classe operaia) come agente politico privilegiato; questo privilegio non è esso stesso l'esito della lotta egemonica, ma è fondato sulla «posizione sociale oggettiva » di questo gruppo - la lotta politico-ideologica è dunque ridotta in ultima istanza a un epifenomeno di processi sociali «oggetti», dei poteri e dei loro conflitti. Per Laclau, al contrario, il fatto che una certa lotta particolare sia elevata a «equivalente universale» di tutte le lotte non è predeterminato, ma è esso stesso il risultato della lotta politica contingente per l'egemonia. In alcune circostanze, questa lotta può essere la lotta operaia, in altre la lotta patriottica anticoloniale, in altre ancora la lotta antirazzista per la tolleranza culturale... Non c'è niente nelle qualità positive inerenti a una particolare lotta che possa predestinarla a un tale ruolo egemonico di «equivalente generale» di tutte le lotte. La lotta per l'egemonia dunque non solo presuppone uno scarto irriducibile tra la forma universale e la molteplicità di contenuti particolari, ma anche il processo contingente attraverso cui uno di questi contenuti è «transustanziato» in incarnazione immediata della dimensione universale. Ad esempio (ed è l'esempio fornito dallo stesso Laclau), nella Polonia degli anni Ottanta, le rivendicazioni particolari di Solidarnosc furono innalzate a incarnazione del rifiuto globale da parte del popolo del regime comunista, così che tutte le differenti versioni dell'opposizione anticomunista (dall'opposizione conservatrice-nazionalista passando per la versione liberaldemocratica e la dissidenza culturale, sino alle proteste dei lavoratori di sinistra) si riconobbero nel significante vuoto «Solidarnosc».63[…] 28.8 […] Sebbene la teoria del populismo di Laclau si stagli oggi come uno dei grandi (e, sfortunatamente per la teoria sociale, rari) esempi di vero rigore concettuale […] la serie di condizioni formali che enumera non sono sufficienti per giustificare il fatto di definire un fenomeno come «populista». Ciò che bisogna aggiungere è il modo in cui il discorso populista sposta l'an- tagonismo e costruisce il nemico: nel populismo, il nemico viene esteriorizzato/reificato in un'entità ontologica positiva (anche se questa entità è spettrale), il cui annientamento restaurerà equilibrio e giustizia; 17
  • 18. simmetricamente la nostra identità - quella degli attori politici populisti - è percepita come preesistente all'attacco del nemico.64[…] 28.9 […] concordo con il tentativo di Laclau di definire il populismo in modo formale-concettuale, prendendo anche nota di come, nel suo ultimo libro, abbia chiaramente spostato la propria posizione dalla «democrazia radicale » al populismo (la democrazia viene ora ridotta al momento della rivendicazione democratica all'interno del sistema); tuttavia, come gli è chiaro, il populismo può essere anche molto reazionario: come tracciare una linea di confine. C'è un modo per tracciare questa linea su un piano formale- concettuale? La mia scommessa è che la risposta sia « sì ».65[…] 28.10 […] Non ogni costruzione basata sul popolo e non ogni azione compiuta per conto del popolo come soggetto politico è eo ipso populismo. Nello stesso modo in cui Laclau ama sottolineare che la Società non esiste, nemmeno il Popolo esiste, e il problema del populismo è che, all'interno del suo orizzonte, il Popolo esiste: l'esistenza del Popolo è garantita dalla sua eccezione costitutiva, dall'esteriorizzazione del Nemico in un intruso/ostacolo reale. La formula di un riferimento autenticamente democratico al popolo deve dunque essere una parafrasi della definizione della bellezza come Zweckmassigkeit ohne Zweck data da Kant: il popolare senza il Popolo, ovvero, la scissione del popolo, la fenditura del popolo, attraversato da un antagonismo costitutivo che gli impedisce di acquistare la piena identità sostanziale di un Popolo. Per questo il populismo, lungi dal rappresentare il politico in sé, implica sempre un minimo