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Il periodico di informazione sulla Sanità Integrativa
HEALTH
settembre/ottobre 2015 - N°9
pet therapy: scoprire l’importanza di una disciplina in crescita
in cui l’interazione tra uomo e animale è fondamentale per
il miglioramento terapeutico di patologie più o meno gravi
Panoramica sugli stili di
vita e consigli
dieta
innovazione
malattie rare
in evidenza
Chirurgia robotica mini-
invasiva con “Da Vinci”
“Personal Genomics”:
medicina personalizzata
di precisione
Sindrome di Rett.
La storia della piccola
Sofia
Coopsalute è una cooperativa che
nasce dalla volontà di costituire
un unico punto di incontro tra la
domanda e l’offerta di prestazioni e
servizi socio- sanitari-assistenziali.
Peculiarità di Coopsalute è infatti
quella di stipulare accordi e
convenzioni con società di Mutuo
Soccorso, Casse di Assistenza, Fondi
Sanitari e Compagnie di Assicurazione
da un lato e Cooperative, Società
di Servizi e liberi professionisti
dall’altro.
Essere Cooperativa significa agire
insieme per il benessere dell’
individuo e il miglioramento della
qualità della vita, in un’ottica
solidaristica e mutualistica.
Il primo network italiano dedicato all'assistenza domiciliare e a tutti quei
servizi pensati e costruiti intorno alle esigenze dell'utente.
Coopsalute Soc. Coop. info@coopsalute.org www.coopsalute.org
Nello scenario socio-economico
attuale, riveste un ruolo sempre più
di rilievo l’assistenza domiciliare,
rivolta ad anziani, disabili, malati e a
chiunque si trovi a vivere particolari
condizioni di fragilità.
Per agevolare il paziente e la sua
famiglia in termini di confort e
privacy, è importante che tale
prestazione sia svolta nel rispetto
e nel mantenimento delle massime
condizioni qualitative e con assoluta
professionalità.
Coopsalute assicura tali peculiarità,
mediante un’accurata selezione su
tutto il territorio nazionale degli
erogatori di tali prestazioni, per
poter poi formulare pacchetti di
prestazioni e servizi ad hoc, da offrire
ai suoi convenzionati.
Monitorandocostantementeilmercato
e i suoi mutamenti e i cambiamenti dei
bisogni della collettività, Coopsalute,
plasmandosi attorno ad essi, riesce a
fornireprestazionisempreinnovative
e attuali garantendo anche il costante
supporto della sua Centrale Salute
H24.
Coopsalute, convenzionata tra
l’altro con oltre 20 Fondi Sanitari,
casse di Assistenza e Società di
Mutuo Soccorso, fruitori dei suoi
servizi, intende proseguire la sua
crescita, divenendo il principale
punto di riferimento per tutti gli
attori dello scenario socio-sanitario-
assistenziale, il “regista” attraverso
il quale le parti si incontrano, nel
soddisfacimento di bisogni condivisi.
800 598 635
Centrale Cooperativa
(riservato agli Assistiti)
06 90198069
info e ufficio convenzioni
aderente A
aderente B
aderente C
aderente D
ade
ade
ade
ade
aderente A
aderente B
aderente C
aderente D
aderente A
aderente B
aderente C
aderente D
L'assistito si affida a
Coopsalute per la propria
esigenza sanitaria.
Coopsalute si occupa di
reperire, all'interno del suo
network, le prestazioni richieste.
L'assistito usufruisce del
servizio adatto alle proprie
necessità.
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informazione sulla Sanità
Integrativa
Anno 2°
settembre/ottobre 2015 - N°9
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HEALTH
Le dinamiche che regolano il nostro consueto modo di vivere
stannomodificandosiconunavelocitàelevatissima,èsufficiente
pensare al tema delle comunicazioni (internet, smartphone,
satellitari, etc,) od a quello dei sistemi di localizzazione (civile,
militare, spaziale, etc.) per comprendere che tutto si sta
modificando e che, con grande sforzo ed impegno, noi non
possiamo che adeguarci.
è anche però importante notare che le più significative
scoperte scientifiche o tecnologiche avvengono solo quando
in un determinato settore merceologico sono applicati concetti
che determinano una vera e propria rivoluzione copernicana:
al centro del sistema viene messa la persona con i suoi interessi.
Ciò avviene quando non si progredisce per il semplice gusto
di innovare scientificamente e tecnologicamente con azioni
fini a se stesse bensì quando i nuovi strumenti nascono da
un’esigenza dell’individuo e servono a soddisfare precise
necessità dell’essere umano.
Anche in campo sanitario le dinamiche stanno mutando ma,
ancora oggi, la rivoluzione copernicana che mette l’individuo al
centro di ogni interesse non ha ancora esplicitato tutti i propri effetti.
Il ciclo della medicina è sempre stato storicamente basato
e lo è tutt’ora sul percorso malato-cura-guarigione ove la
massima concentrazione scientifica, tecnologica, medica ed
economica è volta a sviluppare strumenti in grado di individuare
sempre meglio e sempre prima il dettaglio di una malattia in
corso per applicare il più rapidamente possibile cure sempre
più mirate ed ottenere sempre più spesso elevate possibilità di
guarigione.
La mappatura del genoma umano ha aperto la strada anche
ad un nuovo ed innovativo approccio determinato dalla
possibilità di occuparsi del soggetto clinicamente sano per
prevenire le malattie future, modificando il percorso tradizionale
in un nuovo percorso dato da individuo-prevenzione-salute.
Il tema è sicuramente di sicuro interesse per tutti noi e non
può essere un’alternativa al percorso tradizionale, ma il nuovo
percorso deve essere integrativo a quanto la medicina già
normalmente fa.
Certo esiste concretamente un problema di risorse economiche,
tecnologiche ed umane che non possono essere distolte dal
percorso tradizionale perché curare chi ha contratto una
malattia rimane un dovere sociale prioritario.
Però è proprio su questo punto che sanità pubblica e sanità
integrativa possono esplicitare la massima sinergia ed una
coerenza di insieme nell’interesse di ciascuno di noi.
Uno Stato veramente sociale non può che prioritariamente
occuparsi di chi ha problemi di salute applicando tutto
l’impegno possibile per consentirne la guarigione, magari con
differenti “sfumature” di intervento in funzione delle possibilità
economiche di ciascun individuo, ove però la focalizzazione
non può che essere la cura, alla quale è indispensabile destinare
la maggior parte delle risorse disponibili.
In concreto uno Stato che dia veramente valore alla vita dei
propri cittadini non può che incentivare lo sviluppo delle cure
con tecnologie sempre più precise, medicine sempre più
mirate, servizi sempre più facilmente utilizzabili.
Gli enti di sanità integrativa hanno il compito sicuramente di
ampliare le possibilità di ogni singolo individuo in tale contesto,
ma oggi possono e devono andare anche oltre.
Infatti possono e devono concentrare parte dei loro sforzi sulla
prevenzione, sulla salute intesa come stato psico-fisico ottimale
e sulla verifica dei parametri vitali e corretti di ogni individuo.
Se prendiamo come esempio la nuova frontiera della medicina
a distanza ecco che è immediatamente comprensibile come
in questo campo lo stato debba prioritariamente realizzare ed
applicare modelli volti a curare i malati non trasportabili, gli
anziani, coloro che sono affetti da patologie croniche come,
peraltro, già molte regioni in Italia stanno procedendo a fare
in un paese che, non mi stancherò mai di ripeterlo, in tema di
modello sanitario può tracciare la strada per tutti gli altri paesi
come ha sempre storicamente fatto.
Gli enti di sanità integrativa possono sicuramente integrare,
come già fanno, tutti i servizi sopra descritti ma per esempio
potrebbero anche dotare gli assistiti di sistemi di monitoraggio
a distanza che consentano loro di verificare periodicamente,
da soggetti sani, il proprio stato di salute per prevenire eventuali
problemi sanitari.
Qualora volessimo prendere come esempio anche il tema
della salute psico-fisica ecco che sappiamo bene come lo
Stato debba concentrare le risorse a disposizione sui ricoveri di
chi è malato, sugli esami da effettuare a chi è potenzialmente
affetto da una patologia, sulle visite specialistiche di chi esprime
già qualche forma di disagio sanitario.
Gli enti di sanità integrativa integrano compiutamente già oggi
queste attività, e lo fanno in maniera egregia, ma potrebbero
anche disegnare dei percorsi della salute costituiti da attività
fisica mirata, principi alimentari corretti, scienze naturali per
garantire a chi è un soggetto sano ottime probabilità di
rimanere tale.
Questa sarebbe la vera rivoluzione copernicana che
consentirebbe a molti individui sani di non sviluppare eventuali
patologie, consentendo allo Stato di contenere i costi futuri per
la cura di potenziali malati ed ad ognuno di noi di prevenire le
malattie mantenendo uno stato di salute psico-fisica adeguata,
in questo modo realizzando un grande sistema integrato tra
sanità pubblica e sanità integrativa.
Le Società Generali di Mutuo Soccorso, i Fondi Sanitari e
le Casse di Assistenza Sanitaria, cioè gli unici enti abilitati
giuridicamente e legalmente ad offrire prestazioni di sanità
integrativa collettiva, hanno quindi davanti a loro oggi un
grande obiettivo: modificare il proprio modello per garantire,
oltre ai consueti sistemi di integrazione sanitaria, una concreta
strada alla prevenzione costruita su strumenti tecnologicamente
evoluti, attività scientificamente mirata su ogni individuo, servizi
per la salute delle persona per realizzar appieno una vera e
propria rivoluzione copernicana che mette l’individuo ed il suo
diritto alla salute al centro di ogni nuova applicazione.
A cura di Roberto Anzanello
editoriale
Sanità integrativa e prevenzione: una rivoluzione
copernicana
ommari
16
8
12
18
20
24
34
33
“Nutrizione, stile di vita, benessere”:
sono solo parole?
Riscoprire l’importanza delle proteine vegetali
con la linea Fitowell
Pesce crudo:
rischi e consigli
Chirurgia robotica mini-invasiva:
al via interventi con l’innovativo sistema “Da Vinci”
La prostatite:
l’infiammazione della ghiandola prostatica
Pet therapy:
un grande beneficio per la salute
Capelli: come prevenire la
caduta al cambio di stagione
L’omeopatia
ha un futuro?
in evidenza
36
Movimento e Benessere:
scegli quello giusto per te
ommari44
Mononucleosi:
la “malattia del bacio”
52
56
58
54
40
46
Mal di collo:
come risolverlo
comunicato ufficiale:
MBA acquisisce il fondo FASV
Le ricette
della salute
In Italia la medicina personalizzata
diventa di precisione grazie a
“Personal Genomics”
Artrosi al ginocchio:
cause, sintomi e cure
Sindrome di Rett:
in viaggio verso la speranza. La storia della piccola Sofia
Le Bacche di Goji, dette anche
bacche della longevità, contengono:
una grande quantità di vitamine C ed E,
che proteggono dai radicali liberi e
dallo stress ossidativo; minerali come
rame, ferro, fosforo e manganese, che
aiutano a regolare il metabolismo
energetico; zinco e cromo, che
offrono un valido supporto nelle
diete ipocaloriche e infine potassio
e magnesio, utili per la resistenza
muscolare
L’ecocardiografia è una tecnica
diagnostica non invasiva che utilizza
gli ultrasuoni per visualizzare
l’anatomia del cuore e la sua
funzione
La flebografia è un’indagine
strumentale per lo studio del
sistema venoso profondo
centrale o di un arto
La scintigrafia è un’indagne diagnostica
di medicina nucleare con mezzo di
contrasto che si esegue su organi e ossa
Le lenticchie, “carne dei poveri”, sono molto
indicate nella prevenzione dell’arteriosclerosi poiché
i pochi grassi in esse contenute sono di tipo insaturo
La coronarografia è
un’indagine diagnostica
di tipo invasivo che
visualizza le arterie
coronarie che
distribuiscono sangue al
muscolo cardiaco
La castagna
grazie alla vitamina
B e al fosforo,
contribuisce
all’equilibrio
nervoso e col
potassio a quello
della nutrizione
Per uno stomaco
sano mangiate poco
e frequentemente,
almeno 4 o 5 volte
al giorno!
Health tips
Sapevi che...
Gli spinaci sono ricchi di
luteina: proteggono la
retina e sono grandi alleati
della nostra vista.
Il cavolfiore è un alimento capace
di apportare molteplici benefici al
nostro organismo... e ha pochissime
calorie!
8
“Nutrizione, stile di vita,
benessere”: sono solo parole?
a cura di
Cristiana Ficoneri
Diciamolo francamente: siamo stufi di ascoltarle, siamo
stufi di leggerle, siamo stufi di essere sballottati tra un ordine
e l’altro della scuderia salutistica globale.
Eppure in fondo, siamo anche stufi di subire le conseguenze
del mancato rispetto che ogni giorno, volente o nolente - e
spesso in modo dolente - portiamo a queste parole.
E’ uno di quei casi in cui si ha veramente la sensazione di
non essere sufficientemente padroni della propria vita e
che entrare o meno a far parte di certe statistiche sanitarie
sia solo questione di fortuna. Identifichiamo volentieri la
moderna dea bendata con la genetica, in fondo è il famoso
fattore C, ma abbiamo dovuto imparare a denti stretti che
l’influenza dell’ambiente sulla nostra salute è molte volte
determinante, a partire dall’abitudine di fumare, bere o
mangiare irresponsabilmente,
fino al guidare senza le cinture
allacciate e così via.
Il problema nasce qui: cosa ci
hanno detto e cosa abbiamo
veramente capito riguardo al
nostro ruolo nel mantenimento
dello stato di salute. Come si può
essere responsabili di se stessi se si
è bombardati continuamente da
informazioni contrastanti su cui
non si ha nessun controllo?
Gli onnipresenti interessi politico-
economici (si pensi che l’obesità
viene riconosciuta negli USA
come patologia a se stante e non come fattore di rischio
solo nel 2013, nonostante fosse stata segnalata come tale
da decenni) e l’incuria dei divulgatori contribuiscono a
complicare enormemente il quadro, e la nostra vigilanza
deve essere continua. Ma applicare tout court la
dietrologia anche alla scienza è un atteggiamento che
possiamo permetterci?
La storia del rapporto tra nutrizione e salute si basa su
un serie di dati che derivano da studi scientifici che
necessariamente esprimono conclusioni relative al periodo
e alle metodologie con cui sono stati svolti.
Gli epidemiologi devono essere molto bravi per prendere
in considerazione tutti i possibili aspetti che possono influire
su una situazione. Prendiamo ad esempio uno degli studi
“storici”: il pioneristico “Seven Countries Study” condotto
da Ancel Keys negli anni tra il 1958 e il 1970 in sette diversi
paesi, il tormentone - con rispetto parlando - citato da
tutti quando si parla delle innegabili virtù della Dieta
Mediterranea.
In questo studio l’alimentazione di circa 1000 uomini
fu seguita per un periodo di 10 anni, per correlarla
all’incidenza delle malattie coronariche, prima causa di
morte al mondo. Ne emerse un quadro in cui nei paesi
dove si seguiva una dieta più simile a quella dell’isola di
Creta, si soffriva meno di tali malattie. Le differenze tra la
Finlandia orientale e gli abitanti dei villaggi giapponesi
era vistosa. Sul banco degli imputati salirono innanzitutto i
grassi Saturi e li rimasero per diversi anni.
Altri studi che in quel periodo esaminavano i fattori dietetici
potenzialmente responsabili dell’incidenza dei tumori nei
vari paesi del mondo, rilevarono un aumento analogo nei
paesi occidentali rispetto ai paesi in via di sviluppo o alle
società asiatiche tradizionali.
Ma come fa notare
l’epidemiologo e nutrizionista
dell’Università di Harvard Walter
Willett (1), riconosciuto come uno
dei più influenti protagonisti della
storia della nutrizione, l’enorme
disparità nei tassi di rischio tra i
vari paesi avrebbe potuto essere
spiegata anche con le molte
differenze esistenti tra le varie
realtà geografiche e culturali
(attività fisica, altri aspetti della
dieta).
Ma all’epoca queste non vennero
considerate adeguatamente, la
frenesia di correre alle conclusioni spinse a presentare al
pubblico dei dati deboli e non conclusivi come il “Vangelo
delle raccomandazioni dietetiche”.
Del resto era un’epoca nuova anche per la scienza della
nutrizione. Per decenni le uova sono state demonizzate per
il loro contenuto di colesterolo senza che nessuno studio
avesse mai realmente dimostrato il peso effettivo di questo
fattore dietetico. Per anni abbiamo assistito alla diffusione
di Piramidi alimentari simili a quella americana iniziale del
1992: in cima lo “spauracchio” dei grassi di qualunque
tipo (“consumare con cautela”), alla base l’ampia fascia
dei carboidrati concessi in tutte le loro manifestazioni
e declinazioni. In mezzo il gruppo eterogeneo di carni
rosse, pesce, pollame, legumi e frutta secca senza troppe
distinzioni. Grande enfasi sul latte e i suoi derivati, anche se
a ben guardare si vide che in molti paesi del mondo che
non ne facevano uso, non fioccavano affatto le fratture.
L’analisi degli studi pubblicati fino al 2006 ha mostrato
invece che un consumo di latte eccessivo può portare
un maggior rischio di cancro alla prostata e lo stesso si
9
10
sospetta per i tumori dell’ovaio. Di contro si è riscontrato un
minor rischio di tumori all’intestino. Con questo panorama
variegato e contraddittorio non c’è da meravigliarsi che
i ricercatori del Fondo mondiale per la ricerca sul cancro
(WCRF) (2), abbiano preferito non formulare alcuna
raccomandazione sul latte.
Mentre si consumava lo scollamento tra prescrizioni (si ai
carboidrati, no ai grassi) e statistiche (aumento di obesità,
diabete e malattie cardiovascolari), la qualità degli studi
migliorava e anche grazie a studiosi più critici e autocritici
come Willett si arrivò a sfatare il mito dei carboidrati e a
ridimensionare l’importanza dei grassi Saturi, andando
a differenziare meglio le responsabilità nell’incidenza
delle malattie. Molti studi avevano mostrato che il miglior
predittore delle malattie cardiovascolari era il rapporto
tra le due frazioni del colesterolo LDL (quella “cattiva”) e
HDL (quella “buona”) e che l’uso estensivo nella nostra
alimentazione di quelli che vengono definiti grassi Trans
lo aumentava per lo meno del doppio rispetto a quanto
facevano i grassi Saturi non Trans. (I Trans sono grassi che
spesso derivano dai processi industriali di idrogenazione e
si trovano nelle margarine, nelle fritture, nelle merendine,
negli alimenti da fast food).
Come se non bastasse, altri studi misero in rilievo che
sostituendo un 10% delle calorie provenienti dai grassi Saturi di
unadieta,conoliodioliva,oconcarboidraticomplessi(pane,
pasta…) come raccomandato all’epoca dall’American
Heart Association, nel secondo caso si otteneva un effetto
peggiore: il colesterolo buono diminuiva e i trigliceridi
aumentavano. Era già stato dimostrato che questo schema
prediceva un aumento delle malattie cardiovascolari.
Insomma mettere i carboidrati alla base della propria
alimentazione non si rivelò essere una buona idea.
Ma la nutrizione è qualcosa di semplice solo in apparenza
– continua Willet - e per studiare l’influenza di tutti i fattori
che possono influire su una dieta nel loro complesso
occorrerebbero studi randomizzati e a lungo termine.
Per uno studio ideale occorrerebbe nutrire un bambino
fin dalla più tenera età con ciò che si intende studiare ed
osservare gli effetti nel corso del tempo, ma naturalmente
ciò non sarebbe molto etico.
Si possono comunque effettuare dei cosiddetti studi
osservazionali a lungo termine che come fu il caso del
“Nurse’s Health Study” si dimostrano estremamente
preziosi. In questo studio, iniziato per altri motivi, dal 1980
sono stati raccolti i dati dietetici di 100.000 infermiere
americane, il 90% delle quali sta ancora partecipando
dopo 40 anni (!). Da queste informazioni sono stati ricavati
11
dati utili per studiare non solo il rischio cardiovascolare ma
anche quello tumorale e di malattie neurodegenerative,
Parkinson, Alzheimer. Delle 1.000 donne di questo studio
che sono state ospedalizzate o sono morte per un attacco
di cuore 14 anni dopo, si sono studiate tutte le possibili
correlazioni dietetiche, confermando che i Trans erano
davvero i grassi peggiori.
L’80% dell’aumento del rischio di patologie cardiovascolari
era imputabile ad un minuscolo 2% delle calorie
provenienti da questi grassi. I Saturi aumentavano
questo rischio in misura decisamente minore, seguiti dai
Monoinsaturi (contenuti nell’olio di oliva ad esempio) e dai
Polinsaturi (contenuti in altri oli vegetali). I Saturi non hanno
mostrato, in questo e in altri studi, di essere fortemente
correlati neanche con l’aumento del cancro al seno.
(Per inciso si scoprì invece che il tipo di dieta seguito dalle
ragazze in età adolescenziale era molto più rilevante
della dieta seguita successivamente, rispetto al rischio
oncologico). Oltre a definire meglio grassi “buoni e cattivi”,
si focalizzò l’attenzione sul tipo di proteine consumate
(vegetali, animali) quantificando il rischio di cancro o
cardiovascolare che era attribuibile al consumo di carne
rossa. E ci si accorse che l’osteoporosi era influenzata dalla
quantità delle proteine nella dieta.
Tenendo conto dei risultati di studi minori e cercando di
ripeterli con studi sempre più rigorosi e a lungo termine si è
creato nel tempo un corpus di conoscenze più solide su cui
basare delle raccomandazioni sensate e praticabili che
permettano alle persone di prendere in mano il proprio
stato di salute.
Sulla base del follow up del Nurse’s Study è stato calcolato
che con un semplice pacchetto di misure non radicali come
mantenere un peso accettabile, non fumare, consumare
una dieta appropriata (che includesse alimenti a basso
indice glicemico, fibre, pesce due volte a settimana,
frutta e verdura, grassi salutari come gli Omega3, un basso
tenore di grassi Trans) sarebbe stato possibile abbattere
il rischio di sviluppare malattie cardiovascolari e diabete
in quella popolazione rispettivamente dell’ 82% e del 92%.
L’epidemia di “diabesità” che ha colpito trasversalmente
nel mondo (tanto da essere rinominata “globesity”) seppur
non arginata sta cominciando debolmente a rallentare,
anche se in modo poco democratico. Tra le classi più deboli
economicamente e le regioni meno ricche essa colpisce
con più durezza. Ma parole chiave come fibre, indice
glicemico, grassi Saturi e Insaturi, carboidrati complessi,
proteine vegetali, bevande zuccherate, antiossidanti,
infiammazione, possono essere gli strumenti per affrancarci
da uno stato invalidante che sta dimostrando di sconfinare
pericolosamente verso nuovi territori.
Si pensi ai collegamenti che stanno emergendo da varie
ricerche, tra gli stati di insulino-resistenza e i danni a quelle
regioni del cervello che hanno a che fare con la memoria e
la personalità (3). Già dal 2005 per l’Alzheimer fu proposta la
dicitura di Diabete di tipo 3, ed è noto che le persone affette
da Diabete hanno un rischio raddoppiato di sviluppare
Alzheimer. E anche per l’obesità il rischio di una riduzione
delle funzioni cognitive sembra aumentato (4,5).
In nutrizione ma non solo, saper combinare le conoscenze
per avere una visione d’insieme non è un lavoro facile
o immediato, arrivare a delle evidenze incontrovertibili
abbiamo visto è quasi impossibile, e nella comunità
scientifica ci può essere molto dibattito su quali aspetti
pesino più di altri. Ma è un processo di avvicinamento
continuo ad un più alto grado di certezza su quali siano i
fattori che veramente contano per la nostra salute.
Perciò è lecito dubitare di coloro che sostengono “soluzioni
rapide e definitive”, ma una buona scienza deve passare
al vaglio anche quelle, con trasparenza.
Il processo è continuo e si svolge al di fuori dei vari “Porta
a Porta”. Noi dobbiamo solo resistere alla tentazione
dell’incultura e della rassegnazione, aumentando la nostra
consapevolezza di ciò che va bene o non va bene per noi.
In questa atmosfera di dubbio costante, è meglio scegliere
le piccole dosi e ruotare gli alimenti in modo da impedire
accumuli di sostanze che un giorno potrebbero rivelarsi
tossiche. Tanto, anche senza Wiki-leaks, prima o poi si sa tutto.
1)Nutrition and Healthy Lifestyle Summit 2015
Sabri Ulker Foundation
2) Epidemiol Prev 2013; 37 (4-5), Periodo: luglio-ottobre, pagine: 340-341
Bevete più latte…Franco Berrino
3) Alzheimer’s: Diabetes of the Brain?
Dr. Suzanne De La Monte
Alpert Medical School, Brown University Neuropathologist, Rhode Island
Hospi
4) Nutrients. 2015 Aug; 7(8): 6719–6738.
