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gennaio/febbraio2019-N°29
Ecco perché la Sanità
Integrativa è premiata
da imprese e lavoratori
Il periodico di informazione sulla Sanità Integrativa
Una navicella nel corpo umano: le videocapsule
endoscopiche che segnalano i tumori
Da Rain Man a The Good Doctor:
i disturbi dello spettro autistico al cinema e in TV
I migranti come risorsa per migliorare sanità globale
ed economie nazionali
Tecnologia e salute
Psicologia
Attualità
“La salute non è tutto
ma senza salute tutto è niente”
Arthur Schopenhauer
Sanità: che sia integrativa, complementare e sostitutiva
Il nostro governo sta verificando, tramite un’indagine parlamentare conoscitiva, se le norme oggi applicate alla sanità integrativa siano
corrette e se gli sgravi fiscali dei quali ne godono gli aderenti siano conformi al diritto alla salute di tuti i cittadini.
Ben venga tutto ciò che è utile a fare chiarezza se fatto senza pregiudizi e basandosi su dati oggettivi.
Dati che ci indicano, sia oggi che in base alle proiezioni future, come sarà impossibile, per qualsiasi economia, garantire prestazioni
sanitarie totali per tutti i cittadini quando l’invecchiamento della popolazione, l’ampliamento della scienza medica e lo sviluppo
tecnologico in campo sanitario, che rappresentano sicuramente un grande miglioramento sociale, nel contempo però richiedono e
richiederanno allo stato di sostenere sempre maggiori investimenti e spese per la sanità.
Siamo quindi ad un bivio al quale, vogliamo sottolineare orgogliosamente, il nostro paese, da sempre un esempio mondiale per la protezione
sanitaria offerta ai propri cittadini, si è preparato per tempo con una legislazione sempre più adeguata deliberata negli ultimi 30 anni e che
ci consente oggi di poter operare una scelta decisa, affinché il nostro paese rimanga ancora all’avanguardia in campo sanitario.
Il bivio infatti è scegliere se fornire prestazioni sanitarie garantite dallo stato a tutti sostenendo una spesa esplosiva, strutture pubbliche
oberate, code di attesa lunghissime e tecnologie obsolete oppure garantire le prestazioni sanitarie complete per le fasce più deboli della
popolazione quali anziani, bambini, malati cronici, percettori del reddito di cittadinanza e consentire agli altri cittadini di organizzarsi
secondo i principi della mutualità.
Siamo certi che, di fatto, questa non sia una scelta difficile bensì un percorso già ben tracciato da perseguire con determinazione per
garantire una sanità pubblica efficiente con costi controllati e prestazioni assolute per le fasce più deboli della popolazione e una sanità
integrativa fondata sulla mutualità per tutti gli altri.
Una scelta responsabile e sociale che confermi la valenza della sanità integrativa ed anzi ne ampli l’intervento confermandone anche
l’aspetto complementare e sostitutivo e rafforzi i vantaggi fiscali garantiti agli aderenti alla sanità integrativa, anzi possibilmente
allargandone i confini, anche in funzione del fatto che la stessa è gestita da enti senza scopo di lucro ed appartenenti al terzo settore.
Rendere la sanità integrativa uno strumento solo meramente secondario comporterebbe, da parte dei cittadini, un sempre maggiore
ricorso alle strutture pubbliche con un evidente riflesso in termini di minore efficienza prestazionale e maggiori costi impedendo,
contestualmente, alla mano pubblica di poter dedicare risorse adeguate alle fasce più deboli della popolazione.
Inoltre una scelta errata, soprattutto in termini fiscali, presupporrebbe una modifica in direzione anti sociale delle norme inserite, in virtù
delle leggi già varate sul welfare aziendale, in moltissimi contratti di lavoro, con una evidente necessità sindacale di ridiscutere contratti
già firmati ed un impegno dei datori di lavoro a sostenere maggiori costi produttivi senza poter più usufruire di un modello che garantisce
già oggi una migliore produttività e ed un migliore senso di appartenenza, con evidenti e misurabili ricadute positive sul clima all’interno
delle aziende stesse.
Ma una scelta sbagliata che tolga alla sanità integrativa gli spazi esistenti non impatterebbe solo sugli aspetti economici e professionali
ma anche su quelli sociali, in quanto determinerebbe l’impossibilità per molti lavoratori di godere di prestazioni sanitarie adeguate
per loro e le loro famiglie interrompendo, per di più, il patto tra generazioni, già molto in tensione per gli aspetti previdenziali, non
permettendo ai pensionati di domani di usufruire di un’adeguata copertura sanitaria.
Se poi pensiamo a settori come l’assistenza a lungo termine per tutti coloro che potranno avere problemi di autosufficienza è possibile
comprendere come, dati alla mano, il ridimensionamento della sanità integrativa porterebbe impatti fortemente negativi sulla sanità
pubblica con una esplosione molto problematica dei costi dello stato per prestazioni oggi sostenute dagli enti di sanità integrativa con
il supporto della cooperazione.
Quindi la domanda che sorge spontanea è perché un governo si dovrebbe impegnare a ridisegnare, con evidenti sforzi temporali,
impegni economici elevati e sistemi giuridici da rifare completamente, un quadro normativo ormai completo ed efficiente solo per
sostenere costi maggiori, offrire ai cittadini una minore efficienza e minori prestazioni, non garantire equità sociale e pregiudicare le scelte
già effettuate dai lavoratori?
La risposta è quella che, tutti insieme, dobbiamo dare e, soprattutto, dobbiamo impegnarci affinché venga applicata perché il bivio, del
quale abbiamo scritto, venga superato senza danni, ma anzi, con un miglioramento misurabile per tutti, è quella di far sì che il governo
decida di garantire sempre di più una sanità pubblica finalizzata a proteggere le fasce più deboli della popolazione ed una sanità
integrativa fondata sul principio della mutualità ed affidata agli enti senza scopo di lucro con vantaggi fiscali adeguati per tutti coloro che
vi aderiscono.
Un bivio, in conclusione, dal quale imboccare senza esitazioni la strada che confermi l’obbiettivo di mantenere un sistema sanitario
nazionale all’avanguardia con una sanità pubblica ad elevato valore sociale affiancata da una sanità che non sia solo integrativa nel senso
stretto del termine, ma anche complementare e sostitutiva.
Milanese, ho maturato un’esperienza
ultraventennale nel settore assicurativo e
finanziario,occupandomi sia dei prodotti che
del marketing e dello sviluppo commerciale,
fino alla direzione di compagnie assicurative,
nazionali ed estere.
Nel 2005 sviluppo un progetto di consulenza
estrategia aziendale che ha consentito di
operare con i maggiori player del settore
assicurativo per realizzare piani strategici di
sviluppo commerciale.
Dal 2009 mi occupo di Sanità Integrativa,
assumendo la carica di Presidente ANSI,
Associazione Nazionale Sanità Integrativa
e Welfare, e contestualmente di Health
HoldingGroup,importanterealtàdelsettore.
Dal 2016 sono presidente di Health Italia, una
delle più grandi realtà nel panorama della
Sanità Integrativa Italiana e società quotata
in Borsa sul mercato AIM Italia.
a cura di Roberto Anzanello
EDITORIALE
periodico bimestrale di informazione sulla Sanità Integrativa
Anno 6° - gennaio/febbraio 2019 - N°29
Direttore responsabile
Nicoletta Mele
Direttore editoriale
Ing. Roberto Anzanello
coordinamento generale
Anna Mastropietro
Comitato di redazione
Alessandro Brigato
Michela Dominicis
Mariachiara Manopulo
Giulia Riganelli
Hanno collaborato a questo numero
Beatrice Casella
Alessia Elem
Marilena Falcone
Alessandro Notarnicola
Direzione e Proprietà
Health Italia SpA
c/o Palasalute - Via di Santa Cornelia, 9
00060 - Formello (RM)
www.healthitalia.it
Tutti i diritti sono riservati.
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Articoli, notizie e recensioni firmati o siglati esprimono soltanto l’opinione dell’autore e comportano di conseguenza
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9 maggio 2016
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HEALTH
LA SANITà INTEGRATIVA NON è SANITà PRIVATA06
www.healthonline.it
I migranti come risorsa per migliorare sanità globale
ed economie nazionali08
I carcinomi infantili del pancreas:
il pancreatoblastoma e i tumori papillari solido-cistici12
20
22
26
16
Ecco perché la Sanità Integrativa è premiata
da imprese e lavoratori
Can anybody find me somebody to love?
Essere single a San Valentino
GIOCHIAMO A CARTE SCOPERTE…GIù LA MASCHERA!
DA RAIN MAN A THE GOOD DOCTOR:
I DISTURBI DELLO SPETTRO AUTISTICO AL CINEMA E IN TV
BULLISMO E CYBERBULLISMO: SINERGIA TRA FAMIGLIA, SCUOLA
E ISTITUZIONI PER DIRE STOP AL FENOMENO28
l’angolo della poesia
32
36
44
38
Malattie rare agli occhi: sintomatologia e cure
Una navicella nel corpo umano:
le videocapsule endoscopiche che segnalano i tumori
BISTURI ADDIO, L’USO DEL LASER PER GLI INTERVENTI
DI IPERTROFIA PROSTATICA BENIGNA
mHealth, la tecnologia mobile applicata alla salute
46
indice
Attualità
Psicologia
Tecnologia e
salute
Special
In evidenza
06 | Health Online 29
Gli Enti di Sanità Integrativa oggi forniscono
prestazioni sanitarie a oltre 12 milioni di associati
che, al netto degli sgravi fiscali, consentono
importanti risparmi statali nell’ambito del costo
complessivo della spesa sanitaria nazionale
contribuendo così ad un importante sostegno
economico al bilancio dello Stato.
Nel suo intervento il Presidente Anzanello ha
chiarito che gli Enti di Sanità Integrativa sono
realtà non lucrative e che quindi “nessuno gode
di eventuali disavanzi di bilancio positivi e gli
Enti sono i destinatari dei vantaggi fiscali oggi
LA SANITà INTEGRATIVA NON è SANITà PRIVATA
L’intervento del dott. Roberto Anzanello, Presidente dell’Associazione
Nazionale Sanità Integrativa e Welfare (ANSI) all’incontro con la XII
Commissione Affari Sociali della Camera dei Deputati
“Gli Enti di Sanità Integrativa, quali i Fondi
Sanitari, le Casse di Assistenza Sanitaria e le
Società di Mutuo Soccorso, sono attivi in ambiti
dove sono più deboli gli interventi dello Stato e
là dove diventa necessario sostenere la famiglia
attivamente, in ogni angolo del Paese. Il principio
mutualistico non allontana le persone dal Servizio
Sanitario Nazionale ma anzi, ne incentiva la cultura
offrendo una libertà di scelta all’assistito”. Le
parole del dott. Roberto Anzanello, Presidente
dell’Associazione Nazionale Sanità Integrativa
e Welfare (A.N.S.I.), nel corso del suo intervento
nell’ambito dell’indagine conoscitiva in materia di
fondi integrativi del Servizio Sanitario Nazionale
della XII Commissione Affari Sociali della Camera
dei Deputati.
La Camera dei Deputati ha avviato, tramite
la Commissione Affari Sociali, una indagine
conoscitiva in materia di fondi integrativi
al Servizio Sanitario Nazionale finalizzata
ad approfondire la materia al fine di valutare
l’opportunità di un riordino della Sanità
Integrativa. Nel programma di audizioni è stata
convocata, il 29 gennaio scorso, l’ANSI (http://
www.sanitaintegrativa.org, associazione no profit,
fondata nel 2011 da alcune primarie società
generali di mutuo soccorso e casse di assistenza
sanitaria come risposta al bisogno di aggregazione
e di rappresentatività nel settore della sanità
integrativa italiana), e il Presidente dott. Roberto
Anzanello e il Vice Presidente dott. Luciano
Dragonetti, hanno ribadito l’importanza del valore
socio assistenziale della mutualità e spiegato quale
dovrebbe essere l’obiettivo del Governo.
“Il Governo dovrebbe valorizzare un sistema che,
forte di una tradizione mutualistica no profit, oggi
sta già garantendo prestazioni e servizi sanitari
quale secondo pilastro della sanità italiana,
consentendo alla sanità pubblica di liberare
risorse economiche da destinare alle fasce più
deboli della popolazione. Un modello unico e
valoriale a livello mondiale che va solo incentivato,
valorizzato, facilitato e, sicuramente, non privato di
risorse economiche e legislative coerenti.”
Attualità di Nicoletta Mele
www.healthonline.it | 07
in vigore. La Sanità Integrativa non è la Sanità
privata”.
In questo contesto, partendo dal presupposto
che il Sistema Nazionale Italiano continui ad
esprimere modelli di eccellenza unici e che possa
ulteriormente modernizzarsi raggiungendo livelli
ancor più significativi nei rating internazionali
“Siamo convinti - ha concluso Anzanello -
che lo Stato dal punto di vista di assistenza
sanitaria debba dirigersi verso le fasce più
deboli della popolazione e cioè ai bambini,
agli anziani, ai malati cronici ed a tutte quelle
persone che potrebbero godere del “reddito di
cittadinanza”. Siccome è impossibile avere risorse
per tutti va concesso ai cittadini di associarsi tra di
loro nelle varie forme mutualistiche che non sono
sostitutive della Sanità pubblica ma integrative. La
natura no profit degli Enti di Sanità Integrativa
permette un’assistenza universale senza alcun
limite di età reddito o stato sociale per effetto
dell’adesione con il principio della porta aperta”.
Il mutuo soccorso è un valore universale. Fin dalle
origini, le società generali di mutuo soccorso hanno
rappresentato un movimento di idee e di fatti che
ha messo al centro della propria azione il rispetto
della dignità umana. Il rapporto tra i soci è regolato
da un patto che definisce vantaggi e obblighi
reciproci. Questo patto, libero e volontario, si
chiama mutualità e lo scambio mutualistico è il
mezzo attraverso il quale operano le società di
mutuo soccorso. L’ANSI, nata dalla precisa volontà
di dar vita a una associazione di categoria che
comprende Società Generali di mutuo soccorso,
Casse, Fondi Sanitari, è fermamente convinta
dell’importanza di rappresentare un’idea di futuro
che consideri prioritario il valore della salute.
Oggi l’Associazione è l’unico soggetto capace di
assistere e sostenere i diversi enti operanti in Italia
negli ambiti della sanità integrativa e del Welfare;
per tale ragione, svolge costantemente presso
le Istituzioni un lavoro di sensibilizzazione e di
promozione.
08 | Health Online 29
I migranti come risorsa per migliorare
sanità globale ed economie nazionali
Intervista al prof. Francesco De Domenico
“La mobilità a livello mondiale è il nostro futuro,
indipendentemente da leggi e muri”. Questa
è l’affermazione centrale sulla quale si basa
l’interessante documento “UCL-Lancet Commission
for Migration and Health: the health of a world on
the move”, pubblicato lo scorso dicembre dalla
Commissione internazionale di specialisti creata
congiuntamentedaUCL(UniversityCollegeLondon)
e dalla prestigiosa rivista The Lancet, per affrontare
la tematica estremamente attuale della salute
pubblica in una realtà globale in movimento. Gli
stessi temi della ricerca, originariamente improntata
su scala mondiale, sono stati successivamente
ripresi con riferimento alla situazione europea e
italiana anche da uno studio dell’Organizzazione
Mondiale della Sanità, svolto in collaborazione con
l’Istituto Nazionale per la Salute, la Migrazione e
la Povertà (fonte: “OMS: i migranti non portano
malattie”, www.ansa.it).
Attualità di Marilena Falcone
IL DOCUMENTO UCL-LANCET
PUNTO PER PUNTO
Il documento pubblicato dalla Commissione internazionale UCL-Lancet per la migrazione e la salute nel
mondo si articola su cinque punti fondamentali. Al termine dell’accurato lavoro di analisi, durato oltre due
anni, i firmatari hanno concluso che:
1.	 È necessario sfatare il mito secondo il quale i migranti portano malattie alla comunità locale. Numeri
alla mano, la Commissione ha affermato che “il contributo dei migranti all’economia delle comunità che
li ospitano è generalmente superiore al loro costo sul servizio sanitario”. Soprattutto nei Paesi ad alto
reddito, il tasso di mortalità dei migranti è inferiore rispetto a quello della popolazione locale; inoltre
si riscontra che, laddove l’accesso alla sanità pubblica è loro consentito, il livello medio di attenzione
alla salute è superiore nei migranti, rendendoli quindi mediamente più “sani” e produttivi rispetto alla
popolazione locale. Nulla di definitivo è invece quantificabile per quanto riguarda lo stato di salute dei
migranti illegali e la situazione nei campi profughi, che sfuggono alla rete della sanità ufficiale.
2.	 Il tipo di struttura sociale e politica nel Paese di arrivo e le condizioni nelle quali si è svolto il viaggio sono
elementi determinanti: secondo la Commissione, “discriminazione, disparità di genere e impossibilità di
accesso ai servizi sanitari e sociali sono le cause più importanti dell’eventuale deterioramento dello stato
di salute dei migranti”.
3.	 È fondamentale analizzare i massicci fenomeni migratori in corso evitando di limitarsi al solo punto di vista
della sicurezza della popolazione ospitante, prendendo in esame anche e soprattutto gli aspetti legati alla
salute, dei migranti e collettiva.
4.	 Consentire ai migranti lo stesso livello di accesso ai servizi di sanità offerti alla popolazione locale si traduce
”in un costo decisamente inferiore per quel che riguarda economia nazionale, sicurezza sanitaria e salute
pubblica” rispetto all’iniziale apparente “risparmio” ottenuto nell’impedire loro l’accesso.
5.	 La mobilità esiste da sempre ed è di fatto inarrestabile: è quindi importante favorire un’azione congiunta di
tutte le figure internazionali politiche, amministrative e sociali di riferimento in modo da arrivare a considerarla
non come un fenomeno da ignorare o tentare di bloccare, ma al contrario come una opportunità, da
trasformare in vantaggi e benefici comuni in termini di salute globale ed economie nazionali.
(fonte: UCL-Lancet Commission for Migration and Health: the health of a world on the move)
Prof. Francesco De Domenico
www.healthonline.it | 09
Oltre un miliardo di persone si è spostato in tutto il
mondo nel 2018, con inevitabili ripercussioni anche
di tipo politico che, secondo i componenti della
Commissione UCL-Lancet, stanno portando a una
emergenza morale collettiva. Gestire eticamente la
questione migranti, contrastando i luoghi comuni
che li riguardano e iniziando a vederli come
risorse invece che come un peso o un pericolo
per la società, avrebbe risvolti pratici molto utili,
soprattutto in termini di salute globale, qualità del
servizio sanitario ed economie nazionali.
Per capire meglio il significato del documento e
inquadrarlo in un’ottica più vicina a noi, Health
Online, il magazine sulla sanità di Health Italia, ha
contattato il professor Francesco De Domenico,
esperto e docente universitario di Sociologia della
Comunicazione.
Professor De Domenico, il punto di partenza
dell’intero documento della Commissione UCL-
Lancet è l’affermazione secondo la quale l’idea
che “lo straniero porta malattie” sia solo un mito
da sfatare, coltivato ad arte per motivi diversi. È
d’accordo? Come nascono queste paure?
Secondo i più recenti dati ISTAT*, l’Italia è il paese
europeo con l’età media più elevata (il più anziano al
mondo dopo il Giappone). E’ chiaro quindi che una
società anziana, che continua ad invecchiare causa il
continuo calo della natalità, si nutre anche di ansie e
di paure: paure per l’economia, per il futuro, per i figli
e i nipoti quando ci sono, e per la salute.
A questo si aggiunge la diffusa “retrotopia”,
un’azzeccata definizione creata da Zygmunt
Bauman per descrivere la nostalgia per “il bel
tempo che fu”, per un più o meno immaginario
passato felice. Si tratta di una sindrome che il
mondo della cultura in Italia ha creato e alimentato
sin dagli anni ‘50, come reazione nostalgica ai costi
umani e sociali dell’industrializzazione accelerata
del paese, idealizzando nel cinema come nella
letteratura l’Italia rurale e fingendo di dimenticarne
la dura realtà delle malattie diffuse, della scarsa o
nulla igiene e sanità, della elevata mortalità (allora
sì...), del basso livello dei servizi nelle abitazioni e
via enumerando. Si spiega anche con queste paure
la crisi europea del Welfare State. Basti pensare che
la Gran Bretagna, che pure è stata il paese europeo
che per primo ha dato vita nel dopoguerra ad un
modello di assistenza sanitaria pubblica a copertura
universale comprensivo ed efficiente, oggi si
rinchiude nella Brexit nel tentativo di bloccare
così l’arrivo di immigrati dall’Europa continentale.
Ricordiamo oltretutto, già 20 anni fa, le assurde
polemiche sull’idraulico polacco che avrebbe
rubato il posto agli Inglesi.
Lei pensa che una reale campagna di
comunicazione incentrata sulla paura delle
malattie e dello straniero sia in atto, nel nostro e
in altri Paesi?
Non è un caso che l’annuale sondaggio Ipsos** sulle
priorità degli Italiani evidenzia rispetto allo scorso
anno una crescita rilevante dell’ansia per il welfare e
l’assistenza unitamente a quella per l’immigrazione.
Ancora, sempre l’ISTAT*** rileva una riduzione del
personale sanitario del Servizio Sanitario Nazionale
(un problema che non si risolve certo abbassandone
la qualità con una sanatoria per il personale non
qualificato e diplomato).
Oggi in Italia gli immigrati sono il 10% della
popolazione residente, ma nella percezione
popolare diffusa sarebbero ben il 28%. Quindi
il fenomeno viene amplificato in modo tale da
moltiplicare le ansie e la paure. Uno sviluppo
comune un po’ a tutti i paesi europei, compresi
quelli scandinavi un tempo portati a modello di
apertura e di accoglienza. Questa tendenza a
rinserrarsi nei confini nazionali gioca anche contro
gli stessi paesi mediterranei come l’Italia, la Grecia,
la Spagna, considerati nei paesi nordici con sempre
maggior diffidenza e sospetto. La paura dello
straniero in Italia non può far leva come altrove su
gravi episodi di terrorismo islamista, dato che sinora,
per fortuna o per altre ragioni, il paese ne è andato
praticamente esente. Vi sono stati semmai svariati
episodi di criminalità comune, per la verità più
spesso provenienti da emigranti dell’Est europeo
comunitario che da altri Paesi. E allora il bersaglio
della xenofobia si sposta sulla paura per la salute,
anche qui amplificando pochi e limitati casi di
malattie, che comunque non hanno mai provocato
contagi né epidemie, che se si fossero verificati
sarebberostatisubitoesasperatidaimedia.Misento
*Dati ISTAT sull’aspettativa media di vita: nel 2017 l'aspettativa di vita
in Italia era in media di 82,7 anni, ben 84,9 anni per le donne e 80,6
anni per gli uomini, ma per la prima volta nel 2017 si è interrotta, sia
pure di un solo punto decimale, la tendenza ad una sua continua
crescita (l'aspettativa media era stata di 82,8 anni nel 2016).
**Sondaggio Ipsos per il "Corriere della Sera" pubblicato il 4
gennaio 2019 sulle priorità degli italiani: il lavoro e l'economia al
75%, il welfare e l'assistenza al 38%, l'immigrazione al 37%, la
sicurezza al 24% e l'ambiente all'8%.
Un anno fa (dicembre 2017) nell'agenda delle priorità degli italiani
le percentuali erano rispettivamente dell'80% per il lavoro e
l'economia, solo del 29% per il welfare e l'assistenza, del 32% per
l'immigrazione.
***Dati ISTAT sul personale sanitario del Servizio Sanitario Nazionale
in Italia: nel 2012 i medici erano 109.000 nel 2012, nel 2015 erano
105.000.Gliinfermierierano272.000nel2012,nel2015erano266.000.
10 | Health Online 29
www.healthonline.it | 11
nel reperire al proprio interno la forza lavoro sia
qualificata che meno qualificata necessaria per
sostenere la ripartenza dello sviluppo dopo anni
ed anni di stagnazione, ha di recente fatto sapere
che, andando decisamente controcorrente rispetto
agli Stati Uniti del muro contro il Messico, aprirà le
proprie frontiere all’immigrazione. E parliamo di un
Paese che ha sempre fatto dell’igiene e della sanità
un articolo di fede.
Concludo allora con una breve analisi personale:
al contrario del Giappone, l’Australia, con una
popolazione mediamente molto più giovane,
oppone una chiusura ermetica alla sua frontiera
marittima con l’Indonesia. Lo stesso che sta
cercando di fare ora l’Europa, un continente
non precisamente popolato da giovani, nei
confronti dei flussi migratori dall’Africa e dall’Asia.
