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CAPITOLO 3 - LA VITA NUOVA
La Vita Nuova, operetta composta "all'entrata della gioventù", probabilmente fra il
1292 e il 1293, fu stampata la prima volta a Firenze nel 1576. E’ una raccolta di rime che
Dante trascelse dalla sua produzione anteriore e che collegò nel filo di una narrazione in
prosa; la quale di ciascuna illustra il motivo generatore ("ragione") e chiarisce per
"divisioni" l'organismo di pensiero che vi si articola dentro, risolvendosi in sintesi
rappresentativa. E’ la storia della vita intima di Dante, quale si riaffaccia al suo spirito
nella trama sentimentale e affettiva dei ricordi di cui essa è intessuta ("libro della
memoria") e che egli rivive in diretta relazione a Beatrice, la donna amata ed esaltata,
perduta e rimpianta, ma "beata in cielo con gli angeli" e "viva in terra con la sua anima".
A nove anni Dante s'incontra con Beatrice, quasi sua coetanea; e subito la bellezza
di lei, nello splendore della sua dispotica spiritualità ("Ecce deus fortior me"), si fa
presente all'anima di Dante che se ne diletta ("Apparuit iam beatitudo vestra") e la esalta:
un bene che muove il desiderio e suscita l'amore, come passione a cui le stesse operazioni
del corpo dovranno essere sacrificate. S'inizia così una "vita nuova", nella quale l'amore,
tendendo a ciò che diletta l'intelligenza nella sua facoltà di conoscere ("amore
razionale"), si fa causa in Dante delle attrattive che egli stesso subisce, ossia della
efficacia che la bellezza di Beatrice esercita su di lui con la realtà della sua presenza e
della sua azione. A diciotto anni Dante rivede Beatrice e ne riceve il primo saluto: luce di
un'anima buona che lo inebria, e che lo porta a conoscere, nel lampo di uno sguardo, la
bellezza che lo fa beato.
E tosto in un'atmosfera di visione e di sogno - vita di un'anima che si contempla
nello specchio delle proprie immagini - l'Amore gli appare e si conferma suo signore
("Ego dominus tuus") e gli strappa il cuore e lo dà a Beatrice che dorme tra le sue braccia
e poi se ne parte piangendo. Sogno di ogni adolescente, che alla prima rivelazione della
bellezza nella sua esistenza singolare e concreta offre tutto se stesso alla creatura che
gliela fa conoscere, come splendore di vita e perfezione che non è di quaggiù.
Vita Nova 16
Presagio oscuro del sentimento che ama, e che già teme di perdere quello che
ama. Motivo poetico, che nelle forme della lirica tradizionale segna il primo inizio
dell'arte di Dante, ma che lì non si esaurisce, perché permea dal profondo tutta la Vita
Nuova e ne colora la vicenda d'amore entro una penombra di aspettazione e di mistero.
Ormai raccolto nel solo pensiero di Beatrice, Dante si pone al centro della sua gioia e la
cinge di silenzio e la vela di un sorriso, col quale risponde a coloro che gli leggono in
volto lo struggimento interiore. Segreto geloso e fiore spirituale della sua anima
innamorata, che egli sente di dover sottrarre a ogni indiscreta curiosità, fingendosi
innamorato di un'altra donna, per la quale scrive "certe cosette per rima" con quel fragile
e trasognato abbandono al sentimento, che è pura musica, ritmo interiore e canto. Quando
poi questa donna si allontana da Firenze ed egli ne resta sgomento, di nuovo, per
ispirazione d'amore, s'affretta a celare l'intima verità della vita che vive con lo "schermo"
di una seconda donna; ma la canta con tale fervore di desiderio, che ne resta intorbidata
l'onda di commozione che gli fluiva dall'interno e se ne oscura l'idea di bellezza che lo
rapiva in Beatrice.
Or ecco che di tale passione molta gente prende "a ragionare oltre li termini della
cortesia"; e per quelle voci che procuravano a Dante la taccia di vizioso, Beatrice gli
toglie il saluto: quel saluto che gli era fonte di beatitudine e di traboccante pienezza
interiore. "Quando ella apparia da parte alcuna, - egli scrive -, per la speranza de la
mirabile salute (saluto) nullo nemico mi rimanea, anzi mi giugnea una fiamma di
caritade, la quale mi facea perdonare a chiunque m'avesse offeso; e chi allora m'avesse
domandato di cosa alcuna, la mia responsione sarebbe stata solamente "Amore", con viso
vestito d'umiltade".
Sovrabbondanza affettiva, che Dante conosce come vita della sua anima e legame
che lo stringe nel mondo degli spiriti a tutti gli uomini; ma sovrabbondanza che è fuori
dall'ordine dell'amore; il quale, raccolto sul proprio centro, si esalta in ciò che dilettando
l'intelligenza fa fronte alla volontà come un bene a cui tende e che fa la gioia dell'anima.
("Ego tamquam centrum circuli cui simili modo se habent circumferentiae partes", gli
dichiara in visione l'Amore, "tu autem non sic"). La volontà di Dante, non rettificata
fondamentalmente nella linea di quella bellezza che rifulgeva in Beatrice, s'è abbandonata
all'onda oscura del sentimento e della passione.