Diet-Induced Cognitive Deficits: The Role of Fat and Sugar, Potential
Mechanisms and Nutritional Interventions
Jessica E. Beilharz, Jayanthi Maniam, and Margaret J. Morris*
5)J Alzheimers Dis. 2012;32(2):329-39. doi: 10.3233/JAD-2012-120862.
Relative intake of macronutrients impacts risk of mild cognitive impairment
or dementia.Roberts RO1, Roberts LA, Geda YE, Cha RH, Pankratz VS,
O’Connor HM, Knopman DS, Petersen R
è lecito dubitare di coloro
che sostengono “soluzioni
rapide e definitive”, ma una
buona scienza deve passare
al vaglio anche quelle, con
trasparenza.
In questa atmosfera di dubbio
costante, è meglio scegliere
le piccole dosi e ruotare gli
alimenti in modo da impedire
accumuli di sostanze che un
giorno potrebbero rivelarsi
tossiche
12
a cura di
Manuela Fabbretti
La cultura Italiana da sempre vede nelle nostre tavole
deliziosi piatti a base di pesce crudo, in particolar modo
in alcune zone costiere del meridione, ma negli ultimi anni
queste abitudini sono un po’ cambiate ed estese in tutto
il territorio grazie alla diffusione dei cibi Giapponesi ed
Orientali.
Parallelamente al crescere dei
locali specializzati in cucina
giapponese ed orientale,
infatti, sono in aumento i casi
di intossicazione legati al
consumo di queste alimenti
e si moltiplicano gli interventi
sanzionatori da parte delle
aziende sanitarie e dei Nas.
Bisogna sapere infatti che, pur
se particolarmente delizioso,
il pesce crudo anche della
migliore qualità può celare brutte sorprese, ovvero essere
infetto e, quindi, consumandolo completamente crudo o
poco cotto si va in contro all’aumento delle probabilità di
essere infettati dai batteri del pesce.
È giusto dire però che questi alimenti non sono da
eliminare, al contrario, il loro alto potere saziante unito allo
scarso apporto calorico e alla ricchezza di acqua li rende
alimenti dietetici interessanti, con un notevole apporto di
sostanze nutritive come gli Omega-3, acidi grassi di cui
i pesci tradizionalmente utilizzati nella preparazione di
queste pietanze sono particolarmente ricchi.
Quali sono quindi i pericoli che corriamo?
La prima causa di intossicazione
da pesce crudo è la mancanza
di esperienza di chi lo maneggia
e prepara, in quanto molte
regole fondamentali per la
conservazione del pesce non
vengono rispettate a dovere,
in aggiunta ad una scarsa
conoscenza delle tecniche
per la preparazione e la pulizia
dei prodotti freschi. Il secondo
problema è che non tutti i
consumatori di pesce crudo
sanno che anche il pesce ha dei parassiti, che possono
essere trasmessi all’uomo con estrema facilità se non
vengono osservate alcune norme igieniche basilari.
Il più pericoloso tra questi organismi si chiama ANISAKIS.
Tecnicamente, si tratta di un nematode parassita, ospitato
nell’addome di numerose specie marine, comunemente
conosciuta con il nome di sindrome di anisakidosi (o
Pesce crudo:
rischi e consigli
13
anasikiasi). Il primo caso di anisakidosi fu osservato in
Olanda nel 1955, oggi è estremamente diffuso e si trova
in molti pesci tra cui tonno, salmone, sardina, acciuga,
merluzzo, pesce spada, calamari, nasello e sgombro.
ll piccolo nematode, simile a un vermicello filiforme,
visibile anche a occhio nudo, rimane immobile all’interno
del tubo gastro-enterico del pesce fino a quando non
riesce a trovare una via verso le parti muscolari dove vi
si insinua in attesa del passaggio all’interno di mammiferi
che si cibano del pesce parassitato. Alcune ricerche
hanno dimostrato che la maggior parte di casi positivi da
contaminazioni di Anisakis si riscontra nel prodotto che ha
sostato per un certo periodo di tempo dal momento della
pescata a quello dell’eviscerazione.
Il pericolo per l’uomo è costituito dalle larve di Anisakis
nascoste nel pesce, che possono essere accidentalmente
ingerite qualora si consumi pesce crudo oppure poco
cotto, con conseguenze a dir poco spiacevoli: dolori
addominali, nausea, disturbi intestinali, a volte febbre.
Sicuramente poco “allettante” anche la cura: se nelle
forme meno gravi può essere sufficiente una terapia
sintomatica, nella maggioranza dei casi si rende necessario
un intervento chirurgico per la rimozione delle larve.
Come facciamo quindi a prevenire tutto questo?
Con la cottura semplicemente, oppure nel caso di pesce
destinatoadessereconsumatocrudo,conilcongelamento.
Le larve di anisakis vengono infatti annientate con
l’abbattimento di temperatura, che deve tuttavia essere
effettuato secondo modalità e tempistiche ben precise
14
evitare di consumare
pesce e molluschi crudi
che non siano sottoposti
a congelamento
il pesce va eviscerato al
più presto dal momento
della cattura per
allontanare i parassiti
presenti, prima del
loro passaggio nella
muscolatura
verificare, sulla
base dell’obbligo
dell’autocertificazione,
l’effettuazione dei
trattamenti obbligatori
di chi somministra
pesce crudo oppure in
salamoia ad utilizzare
pesce congelato
o a sottoporre a
congelamento
preventivo il pesce
fresco somministrato
crudo (Circolare n°10
del 11/03/92 del Ministero
della Sanità e ordinanza
ministeriale del 12/05/92
a spiegazione della
Direttiva Europea 91/493
del 22/07/91)
in caso di consumo
casalingo sottoporre il
prodotto a temperature
elevate superiori ai 100°C
oppure temperature molto
basse –20°C per almeno
24 ore (per una sicurezza
totale sono necessarie 96
ore a -15° C, 60 ore a -20°
C, 12 ore a –30° C, 9 ore a
-40° C).
le regole da
seguire
per poi, allo scongelamento, seguire con il consumo del
prodotto in tempi brevissimi.
Seguito il processo di conservazione ed abbattimento della
temperatura possiamo quindi stare tranquilli?
Non esattamente, il pesce è un alimento che ha proprietà
nutritive molto importanti per il nostro organismo, ma ha un
terribile difetto: tende ad accumulare nelle proprie carni
le sostanze nocive eventualmente presenti nell’ambiente
in cui vive. Tutto questo purtroppo è causato dall’uomo,
che negli ultimi 150 anni ha contribuito all’inquinamento
del mare incrementando notevolmente l’intossicazione
dei pesci e degli abitanti marini.
I pericoli maggiori arrivano da due sostanze, il mercurio e
la diossina.
Il primo è un metallo pesante. Le maggiori concentrazioni
di questo metallo possano essere riscontrate nei predatori
superiori, ultimo anello della catena. Tra questi, il tonno, nelle
cui carni sempre più frequentemente sono stati riscontrati
livelli di mercurio tali da sconsigliarne il consumo. Ovvio
è che il problema riguarda tutto il tonno, non solo quello
servito nei ristoranti giapponesi. Alcune varietà di questo
pesce – come evidenziato già tre anni fa in uno studio
condotto negli Stati Uniti – mostrano tuttavia una maggiore
tendenza ad accumulare mercurio nelle loro carni, ed in
mancanza di una normativa che obblighi i ristoratori a
specificare sul menù quale varietà di tonno viene utilizzata
nella preparazione dei piatti, l’unica precauzione possibile
è limitarne il consumo.
La diossina invece è una sostanza cancerogena
particolarmente solubile nei grassi, ecco perché anche il
salmone, nonostante le grandissime proprietà alimentari,
viene segnato nella lista nera, specialmente quello di
allevamento.
Purtroppo la cottura non fa differenza: il problema non
risiede nella modalità di consumo e il salmone consumato
crudo in un ristorante giapponese non comporta per
la salute rischi maggiori di quello – tanto per fare un
esempio – affumicato comunemente in vendita in tutti
i supermercati. L’aspetto critico connesso al consumo di
salmone sta nella percentuale di grasso presente nelle sue
carni, che è tale da facilitare l’assorbimento di sostanze
estremamente pericolose: la diossina prima di tutto, ma
anche i policlorobifenili (PCB), agenti chimici di comprovata
tossicità, correlati, come dimostrato da numerosi studi, a
diverse forme tumorali.
La domanda che tutti vi starete ponendo è: devo escludere
il salmone e il tonno dalla mia alimentazione?
No, la chiave fondamentale è la sana ed opportuna
moderazione, limitando il consumo di pesce crudo a poche
sporadiche volte e soprattutto affidarsi a mani esperte.
Museo del Mutuo Soccorso
Via di Santa Cornelia, 9 | 00060 | Formello (RM)
Aperto dal lunedì al venerdì solo su appuntamento contattando info@fondazionebasis.org
Il Museo del Mutuo Soccorso di MBA è
il "forziere della storia della mutualità
italiana".
Al suo interno sono raccolti documenti,
medaglie, gagliardetti, vessilli, statuti,
regolamenti, cartoline di un pezzo
dell'Italia che va dal 1840 fino al periodo
fascista.
Il museo ripercorre i passi salienti di questi
ultimi 150 anni di storia sociale.
Tra i reperti più rari, documenti dove risulta
socio onorario Giuseppe Garibaldi, ma
anche statuti e regolamenti ante Regio
Decreto.
è presente all'interno anche il testo
integrale, originale del Regio Decreto n.
3818 del 15 aprile 1886, stampato dalla
regia tipografia, oltre a una bandiera di
Mutua emigrata con lo scudo Sabaudo
rovesciato in segno di protesta.
16
Riscoprire l’importanza
delle proteine vegetali con
la linea Fitowell
a cura di
Fabio Vitale
Proteine vegetali? Proteine animali? Quante bisogna
assumerne quotidianamente per soddisfare il proprio
fabbisogno? è vero che le proteine “nobili” sono quelle di
origine animale?
Sono alcune delle domande che molti si pongono dopo le
recenti pubblicazioni dell’Oms, Organizzazione mondiale
della Sanità, relative all’inserimento di salumi, insaccati e
ogni genere di carne lavorata tra i fattori di rischio dello
sviluppo del cancro.
L’allarme è arrivato dall’Iarc, l’Agenzia internazionale
per la ricerca sul cancro, parte dell’Oms, che ha redatto
un rapporto sulla base di oltre 800 studi precedenti
sul legame tra una dieta che
comprenda le proteine animali
e il cancro, il quale conferma le
attuali raccomandazioni “a limitare
il consumo di carne”; il World
Cancer Research Fund (WCRF)
e l’American Institute for Cancer
Research hanno evidenziato, ad
esempio, come vi sia una chiara
correlazione tra le carni rosse o
lavorate e il cancro al colon: il
rischio è spesso associato alla
presenza di additivi come nitriti e
nitrati nelle carni stesse e allo sviluppo, durante la cottura,
di sostanze come le amine eterocicliche e gli idrocarburi
policiclici aromatici (IPA es. benzopirene).
Ma quanta carne ogni giorno portiamo in tavola? Secondo il
rapporto di Fleischatlas 2013, il mondo ha saziato la sua fame
producendo 300 milioni di tonnellate di carne alimentare.
Un’enormità se pensiamo che il mondo vegetale può
fornirci valori nutrizionali sufficienti con costi etici e
ambientali di gran lunga inferiori. Il settore zootecnico,
infatti, è uno dei principali responsabili della produzione
di gas serra. L’allevamento di animali genera, secondo la
FAO il 18% delle emissioni totali di gas serra nell’atmosfera.
È evidente, quindi, che i vantaggi di una dieta ben
equilibrata, con un maggiore incremento di proteine
vegetali, sono molteplici. Legumi e cereali contengono
infatti proteine di discreta qualità che, se combinate
tra loro, secondo un processo denominato “mutua
integrazione” degli aminoacidi limitanti, riescono a fornire
un profilo aminoacidico completo.
Avedercilungo,dueannifa,èstatounpiccoloimprenditore
agricolo della provincia di Perugia,
Alessandro Riganelli, che ha deciso
di mettersi in gioco e creare una
linea di prodotti volta proprio alla
sensibilizzazione del Consumatore
ad un utilizzo razionale delle proteine
animali.
La linea si chiama Fitowell, dove “fito”
sta per pianta e “well” per wellness,
ed è caratterizzata da una selezione
di prodotti di origine vegetale ad alto
contenuto proteico. Si tratta per lo
più di varietà di leguminose, cereali e pseudo cereali poco
conosciute in Italia o non coltivate in larga scala, ma che
riscontrano un consumo in sensibile aumento. Alessandro
ha deciso quindi di promuovere prodotti qualitativamente
migliori e più sani dal punto di vista alimentare e ha spiegato
a noi di Health Online il perché.
Alessandro come le è nata l’idea di creare Fitowell?
“Tutto nasce dalla mia passione per il body building
16
17
che mi ha fatto scoprire un mondo fatto di rigide regole
alimentari, in cui l’utilizzo di proteine animali, anche
sotto forma di integratori, è il punto cardine per favorire
l’accrescimento della massa muscolare. Mi sono ritrovato
così a sperimentare diete ricche di carne e grassi animali
finché una chiacchierata con un mio amico, dedito alla
filosofia olistica, mi ha fatto “aprire gli occhi”: ho iniziato
a documentarmi e più continuavo con le ricerche più mi
rendevo conto che, a lungo andare, uno stile di vita del
genere avrebbe avuto qualche ripercussione negativa sul
mio fisico. Non solo, ho scoperto che per produrre 1 chilo
di carne di manzo si immettono nell’atmosfera 36,4 chili di
anidride carbonica, come quella emessa mediamente da
un’automobile che percorre 250 km. Inoltre, per lo stesso
chilo di manzo, occorrono 15.500 litri di acqua mentre
coltivare un chilo di legumi ne richiede dai 200 ai 400 a
seconda della specie. Per me, che amo la natura ma
soprattutto il mio territorio, questa è stata la scintilla che mi
ha spinto a credere che un cambiamento era necessario
e risiedeva proprio nelle proteine vegetali”.
La sua azienda era da tempo caratterizzata da vitigni,
oliveti e terreni coltivati a cereali tradizionali come grano
e orzo. Con questa nuova linea ha introdotto varietà
conosciute principalmente all’estero, quali sono? Come
mai ha deciso di coltivare proprio questi prodotti?
“Tra le mie ricerche ho individuato legumi, cereali e
pseudocereali che avessero un’elevata fonte proteica
proprio per cercare di limitare al massimo l’utilizzo di carne
e derivati. Inizialmente ho introdotto nella mia dieta i fagioli
Adzuki e i fagioli Mung e li ho trovati molto gradevoli al gusto
e di facile utilizzo in cucina, perciò mi sono detto: “perché
non provare a coltivarli e finalmente avere prodotti made in
Italy?”. Ho iniziato così le mie prove, ai margini dell’azienda
e senza sottrarre superfici alle coltivazioni tradizionali,
anche grazie all’aiuto di due miei amici agronomi: è stata
una vera e propria scommessa dato che il nostro territorio e
quello di provenienza di ogni varietà hanno caratteristiche,
spesso, molto differenti.
Nel frattempo, con il supporto di un nutrizionista che mi
ha aiutato, per l’appunto, sull’aspetto nutrizionale di ogni
prodotto, ho individuato altre cinque varietà interessanti e
ho iniziato a sperimentare la coltivazione anche di queste.
Le risposte che ho avuto sono state positive e così ho
deciso di buttarmi a capofitto in questa nuova avventura
e creare Fitowell: dopo due anni la produzione di faglioli
Adzuki, fagioli Mung, Miglio, Fieno greco, Grano saraceno,
farro Spelta e Lenticchia rossa è iniziata a pieno regime!”
La linea Fitowell è stata pensata per gli sportivi, ma va
bene per tutti?
“Assolutamente si! Tutti i prodotti della linea, oltre alle alte
concentrazioni proteiche, sono caratterizzate da importanti
elementi nutrizionali utili a fronteggiare disturbi legati
all’alimentazione quali intolleranze, diabete, colesterolo alto
ed altre malattie più o meno gravi; i fagioli Adzuki ad esempio
sono caratterizzati da un tasso zuccherino e una densità
calorica bassi ma creano un alto senso di sazietà, il Fieno
greco contiene saponine furostanoliche alle quali sono state
attribuite attività immunostimolanti e stimolanti dell’ormone
LHRH, con conseguente aumento dei livelli di testosterone,
il Miglio è un ottimo ricostituente ed energizzante naturale,
utile in caso di stress, stanchezza, convalescenza e astenia.
La mia intenzione è sempre stata quella di sensibilizzare
ognuno di noi ad un utilizzo più consapevole di ciò che porta
in tavola; dobbiamo iniziare a volerci più bene e io, grazie a
Fitowell, posso dire che è possibile.”
In che senso?
“Sono stato fumatore per diversi anni e alle cene con gli
amici non mi tiravo certo indietro davanti ad una bella
fiorentina al sangue. Il cambiamento l’ho effettuato in
primis su me stesso, per poter essere, nel mio piccolo, un
esempio e far comprendere che quello che andavo a
promuovere non erano solo belle parole.
Così ho tolto le sigarette ed eliminato gradualmente la
carne dalla mia alimentazione e sa cosa le dico? La
soddisfazione nel vedere il mio corpo reagire positivamente
a questi cambiamenti, nel poter continuare a sollevare
anche pesi di 150 Kg, è stato per me l’ulteriore conferma
che qualcosa di buono lo stavo davvero facendo.”
Un’esperienza di vita quella che ci ha raccontato questo
giovane agricoltore, che ci fa aprire gli occhi su quanto
le nostre abitudini alimentari incidano sulla salute e sul
futuro delle generazioni a venire, spingendoci a ponderare
le scelte alimentari nel rispetto di noi stessi e delle risorse
della nostro Pianeta. Del resto, come diceva il filosofo
Feuerbach, “Siamo quello che mangiamo”.
www.fitowell.com
semi di benessere
18
a cura di
Alessia Elem
Negli ultimi anni, la scienza e la tecnologia stanno facendo
passi in avanti per promuovere e mettere in campo dei
dispositivi all’avanguardia a tutela della salute. L’Italia,
nonostante le difficoltà in cui verte il Sistema Sanitario
Nazionale, investe sulle nuove tecnologie sanitarie per
consentire innumerevoli benefici, sia per il paziente dal
punto di vista clinico, che per il professionista che, grazie
all’utilizzo di strumenti innovativi, è in grado di essere più
preciso in ambito chirurgico con rischi di infezione post-
operatoria più bassi e tempi di degenza e recupero
inferiori. E’ il caso della chirurgia robotica mininvasiva con
l’ultimo modello Da Vinci, strumento di ultima generazione,
sviluppatosulconcettodella“ImmersiveIntuitiveInterface”,
acquistato di recente dalla città della Salute di Torino.
Il robot è uno strumento che permettere al chirurgo
di azionare simultaneamente 4 bracci robotici,
consentendogli così di eseguire movimenti estremamente
precisi nel corso di interventi chirurgici di elevata
complessità.
Per sapere meglio di cosa si tratta, MBA, società di mutuo
soccorso che pone al centro della sua attività mutualistica
la salute come dimensione essenziale del benessere
dell’individuo, ha intervistato il Prof. Paolo Gontero,
specialista in Urologia e master di Andrologia Chirurgica,
Professore Associato di Urologia presso l’Università degli
Studi di Torino, Divisione di Urologia 1, Ospedale San
Giovanni Battista Molinette di Torino.
Chirurgia robotica mini-invasiva:
al via interventi con l’innovativo
sistema “Da Vinci”
Nella famiglia della tecnologia robotica il “Da Vinci” è
il figlio dell’ultima generazione. Ci può spiegare come
funziona e quali sono i vantaggi rispetto alla chirurgia
tradizionale?
“Occorre innanzitutto puntualizzare come il termine
“robot” sia assolutamente improprio per descrivere questa
tecnologia poiché genera la falsa concezione che si tratti
di uno strumento in grado di sostituirsi al chirurgo. Nulla
di più sbagliato. Il sistema “Da Vinci” è senz’altro il più
valido “alleato” che un chirurgo oggi possa possedere,
poiché consente di eseguire interventi mini-invasivi con
estrema precisione di movimenti. Contrariamente a quanto
potrebbe far pensare il suo appellativo, il “robot” Da Vinci
non è però dotato di alcuna
autonomia operatoria. Tutti i
movimenti che vengono compiuti
dalle sue 4 braccia (mirabilmente
sostenute da una ossatura, che
rievoca vagamente l’effigie di un
robot), sono in realtà indotti dal
chirurgo principale che opera
seduto ad una consolle (centralina
di comando) attraverso 2
manipolatori e dei pedali.
I 4 bracci, del calibro di 8 millimetri,
possono essere inseriti all’interno
del corpo umano attraverso delle
incisioni millimetriche consentendo
così una chirurgia “mini-invasiva”
dal momento che vengono evitati
al paziente i “grandi tagli” della
chirurgia tradizionale. Ma fin qui
non vi è nulla di diverso rispetto
alla laparoscopia tradizionale
che viene da anni praticata
routinariamente in molte specialità
chirurgiche.
Ciò che fa sì che il sistema “Da
Vinci” possa essere considerato
come una vera e propria
rivoluzione rispetto alla laparoscopia tradizionale, è l’estrema
destrezza dei movimenti prodotti dai bracci robotici, in tutto
e per tutto sovrapponibili a quelli delle mani. I gradi di libertà
di movimento dei bracci robotici sono 7 contrariamente
ai 4 della laparoscopia. In pratica, è come se le mani del
chirurgo potessero essere “rimpicciolite” e in grado di
operare in spazi molto angusti del corpo umano. Ma non
solo: il livello di precisione del chirurgo alla consolle viene
ulteriormente avvantaggiato da una visione magnificata
di 10 volte e tridimensionale. Un filtro per il tremore migliora
ulteriormente l’accuratezza del gesto chirurgico.
Un sistema rivoluzionario che si compone quindi di tre
corpi principali: il centro di controllo attraverso il quale il
19
chirurgo controlla la fibra ottica e gli strumenti per mezzo
di due manipolatori e di pedali; il carrello paziente è il
componente operativo del sistema da Vinci e si compone
di quattro braccia movimentabili e interscambiabili
dedicate al supporto della fibra ottica e di strumenti da 5
mm a un massimo di 8 mm e infine il Carrello visione che
contiene l’unità centrale di elaborazione e processamento
dell’immagine”.
Prof. Gontero, in Italia il nuovo robot
“Da Vinci” è già stato utilizzato? Lei
lo ha provato?
“Ebbi l’onore di vedere in funzione
il primo prototipo del nuovo robot
“Da Vinci Xi” e di apprezzarne le
qualità innovative circa un anno
fa all’Università di Miami, in Florida,
dove ero stato invitato come
“visiting professor” dal Prof. Parekh,
un pioniere della chirurgia robotica
in urologia.
Dopo poco più di un anno quel sogno è diventato realtà
presso la Città della Salute e della Scienza di Torino grazie
al sostegno di una Direzione Aziendale illuminata che ha
deciso di investire in questa nuova tecnologia per la salute
e a una donazione di quasi 2 milioni di euro da parte della
Compagnia di San Paolo. Sì, perché questo è il “costo”
della sola apparecchiatura, cui si aggiunge circa 6-8.000
euro di costi addizionali per i “pezzi di ricambio” dei bracci
robotici per ogni intervento.
Ho utilizzato personalmente il nuovo robot per eseguire
interventi di prostatectomia radicale e asportazione
selettiva di tumori del rene complessi. Per questi ultimi,
il nuovo robot presenta i maggiori vantaggi grazie alla
possibilità di intercambiare il sistema di visione nei vari
bracci e potersi così muovere in un campo operatorio più
ampio. I chirurghi generali diretti dal Prof. Morino lo stanno
invece utilizzando con successo negli interventi per tumore
al retto e allo stomaco.
Dopo poco più di un anno dal suo lancio negli USA, sono
già stati installati 11 esemplari di robot “Da Vinci Xi” in
Italia, a dimostrare come oggi la diffusione delle nuove
tecnologie avvenga quasi in tempo reale”.
L’intervento di prostatectomia radicale per tumore alla
prostata è forse l’ambito dove il robot presenta, ad oggi, i
maggiori vantaggi sotto ogni profilo: riduzione dei tempi di
degenza e convalescenza, meno dolore post-operatorio e
riduzione delle complicanze post-operatorie, minor tempo
per la ripresa della continenza urinaria, migliore recupero
della funzione erettile e soprattutto un precoce ritorno alle
normali attività socio-lavorative (11 giorni con il Da Vinci –
49 giorni con chirurgia open).
E’ vero che grazie all’acquisizione del nuovo sistema presso
la Città della Salute si potrà raggiungere un aumento
del 50% degli interventi di urologia in particolare la
prostatectomia radicale?