L’associazione degli industriali tedeschi ha proprio
in questi giorni ipotizzato la mancanza nel paese
nel prossimo futuro di circa 1.200.000 unità di
forza lavoro, ma la Germania non manifesta alcuna
intenzione di riaprire i flussi migratori. Questo è tra
l’altro uno dei temi principali su cui si giocheranno
le prossime elezioni del Parlamento europeo,
sotto lo shock della Brexit e con l’avanzata dei
movimenti sovranisti.
Sarà molto interessante allora per tutti noi osservare
gli sviluppi futuri. Per il momento ringraziamo il
professor De Domenico per la disponibilità e per i
tanti spunti di riflessione che ha offerto ai lettori di
Health Online.
a questo proposito di
condividere le parole di
Walter Ricciardi, docente
di medicina preventiva e
presidente dimissionario
dell’Istituto Superiore
di Sanità in un’intervista
rilasciata al Corriere della
Sera (2 gennaio 2019):
“Dire in continuazione
che i migranti portano
malattie è senza
fondamento e mette
in difficoltà le istanze
tecniche,costretteaduna
specie di autocensura
per non contraddire il
livello politico”. Che
si tratti di malattie,
termovalorizzatori o
smaltimento dei fanghi
in agricoltura, prosegue
Ricciardi, “sono materie decisive per la prevenzione
sanitaria e la salute pubblica. Tutto questo mi
ricorda la raccomandazione di Donald Trump al
National Institute for Health degli Stati Uniti di non
pronunciare più il termine evidence based, ossia
‘basato su prove scientifiche’. È un atteggiamento
studiato dai populisti, che hanno una grande
difficoltà a interagire con la scienza”.
La migrazione è sempre esistita ma ultimamente
siamo arrivati a una emergenza morale collettiva:
qual è la situazione relativamente all’Italia?
Secondo l’International Organization for Migration
dell’ONU, nel 2018 si è visto un crollo degli arrivi
di migranti irregolari nella rotta del Mediterraneo
centrale verso l’Italia, con una riduzione dell’80%
sull’anno precedente. Per contro è cresciuto
il numero degli arrivi in Spagna sulla via del
Mediterraneo occidentale ed è incrementato di
circa un terzo l’arrivo sul fronte del Mediterraneo
orientale, soprattutto dal confine terrestre tra Grecia
e Turchia. Quindi In Italia i motivi di allarme sono
almeno per il momento contenuti, anche se come
abbiamo visto la sensibilità popolare sul fenomeno
migratorio resta molto alta e addirittura crescente.
Professore, lei condivide la tesi secondo la quale
un approccio globale alla salute di migranti e
comunità locali possa rivelarsi vantaggioso anche
per l’economia del Paese ospitante?
Per rispondere al quesito, mi limito a osservare
che il Giappone, il paese che ha la popolazione
più anziana al mondo e che quindi ha problemi
12 | Health Online 29
I tumori pancreatici che si manifestano in età
pediatrica e adulta sono, ancora oggi, ritenuti tra
i più difficili da curare. “In particolare, le neoplasie
infantili del pancreas sono carcinomi che originano
dalla componente esocrina del pancreas. Questa
ultima rappresenta circa l’80% dell’organo ed è
costituita da cellule acinari produttrici di enzimi
digestivi, e dotti che convogliano le secrezioni
al duodeno”, spiega il Dottor Massimo Vincenzi,
endoscopista del Servizio di Gastroenterologia
della Struttura Accredita Convenzionata S. Pier
Damiano Hospital di Faenza (Gruppo Villa Maria
Cecilia).
Tra i cancri pancreatici, oltre a tumori papillari
solido-cistici, il pancreatoblastoma (PBL) è il più
comune in età infantile e, generalmente, colpisce
bambini di età inferiore ai 10 anni, con un picco
di incidenza attorno ai 5 anni. I sintomi e le cause
non sono ancora oggi del tutto conosciute, come
per tutte le altre patologie legate al pancreas.
Può svilupparsi in qualsiasi parte del pancreas ma,
spesso, si localizza sulla testa o sul corpo della
ghiandola e, aumentando di dimensioni, può
invadere le strutture circostanti.
Il tasso di mortalità infantile nel nostro Paese sembra
essere, fortunatamente, in netta diminuzione
rispetto agli anni precedenti. Grazie ai progressi
della Ricerca alla cooperazione internazionale fra
oncologiepediatrioggirispettoa40annifailtassodi
mortalità è in diminuzione. Secondo l’Associazione
Italiana per la Ricerca sul Cancro (AIRC) infatti, circa
l’82% dei bambini e l’86% degli adolescenti è in vita
cinque anni dopo una diagnosi di tumore. Tuttavia,
l’Associazione italiana registri tumori (AIRTUM)
stima che per il quinquennio 2016-2020, in Italia,
saranno diagnosticate 7.000 neoplasie tra i bambini
e 4.000 tra gli adolescenti. Si continua ad osservare,
inoltre, una crescita del 2% per i tumori maligni tra le
ragazze, mentre in entrambi i sessi si è registrato un
incremento dell’8% di sarcomi della tiroide (www.
airc.it/pediatrici ).
Il 15 febbraio è stata celebrata la Giornata
Mondiale contro il Cancro Infantile, evento di
fama internazionale promosso dall’organizzazione
Childhood Cancer International (CCI), un network
globale formato da 188 associazioni di familiari
di bambini e adolescenti ammalati di cancro. È
presente in 96 paesi di 5 continenti e, a livello
nazionale, viene rappresentato dalla federazione
FIAGOP, rappresentante sul piano nazionale di
trenta Associazioni di genitori distribuite su gran
parte del territorio, e socio fondatore CCI.
Health Online, in occasione di questa
manifestazione dedicata completamente ai
piccoli pazienti con il cancro, ha intervistato il
Dottor Massimo Vincenzi per avere un’idea più
chiara su come si manifesta e si può curare un
tumore così grave come quello al pancreas in un’età
altrettanto complessa e delicata.
Il pancreatoblastoma (PBL) è il tumore più
comune in età infantile. Quali sono le diagnosi e
I carcinomi infantili del pancreas:
il pancreatoblastoma e i tumori papillari
solido-cistici
Ne abbiamo parlato con il dottor Massimo Vincenzi
Attualità di Beatrice Casella
Dott. Massimo Vincenzi
www.healthonline.it | 13
le cure? Come si differenzia dai tumori papillari
solido-cistici?
Il pancreatoblastoma ed il tumore papillare solido-
cistico del pancreas sono le due varietà di tumori
che, anche se raramente, si possono osservare in
età pediatrica.
Il pancreatoblastoma sembrerebbe presentarsi con
una frequenza variabile compresa tra 0.16% e 0.5%, e
nel 75% dei casi sono colpiti bambini di età inferiore
agli 8 anni. Le cause del pancreatoblastoma sono
sconosciute, ma possiamo confermare che si tratta
di un tumore maligno molto aggressivo. Il 35% dei
pazienti presenta metastasi alla diagnosi e più del
40% è deceduto per malattia. Le sedi più frequenti di
metastasi sono il fegato ed i linfonodi all’ilo epatico
e splenico; polmoni ed ossa sono più raramente
coinvolti. Per estensione diretta, possono essere
interessati l’omento, il peritoneo, la milza, il rene
ed il surrene di sinistra. Il pancreatoblastoma può
manifestarsi come massa asintomatica o causare
anoressia, perdita di peso, dolore e, talvolta, si
verificano anche sintomi da ostruzione biliare.
I tumori papillari solido-cistici invece, colpiscono
prevalentemente giovani donne nella seconda
e terza decade di vita, mentre In età pediatrica si
osservano tipicamente negli adolescenti dove il
tumore è spesso asintomatico o caratterizzato da
sintomi aspecifici.
Quali sono, secondo lei, le indagini mediche
14 | Health Online 29
migliori per verificare e confermare, in breve
tempo, una diagnosi di tumore al pancreas in età
infantile?
Sono sicuramente un’ecografia addominale, una
TAC o una RMN, nonché un dosaggio dell’ alfafeto-
proteina. Inoltre la raccolta della storia clinica è
necessaria per orientare l’iter diagnostico. Gli
esami strumentali (ecografia, TC, RM) sono utili
per diagnosticare la presenza di malformazioni e/o
ostruzioni del distretto bilio-pancreatico. Lo studio
RM con secretina (ormone che stimola la secrezione
pancreatica) è di aiuto per identificare dilatazioni
dei dotti pancreatici dovute a depositi di precipitati
proteici o veri calcoli e, più precocemente, segni
indiretti di infiammazione cronica Il dosaggio
dell’elastasi fecale (enzima prodotto e secreto dal
pancreas che digerisce alcune proteine) può dare
una misura del grado di insufficienza pancreatica. La
valutazionedellacurvaglicemicapuòessereindicata
per studiare la presenza di diabete. Per quanto
riguarda il Pancreatoblastoma, la produzione di
alfafetoproteina (AFP) è aumentata sia nel sangue (in
più del 50% dei pazienti), sia nella stessa neoplasia
studiata con metodiche immunoistochimiche. Se
elevata, l’AFP può rappresentare un marcatore
importante sia alla diagnosi, sia nel follow-up. La
biopsia con ago sottile TAC/ECO-guidata può
rappresentare un valido aiuto nell’orientare la
diagnosi.Peritumoripapillarisolido-cistici,gliesami
di funzionalità pancreatica sono generalmente nella
norma, mentre può essere osservato un aumento di
AFP e CA 19-9. Il follow-up successivo, in entrambi
i casi, consiste nella valutazione sierologica della
funzionalità pancreatica e dei marcatori, se elevati
alla diagnosi, e in controlli radiologici periodici.
La chirurgia mininvasiva utilizzata per rimuovere
le metastasi si può applicare anche nei bambini?
In casi selezionati, è possibile eseguire l’intervento
mediante una procedura (laparoscopica o robotica)
mini-invasiva. Si tratta di una tecnica che richiede
grandi abilità. Le pancreasectomie sinistre e
le enucleazioni sono gli interventi eseguiti con
maggiore frequenza. Le metastasi soprattutto
epatiche possono essere aggredite con tecnica
mini-invasiva e tale approccio è auspicabile anche
nei bambini.
Il carcinoma del pancreas può essere una
conseguenza della pancreatite cronica anche in
età infantile?
L’identificazione della causa della pancreatite
cronica permette solo in alcuni casi di intervenire
in maniera risolutiva, ovvero quando si evidenziano
alcune malformazioni delle vie bilio-pancreatiche,
la calcolosi biliare o delle alterazioni metaboliche.
Spesso l’evoluzione fibrotica dell’intera ghiandola
pancreatica risolve i dolori addominali ma causa
l’insufficienza digestiva ed ormonale. L’insufficienza
pancreatica digestiva ed il diabete, quando
presenti, possono essere trattati efficacemente
con terapie come enzimi digestivi ed insulina,
rispettivamente. Raramente, in presenza di dolore
cronico persistente e invalidante può essere
indicato l’intervento di resezione chirurgica del
pancreas. Le complicanze a lungo termine della
pancreatite cronica (insufficienza digestiva e
diabete) vanno diagnosticate tempestivamente e
possono essere trattate in maniera efficace una volta
riconosciute al fine di evitare ritardi nel normale
sviluppo e nella crescita del bambino. Per tale
motiva, risulta necessario un attento programma
di sorveglianza presso strutture specializzate e i
pazienti dovrebbero ricevere una dieta sufficiente
dal punto di vista calorico per una crescita staturo-
ponderale adeguata all’età, combinata ad un
corretto dosaggio giornaliero di enzimi pancreatici:
per bambini con età di 4 anni 1000-2500 unità di
lipasi/kg/pasto; mentre per giovani adulti 40.000-
50.000 unità di lipasi/pasto.
Cosa consiglia ai genitori con figli affetti da
pancreatite per evitare, in futuro, una possibile
insorgenza di tumore alla ghiandola?
La pancreatite cronica è una patologia complessa in
cui genetica, anatomia e fattori ambientali giocano
tutti un ruolo importante. Non esistono strategie
in grado di prevenire l’insorgenza della patologia,
ma è possibile rallentarne la progressione tramite
comportamenti atti a ridurre il rischio di nuovi
episodi di infiammazione acuta dell’organo:
mantenere una buona idratazione, assumere pasti
piccoli e frequenti, evitare l’uso di alcolici e il fumo
di sigaretta, alimentazione ricca in frutta e verdura.
Non basterebbero 365 giorni per informare e
sensibilizzare le nazioni riguardo il coraggio, la forza
e l’eroismo di tutti bambini (0-14 anni) e adolescenti
(15-19 anni) colpiti ogni anno da un qualsiasi tipo
di carcinoma. Tuttavia, come diceva Madre Teresa
di Calcutta che aveva a cuore i bambini di tutto il
mondo, “quello che noi facciamo è solo una goccia
nell’oceano ma se non lo facessimo l’oceano
avrebbe una goccia in meno”.
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16 | Health Online 29
Con il sisma economico-finanziario dovuto a una
manovra che non ha convinto Bruxelles per settimane
e che ancora oggi è stata approvata ma con non
poche riserve, la Sanità Integrativa italiana è finita al
centro dell’arena pubblica vedendosi contrapposta
al Sistema Sanitario Nazionale, un nesso tra imputati
che per molti giudici non reggerebbe essendo
privo di fondamenti. La Sanità Integrativa interessa
oggi oltre 12 milioni di italiani ed è lo strumento
di welfare contrattuale ampiamente preferito dai
lavoratori (con oltre 20 punti percentuali di distacco
sugli altri strumenti contrattuali). Un dato questo
sottolineato da Roberto Anzanello, Presidente
dell’Associazione Nazionale Sanità Integrativa e
Welfare (A.N.S.I.) che rammenta come l’Italia sia da
sempre un modello, per tutto il mondo, in campo
di assistenza sanitaria per i cittadini e, in virtù delle
normative varate e sostenute da tutti i governi
di qualsiasi colore politico dal 1990 ad oggi, può
continuare ad esserlo integrando sanità pubblica e
sanità integrativa. È dunque da ritenere piuttosto
miope un accostamento – sempre più generalizzato
e promosso di recente – tra i Fondi sanitari integrativi
e la sanità pubblica dal momento che il rapporto
non può reggersi su una contrapposizione tra
“pubblico” e “privato” considerando che la sanità
integrativa integra il Ssn. Una contrapposizione
Ecco perché la Sanità Integrativa è
premiata da imprese e lavoratori
Il commento dell’Ing. Roberto Anzanello
In evidenza di Alessandro Notarnicola
questa comunque approdata il 22 gennaio alla
Camera dei deputati a fronte della scelta governativa
di effettuare un’approfondita analisi sulla sanità
integrativa in termini di trasparenza, controllo della
spesa, duplicazione delle prestazioni, aumento dei
costi burocratici. Il 23 gennaio alla Commissione
Affari Sociali della Camera dei Deputati si è tenuta
l’audizione nell’ambito della “Indagine conoscitiva
in materia di fondi integrativi del Servizio Sanitario
Nazionale”.
Dottor. Anzanello come giudica il fatto che la
Sanità integrativa sia finita sotto i riflettori del
dibattito pubblico?
“Il Governo ha avviato un’indagine conoscitiva che,
correttamente, vuole approfondire tutti gli aspetti di
un tema come la salute, garantito dalla Costituzione.
C’è subito da precisare che la sanità integrativa non
è sanità privata, ma un modello basato sul concetto
di mutualità che consente al Governo di indirizzare
le risorse pubbliche disponibili per la sanità verso le
fasce più deboli della popolazione e ai cittadini, non
compresi tra le fasce più deboli della popolazione, di
associarsi mutualmente per garantirsi una copertura
sanitaria adeguata”.
Qual è l’errore che è stato fatto nel dibattito o
che non andrebbe fatto?
“Non bisogna confondere la sanità integrativa
con le polizze assicurative, con le cliniche private
(sono i prestatori di servizio privati), con le industrie
farmaceutiche (sono fornitori privati). È necessario
solo confermare ed omogeneizzare le regole e
le normative già esistenti nell’ambito della sanità
integrativa, eventualmente stabilendo dei tariffari
massimi per chi eroga le prestazioni (cliniche private
ed aziende farmaceutiche”.
Quale sarà secondo lei, il futuro del sistema
Sanitario Nazionale e della sanità integrativa?
“In virtù del fatto che l’invecchiamento della
popolazione, l’ampliamento della scienza medica e
delle sue applicazioni, e lo sviluppo tecnologico in
campo sanitario non consentirebbero mai (è un dato
numerico oggettivo) a nessun governo di garantire
assistenza sanitaria totale a tutti i cittadini, diviene
indispensabile che il governo indirizzi sempre più le
Ing. Roberto Anzanello
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risorse economiche pubbliche disponibili verso le
fasce più deboli della popolazione (anziani, bambini,
disabili, malati cronici, percettori del reddito di
cittadinanza) consentendo, con i vantaggi fiscali
esistenti, ai cittadini di associarsi in forma mutualistica
aderendo agli enti no profit di sanità integrativa”.
Natura sostitutiva o integrativa. Queste due
nature hanno una giusta causa e quale correlazione
intercorre con la regressione del SSN?
“La sanità integrativa deve essere contestualmente
sostitutiva , integrativa e complementare alla sanità
pubblica andando a garantire ai cittadini che, non
rientrando nelle fasce deboli della popolazione, non
potranno godere di coperture sanitarie pubbliche
totali di rivolgersi agli enti di sanità integrativa
per prevenire (prestazioni sostitutive), curare
(prestazioni integrative), implementare (prestazioni
complementari), integrando le minori prestazioni
che la sanità pubblica potrà garantirgli nell’ambito
del diritto, sancito dalla nostra Costituzione, alla
salute di ogni cittadino”.
Un punto di vista questo del presidente di Ansi
condiviso da Alberto Oliveti, presidente della
Fondazione Enpam, che nella sanità integrativa
non scorge neppure minimamente lo scopo di
marketing e di persuasione sociale che lenisce il
sistema sanitario pubblico che – rammenta – “se
funzionasse” renderebbe “poco efficace il marketing
privato”. Tralasciando le due fazioni scese nell’arena
in materia di sanità integrativa e di contrapposizione
tra pubblico e privato, i dati dimostrano che la
sanità integrativa sta
subendo uno
sviluppo sempre
maggiore in
Italia, segno di
un cambiamento
epocale sia nelle
abitudini dei cittadini
che nell’assetto
generale della sanità
pubblica. Come
dimostra il dibattito
arrivato alla Camera
dei Deputati con
l ’ a p p r o v a z i o n e
della Manovra del
Governo Conte, il
successo dei fondi di
assistenza sanitaria
integrativa, è
sostenutodainumeri.
Infatti dobbiamo
chiederci perché il 62% dei lavoratori dipendenti
dimostra di fidarsi della sanità integrativa? O ancora:
se davvero la sanità integrativa equivale a sprechi
e a poca trasparenza, per quale ragione compare
nel 100% dei casi tra le prime forme di welfare
aziendale? Stando infatti a una recente indagine
Censis e alla rete Pmi, Piccole e Medie imprese,
uno dei servizi di welfare aziendale più ambiti tra i
dipendenti è quello della sanità integrativa, ossia
tutta quella serie di agevolazioni che consentono ai
dipendenti di ottenere i rimborsi sulle spese sanitarie
sostenute (spesso estese a coniuge e figli), sfruttando
le convenzioni con strutture sanitarie e specialisti
privati a cui il proprio datore di lavoro aderisce. Una
delle spiegazioni è sita nel fatto che le Società di
mutuo soccorso vantano oggi una piena titolarità nel
contribuire fattivamente alla creazione di uno stato
sociale presente ed efficace, offrendo un servizio
concreto laddove è davvero necessario, senza
sprechi e mancanze, per una sostenibilità economica
che dall’azienda si estende all’intero sistema.
Stando alle stime dei dati 2018 la spesa del
Governo per sanità pubblica si assesta a 113 miliardi
mentre le spese degli italiani “out of pocket”, che
rappresentano le spese a carico della persona o della
famiglia sostenute per prestazioni sanitarie, hanno
superato i 40 miliardi. Dati alla mano dunque, come
già sottolineato inizialmente, sarebbe da ritenere
piuttosto miope una contrapposizione tra pubblico e
privato nella sanità. Due facce della stessa medaglia
che invece potrebbero incontrarsi dal momento che
la sanità integrativa è un player stabile nel “sistema
salute” italiano.
18 | Health Online 29
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20 | Health Online 29
che i piccoli tendevano a stare con la mamma di
stoffa, calda e accogliente, e che si spostavano
verso la mamma di metallo solo il tempo necessario
a nutrirsi.
Questo esperimento suggerisce come già da
bambini cerchiamo il contatto con l´altra persona
non solo per il soddisfacimento dei bisogni primari
ma per ricevere amore, protezione e sicurezza. In
pratica nasciamo equipaggiati per incontrare l´altro,
anzi è proprio l´incontro con un´altra persona a dar
forma alla nostra identità personale. Secondo gli
psicologi Baumeister e Leary gli esseri umani sono
propensi per natura a formare e mantenere legami
interpersonali duraturi, positivi e significativi. La
mancanza di affetti significativi invece è associata a
unaseriedieffettinegativisullasalute,l’adattamento
e il benessere. Gli autori hanno anche osservato che
interazioni sporadiche con più persone sono meno
soddisfacenti rispetto a interazioni ripetute con la
stessa persona (con il proprio partner per esempio).
Che consigli dare ad una persona single in cerca
dell´anima gemella?
Innanzitutto preciserei che essere single non è una
malattia, né si è dei “perdenti” se non si è trovato
ancora l’amore. Il Greco antico possiede quattro
sostantivi per definire il concetto di amore: storge
(l´amore parentale-familiare), philia (l’amicizia), eros
(il desiderio erotico/romantico), e agape (l’amore
spirituale). Se non riduciamo la parola amore alla
sola accezione di eros esistono, anche per chi è
single, modi alternativi di dare e ricevere amore,
come appunto quello per i propri familiari o per
gli amici. Infatti è la formazione di legami sociali, in
generale, ad essere associata a emozioni positive e
non solo l´amore nell´accezione di eros.
Chiederei poi alla persona cosa stia facendo per
trovare un partner. Alcune persone infatti aspettano
passivamente che l´anima gemella piova dal cielo. In
questi casi è meglio smetterla di autocommiserarsi
e cominciare ad essere proattivi: trovare qualche
attività che piaccia e che appassioni da fare in
gruppo è un´ottima opportunità per socializzare.
Che sia lo sport, il ballo, l´arte, un corso di cucina o
di lingue, o fare volontariato, essere in contatto con
persone che condividono le nostre stesse passioni
aumenta le possibilità di trovare la persona giusta.
E anche se al corso che si frequenta non si trova
nessuno di interessante, niente panico: c´è sempre
la possibilità che siano proprio queste stesse
Can anybody find me somebody to love?
Essere single a San Valentino
L’intervista allo psicologo Giuseppe Iannone
“Ogni giorno mi sveglio e muoio un po´, a malapena
riesco a stare in piedi. Mi guardo nello specchio
e piango”. Cantava così Freddy Mercury per
esprimere le sue emozioni legate all´essere single.
Il giorno di San Valentino è quasi alle porte: già da
qualche settimana in tv impazzano pubblicità di
gioielli, cioccolato, fiori e di persone che si amano
di un amore perfetto ed eterno. Ma San Valentino è
anche il giorno in cui alcuni, specialmente i single,
possono provare sentimenti di tristezza, solitudine o
ansia. Come non farsi prendere dallo sgomento nel
giorno in cui le coppie festeggiano il loro amore?
Ne parliamo con il Dr. Giuseppe Iannone, psicologo
e neuropsicologo presso il Centro di Psicologia
Clinica di Liscate (MI).
Dr. Iannone, perché tanti single vivono male la
giornata di San Valentino?
Amare e sentirsi amati sono necessità biologiche
fondamentali, al pari, se non più, del cibo. In un
famoso esperimento condotto dallo psicologo
americano Harry Harlow, otto cuccioli di scimmie
rhesus venivano prese dalle loro madri poco dopo
la nascita e tenuti separati in una gabbia con due
madri sostitutive: una madre-fantoccio ricoperta di
stoffa morbida e una madre-fantoccio di metallo
alla quale era stato fissato un biberon con del latte.
I risultati di questo esperimento hanno dimostrato
Psicologia di Alessia Elem
Dott. Giuseppe Iannone
www.healthonline.it | 21
persone appena conosciute a presentarci la nostra
dolce metà.
La coscienza della propria solitudine può poi
portare a ricercare nell´altro un mezzo per colmare
il vuoto ed il senso di incertezza che si sente attorno
a sé: purtroppo però essere disperati ci si ritorce
contro, nella misura in cui la disperazione può
farci innamorare della prima persona che compare
all´orizzonte, impedendoci così di aspettare la
persona giusta. Non bisogna lasciare che la paura
di essere single possa guidare la scelta del partner.
Anche perché avere al nostro fianco qualcuno che
non amiamo non ci salva dalla solitudine; per dirla
con il filosofo tedesco Martin Heidegger: «Per
numerosi che siano i presenti, l’Esserci può restare
solo».