Vita Nova 17
Sempre per ispirazione di quell'Amore che lo sprona e lo guida e lo finalizza,
Dante s'accorge che nelle sue rime per la seconda donna dello "schermo" ha fallito
artisticamente il suo scopo. E allora lascia i finti amori, per rivolgersi direttamente a
Beatrice e dichiararle la nobiltà della passione che nutre e ha sempre nutrito per lei fin
"da la sua puerizia". Ma Beatrice è donna che non recede facilmente dal suo proposito; né
altro Dante può ormai sperare da lei, sebbene a malincuore, che un pietoso compatimento
per ciò che egli vive e soffre, patisce e conosce nei suoi termini intimamente
contraddittori. Durante una festa nuziale Beatrice, insieme con le sue amiche, sorride del
turbamento che Dante prova dinanzi a lei; e così si nega alla comprensione di quell'amore
che in Dante si fa dominatore di ogni altra attività, trasformandolo in puro soggetto di
assorta contemplazione. E’ un morire a se stesso, per compiacersi della bellezza che in
Beatrice lo esalta e lo trae fuori di sé: oscura perfezione d'amore, vissuta
angosciosamente e tale che dovrebbe suscitare in altri la pietà; e tuttavia desiderata e
accettata con gioia da Dante, perché la vive dentro la luce di un pensiero che solo parla di
Beatrice. In vivente relazione a lei Dante ha finora obbedito, con abbandono fidente e
felice, alle sollecitazioni dell'Amore che scaturivano dalle pieghe più riposte della sua
anima; ma il saluto di Beatrice, che era il fine ultimo di tutti i suoi desideri, gli è negato
per sempre. Né altro ormai Dante crede di poter dire di se stesso, quando, all'improvviso,
l'Amore che lo ispira gli si rivela, per sua grazia, nella parola poetica in lode di Beatrice;
è perciò un amore che nulla chiede e nulla spera, perché già si possiede tutto, come bontà
generosa che esaltando si esalta, mentre liberamente si dona alla bellezza spirituale a cui
tende.
Da questo amore, alle cui sorgenti s'identificano, nella linea del fare e nella linea
dell'agire, arte e vita morale, nasce la nuova poesia di Dante ("Donne ch'avete intelletto
d'amore"): le sue "nuove rime", prima fioritura lirica della sua anima in uno stato di
grazia ingenua e di felicità espressiva; e sua prima vocazione etica in un mondo di
perfezione ideale, che sta al di là di tutto il creato. Il pensiero di un richiamo di Beatrice
alla sua patria celeste tra gli angeli e le anime beate, a cui nulla manca se non aver lei,
informa in queste rime il sentimento di estatica contemplazione che le pervade,
convertendosi però, immediatamente, nella fede in un ordine provvidenziale, di cui la
Vita Nova 18
stessa Beatrice è chiara manifestazione per l'azione benefica che la sua presenza esercita
su ogni cuore ("Negli occhi porta la mia Donna Amore").
Or ecco, il padre di Beatrice muore. Poco dopo Dante si ammala gravemente e nel
sentimento della fragilità della vita e del suo breve durare il pensiero di un ritorno di
Beatrice al cielo riaffiora dalle pieghe dell'anima e si fa presentimento e sogno
angoscioso e sospiro e pianto ("Donna pietosa e di novella etade"). Tuttavia, col ritorno
alla vita, Dante ritorna alla vita della sua anima; la quale si racconta nelle parole liete e
nelle mirabili divinazioni di quell'amore che la ispira, e che per sovrabbondanza interiore
affluisce tutto verso Beatrice, divenuta così per lui come un altro se stesso ("Io mi sentii
svegliar dentro lo core"). Lo stile della lode viene ripreso ("Tanto gentile e tanto onesta
pare", "Vede perfettamente onne salute"), commosso sospiro di un'anima che si sente
umiliata e quasi smarrita dinanzi alla bellezza che si irradia da Beatrice, e che la irradia
come luce di purezza originaria e di grazia candida e gentile. E già Dante vorrebbe
illustrare la nuova fioritura della sua anima sotto l'influsso di quella luce, quando Beatrice
muore. Scomparsa la "stella rectrix" della sua vita più intima, là dove essa agiva come
spirito creatore, Dante sente che l'orizzonte gli si oscura e il mondo perde del suo valore.
Pausa di raccoglimento e di meditazione: dolore che si ripiega sui ricordi e li interpreta
nel loro significato profondo: Beatrice era lo splendore di un "miracolo", un effetto
mirabile della prima Causa; era un "nove", un prodotto del tre, la Trinità; e quindi un
riflesso delle perfezioni divine ossia un bene analogo ("per similitudine, dico") al Bene
supremo.
Nuova vena di poesia, che fluisce tenera e affettuosa, placata e illuminata dalla
fede: Beatrice è volata al cielo "nel reame ove li angeli hanno pace". Il ricordo di lei
permane nell'animo di Dante, né il tempo lo disacerba; anzi lo rincrudisce e lo fa palese
sul suo volto e nei suoi atteggiamenti. Una "gentile donna giovane e bella molto", pallida
in viso come Beatrice, lo guarda con tale compassione che lo porta involontariamente al
pianto. Dapprima egli ne fugge lontano, ma poi torna a vederla, perché, rinnovandosi alla
sua vista il ricordo di Beatrice, ne ha come un aiuto a sfogare il suo dolore. Ma quando
per il troppo compiacersi di vedere questa "donna gentile", Dante si accorge di straniarsi
dal suo dolore, alla ragione del cuore, che si compiace di ciò che lo consola, contrappone
la ragione dell'anima che si rattrista di ciò che effettivamente le manca: lo splendore di
Vita Nova 19
quella bellezza analogica e trascendentale che rifulgeva in Beatrice come perfezione di
essere e assolutezza di vita, verso la quale la sua anima tendeva per amore, con un'attività
identica a quella con cui dall'interno le si donava tutta.