“Confermo, anche se ciò non dipende tanto dalla nuova
apparecchiatura quanto dalla volontà della Città della
Salute e della Scienza di aumentare la disponibilità di
spazi operatori al fine di fronteggiare il crescente numero
di patologie che afferiscono al nostro ospedale con le
indicazioni alla chirurgia robotica. Il nostro ospedale intende
così porsi come il centro piemontese di riferimento per la
chirurgia robotica. Una scelta inevitabile considerando
che l’ospedale è sede di gran parte parte delle scuole
di specializzazione chirurgiche. L’apprendimento della
chirurgia robotica, contrariamente a quella tradizionale,
avviene su dei simulatori che riproducono in modo virtuale
il setting di diversi interventi chirurgici. La disponibilità di
una “doppia” consolle permette
inoltre una formazione molto simile
alla scuola guida, in cui il tutor può
affiancare il discente e assumere
il comando dell’intervento ogni
qualvolta si renda necessario”.
Dal punto di vista chirurgico quali
sono i vantaggi per gli interventi
di prostatectomia radicale per
tumore alla prostata?
“L’intervento di prostatectomia
radicale per tumore alla prostata è forse l’ambito dove il
robot presenta, ad oggi, i maggiori vantaggi. La prostata
si trova nascosta in uno spazio del corpo umano molto
ristretto dove è difficile arrivare con strumenti tradizionali.
Inoltre, la rimozione della prostata, se non eseguita in modo
accurato, può comportare rischi seri di incontinenza urinaria
e impotenza sessuale. Il robot “Da Vinci” ha letteralmente
rivoluzionato questo intervento, permettendo all’occhio
umano di vedere in modo ottimale in uno spazio dove
altrimenti la visione è scarsa e consentendo alle mani del
chirurgo di operare in modo preciso là dove le possibilità
di movimento sono estremamente ridotte. I vantaggi della
prostatectomia robotica sono ampiamente documentati
da più studi: l’incontinenza urinaria è rara e di rapida
risoluzione e si stima un 30% in più di probabilità di recupero
della funzione sessuale”.
Insomma, questo nuovo sistema sembra essere davvero
efficiente ed efficace a 360 gradi fa ben sperare tant’è
che il prossimo obiettivo della Città della Salute di Torino
è quello di impiegare il programma di sviluppo della
chirurgia robotica non solo in urologia (prostatectomia
radicale, chirurgia dei tumori del rene e chirurgia delle
malformazioni renali) e chirurgia generale (asportazione
di tumori del retto e dello stomaco), ma anche ad altre
specializzazioni chirurgiche come la chirurgia ginecologica,
otorinolaringoiatria e chirurgia maxillo facciale.
Da sinistra la responsabile anestesista Dott.ssa Elisabetta Cerutti, il Prof. Paolo
Gontero con i suoi assistenti i Dottori Marco Oderda ed Ettore Dalmasso.
20
La prostatite:
l’infiammazione della
ghiandola prostatica
a cura del
Dott. Andrea Militello
Per prostatite si intende l’infiammazione della ghiandola
prostatica, un organo simile ad una castagna situato al
di sotto della vescica maschile. Il suo principale compito
è quello di produrre il liquido prostatico, dotato di azione
antibatterica e utile per aumentare la resistenza e la motilità
degli spermatozoi negli ambienti acidi della vagina.
Prostatite nelle sue forme
L’infiammazione della ghiandola prostatica, la prostatite,
può presentarsi o in forma acuta o in forma cronica. In
entrambi i casi, le infiammazioni della prostata sono di
origine batterica; ci sono dei casi di prostatite abatterica
o idiopatica, cioè un processo infiammatorio ad eziologia
sconosciuta, con assenza di batteri.
I tipi di prostatite che esistono sono quindi quattro:
La prostatite batterica acuta rappresenta l’infiammazione
della prostata dovuta principalmente da un’infezione
causata da batteri come Escherichia coli o Klebsiella. Se
non trattata subito, questa infiammazione può sviluppare
complicanze fino ad arrivare alla sepsi.
La prostatite batterica cronica può essere considerata
come la conseguenza di forma acuta non trattata nel
giusto modo. Qui un minimo numero di batteri rimane nella
prostata e di conseguenza può portare l’individuo ad
accusare dolori nella parte addominale e genitale.
La prostatite abatterica è una particolare infiammazione
della prostata con assenza di infezioni batteriche.
La prostatodinia è caratterizzata da sintomi molto simili a
quelli di una prostatite, ma con assenza di infiammazione
e successiva infezione batterica. Viene anche chiamata
sindrome dolorosa pelvica cronica.
Fattori di rischio, prevenzione e trattamento
I fattori patologici e non, che possono portare ad uno
sviluppo di prostatite, sono differenti: il diabete, le emorroidi,
il coito interrotto, microtraumi, l’astinenza sessuale e alcune
malattie sessualmente trasmissibili.
Prevenire questa patologia è possibile grazie ad un attività
fisica e sessuale regolare e quindi uno stile di vita sano
anche dal punto di vista alimentare; è importante anche
evitare tutte quelle attività che possono portare a traumi
perineali.
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21
Il trattamento ideale per curare una prostatite è attraverso
la somministrazione di antibiotici fluorochinolonici, tra i
più famosi Ciproxin, Levoxacin e Unidrox. Prostatiti non
batteriche e la prostatodinia rispondono bene ad un
trattamento di farmaci antinfiammatori; consultare un
esperto è sempre necessario prima di proseguire con una
cura antibiotica.
Questo articolo intende fornire alcune informazioni sulla
Prostatite (infiammazione della prostata) e alcuni consigli
per un migliore approccio alla sua cura. Per evitare i danni
delle funzioni genitourinarie che potrebbero derivarne.
Il suo contenuto è il completamento della visita dello
specialista urologo, che rimane comunque il momento
fondamentale e indispensabile per la diagnosi e la
scelta della terapia. Le informazioni qui riportate possono
servire a richiamare alla memoria le spiegazioni e le
raccomandazioni dello specialista.
La prostata: la sua collocazione e i suoi collegamenti
La prostata è una ghiandola dell’apparato genitale
maschile che ricorda, per dimensioni e forma, una piccola
castagna. È situata alla base della vescica, anteriormente
all’ultimo tratto dell’intestino retto, nel punto di incrocio
tra le vie urinarie e le vie seminali. Infatti, la prostata è
attraversata dall’uretra, che costituisce l’ultima porzione
delle vie urinarie, e dai dotti eiaculatori che costituiscono
l’ultimo tratto delle vie seminali. A loro volta i dotti
eiaculatori originano dalla confluenza dei dotti deferenti,
che provengono dai testicoli, e delle vescicole seminali,
situate sulla faccia posteriore della prostata. l dotti
eiaculatori sboccano nel tratto intraprostatico dell’uretra,
a livello di una piccola prominenza della parete prostatica
chiamata veru montanum. L’ultimo tratto, in comune, delle
vie urinarie è costituito dall’uretra anteriore.
I sintomi
L’infezione prostatica può manifestarsi in modo improvviso
con disturbi gravi e mai sopportabili (prostatite acuta)
oppure in modo più subdolo con sintomi più lievi ma
fastidiosi e persistenti nel tempo (prostatite cronica).
La prostatite acuta è caratterizzata dalla comparsa di
febbre, talvolta molto elevata (39-40°C), preceduta
da brividi e accompagnata da compromissione delle
condizioni generali (dolori muscolari e articolari).
La febbre è associata a gravi disturbi della minzione:
necessità di urinare con frequenza piccole quantità sia di
giorno che di notte (nicturia), stimolo ad urinare improvviso;
ed incoercibile (minzione imperiosa) fino all’Incontinenza
Urinaria, bruciore o dolore durante la minzione.
Le urine sono spesso torbide o purulente. In alcuni casi
diventa addirittura impossibile urinare, nonostante i ripetuti
tentativi, con conseguente ritenzione acuta d’urina. Può
essere inoltre presente dolore in sede perineale o lombare.
I sintomi della prostatite cronica sono più sfumati: dolore o
“sensazione di peso” in sede perineale, dolenza uretrale,
spontanea o successiva al rapporto sessuale.
Più raramente o episodicamente sono presenti disturbi
della minzione: minzioni frequenti o notturne, modesti
bruciori menzionali.
La diagnosi
In caso di prostratite acuta la prostata si presenta di
dimensioni normali, con consistenza variabile ( molliccia,
normale o lievemente indurita). L’unico modo per
diagnosticare una prostatite è, quindi, la visita da uno
specialista che effettuerà l’esplorazione rettale.
La palpazione può comportare la fuoriuscita del meato
urinario di alcune gocce di secrezione biancastra o
giallastra. Ma sintomi più vaghi possono essere ugualmente
rivelatori: i dolori testicolari ricorrenti, i bruciori minzionali
fino all’Incontinenza Urinaria, la microematuria persistente
e I’emospermia (fuoriuscita di sperma misto a sangue).
Quest’ultima spesso si associa alla presenza di Calcificazioni
della Prostata.
In caso di prostatite acuta ogni ulteriore accertamento
viene rinviato a dopo la risoluzione del quadro clinico
acuto, in quanto la gravità della sintomalogia richiede un
trattamento tempestivo.
La diagnosi di prostatite cronica richiede invece un
approfondimento diagnostico per consentire la scelta
del trattamento più adeguato. Vengono Generalmente
eseguiti esami microscopici e colturali della secrezione
prostatica, del liquido seminale e delle urine. Questi esami
hanno lo scopo di identificare la presenza di batteri e
di altri microrganismi che possono essere responsabili
dell’infezione. L’esecuzione dell’antibiogramma consente
di scegliere l’antibiotico più efficace contro ciascuno dei
germi identificati. Le indagini possono essere completate
con I’esecuzione di un esame ecografico transrettale
dell’apparato urinario e della prostata per valutare
l’eventuale presenza di altre patologie che possono
comportare disturbi simili a quelli della prostatite o che
possono favorire l’insorgenza dell’infezione prostatica.
Attenzione: la raccolta delle urine, della secrezione,
prostatica e del liquido seminale deve essere fatta usando
gli appositi recipienti sterili.
La prostata è costituita da numerose piccole ghiandole
separate da sottili fibre muscolari. Per la sua sede e le sue
funzioni, la prostata è coinvolta in due importanti funzioni
22
prostata(viaascendente).Inquestocasoèfrequentemente
associata un’infezione dell’uretra (uretroprostatite).
- Il reflusso di urina
In altri casi la prostatite può essere causata da reflusso di
urina infetta negli sbocchi delle ghiandole prostatiche,
provocato da concomitanti alterazioni patologiche
dell’uretra o della prostata.
- La diffusione dal retto
L’infezione può raggiungere la prostata per diffusione
diretta o linfatica dall’ultimo tratto dell’intestino (retto), che
è immediatamente adiacente alla prostata.
Lastitichezzaostinataoleinfezionisonoifattoripredisponenti
per questa modalità di trasmissione dell’infezione.
- La via ematica
Più raramente l’infezione può propagarsi direttamente
alla prostata a partire dal circolo sanguigno, come
conseguenza di un’infezione acuta in un’altra sede
corporea (infezioni respiratorie, ascessi dentari, ecc.).
Le prostatiti possono essere causate da batteri o da altri
microrganismi o essere abatteriche. Le persone con
malattie croniche (diabete) o debilitanti sono più esposte
alle infezioni prostatiche, come d’altra parte ad ogni altro
tipo d’infezione.
Prostatosi, la prostatite abatterica
In alcuni casi non è possibile dimostrare la presenza di batteri
o di altri microrganismi infettivi. Quest’ultima condizione
patologica viene definita prostatite abatterica o prostatosi.
In questi casi si può sospettare la presenza di un’infezione
causata da una quantità molto bassa di microrganismi
(bassa carica batterica), quindi difficilmente identificabile
con i comuni mezzi diagnostici. In altri casi l’origine di
questi disturbi può essere ricercata in cause non infettive
che comportano una congestione acuta della prostata
(accumulo di secrezione e ristagno di sangue) dovuta a
prolungata astinenza sessuale o prolungata eccitazione
sessuale senza sfogo, alla pratica del coito interrotto, a
ripetuti microtraumi in regione pelvica (bicicletta), a grave
stitichezza o emorroidi.
L’epididimite
Le infezioni prostatiche possono talvolta propagarsi lungo
le vie seminali fino a raggiungere I’epididimo, un piccolo
organo immediatamente sopra il testicolo. L’infezione
dell’epididimo, o epididimite, monolaterale o bilaterale,
può essere una fastidiosa complicanza, immediata o
tardiva delle prostatiti. In caso di prostatite acuta, anche
l’infezione dell’epididimo ha caratteri acuti (epididimite
acuta); violento dolore testicolare associato a febbre
elevata e ad un rapido ingrossamento dell’epididimo che
diventa indistinguibile dal testicolo, fino a formare una
massa dolentissima di dimensioni doppie o triple rispetto a
quelle originarie del testicolo.
La prostatite cronica può associarsi invece ad un’infezione
dell’epididimo con caratteri più sfumati (epididimite
dell’apparato genitourinario maschile: I’eiaculazione
e la minzione. Durante I’eiaculazione il secreto delle
ghiandole prostatiche viene emesso nell’uretra, dove
si miscela con il liquido seminale proveniente dai dotti
deferenti e dalle vescicole seminali prima di essere espulso
all’esterno. Dall’altra parte l’aumento volumetrico della
ghiandola prostatica può causare una deformazione o
una compressione del tratto prostatico dell’uretra che può
ostacolare l’emissione di urina durante la minzione.
L’infezione della prostata
La ghiandola prostatica è suscettibile ad infezioni come altri
organi del nostro corpo. Le infezioni prostatiche (prostatiti)
sono molto rare nel bambino e nell’adolescente mentre
sono relativamente frequenti nel giovane e nell’adulto.
Nell’anziano possono associarsi alla presenza di ipertrofia
prostatica.
Le possibili vie dell’infezione sono di diverse entità:
- Il contagio sessuale
I microrganismi causa dell’infezione, spesso a seguito di
un contagio sessuale, possono risalire l’uretra, penetrare
negli sbocchi delle ghiandole prostatiche e raggiungere la
22
23
cronica): dolenzia inguinale o testicolare con modesto
sviluppo di volume dell’epididimo che si presenta
lievemente aumentato di consistenza e modicamente
dolente alla palpazione. Talvolta la comparsa di sintomi
dolorosi inguinali e testicolari costituisce la prima o unica
manifestazione della prostatite cronica. Evitare sport o
altre attività che possono provocare traumi del perineo
(bicicletta, motocicletta, ecc.). Evitare lunghi periodi
alla guida di autoveicoli e intervallare una giusta attività
motoria con brevi passeggiate per riattivare la circolazione
delle gambe e del bacino; svolgere un’attività sessuale
regolare, senza eccessi o periodi prolungati di astinenza.
Trattamento farmacologico
Il trattamento della prostatite
acuta è basato sull’impiego
tempestivo degli antibiotici.
Trovano comune impiego,
in questi casi, antibiotici ad
ampio spettro, cioè attivi su
diverse specie batteriche.
Il trattamento deve avere
una durata di almeno 10-14
giorni. Superata la fase acuta,
è consigliabile eseguire gli
esami microscopici e colturali
della secrezione prostatica che servono come guida per
la prosecuzione della terapia. In seguito lo specialista
valuterà l’opportunità di proseguire la terapia antibiotica
per altri 15-21 giorni.
In ogni caso è indispensabile seguire con il massimo scrupolo
la prescrizione del medico, sia per le dosi sia per i tempi
di trattamento, anche se i disturbi della prostatite sono
scomparsi. Nella fase acuta può essere inoltre necessaria
la somministrazione di farmaci antinfiammatori per ridurre
la sintomatologia dolorosa. È consigliabile il riposo assoluto
a letto, una dieta leggera e l’assunzione di abbondanti
quantità di liquidi. Il trattamento della prostatite cronica è
più impegnativo.
È importante riuscire ad identificare l’agente dell’infezione
per poter selezionare l’antibiotico più efficace (terapia
mirata). Ovviamente anche in questo caso è indispensabile
seguire con il massimo scrupolo la prescrizione del medico
poichè trattamenti troppo brevi, anche a dosaggi pieni
,possono favorire le ricadute. Nei casi in cui non è possibile
identificare alcun agente infettivo, si ricorre ad una serie
di provvedimenti intesi a ridurre i disturbi e a rimuovere i
possibili fattori predisponenti. In alcuni casi può essere
consigliato l’impiego di farmaci che favoriscono lo
svuotamento della vescica. I semicupi o i bagni caldi sono
spesso assai efficaci nel dare sollievo alla sintomatologia.
Adottare uno stile di vita sano
Un utile completamento a questi provvedimenti può
essere l’adozione di uno stile di vita regolare sulla base
di alcune semplici regole: consumare pasti possibilmente
caldi, ad orari regolari ed in condizioni di tranquillità;
passeggiare e praticare attività
sportive rilassanti ( nuoto, corsa
moderata, ginnastica a corpo
libero, ecc.).
Le norme dietetiche sono
volte a ridurre I’irritazione
dell’intestino ed evitare il
ristagno di feci, condizioni che
provocano alterazioni della
circolazione dei vasi emorroidi
che si riflettono sul circolo
prostatico.
È indispensabile evitare o ridurre
drasticamente il consumo di cibi piccanti (contenenti
pepe, peperoncino e spezie varie), di cioccolata e di
caffè. Anche l’assunzione di alcolici (vino e birra compresi)
deve essere rigidamente limitata.
La funzione intestinale deve essere regolare. Le feci
devono essere evacuate tutti i giorni, ricorrendo, in caso
di stitichezza, all’abbondante assunzione di liquidi e
di alimenti ricchi in fibre vegetali (pane integrale o di
segale, verdure cotte a foglia larga, spinaci, frutta cotta)
o all’impiego di lassativi cosiddetti di “massa” a base di
agar, crusca o altre fibre vegetali. Nei casi di stitichezza più
ostinata è consigliabile l’assunzione di sostanze ad azione
lubrificante (olio di oliva o di vasellina) o di supposte di
glicerina. In presenza di emorroidi infiammate, prolassate
o sanguinanti, sarà opportuno interpellare uno specialista
per le cure specifiche del caso. In questi casi è comunque
sempre consigliabile un’accurata igiene locale dopo ogni
defecazione e l’impiego di pomate ad azione analgesica
ed antiedemigena (preparati antiemorroidari).
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prevenzione” una selezione dei contenuti che hanno riscontrato maggior
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L’importanzadella prevenzione
24
a cura di
NIcoletta MelePet therapy:
un grande beneficio per la salute
La PET-THERAPY è una terapia che si avvale dell’aiuto degli
animali, sviluppata attraverso l’interazione tra l’uomo e
l’animale domestico. Alla sua base c’è il rispetto di tutti gli
esseri viventi che intervengono.
La terapia è sbarcata in Italia negli anni ’90 con alcune
pubblicazioni, come quella del 1992 di Marzia Giacon
che ha scritto Pet therapy: psicoterapia con l’aiuto di
Amici del mondo animale e nel 1995 Giovanni Ballarini,
docente di Veterinaria a Parma, scrive “Curarsi con la pet-
therapy”. Il primo corso di pet-therapy si è svolto a Roma
nel giugno 1995, promosso dal Centro di Collaborazione
OMS/FAO per la Sanità Pubblica veterinaria, dall’Istituto
Superiore di Sanità di Roma, dal Servizio veterinario Roma
D e dall’associazione Scuola Viva di Roma. Il main lecturer
è stato il prof. Dennis Turner.
Oggi la pet therapy è un fenomeno in crescita tanto che
è oggetto di ricerca presso l’Istituto Superiore di Sanità,
NECO Neuroscienze Comportamentali, ed è ormai
diffusa in tutto il territorio nazionale con molta richiesta
di interventi. Per saperne di più, abbiamo intervistato
la dottoressa Clotilde Trinchero,
Direttore scientifico e docente presso
IUSTO Scuola Superiore di Formazione
Rebaudengo di Torino specializzata
in neuroanatomia funzionale, pet
therapy ed etologia. La dottoressa
Trinchero è anche socia fondatrice
e presidente di A.S.SE.A. ONLUS,
un’associazione che si avvale dei
principi della pet-therapy per svolgere la sua attività in
ambito sanitario e socio-assistenziale. Lo scopo è quello
di ottenere e valorizzare i benefici fisici e psichici derivanti
dalla vicinanza di animali da compagnia in soggetti che
vivono forme di disagio.
Dottoressa, che cos’è la pet therapy? Quali sono i principali
benefici per la salute?
“La pet-therapy (“pet” è letteralmente l’animale domestico
da “accarezzare”) si riferisce all’impiego degli animali
come coadiuvante alla terapia di malattie degli esseri
umani. E’ dall’era preistorica che l’uomo ha sperimentato il
beneficio del rapporto affettivo instaurato con gli animali,
ma è dal ‘900 che la psicologia ha dimostrato come gli
animali possano essere considerati “guaritori dell’anima”,
attraverso la loro capacità di modulare positivamente lo
stato psico-affettivo, socio-comportamentale ed emotivo-
sensoriale dell’individuo. Teorizzata in particolare negli anni
‘60 da Boris Levinson, psicologo dell’infanzia, la terapia con
gli animali è stata w
Il termine pet-therapy in Italia e in Francia ha procurato
equivoci e disaccordi. Negli ultimi tre anni, perciò, nei
due Stati, è stato riformulato in maniera tale che siano
soddisfatte le varie esigenze delle diverse figure professionali
interessate a tale disciplina scientifica. In Francia è stata
adottata la locuzione – Mediation Animal, in Italia, invece,
Interazione Assistita da Animali (IAA).
Il termine anglosassone pet-therapy, per ora, è adottato
per specificare la terapia vera e propria con la mediazione
di animali domestici cioè la TAA.
Gli Interventi Assistiti da Animali sono l’insieme di:
programmi di Attività Assistita da Animali - AAA a
scopo ludico e ricreativo, finalizzati al miglioramento
della qualità della vita e costituite da incontri e visite
di animali da compagnia, a persone in strutture di vario
genere; programmi educativi – EAA – Educazione
Assistita da Animali, progetti pedagogico-ricreativi, rivolti
principalmente ai bambini in età prescolare e scolare,
nel periodo in cui essi aumentano la partecipazione e la
socializzazione in tutte le attività di relazione e maturano
i processi cognitivi. Gli animali agiscono come elemento
catalizzatore dei comportamenti, favoriscono una stabilità
affettivo-emozionale, contribuiscono a sviluppare il senso
di responsabilità e una corretta
organizzazione comportamentale.
Infine, vi sono le Terapie effettuate
con l’ausilio di animali - TAA - attività
terapeutichevereeproprie,finalizzate
a migliorare le condizioni di salute
di un paziente mediante specifici
esercizi. Integrano, rafforzano e
coadiuvano le terapie normalmente
effettuate per ogni tipo di patologia. Possono essere
impiegate con l’intento di migliorare alcune capacità
mentali (memoria, pensiero induttivo), comportamentali
(controllo dell’iperattività, rilassamento corporeo,
acquisizioni di regole in pazienti psichiatrici), psicosociali
(miglioramento delle capacità relazionali, di interazione),
psicologici in senso stretto (trattamento della fobia
animale, miglioramento dell’autostima), rallentamento
di alcune patologie cronico-degenerative (Alzheimer,
sclerosi multipla), riabilitazione post trauma-cranico, ictus
e prevenzione (diabete, malattie metaboliche, patologie
cardiocircolatorie). Dal punto di vista scientifico su 10 studi,
9 riportano benefici molto importanti.
Ad esempio, in uno studio condotto da me e dal dott. Carlo
Buffa, (Esperienze di fisio-pet-terapia nei traumi cranici, Centro
Incontri della Regione Piemonte, Torino – 7 dicembre 2012) è
stata elaborata una valutazione statistica dei miglioramenti
di alcune persone affette dai postumi di traumi cranici, dovuti
proprio all’impiego di TAA strutturate soggettivamente. I
pazienti,chenonavevanoulteriorimiglioramentidacircadue
anni, pur in costante terapia riabilitativa, hanno evidenziato
un fortissimo miglioramento determinato dalla mediazione
animale. Questo lavoro è stato anche esposto a EXPO 2015
nella giornata dedicata ad A.S.SE.A il 17 luglio”.
25
in evidenza
26
In cosa consiste la terapia? Come si svolgono le sedute?