La paura di essere single può influenzare le
decisioni di scelta del partner. Spielmann e colleghi
hanno scoperto che le donne che hanno paura di
essere single tendono ad essere più dipendenti
da relazioni romantiche infelici rispetto alle donne
che stanno bene da sole. Inoltre, la paura di essere
single può mantenere le persone in relazioni che
altrimenti lascerebbero. Parte di questa paura
è alimentata dalle aspettative sociali e culturali
e riflette un processo di stigmatizzazione dei
single. La paura di essere single può portare le
persone ad accontentarsi di un partner sbagliato.
E sono proprio coloro che più strettamente fanno
dipendere la felicità dall’essere in una relazione
amorosa a non trovare la serenità all’interno di una
relazione romantica.
Esistono disturbi e patologie legati all´amore?
Sì, esistono diversi modi disfunzionali di vivere
l´amore, nonché vere e proprie patologie che
possono condurre a gravi stati di sofferenza emotiva.
Pensiamo ai casi di attaccamento morboso o di
gelosia patologica, cui spesso si
associano episodi di stalking, e che
impediscono la conduzione di una
vita relazionale normale. Un altro
fenomeno è quello della limerence,
caratterizzato da pensieri ossessivi
sulla persona che si ama (anche
quando l´altro non ricambia
il sentimento), da valutazioni
irragionevolmente positive delle
sue caratteristiche, da dipendenza
emotiva e da un forte desiderio di
reciprocità. Spesso questi individui
sono attratti da partner sbagliati,
soffrono amori non corrisposti,
sono incapaci di imparare dalle loro
esperienze e vivono un forte senso
di angoscia e inutilità. Pensiamo
ancora ai deliri erotomani, in cui la
persona ha la convinzione infondata
che un’altra persona provi sentimenti amorosi nei
suoi confronti oppure alle parafilie.
Ci sono infine individui innamorati dell´amore
(o meglio dell´innamoramento, che è la prima
fase dell´amore) più che del proprio partner. In
questi casi, anche se il soggetto è felicemente
corrisposto rimane incapace di provare vero affetto
per il partner, limitandosi ad amare la sensazione
dell’innamoramento suscitata dal partner (e/o da
altri partner occasionali), e non è capace di passare
dall’infatuazione iniziale al vero amore, inteso come
impegno in una relazione matura.
San Valentino è indubbiamente uno dei periodi
forti dell´anno in cui alcuni single possono trovarsi
ad attraversare momenti di profondo sconforto e
tristezza legati alla loro condizione sentimentale
e al non sentirsi degni di amare o di essere amati.
A questi sentimenti possono accompagnarsi il
rimuginìo (a volte ossessivo) di non essere riusciti a
trovare l´anima gemella e/o l´ansia, che si manifesta
sotto forma di preoccupazione per il futuro di non
riuscire a trovare la persona giusta.
Nel suo testo “L´arte di amare” lo psicoanalista
tedesco Erich Fromm sostiene che l´amore non è
qualcosa che riceviamo passivamente dall’altro
ma azione attiva da coltivare e perfezionare con
dedizione e costanza, un´arte che “richiede fede,
sforzo e saggezza”. Dare amore riempie d’amore,
porta soddisfazione, gratificazione e un profondo
senso di connessione con gli altri. Non è un caso
che le persone più felici sono quelle più generose.
Amore quindi non solo come sentimento ma come
impegno e adesione, caratterizzato da un insieme di
azioni amorevoli, durature e prolungate nel tempo
da rivolgere non solo al proprio partner ma anche a
se stessi e ad altri (genitori, parenti, amici, colleghi,
ecc.). Solo così l´amore diviene scelta consapevole
e fonte di benessere e felicità.
22 | Health Online 29
stupore che i miei pazienti mostrano di fronte a
domande apparentemente semplici ed elementari.
Ho capito che nessuno gliele aveva mai poste, che
loro stessi non se le erano mai poste. Ho notato
però anche il piacere di rispondere a queste
domande, di mostrarsi, di farsi conoscere, di fare
in modo che io capissi esattamente chi avevo di
fronte. Ho notato il piacere di constatare che lo
“strizzacervelli” fa domande facili. La gente ancora
ha una strana idea della mia professione.
È un mazzo di carte perchè le carte si prestano al
gioco da tavolo. E il tavolo è il luogo della famiglia
e degli amici, delle chiacchierate, della convivialità
e della socializzazione, molto più del sofà”.
Carte scoperte perchè questo nome?
“Perchè se è vero che ciascuno ha una sua maschera
sarà vero anche che non giochiamo mai a CARTE
SCOPERTE. Spesso questa frase è usata con
circospezione, lo sarà, suppongo, anche in questo
caso. Molti ritengono che giocare a carte scoperte
sia sinonimo di svelare i propri segreti e le proprie
strategie di sopravvivenza. Non è così. “Gioca a
carte scoperte”, nel linguaggio comune, significa
“parla chiaro”, sempre. La particolarità, trattandosi
di un gioco per famiglie e amici intimi, è che qui le
domande vertono su cose semplici, più superficiali
che profonde perché a volte è proprio su quelle
che ci perdiamo. Paradossalmente le persone si
aprono di più sul profondo, il passato, la memoria,
l’infanzia che su ciò che è attuale. Succede quindi
che mentendo o nascondendosi dietro frasi di
circostanza non si facciano conoscere, non dicano
di sé rendendo i rapporti meno fluidi ed intensi”.
E’ un gioco- non gioco. Come funziona? A quale
pubblico è rivolto? Possono giocare anche i
bambini?
“Possono giocare tutti. Non credo ci sia al mondo
qualcuno, di qualsiasi età, che non abbia voglia
o bisogno di parlare, di confrontarsi, di farsi
conoscere. Non è un gioco nel senso canonico
del termine perché non si vince e non si perde,
non ci sono punti né squalifiche. Non ci sono,
infatti, risposte giuste, né risposte sbagliate. Si
posiziona il mazzo al centro del tavolo e partendo
GIOCHIAMO A CARTE SCOPERTE…GIù LA
MASCHERA!
Con la psicologa-psicoterapeuta Marinella Cozzolino
Gioca a carte scoperte ovvero parla chiaro! Un
gioco non gioco, non si vince e non si perde ma si
impara a parlarsi, ad ascoltarsi e conoscersi “con
una comunicazione semplice ed elementare” come
la definisce l’ideatrice del progetto la psicologa-
psicoterapeuta Marinella Cozzolino. Si tratta di
52 carte, 52 domande e si sceglie la persona alla
quale porle: Questa domanda è per te; Questa
domanda è per tutti e Scegli a chi porre questa
domanda. Elementi di “gioco” molto interessanti
perchè “si possono fare domande dirette alle
persone da cui desideriamo avere determinate
risposte e anche la possibilità di giocare più volte
con le stesse persone, proprio perchè c’è un
doppio mescolamento di carte e domande”. Uno
strumento utile alla conoscenza reciproca e alla
relazione.
Per saperne di più e per capire le dinamiche e il
motivo che ha portato alla nascita del progetto,
Health Online ha intervistato la dottoressa
Marinella Cozzolino.
Da cosa nasce l’idea? Perchè lo hai pensato
sotto forma di mazzo di carte?
“L’idea nasce, ovviamente, dal mio lavoro. Negli
anni non ho mai smesso di sorprendermi per lo
Psicologia di Nicoletta Mele
Dott.ssa Marinella Cozzolino
www.healthonline.it | 23
24 | Health Online 29
dal giocatore più adulto, a turno, si pesca una
carta e si risponde alla domanda. Su ogni carta,
oltre alla domanda c’è l’indicazione che riguarda il
giocatore a cui rivolgere la domanda.
1) Questa domanda è per te
2) Questa domanda è per tutti
3) Scegli a chi porre questa domanda
Questo meccanismo permette un paio di
cose interessanti: di fare domande dirette alle
persone da cui desideriamo avere determinate
risposte e la possibilità di giocare più volte con
le stesse persone, proprio perchè c’è un doppio
mescolamento di carte e domande”.
Qual è l’elemento caratterizzante?
“La comunicazione. Semplice ed elementare.
Come vuoi che mi comporti con te quando
sei nervoso? E ‘una domanda che si fa una sola
volta, ma che non ci facciamo mai, che però ci
permette di essere utili e complici con l’altro in
tante occasioni. E poi l’intimità, l’entrare di più nel
mondo dell’altro. La condivisione dei ricordi, se si
gioca con nonni e nipoti è potentissima a livello
emotivo”.
Le domande sono 52. Perchè e sulla base di cosa
le ha formulate e tra queste ce n’è qualcuna
“particolare”?
“Sono 52 come un normale mazzo di carte.
Possono essere usate più e più volte poichè il
gioco prevede un meccanismo per cui non sempre
chi pesca una carta sarà la persona che risponderà
a quella domanda. Questo cambia l’ordine dei
giocatori e delle domande per cui ogni volta ci sarà
da rispondere a domande diverse. Le domande
sono interessanti o meno a livello soggettivo. Per
me la più “particolare” è: In cosa hanno sbagliato
con te i tuoi genitori?”. Credo sia la più difficile a
cui rispondere onestamente. Rispondere Niente è
più comodo ma indubbiamente inutile”.
Ha detto “Le domande sono semplici e
riguardano cose di cui parliamo poco e mai
nel contesto giusto”. Quanto ha influito la sua
professione nella realizzazione del progetto?
È una seduta dallo psicologo sotto forma di
gioco?
“Non proprio una seduta di terapia ma qualcosa
che le somiglia sicuramente sì, possiamo dire
che sono alcune tra le domande che si fanno in
consulenza, nella primissima fase della terapia. È
terapeutico sempre parlare ma anche ascoltarsi
mentre si dicono determinate cose e, soprattutto,
dire di sé in pubblico. Tornando alla terapia, le
domande sono quelle che io faccio tra la prima e
la seconda seduta per acquisire informazioni sulla
persona che ho davanti”.
In un mondo dove tutto è digitale questo
strumento è utile alla comunicazione diretta,
non ci sono filtri da leoni da tastiera. È possibile
mentire oppure questo strumento ha il potere
di mettere a nudo e far emergere parti che non
si conoscono?
“Quindi non risposte giuste o sbagliate come
nei classici giochi da tavolo, ma risposte sincere,
è così? Sono considerate risposte “passo”, “non
lo so”, e “non mi ricordo”, ma questo avviene
anche in terapia. Nessuno è mai obbligato a nulla,
si può non rispondere o rispondere in maniera
superficiale”.
Nel testarlo e nel farlo testare qual è stato
l’elemento emozionante che non si aspettava?
“La capacità di raccontarsi degli uomini e degli
adolescenti. Siamo convinti che parlare di
emozioni sia appannaggio femminile, non è così.
Gli uomini hanno una gran voglia di raccontarsi
ed anche i ragazzi che sono tanto presi da queste
domande da riuscire a passare ore senza mai
guardare il telefonino. Nei limiti delle esperienze
vissute rispondono molto volentieri anche i
bambini a partire dagli otto/nove anni. Provare
per credere”.
Cosa c’è e quanto c’è di Marinella donna in
questo progetto?
“Tutto, ma tutto davvero. Non esistono cose non
autobiografiche secondo me. Neanche i romanzi
lo sono. Queste domande sono quelle che nel
corso della vita mi sono posta più volte, quelle che
ho fatto più spesso ma soprattutto quelle che mi
hanno aiutato di più”.
“Quella volta che hai deluso qualcuno. Racconta.”
“Qual è la caratteristica che ti piace di più della
persona alla tua sinistra? “
“la tua più grande paura è…”
“Qual è stata la decisione più difficile che hai
dovuto prendere”
“Un momento davvero imbarazzante. Racconta la
tua gaffe”
“Potessi cambiare u tratto del tuo carattere cosa
cambieresti?”
Giocare a “Carte scoperte” crea momenti
di intimità e di riflessione, di complicità e di
divertimento e consente di far uscire fuori parti
della propria personalità sconosciute.
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26 | Health Online 29
DA RAIN MAN A THE GOOD DOCTOR:
I DISTURBI DELLO SPETTRO AUTISTICO AL
CINEMA E IN TV
Psicologia di Mariilena Falcone
Secondo IMDB.com, il database online che
raccoglie tutto quanto relativo a cinema e TV del
mondo, sono 337 i titoli di film, documentari e serie
che dal 1969 hanno affrontato il tema dell’autismo,
della sindrome di Asperger e in generale delle
condizioni che oggi rientrano nella definizione più
ampia di disturbi dello spettro autistico.
Sicuramente a livello mondiale un film di grande
impatto è stato Rain Man – L’uomo della pioggia
(1988), con un indimenticabile Dustin Hoffman
che per tanti rimane l’emblema della condizione
autistica, sebbene ritragga un individuo molto
particolare, con una forma di autismo molto
particolare, visto solo in un breve segmento
specifico della sua vita. Negli ultimi anni è
aumentato esponenzialmente il numero di film e
serie TV (anche italiani, come le recenti pellicole In
viaggio con Adele, Quanto basta e Vengo anch’io)
che, a volte in forma di commedia, a volte in
forma di dramma, cercano invece di proporre una
immagine più completa e approfondita della vita
delle persone con disturbi dello spettro e dei loro
familiari e amici, al punto che ricercatori e medici
hanno iniziato a svolgere studi mirati per valutare
l’autenticità di quanto rappresentato e gli effetti
sul pubblico.
A tal proposito, è molto interessante l’articolo
intitolato Pros and Cons of Character Portrayals
of Autism on TV and Film, pubblicato lo scorso
anno sul Journal of Autism and Developmental
Disorders, che prende in esame proprio vantaggi
e svantaggi della rappresentazione di personaggi
con disturbi dello spettro autistico o con tratti
tipici dell’autismo al cinema o nelle serie televisive.
Nell’articolo, infatti, i ricercatori (norvegesi e
statunitensi) analizzano i dati raccolti nel corso
di due decenni anche in ricerche precedenti e
osservano come rispetto al passato sia cambiato
il punto di osservazione. Un tempo si metteva
l’accento sulle reazioni violente “ad effetto” a
volte presenti in alcune condizioni psichiatriche
come la schizofrenia o il disturbo della personalità
multipla, spesso introducendo esasperazioni
e forzature rispetto alla realtà. Mancava quasi
completamente la rappresentazione delle persone
con disturbi dello spettro autistico: oggi invece
l’attenzione si sta spostando proprio su di loro,
asperger o autismo?
Il 18 febbraio è la giornata mondiale della sindrome
di Asperger.
Per certi versi la ricorrenza potrebbe anche essere
considerate obsoleta. Infatti, dal 2013 il DSM-5,
ossia la classificazione standard dei disturbi mentali
realizzata dalla American Psychiatric Association,
inquadra la sindrome di Asperger all’interno
della famiglia di disturbi dello spettro autistico
(DSA), insieme ad autismo e disturbo generalizzato
(pervasivo) dello sviluppo non altrimenti specificato.
La modifica degli standard è stata recentemente
accolta formalmente anche dall’OMS nel
documento ICD-11 che verrà progressivamente
implementato nei Paesi europei facenti parte
dell’organizzazione entro il 2022.
In realtà, sebbene la definizione di sindrome di
Asperger intesa come categoria a sé stante già
non venga o comunque non verrà più utilizzata
in ambito clinico, il sito della associazione Autism
Speaks spiega che molti di coloro precedentemente
diagnosticati continuano a identificarsi come
“Aspi”, anche per sottolineare le capacità
linguistiche e intellettuali avanzate tipiche rispetto
alle altre forme dello spettro autistico.
Le caratteristiche generali della condizione sono:
•	 Difficoltà nelle interazioni sociali
•	 Aree di interesse limitate
•	 Desiderio di ripetitività
•	 Punti di forza distintivi.
In particolare, i punti di forza possono essere:
•	 Notevolecapacitàdiconcentrazioneepersistenza
•	 Propensione a riconoscere schemi e tendenze
(pattern)
•	 Attenzione ai dettagli.
Invece, gli aspetti problematici possono includere:
•	 Ipersensibilità specifiche (luci, suoni, sapori,
odori, ecc.)
•	 Difficoltà nell’alternanza di parola e ascolto
nelle conversazioni
•	 Difficoltàcongliaspettinonverbalidelleconversazioni
(distanza, volume della voce, tono, ecc.)
•	 Movimenti scoordinati o goffaggine
•	 Ansia e depressione.
Queste caratteristiche variano significativamente da
individuo a individuo. Molti imparano a gestire gli
aspetti più difficili valorizzando i propri punti di forza.
Ad oggi, riportano i CDC, negli Stati Uniti un
bambino su 59 riceve una nuova diagnosi di disturbo
dello spettro autistico durante l’infanzia.
(fonti: www.autismspeaks.org, www.cdc.org)
www.healthonline.it | 27
Film e serie TV
consigliati
•	 Rain Man – L’uomo della pioggia (USA 1988),
film, diretto da Barry Levinson con Dustin
Hoffman, Tom Cruise, Valeria Golino
•	 Temple Grandin – Una donna straordinaria
(USA 2010), film per la TV diretto da Mick
Jackson con Claire Danes e Julia Ormond
•	 Il faro delle orche (Spagna 2016), film diretto
da Gerardo Olivares (attualmente disponibile in
italiano su Netflix)
•	 Tutto ciò che voglio (USA 2017), film diretto da
Ben Lewin con Dakota Fanning e Toni Collette
•	 Quanto basta (Italia 2018), film diretto da
Francesco Falaschi con Vinicio Marchioni,
Valeria Solarino, Alessandro Haber
•	 Vengo anch’io (Italia 2018), film di e con
Corrado Nuzzo e Maria Di Biase
•	 In viaggio con Adele (Italia-Francia 2018), film
diretto da Alessandro Capitani con Alessandro
Haber, Sara Serraiocco, Isabella Ferrari e Patrice
Leconte
•	 The Good Doctor (USA 2017 – in corso), serie
TV creata da David Shore (creatore anche di Dr.
House), trasmessa in Italia su Rai1/Rai2
•	 Atypical (USA 2017
– in corso), serie
TV creata da Rabia
Rashid, trasmessa in
Italia su Netflix
probabilmente anche a causa del forte incremento
di casi diagnosticati annualmente (il 15% in più di
nuove diagnosi entro il compimento degli 8 anni
negli Stati Uniti rispetto a qualche anno fa secondo
i CDC). L’accuratezza della realizzazione televisiva o
cinematografica, spiegano gli studiosi, è essenziale
per definire la differenza fra un ritratto errato, che
può peggiorare ignoranza, pregiudizi e stereotipi
sulla condizione, e uno autentico, che al contrario
può contribuire a diffondere consapevolezza e
conoscenza di tutte le sfumature dello spettro.
Proprio Rain Man viene preso in esame nell’articolo
come film con “pro e contro” da questo punto
di vista. Da un lato il film è stato indubbiamente
un rompighiaccio essenziale che ha portato
prepotentemente alla ribalta l’autismo, prima
quasi sconosciuto al grande pubblico. Dall’altro
costituisce un esempio di quell’abbinamento
“autismo-savantismo” troppo spesso insistito
nella fiction. La sindrome del ‘savant’ definisce
la presenza di facoltà speciali in settori molto
specifici, spesso legati alle capacità mnemoniche,
in persone che per altri versi presentano aspetti di
ritardo cognitivo. Nella realtà, avvertono gli autori
dell’articolo, elementi di savantismo di vario grado
sono presenti in meno di un terzo delle persone
con disturbi dello spettro, ma continuano a essere
prevalenti nei ritratti cinematografici e televisivi.
Il connubio “autismo-savantismo” si ritrova
anche nella recentissima serie The Good Doctor,
approdata con enorme successo pure in Italia,
che ha soprattutto il merito di prendere in
considerazione, con sensibilità e delicatezza
mai superficiali, aspetti emotivi, psicologici
e pratici del quotidiano: tramite la storia del
protagonista, un giovane chirurgo con autismo
e sindrome del savant, affronta la questione se
sia possibile per una persona autistica essere un
buon dottore (ponendo al contempo la domanda
non banale “cosa definisce un buon dottore?”)
e, indirettamente, esplora quale possa essere la
strada per condurre una vita serena e completa
convivendo con i disturbi dello spettro.
Se film e serie TV di nuova generazione sono spesso
abbastanza accurati da contribuire a diffondere
la conoscenza e far comprendere meglio alcuni
aspetti della condizione, l’eterogeneità tipica
e la linea non ben definita fra appartenenza allo
spettro e situazioni limite rendono impossibile
rappresentare l’intero ventaglio di sfumature in un
solo film o una sola serie. In altre parole, guardare
appunto un solo film o una sola serie non è
sufficiente per farsi una idea completa, concludono
gli autori dell’articolo, ma guardarne diversi, in
combinazione, può tradursi in uno specchio della
complessità della condizione autistica.
The Good Doctor quindi, ma anche Temple
Grandin – Una donna straordinaria, Il faro delle
orche, Atypical, Tutto ciò che voglio: sono solo
alcuni dei titoli che possono aiutarci a ricomporre
parte del puzzle, per comprendere meglio
l’aspetto umano di una condizione che per molti
rimane ancora remota e misteriosa.
28 | Health Online 29
BULLISMO E CYBERBULLISMO:
SINERGIA TRA FAMIGLIA, SCUOLA E ISTITUZIONI
PER DIRE STOP AL FENOMENO
Per Health Online Elisabetta Scala del Moige
Psicologia di Alessia Elem
“Ero il soggetto preferito dei bulli. Vestivo bizzarro,
ero dislessico e molto timido. Facevo di tutto per
essere popolare, ma non funzionava. Allora mi
sono detto: Devo trovare un modo perché la mia
stranezza lavori per me, invece di distruggermi.
Mia madre era molto preoccupata in quel periodo,
mi diceva: Tu, o finisci in galera o diventi molto
speciale. Le parole di Mika, pseudonimo di Michael
Holbrook Penniman Jr., cantautore e showman
londinese di origine libanese molto popolare e
amato dal pubblico. Lui come altri personaggi
del mondo dello spettacolo - ricordiamo il
monologo dell’attrice Paola Cortellesi sulle note
della canzone “Guerriero” del cantautore Marco
Mengoni, andato in onda qualche anno fa, nello
show di Rai Uno Laura&Paola - sono scesi in campo
contro “l’epidemia silenziosa”.
Purtroppo la cronaca riporta sempre più spesso
episodi di bullismo che si verificano sia all’interno
degli istituti scolastici - verso compagni ma anche
verso i docenti - che al di fuori delle aule.
Per bullismo si intende “un abuso di potere nei
confronti di una persona più debole, diffuso
soprattutto in fase adolescenziale, nella quale
Dott.ssa Elisabetta Scala
i ragazzi tendono ad assumere comportamenti
aggressivi e continui per prevalere all’interno del
gruppo dei pari”. (fonte:http://www.moige.it/sos-
minori/bullismo).
Rientra nel termine di bullismo non solo la violenza
fisica ma anche quella verbale come gli insulti e
le prese in giro e quella psicologica come ad
esempio l’esclusione da gruppi e comitive.
Al giorno d’oggi dove la vita reale viene spesso
condivisasuisocialmediabisognafareattenzioneal
cyberbullismo che è “una qualsiasi comunicazione
virtuale pubblicata o inviata a un minore allo scopo
di impaurire, imbarazzare, infastidire o prendere di
mira in altro modo un minore”. (fonte:http://www.
moige.it/sos-minori/bullismo).
Il 7 febbraio si è celebrata la Giornata Nazionale
contro il bullismo e il cyberbullismo con l’obiettivo
di sensibilizzare e prevenire il fenomeno purtroppo
in crescita come denunciato da un’ indagine
di Amnesty International-Doxa, condotta su un
campione di mille persone.(https://www.amnesty.
it/indagine-doxa-gli-italiani-discriminazioni-
ancora-diffuse-nel-nostro-paese/).
Secondo uno studio dell’Istat relativo al 2014, in
Italia un ragazzino su due è vittima di episodi di
bullismo. A subire il bullismo sono più le femmine
(20,9%) che i maschi (18,8%), mentre tra gli studenti
delle superiori le vittime più numerose sono tra i
liceali (19,4%), seguiti dagli studenti degli istituti
professionali (18,1%) e degli istituti tecnici (16%).
L’età a rischio è quella compresa fra 11 e i 17
anni, anche se il periodo più critico è fra 11 e 13:
all’inizio parolacce e insulti, seguiti dalla derisione
per l’aspetto fisico e poi, in 4 casi su cento, si
arriva a botte, calci e pugni. (https://www.istat.it/it/
files/2015/12/Bullismo.pdf).
Tanti gli interrogativi quali ad esempio: Di chi è
la responsabilità e come intervenire?
Health Online ha intervistato la dottoressa
Elisabetta Scala Vicepresidente e responsabile
Osservatorio Media del Moige – Movimento
Italiano Genitori Onlus, organizzazione che agisce
per la protezione e la sicurezza dei bambini,
attraverso azioni di intervento e prevenzione sui
problemi dell’infanzia e dell’adolescenza. (http://
www.moige.it).
www.healthonline.it | 29
Dottoressa Scala i dati parlano di un fenomeno in
aumento. Perchè?