La ragione poetica della sua "vita nuova" Dante la coglie qui, al vertice di
un'esperienza che nella sua singolare vicenda d'amore gli dà ragione di se stesso e delle
sue tendenze fondamentali e delle sue esigenze profonde. E allora dentro la serie dei
ricordi che gli si riaffacciano alla memoria come un sogno armoniosamente vissuto,
perché illuminato dall'arte e dalla poesia, Dante rivede in visione la sua Beatrice. Ancor
di più sua, dopo la vergogna e il pentimento di aver cercato conforto fuori di lei; e perciò
pianta e rimpianta di nuovo e più amaramente, sentendo che la perdita è una sventura sua,
anzi la sventura della sua stessa città ("Deh, peregrini che pensosi andate").
Ma dalla sofferenza e attraverso la sofferenza Dante, per virtù d'amore, s'innalza
col pensiero fino all'Empireo, dove, in seggio di gloria, vede Beatrice beata: luce
intelligibile, che sfolgorando in se stessa, gli si rivela in qualche modo allo spirito pur
non essendo afferrata concettualmente ("Oltre la spera che più larga gira"). Una nuova
mirabile visione riconferma Dante nelle certezze interiori della sua anima: e allora si
propone di non parlare più della sua celeste creatura fino a quando potrà trattarne
degnamente, sperando "di dicer di lei quello che mai fue detto d'alcuna": lontano
preannunzio della Divina Commedia, che sarà lo scopo e il termine di tutta la sua vita.
Esperienza intima e reale è dunque quella che Dante invera nella sua "vita nuova", e che
egli fa conoscere distinguendo, su fondamento metafisico, due cose: il principio attivo
("Amore" o "forma"), che opera in lui indipendentemente dalla sua volontà, ma a cui la
sua volontà si sottomette ("si disposa"); e il soggetto che ne è il portatore, cioè Dante
stesso: un "cuor gentile" che mette in luce progressivamente la bontà generosa di cui è
capace: "materia" sempre "nuova e più nobile", che si attua nella virtù d'amore, "forma"
che l'attua ("Amore e cor gentil sono una cosa"). Questa distinzione scolastica, che ci dà
ragione dello schema psicologico-narrativo della Vita Nuova e del suo valore di
confessione intima, è realizzata fantasticamente nei colloqui che Dante ha con l'Amore,
un personaggio misterioso che gli si presenta in visione talora, ma che sempre lo
consiglia e lo sprona e lo dirige. Alle profonde sollecitazioni dell'Amore che lo ispira,
Dante risponde sempre con giovanile entusiasmo, donandosi senza restrizione alla
Vita Nova 20
bellezza sovrumana, che risplende in Beatrice. Ottimismo fondamentale, che dà il tono
della vita che Dante vive, mentre realizza dentro di sé un ordine spirituale presentito
oscuramente, ma iscritto nella sostanza della sua anima. A questo ottimismo
fondamentale Dante aderirà più tardi nella Divina Commedia, sulla cima del Purgatorio,
donandosi di nuovo con abbandono fidente alla bellezza dell'essere, che nella sua
universalità gli si irradia attorno, dentro la "divina foresta fresca e viva". Giovinezza
spirituale, che rinnova come "ordo amoris" lo stato di grazia ingenua e nativa che
informa le "nuove rime"; ma giovinezza ritrovata al termine di un lungo periplo di
esperienze, e perciò riconquistata e riconosciuta come il paradiso perduto della coscienza
umana.
Nella Vita Nuova tutto va ricondotto all'intimità, cioè alla vita di un'anima che
considera le cose esclusivamente in relazione a se stessa, quasi inviscerate nella sua più
pura soggettività, esprimendosi in un linguaggio affettivo, necessariamente ricco di
iperboli e screziato di note psicologiche a titolo di esattezza. Queste note si stringono ai
modi concreti di attività che Dante dispiega in rapporto ai fini attualmente posseduti dalla
sua persona incomunicabile. La realtà esterna si presenta perciò vaga ed evanescente
come in un sogno. Designati per perifrasi, luoghi, persone e cose si appartano in una
lontananza fuori tempo e approfondiscono la solitudine spirituale in cui Dante si chiude,
per ascoltare le voci del cuore e salire, con animo sospeso e stupito, nella sfera
immateriale di quella bellezza singolare che lo rapisce. In questa atmosfera d'incanto
sboccia e fiorisce, fuori dagli schemi della lirica toscana tradizionale, la fragile e delicata
poesia dello "stil novo" di Dante - quella che per virtù di Beatrice lo fece uscire dalla
"volgare schiera" -: nota del puro sentimento, che si coglie di là dalla intransigente
concretezza della parola, mentre si contempla in immagini di bellezza spirituale, dove
trepida il ritmo segreto e profondo di un'anima innamorata che canta.