“La mediazione animale si esprime attraverso diverse
modalità di intervento sui pazienti; la scelta della specie
animale e la tipologia di contatto con l’animale stesso è
valutata dallo specialista. Per esempio, la cura per una
patologia può richiedere l’intervento di animali diversi
per specie, taglia o colore, attraverso la valutazione delle
caratteristiche del paziente stesso. Per la riabilitazione
post ictus, gli esercizi fisioterapici sono, a prima vista,
motori, ma l’animale agisce anche a livello psichico del
paziente, favorendo la produzione di neurotrasmettitori e
ormoni che predispongono a pensieri e volontà positivi. La
memoria può essere sollecitata o mantenuta vivace con
esercizi statici nei quali è l’animale che suscita l’interesse
nel paziente. L’animale non giudica e rasserena. Abbiamo
raggiunto dei grandi risultati durante le terapie svolte con
pazienti in Coma Minimamente Responsivo ricoverati
presso una RSA. La mediazione animale si esprimeva
attraverso un prolungato contatto fisico, dapprima
guidato dal pet-terapista e, in alcuni di essi, poi svolto
dal paziente stesso. Due persone paralizzate da qualche
anno, hanno iniziato a muovere volontariamente le mani
e le braccia, riacquistato espressione facciale e rivolto
sguardi coscienti agli operatori. E’ drasticamente mutato
in tal modo anche l’atteggiamento degli operatori sanitari
che, pur avendo sempre lavorato con scienza e coscienza,
hanno migliorato e sensibilizzato il rapporto con il paziente,
sentendosi maggiormente gratificati.
Per quanto concerne lo svolgimento delle sedute nello
specifico, all’inizio sono di conoscenza e presentazione da
ambo i lati, l’uomo incontra l’animale e l’animale incontra
l’uomo. Si vedono e osservano le rispettive reazioni ed
effettuanoleopportunevalutazioni.Dopodichél’operatore
mostra determinati gesti che poi sarà il malato a compiere:
dare da bere o da mangiare al cane, spazzolarlo o soltanto
accarezzarlo. In questa fase l’operatore cerca di suscitare
nella persona malata il desiderio di compiere in prima
persona quelle determinate attività, ma lascia ben presto
all’animale il compito di mediazione. Nei casi di corretto
svolgimento del programma di IAA, è l’animale che
spontaneamente e cognitivamente compie atti, assume
atteggiamenti o si relaziona in modo tale da suscitare,
elicitare (to elicit), una risposta da parte dell’utente. Spesso
il pet-terapista coordinatore dell’incontro, cioè la figura
umana competente, assiste ed è attento osservatore dello
scambio comunicativo animale-uomo e nel momento
nel quale si presenta la risposta voluta, agisce in base alla
proprie competenze e alla propria sensibilità. La fiducia
nelle capacità e nelle possibilità dell’animale deve essere
completa. Man mano che gli incontri di pet therapy
procedono, emerge nel paziente l’aspetto più bello e
che dà maggiore soddisfazione: si “riapre” al mondo. Tra
gli obiettivi primari della pet-therapy c’è proprio quello di
riuscire a ‘fare breccia’ nella persona attraverso l’animale”.
Quanti e quali sono i modelli?
“Ci sono i modelli educativi, che coinvolgono i bambini
che vanno dall’età della scuola materna fino alle media.
Sono compresi, tra i tanti, interventi contro il bullismo e
l’educazione sessuale (tra i metodi educativi che danno
i migliori risultati per l’educazione sessuale e insegnano il
rispetto, portandolo a essere un concetto strutturante
la personalità del bambino, vi è proprio la EAA. Si può
insegnare che dare piacere è fonte di piacere stesso.
La violenza è fonte di disagio e disgregazione della
personalità). Sono “educativi” proprio perché educano al
rispetto dell’altro. Gli animali utilizzati sono il cane, il gatto,
i conigli e l’asino.
Poi ci sono le attività assistite, ne usufruiscono gli anziani sia
in fase di soggiorno diurno, sia in strutture sanitarie che in
case di accoglienza. Si svolgono attività di memorizzazione
e socializzazione. Questa è l’attività più svolta (40% in Italia
di residenze per anziani usufruiscono di questa attività con
i volontari). Infine c’è la terapia, sempre condotta su un
singolo utente. Il medico di base fa la diagnosi e prescrive
la terapia con l’animale affidato a un pet-terapista e ne
controlla lo svolgimento”.
Sono più gli anziani o i bambini che svolgono questo tipo
di terapia?
“Al momento attuale sono bambini fino ai 12 anni e le
persone anziane dai 65 anni in su. E’ applicata in ambito
scolastico soprattutto nei soggetti diversamente abili e
nelle Residenze Sanitarie per anziani. I progetti di A.S.SE.A
si rivolgono a bambini molto piccoli, a partire dai 2 anni e
mezzo e alla popolazione che soffre di alcune patologie
croniche che si manifestano a età diverse, dai 35 anni in
poi, ma prevalentemente dopo i 60 anni”.
Lei è docente e Direttore Scientifico presso il Master in pet-
therapy e qualità della vita della IUSTO, Scuola Superiore
di Formazione Rebaudengo di Torino, socio fondatore
27
e presidente di A.S.SE.A ONLUS, di cosa si
occupa l’Associazione? Quali sono le vostre
attività?
“Ho iniziato a lavorare alla pet-therapy
durante il dottorato di ricerca a Cambridge,
UK nel 1992. Sono socia fondatrice
dell’Associazione A.S.SE.A e ho elaborato
dei test che hanno lo scopo di, per prima
cosa, rilevare e prendere coscienza delle
attitudini e delle capacità intrinseche e
soggettive di un animale, per tutte le specie
che ci forniscono ausilio. Se l’animale rivela
attitudini e capacità che possono esprimersi
nelle attività di pet-therapy, consigliamo
un’educazione adeguata. Se hanno
propensione a una qualunque diversa
attività, consigliamo educazioni confacenti,
su diversi fronti, che diano soddisfazione
all’animale e anche al conduttore stesso.
Per questo abbiamo realizzato figure di
sostegno agli operatori di pet-therapy, che,
formando un binomio affiatatissimo con il
proprio animale, sono in grado di aiutarci.
E’ stato poi elaborato un test per fornire un
ausilio, utile a definire un animale da IAA.
A.S.SE.A esegue alcuni metodi educativi, di
prevenzione e cura di alcune patologie.
Ho studiato il rapporto del 2012 sulle
condizioni sociali degli anziani in Italia a
cura dell’associazione Auser. Il rapporto ha
preso in considerazione le tre categorie di
malattie che più colpiscono le persone in età
avanzata quali: il diabete che colpisce il 13%
dei giovani-vecchi e il 20% negli anziani con
più di 74 anni; le malattie cardiovascolari, gli ultra75enni
malati sono il 18% del totale e l’osteoporosi affligge il 45%
tra le donne con più di 75 anni. Sulla base di questi dati ho
elaborato il Metodo Healthy Dog Walk, presentato a EXPO
2015.
Questo metodo, che coniuga il fitwalking al dog walking
con i criteri degli TAA, è rivolto ai pazienti affetti dalle tre
categorie di malattie rilevate, cardiopatici, diabetici,
con osteoporosi e altri come ipertesi, affetti da malattie
metaboliche, forme reumatiche e artritiche e da due
forme neoplastiche, una prettamente femminile e una
coinvolgente entrambi i sessi. Il Metodo Healthy Dog Walk
sta dando buoni risultati su pazienti in forte sovrappeso,
in attesa di intervento chirurgico, tonificando per intero il
fisico e facendo calare in percentuali ragionevoli, il peso
corporeo in modo fisiologico quel tanto da rendere più
affrontabile l’intervento”.
Il vostro è un lavoro di equipe?
“Certamente, è essenziale lavorare in gruppo. Sono
almeno 4 le figure coinvolte e componenti due equipe:
un’Equipe Prescrittivo Progettuale e una Operativa. L’Equipe
Prescrittiva è composta da un medico che prescrive, da
un’etologo che valuta quale specie e/o quale soggetto
all’interno di una specie risulta essere il miglior mediatore,
da un pet-terapista che valuta cosa chiedere all’animale
per l’interazione con l’uomo e valuta la relationship
avvenuta e quali esiti ha prodotto; l’Equipe Operativa, è
composta da un pet-terapista e/o da un coadiutore od
operatore e il conduttore dell’animale che applicano le
disposizione indicate e salvaguardano il benessere del
paziente e dell’animale. Prendiamo come esempio una
persona con problemi di mobilità a un arto superiore quale
esito di ictus. Il pet-terapista etologo, su richiesta del fisiatra,
valuta quale tra la specie equina, asino o cavallo, la specie
canina, la felina o la lagomorfa (n.d.r. conigli) risulta essere
la più idonea a sollecitare risposte cognitive e motorie nel
paziente. Scelto l’animale, il pet-terapista o fisioterapista
esperto operatore di IAA e il conduttore dell’animale stesso
(equipe operativa) propongono esercizi ad hoc che tale
animalesaevuolesvolgere,alfinedisollecitareilmovimento
volontario dell’arto immobile. Il modo in cui l’animale
svolge l’esercizio al quale è stato educato, è lasciato
libero all’animale stesso. L’animale fa movimenti, indirizza
lo sguardo direttamente agli occhi del paziente, assume
posture tali da invitare il paziente a reagire. Il paziente
reagisce sempre a tali scelte comunicative e la risposta
è incredibile. Ecco il punto cardine della TAA: è l’animale
che elicita (mi permetta il termine inglese), cioè tira fuori,
28
provoca, suscita, una reattività tale da provocare la prima
risposta neuromotoria che in potenza esisteva nel paziente.
Quest’ultimo, spesso, dapprima non ne è consapevole. La
gioia e la soddisfazione che trapela negli occhi o nelle
espressioni verbali del paziente quando si rende conto di
avere mosso l’arto in modo congruo e finalizzato, quando
pochi secondi prima e per lunghi mesi non era stato più in
grado di farlo, è incomparabile. L’animale come risponde?
Nel suo impegno ci mette ancora più vigore e manifesta
contentezza: se è un cane, c’è un forte dimenar di coda
e l’arrivo di una leccata, se è un gatto si sentono fusa
profonde e veloci, se è un asino, un testone va a toccare
la spalla del paziente. Il setting di IAA è un luogo nel quale
gli operatori si trovano a svolgere i propri compiti ed è ricco
di emozioni e sollecitazioni positive. Gli esercizi si fanno via
via più complessi. L’impegno dell’animale è grande e la
preparazione per arrivare a certi risultati è lunga, ma è in
grado di raggiungere l’obiettivo scientemente prefissato.
E’ una fisioterapia che abbiamo definito integrata IAA”.
Quali animali sono stati studiati per
la terapia?
“Gli animali che maggiormente
coinvolgiamo nella terapia sono
quelli domestici come cani, gatti,
conigli, anche i cavalli (si parla
allora di ippoterapia e riabilitazione
equestre) e gli asini”.
Perché la scelta di animali
domestici?
“A differenza di quelli selvatici,
possono essere facilmente
coinvolti in un’attività relazionale.
E’ una norma internazionale, non vi
rientrano altri tipi di animale perché il rapporto con l’uomo,
instaurato con l’ addomesticazione millenni di anni fa, è
tale da salvaguardare la dignità dell’animale. Il caso in cui
un selvatico sembri idoneo, non deve fare eccezione alla
regola. Non si può essere sicuri che l’animale tolleri tutte
le situazioni che gli si possono presentare e si creerebbero
precedenti pericolosi. Inoltre, gli animali non domestici
non possono essere portati nelle strutture mediche a
salvaguardia della loro e della nostra salute.
Negli IAA, perciò, sono d’ausilio esclusivamente le specie
domestiche che hanno, per coevoluzione, affinità alla
convivenza con l’uomo e ne accettano il contatto. Anche
l’ausilio di un cetaceo come il delfino è stato messo in
discussione. I centri che lavorano con etica di salvaguardia
del benessere della specie, lavorano in mare aperto.
L’unico centro presente nel Mediterraneo è il Dolphin Reef
di Eilat in Israele”.
Con l’associazione seguite più uomini o donne?
“Non c’è una sostanziale differenza, sono poco più gli
uomini post ictus che seguono la terapia con cane, gatto,
cavallo”.
L’Italia è il paese più longevo dell’Unione Europea con
la maggiore percentuale di ultraottantenni. L’indice di
vecchiaia è di 148,6 anziani ogni 100 giovani (Istat 2103) e,
per promuovere il benessere dell’anziano, i 53 Stati Membri
della Regione Europea dell’OMS, hanno concordato una
comune nuova politica sanitaria di riferimento: Salute 2020,
Health 2020. A tal proposito, è quindi necessario valutare
non solo la salute fisica della persona anziana, ma anche
tutte le altri differenti dimensioni, quali la sfera cognitiva,
quella sociale, emotiva, affettiva, ambientale e funzionale.
“Gli Interventi Assistiti con Animali (IAA) - ha spiegato la
dottoressa Trinchero - possono in gran parte rispondere
a queste esigenze, in quanto consentono alla persona
anziana di essere stimolata e aprirsi verso l’esterno. Sono
molteplici i benefici, avvalorati da numerosi studi, sia a
livello fisico-motorio (riduzione della pressione sanguigna,
regolazione della frequenza cardiaca e stimolazione del
movimento) sia a livello cognitivo, comportamentale e
psicologico (miglioramento delle capacità di attenzione
e di memoria, miglioramento
del tono dell’umore e riduzione
della depressione, aumento
dell’autostima e del senso di
benessere e riduzione del senso di
solitudine)”.
Per gli anziani, quali sono gli
animali che vengono più coinvolti
nella terapia?
“Generalmente cani o gatti
perché accendono i ricordi e la
persona è più stimolata ad andare
verso quel determinato animale.
È più stimolato all’approccio. In
genere però, rimangono più attivi
nel lavorare con il cane. Prima del suo arrivo c’è una totale
apatia verso ambiente esterno e le persone presenti;
l’atteggiamento cambia quando arriva l’animale”.
Con quale tipo di pazienti si sono ottenuti i migliori risultati?
“Riabilitazione post ictus, stati di minima coscienza,
alcune patologie metaboliche, neurologiche (Alzhaimer)
e psichiatriche e, soprattutto, nella fascia di patologie
pediatriche, sindrome della sfera autistica e alcune
sindromi neuromotorie. Per ognuna di queste patologie
è ormai presente un’ importante referenza scientifica,
soprattutto internazionale”.
Può raccontare qualcuno dei successi raggiunti?
“Ricordo con orgoglio il caso del cane Lester, un meticcio
preso in canile che ha fatto un miracolo vero e proprio
con una persona in stato di minima coscienza. Il paziente
non parlava, completamente allettato. Nella fase iniziale,
le mani del paziente sono state poste sul cane, sul torace
per farne avvertire il respiro sul suo respiro, sul suo cuore,
una volta la settimana. Alla quarta seduta abbiamo rivolto
29
30
è di fondamentale importanza per il malato di Alzheimer
(come per altri malati) e questo tipo di terapia è basata
fondamentalmente sul piacere e sull’aver voglia di ‘fare’.
La pet-therapy offre al malato una leva motivazionale
fortissima. Emerge il piacere di conoscere l’animale, il
piacere di trascorrere del tempo in sua compagnia, il
piacere di accarezzarlo e giocare. Un altro aspetto è
quello emozionale, perché l’animale crea intorno a se’
un clima di grande affettuosità e gioia, un’atmosfera
distesa e serena aiuta molto il malato di Alzheimer. Si
verifica rilassamento corporeo e diminuzione dell’irritabilità
apportando beneficio a livello psichico. Ad oggi si stanno
scoprendo i meccanismi fisiologici che portano a tali
benefici psicofisici, come l’aumento di produzione di
ossitocina stimolata dal contatto visivo uomo-cane”.
Oltre che a livello relazionale, il rapporto uomo-animale
dona al malato di Alzheimer altri benefici?
“I maggiori benefici sono a livello relazionale ed
emozionale, ma grazie al rapporto con l’animale, il
paziente malato di Alzheimer ricorda esperienze del
proprio passato legate al contatto con un altro cane o un
gatto ed è maggiormente disposto al dialogo, parla con
più facilità, quindi i miglioramenti riscontrati sono numerosi
Risultati registrati durante un’esperienza trimestrale di fisio pet-therapy
al paziente delle domande specifiche sugli animali che
incontrava, il cane e il gatto, del tipo: “Mario, hai mai avuto
dei cani?” Senza alcun preavviso ha emesso vocalmente
parole perfette come “sì”. “Preferisci cane o gatto?”,
lui ci ha risposto cane. Siamo rimasti un attimo attoniti e
senza parole. Ricordo che il paziente non si esprimeva
vocalmente da 4 anni. Il cane sin da subito ha assunto degli
atteggiamenti spontanei per stimolare questa persona.
La cosa sbalorditiva è vedere questi animali che hanno
una sensibilità con la persona con cui sui rapportano che è
particolare, capiscono l’esigenza della persona, l’umore e
si sanno rapportare di conseguenza.
Un secondo esempio è quello riferibile a una ragazza con
esiti da coma minimamente responsivo per un incidente
stradale, con tetra paresi spastica e impossibilitata a
parlare, stabile da tre anni, che dopo solo un mese e mezzo
di TAA ha incominciato a diminuire lo stato spastico, ha
riacquistato poi il controllo del tronco inferiore, a utilizzare
in modo congruente la mano destra e ad articolare
scientemente. La festa per il suo 26° compleanno, dopo
tre mesi di terapia, è stato un vero e proprio evento con
lei protagonista, coinvolta in risate e coccole da parte
della grande Karina, la cagna IAA che l’ha letteralmente
riportata alla vita. Il particolare più clamoroso è avvenuto,
però, nei primi due secondi di TAA. Ero stata avvisata
che la paziente non poteva essere toccata da estranei.
Accettava solo due persone di famiglia e si esprimeva con
crisi ipertoniche. Al primo incontro, Karina si è avvicinata
spontaneamente a lei e le ha leccato una mano.
Istintivamente io gliel’ho asciugata passando la mia mano
sulla sua. Resami conto di averla toccata, le ho chiesto
scusa e lei mi rivolto un grande sorriso. Due secondi dopo
le ho chiesto: “ti piace Karina?” Mi ha risposto muovendo
le labbra “SI”. “Ti posso prendere la mano per aiutarti ad
accarezzare Karina? “Si”.
Un ulteriore caso è riferibile a una bambina di 5 anni affetta
da disturbo di stress post traumatico, con esiti in fobia
per gli animali. E’ completamente guarita in sei mesi di
terapia soggettiva. Lei stessa ha chiesto ai propri genitori di
adottare un gattino per avere un amico sempre con se’ “.
Oggi continuano a fare progressi?
“Sì, in tutti e tre i casi”.
In che modo l’interazione tra essere umano e animale
aiuta il malato di Alzheimer?
“I lavori scientifici effettuati dimostrano un rallentamento
dell’evoluzione della malattia. Il contatto e lo scambio
emozionale che avviene tra uomo e animale è molto
particolare e profondo, sicuramente differente dai
comuni rapporti tra gli esseri umani. Si differenzia tanto
sul piano emotivo, occupazionale e soprattutto crea un
coinvolgimento molto forte. Molte persone malate di
Alzheimer tendono a chiudersi in se stesse a causa della
perdita progressiva delle capacità cognitive e il rapporto
che si instaura con un animale dà loro modo di ‘riattivarsi’,
esternare emozioni, migliorare l’umore e la qualità della
vita quotidiana. Uscire dallo stato apatico e depressivo
31
e importanti. Non dimentichiamoci che nei ricordi infantili
di tutti noi sono presenti animali, sia reali, come il cane, il
gatto o il coniglietto, oppure immaginari, come gli animali
che popolano le favole, i racconti, i cartoni animati,
per non parlare dell’animale di peluche che ci faceva
compagnia nel lettino...Questo per dire che l’animale, in
ogni sua ‘forma’, accompagna il bambino durante i primi
anni di vita e anche oltre. L’anziano colpito da Alzheimer
ha la memoria recente distrutta, ma grazie alla terapia
vede stimolata la memoria antica e questo flusso di ricordi
lontani, sono un bagaglio emozionale estremamente
prezioso nel momento in cui viene esternato, raccontato,
trasportato dal mondo interiore al mondo esteriore.
Un’ulteriore considerazione è che l’azione del ricordare è
di per se’ terapeutica, perché il grande cruccio del malato
di Alzheimer è non riuscire a ricordare, questo impedimento
crea in lui forte ansia e malessere. Nelle pubblicazioni
scientifiche viene riportato un altro importante risultato:
l’interazione con l’animale è in grado di ridurre l’agitazione
e l’aggressività”.
Essere padrone di un cane può aiutare la persona malata
di Alzheimer a sentirsi utile, a compiere azioni quotidiane
per il benessere dell’animale?
“Assolutamente sì, a condizione che i familiari possano
accudire il cane”.
Con Expo 2015 ci sono state delle novità in merito alla pet-
therapy, quali?
“Il 17 luglio scorso A.S.SE.A è stata presente a EXPO 2015
per presentare la III edizione del Master “Interventi Assistiti
da Animali e qualità di vita” e alcune altre sue attività
portate al successo.
E’ stato esposto lo stato dell’arte in Italia, la confusione
terminologica e le diverse norme delle Regioni sulle figure
professionali che hanno competenza in pet-therapy e
infine le difficoltà del reperimento di contributi per poter
sostenere i diversi progetti. In alcune regioni è previsto,
nel prossimo futuro, in caso di TAA, il rimborso delle spese
sostenute.
L’aumento della richiesta di interventi di ogni tipo AAA,
EAA, TAA denota la giusta sensibilità che il pubblico italiano
sta raggiungendo”.
Qual è il suo messaggio?
“Lasciamo che la natura possa esprimersi in noi. Ne siamo
parte, è nel nostro codice genetico ed abbiamo grosse
responsabilità quali esseri altamente senzienti. Gli animali
sono con noi, aiutano, avvisano, hanno cura dell’essere
umano. Ci riportano alla consapevolezza che siamo parte
e anche custodi dell’ambiente. Tutti insieme, animali e
uomini, siamo il mondo che si muove. Portiamo rispetto agli
animali e a noi stessi”.
Nessuna distinzione per numero di componenti della famiglia
Nessuna distinzione di età
Sussidi per Single o Nucleo famigliare
Detraibilità fiscale (Art. 15 TUIR)
Nessuna disdetta all’associato
Durata del rapporto associativo illimitata
Soci e non “numeri”
perché abbiamo scelto mba?
rimborso inteventi
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MBA si pone come “supplemento” alle carenze, ad oggi evidenti, del Servizio Sanitario
Nazionale.
L’innovazione dei Sussidi che mette a disposizione dei propri associati identifica da
sempre MBA come una vera “Sanità Integrativa” volta a migliorare la qualità di vita
degli aderenti.
Mutua MBA
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33
a cura di
Ivo Fiorelli
In questi ultimi anni si è verificata una notevole riduzione del
ricorso alla medicina omeopatica, riduzione avvertita dai
medici omeopati ben prima della conferma statistica: dal
15,8% della popolazione che nell’anno 2000 ha scelto di
servirsi di tale medicina non convenzionale, nell’anno scorso
lo ha fatto solo 8%.
Una motivazione è sicuramente la conseguenza della
crisi economica imperversante, che si riflette su pratiche
mediche non riconosciute, quindi non a carico del SSN,
ma questa non è l’unica causa, né la più importante, nella
crescente disaffezione a queste cure.
Il principio omeopatico, ovvero le cure tramite sostanze
naturali che inducono in un soggetto sano sintomi simili a
quelli presenti nei soggetti malati, è stato ideato nel XVIII
secolo dal medico tedesco Hahnemann, sulla base che ciò
che è “naturale” è buono e ciò che è “artificiale” è cattivo!
Però questo, in generale, non è vero: alcuni funghi, elementi
naturali, sono squisiti e altri, ugualmente naturali, sono letali,
il veleno del cobra è naturale, ma non si può dire “buono”,
quindioccorrefareledovutedistinzioni,distinguendociòche
è utile da ciò che è dannoso, procedendo con l’assunzione
di sostanze “naturali” utili assai diluite, in modo da assuefare
l’organismo alla loro presenza, sì che non lo avverta come
estraneo (insomma, una specie di mitridatismo).
La scienza medica ufficiale non ha mai accettato questa
forma di medicina, in mancanza di concrete prove e
verifiche sperimentali, malgrado una grandissima parte
degli utilizzatori di tale metodo curativo si sia dichiarato
soddisfatto dai risultati ottenuti, con il riconoscimento da
parte dell’OMS della pratica omeopatica.
Secondo Silvio Garattini, direttore dell’Istituto di ricerche
farmacologiche Mario Negri di Milano, vicepresidente del
Consiglio Superiore di Sanità in Italia e consulente dell’OMS,
l’Ordine dei medici avrebbe fatto un grave errore nel
consentirne l’incorporazione ai medici omeopati, in quanto
i medicinali omeopatici sono “letteralmente acqua fresca “,
poiché la diluizione con la quale vengono preparati i prodotti
omeopatici è tale che in essi spesso non vi sia neanche una
molecola del principio attivo su cui si dovrebbe basare la
cura.
Si tratterebbe quindi di un particolare “effetto placebo”
che riesce a dare risultati personalmente soddisfacenti
a un insieme di soggetti (si tenga presente che oltre la
metà di questi ha una età compresa fra i 55 e i 90 anni),
particolarmente sensibili più a fattori psicosomatici che
organici, anche se loro livello medio di istruzione è medio-
alto, quindi sia con maggior accesso a informazioni che a
cure generalmente più costose.