di depoliticiz- zazione, una « naturalizzazione » del politico. Questo spiega il paradosso fondamentale del fascismo autoritario, l'inverso quasi simmetrico di ciò che Chantal Mouffe chiama «paradosso democratico»66: se la scommessa della democrazia (istituzionale) è integrare la lotta antagonista all'interno dello spazio istituzionale/differenziale, trasformandola in un agonismo sottoposto a regole, il fascismo procede nella direzione opposta. Mentre il fascismo, nel suo modo di agire, porta la logica antagonista sino al suo estremo (parlando di « lotta all'ultimo sangue » tra sé e i suoi nemici, e mantenendo sempre - se non realizzando - una minima minaccia extraistituzionale di violenza, di « pressione diretta del popolo », aggirando i complessi canali legali e istituzionali), esso si pone come obiettivo politico esattamente l'opposto, la costruzione di un corpo sociale gerarchico estremamente ordinato (non è strano che il fascismo si basi sempre su metafore organicistiche e corporative). Questo contrasto può essere reso bene nei termini della contrapposizione lacaniana tra il «soggetto dell'enunciazione» e il «soggetto dell'enunciato (contenuto) »: mentre la democrazia ammette la lotta antagonista come proprio obiettivo (in lacanese: come suo enunciato, suo contenuto), il suo procedimento è sistemico e regolato; il fascismo, al contrario, cerca di imporre l'obiettivo dell'armonia strutturata gerarchicamente facendo leva su un antagonismo sfrenato.... In modo simile, l'ambiguità della classe media, questa contraddizione incarnata (come afferma Marx a proposito di Proudhon), è esemplificata nel migliore dei modi dal modo in cui si relaziona alla politica: da un lato, la 18
  • 19. classe media è contro la politicizzazione, vuole solo difendere il proprio stile di vita, che la si lasci lavorare e vivere la sua vita in pace, il che spiega perché tende a supportare i colpi di mano autoritari che promettono di farla finita con la folle mobilitazione politica della società, cosi che tutti possano tornare al loro lavoro. Dall'altro, i membri della classe media - sotto forma di maggioranza morale, infaticabile lavoratrice e patriottica, posta sotto mi- naccia - sono i principali istigatori della mobilitazione popolare di massa sotto forma di populismo di destra.67[…] 28.11 […] L'analisi di Laclau presenta anche altre debolezze […] Il nucleo della sua analisi del populismo è rappresentato dalla categoria di «rivendicazione sociale» (nel doppio significato del termine: richiesta e affermazione). La ragione strategica della scelta del termine è chiara: il soggetto della rivendicazione si costituisce attraverso il fatto di lanciare questa rivendicazione; il «popolo» dunque si costituisce attraverso una catena di rivendicazioni, è il risultato performativo del fatto di aver avanzato queste rivendicazioni, non è un gruppo preesistente. Laclau definisce come « democratica» questa rivendicazione elementare, precedente alla sua even- tuale concatenazione in una serie di equivalenze; nel suo impiego leggermente eccentrico, il termine fa riferimento a una rivendicazione che funziona all'interno del sistema socio-politico - in altre parole, essa viene esperita come una rivendicazione particolare, anziché essere frustrata e dunque costretta a inscriversi all'interno di una serie antagonista di equivalenze. Sebbene metta l'accento sul fatte che, in uno spazio politico istituzionale « normale », ci sono ovviamente molteplici conflitti, ma questi conflitti vengono affrontati uno alla volta, senza mettere in moto degli antagonismi/alleanze trasversali, Laclau è ben consapevole che le catene di equivalenze possono formarsi anche all'interno di uno spazio democratico istituzionale. 