“L’aumento è dovuto ad una maggiore aggressività
e una diffusione dei modi di prevaricazione dei
giovani, ma credo che questo elemento possa
essere positivo. Finalmente il fenomeno del bullismo
e cyberbullismo sta emergendo: chi prima aveva
paura di parlare, di esternare le proprie difficoltà,
adesso lo fa. Le campagne di prevenzione, dare dei
punti di rifermento ai ragazzi e parlare sempre di
più del bullismo e cyberbullismo
sono tutti fattori volti a bloccare il fenomeno”.
Bullismo e cyberbullismo: quanto ha inciso la
diffusione dei social network? Quali sono le
misure immediate da adottare come reazione al
cyberbullismo?
“La rete ha amplificato il fenomeno del bullismo
trasformandolo in cyberbullismo, in questo caso la
vittima purtroppo non è mai libera dal bullo il quale
non vede negli occhi la sofferenza di chi ha preso
di mira.
I ragazzi non hanno la consapevolezza della
sofferenza di chi è vittima di cyberbullismo e delle
conseguenze del web. E’ compito della famiglia e
della scuola quello di educare i ragazzi e far capire
loro che tutto ciò che avviene in rete non è possibile
rimuoverlo. Un altro aspetto molto importante è
quello relativo alle norme: è necessario educare i
ragazzi all’uso consapevole dei social. Non ha senso
che ci siano norme che impongono i limiti di età
nella fase di iscrizione quando questa può essere
falsificata e non c’è alcun controllo, purtroppo
anche un ragazzino di 9 anni può avere accesso
alla rete nonostante non abbia ancora la maturità
specifica per affrontarla. A tal proposito bisogna
prima di tutto che ci siano norme che impongano
sistemi di controllo per verificare la reale età di chi
si iscrive ad un social”.
Una maggiore sinergia tra famiglia, scuola e
istituzioni e un monitoraggio forte sui social
media per contrastare il fenomeno potrebbe
essere la strada giusta da percorrere? E’ possibile
fermare l’epidemia silenziosa?
“Se non c’è questa sinergia non ci sarà nessuna
soluzione al problema. Bisogna fare tanta
educazione e prevenzione e stabilire delle regole
precise. Il compito della famiglia e della scuola è
quello di formare ed educare i ragazzi, mentre
quello delle Istituzioni è quello di stabilire e far
rispettare le regole”.
Le campagne di sensibilizzazione sono molto
importanti. Il Moige ha promosso il progetto
“Giovani ambasciatori contro il bullismo e
cyberbullismo per un web sicuro”. Può spiegare
di cosa si tratta?
30 | Health Online 29
“È un progetto nato dopo una nostra ricerca
condotta con l’Università La Sapienza di Roma
su 1.342 ragazzi delle Scuole Secondarie di
primo e secondo grado dalla quale è emerso un
preoccupante atteggiamento di sottovalutazione
degli effetti dei comportamenti in rete: sempre
più ragazzi rendono accessibile a tutti il materiale,
infatti ben 1 ragazzo su 3 rende sempre accessibile
“a tutti” il materiale condiviso tramite social e più
della metà è consapevole che il materiale condiviso
verrà visualizzato da altri.
In difesa e a supporto delle vittime abbiamo messo
a disposizione il primo centro mobile itinerante
sul territorio italiano, con giovani ragazzi formati
dai nostri psicologi, nelle scuole italiane. Il punto
di riferimento sono coetanei e questo elemento
funziona perchè rompe il muro di chiusura da parte
della vittima e lo aiuta a rivolgersi alla propria
famiglia.
La nostra azione è rivolta anche alla famiglia del
bullo alla quale forniamo informazioni e strumenti
per aiutare il proprio figlio.
La prevenzione deve iniziare il prima possibile. Sia il
progetto sulla formazione dei giovani ambasciatori
che quello per un uso corretto di internet stanno
crescendo, abbiamo iniziato qualche anno fa nelle
scuole superiori e oggi siamo presenti anche nella
scuola secondaria di primo grado e nella primaria.
Una crescente richiesta da parte dei giovani per
diventare ambasciatori e i risultati positivi di storie
a lieto fine sono per noi stimoli nel continuare in
questa direzione”.
Quali sono i campanelli d’allarme che fanno
insospettire la famiglia di chi è vittima di bullismo
e che non devono essere sottovalutati?
“I principali campanelli da non sottovalutare sono i
cambiamenti nei comportamenti abituali dei nostri
figli. Generalmente la vittima di bullismo si chiude,
presenta sbalzi di umore, fa incubi notturni e non
vuole più andare a scuola o al centro sportivo. Dalle
indagini che abbiamo realizzato è emerso un dato
confortante: i ragazzi si rivolgono alla famiglia,
questo significa che non bisogna mai perdere di
vista l’importanza del dialogo con i propri figli”.
Come devono comportarsi i genitori una volta
accertato l’episodio di bullismo?
“A seconda della gravità di ciò che accade i
genitori devono rivolgersi al luogo dove è accaduto
l’episodio di bullismo. Invece, per le situazioni più
gravi dove c’è un reato informatico con la diffusione
di messaggi e materiale fotografico, il consiglio
è quello di rivolgersi alla polizia postale anche
passando dalla polizia del proprio distretto, che
è molto preparata ad affrontare e recuperare le
situazioni delicate”.
Purtroppo si sono verificati casi di violenza e
intimidazione anche nei confronti di docenti
scolastici. Lo scorso anno si sono contati 33 casi
‘ufficiali’ di professori vittime accertate di atti di
bullismo e si sono stimati altri 81 casi ‘sommersi’ e
non denunciati. La cronaca ha riportato episodi di
bullismo nei confronti di docenti scolastici molto
gravi addirittura ripresi con le telecamere dei
telefoni cellulari e pubblicati sui social media. E’ il
caso di un professore di un Istituto Tecnico della
provincia di Vicenza che è stato ripetutamente
minacciato da un alunno, poi costretto a mettersi
in un angolo da dove alla fine è riuscito a lasciare
l’aula.
Un altro è quello accaduto sempre presso un Istituto
Tecnico, ma a Velletri in provincia di Roma, dove
uno studente ha minacciato l’insegnate dicendole
che l’avrebbe sciolta nell’acido e che l’avrebbe
mandata in ospedale.
Impossibile dimenticare il video dei tre studenti,
tutti minorenni dell’Itc Carrarà di Lucca, che hanno
minacciato il professore di italiano e storia, un
docente di 64 anni.
Dalle minacce ai fatti. A Caserta uno studente di 17
anni ha accoltellato in classe l’insegnante, ferendola
al volto, che voleva interrogarlo per fargli recuperare
una insufficienza. Per non parlare del caso che ha
riguardato una supplente con difficoltà motorie ad
Alessandria legata alla sedia della cattedra con lo
scotch e ripresa con uno smartphone. La vittima è
stata liberata dal bidello chiamato da un allievo di
un’altra classe.
DaNordaSudgliinsegnantisonosemprepiùspesso
vittime di aggressioni fisiche e verbali da parte
degli alunni. Episodi che destano preoccupazione
e che si sono verificati e che si verificano anche in
altri Paesi. Negli Stati Uniti la violenza nei confronti
degli insegnati nel 2011 aveva raggiunto dei livelli
mai verificatesi prima. La denuncia è arrivata da
uno studio pubblicato nel 2011 della American
Psychological Association in uno riteneva che
questa forma di violenza avesse raggiunto livelli mai
toccati prima.
Dottoressa Scala, se un episodio di bullismo nei
confronti di un coetaneo è un fatto gravissimo,
quello nei confronti di un adulto, nello specifico
un professore, lo è ancor di più. In che direzione
stanno andando le nuove generazioni?
“Per fortuna il numero dei casi è limitato, la
maggioranza degli alunni rispetta ancora i propri
insegnanti, ma il fenomeno va combattuto e
stigmatizzato. Bisogna educare i ragazzi, sia in
famiglia che a scuola, al rispetto delle regole e delle
autorità, sempre, anche quando si pensa di aver
subito un’ingiustizia. Dall’altra parte, gli insegnanti
devono riscoprire il loro ruolo e avere autorevolezza
www.healthonline.it | 31
verso gli alunni”.
Come deve comportarsi la famiglia del bullo di
fronte a queste situazioni?
“Il ruolo del genitore del bullo è complesso perchè
potrebbe trovarsi nella condizione di mettersi in
discussione e riconoscere le proprie colpe dopo
aver offerto un modello aggressivo al proprio figlio.
Nella fase dell’adolescenza ci sono tanti fattori
da considerare come ad esempio il ruolo che
rappresenta il gruppo di amicizie nelle azioni dei
propri figli i quali a volte non si comportano secondo
l’educazione ricevuta dalla famiglia. Noi genitori
dobbiamo imparare a non difendere sempre i nostri
figli e pensare che a loro fa bene trovarsi davanti
le responsabilità e subire le conseguenze delle
proprie azioni con delle punizioni. Il genitore nel
momento in cui viene a conoscenza delle azioni da
bullo da parte del figlio dovrebbe affiancarlo ed
incoraggiarlo a rimediare a ciò che ha fatto”.
Arriva dalla Danimarca, ad opera della psicologa
americana sposata con un danese, Jessica
Alexander, l’approccio che ha visto ridurre in
maniera drastica bullismo nelle scuole. “Mi è stato
chiaro - ha dichiarato in un articolo pubblicato su
D.repubblica.it - che il motivo per cui Danimarca
era stata considerata per oltre quarant’anni uno
dei Paesi più felici del mondo era proprio per
l’educazione dei figli. Una delle cose più illuminanti
è l’approccio innovativo che i danesi hanno nei
confronti del bullismo. Se nel resto del mondo
il fenomeno è diventato ormai preoccupante
epidemia, in Danimarca invece, il programma
“Liberi dal bullismo” ha fatto sì che negli ultimi
dieci anni i numeri siano diminuiti, passando dal 25
al 7% dei ragazzi coinvolti”.
Come si è raggiunto il risultato?
In Danimarca il fenomeno del bullismo è visto
come conseguenza di una minor tolleranza e come
effetto delle dinamiche gerarchiche del gruppo,
un approccio decisamente nuovo al problema.
Uno dei metodi che gli insegnanti danesi adottano
per monitorare le dinamiche di gruppo - si legge
nell’articolo - è il “sondaggio del benessere” in
cui viene chiesto al bambino di indicare quanto
è felice in una scala da 1 a 10, e di individuare le
tre persone con le quali gli piace di più passare il
proprio tempo, più una serie di altre domande
che dipendono dall’età e dai bisogni specifici di
ciascun intervistato. In questo modo gli insegnanti
ottengono informazioni importantissime sul
benessere degli studenti, sia individualmente che
in gruppo. Inoltre, grazie al questionario, riescono
a sviluppare empatia nei confronti degli allievi e a
capirli meglio.
Gli insegnanti inseriscono poi i dati in un
sociogramma, cioè una rappresentazione grafica
della gerarchia del gruppo, dalla quale si evince
per esempio chi è lo studente più popolare e chi
quello meno inserito, quello che viene scelto più
spesso e quello che viene invece emarginato. Tutto
ciò permette di pianificare le lezioni seguendo una
strategia volta a migliorare le dinamiche di gruppo.
Dai 6 ai 16 anni agli studenti danesi viene richiesto di
investire un’ora alla settimana per il miglioramento
delle dinamiche di classe, imparando ad ascoltarsi
a vicenda e a mettersi ognuno nei panni dell’altro.
Insegnare tolleranza e appartenenza (che in
danese si dice fællesskab) non solo fa diminuire
il tasso di bullismo, ma aumenta sensibilmente
i livelli di felicità. Uno studio danese condotto su
larga scala mostra infatti che nelle scuole in cui il
livello di fællesskab è alto lo sono anche tutti gli
altri parametri, dai risultati scolastici al benessere
generale.
Sulla base dei risultati dei report danesi questo
potrebbe essere un metodo da prendere in
considerazione e che andrebbe ad aggiungersi
alle azioni di prevenzione, di educazione e di
formazione spiegate dalla dottoressa Scala. Non
dimentichiamo che solo la sinergia tra Famiglia,
Scuola e Istituzioni è il percorso da seguire per dire
stop al bullismo e al cyberbullismo.
32 | Health Online 29
Malattie rare agli occhi:
sintomatologia e cure
Ne abbiamo parlato con il Dott. Lino De Marinis
Psicologia di Beatrice Casella
L’anatomia dell’occhio mostra come questo organo,
pur essendo di piccole dimensioni e molto delicato,
sia complesso e ben articolato. È composto da
cellule nervose, tessuto connettivo, vasi sanguigni
e fibre muscolari, andando a costituire un vero e
proprio sistema ottico e, come la luce riflessa dagli
oggetti, si rifrange. Cornea, umor acqueo cristallino
e corpo vitreo funzionano, infatti, come una lente
convergente.
L’occhio, nel suo complesso, si può paragonare ad
unaveraepropriamacchinafotografica:scattodopo
scatto colleziona i momenti più importanti della
nostra vita, mettendoci in contatto regolarmente
con tutto ciò che ci circonda. Proprio per questo
motivo è importante rivolgersi spesso a un medico
per verificarne lo stato di salute e correre ai ripari
qualora incominciano a verificarsi i sintomi tipici di
qualche seria patologia oculare.
I Centers for Disease Control and Prevention hanno
calcolato che negli Usa la metà della popolazione
adulta risulta essere a rischio di serie patologie
oculari perché non si è recata a un controllo oculistico
negli ultimi 12 mesi. Questo avviene in quanto il 35%
dichiara di non aver alcun tipo di problema e non
ritiene necessario iniziare un iter di visite e cure. Si
può riscontrare una situazione analoga in Italia,
tramite un sondaggio online svolto dall’Osservatorio
per la Salute della Vista (Osvi), dal quale è emersa
una preoccupante ed errata tendenza degli italiani
Dott. De Marinis
a trascurare la cura della vista. Secondo la survey,
somministrata per capire quanta cura dedicano
gli italiani alla prevenzione e alla difesa della vista,
il 50% non fa mai controlli della vista e tra il 30%
che ha effettuato negli ultimi 12 mesi una visita
oftalmologica, 1 su 5 dichiara di non voler ricorrere a
controlli medici più frequenti. In realtà, queste ultime
risultano essere essenziali perché a volte si possono
nascondere delle “malattie rare”, terminologia
medicadicuiancoranonsiconoscebeneilsignificato
esatto non solo in campo oftalmico ma per tutto il
nostro organismo umano.
Tutte le malattie si definiscono rare quando la loro
prevalenza, intesa come il numero di caso presenti
su una data popolazione, non supera una soglia
stabilita. In UE questa ultima è fissata allo 0,05 per
cento della popolazione, ossia 5 casi su 10.000
persone (fonte: OMAR).
In base ai dati coordinati dal registro nazionale
malattie rare dell’Istituto superiore di sanità, in
Italia si stimano 20 casi di malattie rare ogni 10.000
abitanti e ogni anno sono circa 19.000 i nuovi casi
segnalati dalle oltre 200 strutture sanitarie diffuse
in tutta la penisola. Nei bambini di età inferiore
ai 14 anni, le malattie rare che si manifestano con
maggiore frequenza riguardano le malformazioni
congenite (45%) e le malattie delle ghiandole
endocrine, della nutrizione, del metabolismo e
dei disturbi immunitari (20%). Per i pazienti in età
adulta, invece, le frequenze più alte appartengono
al gruppo delle malattie del sistema nervoso e degli
organi di senso (29%).
Il 28 febbraio si è celebrata a livello internazionale
la XII edizione della Giornata delle Malattie Rare
guidata dal tema “Integriamo l’Assistenza Sanitaria
con l’Assistenza Sociale”. L’evento di quest’anno
ha rappresentato un appello generale ai decisori
pubblici, agli operatori sanitari e ai responsabili dei
servizi di assistenza sociale, affinché sia messo a
punto un migliore coordinamento di tutti gli aspetti
dell’assistenza alle persone con malattia rara.
Se vengono rispettati i diritti dei rari lo saranno,
veramente, anche i diritti di tutti.
Quali sono le malattie rare che colpiscono gli occhi?
I controlli periodici sono un campanello d’allarme,
uno strumento utile a fornire informazioni vitali sullo
stato di salute in generale, come ad esempio se si
soffre di colesterolo, oppure si hanno delle malattie
infettive o autoimmuni?
www.healthonline.it | 33
Per Health Online ha risposto il Dott. De Marinis,
specialista in Oculistica al Salus Hospital di Reggio
Emilia il quale ha spiegato quali sono le numerose
complicanze al bulbo oculare e ha chiarito il concetto
che un esame agli occhi può non riguardare
solamente la nostra capacità visiva o le diottrie.
L’Istituto Superiore di Sanità (ISS) ogni anno
registra in Italia 19.000 nuovi casi di malattie
rare tra cui quelle oftalmiche. Tuttavia, quando si
parla di malattie, raramente si pensa agli occhi.
Secondo lei come mai?
Comunemente si pensa alle malattie rare come
patologie molto gravi, spesso mal conosciute ed
inguaribili, che colpiscono diverse parti ed organi
del nostro organismo. In effetti vi sono disordini
oculari nell’ambito di malattie generali, come per
esempio nella sindrome di Marfan, nella malattia di
Behçet nella sindrome di Sturge-Weber. Le malattie
rare che colpiscono esclusivamente l’apparato
oculare, invece, sono solo il 7-9% di tutte esse e
quindi meno frequenti.
Il 28 febbraio si è tenuta la Giornata Mondiale
delle Malattie Rare. Quali patologie oculari
possono rientrare in questa categoria?
Innanzitutto il cheratocono (1 caso su 2000 abitanti),
che secondo il Registro regionale dell’Emilia-
Romagna è la malattia rara maggiormente certificata
in assoluto ma che comunque oggi può essere
curata anche con buon successo. Poi vi sono la
retinite pigmentosa (1/4000), molto invalidante ed
incurabile; il retinoblastoma (1/18000), il tumore
maligno pediatrico più frequente; la malattia di
Stargardt (1/10000) e la distrofia vitelliforme di Best
(incidenza variabile) che colpiscono la retina. Inoltre,
si possono verificare numerose distrofie corneali
anche congenite, l’atrofia ottica di Leber (1/15000-
50000), il coloboma congenito del nervo ottico o
della coroide e l’aniridia, ovvero l’assenza congenita,
completa o quasi, in entrambi gli occhi dell’iride.
Le malattie oftalmiche rare citate risultano essere
più frequenti nei bambini o negli adulti?
A parte le forme congenite come i colobomi e
l’aniridia ed il retinoblatoma che si evidenzia nei
primi mesi di vita, tutte le altre incominciano a
manifestarsi nella prima o seconda decade di vita e
peggiorano con il passare degli anni.
Quali sono i maggiori sintomi per riconoscere
queste malattie?
Bisogna prestare molta attenzione ad uno strabismo
o al riflesso bianco della pupilla notati nei primi
mesi di vita che sono significativi per la presenza
di un retinoblastoma, per poter intervenire il più
presto possibile. La presenza di marcata fotofobia
potrebbe essere segno di aniridia, mentre il
nistagmo di difficoltà visive in generale. Il disagio
nella visione crepuscolare o notturna è il primo
segno della retinite pigmentosa. Nelle altre malattie
il sintomo iniziale, spesso unico, è la progressiva
diminuzione del visus.
Come bisogna agire per intervenire? La
tecnologia quanto sta aiutando con le cure in
termini di tempo e costo?
Peralcunemalattierarenoncisonoterapieveramente
efficaci. Tuttavia, negli ultimi anni la tecnologia ci
ha dato un notevole aiuto. Basti pensare come nel
cheratocono o in altre affezioni corneali spesso non
sia più necessario fare un trapianto corneale a tutto
spessore, ma sia sufficiente trapiantare un singolo
strato, oppure al trapianto di cellule retiniche, o
all’introduzione di placche retiniche con microchip.
Alcune terapie sono ancora in fase sperimentale
ma, dato l’alto costo sociale di queste malattie che
insorgono soprattutto in età giovanile, bisogna fare
ogni sforzo possibile per poter ottenere qualche
risultato positivo.
34 | Health Online 29
supportare
favorire
promuovere
Costituita per iniziativa di Health Italia, Mutua MBA e Coopsalute, la Fondazione Basis è un ente no-profit
che svolge le proprie attività nei settori dell’assistenza socio-sanitaria, nella promozione e nella gestione
di servizi culturali, educativi, sportivi e ricreativi allo scopo di fornire sostegno a soggetti deboli quali,
ad esempio, persone svantaggiate per malattia, disabilità fisica e/o psichica, indigenti, minori e persone
anziane non autosufficienti. Nello svolgimento delle proprie attività istituzionali, la Fondazione si propone di
sensibilizzare l’opinione pubblica su tematiche quali la difesa e la tutela della salute, incentivando il concorso e
la partecipazione di tutte le realtà che costituiscono espressione della società civile.
Fondazione Basis ha ottenuto risultati significativi, soprattutto grazie al contributo di molti donatori, che
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!8975:8
;<+657:8
36 | Health Online 29
Surgery all’interno dell’area di ricerca Surgical
Robotics and Allied Technologies.
Dottor Ciuti di cosa si occupa principalmente?
Le principali attività di ricerca che seguo riguardano
lo sviluppo di piattaforme e dispositivi robotici per
la diagnosi e la chirurga mininvasiva (e.g., capsule
endoscopiche) e robot e tecnologie collaborative
per l’interazione uomo-macchina. Al momento
sono anche coinvolto in diversi progetti di ricerca
nazionali e internazionali.
A proposito di progetti, uno dei primi ha
riguardato lo sviluppo di capsule endoscopiche
robotiche. Di cosa si tratta?
Sono pillole che occorrono per fare diagnosi
all’interno del nostro tratto digestivo e che hanno
il vantaggio di ridurre il livello di invasività della
procedura. Le persone non si sottopongono
volentieri alla colonscopia perché non è facile
affrontarla quindi si è reso necessaria l’introduzione
di pratiche meno invasive per monitorare la salute
dell’intestino e per controllare se ci sono polipi. I
tumori all’interno del distretto gastro-intestinale
hanno un’evoluzione molto lenta. In alcuni casi
trascorrono quasi dieci anni dall’insorgenza di un
effetto al tumore a uno stadio avanzato. Si parla di
700 mila decessi ogni anno con un numero di casi
diagnosticati che è pari al doppio. Per sviluppare
queste capsule è dunque importante garantire
la stessa funzionalità dell’azione e la possibilità
di poter fare delle biopsie e rilasciare farmaci
localizzati per trattare processi infiammatori.
Al momento che tipo di capsule esiste?