“...incominciò come tutti i rimatori dell'età sua prendendo l'ispirazione e il motivo
dalla poesia d'amore cavalleresca. Se non che e la tempra dell'anima e le condizioni degli
affetti suoi e le circostanze dei tempi diedero alla sua lirica qualche cosa d'estatico e di
solenne, un afflato mistico insomma; sotto il quale la materia prima di quella poesia, che
era la trattazione cavalleresca dell'amore, venne del tutto rimutata e assunse nuova
forma.” (Carducci).
Vita Nova 21
“Una situazione nuova nella storia della nostra poesia: l'amore appena nato, simile ancora
ai primi fuggevoli sogni della giovinezza, che acquista la sua realtà presso alla tomba ed
oltre alla tomba.” (De Sanctis).
“La Vita Nuova quale Dante ce la tramandò, è il romanzo d'amore mistico.” (Cesareo).
“La Vita Nuova, piuttosto che impressioni di sogno, suscita sovente quelle dell'artificioso
e perfino del pedantesco, il quale si vede poi aperto in molte delle spiegazioni in prosa
con cui si cerca di convertire in raccontini il contenuto dei vari componimenti poetici, e
nelle grammaticali divisioni e analisi di questi.” (B. Croce).
“Il tono estatico della Vita Nuova, quella luce d'oro chiaro che sembra avvolger le parole,
che narrano dell'"angiola giovanissima"; quel senso di unzione che lo ha fatto
assomigliare a un libretto di devozione e di liturgia, innalzano i casi privati del poeta ad
una specie di beata allucinazione: e di continuo si ondeggia tra il vero e il simbolo.” (F.
Flora)
“DONNA PIETOSA E DI NOVELLA ETATE”
E’ una canzone, forse la più bella della Vita Nuova, in cui se ne rivive, con più
attento sguardo ai movimenti psicologici che lo informano, il motivo poetico
fondamentale: l'ascoso timore di perdere la creatura amata, la cui bellezza spirituale dà
luce all'intelligenza e gioia al cuore. La canzone si contiene nel quadro di una narrazione
a tocchi labili e sfumati, liricamente animata dal fervore di una commozione intima e
profonda, che crea con rapidi trapassi le proprie visioni drammatiche e angosciose.
Gravemente infermo, Dante invoca la morte piangendo.
La giovane donna che l'assiste amorosamente scoppia in singulti. Altre donne
accorrono, allontanano la piangente, s'appressano al letto di Dante, lo richiamano in sé e
lo rincorano, credendolo in delirio. Dal pensiero che l'angosciava Dante si stacca,
pronunziando il nome di Beatrice: ma con voce così rotta dal pianto che poté udirlo
soltanto il suo cuore. Benché gli si dipinga in volto la vergogna, egli si rivolge
amabilmente alle donne che gli sono attorno e che in quel suo pallore temono la morte.
Con dolcezza lo confortano e gli domandano di che ha avuto paura nel delirio.
Così Dante fissa e artisticamente rappresenta l'atmosfera trepidante di generosa
bontà, entro la quale egli si riprende e si racconta. Mentre pensava alla sua fragile vita e
Vita Nova 22
al suo rapido trapassare, egli sentì come propria la vita della sua donna, destinata pur lei a
perire. E si vide perduto. E chiuse gli occhi delirando. Alla sua fantasia apparvero visi di
donne addolorate, che gli dicevano: "tu morirai". E nel suo vano immaginare si ritrovò in
un luogo dove altre donne, scapigliate e affrante, alzavano grida: il sole si velava,
apparivano le stelle ed era un pianto del cielo: precipitavano gli uccelli dall'alto; la terra
tremava; e uno gli dava l'annunzio fatale: "Morta è la donna tua, ch'era sì bella". Alzando
gli occhi in lagrime, egli corse allora un candore di angeli volanti, che cantavano
"osanna" dietro una nuvoletta e risalivano su nel cielo.
Sospinto dall'amore si portò quindi a vedere la salma della sua donna, collocata
sulla bara, mentre la ricoprivano di un velo. In umile e rassegnato atteggiamento ella
sembrava dire: "io sono in pace". E allora, nel suo dolore Dante s'era sentito
cristianamente buono ("umile"). Vista nella sua donna, la cui anima in istato di grazia era
salita al cielo, la morte gli parve dolce e la riconobbe pietosa; e la invocò di tutto cuore.
Anche per sé pregò la grazia della buona morte. Poi se n’era allontanato e, guardando il
cielo, riconobbe beati coloro che vedevano l'anima bella della sua donna. In quel
momento l'avevano riscosso le donne e richiamato in sé con affettuosa gentilezza.
Nella sua trama narrativa la canzone è un sottile ricamo di sentimenti delicati, che
sorgono dal profondo: vita di un'anima, che intimamente trepida vigilando e che si coglie
stilisticamente nella parola fragile e appassionata, sempre suggestiva. Nella commossa
invocazione alla grazia della buona morte, il motivo poetico della morte di Beatrice,
come la morte temuta e deprecata, si fa motivo di esaltazione della donna amata, di là
dalla morte, nel regno della gloria.
“DONNE CH'AVETE INTELLETTO D'AMORE”
E’ una canzone della cui composizione egli dichiara, nella sua Vita Nuova
(XVIII-XIX), la causa occasionale nonché l'improvviso erompere del motivo poetico dal
quale essa è germinata. E’ l'esaltazione, in Beatrice, di quella bellezza spirituale nella
quale riluce l'effetto della prima causa: Dio, che è la bontà, la bellezza e l'Amore. Tre
attributi divini, che analogicamente risplendono in Beatrice e ne dicono il merito e la
gloria: perfezione somma, che non può non essere amata, perché ogni anima vi tende in
virtù della sua stessa natura (Divina Commedia).