68[…] 28.12 […] Ciò che Laclau ha dimenticato di mettere in rilievo qui è, non solo l'unicità della democrazia rispetto alla sua contrapposizione concettuale tra logica delle differenze (la società come un sistema regolato globale) e logica delle equivalenze (lo spazio sociale scisso in due campi antagonisti che equiparano le loro differenze interne), ma anche l'intimo intreccio delle due logiche. La prima cosa da notare è che, solo in un sistena politico democratico, la logica antagonista delle equivalenze è inscritta nel sistema politico stesso, come suo carattere strutturale fondamentale.69[…] 28.13 […] L'opera di Mouffe […] mostra una maggiore pertinenza, con il suo tentativo eroico di mettere insieme democrazia e spirito della lotta antagonista, rifiutando entrambi gli estremi: da un lato la celebrazione della lotta e dello scontro eroici che sospendono la democrazia e le sue regole (Nietzsche, Heidegger, Schmitt); dall'altro, l'evacuazione della lotta auten- tica dallo spazio democratico, così che tutto ciò che rimane è una competizione anemica sottoposta a regole (Habermas).70 Qui Mouffe ha ragione a sottolinare che la violenza ritorna come vendetta nell'esclusione di coloro che non si adeguano alle regole della comunicazione libera. Tuttavia, 19
  • 20. la maggiore minaccia alla democrazia nei paesi democratici odierni non risiede in nessuno di questi estremi, ma nella morte del politico attraverso la « mercificazione » della politica. La posta in gioco in questo caso non è il modo in cui i politici sono confezionati e venduti come mercé alle elezioni; un problema molto più profondo è che le elezioni stesse sono concepite alla stregua dell’acquisto di merci (il potere in questo caso): esse implicano una competizione tra differenti merci-partiti e i nostri voti come il denaro che compra il governo che vogliamo. Ciò che viene perduto in questa concezione della politica come uno dei tanti servizi che compriamo è la politica come dibattito pubblico condiviso su questioni e decisioni che ci riguardano tutti.71[…] 29 Appendice Ci sembra abbastanza degno di rilevo quanti scrive Davide Tarizzo nella parte terminale della sua introduzione a La ragione populista : […] colpisce che nella sua analisi del populismo non sia neppure sfiorata una questione importante (che certo rende indigeribile questo dato di cruda realtà agli esponenti del mainstream normativistico). Parlo del paternalismo politico e della questione del padre. Se c'è un tratto tipico del populismo, le analisi di Laclau alludono solo implicitamente, è proprio il paternalismo del capo, cioè l'asimmetria del rapporto politico che si viene a creare tra chi guida e chi è guidato (e che potrebbe anche indurre a parlare, un domani, di maternalismo politico). Eppure così stanno le cose, non solo nei fatti, ma anche nella teoria di Laclau, che nei suoi esempi storici di populismo ci parla soprattutto di capi sempre maschi) e così facendo ci parla di padri. La domanda è: quanti tipi di posizione paterna esistono? E a ruota: quanti tipi di paternalismo politico esistono? Il tipo di paternalismo che ha in. mente Laclau è un paternalismo nevrotico, che rimane inchiodato all’impossibilità de la società, senza farne un dramma, per così dire, ma senza nemmeno «cedere sul proprio desiderio» politico. Žižek lo ha rimproverato di farci arretrare in tal modo nell'impotenza nevrotica dell'ideale frustrante. Non mi pare che sia questo il punto, giacché l’ideale, il politico, è qui sintomatizzato e si tratta, secondo Laclau, di imparare a saperci fare (così come per un nevrotico, spiega Lacan, si tratta di imparare a saperci fare col sintomo)36. Questo, se noi vivessimo in uno spazio collettivo nevrotico e sintomatizzato. Ma cosi? Noi viviamo davvero in uno spazio collettivo in cui le domande sociali si agglutinano, o quantomeno tendono a farlo, in significanti politici che ne condensano l'equivalente insoddisfazione? O noi viviamo in uno spazio collettivo che non si scompone più (almeno solo) in domande sociali, bensì in punti di godimento che corrono il rischio di scompaginare ogni relazione equivalenziale è antagonistica, (nel senso di Laclau)? Faccio un solo esempio - se ne potrebbero fare a bizzeffe - di questa psicopatologia della politica quotidiana cui sto alludendo: l'ascolto di un leader come Sarkozy, oggi, è concentrato tutto sul modo in cui egli propone di assorbire e soddisfare le diverse domande sociali, oppure è orientato - magari non soltanto, ma anche - a coglierne gli echi di godimento (il divorzio dalla moglie, i figli, i viaggi, il matrimonio con Carla Bruni)? Come gode 20