Si chiamano “capsule passive” e di fatto sono pillole
che si ingeriscono. Queste piccole navicelle sono
dotate di una telecamera e si muovono in relazione
alle contrazioni perilstaltiche. Se sei fortunato la
capsula riesce a raggiungere il luogo desiderato
e effettua l’immagine nel modo giusto. In altri casi
questafortunavieneamancare.Èperquestaragione
che noi sviluppiamo “capsule attive” con l’obiettivo
di farle muovere nell’intestino a piacimento del
medico. Si tratta sempre di navicelle grandi quanto
una pasticca di antibiotico che, sulla base di un mio
progetto, possono essere guidate dall’esterno con
Una navicella nel corpo umano:
le videocapsule endoscopiche che
segnalano i tumori
Intervista al Dott. Gastone Ciuti
Filmare l’interno del corpo umano senza effettuare
interventi invasivi è certamente uno dei risultati più
straordinari che la medicina ha potuto raggiungere
negli anni grazie alla complicità venutasi a creare
tra il mondo della ricerca e il fronte tecnologico
sempre più ultimato. Un esempio è dato dalle
videocapsula endoscopica, un esame diagnostico
non invasivo inizialmente pensato per lo studio
dell’intestino tenue e più tardi allargato alla zona del
colon. La videocapsula rappresenta un’innovazione
che a tutt’oggi non sostituisce colonscopia e
gastroscopia diagnostica. Le sue dimensioni sono
di poco più grandi di una compressa di antibiotico
e lo spostamento all’interno dell’intestino è dovuto
ai movimenti della peristalsi intestinale. Tuttavia
dall’Istituto di BioRobotica della Scuola Superiore
Sant’Anna di Pisa arrivano importanti novità su
quella che nel settore è paragonata a una “navicella
spaziale”. Del resto il paragone è dato dal fatto
che tanto la capsula che viaggia nel sistema solare
quanto la corrispettiva che indaga il corpo umano
sono guidate dalla mano dell’uomo, il moderno
Ulisse del terzo millennio. A spiegare gli importanti
progressi 4.0 oggi inseriti nel grande libro della
chirurgia robotica è Gastone Ciuti, dottore in
Ingegneria Biomedica presso l’Università di Pisa,
ricercatore universitario (tenure track) all’Istituto
di BioRobotica e responsabile del laboratorio
Computer-Integrated Technologies for Robotic
Tecnologia e salute di Alessandro Notarnicola
Dott. Gastone Ciuti
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  • 1. gennaio/febbraio2019-N°29 Ecco perché la Sanità Integrativa è premiata da imprese e lavoratori Il periodico di informazione sulla Sanità Integrativa Una navicella nel corpo umano: le videocapsule endoscopiche che segnalano i tumori Da Rain Man a The Good Doctor: i disturbi dello spettro autistico al cinema e in TV I migranti come risorsa per migliorare sanità globale ed economie nazionali Tecnologia e salute Psicologia Attualità
  • 2. “La salute non è tutto ma senza salute tutto è niente” Arthur Schopenhauer
  • 3. Sanità: che sia integrativa, complementare e sostitutiva Il nostro governo sta verificando, tramite un’indagine parlamentare conoscitiva, se le norme oggi applicate alla sanità integrativa siano corrette e se gli sgravi fiscali dei quali ne godono gli aderenti siano conformi al diritto alla salute di tuti i cittadini. Ben venga tutto ciò che è utile a fare chiarezza se fatto senza pregiudizi e basandosi su dati oggettivi. Dati che ci indicano, sia oggi che in base alle proiezioni future, come sarà impossibile, per qualsiasi economia, garantire prestazioni sanitarie totali per tutti i cittadini quando l’invecchiamento della popolazione, l’ampliamento della scienza medica e lo sviluppo tecnologico in campo sanitario, che rappresentano sicuramente un grande miglioramento sociale, nel contempo però richiedono e richiederanno allo stato di sostenere sempre maggiori investimenti e spese per la sanità. Siamo quindi ad un bivio al quale, vogliamo sottolineare orgogliosamente, il nostro paese, da sempre un esempio mondiale per la protezione sanitaria offerta ai propri cittadini, si è preparato per tempo con una legislazione sempre più adeguata deliberata negli ultimi 30 anni e che ci consente oggi di poter operare una scelta decisa, affinché il nostro paese rimanga ancora all’avanguardia in campo sanitario. Il bivio infatti è scegliere se fornire prestazioni sanitarie garantite dallo stato a tutti sostenendo una spesa esplosiva, strutture pubbliche oberate, code di attesa lunghissime e tecnologie obsolete oppure garantire le prestazioni sanitarie complete per le fasce più deboli della popolazione quali anziani, bambini, malati cronici, percettori del reddito di cittadinanza e consentire agli altri cittadini di organizzarsi secondo i principi della mutualità. Siamo certi che, di fatto, questa non sia una scelta difficile bensì un percorso già ben tracciato da perseguire con determinazione per garantire una sanità pubblica efficiente con costi controllati e prestazioni assolute per le fasce più deboli della popolazione e una sanità integrativa fondata sulla mutualità per tutti gli altri. Una scelta responsabile e sociale che confermi la valenza della sanità integrativa ed anzi ne ampli l’intervento confermandone anche l’aspetto complementare e sostitutivo e rafforzi i vantaggi fiscali garantiti agli aderenti alla sanità integrativa, anzi possibilmente allargandone i confini, anche in funzione del fatto che la stessa è gestita da enti senza scopo di lucro ed appartenenti al terzo settore. Rendere la sanità integrativa uno strumento solo meramente secondario comporterebbe, da parte dei cittadini, un sempre maggiore ricorso alle strutture pubbliche con un evidente riflesso in termini di minore efficienza prestazionale e maggiori costi impedendo, contestualmente, alla mano pubblica di poter dedicare risorse adeguate alle fasce più deboli della popolazione. Inoltre una scelta errata, soprattutto in termini fiscali, presupporrebbe una modifica in direzione anti sociale delle norme inserite, in virtù delle leggi già varate sul welfare aziendale, in moltissimi contratti di lavoro, con una evidente necessità sindacale di ridiscutere contratti già firmati ed un impegno dei datori di lavoro a sostenere maggiori costi produttivi senza poter più usufruire di un modello che garantisce già oggi una migliore produttività e ed un migliore senso di appartenenza, con evidenti e misurabili ricadute positive sul clima all’interno delle aziende stesse. Ma una scelta sbagliata che tolga alla sanità integrativa gli spazi esistenti non impatterebbe solo sugli aspetti economici e professionali ma anche su quelli sociali, in quanto determinerebbe l’impossibilità per molti lavoratori di godere di prestazioni sanitarie adeguate per loro e le loro famiglie interrompendo, per di più, il patto tra generazioni, già molto in tensione per gli aspetti previdenziali, non permettendo ai pensionati di domani di usufruire di un’adeguata copertura sanitaria. Se poi pensiamo a settori come l’assistenza a lungo termine per tutti coloro che potranno avere problemi di autosufficienza è possibile comprendere come, dati alla mano, il ridimensionamento della sanità integrativa porterebbe impatti fortemente negativi sulla sanità pubblica con una esplosione molto problematica dei costi dello stato per prestazioni oggi sostenute dagli enti di sanità integrativa con il supporto della cooperazione. Quindi la domanda che sorge spontanea è perché un governo si dovrebbe impegnare a ridisegnare, con evidenti sforzi temporali, impegni economici elevati e sistemi giuridici da rifare completamente, un quadro normativo ormai completo ed efficiente solo per sostenere costi maggiori, offrire ai cittadini una minore efficienza e minori prestazioni, non garantire equità sociale e pregiudicare le scelte già effettuate dai lavoratori? La risposta è quella che, tutti insieme, dobbiamo dare e, soprattutto, dobbiamo impegnarci affinché venga applicata perché il bivio, del quale abbiamo scritto, venga superato senza danni, ma anzi, con un miglioramento misurabile per tutti, è quella di far sì che il governo decida di garantire sempre di più una sanità pubblica finalizzata a proteggere le fasce più deboli della popolazione ed una sanità integrativa fondata sul principio della mutualità ed affidata agli enti senza scopo di lucro con vantaggi fiscali adeguati per tutti coloro che vi aderiscono. Un bivio, in conclusione, dal quale imboccare senza esitazioni la strada che confermi l’obbiettivo di mantenere un sistema sanitario nazionale all’avanguardia con una sanità pubblica ad elevato valore sociale affiancata da una sanità che non sia solo integrativa nel senso stretto del termine, ma anche complementare e sostitutiva. Milanese, ho maturato un’esperienza ultraventennale nel settore assicurativo e finanziario,occupandomi sia dei prodotti che del marketing e dello sviluppo commerciale, fino alla direzione di compagnie assicurative, nazionali ed estere. Nel 2005 sviluppo un progetto di consulenza estrategia aziendale che ha consentito di operare con i maggiori player del settore assicurativo per realizzare piani strategici di sviluppo commerciale. Dal 2009 mi occupo di Sanità Integrativa, assumendo la carica di Presidente ANSI, Associazione Nazionale Sanità Integrativa e Welfare, e contestualmente di Health HoldingGroup,importanterealtàdelsettore. Dal 2016 sono presidente di Health Italia, una delle più grandi realtà nel panorama della Sanità Integrativa Italiana e società quotata in Borsa sul mercato AIM Italia. a cura di Roberto Anzanello EDITORIALE
  • 4. periodico bimestrale di informazione sulla Sanità Integrativa Anno 6° - gennaio/febbraio 2019 - N°29 Direttore responsabile Nicoletta Mele Direttore editoriale Ing. Roberto Anzanello coordinamento generale Anna Mastropietro Comitato di redazione Alessandro Brigato Michela Dominicis Mariachiara Manopulo Giulia Riganelli Hanno collaborato a questo numero Beatrice Casella Alessia Elem Marilena Falcone Alessandro Notarnicola Direzione e Proprietà Health Italia SpA c/o Palasalute - Via di Santa Cornelia, 9 00060 - Formello (RM) www.healthitalia.it Tutti i diritti sono riservati. Nessuna parte può essere riprodotta in alcun modo senza permesso scritto del direttore editoriale. Articoli, notizie e recensioni firmati o siglati esprimono soltanto l’opinione dell’autore e comportano di conseguenza esclusivamente la sua responsabilità diretta. iscritto presso il Registro Stampa del Tribunale di Tivoli n. 2/2016 - diffusione telematica n.3/2016 - diffusione cartacea 9 maggio 2016 Idea grafica Area 51 Srl impaginazione Giulia Riganelli immagini © Fotolia Tiratura 103.302 copie Scarica Health Online in versione digitale su www.healthonline.it Se non vuoi perderti neanche una delle prossime uscite contattaci via email a info@healthonline.it e richiedi l’abbonamento gratuito alla rivista, sarà nostra premura inviarti via web ogni uscita. Per la tua pubblicità su Health Online contatta mkt@healthonline.it HEALTH
  • 5. LA SANITà INTEGRATIVA NON è SANITà PRIVATA06 www.healthonline.it I migranti come risorsa per migliorare sanità globale ed economie nazionali08 I carcinomi infantili del pancreas: il pancreatoblastoma e i tumori papillari solido-cistici12 20 22 26 16 Ecco perché la Sanità Integrativa è premiata da imprese e lavoratori Can anybody find me somebody to love? Essere single a San Valentino GIOCHIAMO A CARTE SCOPERTE…GIù LA MASCHERA! DA RAIN MAN A THE GOOD DOCTOR: I DISTURBI DELLO SPETTRO AUTISTICO AL CINEMA E IN TV BULLISMO E CYBERBULLISMO: SINERGIA TRA FAMIGLIA, SCUOLA E ISTITUZIONI PER DIRE STOP AL FENOMENO28 l’angolo della poesia 32 36 44 38 Malattie rare agli occhi: sintomatologia e cure Una navicella nel corpo umano: le videocapsule endoscopiche che segnalano i tumori BISTURI ADDIO, L’USO DEL LASER PER GLI INTERVENTI DI IPERTROFIA PROSTATICA BENIGNA mHealth, la tecnologia mobile applicata alla salute 46 indice Attualità Psicologia Tecnologia e salute Special In evidenza
  • 6. 06 | Health Online 29 Gli Enti di Sanità Integrativa oggi forniscono prestazioni sanitarie a oltre 12 milioni di associati che, al netto degli sgravi fiscali, consentono importanti risparmi statali nell’ambito del costo complessivo della spesa sanitaria nazionale contribuendo così ad un importante sostegno economico al bilancio dello Stato. Nel suo intervento il Presidente Anzanello ha chiarito che gli Enti di Sanità Integrativa sono realtà non lucrative e che quindi “nessuno gode di eventuali disavanzi di bilancio positivi e gli Enti sono i destinatari dei vantaggi fiscali oggi LA SANITà INTEGRATIVA NON è SANITà PRIVATA L’intervento del dott. Roberto Anzanello, Presidente dell’Associazione Nazionale Sanità Integrativa e Welfare (ANSI) all’incontro con la XII Commissione Affari Sociali della Camera dei Deputati “Gli Enti di Sanità Integrativa, quali i Fondi Sanitari, le Casse di Assistenza Sanitaria e le Società di Mutuo Soccorso, sono attivi in ambiti dove sono più deboli gli interventi dello Stato e là dove diventa necessario sostenere la famiglia attivamente, in ogni angolo del Paese. Il principio mutualistico non allontana le persone dal Servizio Sanitario Nazionale ma anzi, ne incentiva la cultura offrendo una libertà di scelta all’assistito”. Le parole del dott. Roberto Anzanello, Presidente dell’Associazione Nazionale Sanità Integrativa e Welfare (A.N.S.I.), nel corso del suo intervento nell’ambito dell’indagine conoscitiva in materia di fondi integrativi del Servizio Sanitario Nazionale della XII Commissione Affari Sociali della Camera dei Deputati. La Camera dei Deputati ha avviato, tramite la Commissione Affari Sociali, una indagine conoscitiva in materia di fondi integrativi al Servizio Sanitario Nazionale finalizzata ad approfondire la materia al fine di valutare l’opportunità di un riordino della Sanità Integrativa. Nel programma di audizioni è stata convocata, il 29 gennaio scorso, l’ANSI (http:// www.sanitaintegrativa.org, associazione no profit, fondata nel 2011 da alcune primarie società generali di mutuo soccorso e casse di assistenza sanitaria come risposta al bisogno di aggregazione e di rappresentatività nel settore della sanità integrativa italiana), e il Presidente dott. Roberto Anzanello e il Vice Presidente dott. Luciano Dragonetti, hanno ribadito l’importanza del valore socio assistenziale della mutualità e spiegato quale dovrebbe essere l’obiettivo del Governo. “Il Governo dovrebbe valorizzare un sistema che, forte di una tradizione mutualistica no profit, oggi sta già garantendo prestazioni e servizi sanitari quale secondo pilastro della sanità italiana, consentendo alla sanità pubblica di liberare risorse economiche da destinare alle fasce più deboli della popolazione. Un modello unico e valoriale a livello mondiale che va solo incentivato, valorizzato, facilitato e, sicuramente, non privato di risorse economiche e legislative coerenti.” Attualità di Nicoletta Mele
  • 7. www.healthonline.it | 07 in vigore. La Sanità Integrativa non è la Sanità privata”. In questo contesto, partendo dal presupposto che il Sistema Nazionale Italiano continui ad esprimere modelli di eccellenza unici e che possa ulteriormente modernizzarsi raggiungendo livelli ancor più significativi nei rating internazionali “Siamo convinti - ha concluso Anzanello - che lo Stato dal punto di vista di assistenza sanitaria debba dirigersi verso le fasce più deboli della popolazione e cioè ai bambini, agli anziani, ai malati cronici ed a tutte quelle persone che potrebbero godere del “reddito di cittadinanza”. Siccome è impossibile avere risorse per tutti va concesso ai cittadini di associarsi tra di loro nelle varie forme mutualistiche che non sono sostitutive della Sanità pubblica ma integrative. La natura no profit degli Enti di Sanità Integrativa permette un’assistenza universale senza alcun limite di età reddito o stato sociale per effetto dell’adesione con il principio della porta aperta”. Il mutuo soccorso è un valore universale. Fin dalle origini, le società generali di mutuo soccorso hanno rappresentato un movimento di idee e di fatti che ha messo al centro della propria azione il rispetto della dignità umana. Il rapporto tra i soci è regolato da un patto che definisce vantaggi e obblighi reciproci. Questo patto, libero e volontario, si chiama mutualità e lo scambio mutualistico è il mezzo attraverso il quale operano le società di mutuo soccorso. L’ANSI, nata dalla precisa volontà di dar vita a una associazione di categoria che comprende Società Generali di mutuo soccorso, Casse, Fondi Sanitari, è fermamente convinta dell’importanza di rappresentare un’idea di futuro che consideri prioritario il valore della salute. Oggi l’Associazione è l’unico soggetto capace di assistere e sostenere i diversi enti operanti in Italia negli ambiti della sanità integrativa e del Welfare; per tale ragione, svolge costantemente presso le Istituzioni un lavoro di sensibilizzazione e di promozione.
  • 8. 08 | Health Online 29 I migranti come risorsa per migliorare sanità globale ed economie nazionali Intervista al prof. Francesco De Domenico “La mobilità a livello mondiale è il nostro futuro, indipendentemente da leggi e muri”. Questa è l’affermazione centrale sulla quale si basa l’interessante documento “UCL-Lancet Commission for Migration and Health: the health of a world on the move”, pubblicato lo scorso dicembre dalla Commissione internazionale di specialisti creata congiuntamentedaUCL(UniversityCollegeLondon) e dalla prestigiosa rivista The Lancet, per affrontare la tematica estremamente attuale della salute pubblica in una realtà globale in movimento. Gli stessi temi della ricerca, originariamente improntata su scala mondiale, sono stati successivamente ripresi con riferimento alla situazione europea e italiana anche da uno studio dell’Organizzazione Mondiale della Sanità, svolto in collaborazione con l’Istituto Nazionale per la Salute, la Migrazione e la Povertà (fonte: “OMS: i migranti non portano malattie”, www.ansa.it). Attualità di Marilena Falcone IL DOCUMENTO UCL-LANCET PUNTO PER PUNTO Il documento pubblicato dalla Commissione internazionale UCL-Lancet per la migrazione e la salute nel mondo si articola su cinque punti fondamentali. Al termine dell’accurato lavoro di analisi, durato oltre due anni, i firmatari hanno concluso che: 1. È necessario sfatare il mito secondo il quale i migranti portano malattie alla comunità locale. Numeri alla mano, la Commissione ha affermato che “il contributo dei migranti all’economia delle comunità che li ospitano è generalmente superiore al loro costo sul servizio sanitario”. Soprattutto nei Paesi ad alto reddito, il tasso di mortalità dei migranti è inferiore rispetto a quello della popolazione locale; inoltre si riscontra che, laddove l’accesso alla sanità pubblica è loro consentito, il livello medio di attenzione alla salute è superiore nei migranti, rendendoli quindi mediamente più “sani” e produttivi rispetto alla popolazione locale. Nulla di definitivo è invece quantificabile per quanto riguarda lo stato di salute dei migranti illegali e la situazione nei campi profughi, che sfuggono alla rete della sanità ufficiale. 2. Il tipo di struttura sociale e politica nel Paese di arrivo e le condizioni nelle quali si è svolto il viaggio sono elementi determinanti: secondo la Commissione, “discriminazione, disparità di genere e impossibilità di accesso ai servizi sanitari e sociali sono le cause più importanti dell’eventuale deterioramento dello stato di salute dei migranti”. 3. È fondamentale analizzare i massicci fenomeni migratori in corso evitando di limitarsi al solo punto di vista della sicurezza della popolazione ospitante, prendendo in esame anche e soprattutto gli aspetti legati alla salute, dei migranti e collettiva. 4. Consentire ai migranti lo stesso livello di accesso ai servizi di sanità offerti alla popolazione locale si traduce ”in un costo decisamente inferiore per quel che riguarda economia nazionale, sicurezza sanitaria e salute pubblica” rispetto all’iniziale apparente “risparmio” ottenuto nell’impedire loro l’accesso. 5. La mobilità esiste da sempre ed è di fatto inarrestabile: è quindi importante favorire un’azione congiunta di tutte le figure internazionali politiche, amministrative e sociali di riferimento in modo da arrivare a considerarla non come un fenomeno da ignorare o tentare di bloccare, ma al contrario come una opportunità, da trasformare in vantaggi e benefici comuni in termini di salute globale ed economie nazionali. (fonte: UCL-Lancet Commission for Migration and Health: the health of a world on the move) Prof. Francesco De Domenico
  • 9. www.healthonline.it | 09 Oltre un miliardo di persone si è spostato in tutto il mondo nel 2018, con inevitabili ripercussioni anche di tipo politico che, secondo i componenti della Commissione UCL-Lancet, stanno portando a una emergenza morale collettiva. Gestire eticamente la questione migranti, contrastando i luoghi comuni che li riguardano e iniziando a vederli come risorse invece che come un peso o un pericolo per la società, avrebbe risvolti pratici molto utili, soprattutto in termini di salute globale, qualità del servizio sanitario ed economie nazionali. Per capire meglio il significato del documento e inquadrarlo in un’ottica più vicina a noi, Health Online, il magazine sulla sanità di Health Italia, ha contattato il professor Francesco De Domenico, esperto e docente universitario di Sociologia della Comunicazione. Professor De Domenico, il punto di partenza dell’intero documento della Commissione UCL- Lancet è l’affermazione secondo la quale l’idea che “lo straniero porta malattie” sia solo un mito da sfatare, coltivato ad arte per motivi diversi. È d’accordo? Come nascono queste paure? Secondo i più recenti dati ISTAT*, l’Italia è il paese europeo con l’età media più elevata (il più anziano al mondo dopo il Giappone). E’ chiaro quindi che una società anziana, che continua ad invecchiare causa il continuo calo della natalità, si nutre anche di ansie e di paure: paure per l’economia, per il futuro, per i figli e i nipoti quando ci sono, e per la salute. A questo si aggiunge la diffusa “retrotopia”, un’azzeccata definizione creata da Zygmunt Bauman per descrivere la nostalgia per “il bel tempo che fu”, per un più o meno immaginario passato felice. Si tratta di una sindrome che il mondo della cultura in Italia ha creato e alimentato sin dagli anni ‘50, come reazione nostalgica ai costi umani e sociali dell’industrializzazione accelerata del paese, idealizzando nel cinema come nella letteratura l’Italia rurale e fingendo di dimenticarne la dura realtà delle malattie diffuse, della scarsa o nulla igiene e sanità, della elevata mortalità (allora sì...), del basso livello dei servizi nelle abitazioni e via enumerando. Si spiega anche con queste paure la crisi europea del Welfare State. Basti pensare che la Gran Bretagna, che pure è stata il paese europeo che per primo ha dato vita nel dopoguerra ad un modello di assistenza sanitaria pubblica a copertura universale comprensivo ed efficiente, oggi si rinchiude nella Brexit nel tentativo di bloccare così l’arrivo di immigrati dall’Europa continentale. Ricordiamo oltretutto, già 20 anni fa, le assurde polemiche sull’idraulico polacco che avrebbe rubato il posto agli Inglesi. Lei pensa che una reale campagna di comunicazione incentrata sulla paura delle malattie e dello straniero sia in atto, nel nostro e in altri Paesi? Non è un caso che l’annuale sondaggio Ipsos** sulle priorità degli Italiani evidenzia rispetto allo scorso anno una crescita rilevante dell’ansia per il welfare e l’assistenza unitamente a quella per l’immigrazione. Ancora, sempre l’ISTAT*** rileva una riduzione del personale sanitario del Servizio Sanitario Nazionale (un problema che non si risolve certo abbassandone la qualità con una sanatoria per il personale non qualificato e diplomato). Oggi in Italia gli immigrati sono il 10% della popolazione residente, ma nella percezione popolare diffusa sarebbero ben il 28%. Quindi il fenomeno viene amplificato in modo tale da moltiplicare le ansie e la paure. Uno sviluppo comune un po’ a tutti i paesi europei, compresi quelli scandinavi un tempo portati a modello di apertura e di accoglienza. Questa tendenza a rinserrarsi nei confini nazionali gioca anche contro gli stessi paesi mediterranei come l’Italia, la Grecia, la Spagna, considerati nei paesi nordici con sempre maggior diffidenza e sospetto. La paura dello straniero in Italia non può far leva come altrove su gravi episodi di terrorismo islamista, dato che sinora, per fortuna o per altre ragioni, il paese ne è andato praticamente esente. Vi sono stati semmai svariati episodi di criminalità comune, per la verità più spesso provenienti da emigranti dell’Est europeo comunitario che da altri Paesi. E allora il bersaglio della xenofobia si sposta sulla paura per la salute, anche qui amplificando pochi e limitati casi di malattie, che comunque non hanno mai provocato contagi né epidemie, che se si fossero verificati sarebberostatisubitoesasperatidaimedia.Misento *Dati ISTAT sull’aspettativa media di vita: nel 2017 l'aspettativa di vita in Italia era in media di 82,7 anni, ben 84,9 anni per le donne e 80,6 anni per gli uomini, ma per la prima volta nel 2017 si è interrotta, sia pure di un solo punto decimale, la tendenza ad una sua continua crescita (l'aspettativa media era stata di 82,8 anni nel 2016). **Sondaggio Ipsos per il "Corriere della Sera" pubblicato il 4 gennaio 2019 sulle priorità degli italiani: il lavoro e l'economia al 75%, il welfare e l'assistenza al 38%, l'immigrazione al 37%, la sicurezza al 24% e l'ambiente all'8%. Un anno fa (dicembre 2017) nell'agenda delle priorità degli italiani le percentuali erano rispettivamente dell'80% per il lavoro e l'economia, solo del 29% per il welfare e l'assistenza, del 32% per l'immigrazione. ***Dati ISTAT sul personale sanitario del Servizio Sanitario Nazionale in Italia: nel 2012 i medici erano 109.000 nel 2012, nel 2015 erano 105.000.Gliinfermierierano272.000nel2012,nel2015erano266.000.