Vita Nova 23
Dante si rivolge alle donne che sanno cosa sia l'amore e parlerà loro di Beatrice,
non per esaurirne le lodi, ma per dar sfogo alla sua anima. Solo pensando a ciò che ella è
in se stessa ("il suo valore") egli esperimenta nel cuore una dolcezza tale che se potesse
comunicarla farebbe innamorare tutti. Non tenterà un compito così alto, per timore di
doversene ritrarre: ma, in modo semplice e piano, come si conviene alle gentili
ascoltatrici, egli parlerà dell'amore quale lo sente e lo conosce in vivente relazione alla
sua donna.
Gli angeli si meravigliano in Dio del mistero operante di un'anima, la cui bellezza
risplende fino lassù; e i beati, che ne sentono la mancanza in cielo, chiedono a Dio, per
grazia, la presenza di lei tra loro. Dio misericordioso prende la parte di chi si trova in
terra e, alludendo a Beatrice, si compiace di lasciarla quaggiù, dove Dante ("alcun") teme
di perderla e che dirà, a quanti vivono disperati e senza il lume della grazia
("nell'inferno"), d'aver visto la creatura perfetta, che è la speranza dei beati.
E tale perfezione Dante la dice subito, dichiarando ciò di cui è causa la bellezza di
Beatrice. Quand'ella passa per via, coloro che vivono nei sensi ("cor villani") si
riscuotono: ogni loro torbido pensiero svanisce e, se potessero soffermarsi a guardarla, si
perfezionerebbero o morirebbero; coloro che godono della bellezza e ne riconoscono, in
Beatrice, il potere dispotico, si sentono umili e buoni. Chiunque le parla ama in lei la
bontà e vuole il bene e si salva. L'amore che parla in Dante si chiede come tanta purezza
e tanti pregi possano esistere in una creatura mortale; e, contemplandola, riconosce in lei
un effetto mirabile di Dio creatore. La sua figura femminile è quanto di bene può fare la
natura; e su di lei, come esempio, si misura la bellezza delle cose.
Negli occhi suoi risplende la luce di un'anima, che gioisce in virtù della propria
perfezione, e che si fa presente come amore a chi la mira, infondendo nel cuore la gioia.
Sulle sue labbra, che s'aprono al saluto, fiorisce un tale amore. Il poeta congeda quindi la
sua canzone, figlia della sua anima innamorata, e ornata delle lodi di Beatrice. Essa
parlerà soltanto a persone gentili, che potranno condurla alla presenza di quell'amore, che
in Beatrice parla e per lei si rivela. Per il suo contenuto questa composizione lirica si
rannoda all'esperienza amorosa del Guinizelli, che la teorizza nella canzone “Al cor
gentil rempaira sempre amore”. Essa segna in Dante l'inizio delle "nuove rime": il suo
"dolce stilnovo" (Purg., XXIV, 48-62): espressione di quel diritto amore, che tendendo
Vita Nova 24
alla bellezza delle cose come bellezza divina partecipata, tende a ciò che diletta
l'intelligenza e dà gioia al cuore; una gioia che internamente ferve e trabocca per amore
della cosa così contemplata. Liricamente, e con intima commozione, la canzone si svolge
su una linea di movimento semplice e discorsivo, sapientemente graduato nel tono e
nell'accento; e accompagnato dal sentimento cristiano che la bellezza della creatura è
provvidenziale: un divino appello a uscire di noi stessi, per una vita spirituale che sia di
bontà, di bellezza e d'amore.
Vita Nova 25

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CAPITOLO 3 - LA VITA NUOVA

  • 1. CAPITOLO 3 - LA VITA NUOVA La Vita Nuova, operetta composta "all'entrata della gioventù", probabilmente fra il 1292 e il 1293, fu stampata la prima volta a Firenze nel 1576. E’ una raccolta di rime che Dante trascelse dalla sua produzione anteriore e che collegò nel filo di una narrazione in prosa; la quale di ciascuna illustra il motivo generatore ("ragione") e chiarisce per "divisioni" l'organismo di pensiero che vi si articola dentro, risolvendosi in sintesi rappresentativa. E’ la storia della vita intima di Dante, quale si riaffaccia al suo spirito nella trama sentimentale e affettiva dei ricordi di cui essa è intessuta ("libro della memoria") e che egli rivive in diretta relazione a Beatrice, la donna amata ed esaltata, perduta e rimpianta, ma "beata in cielo con gli angeli" e "viva in terra con la sua anima". A nove anni Dante s'incontra con Beatrice, quasi sua coetanea; e subito la bellezza di lei, nello splendore della sua dispotica spiritualità ("Ecce deus fortior me"), si fa presente all'anima di Dante che se ne diletta ("Apparuit iam beatitudo vestra") e la esalta: un bene che muove il desiderio e suscita l'amore, come passione a cui le stesse operazioni del corpo dovranno essere sacrificate. S'inizia così una "vita nuova", nella quale l'amore, tendendo a ciò che diletta l'intelligenza nella sua facoltà di conoscere ("amore razionale"), si fa causa in Dante delle attrattive che egli stesso subisce, ossia della efficacia che la bellezza di Beatrice esercita su di lui con la realtà della sua presenza e della sua azione. A diciotto anni Dante rivede Beatrice e ne riceve il primo saluto: luce di un'anima buona che lo inebria, e che lo porta a conoscere, nel lampo di uno sguardo, la bellezza che lo fa beato. E tosto in un'atmosfera di visione e di sogno - vita di un'anima che si contempla nello specchio delle proprie immagini - l'Amore gli appare e si conferma suo signore ("Ego dominus tuus") e gli strappa il cuore e lo dà a Beatrice che dorme tra le sue braccia e poi se ne parte piangendo. Sogno di ogni adolescente, che alla prima rivelazione della bellezza nella sua esistenza singolare e concreta offre tutto se stesso alla creatura che gliela fa conoscere, come splendore di vita e perfezione che non è di quaggiù. Vita Nova 16