  • 21. Sarkozy? È felice? Questa è, ora come ora, la domanda in Francia, o almeno c'è anche questa, oltre alle classiche domande sociali. Chi ambisce a occupare una posizione di leadership, chi fa politica in prima persona, oscuramente lo annusa. E ci propina i segni del suo godimento, subito incassati da quel gigantesco orecchio, il nostro orecchio, che sono i mass media. Chi si sarebbe mai preoccupato di sapere, nell'Italia degli anni Cinquanta, se Togliatti o De Gasperi si divertivano ad andare in bicicletta? E chi non sa oggi che questo è l'hobby di Prodi? Il capo deve darci dei segni che gode in un modo o nell'altro. Che gode ed è felice persine nel prendersi cura di noi come un padre perverso, che adora i suoi figli come dei feticci e racconta di continuo barzellette. La cosa importante, comunque, è che sia allegro e che lo dia a vedere (tutto il contrario del politico di cinquant'anni fa, che sorrideva poco nell'incombenza di un ideale sempre da raggiungere). E perché un politico deve farci vedere che gode, di questi tempi, se vuole restare dov'è? Perché per «noi», che viviamo nel tempo di una crisi del Nome-del-Padre, un padre appare così: nelle spoglie di un padre vivo e vegeto che se la spassa. Questo padre non incardina più la sua particolarità ad un simbolo universalizzante che tende a sublimarla in qualcosa di più alto (nella scrittura di un ideale che ne uccide il godimento), questo padre è soddisfatto di sé e rivendica la propria particolarità, la propria felicità di fronte a un universale che tiene in vita solo con la beffa denigrante. E se questo padre non ci darà a vedere che gode, noi intuiremo, postuleremo comunque il suo godimento, ne origlieremo le telefonate, magari, oppure ne sbirceremo le fotografie strappate clandestinamente, perché è proprio questo il padre che ci aspetta, una volta entrato in crisi l'ordine simbolico (cioè l'articolazione simbolica universalizzante del Nome-del-Padre). Questo padre deve farci vedere che gode, ormai, se vuole fare il padre. E se non ce lo farà vedere, noi sapremo in ogni caso che gode di nascosto. Ma co- minceremo anche a sospettare che, se non lo da a vedere, è perché è felice e si diverte a nostre spese (violando quel «contratto» tipicamente perverso che, a dispetto della «legge», stipula una circolazione scenografica del godimento). 72 Quanto scrive Tarizzo è interessante per due ragioni. 29.1 Anzitutto perché Laclau effettivamente affronta in modo sfumato il problema del paternalismo del leader nell’ambito populistico. Nel capito sesto del libro73 il rapporto tra la struttura interna del populismo e il leader viene esaminato sia attraverso la canonica categoria della rappresentazione (“la costruzione di un popolo è impossibile […] senza che siano all’opera meccanismi di rappresentazione”74) sia attraverso le dinamiche che consentono l’identificazione dell’emergere di un popolo con un significante vuoto. Rimane scoperto l’aspetto paternalistico del capo che, come nota Tarizzo, è proprio del populismo e che sembra presentare, a questo punto, qualche elemento di contrasto con quanto affermato nel libro da Laclau a proposito della situazione italiana (vedi punto 27). 29.2 L’analisi di Tarizzo, nel suo evidenziare la categoria del paternalismo del capo, mostra come sia analiticamente efficiente ed esplicativo lo strumentario teorico hegeliano- 21