  • 10. 10 | Health Online 29
  • 11. www.healthonline.it | 11 nel reperire al proprio interno la forza lavoro sia qualificata che meno qualificata necessaria per sostenere la ripartenza dello sviluppo dopo anni ed anni di stagnazione, ha di recente fatto sapere che, andando decisamente controcorrente rispetto agli Stati Uniti del muro contro il Messico, aprirà le proprie frontiere all’immigrazione. E parliamo di un Paese che ha sempre fatto dell’igiene e della sanità un articolo di fede. Concludo allora con una breve analisi personale: al contrario del Giappone, l’Australia, con una popolazione mediamente molto più giovane, oppone una chiusura ermetica alla sua frontiera marittima con l’Indonesia. Lo stesso che sta cercando di fare ora l’Europa, un continente non precisamente popolato da giovani, nei confronti dei flussi migratori dall’Africa e dall’Asia. L’associazione degli industriali tedeschi ha proprio in questi giorni ipotizzato la mancanza nel paese nel prossimo futuro di circa 1.200.000 unità di forza lavoro, ma la Germania non manifesta alcuna intenzione di riaprire i flussi migratori. Questo è tra l’altro uno dei temi principali su cui si giocheranno le prossime elezioni del Parlamento europeo, sotto lo shock della Brexit e con l’avanzata dei movimenti sovranisti. Sarà molto interessante allora per tutti noi osservare gli sviluppi futuri. Per il momento ringraziamo il professor De Domenico per la disponibilità e per i tanti spunti di riflessione che ha offerto ai lettori di Health Online. a questo proposito di condividere le parole di Walter Ricciardi, docente di medicina preventiva e presidente dimissionario dell’Istituto Superiore di Sanità in un’intervista rilasciata al Corriere della Sera (2 gennaio 2019): “Dire in continuazione che i migranti portano malattie è senza fondamento e mette in difficoltà le istanze tecniche,costretteaduna specie di autocensura per non contraddire il livello politico”. Che si tratti di malattie, termovalorizzatori o smaltimento dei fanghi in agricoltura, prosegue Ricciardi, “sono materie decisive per la prevenzione sanitaria e la salute pubblica. Tutto questo mi ricorda la raccomandazione di Donald Trump al National Institute for Health degli Stati Uniti di non pronunciare più il termine evidence based, ossia ‘basato su prove scientifiche’. È un atteggiamento studiato dai populisti, che hanno una grande difficoltà a interagire con la scienza”. La migrazione è sempre esistita ma ultimamente siamo arrivati a una emergenza morale collettiva: qual è la situazione relativamente all’Italia? Secondo l’International Organization for Migration dell’ONU, nel 2018 si è visto un crollo degli arrivi di migranti irregolari nella rotta del Mediterraneo centrale verso l’Italia, con una riduzione dell’80% sull’anno precedente. Per contro è cresciuto il numero degli arrivi in Spagna sulla via del Mediterraneo occidentale ed è incrementato di circa un terzo l’arrivo sul fronte del Mediterraneo orientale, soprattutto dal confine terrestre tra Grecia e Turchia. Quindi In Italia i motivi di allarme sono almeno per il momento contenuti, anche se come abbiamo visto la sensibilità popolare sul fenomeno migratorio resta molto alta e addirittura crescente. Professore, lei condivide la tesi secondo la quale un approccio globale alla salute di migranti e comunità locali possa rivelarsi vantaggioso anche per l’economia del Paese ospitante? Per rispondere al quesito, mi limito a osservare che il Giappone, il paese che ha la popolazione più anziana al mondo e che quindi ha problemi
  • 12. 12 | Health Online 29 I tumori pancreatici che si manifestano in età pediatrica e adulta sono, ancora oggi, ritenuti tra i più difficili da curare. “In particolare, le neoplasie infantili del pancreas sono carcinomi che originano dalla componente esocrina del pancreas. Questa ultima rappresenta circa l’80% dell’organo ed è costituita da cellule acinari produttrici di enzimi digestivi, e dotti che convogliano le secrezioni al duodeno”, spiega il Dottor Massimo Vincenzi, endoscopista del Servizio di Gastroenterologia della Struttura Accredita Convenzionata S. Pier Damiano Hospital di Faenza (Gruppo Villa Maria Cecilia). Tra i cancri pancreatici, oltre a tumori papillari solido-cistici, il pancreatoblastoma (PBL) è il più comune in età infantile e, generalmente, colpisce bambini di età inferiore ai 10 anni, con un picco di incidenza attorno ai 5 anni. I sintomi e le cause non sono ancora oggi del tutto conosciute, come per tutte le altre patologie legate al pancreas. Può svilupparsi in qualsiasi parte del pancreas ma, spesso, si localizza sulla testa o sul corpo della ghiandola e, aumentando di dimensioni, può invadere le strutture circostanti. Il tasso di mortalità infantile nel nostro Paese sembra essere, fortunatamente, in netta diminuzione rispetto agli anni precedenti. Grazie ai progressi della Ricerca alla cooperazione internazionale fra oncologiepediatrioggirispettoa40annifailtassodi mortalità è in diminuzione. Secondo l’Associazione Italiana per la Ricerca sul Cancro (AIRC) infatti, circa l’82% dei bambini e l’86% degli adolescenti è in vita cinque anni dopo una diagnosi di tumore. Tuttavia, l’Associazione italiana registri tumori (AIRTUM) stima che per il quinquennio 2016-2020, in Italia, saranno diagnosticate 7.000 neoplasie tra i bambini e 4.000 tra gli adolescenti. Si continua ad osservare, inoltre, una crescita del 2% per i tumori maligni tra le ragazze, mentre in entrambi i sessi si è registrato un incremento dell’8% di sarcomi della tiroide (www. airc.it/pediatrici ). Il 15 febbraio è stata celebrata la Giornata Mondiale contro il Cancro Infantile, evento di fama internazionale promosso dall’organizzazione Childhood Cancer International (CCI), un network globale formato da 188 associazioni di familiari di bambini e adolescenti ammalati di cancro. È presente in 96 paesi di 5 continenti e, a livello nazionale, viene rappresentato dalla federazione FIAGOP, rappresentante sul piano nazionale di trenta Associazioni di genitori distribuite su gran parte del territorio, e socio fondatore CCI. Health Online, in occasione di questa manifestazione dedicata completamente ai piccoli pazienti con il cancro, ha intervistato il Dottor Massimo Vincenzi per avere un’idea più chiara su come si manifesta e si può curare un tumore così grave come quello al pancreas in un’età altrettanto complessa e delicata. Il pancreatoblastoma (PBL) è il tumore più comune in età infantile. Quali sono le diagnosi e I carcinomi infantili del pancreas: il pancreatoblastoma e i tumori papillari solido-cistici Ne abbiamo parlato con il dottor Massimo Vincenzi Attualità di Beatrice Casella Dott. Massimo Vincenzi
  • 13. www.healthonline.it | 13 le cure? Come si differenzia dai tumori papillari solido-cistici? Il pancreatoblastoma ed il tumore papillare solido- cistico del pancreas sono le due varietà di tumori che, anche se raramente, si possono osservare in età pediatrica. Il pancreatoblastoma sembrerebbe presentarsi con una frequenza variabile compresa tra 0.16% e 0.5%, e nel 75% dei casi sono colpiti bambini di età inferiore agli 8 anni. Le cause del pancreatoblastoma sono sconosciute, ma possiamo confermare che si tratta di un tumore maligno molto aggressivo. Il 35% dei pazienti presenta metastasi alla diagnosi e più del 40% è deceduto per malattia. Le sedi più frequenti di metastasi sono il fegato ed i linfonodi all’ilo epatico e splenico; polmoni ed ossa sono più raramente coinvolti. Per estensione diretta, possono essere interessati l’omento, il peritoneo, la milza, il rene ed il surrene di sinistra. Il pancreatoblastoma può manifestarsi come massa asintomatica o causare anoressia, perdita di peso, dolore e, talvolta, si verificano anche sintomi da ostruzione biliare. I tumori papillari solido-cistici invece, colpiscono prevalentemente giovani donne nella seconda e terza decade di vita, mentre In età pediatrica si osservano tipicamente negli adolescenti dove il tumore è spesso asintomatico o caratterizzato da sintomi aspecifici. Quali sono, secondo lei, le indagini mediche
  • 14. 14 | Health Online 29 migliori per verificare e confermare, in breve tempo, una diagnosi di tumore al pancreas in età infantile? Sono sicuramente un’ecografia addominale, una TAC o una RMN, nonché un dosaggio dell’ alfafeto- proteina. Inoltre la raccolta della storia clinica è necessaria per orientare l’iter diagnostico. Gli esami strumentali (ecografia, TC, RM) sono utili per diagnosticare la presenza di malformazioni e/o ostruzioni del distretto bilio-pancreatico. Lo studio RM con secretina (ormone che stimola la secrezione pancreatica) è di aiuto per identificare dilatazioni dei dotti pancreatici dovute a depositi di precipitati proteici o veri calcoli e, più precocemente, segni indiretti di infiammazione cronica Il dosaggio dell’elastasi fecale (enzima prodotto e secreto dal pancreas che digerisce alcune proteine) può dare una misura del grado di insufficienza pancreatica. La valutazionedellacurvaglicemicapuòessereindicata per studiare la presenza di diabete. Per quanto riguarda il Pancreatoblastoma, la produzione di alfafetoproteina (AFP) è aumentata sia nel sangue (in più del 50% dei pazienti), sia nella stessa neoplasia studiata con metodiche immunoistochimiche. Se elevata, l’AFP può rappresentare un marcatore importante sia alla diagnosi, sia nel follow-up. La biopsia con ago sottile TAC/ECO-guidata può rappresentare un valido aiuto nell’orientare la diagnosi.Peritumoripapillarisolido-cistici,gliesami di funzionalità pancreatica sono generalmente nella norma, mentre può essere osservato un aumento di AFP e CA 19-9. Il follow-up successivo, in entrambi i casi, consiste nella valutazione sierologica della funzionalità pancreatica e dei marcatori, se elevati alla diagnosi, e in controlli radiologici periodici. La chirurgia mininvasiva utilizzata per rimuovere le metastasi si può applicare anche nei bambini? In casi selezionati, è possibile eseguire l’intervento mediante una procedura (laparoscopica o robotica) mini-invasiva. Si tratta di una tecnica che richiede grandi abilità. Le pancreasectomie sinistre e le enucleazioni sono gli interventi eseguiti con maggiore frequenza. Le metastasi soprattutto epatiche possono essere aggredite con tecnica mini-invasiva e tale approccio è auspicabile anche nei bambini. Il carcinoma del pancreas può essere una conseguenza della pancreatite cronica anche in età infantile? L’identificazione della causa della pancreatite cronica permette solo in alcuni casi di intervenire in maniera risolutiva, ovvero quando si evidenziano alcune malformazioni delle vie bilio-pancreatiche, la calcolosi biliare o delle alterazioni metaboliche. Spesso l’evoluzione fibrotica dell’intera ghiandola pancreatica risolve i dolori addominali ma causa l’insufficienza digestiva ed ormonale. L’insufficienza pancreatica digestiva ed il diabete, quando presenti, possono essere trattati efficacemente con terapie come enzimi digestivi ed insulina, rispettivamente. Raramente, in presenza di dolore cronico persistente e invalidante può essere indicato l’intervento di resezione chirurgica del pancreas. Le complicanze a lungo termine della pancreatite cronica (insufficienza digestiva e diabete) vanno diagnosticate tempestivamente e possono essere trattate in maniera efficace una volta riconosciute al fine di evitare ritardi nel normale sviluppo e nella crescita del bambino. Per tale motiva, risulta necessario un attento programma di sorveglianza presso strutture specializzate e i pazienti dovrebbero ricevere una dieta sufficiente dal punto di vista calorico per una crescita staturo- ponderale adeguata all’età, combinata ad un corretto dosaggio giornaliero di enzimi pancreatici: per bambini con età di 4 anni 1000-2500 unità di lipasi/kg/pasto; mentre per giovani adulti 40.000- 50.000 unità di lipasi/pasto. Cosa consiglia ai genitori con figli affetti da pancreatite per evitare, in futuro, una possibile insorgenza di tumore alla ghiandola? La pancreatite cronica è una patologia complessa in cui genetica, anatomia e fattori ambientali giocano tutti un ruolo importante. Non esistono strategie in grado di prevenire l’insorgenza della patologia, ma è possibile rallentarne la progressione tramite comportamenti atti a ridurre il rischio di nuovi episodi di infiammazione acuta dell’organo: mantenere una buona idratazione, assumere pasti piccoli e frequenti, evitare l’uso di alcolici e il fumo di sigaretta, alimentazione ricca in frutta e verdura. Non basterebbero 365 giorni per informare e sensibilizzare le nazioni riguardo il coraggio, la forza e l’eroismo di tutti bambini (0-14 anni) e adolescenti (15-19 anni) colpiti ogni anno da un qualsiasi tipo di carcinoma. Tuttavia, come diceva Madre Teresa di Calcutta che aveva a cuore i bambini di tutto il mondo, “quello che noi facciamo è solo una goccia nell’oceano ma se non lo facessimo l’oceano avrebbe una goccia in meno”.
  • 15. www.healthonline.it | 15 Nessuna distinzione per numero di componenti della famiglia Nessuna distinzione di età Sussidi per Single o Nucleo familiare Detraibilità fiscale (Art. 15 TUIR) Nessuna disdetta all’associato Durata del rapporto associativo illimitata Soci e non “numeri” perché abbiamo scelto mba? rimborso interventialta diagnostica assistenza rimborso ticket conservazione cellule staminali visite specialistichesussidi per tutti check up Mutua MBA è da sempre impegnata nell’assistenza sanitaria integrativa e rappresenta l’innovazione, il dinamismo e la qualità nella mutualità italiana ponendosi come “supplemento” alle carenze, ad oggi evidenti, del Servizio Sanitario Nazionale. Vanta un costante incremento del numero di Soci Promotori e propone numerose combinazioni assistenziali che offrono un’ampia gamma di prestazioni sanitarie a costi agevolati per oltre 350.000 assistiti, tra famiglie e nuclei. Mutua MBA c/o Palasalute - Via di Santa Cornelia, 9 - 00060 - Formello (RM) Tel. +39 06 90198060 - Fax +39 06 61568364 www.mbamutua.org integratori alimentari
  • 16. 16 | Health Online 29 Con il sisma economico-finanziario dovuto a una manovra che non ha convinto Bruxelles per settimane e che ancora oggi è stata approvata ma con non poche riserve, la Sanità Integrativa italiana è finita al centro dell’arena pubblica vedendosi contrapposta al Sistema Sanitario Nazionale, un nesso tra imputati che per molti giudici non reggerebbe essendo privo di fondamenti. La Sanità Integrativa interessa oggi oltre 12 milioni di italiani ed è lo strumento di welfare contrattuale ampiamente preferito dai lavoratori (con oltre 20 punti percentuali di distacco sugli altri strumenti contrattuali). Un dato questo sottolineato da Roberto Anzanello, Presidente dell’Associazione Nazionale Sanità Integrativa e Welfare (A.N.S.I.) che rammenta come l’Italia sia da sempre un modello, per tutto il mondo, in campo di assistenza sanitaria per i cittadini e, in virtù delle normative varate e sostenute da tutti i governi di qualsiasi colore politico dal 1990 ad oggi, può continuare ad esserlo integrando sanità pubblica e sanità integrativa. È dunque da ritenere piuttosto miope un accostamento – sempre più generalizzato e promosso di recente – tra i Fondi sanitari integrativi e la sanità pubblica dal momento che il rapporto non può reggersi su una contrapposizione tra “pubblico” e “privato” considerando che la sanità integrativa integra il Ssn. Una contrapposizione Ecco perché la Sanità Integrativa è premiata da imprese e lavoratori Il commento dell’Ing. Roberto Anzanello In evidenza di Alessandro Notarnicola questa comunque approdata il 22 gennaio alla Camera dei deputati a fronte della scelta governativa di effettuare un’approfondita analisi sulla sanità integrativa in termini di trasparenza, controllo della spesa, duplicazione delle prestazioni, aumento dei costi burocratici. Il 23 gennaio alla Commissione Affari Sociali della Camera dei Deputati si è tenuta l’audizione nell’ambito della “Indagine conoscitiva in materia di fondi integrativi del Servizio Sanitario Nazionale”. Dottor. Anzanello come giudica il fatto che la Sanità integrativa sia finita sotto i riflettori del dibattito pubblico? “Il Governo ha avviato un’indagine conoscitiva che, correttamente, vuole approfondire tutti gli aspetti di un tema come la salute, garantito dalla Costituzione. C’è subito da precisare che la sanità integrativa non è sanità privata, ma un modello basato sul concetto di mutualità che consente al Governo di indirizzare le risorse pubbliche disponibili per la sanità verso le fasce più deboli della popolazione e ai cittadini, non compresi tra le fasce più deboli della popolazione, di associarsi mutualmente per garantirsi una copertura sanitaria adeguata”. Qual è l’errore che è stato fatto nel dibattito o che non andrebbe fatto? “Non bisogna confondere la sanità integrativa con le polizze assicurative, con le cliniche private (sono i prestatori di servizio privati), con le industrie farmaceutiche (sono fornitori privati). È necessario solo confermare ed omogeneizzare le regole e le normative già esistenti nell’ambito della sanità integrativa, eventualmente stabilendo dei tariffari massimi per chi eroga le prestazioni (cliniche private ed aziende farmaceutiche”. Quale sarà secondo lei, il futuro del sistema Sanitario Nazionale e della sanità integrativa? “In virtù del fatto che l’invecchiamento della popolazione, l’ampliamento della scienza medica e delle sue applicazioni, e lo sviluppo tecnologico in campo sanitario non consentirebbero mai (è un dato numerico oggettivo) a nessun governo di garantire assistenza sanitaria totale a tutti i cittadini, diviene indispensabile che il governo indirizzi sempre più le Ing. Roberto Anzanello
  • 17. www.healthonline.it | 17 risorse economiche pubbliche disponibili verso le fasce più deboli della popolazione (anziani, bambini, disabili, malati cronici, percettori del reddito di cittadinanza) consentendo, con i vantaggi fiscali esistenti, ai cittadini di associarsi in forma mutualistica aderendo agli enti no profit di sanità integrativa”. Natura sostitutiva o integrativa. Queste due nature hanno una giusta causa e quale correlazione intercorre con la regressione del SSN? “La sanità integrativa deve essere contestualmente sostitutiva , integrativa e complementare alla sanità pubblica andando a garantire ai cittadini che, non rientrando nelle fasce deboli della popolazione, non potranno godere di coperture sanitarie pubbliche totali di rivolgersi agli enti di sanità integrativa per prevenire (prestazioni sostitutive), curare (prestazioni integrative), implementare (prestazioni complementari), integrando le minori prestazioni che la sanità pubblica potrà garantirgli nell’ambito del diritto, sancito dalla nostra Costituzione, alla salute di ogni cittadino”. Un punto di vista questo del presidente di Ansi condiviso da Alberto Oliveti, presidente della Fondazione Enpam, che nella sanità integrativa non scorge neppure minimamente lo scopo di marketing e di persuasione sociale che lenisce il sistema sanitario pubblico che – rammenta – “se funzionasse” renderebbe “poco efficace il marketing privato”. Tralasciando le due fazioni scese nell’arena in materia di sanità integrativa e di contrapposizione tra pubblico e privato, i dati dimostrano che la sanità integrativa sta subendo uno sviluppo sempre maggiore in Italia, segno di un cambiamento epocale sia nelle abitudini dei cittadini che nell’assetto generale della sanità pubblica. Come dimostra il dibattito arrivato alla Camera dei Deputati con l ’ a p p r o v a z i o n e della Manovra del Governo Conte, il successo dei fondi di assistenza sanitaria integrativa, è sostenutodainumeri. Infatti dobbiamo chiederci perché il 62% dei lavoratori dipendenti dimostra di fidarsi della sanità integrativa? O ancora: se davvero la sanità integrativa equivale a sprechi e a poca trasparenza, per quale ragione compare nel 100% dei casi tra le prime forme di welfare aziendale? Stando infatti a una recente indagine Censis e alla rete Pmi, Piccole e Medie imprese, uno dei servizi di welfare aziendale più ambiti tra i dipendenti è quello della sanità integrativa, ossia tutta quella serie di agevolazioni che consentono ai dipendenti di ottenere i rimborsi sulle spese sanitarie sostenute (spesso estese a coniuge e figli), sfruttando le convenzioni con strutture sanitarie e specialisti privati a cui il proprio datore di lavoro aderisce. Una delle spiegazioni è sita nel fatto che le Società di mutuo soccorso vantano oggi una piena titolarità nel contribuire fattivamente alla creazione di uno stato sociale presente ed efficace, offrendo un servizio concreto laddove è davvero necessario, senza sprechi e mancanze, per una sostenibilità economica che dall’azienda si estende all’intero sistema. Stando alle stime dei dati 2018 la spesa del Governo per sanità pubblica si assesta a 113 miliardi mentre le spese degli italiani “out of pocket”, che rappresentano le spese a carico della persona o della famiglia sostenute per prestazioni sanitarie, hanno superato i 40 miliardi. Dati alla mano dunque, come già sottolineato inizialmente, sarebbe da ritenere piuttosto miope una contrapposizione tra pubblico e privato nella sanità. Due facce della stessa medaglia che invece potrebbero incontrarsi dal momento che la sanità integrativa è un player stabile nel “sistema salute” italiano.