  • 2. Presagio oscuro del sentimento che ama, e che già teme di perdere quello che ama. Motivo poetico, che nelle forme della lirica tradizionale segna il primo inizio dell'arte di Dante, ma che lì non si esaurisce, perché permea dal profondo tutta la Vita Nuova e ne colora la vicenda d'amore entro una penombra di aspettazione e di mistero. Ormai raccolto nel solo pensiero di Beatrice, Dante si pone al centro della sua gioia e la cinge di silenzio e la vela di un sorriso, col quale risponde a coloro che gli leggono in volto lo struggimento interiore. Segreto geloso e fiore spirituale della sua anima innamorata, che egli sente di dover sottrarre a ogni indiscreta curiosità, fingendosi innamorato di un'altra donna, per la quale scrive "certe cosette per rima" con quel fragile e trasognato abbandono al sentimento, che è pura musica, ritmo interiore e canto. Quando poi questa donna si allontana da Firenze ed egli ne resta sgomento, di nuovo, per ispirazione d'amore, s'affretta a celare l'intima verità della vita che vive con lo "schermo" di una seconda donna; ma la canta con tale fervore di desiderio, che ne resta intorbidata l'onda di commozione che gli fluiva dall'interno e se ne oscura l'idea di bellezza che lo rapiva in Beatrice. Or ecco che di tale passione molta gente prende "a ragionare oltre li termini della cortesia"; e per quelle voci che procuravano a Dante la taccia di vizioso, Beatrice gli toglie il saluto: quel saluto che gli era fonte di beatitudine e di traboccante pienezza interiore. "Quando ella apparia da parte alcuna, - egli scrive -, per la speranza de la mirabile salute (saluto) nullo nemico mi rimanea, anzi mi giugnea una fiamma di caritade, la quale mi facea perdonare a chiunque m'avesse offeso; e chi allora m'avesse domandato di cosa alcuna, la mia responsione sarebbe stata solamente "Amore", con viso vestito d'umiltade". Sovrabbondanza affettiva, che Dante conosce come vita della sua anima e legame che lo stringe nel mondo degli spiriti a tutti gli uomini; ma sovrabbondanza che è fuori dall'ordine dell'amore; il quale, raccolto sul proprio centro, si esalta in ciò che dilettando l'intelligenza fa fronte alla volontà come un bene a cui tende e che fa la gioia dell'anima. ("Ego tamquam centrum circuli cui simili modo se habent circumferentiae partes", gli dichiara in visione l'Amore, "tu autem non sic"). La volontà di Dante, non rettificata fondamentalmente nella linea di quella bellezza che rifulgeva in Beatrice, s'è abbandonata all'onda oscura del sentimento e della passione. Vita Nova 17
  • 3. Sempre per ispirazione di quell'Amore che lo sprona e lo guida e lo finalizza, Dante s'accorge che nelle sue rime per la seconda donna dello "schermo" ha fallito artisticamente il suo scopo. E allora lascia i finti amori, per rivolgersi direttamente a Beatrice e dichiararle la nobiltà della passione che nutre e ha sempre nutrito per lei fin "da la sua puerizia". Ma Beatrice è donna che non recede facilmente dal suo proposito; né altro Dante può ormai sperare da lei, sebbene a malincuore, che un pietoso compatimento per ciò che egli vive e soffre, patisce e conosce nei suoi termini intimamente contraddittori. Durante una festa nuziale Beatrice, insieme con le sue amiche, sorride del turbamento che Dante prova dinanzi a lei; e così si nega alla comprensione di quell'amore che in Dante si fa dominatore di ogni altra attività, trasformandolo in puro soggetto di assorta contemplazione. E’ un morire a se stesso, per compiacersi della bellezza che in Beatrice lo esalta e lo trae fuori di sé: oscura perfezione d'amore, vissuta angosciosamente e tale che dovrebbe suscitare in altri la pietà; e tuttavia desiderata e accettata con gioia da Dante, perché la vive dentro la luce di un pensiero che solo parla di Beatrice. In vivente relazione a lei Dante ha finora obbedito, con abbandono fidente e felice, alle sollecitazioni dell'Amore che scaturivano dalle pieghe più riposte della sua anima; ma il saluto di Beatrice, che era il fine ultimo di tutti i suoi desideri, gli è negato per sempre. Né altro ormai Dante crede di poter dire di se stesso, quando, all'improvviso, l'Amore che lo ispira gli si rivela, per sua grazia, nella parola poetica in lode di Beatrice; è perciò un amore che nulla chiede e nulla spera, perché già si possiede tutto, come bontà generosa che esaltando si esalta, mentre liberamente si dona alla bellezza spirituale a cui tende. Da questo amore, alle cui sorgenti s'identificano, nella linea del fare e nella linea dell'agire, arte e vita morale, nasce la nuova poesia di Dante ("Donne ch'avete intelletto d'amore"): le sue "nuove rime", prima fioritura lirica della sua anima in uno stato di grazia ingenua e di felicità espressiva; e sua prima vocazione etica in un mondo di perfezione ideale, che sta al di là di tutto il creato. Il pensiero di un richiamo di Beatrice alla sua patria celeste tra gli angeli e le anime beate, a cui nulla manca se non aver lei, informa in queste rime il sentimento di estatica contemplazione che le pervade, convertendosi però, immediatamente, nella fede in un ordine provvidenziale, di cui la Vita Nova 18