Oggi però, attraverso i mezzi di informazione più diffusi, e
di maggior ascolto, soprattutto in questi strati sociali, viene
illustrata una quantità enorme di nuovi farmaci, assai più
specifici per le singole patologie, a volte con accattivanti
spiegazioni dei motivi che li rendono particolarmente
indicati, e spesso gli stessi medici sono portati a proporne
l’uso: la scienza progredisce, ottenendo prodotti più mirati
ed efficaci, mentre i rimedi naturali no: sono 200 anni che
il metodo omeopatico non ha saputo migliorarsi né offrire
nuove soluzioni, soprattutto per affrontare nuove malattie.
Ciò viene ben percepito da chi è alla ricerca di un
miglioramento del proprio stato di salute, possibilmente
tempestivo.
Questi sono i veri motivi della diminuzione della fruizione
omeopatica: il mercato esistente, in diminuzione per ragioni
naturali, non trova ricambio nelle generazioni giovani, che
credono di più alla scienza (e ascoltano di più i media),
cercando maggiori sicurezze in farmaci tecnicamente e
scientificamente sperimentati.
L’omeopatia
ha un futuro?
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Health Online - 9

  • 1. Il periodico di informazione sulla Sanità Integrativa HEALTH settembre/ottobre 2015 - N°9 pet therapy: scoprire l’importanza di una disciplina in crescita in cui l’interazione tra uomo e animale è fondamentale per il miglioramento terapeutico di patologie più o meno gravi Panoramica sugli stili di vita e consigli dieta innovazione malattie rare in evidenza Chirurgia robotica mini- invasiva con “Da Vinci” “Personal Genomics”: medicina personalizzata di precisione Sindrome di Rett. La storia della piccola Sofia
  • 2. Coopsalute è una cooperativa che nasce dalla volontà di costituire un unico punto di incontro tra la domanda e l’offerta di prestazioni e servizi socio- sanitari-assistenziali. Peculiarità di Coopsalute è infatti quella di stipulare accordi e convenzioni con società di Mutuo Soccorso, Casse di Assistenza, Fondi Sanitari e Compagnie di Assicurazione da un lato e Cooperative, Società di Servizi e liberi professionisti dall’altro. Essere Cooperativa significa agire insieme per il benessere dell’ individuo e il miglioramento della qualità della vita, in un’ottica solidaristica e mutualistica. Il primo network italiano dedicato all'assistenza domiciliare e a tutti quei servizi pensati e costruiti intorno alle esigenze dell'utente. Coopsalute Soc. Coop. info@coopsalute.org www.coopsalute.org Nello scenario socio-economico attuale, riveste un ruolo sempre più di rilievo l’assistenza domiciliare, rivolta ad anziani, disabili, malati e a chiunque si trovi a vivere particolari condizioni di fragilità. Per agevolare il paziente e la sua famiglia in termini di confort e privacy, è importante che tale prestazione sia svolta nel rispetto e nel mantenimento delle massime condizioni qualitative e con assoluta professionalità. Coopsalute assicura tali peculiarità, mediante un’accurata selezione su tutto il territorio nazionale degli erogatori di tali prestazioni, per poter poi formulare pacchetti di prestazioni e servizi ad hoc, da offrire ai suoi convenzionati. Monitorandocostantementeilmercato e i suoi mutamenti e i cambiamenti dei bisogni della collettività, Coopsalute, plasmandosi attorno ad essi, riesce a fornireprestazionisempreinnovative e attuali garantendo anche il costante supporto della sua Centrale Salute H24. Coopsalute, convenzionata tra l’altro con oltre 20 Fondi Sanitari, casse di Assistenza e Società di Mutuo Soccorso, fruitori dei suoi servizi, intende proseguire la sua crescita, divenendo il principale punto di riferimento per tutti gli attori dello scenario socio-sanitario- assistenziale, il “regista” attraverso il quale le parti si incontrano, nel soddisfacimento di bisogni condivisi. 800 598 635 Centrale Cooperativa (riservato agli Assistiti) 06 90198069 info e ufficio convenzioni aderente A aderente B aderente C aderente D ade ade ade ade aderente A aderente B aderente C aderente D aderente A aderente B aderente C aderente D L'assistito si affida a Coopsalute per la propria esigenza sanitaria. Coopsalute si occupa di reperire, all'interno del suo network, le prestazioni richieste. L'assistito usufruisce del servizio adatto alle proprie necessità.
  • 3. Health Online periodico bimestrale di informazione sulla Sanità Integrativa Anno 2° settembre/ottobre 2015 - N°9 Direttore responsabile Ing. Roberto Anzanello Comitato di redazione Alessandro Brigato Manuela Fabbretti Nicoletta Mele Fabio Vitale Redazione e produzione Fabio Vitale Direzione e Proprietà HHG S.p.A. Via di Santa Cornelia, 9 00060 - Formello (RM) info@healthonline.it Tutti i diritti sono riservati. Nessuna parte può essere riprodotta in alcun modo senza permesso scritto del direttore editoriale. Articoli, notizie e recensioni firmati o siglati esprimono soltanto l’opinione dell’autore e comportano di conseguenza esclusivamente la sua responsabilità diretta. Registrazione del Tribunale Civile di Roma N° 29 del 10 Marzo 2014 ImPaginazione e grafica Giulia Riganelli Tiratura 89.310 copie Visita anche il sito www.healthonline.it potrai scaricare la versione digitale di questo numero e di quelli precedenti! E se non vuoi perderti neanche una delle prossime uscite contattaci via email a info@healthonline.it e richiedi l’abbonamento gratuito alla rivista, sarà nostra premura inviarti via web ogni uscita! Per la tua pubblicità su Health Online contatta mkt@healthonline.it HEALTH
  • 4. Le dinamiche che regolano il nostro consueto modo di vivere stannomodificandosiconunavelocitàelevatissima,èsufficiente pensare al tema delle comunicazioni (internet, smartphone, satellitari, etc,) od a quello dei sistemi di localizzazione (civile, militare, spaziale, etc.) per comprendere che tutto si sta modificando e che, con grande sforzo ed impegno, noi non possiamo che adeguarci. è anche però importante notare che le più significative scoperte scientifiche o tecnologiche avvengono solo quando in un determinato settore merceologico sono applicati concetti che determinano una vera e propria rivoluzione copernicana: al centro del sistema viene messa la persona con i suoi interessi. Ciò avviene quando non si progredisce per il semplice gusto di innovare scientificamente e tecnologicamente con azioni fini a se stesse bensì quando i nuovi strumenti nascono da un’esigenza dell’individuo e servono a soddisfare precise necessità dell’essere umano. Anche in campo sanitario le dinamiche stanno mutando ma, ancora oggi, la rivoluzione copernicana che mette l’individuo al centro di ogni interesse non ha ancora esplicitato tutti i propri effetti. Il ciclo della medicina è sempre stato storicamente basato e lo è tutt’ora sul percorso malato-cura-guarigione ove la massima concentrazione scientifica, tecnologica, medica ed economica è volta a sviluppare strumenti in grado di individuare sempre meglio e sempre prima il dettaglio di una malattia in corso per applicare il più rapidamente possibile cure sempre più mirate ed ottenere sempre più spesso elevate possibilità di guarigione. La mappatura del genoma umano ha aperto la strada anche ad un nuovo ed innovativo approccio determinato dalla possibilità di occuparsi del soggetto clinicamente sano per prevenire le malattie future, modificando il percorso tradizionale in un nuovo percorso dato da individuo-prevenzione-salute. Il tema è sicuramente di sicuro interesse per tutti noi e non può essere un’alternativa al percorso tradizionale, ma il nuovo percorso deve essere integrativo a quanto la medicina già normalmente fa. Certo esiste concretamente un problema di risorse economiche, tecnologiche ed umane che non possono essere distolte dal percorso tradizionale perché curare chi ha contratto una malattia rimane un dovere sociale prioritario. Però è proprio su questo punto che sanità pubblica e sanità integrativa possono esplicitare la massima sinergia ed una coerenza di insieme nell’interesse di ciascuno di noi. Uno Stato veramente sociale non può che prioritariamente occuparsi di chi ha problemi di salute applicando tutto l’impegno possibile per consentirne la guarigione, magari con differenti “sfumature” di intervento in funzione delle possibilità economiche di ciascun individuo, ove però la focalizzazione non può che essere la cura, alla quale è indispensabile destinare la maggior parte delle risorse disponibili. In concreto uno Stato che dia veramente valore alla vita dei propri cittadini non può che incentivare lo sviluppo delle cure con tecnologie sempre più precise, medicine sempre più mirate, servizi sempre più facilmente utilizzabili. Gli enti di sanità integrativa hanno il compito sicuramente di ampliare le possibilità di ogni singolo individuo in tale contesto, ma oggi possono e devono andare anche oltre. Infatti possono e devono concentrare parte dei loro sforzi sulla prevenzione, sulla salute intesa come stato psico-fisico ottimale e sulla verifica dei parametri vitali e corretti di ogni individuo. Se prendiamo come esempio la nuova frontiera della medicina a distanza ecco che è immediatamente comprensibile come in questo campo lo stato debba prioritariamente realizzare ed applicare modelli volti a curare i malati non trasportabili, gli anziani, coloro che sono affetti da patologie croniche come, peraltro, già molte regioni in Italia stanno procedendo a fare in un paese che, non mi stancherò mai di ripeterlo, in tema di modello sanitario può tracciare la strada per tutti gli altri paesi come ha sempre storicamente fatto. Gli enti di sanità integrativa possono sicuramente integrare, come già fanno, tutti i servizi sopra descritti ma per esempio potrebbero anche dotare gli assistiti di sistemi di monitoraggio a distanza che consentano loro di verificare periodicamente, da soggetti sani, il proprio stato di salute per prevenire eventuali problemi sanitari. Qualora volessimo prendere come esempio anche il tema della salute psico-fisica ecco che sappiamo bene come lo Stato debba concentrare le risorse a disposizione sui ricoveri di chi è malato, sugli esami da effettuare a chi è potenzialmente affetto da una patologia, sulle visite specialistiche di chi esprime già qualche forma di disagio sanitario. Gli enti di sanità integrativa integrano compiutamente già oggi queste attività, e lo fanno in maniera egregia, ma potrebbero anche disegnare dei percorsi della salute costituiti da attività fisica mirata, principi alimentari corretti, scienze naturali per garantire a chi è un soggetto sano ottime probabilità di rimanere tale. Questa sarebbe la vera rivoluzione copernicana che consentirebbe a molti individui sani di non sviluppare eventuali patologie, consentendo allo Stato di contenere i costi futuri per la cura di potenziali malati ed ad ognuno di noi di prevenire le malattie mantenendo uno stato di salute psico-fisica adeguata, in questo modo realizzando un grande sistema integrato tra sanità pubblica e sanità integrativa. Le Società Generali di Mutuo Soccorso, i Fondi Sanitari e le Casse di Assistenza Sanitaria, cioè gli unici enti abilitati giuridicamente e legalmente ad offrire prestazioni di sanità integrativa collettiva, hanno quindi davanti a loro oggi un grande obiettivo: modificare il proprio modello per garantire, oltre ai consueti sistemi di integrazione sanitaria, una concreta strada alla prevenzione costruita su strumenti tecnologicamente evoluti, attività scientificamente mirata su ogni individuo, servizi per la salute delle persona per realizzar appieno una vera e propria rivoluzione copernicana che mette l’individuo ed il suo diritto alla salute al centro di ogni nuova applicazione. A cura di Roberto Anzanello editoriale Sanità integrativa e prevenzione: una rivoluzione copernicana
  • 5. ommari 16 8 12 18 20 24 34 33 “Nutrizione, stile di vita, benessere”: sono solo parole? Riscoprire l’importanza delle proteine vegetali con la linea Fitowell Pesce crudo: rischi e consigli Chirurgia robotica mini-invasiva: al via interventi con l’innovativo sistema “Da Vinci” La prostatite: l’infiammazione della ghiandola prostatica Pet therapy: un grande beneficio per la salute Capelli: come prevenire la caduta al cambio di stagione L’omeopatia ha un futuro? in evidenza 36 Movimento e Benessere: scegli quello giusto per te
  • 6. ommari44 Mononucleosi: la “malattia del bacio” 52 56 58 54 40 46 Mal di collo: come risolverlo comunicato ufficiale: MBA acquisisce il fondo FASV Le ricette della salute In Italia la medicina personalizzata diventa di precisione grazie a “Personal Genomics” Artrosi al ginocchio: cause, sintomi e cure Sindrome di Rett: in viaggio verso la speranza. La storia della piccola Sofia
  • 7. Le Bacche di Goji, dette anche bacche della longevità, contengono: una grande quantità di vitamine C ed E, che proteggono dai radicali liberi e dallo stress ossidativo; minerali come rame, ferro, fosforo e manganese, che aiutano a regolare il metabolismo energetico; zinco e cromo, che offrono un valido supporto nelle diete ipocaloriche e infine potassio e magnesio, utili per la resistenza muscolare L’ecocardiografia è una tecnica diagnostica non invasiva che utilizza gli ultrasuoni per visualizzare l’anatomia del cuore e la sua funzione La flebografia è un’indagine strumentale per lo studio del sistema venoso profondo centrale o di un arto La scintigrafia è un’indagne diagnostica di medicina nucleare con mezzo di contrasto che si esegue su organi e ossa Le lenticchie, “carne dei poveri”, sono molto indicate nella prevenzione dell’arteriosclerosi poiché i pochi grassi in esse contenute sono di tipo insaturo La coronarografia è un’indagine diagnostica di tipo invasivo che visualizza le arterie coronarie che distribuiscono sangue al muscolo cardiaco La castagna grazie alla vitamina B e al fosforo, contribuisce all’equilibrio nervoso e col potassio a quello della nutrizione Per uno stomaco sano mangiate poco e frequentemente, almeno 4 o 5 volte al giorno! Health tips Sapevi che... Gli spinaci sono ricchi di luteina: proteggono la retina e sono grandi alleati della nostra vista. Il cavolfiore è un alimento capace di apportare molteplici benefici al nostro organismo... e ha pochissime calorie!
  • 8. 8 “Nutrizione, stile di vita, benessere”: sono solo parole? a cura di Cristiana Ficoneri Diciamolo francamente: siamo stufi di ascoltarle, siamo stufi di leggerle, siamo stufi di essere sballottati tra un ordine e l’altro della scuderia salutistica globale. Eppure in fondo, siamo anche stufi di subire le conseguenze del mancato rispetto che ogni giorno, volente o nolente - e spesso in modo dolente - portiamo a queste parole. E’ uno di quei casi in cui si ha veramente la sensazione di non essere sufficientemente padroni della propria vita e che entrare o meno a far parte di certe statistiche sanitarie sia solo questione di fortuna. Identifichiamo volentieri la moderna dea bendata con la genetica, in fondo è il famoso fattore C, ma abbiamo dovuto imparare a denti stretti che l’influenza dell’ambiente sulla nostra salute è molte volte determinante, a partire dall’abitudine di fumare, bere o mangiare irresponsabilmente, fino al guidare senza le cinture allacciate e così via. Il problema nasce qui: cosa ci hanno detto e cosa abbiamo veramente capito riguardo al nostro ruolo nel mantenimento dello stato di salute. Come si può essere responsabili di se stessi se si è bombardati continuamente da informazioni contrastanti su cui non si ha nessun controllo? Gli onnipresenti interessi politico- economici (si pensi che l’obesità viene riconosciuta negli USA come patologia a se stante e non come fattore di rischio solo nel 2013, nonostante fosse stata segnalata come tale da decenni) e l’incuria dei divulgatori contribuiscono a complicare enormemente il quadro, e la nostra vigilanza deve essere continua. Ma applicare tout court la dietrologia anche alla scienza è un atteggiamento che possiamo permetterci? La storia del rapporto tra nutrizione e salute si basa su un serie di dati che derivano da studi scientifici che necessariamente esprimono conclusioni relative al periodo e alle metodologie con cui sono stati svolti. Gli epidemiologi devono essere molto bravi per prendere in considerazione tutti i possibili aspetti che possono influire su una situazione. Prendiamo ad esempio uno degli studi “storici”: il pioneristico “Seven Countries Study” condotto da Ancel Keys negli anni tra il 1958 e il 1970 in sette diversi paesi, il tormentone - con rispetto parlando - citato da tutti quando si parla delle innegabili virtù della Dieta Mediterranea. In questo studio l’alimentazione di circa 1000 uomini fu seguita per un periodo di 10 anni, per correlarla all’incidenza delle malattie coronariche, prima causa di morte al mondo. Ne emerse un quadro in cui nei paesi dove si seguiva una dieta più simile a quella dell’isola di Creta, si soffriva meno di tali malattie. Le differenze tra la Finlandia orientale e gli abitanti dei villaggi giapponesi era vistosa. Sul banco degli imputati salirono innanzitutto i grassi Saturi e li rimasero per diversi anni. Altri studi che in quel periodo esaminavano i fattori dietetici potenzialmente responsabili dell’incidenza dei tumori nei vari paesi del mondo, rilevarono un aumento analogo nei paesi occidentali rispetto ai paesi in via di sviluppo o alle società asiatiche tradizionali. Ma come fa notare l’epidemiologo e nutrizionista dell’Università di Harvard Walter Willett (1), riconosciuto come uno dei più influenti protagonisti della storia della nutrizione, l’enorme disparità nei tassi di rischio tra i vari paesi avrebbe potuto essere spiegata anche con le molte differenze esistenti tra le varie realtà geografiche e culturali (attività fisica, altri aspetti della dieta). Ma all’epoca queste non vennero considerate adeguatamente, la frenesia di correre alle conclusioni spinse a presentare al pubblico dei dati deboli e non conclusivi come il “Vangelo delle raccomandazioni dietetiche”. Del resto era un’epoca nuova anche per la scienza della nutrizione. Per decenni le uova sono state demonizzate per il loro contenuto di colesterolo senza che nessuno studio avesse mai realmente dimostrato il peso effettivo di questo fattore dietetico. Per anni abbiamo assistito alla diffusione di Piramidi alimentari simili a quella americana iniziale del 1992: in cima lo “spauracchio” dei grassi di qualunque tipo (“consumare con cautela”), alla base l’ampia fascia dei carboidrati concessi in tutte le loro manifestazioni e declinazioni. In mezzo il gruppo eterogeneo di carni rosse, pesce, pollame, legumi e frutta secca senza troppe distinzioni. Grande enfasi sul latte e i suoi derivati, anche se a ben guardare si vide che in molti paesi del mondo che non ne facevano uso, non fioccavano affatto le fratture. L’analisi degli studi pubblicati fino al 2006 ha mostrato invece che un consumo di latte eccessivo può portare un maggior rischio di cancro alla prostata e lo stesso si
  • 9. 9
  • 10. 10 sospetta per i tumori dell’ovaio. Di contro si è riscontrato un minor rischio di tumori all’intestino. Con questo panorama variegato e contraddittorio non c’è da meravigliarsi che i ricercatori del Fondo mondiale per la ricerca sul cancro (WCRF) (2), abbiano preferito non formulare alcuna raccomandazione sul latte. Mentre si consumava lo scollamento tra prescrizioni (si ai carboidrati, no ai grassi) e statistiche (aumento di obesità, diabete e malattie cardiovascolari), la qualità degli studi migliorava e anche grazie a studiosi più critici e autocritici come Willett si arrivò a sfatare il mito dei carboidrati e a ridimensionare l’importanza dei grassi Saturi, andando a differenziare meglio le responsabilità nell’incidenza delle malattie. Molti studi avevano mostrato che il miglior predittore delle malattie cardiovascolari era il rapporto tra le due frazioni del colesterolo LDL (quella “cattiva”) e HDL (quella “buona”) e che l’uso estensivo nella nostra alimentazione di quelli che vengono definiti grassi Trans lo aumentava per lo meno del doppio rispetto a quanto facevano i grassi Saturi non Trans. (I Trans sono grassi che spesso derivano dai processi industriali di idrogenazione e si trovano nelle margarine, nelle fritture, nelle merendine, negli alimenti da fast food). Come se non bastasse, altri studi misero in rilievo che sostituendo un 10% delle calorie provenienti dai grassi Saturi di unadieta,conoliodioliva,oconcarboidraticomplessi(pane, pasta…) come raccomandato all’epoca dall’American Heart Association, nel secondo caso si otteneva un effetto peggiore: il colesterolo buono diminuiva e i trigliceridi aumentavano. Era già stato dimostrato che questo schema prediceva un aumento delle malattie cardiovascolari. Insomma mettere i carboidrati alla base della propria alimentazione non si rivelò essere una buona idea. Ma la nutrizione è qualcosa di semplice solo in apparenza – continua Willet - e per studiare l’influenza di tutti i fattori che possono influire su una dieta nel loro complesso occorrerebbero studi randomizzati e a lungo termine. Per uno studio ideale occorrerebbe nutrire un bambino fin dalla più tenera età con ciò che si intende studiare ed osservare gli effetti nel corso del tempo, ma naturalmente ciò non sarebbe molto etico. Si possono comunque effettuare dei cosiddetti studi osservazionali a lungo termine che come fu il caso del “Nurse’s Health Study” si dimostrano estremamente preziosi. In questo studio, iniziato per altri motivi, dal 1980 sono stati raccolti i dati dietetici di 100.000 infermiere americane, il 90% delle quali sta ancora partecipando dopo 40 anni (!). Da queste informazioni sono stati ricavati
  • 11. 11 dati utili per studiare non solo il rischio cardiovascolare ma anche quello tumorale e di malattie neurodegenerative, Parkinson, Alzheimer. Delle 1.000 donne di questo studio che sono state ospedalizzate o sono morte per un attacco di cuore 14 anni dopo, si sono studiate tutte le possibili correlazioni dietetiche, confermando che i Trans erano davvero i grassi peggiori. L’80% dell’aumento del rischio di patologie cardiovascolari era imputabile ad un minuscolo 2% delle calorie provenienti da questi grassi. I Saturi aumentavano questo rischio in misura decisamente minore, seguiti dai Monoinsaturi (contenuti nell’olio di oliva ad esempio) e dai Polinsaturi (contenuti in altri oli vegetali). I Saturi non hanno mostrato, in questo e in altri studi, di essere fortemente correlati neanche con l’aumento del cancro al seno. (Per inciso si scoprì invece che il tipo di dieta seguito dalle ragazze in età adolescenziale era molto più rilevante della dieta seguita successivamente, rispetto al rischio oncologico). Oltre a definire meglio grassi “buoni e cattivi”, si focalizzò l’attenzione sul tipo di proteine consumate (vegetali, animali) quantificando il rischio di cancro o cardiovascolare che era attribuibile al consumo di carne rossa. E ci si accorse che l’osteoporosi era influenzata dalla quantità delle proteine nella dieta. Tenendo conto dei risultati di studi minori e cercando di ripeterli con studi sempre più rigorosi e a lungo termine si è creato nel tempo un corpus di conoscenze più solide su cui basare delle raccomandazioni sensate e praticabili che permettano alle persone di prendere in mano il proprio stato di salute. Sulla base del follow up del Nurse’s Study è stato calcolato che con un semplice pacchetto di misure non radicali come mantenere un peso accettabile, non fumare, consumare una dieta appropriata (che includesse alimenti a basso indice glicemico, fibre, pesce due volte a settimana, frutta e verdura, grassi salutari come gli Omega3, un basso tenore di grassi Trans) sarebbe stato possibile abbattere il rischio di sviluppare malattie cardiovascolari e diabete in quella popolazione rispettivamente dell’ 82% e del 92%. L’epidemia di “diabesità” che ha colpito trasversalmente nel mondo (tanto da essere rinominata “globesity”) seppur non arginata sta cominciando debolmente a rallentare, anche se in modo poco democratico. Tra le classi più deboli economicamente e le regioni meno ricche essa colpisce con più durezza. Ma parole chiave come fibre, indice glicemico, grassi Saturi e Insaturi, carboidrati complessi, proteine vegetali, bevande zuccherate, antiossidanti, infiammazione, possono essere gli strumenti per affrancarci da uno stato invalidante che sta dimostrando di sconfinare pericolosamente verso nuovi territori. Si pensi ai collegamenti che stanno emergendo da varie ricerche, tra gli stati di insulino-resistenza e i danni a quelle regioni del cervello che hanno a che fare con la memoria e la personalità (3). Già dal 2005 per l’Alzheimer fu proposta la dicitura di Diabete di tipo 3, ed è noto che le persone affette da Diabete hanno un rischio raddoppiato di sviluppare Alzheimer. E anche per l’obesità il rischio di una riduzione delle funzioni cognitive sembra aumentato (4,5). In nutrizione ma non solo, saper combinare le conoscenze per avere una visione d’insieme non è un lavoro facile o immediato, arrivare a delle evidenze incontrovertibili abbiamo visto è quasi impossibile, e nella comunità scientifica ci può essere molto dibattito su quali aspetti pesino più di altri. Ma è un processo di avvicinamento continuo ad un più alto grado di certezza su quali siano i fattori che veramente contano per la nostra salute. Perciò è lecito dubitare di coloro che sostengono “soluzioni rapide e definitive”, ma una buona scienza deve passare al vaglio anche quelle, con trasparenza. Il processo è continuo e si svolge al di fuori dei vari “Porta a Porta”. Noi dobbiamo solo resistere alla tentazione dell’incultura e della rassegnazione, aumentando la nostra consapevolezza di ciò che va bene o non va bene per noi. In questa atmosfera di dubbio costante, è meglio scegliere le piccole dosi e ruotare gli alimenti in modo da impedire accumuli di sostanze che un giorno potrebbero rivelarsi tossiche. Tanto, anche senza Wiki-leaks, prima o poi si sa tutto. 1)Nutrition and Healthy Lifestyle Summit 2015 Sabri Ulker Foundation 2) Epidemiol Prev 2013; 37 (4-5), Periodo: luglio-ottobre, pagine: 340-341 Bevete più latte…Franco Berrino 3) Alzheimer’s: Diabetes of the Brain? Dr. Suzanne De La Monte Alpert Medical School, Brown University Neuropathologist, Rhode Island Hospi 4) Nutrients. 2015 Aug; 7(8): 6719–6738. Diet-Induced Cognitive Deficits: The Role of Fat and Sugar, Potential Mechanisms and Nutritional Interventions Jessica E. Beilharz, Jayanthi Maniam, and Margaret J. Morris* 5)J Alzheimers Dis. 2012;32(2):329-39. doi: 10.3233/JAD-2012-120862. Relative intake of macronutrients impacts risk of mild cognitive impairment or dementia.Roberts RO1, Roberts LA, Geda YE, Cha RH, Pankratz VS, O’Connor HM, Knopman DS, Petersen R è lecito dubitare di coloro che sostengono “soluzioni rapide e definitive”, ma una buona scienza deve passare al vaglio anche quelle, con trasparenza. In questa atmosfera di dubbio costante, è meglio scegliere le piccole dosi e ruotare gli alimenti in modo da impedire accumuli di sostanze che un giorno potrebbero rivelarsi tossiche