  • 18. 18 | Health Online 29 salvaguardiamo il tuo benessere Per saperne di più visita il sito www.healthpointitalia.com Health Point Srl - c/o Palasalute - via di Santa Cornelia, 9 - 00060 Formello (RM) - Tel. +39 06 40411457 - info@healthpointitalia.com • Servizi in telemedicina • Integratori alimentari • Cosmeceutica • Sanità integrativa Affidati anche tu ad Health Point, il punto di riferimento nel settore salute e benessere. Nei suoi centri troverai:
  • 19. Coopsalute il primo network italiano in forma cooperativa al servizio della salute e del benessere PuntodiincontrotralaDomandael’Offertadiprestazionineisettoridell’Assistenza SanitariaIntegrativa,deiserviziSocioAssistenzialieSocioSanitari,grazieaFamilydea si rivolge anche al comparto del Welfare e dei servizi ai privati! Coopsalute - Società Cooperativa per Azioni c/o Palasalute - Via di Santa Cornelia, 9 - 00060 - Formello (RM) - Italia | www.coopsalute.org | Facebook: Coopsalute Per i servizi sanitari e socio assistenziali, anche domiciliari: 800.511.311 Per le Strutture del Network o a coloro che intendano candidarsi al convenzionamento: Ufficio Convenzioni: 06.9019801 (Tasto 2) e-mail: network@coopsalute.com www.familydea.it
  • 20. 20 | Health Online 29 che i piccoli tendevano a stare con la mamma di stoffa, calda e accogliente, e che si spostavano verso la mamma di metallo solo il tempo necessario a nutrirsi. Questo esperimento suggerisce come già da bambini cerchiamo il contatto con l´altra persona non solo per il soddisfacimento dei bisogni primari ma per ricevere amore, protezione e sicurezza. In pratica nasciamo equipaggiati per incontrare l´altro, anzi è proprio l´incontro con un´altra persona a dar forma alla nostra identità personale. Secondo gli psicologi Baumeister e Leary gli esseri umani sono propensi per natura a formare e mantenere legami interpersonali duraturi, positivi e significativi. La mancanza di affetti significativi invece è associata a unaseriedieffettinegativisullasalute,l’adattamento e il benessere. Gli autori hanno anche osservato che interazioni sporadiche con più persone sono meno soddisfacenti rispetto a interazioni ripetute con la stessa persona (con il proprio partner per esempio). Che consigli dare ad una persona single in cerca dell´anima gemella? Innanzitutto preciserei che essere single non è una malattia, né si è dei “perdenti” se non si è trovato ancora l’amore. Il Greco antico possiede quattro sostantivi per definire il concetto di amore: storge (l´amore parentale-familiare), philia (l’amicizia), eros (il desiderio erotico/romantico), e agape (l’amore spirituale). Se non riduciamo la parola amore alla sola accezione di eros esistono, anche per chi è single, modi alternativi di dare e ricevere amore, come appunto quello per i propri familiari o per gli amici. Infatti è la formazione di legami sociali, in generale, ad essere associata a emozioni positive e non solo l´amore nell´accezione di eros. Chiederei poi alla persona cosa stia facendo per trovare un partner. Alcune persone infatti aspettano passivamente che l´anima gemella piova dal cielo. In questi casi è meglio smetterla di autocommiserarsi e cominciare ad essere proattivi: trovare qualche attività che piaccia e che appassioni da fare in gruppo è un´ottima opportunità per socializzare. Che sia lo sport, il ballo, l´arte, un corso di cucina o di lingue, o fare volontariato, essere in contatto con persone che condividono le nostre stesse passioni aumenta le possibilità di trovare la persona giusta. E anche se al corso che si frequenta non si trova nessuno di interessante, niente panico: c´è sempre la possibilità che siano proprio queste stesse Can anybody find me somebody to love? Essere single a San Valentino L’intervista allo psicologo Giuseppe Iannone “Ogni giorno mi sveglio e muoio un po´, a malapena riesco a stare in piedi. Mi guardo nello specchio e piango”. Cantava così Freddy Mercury per esprimere le sue emozioni legate all´essere single. Il giorno di San Valentino è quasi alle porte: già da qualche settimana in tv impazzano pubblicità di gioielli, cioccolato, fiori e di persone che si amano di un amore perfetto ed eterno. Ma San Valentino è anche il giorno in cui alcuni, specialmente i single, possono provare sentimenti di tristezza, solitudine o ansia. Come non farsi prendere dallo sgomento nel giorno in cui le coppie festeggiano il loro amore? Ne parliamo con il Dr. Giuseppe Iannone, psicologo e neuropsicologo presso il Centro di Psicologia Clinica di Liscate (MI). Dr. Iannone, perché tanti single vivono male la giornata di San Valentino? Amare e sentirsi amati sono necessità biologiche fondamentali, al pari, se non più, del cibo. In un famoso esperimento condotto dallo psicologo americano Harry Harlow, otto cuccioli di scimmie rhesus venivano prese dalle loro madri poco dopo la nascita e tenuti separati in una gabbia con due madri sostitutive: una madre-fantoccio ricoperta di stoffa morbida e una madre-fantoccio di metallo alla quale era stato fissato un biberon con del latte. I risultati di questo esperimento hanno dimostrato Psicologia di Alessia Elem Dott. Giuseppe Iannone
  • 21. www.healthonline.it | 21 persone appena conosciute a presentarci la nostra dolce metà. La coscienza della propria solitudine può poi portare a ricercare nell´altro un mezzo per colmare il vuoto ed il senso di incertezza che si sente attorno a sé: purtroppo però essere disperati ci si ritorce contro, nella misura in cui la disperazione può farci innamorare della prima persona che compare all´orizzonte, impedendoci così di aspettare la persona giusta. Non bisogna lasciare che la paura di essere single possa guidare la scelta del partner. Anche perché avere al nostro fianco qualcuno che non amiamo non ci salva dalla solitudine; per dirla con il filosofo tedesco Martin Heidegger: «Per numerosi che siano i presenti, l’Esserci può restare solo». La paura di essere single può influenzare le decisioni di scelta del partner. Spielmann e colleghi hanno scoperto che le donne che hanno paura di essere single tendono ad essere più dipendenti da relazioni romantiche infelici rispetto alle donne che stanno bene da sole. Inoltre, la paura di essere single può mantenere le persone in relazioni che altrimenti lascerebbero. Parte di questa paura è alimentata dalle aspettative sociali e culturali e riflette un processo di stigmatizzazione dei single. La paura di essere single può portare le persone ad accontentarsi di un partner sbagliato. E sono proprio coloro che più strettamente fanno dipendere la felicità dall’essere in una relazione amorosa a non trovare la serenità all’interno di una relazione romantica. Esistono disturbi e patologie legati all´amore? Sì, esistono diversi modi disfunzionali di vivere l´amore, nonché vere e proprie patologie che possono condurre a gravi stati di sofferenza emotiva. Pensiamo ai casi di attaccamento morboso o di gelosia patologica, cui spesso si associano episodi di stalking, e che impediscono la conduzione di una vita relazionale normale. Un altro fenomeno è quello della limerence, caratterizzato da pensieri ossessivi sulla persona che si ama (anche quando l´altro non ricambia il sentimento), da valutazioni irragionevolmente positive delle sue caratteristiche, da dipendenza emotiva e da un forte desiderio di reciprocità. Spesso questi individui sono attratti da partner sbagliati, soffrono amori non corrisposti, sono incapaci di imparare dalle loro esperienze e vivono un forte senso di angoscia e inutilità. Pensiamo ancora ai deliri erotomani, in cui la persona ha la convinzione infondata che un’altra persona provi sentimenti amorosi nei suoi confronti oppure alle parafilie. Ci sono infine individui innamorati dell´amore (o meglio dell´innamoramento, che è la prima fase dell´amore) più che del proprio partner. In questi casi, anche se il soggetto è felicemente corrisposto rimane incapace di provare vero affetto per il partner, limitandosi ad amare la sensazione dell’innamoramento suscitata dal partner (e/o da altri partner occasionali), e non è capace di passare dall’infatuazione iniziale al vero amore, inteso come impegno in una relazione matura. San Valentino è indubbiamente uno dei periodi forti dell´anno in cui alcuni single possono trovarsi ad attraversare momenti di profondo sconforto e tristezza legati alla loro condizione sentimentale e al non sentirsi degni di amare o di essere amati. A questi sentimenti possono accompagnarsi il rimuginìo (a volte ossessivo) di non essere riusciti a trovare l´anima gemella e/o l´ansia, che si manifesta sotto forma di preoccupazione per il futuro di non riuscire a trovare la persona giusta. Nel suo testo “L´arte di amare” lo psicoanalista tedesco Erich Fromm sostiene che l´amore non è qualcosa che riceviamo passivamente dall’altro ma azione attiva da coltivare e perfezionare con dedizione e costanza, un´arte che “richiede fede, sforzo e saggezza”. Dare amore riempie d’amore, porta soddisfazione, gratificazione e un profondo senso di connessione con gli altri. Non è un caso che le persone più felici sono quelle più generose. Amore quindi non solo come sentimento ma come impegno e adesione, caratterizzato da un insieme di azioni amorevoli, durature e prolungate nel tempo da rivolgere non solo al proprio partner ma anche a se stessi e ad altri (genitori, parenti, amici, colleghi, ecc.). Solo così l´amore diviene scelta consapevole e fonte di benessere e felicità.
  • 22. 22 | Health Online 29 stupore che i miei pazienti mostrano di fronte a domande apparentemente semplici ed elementari. Ho capito che nessuno gliele aveva mai poste, che loro stessi non se le erano mai poste. Ho notato però anche il piacere di rispondere a queste domande, di mostrarsi, di farsi conoscere, di fare in modo che io capissi esattamente chi avevo di fronte. Ho notato il piacere di constatare che lo “strizzacervelli” fa domande facili. La gente ancora ha una strana idea della mia professione. È un mazzo di carte perchè le carte si prestano al gioco da tavolo. E il tavolo è il luogo della famiglia e degli amici, delle chiacchierate, della convivialità e della socializzazione, molto più del sofà”. Carte scoperte perchè questo nome? “Perchè se è vero che ciascuno ha una sua maschera sarà vero anche che non giochiamo mai a CARTE SCOPERTE. Spesso questa frase è usata con circospezione, lo sarà, suppongo, anche in questo caso. Molti ritengono che giocare a carte scoperte sia sinonimo di svelare i propri segreti e le proprie strategie di sopravvivenza. Non è così. “Gioca a carte scoperte”, nel linguaggio comune, significa “parla chiaro”, sempre. La particolarità, trattandosi di un gioco per famiglie e amici intimi, è che qui le domande vertono su cose semplici, più superficiali che profonde perché a volte è proprio su quelle che ci perdiamo. Paradossalmente le persone si aprono di più sul profondo, il passato, la memoria, l’infanzia che su ciò che è attuale. Succede quindi che mentendo o nascondendosi dietro frasi di circostanza non si facciano conoscere, non dicano di sé rendendo i rapporti meno fluidi ed intensi”. E’ un gioco- non gioco. Come funziona? A quale pubblico è rivolto? Possono giocare anche i bambini? “Possono giocare tutti. Non credo ci sia al mondo qualcuno, di qualsiasi età, che non abbia voglia o bisogno di parlare, di confrontarsi, di farsi conoscere. Non è un gioco nel senso canonico del termine perché non si vince e non si perde, non ci sono punti né squalifiche. Non ci sono, infatti, risposte giuste, né risposte sbagliate. Si posiziona il mazzo al centro del tavolo e partendo GIOCHIAMO A CARTE SCOPERTE…GIù LA MASCHERA! Con la psicologa-psicoterapeuta Marinella Cozzolino Gioca a carte scoperte ovvero parla chiaro! Un gioco non gioco, non si vince e non si perde ma si impara a parlarsi, ad ascoltarsi e conoscersi “con una comunicazione semplice ed elementare” come la definisce l’ideatrice del progetto la psicologa- psicoterapeuta Marinella Cozzolino. Si tratta di 52 carte, 52 domande e si sceglie la persona alla quale porle: Questa domanda è per te; Questa domanda è per tutti e Scegli a chi porre questa domanda. Elementi di “gioco” molto interessanti perchè “si possono fare domande dirette alle persone da cui desideriamo avere determinate risposte e anche la possibilità di giocare più volte con le stesse persone, proprio perchè c’è un doppio mescolamento di carte e domande”. Uno strumento utile alla conoscenza reciproca e alla relazione. Per saperne di più e per capire le dinamiche e il motivo che ha portato alla nascita del progetto, Health Online ha intervistato la dottoressa Marinella Cozzolino. Da cosa nasce l’idea? Perchè lo hai pensato sotto forma di mazzo di carte? “L’idea nasce, ovviamente, dal mio lavoro. Negli anni non ho mai smesso di sorprendermi per lo Psicologia di Nicoletta Mele Dott.ssa Marinella Cozzolino
  • 24. 24 | Health Online 29 dal giocatore più adulto, a turno, si pesca una carta e si risponde alla domanda. Su ogni carta, oltre alla domanda c’è l’indicazione che riguarda il giocatore a cui rivolgere la domanda. 1) Questa domanda è per te 2) Questa domanda è per tutti 3) Scegli a chi porre questa domanda Questo meccanismo permette un paio di cose interessanti: di fare domande dirette alle persone da cui desideriamo avere determinate risposte e la possibilità di giocare più volte con le stesse persone, proprio perchè c’è un doppio mescolamento di carte e domande”. Qual è l’elemento caratterizzante? “La comunicazione. Semplice ed elementare. Come vuoi che mi comporti con te quando sei nervoso? E ‘una domanda che si fa una sola volta, ma che non ci facciamo mai, che però ci permette di essere utili e complici con l’altro in tante occasioni. E poi l’intimità, l’entrare di più nel mondo dell’altro. La condivisione dei ricordi, se si gioca con nonni e nipoti è potentissima a livello emotivo”. Le domande sono 52. Perchè e sulla base di cosa le ha formulate e tra queste ce n’è qualcuna “particolare”? “Sono 52 come un normale mazzo di carte. Possono essere usate più e più volte poichè il gioco prevede un meccanismo per cui non sempre chi pesca una carta sarà la persona che risponderà a quella domanda. Questo cambia l’ordine dei giocatori e delle domande per cui ogni volta ci sarà da rispondere a domande diverse. Le domande sono interessanti o meno a livello soggettivo. Per me la più “particolare” è: In cosa hanno sbagliato con te i tuoi genitori?”. Credo sia la più difficile a cui rispondere onestamente. Rispondere Niente è più comodo ma indubbiamente inutile”. Ha detto “Le domande sono semplici e riguardano cose di cui parliamo poco e mai nel contesto giusto”. Quanto ha influito la sua professione nella realizzazione del progetto? È una seduta dallo psicologo sotto forma di gioco? “Non proprio una seduta di terapia ma qualcosa che le somiglia sicuramente sì, possiamo dire che sono alcune tra le domande che si fanno in consulenza, nella primissima fase della terapia. È terapeutico sempre parlare ma anche ascoltarsi mentre si dicono determinate cose e, soprattutto, dire di sé in pubblico. Tornando alla terapia, le domande sono quelle che io faccio tra la prima e la seconda seduta per acquisire informazioni sulla persona che ho davanti”. In un mondo dove tutto è digitale questo strumento è utile alla comunicazione diretta, non ci sono filtri da leoni da tastiera. È possibile mentire oppure questo strumento ha il potere di mettere a nudo e far emergere parti che non si conoscono? “Quindi non risposte giuste o sbagliate come nei classici giochi da tavolo, ma risposte sincere, è così? Sono considerate risposte “passo”, “non lo so”, e “non mi ricordo”, ma questo avviene anche in terapia. Nessuno è mai obbligato a nulla, si può non rispondere o rispondere in maniera superficiale”. Nel testarlo e nel farlo testare qual è stato l’elemento emozionante che non si aspettava? “La capacità di raccontarsi degli uomini e degli adolescenti. Siamo convinti che parlare di emozioni sia appannaggio femminile, non è così. Gli uomini hanno una gran voglia di raccontarsi ed anche i ragazzi che sono tanto presi da queste domande da riuscire a passare ore senza mai guardare il telefonino. Nei limiti delle esperienze vissute rispondono molto volentieri anche i bambini a partire dagli otto/nove anni. Provare per credere”. Cosa c’è e quanto c’è di Marinella donna in questo progetto? “Tutto, ma tutto davvero. Non esistono cose non autobiografiche secondo me. Neanche i romanzi lo sono. Queste domande sono quelle che nel corso della vita mi sono posta più volte, quelle che ho fatto più spesso ma soprattutto quelle che mi hanno aiutato di più”. “Quella volta che hai deluso qualcuno. Racconta.” “Qual è la caratteristica che ti piace di più della persona alla tua sinistra? “ “la tua più grande paura è…” “Qual è stata la decisione più difficile che hai dovuto prendere” “Un momento davvero imbarazzante. Racconta la tua gaffe” “Potessi cambiare u tratto del tuo carattere cosa cambieresti?” Giocare a “Carte scoperte” crea momenti di intimità e di riflessione, di complicità e di divertimento e consente di far uscire fuori parti della propria personalità sconosciute.
  • 26. 26 | Health Online 29 DA RAIN MAN A THE GOOD DOCTOR: I DISTURBI DELLO SPETTRO AUTISTICO AL CINEMA E IN TV Psicologia di Mariilena Falcone Secondo IMDB.com, il database online che raccoglie tutto quanto relativo a cinema e TV del mondo, sono 337 i titoli di film, documentari e serie che dal 1969 hanno affrontato il tema dell’autismo, della sindrome di Asperger e in generale delle condizioni che oggi rientrano nella definizione più ampia di disturbi dello spettro autistico. Sicuramente a livello mondiale un film di grande impatto è stato Rain Man – L’uomo della pioggia (1988), con un indimenticabile Dustin Hoffman che per tanti rimane l’emblema della condizione autistica, sebbene ritragga un individuo molto particolare, con una forma di autismo molto particolare, visto solo in un breve segmento specifico della sua vita. Negli ultimi anni è aumentato esponenzialmente il numero di film e serie TV (anche italiani, come le recenti pellicole In viaggio con Adele, Quanto basta e Vengo anch’io) che, a volte in forma di commedia, a volte in forma di dramma, cercano invece di proporre una immagine più completa e approfondita della vita delle persone con disturbi dello spettro e dei loro familiari e amici, al punto che ricercatori e medici hanno iniziato a svolgere studi mirati per valutare l’autenticità di quanto rappresentato e gli effetti sul pubblico. A tal proposito, è molto interessante l’articolo intitolato Pros and Cons of Character Portrayals of Autism on TV and Film, pubblicato lo scorso anno sul Journal of Autism and Developmental Disorders, che prende in esame proprio vantaggi e svantaggi della rappresentazione di personaggi con disturbi dello spettro autistico o con tratti tipici dell’autismo al cinema o nelle serie televisive. Nell’articolo, infatti, i ricercatori (norvegesi e statunitensi) analizzano i dati raccolti nel corso di due decenni anche in ricerche precedenti e osservano come rispetto al passato sia cambiato il punto di osservazione. Un tempo si metteva l’accento sulle reazioni violente “ad effetto” a volte presenti in alcune condizioni psichiatriche come la schizofrenia o il disturbo della personalità multipla, spesso introducendo esasperazioni e forzature rispetto alla realtà. Mancava quasi completamente la rappresentazione delle persone con disturbi dello spettro autistico: oggi invece l’attenzione si sta spostando proprio su di loro, asperger o autismo? Il 18 febbraio è la giornata mondiale della sindrome di Asperger. Per certi versi la ricorrenza potrebbe anche essere considerate obsoleta. Infatti, dal 2013 il DSM-5, ossia la classificazione standard dei disturbi mentali realizzata dalla American Psychiatric Association, inquadra la sindrome di Asperger all’interno della famiglia di disturbi dello spettro autistico (DSA), insieme ad autismo e disturbo generalizzato (pervasivo) dello sviluppo non altrimenti specificato. La modifica degli standard è stata recentemente accolta formalmente anche dall’OMS nel documento ICD-11 che verrà progressivamente implementato nei Paesi europei facenti parte dell’organizzazione entro il 2022. In realtà, sebbene la definizione di sindrome di Asperger intesa come categoria a sé stante già non venga o comunque non verrà più utilizzata in ambito clinico, il sito della associazione Autism Speaks spiega che molti di coloro precedentemente diagnosticati continuano a identificarsi come “Aspi”, anche per sottolineare le capacità linguistiche e intellettuali avanzate tipiche rispetto alle altre forme dello spettro autistico. Le caratteristiche generali della condizione sono: • Difficoltà nelle interazioni sociali • Aree di interesse limitate • Desiderio di ripetitività • Punti di forza distintivi. In particolare, i punti di forza possono essere: • Notevolecapacitàdiconcentrazioneepersistenza • Propensione a riconoscere schemi e tendenze (pattern) • Attenzione ai dettagli. Invece, gli aspetti problematici possono includere: • Ipersensibilità specifiche (luci, suoni, sapori, odori, ecc.) • Difficoltà nell’alternanza di parola e ascolto nelle conversazioni • Difficoltàcongliaspettinonverbalidelleconversazioni (distanza, volume della voce, tono, ecc.) • Movimenti scoordinati o goffaggine • Ansia e depressione. Queste caratteristiche variano significativamente da individuo a individuo. Molti imparano a gestire gli aspetti più difficili valorizzando i propri punti di forza. Ad oggi, riportano i CDC, negli Stati Uniti un bambino su 59 riceve una nuova diagnosi di disturbo dello spettro autistico durante l’infanzia. (fonti: www.autismspeaks.org, www.cdc.org)
  • 27. www.healthonline.it | 27 Film e serie TV consigliati • Rain Man – L’uomo della pioggia (USA 1988), film, diretto da Barry Levinson con Dustin Hoffman, Tom Cruise, Valeria Golino • Temple Grandin – Una donna straordinaria (USA 2010), film per la TV diretto da Mick Jackson con Claire Danes e Julia Ormond • Il faro delle orche (Spagna 2016), film diretto da Gerardo Olivares (attualmente disponibile in italiano su Netflix) • Tutto ciò che voglio (USA 2017), film diretto da Ben Lewin con Dakota Fanning e Toni Collette • Quanto basta (Italia 2018), film diretto da Francesco Falaschi con Vinicio Marchioni, Valeria Solarino, Alessandro Haber • Vengo anch’io (Italia 2018), film di e con Corrado Nuzzo e Maria Di Biase • In viaggio con Adele (Italia-Francia 2018), film diretto da Alessandro Capitani con Alessandro Haber, Sara Serraiocco, Isabella Ferrari e Patrice Leconte • The Good Doctor (USA 2017 – in corso), serie TV creata da David Shore (creatore anche di Dr. House), trasmessa in Italia su Rai1/Rai2 • Atypical (USA 2017 – in corso), serie TV creata da Rabia Rashid, trasmessa in Italia su Netflix probabilmente anche a causa del forte incremento di casi diagnosticati annualmente (il 15% in più di nuove diagnosi entro il compimento degli 8 anni negli Stati Uniti rispetto a qualche anno fa secondo i CDC). L’accuratezza della realizzazione televisiva o cinematografica, spiegano gli studiosi, è essenziale per definire la differenza fra un ritratto errato, che può peggiorare ignoranza, pregiudizi e stereotipi sulla condizione, e uno autentico, che al contrario può contribuire a diffondere consapevolezza e conoscenza di tutte le sfumature dello spettro. Proprio Rain Man viene preso in esame nell’articolo come film con “pro e contro” da questo punto di vista. Da un lato il film è stato indubbiamente un rompighiaccio essenziale che ha portato prepotentemente alla ribalta l’autismo, prima quasi sconosciuto al grande pubblico. Dall’altro costituisce un esempio di quell’abbinamento “autismo-savantismo” troppo spesso insistito nella fiction. La sindrome del ‘savant’ definisce la presenza di facoltà speciali in settori molto specifici, spesso legati alle capacità mnemoniche, in persone che per altri versi presentano aspetti di ritardo cognitivo. Nella realtà, avvertono gli autori dell’articolo, elementi di savantismo di vario grado sono presenti in meno di un terzo delle persone con disturbi dello spettro, ma continuano a essere prevalenti nei ritratti cinematografici e televisivi. Il connubio “autismo-savantismo” si ritrova anche nella recentissima serie The Good Doctor, approdata con enorme successo pure in Italia, che ha soprattutto il merito di prendere in considerazione, con sensibilità e delicatezza mai superficiali, aspetti emotivi, psicologici e pratici del quotidiano: tramite la storia del protagonista, un giovane chirurgo con autismo e sindrome del savant, affronta la questione se sia possibile per una persona autistica essere un buon dottore (ponendo al contempo la domanda non banale “cosa definisce un buon dottore?”) e, indirettamente, esplora quale possa essere la strada per condurre una vita serena e completa convivendo con i disturbi dello spettro. Se film e serie TV di nuova generazione sono spesso abbastanza accurati da contribuire a diffondere la conoscenza e far comprendere meglio alcuni aspetti della condizione, l’eterogeneità tipica e la linea non ben definita fra appartenenza allo spettro e situazioni limite rendono impossibile rappresentare l’intero ventaglio di sfumature in un solo film o una sola serie. In altre parole, guardare appunto un solo film o una sola serie non è sufficiente per farsi una idea completa, concludono gli autori dell’articolo, ma guardarne diversi, in combinazione, può tradursi in uno specchio della complessità della condizione autistica. The Good Doctor quindi, ma anche Temple Grandin – Una donna straordinaria, Il faro delle orche, Atypical, Tutto ciò che voglio: sono solo alcuni dei titoli che possono aiutarci a ricomporre parte del puzzle, per comprendere meglio l’aspetto umano di una condizione che per molti rimane ancora remota e misteriosa.
  • 28. 28 | Health Online 29 BULLISMO E CYBERBULLISMO: SINERGIA TRA FAMIGLIA, SCUOLA E ISTITUZIONI PER DIRE STOP AL FENOMENO Per Health Online Elisabetta Scala del Moige Psicologia di Alessia Elem “Ero il soggetto preferito dei bulli. Vestivo bizzarro, ero dislessico e molto timido. Facevo di tutto per essere popolare, ma non funzionava. Allora mi sono detto: Devo trovare un modo perché la mia stranezza lavori per me, invece di distruggermi. Mia madre era molto preoccupata in quel periodo, mi diceva: Tu, o finisci in galera o diventi molto speciale. Le parole di Mika, pseudonimo di Michael Holbrook Penniman Jr., cantautore e showman londinese di origine libanese molto popolare e amato dal pubblico. Lui come altri personaggi del mondo dello spettacolo - ricordiamo il monologo dell’attrice Paola Cortellesi sulle note della canzone “Guerriero” del cantautore Marco Mengoni, andato in onda qualche anno fa, nello show di Rai Uno Laura&Paola - sono scesi in campo contro “l’epidemia silenziosa”. Purtroppo la cronaca riporta sempre più spesso episodi di bullismo che si verificano sia all’interno degli istituti scolastici - verso compagni ma anche verso i docenti - che al di fuori delle aule. Per bullismo si intende “un abuso di potere nei confronti di una persona più debole, diffuso soprattutto in fase adolescenziale, nella quale Dott.ssa Elisabetta Scala i ragazzi tendono ad assumere comportamenti aggressivi e continui per prevalere all’interno del gruppo dei pari”. (fonte:http://www.moige.it/sos- minori/bullismo). Rientra nel termine di bullismo non solo la violenza fisica ma anche quella verbale come gli insulti e le prese in giro e quella psicologica come ad esempio l’esclusione da gruppi e comitive. Al giorno d’oggi dove la vita reale viene spesso condivisasuisocialmediabisognafareattenzioneal cyberbullismo che è “una qualsiasi comunicazione virtuale pubblicata o inviata a un minore allo scopo di impaurire, imbarazzare, infastidire o prendere di mira in altro modo un minore”. (fonte:http://www. moige.it/sos-minori/bullismo). Il 7 febbraio si è celebrata la Giornata Nazionale contro il bullismo e il cyberbullismo con l’obiettivo di sensibilizzare e prevenire il fenomeno purtroppo in crescita come denunciato da un’ indagine di Amnesty International-Doxa, condotta su un campione di mille persone.(https://www.amnesty. it/indagine-doxa-gli-italiani-discriminazioni- ancora-diffuse-nel-nostro-paese/). Secondo uno studio dell’Istat relativo al 2014, in Italia un ragazzino su due è vittima di episodi di bullismo. A subire il bullismo sono più le femmine (20,9%) che i maschi (18,8%), mentre tra gli studenti delle superiori le vittime più numerose sono tra i liceali (19,4%), seguiti dagli studenti degli istituti professionali (18,1%) e degli istituti tecnici (16%). L’età a rischio è quella compresa fra 11 e i 17 anni, anche se il periodo più critico è fra 11 e 13: all’inizio parolacce e insulti, seguiti dalla derisione per l’aspetto fisico e poi, in 4 casi su cento, si arriva a botte, calci e pugni. (https://www.istat.it/it/ files/2015/12/Bullismo.pdf). Tanti gli interrogativi quali ad esempio: Di chi è la responsabilità e come intervenire? Health Online ha intervistato la dottoressa Elisabetta Scala Vicepresidente e responsabile Osservatorio Media del Moige – Movimento Italiano Genitori Onlus, organizzazione che agisce per la protezione e la sicurezza dei bambini, attraverso azioni di intervento e prevenzione sui problemi dell’infanzia e dell’adolescenza. (http:// www.moige.it).