  • 4. stessa Beatrice è chiara manifestazione per l'azione benefica che la sua presenza esercita su ogni cuore ("Negli occhi porta la mia Donna Amore"). Or ecco, il padre di Beatrice muore. Poco dopo Dante si ammala gravemente e nel sentimento della fragilità della vita e del suo breve durare il pensiero di un ritorno di Beatrice al cielo riaffiora dalle pieghe dell'anima e si fa presentimento e sogno angoscioso e sospiro e pianto ("Donna pietosa e di novella etade"). Tuttavia, col ritorno alla vita, Dante ritorna alla vita della sua anima; la quale si racconta nelle parole liete e nelle mirabili divinazioni di quell'amore che la ispira, e che per sovrabbondanza interiore affluisce tutto verso Beatrice, divenuta così per lui come un altro se stesso ("Io mi sentii svegliar dentro lo core"). Lo stile della lode viene ripreso ("Tanto gentile e tanto onesta pare", "Vede perfettamente onne salute"), commosso sospiro di un'anima che si sente umiliata e quasi smarrita dinanzi alla bellezza che si irradia da Beatrice, e che la irradia come luce di purezza originaria e di grazia candida e gentile. E già Dante vorrebbe illustrare la nuova fioritura della sua anima sotto l'influsso di quella luce, quando Beatrice muore. Scomparsa la "stella rectrix" della sua vita più intima, là dove essa agiva come spirito creatore, Dante sente che l'orizzonte gli si oscura e il mondo perde del suo valore. Pausa di raccoglimento e di meditazione: dolore che si ripiega sui ricordi e li interpreta nel loro significato profondo: Beatrice era lo splendore di un "miracolo", un effetto mirabile della prima Causa; era un "nove", un prodotto del tre, la Trinità; e quindi un riflesso delle perfezioni divine ossia un bene analogo ("per similitudine, dico") al Bene supremo. Nuova vena di poesia, che fluisce tenera e affettuosa, placata e illuminata dalla fede: Beatrice è volata al cielo "nel reame ove li angeli hanno pace". Il ricordo di lei permane nell'animo di Dante, né il tempo lo disacerba; anzi lo rincrudisce e lo fa palese sul suo volto e nei suoi atteggiamenti. Una "gentile donna giovane e bella molto", pallida in viso come Beatrice, lo guarda con tale compassione che lo porta involontariamente al pianto. Dapprima egli ne fugge lontano, ma poi torna a vederla, perché, rinnovandosi alla sua vista il ricordo di Beatrice, ne ha come un aiuto a sfogare il suo dolore. Ma quando per il troppo compiacersi di vedere questa "donna gentile", Dante si accorge di straniarsi dal suo dolore, alla ragione del cuore, che si compiace di ciò che lo consola, contrappone la ragione dell'anima che si rattrista di ciò che effettivamente le manca: lo splendore di Vita Nova 19
  • 5. quella bellezza analogica e trascendentale che rifulgeva in Beatrice come perfezione di essere e assolutezza di vita, verso la quale la sua anima tendeva per amore, con un'attività identica a quella con cui dall'interno le si donava tutta. La ragione poetica della sua "vita nuova" Dante la coglie qui, al vertice di un'esperienza che nella sua singolare vicenda d'amore gli dà ragione di se stesso e delle sue tendenze fondamentali e delle sue esigenze profonde. E allora dentro la serie dei ricordi che gli si riaffacciano alla memoria come un sogno armoniosamente vissuto, perché illuminato dall'arte e dalla poesia, Dante rivede in visione la sua Beatrice. Ancor di più sua, dopo la vergogna e il pentimento di aver cercato conforto fuori di lei; e perciò pianta e rimpianta di nuovo e più amaramente, sentendo che la perdita è una sventura sua, anzi la sventura della sua stessa città ("Deh, peregrini che pensosi andate"). Ma dalla sofferenza e attraverso la sofferenza Dante, per virtù d'amore, s'innalza col pensiero fino all'Empireo, dove, in seggio di gloria, vede Beatrice beata: luce intelligibile, che sfolgorando in se stessa, gli si rivela in qualche modo allo spirito pur non essendo afferrata concettualmente ("Oltre la spera che più larga gira"). Una nuova mirabile visione riconferma Dante nelle certezze interiori della sua anima: e allora si propone di non parlare più della sua celeste creatura fino a quando potrà trattarne degnamente, sperando "di dicer di lei quello che mai fue detto d'alcuna": lontano preannunzio della Divina Commedia, che sarà lo scopo e il termine di tutta la sua vita. Esperienza intima e reale è dunque quella che Dante invera nella sua "vita nuova", e che egli fa conoscere distinguendo, su fondamento