  • 12. 12 a cura di Manuela Fabbretti La cultura Italiana da sempre vede nelle nostre tavole deliziosi piatti a base di pesce crudo, in particolar modo in alcune zone costiere del meridione, ma negli ultimi anni queste abitudini sono un po’ cambiate ed estese in tutto il territorio grazie alla diffusione dei cibi Giapponesi ed Orientali. Parallelamente al crescere dei locali specializzati in cucina giapponese ed orientale, infatti, sono in aumento i casi di intossicazione legati al consumo di queste alimenti e si moltiplicano gli interventi sanzionatori da parte delle aziende sanitarie e dei Nas. Bisogna sapere infatti che, pur se particolarmente delizioso, il pesce crudo anche della migliore qualità può celare brutte sorprese, ovvero essere infetto e, quindi, consumandolo completamente crudo o poco cotto si va in contro all’aumento delle probabilità di essere infettati dai batteri del pesce. È giusto dire però che questi alimenti non sono da eliminare, al contrario, il loro alto potere saziante unito allo scarso apporto calorico e alla ricchezza di acqua li rende alimenti dietetici interessanti, con un notevole apporto di sostanze nutritive come gli Omega-3, acidi grassi di cui i pesci tradizionalmente utilizzati nella preparazione di queste pietanze sono particolarmente ricchi. Quali sono quindi i pericoli che corriamo? La prima causa di intossicazione da pesce crudo è la mancanza di esperienza di chi lo maneggia e prepara, in quanto molte regole fondamentali per la conservazione del pesce non vengono rispettate a dovere, in aggiunta ad una scarsa conoscenza delle tecniche per la preparazione e la pulizia dei prodotti freschi. Il secondo problema è che non tutti i consumatori di pesce crudo sanno che anche il pesce ha dei parassiti, che possono essere trasmessi all’uomo con estrema facilità se non vengono osservate alcune norme igieniche basilari. Il più pericoloso tra questi organismi si chiama ANISAKIS. Tecnicamente, si tratta di un nematode parassita, ospitato nell’addome di numerose specie marine, comunemente conosciuta con il nome di sindrome di anisakidosi (o Pesce crudo: rischi e consigli
  • 13. 13 anasikiasi). Il primo caso di anisakidosi fu osservato in Olanda nel 1955, oggi è estremamente diffuso e si trova in molti pesci tra cui tonno, salmone, sardina, acciuga, merluzzo, pesce spada, calamari, nasello e sgombro. ll piccolo nematode, simile a un vermicello filiforme, visibile anche a occhio nudo, rimane immobile all’interno del tubo gastro-enterico del pesce fino a quando non riesce a trovare una via verso le parti muscolari dove vi si insinua in attesa del passaggio all’interno di mammiferi che si cibano del pesce parassitato. Alcune ricerche hanno dimostrato che la maggior parte di casi positivi da contaminazioni di Anisakis si riscontra nel prodotto che ha sostato per un certo periodo di tempo dal momento della pescata a quello dell’eviscerazione. Il pericolo per l’uomo è costituito dalle larve di Anisakis nascoste nel pesce, che possono essere accidentalmente ingerite qualora si consumi pesce crudo oppure poco cotto, con conseguenze a dir poco spiacevoli: dolori addominali, nausea, disturbi intestinali, a volte febbre. Sicuramente poco “allettante” anche la cura: se nelle forme meno gravi può essere sufficiente una terapia sintomatica, nella maggioranza dei casi si rende necessario un intervento chirurgico per la rimozione delle larve. Come facciamo quindi a prevenire tutto questo? Con la cottura semplicemente, oppure nel caso di pesce destinatoadessereconsumatocrudo,conilcongelamento. Le larve di anisakis vengono infatti annientate con l’abbattimento di temperatura, che deve tuttavia essere effettuato secondo modalità e tempistiche ben precise
  • 14. 14 evitare di consumare pesce e molluschi crudi che non siano sottoposti a congelamento il pesce va eviscerato al più presto dal momento della cattura per allontanare i parassiti presenti, prima del loro passaggio nella muscolatura verificare, sulla base dell’obbligo dell’autocertificazione, l’effettuazione dei trattamenti obbligatori di chi somministra pesce crudo oppure in salamoia ad utilizzare pesce congelato o a sottoporre a congelamento preventivo il pesce fresco somministrato crudo (Circolare n°10 del 11/03/92 del Ministero della Sanità e ordinanza ministeriale del 12/05/92 a spiegazione della Direttiva Europea 91/493 del 22/07/91) in caso di consumo casalingo sottoporre il prodotto a temperature elevate superiori ai 100°C oppure temperature molto basse –20°C per almeno 24 ore (per una sicurezza totale sono necessarie 96 ore a -15° C, 60 ore a -20° C, 12 ore a –30° C, 9 ore a -40° C). le regole da seguire per poi, allo scongelamento, seguire con il consumo del prodotto in tempi brevissimi. Seguito il processo di conservazione ed abbattimento della temperatura possiamo quindi stare tranquilli? Non esattamente, il pesce è un alimento che ha proprietà nutritive molto importanti per il nostro organismo, ma ha un terribile difetto: tende ad accumulare nelle proprie carni le sostanze nocive eventualmente presenti nell’ambiente in cui vive. Tutto questo purtroppo è causato dall’uomo, che negli ultimi 150 anni ha contribuito all’inquinamento del mare incrementando notevolmente l’intossicazione dei pesci e degli abitanti marini. I pericoli maggiori arrivano da due sostanze, il mercurio e la diossina. Il primo è un metallo pesante. Le maggiori concentrazioni di questo metallo possano essere riscontrate nei predatori superiori, ultimo anello della catena. Tra questi, il tonno, nelle cui carni sempre più frequentemente sono stati riscontrati livelli di mercurio tali da sconsigliarne il consumo. Ovvio è che il problema riguarda tutto il tonno, non solo quello servito nei ristoranti giapponesi. Alcune varietà di questo pesce – come evidenziato già tre anni fa in uno studio condotto negli Stati Uniti – mostrano tuttavia una maggiore tendenza ad accumulare mercurio nelle loro carni, ed in mancanza di una normativa che obblighi i ristoratori a specificare sul menù quale varietà di tonno viene utilizzata nella preparazione dei piatti, l’unica precauzione possibile è limitarne il consumo. La diossina invece è una sostanza cancerogena particolarmente solubile nei grassi, ecco perché anche il salmone, nonostante le grandissime proprietà alimentari, viene segnato nella lista nera, specialmente quello di allevamento. Purtroppo la cottura non fa differenza: il problema non risiede nella modalità di consumo e il salmone consumato crudo in un ristorante giapponese non comporta per la salute rischi maggiori di quello – tanto per fare un esempio – affumicato comunemente in vendita in tutti i supermercati. L’aspetto critico connesso al consumo di salmone sta nella percentuale di grasso presente nelle sue carni, che è tale da facilitare l’assorbimento di sostanze estremamente pericolose: la diossina prima di tutto, ma anche i policlorobifenili (PCB), agenti chimici di comprovata tossicità, correlati, come dimostrato da numerosi studi, a diverse forme tumorali. La domanda che tutti vi starete ponendo è: devo escludere il salmone e il tonno dalla mia alimentazione? No, la chiave fondamentale è la sana ed opportuna moderazione, limitando il consumo di pesce crudo a poche sporadiche volte e soprattutto affidarsi a mani esperte.
  • 15. Museo del Mutuo Soccorso Via di Santa Cornelia, 9 | 00060 | Formello (RM) Aperto dal lunedì al venerdì solo su appuntamento contattando info@fondazionebasis.org Il Museo del Mutuo Soccorso di MBA è il "forziere della storia della mutualità italiana". Al suo interno sono raccolti documenti, medaglie, gagliardetti, vessilli, statuti, regolamenti, cartoline di un pezzo dell'Italia che va dal 1840 fino al periodo fascista. Il museo ripercorre i passi salienti di questi ultimi 150 anni di storia sociale. Tra i reperti più rari, documenti dove risulta socio onorario Giuseppe Garibaldi, ma anche statuti e regolamenti ante Regio Decreto. è presente all'interno anche il testo integrale, originale del Regio Decreto n. 3818 del 15 aprile 1886, stampato dalla regia tipografia, oltre a una bandiera di Mutua emigrata con lo scudo Sabaudo rovesciato in segno di protesta.
  • 16. 16 Riscoprire l’importanza delle proteine vegetali con la linea Fitowell a cura di Fabio Vitale Proteine vegetali? Proteine animali? Quante bisogna assumerne quotidianamente per soddisfare il proprio fabbisogno? è vero che le proteine “nobili” sono quelle di origine animale? Sono alcune delle domande che molti si pongono dopo le recenti pubblicazioni dell’Oms, Organizzazione mondiale della Sanità, relative all’inserimento di salumi, insaccati e ogni genere di carne lavorata tra i fattori di rischio dello sviluppo del cancro. L’allarme è arrivato dall’Iarc, l’Agenzia internazionale per la ricerca sul cancro, parte dell’Oms, che ha redatto un rapporto sulla base di oltre 800 studi precedenti sul legame tra una dieta che comprenda le proteine animali e il cancro, il quale conferma le attuali raccomandazioni “a limitare il consumo di carne”; il World Cancer Research Fund (WCRF) e l’American Institute for Cancer Research hanno evidenziato, ad esempio, come vi sia una chiara correlazione tra le carni rosse o lavorate e il cancro al colon: il rischio è spesso associato alla presenza di additivi come nitriti e nitrati nelle carni stesse e allo sviluppo, durante la cottura, di sostanze come le amine eterocicliche e gli idrocarburi policiclici aromatici (IPA es. benzopirene). Ma quanta carne ogni giorno portiamo in tavola? Secondo il rapporto di Fleischatlas 2013, il mondo ha saziato la sua fame producendo 300 milioni di tonnellate di carne alimentare. Un’enormità se pensiamo che il mondo vegetale può fornirci valori nutrizionali sufficienti con costi etici e ambientali di gran lunga inferiori. Il settore zootecnico, infatti, è uno dei principali responsabili della produzione di gas serra. L’allevamento di animali genera, secondo la FAO il 18% delle emissioni totali di gas serra nell’atmosfera. È evidente, quindi, che i vantaggi di una dieta ben equilibrata, con un maggiore incremento di proteine vegetali, sono molteplici. Legumi e cereali contengono infatti proteine di discreta qualità che, se combinate tra loro, secondo un processo denominato “mutua integrazione” degli aminoacidi limitanti, riescono a fornire un profilo aminoacidico completo. Avedercilungo,dueannifa,èstatounpiccoloimprenditore agricolo della provincia di Perugia, Alessandro Riganelli, che ha deciso di mettersi in gioco e creare una linea di prodotti volta proprio alla sensibilizzazione del Consumatore ad un utilizzo razionale delle proteine animali. La linea si chiama Fitowell, dove “fito” sta per pianta e “well” per wellness, ed è caratterizzata da una selezione di prodotti di origine vegetale ad alto contenuto proteico. Si tratta per lo più di varietà di leguminose, cereali e pseudo cereali poco conosciute in Italia o non coltivate in larga scala, ma che riscontrano un consumo in sensibile aumento. Alessandro ha deciso quindi di promuovere prodotti qualitativamente migliori e più sani dal punto di vista alimentare e ha spiegato a noi di Health Online il perché. Alessandro come le è nata l’idea di creare Fitowell? “Tutto nasce dalla mia passione per il body building 16
  • 17. 17 che mi ha fatto scoprire un mondo fatto di rigide regole alimentari, in cui l’utilizzo di proteine animali, anche sotto forma di integratori, è il punto cardine per favorire l’accrescimento della massa muscolare. Mi sono ritrovato così a sperimentare diete ricche di carne e grassi animali finché una chiacchierata con un mio amico, dedito alla filosofia olistica, mi ha fatto “aprire gli occhi”: ho iniziato a documentarmi e più continuavo con le ricerche più mi rendevo conto che, a lungo andare, uno stile di vita del genere avrebbe avuto qualche ripercussione negativa sul mio fisico. Non solo, ho scoperto che per produrre 1 chilo di carne di manzo si immettono nell’atmosfera 36,4 chili di anidride carbonica, come quella emessa mediamente da un’automobile che percorre 250 km. Inoltre, per lo stesso chilo di manzo, occorrono 15.500 litri di acqua mentre coltivare un chilo di legumi ne richiede dai 200 ai 400 a seconda della specie. Per me, che amo la natura ma soprattutto il mio territorio, questa è stata la scintilla che mi ha spinto a credere che un cambiamento era necessario e risiedeva proprio nelle proteine vegetali”. La sua azienda era da tempo caratterizzata da vitigni, oliveti e terreni coltivati a cereali tradizionali come grano e orzo. Con questa nuova linea ha introdotto varietà conosciute principalmente all’estero, quali sono? Come mai ha deciso di coltivare proprio questi prodotti? “Tra le mie ricerche ho individuato legumi, cereali e pseudocereali che avessero un’elevata fonte proteica proprio per cercare di limitare al massimo l’utilizzo di carne e derivati. Inizialmente ho introdotto nella mia dieta i fagioli Adzuki e i fagioli Mung e li ho trovati molto gradevoli al gusto e di facile utilizzo in cucina, perciò mi sono detto: “perché non provare a coltivarli e finalmente avere prodotti made in Italy?”. Ho iniziato così le mie prove, ai margini dell’azienda e senza sottrarre superfici alle coltivazioni tradizionali, anche grazie all’aiuto di due miei amici agronomi: è stata una vera e propria scommessa dato che il nostro territorio e quello di provenienza di ogni varietà hanno caratteristiche, spesso, molto differenti. Nel frattempo, con il supporto di un nutrizionista che mi ha aiutato, per l’appunto, sull’aspetto nutrizionale di ogni prodotto, ho individuato altre cinque varietà interessanti e ho iniziato a sperimentare la coltivazione anche di queste. Le risposte che ho avuto sono state positive e così ho deciso di buttarmi a capofitto in questa nuova avventura e creare Fitowell: dopo due anni la produzione di faglioli Adzuki, fagioli Mung, Miglio, Fieno greco, Grano saraceno, farro Spelta e Lenticchia rossa è iniziata a pieno regime!” La linea Fitowell è stata pensata per gli sportivi, ma va bene per tutti? “Assolutamente si! Tutti i prodotti della linea, oltre alle alte concentrazioni proteiche, sono caratterizzate da importanti elementi nutrizionali utili a fronteggiare disturbi legati all’alimentazione quali intolleranze, diabete, colesterolo alto ed altre malattie più o meno gravi; i fagioli Adzuki ad esempio sono caratterizzati da un tasso zuccherino e una densità calorica bassi ma creano un alto senso di sazietà, il Fieno greco contiene saponine furostanoliche alle quali sono state attribuite attività immunostimolanti e stimolanti dell’ormone LHRH, con conseguente aumento dei livelli di testosterone, il Miglio è un ottimo ricostituente ed energizzante naturale, utile in caso di stress, stanchezza, convalescenza e astenia. La mia intenzione è sempre stata quella di sensibilizzare ognuno di noi ad un utilizzo più consapevole di ciò che porta in tavola; dobbiamo iniziare a volerci più bene e io, grazie a Fitowell, posso dire che è possibile.” In che senso? “Sono stato fumatore per diversi anni e alle cene con gli amici non mi tiravo certo indietro davanti ad una bella fiorentina al sangue. Il cambiamento l’ho effettuato in primis su me stesso, per poter essere, nel mio piccolo, un esempio e far comprendere che quello che andavo a promuovere non erano solo belle parole. Così ho tolto le sigarette ed eliminato gradualmente la carne dalla mia alimentazione e sa cosa le dico? La soddisfazione nel vedere il mio corpo reagire positivamente a questi cambiamenti, nel poter continuare a sollevare anche pesi di 150 Kg, è stato per me l’ulteriore conferma che qualcosa di buono lo stavo davvero facendo.” Un’esperienza di vita quella che ci ha raccontato questo giovane agricoltore, che ci fa aprire gli occhi su quanto le nostre abitudini alimentari incidano sulla salute e sul futuro delle generazioni a venire, spingendoci a ponderare le scelte alimentari nel rispetto di noi stessi e delle risorse della nostro Pianeta. Del resto, come diceva il filosofo Feuerbach, “Siamo quello che mangiamo”. www.fitowell.com semi di benessere
  • 18. 18 a cura di Alessia Elem Negli ultimi anni, la scienza e la tecnologia stanno facendo passi in avanti per promuovere e mettere in campo dei dispositivi all’avanguardia a tutela della salute. L’Italia, nonostante le difficoltà in cui verte il Sistema Sanitario Nazionale, investe sulle nuove tecnologie sanitarie per consentire innumerevoli benefici, sia per il paziente dal punto di vista clinico, che per il professionista che, grazie all’utilizzo di strumenti innovativi, è in grado di essere più preciso in ambito chirurgico con rischi di infezione post- operatoria più bassi e tempi di degenza e recupero inferiori. E’ il caso della chirurgia robotica mininvasiva con l’ultimo modello Da Vinci, strumento di ultima generazione, sviluppatosulconcettodella“ImmersiveIntuitiveInterface”, acquistato di recente dalla città della Salute di Torino. Il robot è uno strumento che permettere al chirurgo di azionare simultaneamente 4 bracci robotici, consentendogli così di eseguire movimenti estremamente precisi nel corso di interventi chirurgici di elevata complessità. Per sapere meglio di cosa si tratta, MBA, società di mutuo soccorso che pone al centro della sua attività mutualistica la salute come dimensione essenziale del benessere dell’individuo, ha intervistato il Prof. Paolo Gontero, specialista in Urologia e master di Andrologia Chirurgica, Professore Associato di Urologia presso l’Università degli Studi di Torino, Divisione di Urologia 1, Ospedale San Giovanni Battista Molinette di Torino. Chirurgia robotica mini-invasiva: al via interventi con l’innovativo sistema “Da Vinci” Nella famiglia della tecnologia robotica il “Da Vinci” è il figlio dell’ultima generazione. Ci può spiegare come funziona e quali sono i vantaggi rispetto alla chirurgia tradizionale? “Occorre innanzitutto puntualizzare come il termine “robot” sia assolutamente improprio per descrivere questa tecnologia poiché genera la falsa concezione che si tratti di uno strumento in grado di sostituirsi al chirurgo. Nulla di più sbagliato. Il sistema “Da Vinci” è senz’altro il più valido “alleato” che un chirurgo oggi possa possedere, poiché consente di eseguire interventi mini-invasivi con estrema precisione di movimenti. Contrariamente a quanto potrebbe far pensare il suo appellativo, il “robot” Da Vinci non è però dotato di alcuna autonomia operatoria. Tutti i movimenti che vengono compiuti dalle sue 4 braccia (mirabilmente sostenute da una ossatura, che rievoca vagamente l’effigie di un robot), sono in realtà indotti dal chirurgo principale che opera seduto ad una consolle (centralina di comando) attraverso 2 manipolatori e dei pedali. I 4 bracci, del calibro di 8 millimetri, possono essere inseriti all’interno del corpo umano attraverso delle incisioni millimetriche consentendo così una chirurgia “mini-invasiva” dal momento che vengono evitati al paziente i “grandi tagli” della chirurgia tradizionale. Ma fin qui non vi è nulla di diverso rispetto alla laparoscopia tradizionale che viene da anni praticata routinariamente in molte specialità chirurgiche. Ciò che fa sì che il sistema “Da Vinci” possa essere considerato come una vera e propria rivoluzione rispetto alla laparoscopia tradizionale, è l’estrema destrezza dei movimenti prodotti dai bracci robotici, in tutto e per tutto sovrapponibili a quelli delle mani. I gradi di libertà di movimento dei bracci robotici sono 7 contrariamente ai 4 della laparoscopia. In pratica, è come se le mani del chirurgo potessero essere “rimpicciolite” e in grado di operare in spazi molto angusti del corpo umano. Ma non solo: il livello di precisione del chirurgo alla consolle viene ulteriormente avvantaggiato da una visione magnificata di 10 volte e tridimensionale. Un filtro per il tremore migliora ulteriormente l’accuratezza del gesto chirurgico. Un sistema rivoluzionario che si compone quindi di tre corpi principali: il centro di controllo attraverso il quale il
  • 19. 19 chirurgo controlla la fibra ottica e gli strumenti per mezzo di due manipolatori e di pedali; il carrello paziente è il componente operativo del sistema da Vinci e si compone di quattro braccia movimentabili e interscambiabili dedicate al supporto della fibra ottica e di strumenti da 5 mm a un massimo di 8 mm e infine il Carrello visione che contiene l’unità centrale di elaborazione e processamento dell’immagine”. Prof. Gontero, in Italia il nuovo robot “Da Vinci” è già stato utilizzato? Lei lo ha provato? “Ebbi l’onore di vedere in funzione il primo prototipo del nuovo robot “Da Vinci Xi” e di apprezzarne le qualità innovative circa un anno fa all’Università di Miami, in Florida, dove ero stato invitato come “visiting professor” dal Prof. Parekh, un pioniere della chirurgia robotica in urologia. Dopo poco più di un anno quel sogno è diventato realtà presso la Città della Salute e della Scienza di Torino grazie al sostegno di una Direzione Aziendale illuminata che ha deciso di investire in questa nuova tecnologia per la salute e a una donazione di quasi 2 milioni di euro da parte della Compagnia di San Paolo. Sì, perché questo è il “costo” della sola apparecchiatura, cui si aggiunge circa 6-8.000 euro di costi addizionali per i “pezzi di ricambio” dei bracci robotici per ogni intervento. Ho utilizzato personalmente il nuovo robot per eseguire interventi di prostatectomia radicale e asportazione selettiva di tumori del rene complessi. Per questi ultimi, il nuovo robot presenta i maggiori vantaggi grazie alla possibilità di intercambiare il sistema di visione nei vari bracci e potersi così muovere in un campo operatorio più ampio. I chirurghi generali diretti dal Prof. Morino lo stanno invece utilizzando con successo negli interventi per tumore al retto e allo stomaco. Dopo poco più di un anno dal suo lancio negli USA, sono già stati installati 11 esemplari di robot “Da Vinci Xi” in Italia, a dimostrare come oggi la diffusione delle nuove tecnologie avvenga quasi in tempo reale”. L’intervento di prostatectomia radicale per tumore alla prostata è forse l’ambito dove il robot presenta, ad oggi, i maggiori vantaggi sotto ogni profilo: riduzione dei tempi di degenza e convalescenza, meno dolore post-operatorio e riduzione delle complicanze post-operatorie, minor tempo per la ripresa della continenza urinaria, migliore recupero della funzione erettile e soprattutto un precoce ritorno alle normali attività socio-lavorative (11 giorni con il Da Vinci – 49 giorni con chirurgia open). E’ vero che grazie all’acquisizione del nuovo sistema presso la Città della Salute si potrà raggiungere un aumento del 50% degli interventi di urologia in particolare la prostatectomia radicale? “Confermo, anche se ciò non dipende tanto dalla nuova apparecchiatura quanto dalla volontà della Città della Salute e della Scienza di aumentare la disponibilità di spazi operatori al fine di fronteggiare il crescente numero di patologie che afferiscono al nostro ospedale con le indicazioni alla chirurgia robotica. Il nostro ospedale intende così porsi come il centro piemontese di riferimento per la chirurgia robotica. Una scelta inevitabile considerando che l’ospedale è sede di gran parte parte delle scuole di specializzazione chirurgiche. L’apprendimento della chirurgia robotica, contrariamente a quella tradizionale, avviene su dei simulatori che riproducono in modo virtuale il setting di diversi interventi chirurgici. La disponibilità di una “doppia” consolle permette inoltre una formazione molto simile alla scuola guida, in cui il tutor può affiancare il discente e assumere il comando dell’intervento ogni qualvolta si renda necessario”. Dal punto di vista chirurgico quali sono i vantaggi per gli interventi di prostatectomia radicale per tumore alla prostata? “L’intervento di prostatectomia radicale per tumore alla prostata è forse l’ambito dove il robot presenta, ad oggi, i maggiori vantaggi. La prostata si trova nascosta in uno spazio del corpo umano molto ristretto dove è difficile arrivare con strumenti tradizionali. Inoltre, la rimozione della prostata, se non eseguita in modo accurato, può comportare rischi seri di incontinenza urinaria e impotenza sessuale. Il robot “Da Vinci” ha letteralmente rivoluzionato questo intervento, permettendo all’occhio umano di vedere in modo ottimale in uno spazio dove altrimenti la visione è scarsa e consentendo alle mani del chirurgo di operare in modo preciso là dove le possibilità di movimento sono estremamente ridotte. I vantaggi della prostatectomia robotica sono ampiamente documentati da più studi: l’incontinenza urinaria è rara e di rapida risoluzione e si stima un 30% in più di probabilità di recupero della funzione sessuale”. Insomma, questo nuovo sistema sembra essere davvero efficiente ed efficace a 360 gradi fa ben sperare tant’è che il prossimo obiettivo della Città della Salute di Torino è quello di impiegare il programma di sviluppo della chirurgia robotica non solo in urologia (prostatectomia radicale, chirurgia dei tumori del rene e chirurgia delle malformazioni renali) e chirurgia generale (asportazione di tumori del retto e dello stomaco), ma anche ad altre specializzazioni chirurgiche come la chirurgia ginecologica, otorinolaringoiatria e chirurgia maxillo facciale. Da sinistra la responsabile anestesista Dott.ssa Elisabetta Cerutti, il Prof. Paolo Gontero con i suoi assistenti i Dottori Marco Oderda ed Ettore Dalmasso.