  • 22. lacaniano-žižekiano per leggere le varie forme del potere ed i risvolti a queste connesse. Tarizzo, in effetti, delinea, alla fine della sua introduzione al libro di Laclau, un insieme di riflessioni che possono ben aprire ad un percorso analitico più ampio e produttivo relativamente al politico, utilizzando, sempre sulla linea Lacan-Žižek, quell’apparato teorico che va dalla trasgressione intrinseca alla distanza cinica, alla dialettica relativa ai registri Immaginario-Simbolico-Reale75. Investendo pure, in tale ambito, anche il quadro politico dell’Italia contemporanea. Ma siamo, a questo punto, già in un’altra storia. Riferimenti bibliografici 1 E. Laclau, Quel significante politico che dà forma al popolo, intervista a cura di R. Ciccarelli e B. Vecchi, in “il manifesto”, 8 marzo 2008. 2 E. Laclau , Quel significante politico…cit. 3 E. Laclau, Quel significante politico…cit. 4 F. Frosini, Politica e verità- Gramsci dopo Laclau, Seminario Ideologia, politica e verità 21/22.1.09, www.uniurb.it 5 E. Laclau C. Mouffe, Hegemony and Socialist Strategy: Toward a Radical Democratic Politics, Routledge, London 1985. 6 E. Laclau, La démocratie et la question du pouvoir, Transeuropéennes, 17, Paris 1999. 7 C. Mouffe, Sul politico. Democrazia e rappresentazione dei conflitti, B. Mondadori, Milano 2007 8 E. Wagner, Und jetzt, Frau Mouffe?, Interview mit Chantal Mouffe, in: Geiselberger, Heinrich H. (Hrsg.): Und jetzt? Politik, Protest und Propaganda. Suhrkamp Frankfurt a. M. 2007 . 9 A. Gramsci, Quaderni del carcere, Einaudi, Torino 1977 (2) 10 F. Frosini, Politica e verità. cit. 11 E. Laclau, Quel significante politico cit. 12 S. Žižek , L’epidemia dell’immaginario, Meltemi, Roma 2004. F. Carmagnola, La triste scienza, Meltemi, Roma 2002. F. Carmagnola, Il consumo delle immagini, B. Mondadori, Milano 2006. P. Stanziale, Scenari tra economia e scienze umane ovvero dall’immaginario al godimento, Quaderni Craet Sec. Un. Napoli, 9- 3/2009. 13 E. Laclau C. Mouffe, Hegemony and Socialist Strategy cit. 14 E. Laclau C. Mouffe, Hegemony and Socialist Strategy cit. 15 F. Frosini, Politica e verità- Gramsci dopo Laclau cit. 22
  • 23. 16 F. Frosini, Politica e verità- Gramsci dopo Laclau cit. 17 E. Laclau, New Reflections on the Revolution of Our Time cit. E. Laclau C. Mouffe, Hegemony and Socialist Strategy cit. 18 Tra altri J. Lacan, Scritti, Einaudi, Torino 1974. J. Lacan, Radiofonia Televisione, Einaudi, Torino 1982. S. Žižek, Il grande Altro, Feltrinelli, Milano 1999. J. Derrida, Marx & sons. Politica, spettralità, decostruzione, Mimesis, Roma 2008. 19 E. Laclau, New Reflections on the Revolution of Our Time cit. 20 E. Laclau C. Mouffe, Hegemony and Socialist Strategy cit. 21 E. Laclau C. Mouffe, Hegemony and Socialist Strategy cit. Siamo qui sulla linea Althusser-Foucault-Lacan- Žižek. Comunque un riferimento evidente è J. Lacan, Radiofonia. Televisione cit. 22 E. Laclau C. Mouffe, Hegemony and Socialist Strategy cit. 23 E. Laclau, New Reflections on the Revolution of Our Time cit. 24 E. Laclau, New Reflections on the Revolution of Our Time cit. F. Frosini, Politica e verità cit. 25 E. Laclau C. Mouffe, Hegemony and Socialist Strategy cit. 26 E. Wagner, Und jetzt, Frau Mouffe? cit. 27 J. Ranciere, Aux bords du politique, La Fabrique, Paris 1998 (1990). 28 E. Wagner, Und jetzt, Frau Mouffe? cit. 29 A. Negri M. Hardt, Impero, Rizzoli, Milano 2001. 30 M. Hardt A. Negri, Multitude. Guerre et Démocratie à l’age de l’Empire, La Découverte, Paris 2004. 31 G. Deleuze F. Guattari, L’anti-Edipo. Capitalismo e schizofrenia, Einaudi, Torino 2002 32 K. Marx, Critique de l’Etat hégélien, Union générale d’éditions – 10/18, Paris 1976 (1843). 33 C. Castoriadis. La démocratie comme procédure et comme régime, in La montée de l’insignifiance, Seuil, Paris 1996. C. Castoriadis, Le contenu du socialisme, Union générale d’éditions – 10/18. Paris 1979. 34 E. Wagner, Und jetzt, Frau Mouffe? Cit. 23