  • 29. www.healthonline.it | 29 Dottoressa Scala i dati parlano di un fenomeno in aumento. Perchè? “L’aumento è dovuto ad una maggiore aggressività e una diffusione dei modi di prevaricazione dei giovani, ma credo che questo elemento possa essere positivo. Finalmente il fenomeno del bullismo e cyberbullismo sta emergendo: chi prima aveva paura di parlare, di esternare le proprie difficoltà, adesso lo fa. Le campagne di prevenzione, dare dei punti di rifermento ai ragazzi e parlare sempre di più del bullismo e cyberbullismo sono tutti fattori volti a bloccare il fenomeno”. Bullismo e cyberbullismo: quanto ha inciso la diffusione dei social network? Quali sono le misure immediate da adottare come reazione al cyberbullismo? “La rete ha amplificato il fenomeno del bullismo trasformandolo in cyberbullismo, in questo caso la vittima purtroppo non è mai libera dal bullo il quale non vede negli occhi la sofferenza di chi ha preso di mira. I ragazzi non hanno la consapevolezza della sofferenza di chi è vittima di cyberbullismo e delle conseguenze del web. E’ compito della famiglia e della scuola quello di educare i ragazzi e far capire loro che tutto ciò che avviene in rete non è possibile rimuoverlo. Un altro aspetto molto importante è quello relativo alle norme: è necessario educare i ragazzi all’uso consapevole dei social. Non ha senso che ci siano norme che impongono i limiti di età nella fase di iscrizione quando questa può essere falsificata e non c’è alcun controllo, purtroppo anche un ragazzino di 9 anni può avere accesso alla rete nonostante non abbia ancora la maturità specifica per affrontarla. A tal proposito bisogna prima di tutto che ci siano norme che impongano sistemi di controllo per verificare la reale età di chi si iscrive ad un social”. Una maggiore sinergia tra famiglia, scuola e istituzioni e un monitoraggio forte sui social media per contrastare il fenomeno potrebbe essere la strada giusta da percorrere? E’ possibile fermare l’epidemia silenziosa? “Se non c’è questa sinergia non ci sarà nessuna soluzione al problema. Bisogna fare tanta educazione e prevenzione e stabilire delle regole precise. Il compito della famiglia e della scuola è quello di formare ed educare i ragazzi, mentre quello delle Istituzioni è quello di stabilire e far rispettare le regole”. Le campagne di sensibilizzazione sono molto importanti. Il Moige ha promosso il progetto “Giovani ambasciatori contro il bullismo e cyberbullismo per un web sicuro”. Può spiegare di cosa si tratta?
  • 30. 30 | Health Online 29 “È un progetto nato dopo una nostra ricerca condotta con l’Università La Sapienza di Roma su 1.342 ragazzi delle Scuole Secondarie di primo e secondo grado dalla quale è emerso un preoccupante atteggiamento di sottovalutazione degli effetti dei comportamenti in rete: sempre più ragazzi rendono accessibile a tutti il materiale, infatti ben 1 ragazzo su 3 rende sempre accessibile “a tutti” il materiale condiviso tramite social e più della metà è consapevole che il materiale condiviso verrà visualizzato da altri. In difesa e a supporto delle vittime abbiamo messo a disposizione il primo centro mobile itinerante sul territorio italiano, con giovani ragazzi formati dai nostri psicologi, nelle scuole italiane. Il punto di riferimento sono coetanei e questo elemento funziona perchè rompe il muro di chiusura da parte della vittima e lo aiuta a rivolgersi alla propria famiglia. La nostra azione è rivolta anche alla famiglia del bullo alla quale forniamo informazioni e strumenti per aiutare il proprio figlio. La prevenzione deve iniziare il prima possibile. Sia il progetto sulla formazione dei giovani ambasciatori che quello per un uso corretto di internet stanno crescendo, abbiamo iniziato qualche anno fa nelle scuole superiori e oggi siamo presenti anche nella scuola secondaria di primo grado e nella primaria. Una crescente richiesta da parte dei giovani per diventare ambasciatori e i risultati positivi di storie a lieto fine sono per noi stimoli nel continuare in questa direzione”. Quali sono i campanelli d’allarme che fanno insospettire la famiglia di chi è vittima di bullismo e che non devono essere sottovalutati? “I principali campanelli da non sottovalutare sono i cambiamenti nei comportamenti abituali dei nostri figli. Generalmente la vittima di bullismo si chiude, presenta sbalzi di umore, fa incubi notturni e non vuole più andare a scuola o al centro sportivo. Dalle indagini che abbiamo realizzato è emerso un dato confortante: i ragazzi si rivolgono alla famiglia, questo significa che non bisogna mai perdere di vista l’importanza del dialogo con i propri figli”. Come devono comportarsi i genitori una volta accertato l’episodio di bullismo? “A seconda della gravità di ciò che accade i genitori devono rivolgersi al luogo dove è accaduto l’episodio di bullismo. Invece, per le situazioni più gravi dove c’è un reato informatico con la diffusione di messaggi e materiale fotografico, il consiglio è quello di rivolgersi alla polizia postale anche passando dalla polizia del proprio distretto, che è molto preparata ad affrontare e recuperare le situazioni delicate”. Purtroppo si sono verificati casi di violenza e intimidazione anche nei confronti di docenti scolastici. Lo scorso anno si sono contati 33 casi ‘ufficiali’ di professori vittime accertate di atti di bullismo e si sono stimati altri 81 casi ‘sommersi’ e non denunciati. La cronaca ha riportato episodi di bullismo nei confronti di docenti scolastici molto gravi addirittura ripresi con le telecamere dei telefoni cellulari e pubblicati sui social media. E’ il caso di un professore di un Istituto Tecnico della provincia di Vicenza che è stato ripetutamente minacciato da un alunno, poi costretto a mettersi in un angolo da dove alla fine è riuscito a lasciare l’aula. Un altro è quello accaduto sempre presso un Istituto Tecnico, ma a Velletri in provincia di Roma, dove uno studente ha minacciato l’insegnate dicendole che l’avrebbe sciolta nell’acido e che l’avrebbe mandata in ospedale. Impossibile dimenticare il video dei tre studenti, tutti minorenni dell’Itc Carrarà di Lucca, che hanno minacciato il professore di italiano e storia, un docente di 64 anni. Dalle minacce ai fatti. A Caserta uno studente di 17 anni ha accoltellato in classe l’insegnante, ferendola al volto, che voleva interrogarlo per fargli recuperare una insufficienza. Per non parlare del caso che ha riguardato una supplente con difficoltà motorie ad Alessandria legata alla sedia della cattedra con lo scotch e ripresa con uno smartphone. La vittima è stata liberata dal bidello chiamato da un allievo di un’altra classe. DaNordaSudgliinsegnantisonosemprepiùspesso vittime di aggressioni fisiche e verbali da parte degli alunni. Episodi che destano preoccupazione e che si sono verificati e che si verificano anche in altri Paesi. Negli Stati Uniti la violenza nei confronti degli insegnati nel 2011 aveva raggiunto dei livelli mai verificatesi prima. La denuncia è arrivata da uno studio pubblicato nel 2011 della American Psychological Association in uno riteneva che questa forma di violenza avesse raggiunto livelli mai toccati prima. Dottoressa Scala, se un episodio di bullismo nei confronti di un coetaneo è un fatto gravissimo, quello nei confronti di un adulto, nello specifico un professore, lo è ancor di più. In che direzione stanno andando le nuove generazioni? “Per fortuna il numero dei casi è limitato, la maggioranza degli alunni rispetta ancora i propri insegnanti, ma il fenomeno va combattuto e stigmatizzato. Bisogna educare i ragazzi, sia in famiglia che a scuola, al rispetto delle regole e delle autorità, sempre, anche quando si pensa di aver subito un’ingiustizia. Dall’altra parte, gli insegnanti devono riscoprire il loro ruolo e avere autorevolezza
  • 31. www.healthonline.it | 31 verso gli alunni”. Come deve comportarsi la famiglia del bullo di fronte a queste situazioni? “Il ruolo del genitore del bullo è complesso perchè potrebbe trovarsi nella condizione di mettersi in discussione e riconoscere le proprie colpe dopo aver offerto un modello aggressivo al proprio figlio. Nella fase dell’adolescenza ci sono tanti fattori da considerare come ad esempio il ruolo che rappresenta il gruppo di amicizie nelle azioni dei propri figli i quali a volte non si comportano secondo l’educazione ricevuta dalla famiglia. Noi genitori dobbiamo imparare a non difendere sempre i nostri figli e pensare che a loro fa bene trovarsi davanti le responsabilità e subire le conseguenze delle proprie azioni con delle punizioni. Il genitore nel momento in cui viene a conoscenza delle azioni da bullo da parte del figlio dovrebbe affiancarlo ed incoraggiarlo a rimediare a ciò che ha fatto”. Arriva dalla Danimarca, ad opera della psicologa americana sposata con un danese, Jessica Alexander, l’approccio che ha visto ridurre in maniera drastica bullismo nelle scuole. “Mi è stato chiaro - ha dichiarato in un articolo pubblicato su D.repubblica.it - che il motivo per cui Danimarca era stata considerata per oltre quarant’anni uno dei Paesi più felici del mondo era proprio per l’educazione dei figli. Una delle cose più illuminanti è l’approccio innovativo che i danesi hanno nei confronti del bullismo. Se nel resto del mondo il fenomeno è diventato ormai preoccupante epidemia, in Danimarca invece, il programma “Liberi dal bullismo” ha fatto sì che negli ultimi dieci anni i numeri siano diminuiti, passando dal 25 al 7% dei ragazzi coinvolti”. Come si è raggiunto il risultato? In Danimarca il fenomeno del bullismo è visto come conseguenza di una minor tolleranza e come effetto delle dinamiche gerarchiche del gruppo, un approccio decisamente nuovo al problema. Uno dei metodi che gli insegnanti danesi adottano per monitorare le dinamiche di gruppo - si legge nell’articolo - è il “sondaggio del benessere” in cui viene chiesto al bambino di indicare quanto è felice in una scala da 1 a 10, e di individuare le tre persone con le quali gli piace di più passare il proprio tempo, più una serie di altre domande che dipendono dall’età e dai bisogni specifici di ciascun intervistato. In questo modo gli insegnanti ottengono informazioni importantissime sul benessere degli studenti, sia individualmente che in gruppo. Inoltre, grazie al questionario, riescono a sviluppare empatia nei confronti degli allievi e a capirli meglio. Gli insegnanti inseriscono poi i dati in un sociogramma, cioè una rappresentazione grafica della gerarchia del gruppo, dalla quale si evince per esempio chi è lo studente più popolare e chi quello meno inserito, quello che viene scelto più spesso e quello che viene invece emarginato. Tutto ciò permette di pianificare le lezioni seguendo una strategia volta a migliorare le dinamiche di gruppo. Dai 6 ai 16 anni agli studenti danesi viene richiesto di investire un’ora alla settimana per il miglioramento delle dinamiche di classe, imparando ad ascoltarsi a vicenda e a mettersi ognuno nei panni dell’altro. Insegnare tolleranza e appartenenza (che in danese si dice fællesskab) non solo fa diminuire il tasso di bullismo, ma aumenta sensibilmente i livelli di felicità. Uno studio danese condotto su larga scala mostra infatti che nelle scuole in cui il livello di fællesskab è alto lo sono anche tutti gli altri parametri, dai risultati scolastici al benessere generale. Sulla base dei risultati dei report danesi questo potrebbe essere un metodo da prendere in considerazione e che andrebbe ad aggiungersi alle azioni di prevenzione, di educazione e di formazione spiegate dalla dottoressa Scala. Non dimentichiamo che solo la sinergia tra Famiglia, Scuola e Istituzioni è il percorso da seguire per dire stop al bullismo e al cyberbullismo.
  • 32. 32 | Health Online 29 Malattie rare agli occhi: sintomatologia e cure Ne abbiamo parlato con il Dott. Lino De Marinis Psicologia di Beatrice Casella L’anatomia dell’occhio mostra come questo organo, pur essendo di piccole dimensioni e molto delicato, sia complesso e ben articolato. È composto da cellule nervose, tessuto connettivo, vasi sanguigni e fibre muscolari, andando a costituire un vero e proprio sistema ottico e, come la luce riflessa dagli oggetti, si rifrange. Cornea, umor acqueo cristallino e corpo vitreo funzionano, infatti, come una lente convergente. L’occhio, nel suo complesso, si può paragonare ad unaveraepropriamacchinafotografica:scattodopo scatto colleziona i momenti più importanti della nostra vita, mettendoci in contatto regolarmente con tutto ciò che ci circonda. Proprio per questo motivo è importante rivolgersi spesso a un medico per verificarne lo stato di salute e correre ai ripari qualora incominciano a verificarsi i sintomi tipici di qualche seria patologia oculare. I Centers for Disease Control and Prevention hanno calcolato che negli Usa la metà della popolazione adulta risulta essere a rischio di serie patologie oculari perché non si è recata a un controllo oculistico negli ultimi 12 mesi. Questo avviene in quanto il 35% dichiara di non aver alcun tipo di problema e non ritiene necessario iniziare un iter di visite e cure. Si può riscontrare una situazione analoga in Italia, tramite un sondaggio online svolto dall’Osservatorio per la Salute della Vista (Osvi), dal quale è emersa una preoccupante ed errata tendenza degli italiani Dott. De Marinis a trascurare la cura della vista. Secondo la survey, somministrata per capire quanta cura dedicano gli italiani alla prevenzione e alla difesa della vista, il 50% non fa mai controlli della vista e tra il 30% che ha effettuato negli ultimi 12 mesi una visita oftalmologica, 1 su 5 dichiara di non voler ricorrere a controlli medici più frequenti. In realtà, queste ultime risultano essere essenziali perché a volte si possono nascondere delle “malattie rare”, terminologia medicadicuiancoranonsiconoscebeneilsignificato esatto non solo in campo oftalmico ma per tutto il nostro organismo umano. Tutte le malattie si definiscono rare quando la loro prevalenza, intesa come il numero di caso presenti su una data popolazione, non supera una soglia stabilita. In UE questa ultima è fissata allo 0,05 per cento della popolazione, ossia 5 casi su 10.000 persone (fonte: OMAR). In base ai dati coordinati dal registro nazionale malattie rare dell’Istituto superiore di sanità, in Italia si stimano 20 casi di malattie rare ogni 10.000 abitanti e ogni anno sono circa 19.000 i nuovi casi segnalati dalle oltre 200 strutture sanitarie diffuse in tutta la penisola. Nei bambini di età inferiore ai 14 anni, le malattie rare che si manifestano con maggiore frequenza riguardano le malformazioni congenite (45%) e le malattie delle ghiandole endocrine, della nutrizione, del metabolismo e dei disturbi immunitari (20%). Per i pazienti in età adulta, invece, le frequenze più alte appartengono al gruppo delle malattie del sistema nervoso e degli organi di senso (29%). Il 28 febbraio si è celebrata a livello internazionale la XII edizione della Giornata delle Malattie Rare guidata dal tema “Integriamo l’Assistenza Sanitaria con l’Assistenza Sociale”. L’evento di quest’anno ha rappresentato un appello generale ai decisori pubblici, agli operatori sanitari e ai responsabili dei servizi di assistenza sociale, affinché sia messo a punto un migliore coordinamento di tutti gli aspetti dell’assistenza alle persone con malattia rara. Se vengono rispettati i diritti dei rari lo saranno, veramente, anche i diritti di tutti. Quali sono le malattie rare che colpiscono gli occhi? I controlli periodici sono un campanello d’allarme, uno strumento utile a fornire informazioni vitali sullo stato di salute in generale, come ad esempio se si soffre di colesterolo, oppure si hanno delle malattie infettive o autoimmuni?
  • 33. www.healthonline.it | 33 Per Health Online ha risposto il Dott. De Marinis, specialista in Oculistica al Salus Hospital di Reggio Emilia il quale ha spiegato quali sono le numerose complicanze al bulbo oculare e ha chiarito il concetto che un esame agli occhi può non riguardare solamente la nostra capacità visiva o le diottrie. L’Istituto Superiore di Sanità (ISS) ogni anno registra in Italia 19.000 nuovi casi di malattie rare tra cui quelle oftalmiche. Tuttavia, quando si parla di malattie, raramente si pensa agli occhi. Secondo lei come mai? Comunemente si pensa alle malattie rare come patologie molto gravi, spesso mal conosciute ed inguaribili, che colpiscono diverse parti ed organi del nostro organismo. In effetti vi sono disordini oculari nell’ambito di malattie generali, come per esempio nella sindrome di Marfan, nella malattia di Behçet nella sindrome di Sturge-Weber. Le malattie rare che colpiscono esclusivamente l’apparato oculare, invece, sono solo il 7-9% di tutte esse e quindi meno frequenti. Il 28 febbraio si è tenuta la Giornata Mondiale delle Malattie Rare. Quali patologie oculari possono rientrare in questa categoria? Innanzitutto il cheratocono (1 caso su 2000 abitanti), che secondo il Registro regionale dell’Emilia- Romagna è la malattia rara maggiormente certificata in assoluto ma che comunque oggi può essere curata anche con buon successo. Poi vi sono la retinite pigmentosa (1/4000), molto invalidante ed incurabile; il retinoblastoma (1/18000), il tumore maligno pediatrico più frequente; la malattia di Stargardt (1/10000) e la distrofia vitelliforme di Best (incidenza variabile) che colpiscono la retina. Inoltre, si possono verificare numerose distrofie corneali anche congenite, l’atrofia ottica di Leber (1/15000- 50000), il coloboma congenito del nervo ottico o della coroide e l’aniridia, ovvero l’assenza congenita, completa o quasi, in entrambi gli occhi dell’iride. Le malattie oftalmiche rare citate risultano essere più frequenti nei bambini o negli adulti? A parte le forme congenite come i colobomi e l’aniridia ed il retinoblatoma che si evidenzia nei primi mesi di vita, tutte le altre incominciano a manifestarsi nella prima o seconda decade di vita e peggiorano con il passare degli anni. Quali sono i maggiori sintomi per riconoscere queste malattie? Bisogna prestare molta attenzione ad uno strabismo o al riflesso bianco della pupilla notati nei primi mesi di vita che sono significativi per la presenza di un retinoblastoma, per poter intervenire il più presto possibile. La presenza di marcata fotofobia potrebbe essere segno di aniridia, mentre il nistagmo di difficoltà visive in generale. Il disagio nella visione crepuscolare o notturna è il primo segno della retinite pigmentosa. Nelle altre malattie il sintomo iniziale, spesso unico, è la progressiva diminuzione del visus. Come bisogna agire per intervenire? La tecnologia quanto sta aiutando con le cure in termini di tempo e costo? Peralcunemalattierarenoncisonoterapieveramente efficaci. Tuttavia, negli ultimi anni la tecnologia ci ha dato un notevole aiuto. Basti pensare come nel cheratocono o in altre affezioni corneali spesso non sia più necessario fare un trapianto corneale a tutto spessore, ma sia sufficiente trapiantare un singolo strato, oppure al trapianto di cellule retiniche, o all’introduzione di placche retiniche con microchip. Alcune terapie sono ancora in fase sperimentale ma, dato l’alto costo sociale di queste malattie che insorgono soprattutto in età giovanile, bisogna fare ogni sforzo possibile per poter ottenere qualche risultato positivo.
  • 34. 34 | Health Online 29 supportare favorire promuovere Costituita per iniziativa di Health Italia, Mutua MBA e Coopsalute, la Fondazione Basis è un ente no-profit che svolge le proprie attività nei settori dell’assistenza socio-sanitaria, nella promozione e nella gestione di servizi culturali, educativi, sportivi e ricreativi allo scopo di fornire sostegno a soggetti deboli quali, ad esempio, persone svantaggiate per malattia, disabilità fisica e/o psichica, indigenti, minori e persone anziane non autosufficienti. Nello svolgimento delle proprie attività istituzionali, la Fondazione si propone di sensibilizzare l’opinione pubblica su tematiche quali la difesa e la tutela della salute, incentivando il concorso e la partecipazione di tutte le realtà che costituiscono espressione della società civile. Fondazione Basis ha ottenuto risultati significativi, soprattutto grazie al contributo di molti donatori, che rafforzano l’entusiasmo e la volontà nel proseguire per la strada intrapresa. Se credi nella nostra missione e nell’importanza che la nostra Fondazione può rivestire in ambito sociale effettua una donazione o diventa volontario inviandoci per email la tua candidatura! Effettua un bonifico bancario IBAN: IT 14 U 03359 01600 100000140646 intestato a: Fondazione Basis Via di Santa Cornelia, 9 - 00060 - Formello (RM) Effettua un assegno bancario non trasferibile intestato a: Fondazione Basis ed inviato mezzo posta a: Fondazione Basis Via di Santa Cornelia, 9 - 00060 - Formello (RM) Fondazione Basis | c/o Palasalute - Via di Santa Cornelia, 9 | 00060 | Formello (RM) | www.fondazionebasis.org | info@fondazionebasis.org
  • 36. 36 | Health Online 29 Surgery all’interno dell’area di ricerca Surgical Robotics and Allied Technologies. Dottor Ciuti di cosa si occupa principalmente? Le principali attività di ricerca che seguo riguardano lo sviluppo di piattaforme e dispositivi robotici per la diagnosi e la chirurga mininvasiva (e.g., capsule endoscopiche) e robot e tecnologie collaborative per l’interazione uomo-macchina. Al momento sono anche coinvolto in diversi progetti di ricerca nazionali e internazionali. A proposito di progetti, uno dei primi ha riguardato lo sviluppo di capsule endoscopiche robotiche. Di cosa si tratta? Sono pillole che occorrono per fare diagnosi all’interno del nostro tratto digestivo e che hanno il vantaggio di ridurre il livello di invasività della procedura. Le persone non si sottopongono volentieri alla colonscopia perché non è facile affrontarla quindi si è reso necessaria l’introduzione di pratiche meno invasive per monitorare la salute dell’intestino e per controllare se ci sono polipi. I tumori all’interno del distretto gastro-intestinale hanno un’evoluzione molto lenta. In alcuni casi trascorrono quasi dieci anni dall’insorgenza di un effetto al tumore a uno stadio avanzato. Si parla di 700 mila decessi ogni anno con un numero di casi diagnosticati che è pari al doppio. Per sviluppare queste capsule è dunque importante garantire la stessa funzionalità dell’azione e la possibilità di poter fare delle biopsie e rilasciare farmaci localizzati per trattare processi infiammatori. Al momento che tipo di capsule esiste? Si chiamano “capsule passive” e di fatto sono pillole che si ingeriscono. Queste piccole navicelle sono dotate di una telecamera e si muovono in relazione alle contrazioni perilstaltiche. Se sei fortunato la capsula riesce a raggiungere il luogo desiderato e effettua l’immagine nel modo giusto. In altri casi questafortunavieneamancare.Èperquestaragione che noi sviluppiamo “capsule attive” con l’obiettivo di farle muovere nell’intestino a piacimento del medico. Si tratta sempre di navicelle grandi quanto una pasticca di antibiotico che, sulla base di un mio progetto, possono essere guidate dall’esterno con Una navicella nel corpo umano: le videocapsule endoscopiche che segnalano i tumori Intervista al Dott. Gastone Ciuti Filmare l’interno del corpo umano senza effettuare interventi invasivi è certamente uno dei risultati più straordinari che la medicina ha potuto raggiungere negli anni grazie alla complicità venutasi a creare tra il mondo della ricerca e il fronte tecnologico sempre più ultimato. Un esempio è dato dalle videocapsula endoscopica, un esame diagnostico non invasivo inizialmente pensato per lo studio dell’intestino tenue e più tardi allargato alla zona del colon. La videocapsula rappresenta un’innovazione che a tutt’oggi non sostituisce colonscopia e gastroscopia diagnostica. Le sue dimensioni sono di poco più grandi di una compressa di antibiotico e lo spostamento all’interno dell’intestino è dovuto ai movimenti della peristalsi intestinale. Tuttavia dall’Istituto di BioRobotica della Scuola Superiore Sant’Anna di Pisa arrivano importanti novità su quella che nel settore è paragonata a una “navicella spaziale”. Del resto il paragone è dato dal fatto che tanto la capsula che viaggia nel sistema solare quanto la corrispettiva che indaga il corpo umano sono guidate dalla mano dell’uomo, il moderno Ulisse del terzo millennio. A spiegare gli importanti progressi 4.0 oggi inseriti nel grande libro della chirurgia robotica è Gastone Ciuti, dottore in Ingegneria Biomedica presso l’Università di Pisa, ricercatore universitario (tenure track) all’Istituto di BioRobotica e responsabile del laboratorio Computer-Integrated Technologies for Robotic Tecnologia e salute di Alessandro Notarnicola Dott. Gastone Ciuti