  • 20. 20 La prostatite: l’infiammazione della ghiandola prostatica a cura del Dott. Andrea Militello Per prostatite si intende l’infiammazione della ghiandola prostatica, un organo simile ad una castagna situato al di sotto della vescica maschile. Il suo principale compito è quello di produrre il liquido prostatico, dotato di azione antibatterica e utile per aumentare la resistenza e la motilità degli spermatozoi negli ambienti acidi della vagina. Prostatite nelle sue forme L’infiammazione della ghiandola prostatica, la prostatite, può presentarsi o in forma acuta o in forma cronica. In entrambi i casi, le infiammazioni della prostata sono di origine batterica; ci sono dei casi di prostatite abatterica o idiopatica, cioè un processo infiammatorio ad eziologia sconosciuta, con assenza di batteri. I tipi di prostatite che esistono sono quindi quattro: La prostatite batterica acuta rappresenta l’infiammazione della prostata dovuta principalmente da un’infezione causata da batteri come Escherichia coli o Klebsiella. Se non trattata subito, questa infiammazione può sviluppare complicanze fino ad arrivare alla sepsi. La prostatite batterica cronica può essere considerata come la conseguenza di forma acuta non trattata nel giusto modo. Qui un minimo numero di batteri rimane nella prostata e di conseguenza può portare l’individuo ad accusare dolori nella parte addominale e genitale. La prostatite abatterica è una particolare infiammazione della prostata con assenza di infezioni batteriche. La prostatodinia è caratterizzata da sintomi molto simili a quelli di una prostatite, ma con assenza di infiammazione e successiva infezione batterica. Viene anche chiamata sindrome dolorosa pelvica cronica. Fattori di rischio, prevenzione e trattamento I fattori patologici e non, che possono portare ad uno sviluppo di prostatite, sono differenti: il diabete, le emorroidi, il coito interrotto, microtraumi, l’astinenza sessuale e alcune malattie sessualmente trasmissibili. Prevenire questa patologia è possibile grazie ad un attività fisica e sessuale regolare e quindi uno stile di vita sano anche dal punto di vista alimentare; è importante anche evitare tutte quelle attività che possono portare a traumi perineali. 20
  • 21. 21 Il trattamento ideale per curare una prostatite è attraverso la somministrazione di antibiotici fluorochinolonici, tra i più famosi Ciproxin, Levoxacin e Unidrox. Prostatiti non batteriche e la prostatodinia rispondono bene ad un trattamento di farmaci antinfiammatori; consultare un esperto è sempre necessario prima di proseguire con una cura antibiotica. Questo articolo intende fornire alcune informazioni sulla Prostatite (infiammazione della prostata) e alcuni consigli per un migliore approccio alla sua cura. Per evitare i danni delle funzioni genitourinarie che potrebbero derivarne. Il suo contenuto è il completamento della visita dello specialista urologo, che rimane comunque il momento fondamentale e indispensabile per la diagnosi e la scelta della terapia. Le informazioni qui riportate possono servire a richiamare alla memoria le spiegazioni e le raccomandazioni dello specialista. La prostata: la sua collocazione e i suoi collegamenti La prostata è una ghiandola dell’apparato genitale maschile che ricorda, per dimensioni e forma, una piccola castagna. È situata alla base della vescica, anteriormente all’ultimo tratto dell’intestino retto, nel punto di incrocio tra le vie urinarie e le vie seminali. Infatti, la prostata è attraversata dall’uretra, che costituisce l’ultima porzione delle vie urinarie, e dai dotti eiaculatori che costituiscono l’ultimo tratto delle vie seminali. A loro volta i dotti eiaculatori originano dalla confluenza dei dotti deferenti, che provengono dai testicoli, e delle vescicole seminali, situate sulla faccia posteriore della prostata. l dotti eiaculatori sboccano nel tratto intraprostatico dell’uretra, a livello di una piccola prominenza della parete prostatica chiamata veru montanum. L’ultimo tratto, in comune, delle vie urinarie è costituito dall’uretra anteriore. I sintomi L’infezione prostatica può manifestarsi in modo improvviso con disturbi gravi e mai sopportabili (prostatite acuta) oppure in modo più subdolo con sintomi più lievi ma fastidiosi e persistenti nel tempo (prostatite cronica). La prostatite acuta è caratterizzata dalla comparsa di febbre, talvolta molto elevata (39-40°C), preceduta da brividi e accompagnata da compromissione delle condizioni generali (dolori muscolari e articolari). La febbre è associata a gravi disturbi della minzione: necessità di urinare con frequenza piccole quantità sia di giorno che di notte (nicturia), stimolo ad urinare improvviso; ed incoercibile (minzione imperiosa) fino all’Incontinenza Urinaria, bruciore o dolore durante la minzione. Le urine sono spesso torbide o purulente. In alcuni casi diventa addirittura impossibile urinare, nonostante i ripetuti tentativi, con conseguente ritenzione acuta d’urina. Può essere inoltre presente dolore in sede perineale o lombare. I sintomi della prostatite cronica sono più sfumati: dolore o “sensazione di peso” in sede perineale, dolenza uretrale, spontanea o successiva al rapporto sessuale. Più raramente o episodicamente sono presenti disturbi della minzione: minzioni frequenti o notturne, modesti bruciori menzionali. La diagnosi In caso di prostratite acuta la prostata si presenta di dimensioni normali, con consistenza variabile ( molliccia, normale o lievemente indurita). L’unico modo per diagnosticare una prostatite è, quindi, la visita da uno specialista che effettuerà l’esplorazione rettale. La palpazione può comportare la fuoriuscita del meato urinario di alcune gocce di secrezione biancastra o giallastra. Ma sintomi più vaghi possono essere ugualmente rivelatori: i dolori testicolari ricorrenti, i bruciori minzionali fino all’Incontinenza Urinaria, la microematuria persistente e I’emospermia (fuoriuscita di sperma misto a sangue). Quest’ultima spesso si associa alla presenza di Calcificazioni della Prostata. In caso di prostatite acuta ogni ulteriore accertamento viene rinviato a dopo la risoluzione del quadro clinico acuto, in quanto la gravità della sintomalogia richiede un trattamento tempestivo. La diagnosi di prostatite cronica richiede invece un approfondimento diagnostico per consentire la scelta del trattamento più adeguato. Vengono Generalmente eseguiti esami microscopici e colturali della secrezione prostatica, del liquido seminale e delle urine. Questi esami hanno lo scopo di identificare la presenza di batteri e di altri microrganismi che possono essere responsabili dell’infezione. L’esecuzione dell’antibiogramma consente di scegliere l’antibiotico più efficace contro ciascuno dei germi identificati. Le indagini possono essere completate con I’esecuzione di un esame ecografico transrettale dell’apparato urinario e della prostata per valutare l’eventuale presenza di altre patologie che possono comportare disturbi simili a quelli della prostatite o che possono favorire l’insorgenza dell’infezione prostatica. Attenzione: la raccolta delle urine, della secrezione, prostatica e del liquido seminale deve essere fatta usando gli appositi recipienti sterili. La prostata è costituita da numerose piccole ghiandole separate da sottili fibre muscolari. Per la sua sede e le sue funzioni, la prostata è coinvolta in due importanti funzioni
  • 22. 22 prostata(viaascendente).Inquestocasoèfrequentemente associata un’infezione dell’uretra (uretroprostatite). - Il reflusso di urina In altri casi la prostatite può essere causata da reflusso di urina infetta negli sbocchi delle ghiandole prostatiche, provocato da concomitanti alterazioni patologiche dell’uretra o della prostata. - La diffusione dal retto L’infezione può raggiungere la prostata per diffusione diretta o linfatica dall’ultimo tratto dell’intestino (retto), che è immediatamente adiacente alla prostata. Lastitichezzaostinataoleinfezionisonoifattoripredisponenti per questa modalità di trasmissione dell’infezione. - La via ematica Più raramente l’infezione può propagarsi direttamente alla prostata a partire dal circolo sanguigno, come conseguenza di un’infezione acuta in un’altra sede corporea (infezioni respiratorie, ascessi dentari, ecc.). Le prostatiti possono essere causate da batteri o da altri microrganismi o essere abatteriche. Le persone con malattie croniche (diabete) o debilitanti sono più esposte alle infezioni prostatiche, come d’altra parte ad ogni altro tipo d’infezione. Prostatosi, la prostatite abatterica In alcuni casi non è possibile dimostrare la presenza di batteri o di altri microrganismi infettivi. Quest’ultima condizione patologica viene definita prostatite abatterica o prostatosi. In questi casi si può sospettare la presenza di un’infezione causata da una quantità molto bassa di microrganismi (bassa carica batterica), quindi difficilmente identificabile con i comuni mezzi diagnostici. In altri casi l’origine di questi disturbi può essere ricercata in cause non infettive che comportano una congestione acuta della prostata (accumulo di secrezione e ristagno di sangue) dovuta a prolungata astinenza sessuale o prolungata eccitazione sessuale senza sfogo, alla pratica del coito interrotto, a ripetuti microtraumi in regione pelvica (bicicletta), a grave stitichezza o emorroidi. L’epididimite Le infezioni prostatiche possono talvolta propagarsi lungo le vie seminali fino a raggiungere I’epididimo, un piccolo organo immediatamente sopra il testicolo. L’infezione dell’epididimo, o epididimite, monolaterale o bilaterale, può essere una fastidiosa complicanza, immediata o tardiva delle prostatiti. In caso di prostatite acuta, anche l’infezione dell’epididimo ha caratteri acuti (epididimite acuta); violento dolore testicolare associato a febbre elevata e ad un rapido ingrossamento dell’epididimo che diventa indistinguibile dal testicolo, fino a formare una massa dolentissima di dimensioni doppie o triple rispetto a quelle originarie del testicolo. La prostatite cronica può associarsi invece ad un’infezione dell’epididimo con caratteri più sfumati (epididimite dell’apparato genitourinario maschile: I’eiaculazione e la minzione. Durante I’eiaculazione il secreto delle ghiandole prostatiche viene emesso nell’uretra, dove si miscela con il liquido seminale proveniente dai dotti deferenti e dalle vescicole seminali prima di essere espulso all’esterno. Dall’altra parte l’aumento volumetrico della ghiandola prostatica può causare una deformazione o una compressione del tratto prostatico dell’uretra che può ostacolare l’emissione di urina durante la minzione. L’infezione della prostata La ghiandola prostatica è suscettibile ad infezioni come altri organi del nostro corpo. Le infezioni prostatiche (prostatiti) sono molto rare nel bambino e nell’adolescente mentre sono relativamente frequenti nel giovane e nell’adulto. Nell’anziano possono associarsi alla presenza di ipertrofia prostatica. Le possibili vie dell’infezione sono di diverse entità: - Il contagio sessuale I microrganismi causa dell’infezione, spesso a seguito di un contagio sessuale, possono risalire l’uretra, penetrare negli sbocchi delle ghiandole prostatiche e raggiungere la 22
  • 23. 23 cronica): dolenzia inguinale o testicolare con modesto sviluppo di volume dell’epididimo che si presenta lievemente aumentato di consistenza e modicamente dolente alla palpazione. Talvolta la comparsa di sintomi dolorosi inguinali e testicolari costituisce la prima o unica manifestazione della prostatite cronica. Evitare sport o altre attività che possono provocare traumi del perineo (bicicletta, motocicletta, ecc.). Evitare lunghi periodi alla guida di autoveicoli e intervallare una giusta attività motoria con brevi passeggiate per riattivare la circolazione delle gambe e del bacino; svolgere un’attività sessuale regolare, senza eccessi o periodi prolungati di astinenza. Trattamento farmacologico Il trattamento della prostatite acuta è basato sull’impiego tempestivo degli antibiotici. Trovano comune impiego, in questi casi, antibiotici ad ampio spettro, cioè attivi su diverse specie batteriche. Il trattamento deve avere una durata di almeno 10-14 giorni. Superata la fase acuta, è consigliabile eseguire gli esami microscopici e colturali della secrezione prostatica che servono come guida per la prosecuzione della terapia. In seguito lo specialista valuterà l’opportunità di proseguire la terapia antibiotica per altri 15-21 giorni. In ogni caso è indispensabile seguire con il massimo scrupolo la prescrizione del medico, sia per le dosi sia per i tempi di trattamento, anche se i disturbi della prostatite sono scomparsi. Nella fase acuta può essere inoltre necessaria la somministrazione di farmaci antinfiammatori per ridurre la sintomatologia dolorosa. È consigliabile il riposo assoluto a letto, una dieta leggera e l’assunzione di abbondanti quantità di liquidi. Il trattamento della prostatite cronica è più impegnativo. È importante riuscire ad identificare l’agente dell’infezione per poter selezionare l’antibiotico più efficace (terapia mirata). Ovviamente anche in questo caso è indispensabile seguire con il massimo scrupolo la prescrizione del medico poichè trattamenti troppo brevi, anche a dosaggi pieni ,possono favorire le ricadute. Nei casi in cui non è possibile identificare alcun agente infettivo, si ricorre ad una serie di provvedimenti intesi a ridurre i disturbi e a rimuovere i possibili fattori predisponenti. In alcuni casi può essere consigliato l’impiego di farmaci che favoriscono lo svuotamento della vescica. I semicupi o i bagni caldi sono spesso assai efficaci nel dare sollievo alla sintomatologia. Adottare uno stile di vita sano Un utile completamento a questi provvedimenti può essere l’adozione di uno stile di vita regolare sulla base di alcune semplici regole: consumare pasti possibilmente caldi, ad orari regolari ed in condizioni di tranquillità; passeggiare e praticare attività sportive rilassanti ( nuoto, corsa moderata, ginnastica a corpo libero, ecc.). Le norme dietetiche sono volte a ridurre I’irritazione dell’intestino ed evitare il ristagno di feci, condizioni che provocano alterazioni della circolazione dei vasi emorroidi che si riflettono sul circolo prostatico. È indispensabile evitare o ridurre drasticamente il consumo di cibi piccanti (contenenti pepe, peperoncino e spezie varie), di cioccolata e di caffè. Anche l’assunzione di alcolici (vino e birra compresi) deve essere rigidamente limitata. La funzione intestinale deve essere regolare. Le feci devono essere evacuate tutti i giorni, ricorrendo, in caso di stitichezza, all’abbondante assunzione di liquidi e di alimenti ricchi in fibre vegetali (pane integrale o di segale, verdure cotte a foglia larga, spinaci, frutta cotta) o all’impiego di lassativi cosiddetti di “massa” a base di agar, crusca o altre fibre vegetali. Nei casi di stitichezza più ostinata è consigliabile l’assunzione di sostanze ad azione lubrificante (olio di oliva o di vasellina) o di supposte di glicerina. In presenza di emorroidi infiammate, prolassate o sanguinanti, sarà opportuno interpellare uno specialista per le cure specifiche del caso. In questi casi è comunque sempre consigliabile un’accurata igiene locale dopo ogni defecazione e l’impiego di pomate ad azione analgesica ed antiedemigena (preparati antiemorroidari). Nasce la prima collana di e-book gratuiti su “L’importanza della prevenzione” una selezione dei contenuti che hanno riscontrato maggior successo sui canali mediatici di Mutua MBA. L’idea nasce dalla volontà di radicare nella memoria dei lettori alcuni principi cardine su cui è essenziale si fondi l’idea stessa di “salute” con l’obiettivo di riversare i propri contenuti in materia su tutto il territorio nazionale e non esclusivamente a chi è già socio della Mutua. Se non volete perdere nemmeno un numero inviate una mail a info@mbamutua.org La collana di e-book gratuiti di MBA L’importanzadella prevenzione
  • 24. 24 a cura di NIcoletta MelePet therapy: un grande beneficio per la salute La PET-THERAPY è una terapia che si avvale dell’aiuto degli animali, sviluppata attraverso l’interazione tra l’uomo e l’animale domestico. Alla sua base c’è il rispetto di tutti gli esseri viventi che intervengono. La terapia è sbarcata in Italia negli anni ’90 con alcune pubblicazioni, come quella del 1992 di Marzia Giacon che ha scritto Pet therapy: psicoterapia con l’aiuto di Amici del mondo animale e nel 1995 Giovanni Ballarini, docente di Veterinaria a Parma, scrive “Curarsi con la pet- therapy”. Il primo corso di pet-therapy si è svolto a Roma nel giugno 1995, promosso dal Centro di Collaborazione OMS/FAO per la Sanità Pubblica veterinaria, dall’Istituto Superiore di Sanità di Roma, dal Servizio veterinario Roma D e dall’associazione Scuola Viva di Roma. Il main lecturer è stato il prof. Dennis Turner. Oggi la pet therapy è un fenomeno in crescita tanto che è oggetto di ricerca presso l’Istituto Superiore di Sanità, NECO Neuroscienze Comportamentali, ed è ormai diffusa in tutto il territorio nazionale con molta richiesta di interventi. Per saperne di più, abbiamo intervistato la dottoressa Clotilde Trinchero, Direttore scientifico e docente presso IUSTO Scuola Superiore di Formazione Rebaudengo di Torino specializzata in neuroanatomia funzionale, pet therapy ed etologia. La dottoressa Trinchero è anche socia fondatrice e presidente di A.S.SE.A. ONLUS, un’associazione che si avvale dei principi della pet-therapy per svolgere la sua attività in ambito sanitario e socio-assistenziale. Lo scopo è quello di ottenere e valorizzare i benefici fisici e psichici derivanti dalla vicinanza di animali da compagnia in soggetti che vivono forme di disagio. Dottoressa, che cos’è la pet therapy? Quali sono i principali benefici per la salute? “La pet-therapy (“pet” è letteralmente l’animale domestico da “accarezzare”) si riferisce all’impiego degli animali come coadiuvante alla terapia di malattie degli esseri umani. E’ dall’era preistorica che l’uomo ha sperimentato il beneficio del rapporto affettivo instaurato con gli animali, ma è dal ‘900 che la psicologia ha dimostrato come gli animali possano essere considerati “guaritori dell’anima”, attraverso la loro capacità di modulare positivamente lo stato psico-affettivo, socio-comportamentale ed emotivo- sensoriale dell’individuo. Teorizzata in particolare negli anni ‘60 da Boris Levinson, psicologo dell’infanzia, la terapia con gli animali è stata w Il termine pet-therapy in Italia e in Francia ha procurato equivoci e disaccordi. Negli ultimi tre anni, perciò, nei due Stati, è stato riformulato in maniera tale che siano soddisfatte le varie esigenze delle diverse figure professionali interessate a tale disciplina scientifica. In Francia è stata adottata la locuzione – Mediation Animal, in Italia, invece, Interazione Assistita da Animali (IAA). Il termine anglosassone pet-therapy, per ora, è adottato per specificare la terapia vera e propria con la mediazione di animali domestici cioè la TAA. Gli Interventi Assistiti da Animali sono l’insieme di: programmi di Attività Assistita da Animali - AAA a scopo ludico e ricreativo, finalizzati al miglioramento della qualità della vita e costituite da incontri e visite di animali da compagnia, a persone in strutture di vario genere; programmi educativi – EAA – Educazione Assistita da Animali, progetti pedagogico-ricreativi, rivolti principalmente ai bambini in età prescolare e scolare, nel periodo in cui essi aumentano la partecipazione e la socializzazione in tutte le attività di relazione e maturano i processi cognitivi. Gli animali agiscono come elemento catalizzatore dei comportamenti, favoriscono una stabilità affettivo-emozionale, contribuiscono a sviluppare il senso di responsabilità e una corretta organizzazione comportamentale. Infine, vi sono le Terapie effettuate con l’ausilio di animali - TAA - attività terapeutichevereeproprie,finalizzate a migliorare le condizioni di salute di un paziente mediante specifici esercizi. Integrano, rafforzano e coadiuvano le terapie normalmente effettuate per ogni tipo di patologia. Possono essere impiegate con l’intento di migliorare alcune capacità mentali (memoria, pensiero induttivo), comportamentali (controllo dell’iperattività, rilassamento corporeo, acquisizioni di regole in pazienti psichiatrici), psicosociali (miglioramento delle capacità relazionali, di interazione), psicologici in senso stretto (trattamento della fobia animale, miglioramento dell’autostima), rallentamento di alcune patologie cronico-degenerative (Alzheimer, sclerosi multipla), riabilitazione post trauma-cranico, ictus e prevenzione (diabete, malattie metaboliche, patologie cardiocircolatorie). Dal punto di vista scientifico su 10 studi, 9 riportano benefici molto importanti. Ad esempio, in uno studio condotto da me e dal dott. Carlo Buffa, (Esperienze di fisio-pet-terapia nei traumi cranici, Centro Incontri della Regione Piemonte, Torino – 7 dicembre 2012) è stata elaborata una valutazione statistica dei miglioramenti di alcune persone affette dai postumi di traumi cranici, dovuti proprio all’impiego di TAA strutturate soggettivamente. I pazienti,chenonavevanoulteriorimiglioramentidacircadue anni, pur in costante terapia riabilitativa, hanno evidenziato un fortissimo miglioramento determinato dalla mediazione animale. Questo lavoro è stato anche esposto a EXPO 2015 nella giornata dedicata ad A.S.SE.A il 17 luglio”.