  • 24. 35 J. Rawls, Liberalismo politico, Nuova Cultura, Torino 2008. J. Rawls Lezioni di storia della filosofia politica, Feltrinelli, Milano 2009. J. Rawls, Una teoria della giustizia, Feltrinelli, Milano 2008. 36 E. Wagner, Und jetzt, Frau Mouffe?cit. C. Mouffe, The Democratic Paradox, Verso, London 2000. 37 C. Mouffe, The Challenge of Carl Schmitt, Verso, London – New York 1999. C. Mouffe, The Democratic Paradox cit. 38 C. Schmitt, Le categorie del politico, Il Mulino, Bologna 1972. C. Schmitt, La condizione storico-spirituale dell’odierno parlamentarismo (1926 ) Giappichelli, Torino, 2004. 39 E. Wagner,Und jetzt, Frau Mouffe? cit. 40 E. Wagner , Und jetzt, Frau Mouffe?cit. 41 U. Beck Che cos'è la globalizzazione. Rischi e prospettive della società planetaria, Carocci, Roma 2009. U. Beck, Capitalismo e teoria sociale. Marx, Durkheim, Weber, Laterza, Bari 2008. 42 A. Giddens, L'Europa nell'età globale, Il Saggiatore, Milano 2009. A. Giddens, Identità e società moderna, Ne t - Il Saggiatore, Milano 2002. 43 E. Wagner, Und jetzt, Frau Mouffe? cit. 44 E. Wagner, Und jetzt, Frau Mouffe?cit. 45 E. Laclau C. Mouffe, Hegemony and Socialist Strategy cit. 46 C. Schmitt, Le categorie del politico cit. 47 E. Laclau, La ragione populista cit. 48 E. Laclau, La ragione populista cit. 49 E. Laclau, La ragione populista cit. 50 E. Laclau, La ragione populista cit. 51 E. Laclau, La ragione populista, cit. 52 E. Laclau, La ragione populista cit. 53 E. Laclau, La ragione populista cit. 54 E. Laclau, La ragione populista, cit. 55 E. Laclau, La ragione populista, cit. 56 E. Laclau, La ragione populista cit. 24
  • 25. 57 E. Laclau, La ragione populista cit. 58 E. Laclau, La ragione populista cit. 59 E. Laclau, La ragione populista cit. 60 Y. Surel, Berlusconi, leader populiste?, in O. Ihl, J. Chêne, E. Vial, G.Wartelot, La tentation populiste en Europe, La Decouverte, Paris 2003. Ma anche Y. Mény Y. Surel, Populismo e democrazia, il Mulino, Bologna, 2004. 61 Y. Surel, Berlusconi, leader populiste? cit. 62 E. Laclau, La ragione populista cit. 63 S. Žižek, In difesa delle cause perse, Ponte alle Grazie, Milano 2009. 64 S. Žižek, In difesa delle cause perse cit. 65 S. Žižek, In difesa delle cause perse cit. 66 C. Mouffe, The Democratic Paradox cit. 67 S. Žižek, In difesa delle cause perse cit. 68 S. Žižek, In difesa delle cause perse cit. 69 S. Žižek, In difesa delle cause perse cit. 70 C. Mouffe, The democratic paradox cit. 71 S. Žižek, In difesa delle cause perse cit. 72 D. Tarizzo, Populismo: chi starà ad ascoltare?, Introduzione a La ragione populista cit. 73 E. Laclau, Populismo, rappresentazione e democrazia in La ragione populista cit. 74 E. Laclau, Populismo, rappresentazione e democrazia in La ragione populista cit. 75 S. Žižek , L’epidemia dell’immaginario cit. S. Žižek, Il grande Altro cit. S. Žižek, Il godimento come fattore politico, R. Cortina Editore, Milano 2001. S. Žižek, Il soggetto scabroso, R. Cortina Editore, Milano 2003. S. Žižek, La violenza invisibile, Rizzoli, Milano 2008. E. Laclau C. Mouffe Bibliografia essenziale E. Laclau, Politics and Ideology in Marxist Theory. Capitalism – Fascism – Populism, Verso, London 1977. E. Laclau, New Reflections on the Revolution of Our Time, Verso, London-New York 1990. 25
  • 26. E. Laclau, Emancipation(s), Verso, London-New York 1996. E. Laclau, La ragione populista, Laterza, Bari 2008. E. Laclau, Debates y combates/ Debates and Combates: Por un nuevo horizonte de la politica,Fondo de Cultura Economica USA 2008. C. Mouffe, Gramsci and Marxist Theory, Routledge / Paul Kegan, London – Boston, 1979. C. Mouffe, Le politique et ses enjeux. Pour une démocratie plurielle, La Découverte/Mauss, Paris 1994. C. Mouffe, Dimensions of Radical Democracy: Pluralism, Citizenship, Community. Verso, London – New York 1992. C. Mouffe, Deconstruction and Pragmatism, Routledge, London – New York 1996. C. Mouffe, The democratic Paradox, Verso, London 2000. C. Mouffe, Feministische Perspektiven, Turia - Kant, Wien 2001. C. Mouffe, The legacy of Wittgenstein: Pragmatism or Deconstruction, Peter Lang, New York-Frankfurt am Main 2001. C. Mouffe, Sul politico. Democrazia e rappresentazione dei conflitti, B. Mondadori, Milano 2007. © by P. Stanziale 2009 26