  • 26. 26 In cosa consiste la terapia? Come si svolgono le sedute? “La mediazione animale si esprime attraverso diverse modalità di intervento sui pazienti; la scelta della specie animale e la tipologia di contatto con l’animale stesso è valutata dallo specialista. Per esempio, la cura per una patologia può richiedere l’intervento di animali diversi per specie, taglia o colore, attraverso la valutazione delle caratteristiche del paziente stesso. Per la riabilitazione post ictus, gli esercizi fisioterapici sono, a prima vista, motori, ma l’animale agisce anche a livello psichico del paziente, favorendo la produzione di neurotrasmettitori e ormoni che predispongono a pensieri e volontà positivi. La memoria può essere sollecitata o mantenuta vivace con esercizi statici nei quali è l’animale che suscita l’interesse nel paziente. L’animale non giudica e rasserena. Abbiamo raggiunto dei grandi risultati durante le terapie svolte con pazienti in Coma Minimamente Responsivo ricoverati presso una RSA. La mediazione animale si esprimeva attraverso un prolungato contatto fisico, dapprima guidato dal pet-terapista e, in alcuni di essi, poi svolto dal paziente stesso. Due persone paralizzate da qualche anno, hanno iniziato a muovere volontariamente le mani e le braccia, riacquistato espressione facciale e rivolto sguardi coscienti agli operatori. E’ drasticamente mutato in tal modo anche l’atteggiamento degli operatori sanitari che, pur avendo sempre lavorato con scienza e coscienza, hanno migliorato e sensibilizzato il rapporto con il paziente, sentendosi maggiormente gratificati. Per quanto concerne lo svolgimento delle sedute nello specifico, all’inizio sono di conoscenza e presentazione da ambo i lati, l’uomo incontra l’animale e l’animale incontra l’uomo. Si vedono e osservano le rispettive reazioni ed effettuanoleopportunevalutazioni.Dopodichél’operatore mostra determinati gesti che poi sarà il malato a compiere: dare da bere o da mangiare al cane, spazzolarlo o soltanto accarezzarlo. In questa fase l’operatore cerca di suscitare nella persona malata il desiderio di compiere in prima persona quelle determinate attività, ma lascia ben presto all’animale il compito di mediazione. Nei casi di corretto svolgimento del programma di IAA, è l’animale che spontaneamente e cognitivamente compie atti, assume atteggiamenti o si relaziona in modo tale da suscitare, elicitare (to elicit), una risposta da parte dell’utente. Spesso il pet-terapista coordinatore dell’incontro, cioè la figura umana competente, assiste ed è attento osservatore dello scambio comunicativo animale-uomo e nel momento nel quale si presenta la risposta voluta, agisce in base alla proprie competenze e alla propria sensibilità. La fiducia nelle capacità e nelle possibilità dell’animale deve essere completa. Man mano che gli incontri di pet therapy procedono, emerge nel paziente l’aspetto più bello e che dà maggiore soddisfazione: si “riapre” al mondo. Tra gli obiettivi primari della pet-therapy c’è proprio quello di riuscire a ‘fare breccia’ nella persona attraverso l’animale”. Quanti e quali sono i modelli? “Ci sono i modelli educativi, che coinvolgono i bambini che vanno dall’età della scuola materna fino alle media. Sono compresi, tra i tanti, interventi contro il bullismo e l’educazione sessuale (tra i metodi educativi che danno i migliori risultati per l’educazione sessuale e insegnano il rispetto, portandolo a essere un concetto strutturante la personalità del bambino, vi è proprio la EAA. Si può insegnare che dare piacere è fonte di piacere stesso. La violenza è fonte di disagio e disgregazione della personalità). Sono “educativi” proprio perché educano al rispetto dell’altro. Gli animali utilizzati sono il cane, il gatto, i conigli e l’asino. Poi ci sono le attività assistite, ne usufruiscono gli anziani sia in fase di soggiorno diurno, sia in strutture sanitarie che in case di accoglienza. Si svolgono attività di memorizzazione e socializzazione. Questa è l’attività più svolta (40% in Italia di residenze per anziani usufruiscono di questa attività con i volontari). Infine c’è la terapia, sempre condotta su un singolo utente. Il medico di base fa la diagnosi e prescrive la terapia con l’animale affidato a un pet-terapista e ne controlla lo svolgimento”. Sono più gli anziani o i bambini che svolgono questo tipo di terapia? “Al momento attuale sono bambini fino ai 12 anni e le persone anziane dai 65 anni in su. E’ applicata in ambito scolastico soprattutto nei soggetti diversamente abili e nelle Residenze Sanitarie per anziani. I progetti di A.S.SE.A si rivolgono a bambini molto piccoli, a partire dai 2 anni e mezzo e alla popolazione che soffre di alcune patologie croniche che si manifestano a età diverse, dai 35 anni in poi, ma prevalentemente dopo i 60 anni”. Lei è docente e Direttore Scientifico presso il Master in pet- therapy e qualità della vita della IUSTO, Scuola Superiore di Formazione Rebaudengo di Torino, socio fondatore
  • 27. 27 e presidente di A.S.SE.A ONLUS, di cosa si occupa l’Associazione? Quali sono le vostre attività? “Ho iniziato a lavorare alla pet-therapy durante il dottorato di ricerca a Cambridge, UK nel 1992. Sono socia fondatrice dell’Associazione A.S.SE.A e ho elaborato dei test che hanno lo scopo di, per prima cosa, rilevare e prendere coscienza delle attitudini e delle capacità intrinseche e soggettive di un animale, per tutte le specie che ci forniscono ausilio. Se l’animale rivela attitudini e capacità che possono esprimersi nelle attività di pet-therapy, consigliamo un’educazione adeguata. Se hanno propensione a una qualunque diversa attività, consigliamo educazioni confacenti, su diversi fronti, che diano soddisfazione all’animale e anche al conduttore stesso. Per questo abbiamo realizzato figure di sostegno agli operatori di pet-therapy, che, formando un binomio affiatatissimo con il proprio animale, sono in grado di aiutarci. E’ stato poi elaborato un test per fornire un ausilio, utile a definire un animale da IAA. A.S.SE.A esegue alcuni metodi educativi, di prevenzione e cura di alcune patologie. Ho studiato il rapporto del 2012 sulle condizioni sociali degli anziani in Italia a cura dell’associazione Auser. Il rapporto ha preso in considerazione le tre categorie di malattie che più colpiscono le persone in età avanzata quali: il diabete che colpisce il 13% dei giovani-vecchi e il 20% negli anziani con più di 74 anni; le malattie cardiovascolari, gli ultra75enni malati sono il 18% del totale e l’osteoporosi affligge il 45% tra le donne con più di 75 anni. Sulla base di questi dati ho elaborato il Metodo Healthy Dog Walk, presentato a EXPO 2015. Questo metodo, che coniuga il fitwalking al dog walking con i criteri degli TAA, è rivolto ai pazienti affetti dalle tre categorie di malattie rilevate, cardiopatici, diabetici, con osteoporosi e altri come ipertesi, affetti da malattie metaboliche, forme reumatiche e artritiche e da due forme neoplastiche, una prettamente femminile e una coinvolgente entrambi i sessi. Il Metodo Healthy Dog Walk sta dando buoni risultati su pazienti in forte sovrappeso, in attesa di intervento chirurgico, tonificando per intero il fisico e facendo calare in percentuali ragionevoli, il peso corporeo in modo fisiologico quel tanto da rendere più affrontabile l’intervento”. Il vostro è un lavoro di equipe? “Certamente, è essenziale lavorare in gruppo. Sono almeno 4 le figure coinvolte e componenti due equipe: un’Equipe Prescrittivo Progettuale e una Operativa. L’Equipe Prescrittiva è composta da un medico che prescrive, da un’etologo che valuta quale specie e/o quale soggetto all’interno di una specie risulta essere il miglior mediatore, da un pet-terapista che valuta cosa chiedere all’animale per l’interazione con l’uomo e valuta la relationship avvenuta e quali esiti ha prodotto; l’Equipe Operativa, è composta da un pet-terapista e/o da un coadiutore od operatore e il conduttore dell’animale che applicano le disposizione indicate e salvaguardano il benessere del paziente e dell’animale. Prendiamo come esempio una persona con problemi di mobilità a un arto superiore quale esito di ictus. Il pet-terapista etologo, su richiesta del fisiatra, valuta quale tra la specie equina, asino o cavallo, la specie canina, la felina o la lagomorfa (n.d.r. conigli) risulta essere la più idonea a sollecitare risposte cognitive e motorie nel paziente. Scelto l’animale, il pet-terapista o fisioterapista esperto operatore di IAA e il conduttore dell’animale stesso (equipe operativa) propongono esercizi ad hoc che tale animalesaevuolesvolgere,alfinedisollecitareilmovimento volontario dell’arto immobile. Il modo in cui l’animale svolge l’esercizio al quale è stato educato, è lasciato libero all’animale stesso. L’animale fa movimenti, indirizza lo sguardo direttamente agli occhi del paziente, assume posture tali da invitare il paziente a reagire. Il paziente reagisce sempre a tali scelte comunicative e la risposta è incredibile. Ecco il punto cardine della TAA: è l’animale che elicita (mi permetta il termine inglese), cioè tira fuori,
  • 28. 28 provoca, suscita, una reattività tale da provocare la prima risposta neuromotoria che in potenza esisteva nel paziente. Quest’ultimo, spesso, dapprima non ne è consapevole. La gioia e la soddisfazione che trapela negli occhi o nelle espressioni verbali del paziente quando si rende conto di avere mosso l’arto in modo congruo e finalizzato, quando pochi secondi prima e per lunghi mesi non era stato più in grado di farlo, è incomparabile. L’animale come risponde? Nel suo impegno ci mette ancora più vigore e manifesta contentezza: se è un cane, c’è un forte dimenar di coda e l’arrivo di una leccata, se è un gatto si sentono fusa profonde e veloci, se è un asino, un testone va a toccare la spalla del paziente. Il setting di IAA è un luogo nel quale gli operatori si trovano a svolgere i propri compiti ed è ricco di emozioni e sollecitazioni positive. Gli esercizi si fanno via via più complessi. L’impegno dell’animale è grande e la preparazione per arrivare a certi risultati è lunga, ma è in grado di raggiungere l’obiettivo scientemente prefissato. E’ una fisioterapia che abbiamo definito integrata IAA”. Quali animali sono stati studiati per la terapia? “Gli animali che maggiormente coinvolgiamo nella terapia sono quelli domestici come cani, gatti, conigli, anche i cavalli (si parla allora di ippoterapia e riabilitazione equestre) e gli asini”. Perché la scelta di animali domestici? “A differenza di quelli selvatici, possono essere facilmente coinvolti in un’attività relazionale. E’ una norma internazionale, non vi rientrano altri tipi di animale perché il rapporto con l’uomo, instaurato con l’ addomesticazione millenni di anni fa, è tale da salvaguardare la dignità dell’animale. Il caso in cui un selvatico sembri idoneo, non deve fare eccezione alla regola. Non si può essere sicuri che l’animale tolleri tutte le situazioni che gli si possono presentare e si creerebbero precedenti pericolosi. Inoltre, gli animali non domestici non possono essere portati nelle strutture mediche a salvaguardia della loro e della nostra salute. Negli IAA, perciò, sono d’ausilio esclusivamente le specie domestiche che hanno, per coevoluzione, affinità alla convivenza con l’uomo e ne accettano il contatto. Anche l’ausilio di un cetaceo come il delfino è stato messo in discussione. I centri che lavorano con etica di salvaguardia del benessere della specie, lavorano in mare aperto. L’unico centro presente nel Mediterraneo è il Dolphin Reef di Eilat in Israele”. Con l’associazione seguite più uomini o donne? “Non c’è una sostanziale differenza, sono poco più gli uomini post ictus che seguono la terapia con cane, gatto, cavallo”. L’Italia è il paese più longevo dell’Unione Europea con la maggiore percentuale di ultraottantenni. L’indice di vecchiaia è di 148,6 anziani ogni 100 giovani (Istat 2103) e, per promuovere il benessere dell’anziano, i 53 Stati Membri della Regione Europea dell’OMS, hanno concordato una comune nuova politica sanitaria di riferimento: Salute 2020, Health 2020. A tal proposito, è quindi necessario valutare non solo la salute fisica della persona anziana, ma anche tutte le altri differenti dimensioni, quali la sfera cognitiva, quella sociale, emotiva, affettiva, ambientale e funzionale. “Gli Interventi Assistiti con Animali (IAA) - ha spiegato la dottoressa Trinchero - possono in gran parte rispondere a queste esigenze, in quanto consentono alla persona anziana di essere stimolata e aprirsi verso l’esterno. Sono molteplici i benefici, avvalorati da numerosi studi, sia a livello fisico-motorio (riduzione della pressione sanguigna, regolazione della frequenza cardiaca e stimolazione del movimento) sia a livello cognitivo, comportamentale e psicologico (miglioramento delle capacità di attenzione e di memoria, miglioramento del tono dell’umore e riduzione della depressione, aumento dell’autostima e del senso di benessere e riduzione del senso di solitudine)”. Per gli anziani, quali sono gli animali che vengono più coinvolti nella terapia? “Generalmente cani o gatti perché accendono i ricordi e la persona è più stimolata ad andare verso quel determinato animale. È più stimolato all’approccio. In genere però, rimangono più attivi nel lavorare con il cane. Prima del suo arrivo c’è una totale apatia verso ambiente esterno e le persone presenti; l’atteggiamento cambia quando arriva l’animale”. Con quale tipo di pazienti si sono ottenuti i migliori risultati? “Riabilitazione post ictus, stati di minima coscienza, alcune patologie metaboliche, neurologiche (Alzhaimer) e psichiatriche e, soprattutto, nella fascia di patologie pediatriche, sindrome della sfera autistica e alcune sindromi neuromotorie. Per ognuna di queste patologie è ormai presente un’ importante referenza scientifica, soprattutto internazionale”. Può raccontare qualcuno dei successi raggiunti? “Ricordo con orgoglio il caso del cane Lester, un meticcio preso in canile che ha fatto un miracolo vero e proprio con una persona in stato di minima coscienza. Il paziente non parlava, completamente allettato. Nella fase iniziale, le mani del paziente sono state poste sul cane, sul torace per farne avvertire il respiro sul suo respiro, sul suo cuore, una volta la settimana. Alla quarta seduta abbiamo rivolto
  • 29. 29
  • 30. 30 è di fondamentale importanza per il malato di Alzheimer (come per altri malati) e questo tipo di terapia è basata fondamentalmente sul piacere e sull’aver voglia di ‘fare’. La pet-therapy offre al malato una leva motivazionale fortissima. Emerge il piacere di conoscere l’animale, il piacere di trascorrere del tempo in sua compagnia, il piacere di accarezzarlo e giocare. Un altro aspetto è quello emozionale, perché l’animale crea intorno a se’ un clima di grande affettuosità e gioia, un’atmosfera distesa e serena aiuta molto il malato di Alzheimer. Si verifica rilassamento corporeo e diminuzione dell’irritabilità apportando beneficio a livello psichico. Ad oggi si stanno scoprendo i meccanismi fisiologici che portano a tali benefici psicofisici, come l’aumento di produzione di ossitocina stimolata dal contatto visivo uomo-cane”. Oltre che a livello relazionale, il rapporto uomo-animale dona al malato di Alzheimer altri benefici? “I maggiori benefici sono a livello relazionale ed emozionale, ma grazie al rapporto con l’animale, il paziente malato di Alzheimer ricorda esperienze del proprio passato legate al contatto con un altro cane o un gatto ed è maggiormente disposto al dialogo, parla con più facilità, quindi i miglioramenti riscontrati sono numerosi Risultati registrati durante un’esperienza trimestrale di fisio pet-therapy al paziente delle domande specifiche sugli animali che incontrava, il cane e il gatto, del tipo: “Mario, hai mai avuto dei cani?” Senza alcun preavviso ha emesso vocalmente parole perfette come “sì”. “Preferisci cane o gatto?”, lui ci ha risposto cane. Siamo rimasti un attimo attoniti e senza parole. Ricordo che il paziente non si esprimeva vocalmente da 4 anni. Il cane sin da subito ha assunto degli atteggiamenti spontanei per stimolare questa persona. La cosa sbalorditiva è vedere questi animali che hanno una sensibilità con la persona con cui sui rapportano che è particolare, capiscono l’esigenza della persona, l’umore e si sanno rapportare di conseguenza. Un secondo esempio è quello riferibile a una ragazza con esiti da coma minimamente responsivo per un incidente stradale, con tetra paresi spastica e impossibilitata a parlare, stabile da tre anni, che dopo solo un mese e mezzo di TAA ha incominciato a diminuire lo stato spastico, ha riacquistato poi il controllo del tronco inferiore, a utilizzare in modo congruente la mano destra e ad articolare scientemente. La festa per il suo 26° compleanno, dopo tre mesi di terapia, è stato un vero e proprio evento con lei protagonista, coinvolta in risate e coccole da parte della grande Karina, la cagna IAA che l’ha letteralmente riportata alla vita. Il particolare più clamoroso è avvenuto, però, nei primi due secondi di TAA. Ero stata avvisata che la paziente non poteva essere toccata da estranei. Accettava solo due persone di famiglia e si esprimeva con crisi ipertoniche. Al primo incontro, Karina si è avvicinata spontaneamente a lei e le ha leccato una mano. Istintivamente io gliel’ho asciugata passando la mia mano sulla sua. Resami conto di averla toccata, le ho chiesto scusa e lei mi rivolto un grande sorriso. Due secondi dopo le ho chiesto: “ti piace Karina?” Mi ha risposto muovendo le labbra “SI”. “Ti posso prendere la mano per aiutarti ad accarezzare Karina? “Si”. Un ulteriore caso è riferibile a una bambina di 5 anni affetta da disturbo di stress post traumatico, con esiti in fobia per gli animali. E’ completamente guarita in sei mesi di terapia soggettiva. Lei stessa ha chiesto ai propri genitori di adottare un gattino per avere un amico sempre con se’ “. Oggi continuano a fare progressi? “Sì, in tutti e tre i casi”. In che modo l’interazione tra essere umano e animale aiuta il malato di Alzheimer? “I lavori scientifici effettuati dimostrano un rallentamento dell’evoluzione della malattia. Il contatto e lo scambio emozionale che avviene tra uomo e animale è molto particolare e profondo, sicuramente differente dai comuni rapporti tra gli esseri umani. Si differenzia tanto sul piano emotivo, occupazionale e soprattutto crea un coinvolgimento molto forte. Molte persone malate di Alzheimer tendono a chiudersi in se stesse a causa della perdita progressiva delle capacità cognitive e il rapporto che si instaura con un animale dà loro modo di ‘riattivarsi’, esternare emozioni, migliorare l’umore e la qualità della vita quotidiana. Uscire dallo stato apatico e depressivo
  • 31. 31 e importanti. Non dimentichiamoci che nei ricordi infantili di tutti noi sono presenti animali, sia reali, come il cane, il gatto o il coniglietto, oppure immaginari, come gli animali che popolano le favole, i racconti, i cartoni animati, per non parlare dell’animale di peluche che ci faceva compagnia nel lettino...Questo per dire che l’animale, in ogni sua ‘forma’, accompagna il bambino durante i primi anni di vita e anche oltre. L’anziano colpito da Alzheimer ha la memoria recente distrutta, ma grazie alla terapia vede stimolata la memoria antica e questo flusso di ricordi lontani, sono un bagaglio emozionale estremamente prezioso nel momento in cui viene esternato, raccontato, trasportato dal mondo interiore al mondo esteriore. Un’ulteriore considerazione è che l’azione del ricordare è di per se’ terapeutica, perché il grande cruccio del malato di Alzheimer è non riuscire a ricordare, questo impedimento crea in lui forte ansia e malessere. Nelle pubblicazioni scientifiche viene riportato un altro importante risultato: l’interazione con l’animale è in grado di ridurre l’agitazione e l’aggressività”. Essere padrone di un cane può aiutare la persona malata di Alzheimer a sentirsi utile, a compiere azioni quotidiane per il benessere dell’animale? “Assolutamente sì, a condizione che i familiari possano accudire il cane”. Con Expo 2015 ci sono state delle novità in merito alla pet- therapy, quali? “Il 17 luglio scorso A.S.SE.A è stata presente a EXPO 2015 per presentare la III edizione del Master “Interventi Assistiti da Animali e qualità di vita” e alcune altre sue attività portate al successo. E’ stato esposto lo stato dell’arte in Italia, la confusione terminologica e le diverse norme delle Regioni sulle figure professionali che hanno competenza in pet-therapy e infine le difficoltà del reperimento di contributi per poter sostenere i diversi progetti. In alcune regioni è previsto, nel prossimo futuro, in caso di TAA, il rimborso delle spese sostenute. L’aumento della richiesta di interventi di ogni tipo AAA, EAA, TAA denota la giusta sensibilità che il pubblico italiano sta raggiungendo”. Qual è il suo messaggio? “Lasciamo che la natura possa esprimersi in noi. Ne siamo parte, è nel nostro codice genetico ed abbiamo grosse responsabilità quali esseri altamente senzienti. Gli animali sono con noi, aiutano, avvisano, hanno cura dell’essere umano. Ci riportano alla consapevolezza che siamo parte e anche custodi dell’ambiente. Tutti insieme, animali e uomini, siamo il mondo che si muove. Portiamo rispetto agli animali e a noi stessi”.
  • 32. Nessuna distinzione per numero di componenti della famiglia Nessuna distinzione di età Sussidi per Single o Nucleo famigliare Detraibilità fiscale (Art. 15 TUIR) Nessuna disdetta all’associato Durata del rapporto associativo illimitata Soci e non “numeri” perché abbiamo scelto mba? rimborso inteventi home test alta diagnostica assistenza rimborso ticket conservazione cellule staminali visite specialistichesussidi per tutti check up MBA si pone come “supplemento” alle carenze, ad oggi evidenti, del Servizio Sanitario Nazionale. L’innovazione dei Sussidi che mette a disposizione dei propri associati identifica da sempre MBA come una vera “Sanità Integrativa” volta a migliorare la qualità di vita degli aderenti. Mutua MBA Tel. +39 06 90198060 - Fax +39 06 61568364 www.mbamutua.org - info@mbamutua.org
  • 33. 33 a cura di Ivo Fiorelli In questi ultimi anni si è verificata una notevole riduzione del ricorso alla medicina omeopatica, riduzione avvertita dai medici omeopati ben prima della conferma statistica: dal 15,8% della popolazione che nell’anno 2000 ha scelto di servirsi di tale medicina non convenzionale, nell’anno scorso lo ha fatto solo 8%. Una motivazione è sicuramente la conseguenza della crisi economica imperversante, che si riflette su pratiche mediche non riconosciute, quindi non a carico del SSN, ma questa non è l’unica causa, né la più importante, nella crescente disaffezione a queste cure. Il principio omeopatico, ovvero le cure tramite sostanze naturali che inducono in un soggetto sano sintomi simili a quelli presenti nei soggetti malati, è stato ideato nel XVIII secolo dal medico tedesco Hahnemann, sulla base che ciò che è “naturale” è buono e ciò che è “artificiale” è cattivo! Però questo, in generale, non è vero: alcuni funghi, elementi naturali, sono squisiti e altri, ugualmente naturali, sono letali, il veleno del cobra è naturale, ma non si può dire “buono”, quindioccorrefareledovutedistinzioni,distinguendociòche è utile da ciò che è dannoso, procedendo con l’assunzione di sostanze “naturali” utili assai diluite, in modo da assuefare l’organismo alla loro presenza, sì che non lo avverta come estraneo (insomma, una specie di mitridatismo). La scienza medica ufficiale non ha mai accettato questa forma di medicina, in mancanza di concrete prove e verifiche sperimentali, malgrado una grandissima parte degli utilizzatori di tale metodo curativo si sia dichiarato soddisfatto dai risultati ottenuti, con il riconoscimento da parte dell’OMS della pratica omeopatica. Secondo Silvio Garattini, direttore dell’Istituto di ricerche farmacologiche Mario Negri di Milano, vicepresidente del Consiglio Superiore di Sanità in Italia e consulente dell’OMS, l’Ordine dei medici avrebbe fatto un grave errore nel consentirne l’incorporazione ai medici omeopati, in quanto i medicinali omeopatici sono “letteralmente acqua fresca “, poiché la diluizione con la quale vengono preparati i prodotti omeopatici è tale che in essi spesso non vi sia neanche una molecola del principio attivo su cui si dovrebbe basare la cura. Si tratterebbe quindi di un particolare “effetto placebo” che riesce a dare risultati personalmente soddisfacenti a un insieme di soggetti (si tenga presente che oltre la metà di questi ha una età compresa fra i 55 e i 90 anni), particolarmente sensibili più a fattori psicosomatici che organici, anche se loro livello medio di istruzione è medio- alto, quindi sia con maggior accesso a informazioni che a cure generalmente più costose. Oggi però, attraverso i mezzi di informazione più diffusi, e di maggior ascolto, soprattutto in questi strati sociali, viene illustrata una quantità enorme di nuovi farmaci, assai più specifici per le singole patologie, a volte con accattivanti spiegazioni dei motivi che li rendono particolarmente indicati, e spesso gli stessi medici sono portati a proporne l’uso: la scienza progredisce, ottenendo prodotti più mirati ed efficaci, mentre i rimedi naturali no: sono 200 anni che il metodo omeopatico non ha saputo migliorarsi né offrire nuove soluzioni, soprattutto per affrontare nuove malattie. Ciò viene ben percepito da chi è alla ricerca di un miglioramento del proprio stato di salute, possibilmente tempestivo. Questi sono i veri motivi della diminuzione della fruizione omeopatica: il mercato esistente, in diminuzione per ragioni naturali, non trova ricambio nelle generazioni giovani, che credono di più alla scienza (e ascoltano di più i media), cercando maggiori sicurezze in farmaci tecnicamente e scientificamente sperimentati. L’omeopatia ha un futuro?