metafisico, due cose: il principio attivo ("Amore" o "forma"), che opera in lui indipendentemente dalla sua volontà, ma a cui la sua volontà si sottomette ("si disposa"); e il soggetto che ne è il portatore, cioè Dante stesso: un "cuor gentile" che mette in luce progressivamente la bontà generosa di cui è capace: "materia" sempre "nuova e più nobile", che si attua nella virtù d'amore, "forma" che l'attua ("Amore e cor gentil sono una cosa"). Questa distinzione scolastica, che ci dà ragione dello schema psicologico-narrativo della Vita Nuova e del suo valore di confessione intima, è realizzata fantasticamente nei colloqui che Dante ha con l'Amore, un personaggio misterioso che gli si presenta in visione talora, ma che sempre lo consiglia e lo sprona e lo dirige. Alle profonde sollecitazioni dell'Amore che lo ispira, Dante risponde sempre con giovanile entusiasmo, donandosi senza restrizione alla Vita Nova 20
  • 6. bellezza sovrumana, che risplende in Beatrice. Ottimismo fondamentale, che dà il tono della vita che Dante vive, mentre realizza dentro di sé un ordine spirituale presentito oscuramente, ma iscritto nella sostanza della sua anima. A questo ottimismo fondamentale Dante aderirà più tardi nella Divina Commedia, sulla cima del Purgatorio, donandosi di nuovo con abbandono fidente alla bellezza dell'essere, che nella sua universalità gli si irradia attorno, dentro la "divina foresta fresca e viva". Giovinezza spirituale, che rinnova come "ordo amoris" lo stato di grazia ingenua e nativa che informa le "nuove rime"; ma giovinezza ritrovata al termine di un lungo periplo di esperienze, e perciò riconquistata e riconosciuta come il paradiso perduto della coscienza umana. Nella Vita Nuova tutto va ricondotto all'intimità, cioè alla vita di un'anima che considera le cose esclusivamente in relazione a se stessa, quasi inviscerate nella sua più pura soggettività, esprimendosi in un linguaggio affettivo, necessariamente ricco di iperboli e screziato di note psicologiche a titolo di esattezza. Queste note si stringono ai modi concreti di attività che Dante dispiega in rapporto ai fini attualmente posseduti dalla sua persona incomunicabile. La realtà esterna si presenta perciò vaga ed evanescente come in un sogno. Designati per perifrasi, luoghi, persone e cose si appartano in una lontananza fuori tempo e approfondiscono la solitudine spirituale in cui Dante si chiude, per ascoltare le voci del cuore e salire, con animo sospeso e stupito, nella sfera immateriale di quella bellezza singolare che lo rapisce. In questa atmosfera d'incanto sboccia e fiorisce, fuori dagli schemi della lirica toscana tradizionale, la fragile e delicata poesia dello "stil novo" di Dante - quella che per virtù di Beatrice lo fece uscire dalla "volgare schiera" -: nota del puro sentimento, che si coglie di là dalla intransigente concretezza della parola, mentre si contempla in immagini di bellezza spirituale, dove trepida il ritmo segreto e profondo di un'anima innamorata che canta. “...incominciò come tutti i rimatori dell'età sua prendendo l'ispirazione e il motivo dalla poesia d'amore cavalleresca. Se non che e la tempra dell'anima e le condizioni degli affetti suoi e le circostanze dei tempi diedero alla sua lirica qualche cosa d'estatico e di solenne, un afflato mistico insomma; sotto il quale la materia prima di quella poesia, che era la trattazione cavalleresca dell'amore, venne del tutto rimutata e assunse nuova forma.” (Carducci). Vita Nova 21
  • 7. “Una situazione nuova nella storia della nostra poesia: l'amore appena nato, simile ancora ai primi fuggevoli sogni della giovinezza, che acquista la sua realtà presso alla tomba ed oltre alla tomba.” (De Sanctis). “La Vita Nuova quale Dante ce la tramandò, è il romanzo d'amore mistico.” (Cesareo). “La Vita Nuova, piuttosto che impressioni di sogno, suscita sovente quelle dell'artificioso e perfino del pedantesco, il quale si vede poi aperto in molte delle spiegazioni in prosa con cui si cerca di convertire in raccontini il contenuto dei vari componimenti poetici, e nelle grammaticali divisioni e analisi di questi.” (B. Croce). “Il tono estatico della Vita Nuova, quella luce d'oro chiaro che sembra avvolger le parole, che narrano dell'"angiola giovanissima"; quel senso di unzione che lo ha fatto assomigliare a un libretto di devozione e di liturgia, innalzano i casi privati del poeta ad una specie di beata allucinazione: e di continuo si ondeggia tra il vero e il simbolo.” (F. Flora) “DONNA PIETOSA E DI NOVELLA ETATE” E’ una canzone, forse la più bella della Vita Nuova, in cui se ne rivive, con più attento sguardo ai movimenti psicologici che lo informano, il motivo poetico fondamentale: l'ascoso timore di perdere la creatura amata, la cui bellezza spirituale dà luce all'intelligenza e gioia al cuore. La canzone si contiene nel quadro di una narrazione a tocchi labili e sfumati, liricamente animata dal fervore di una commozione intima e profonda, che crea con rapidi trapassi le proprie visioni drammatiche e angosciose. Gravemente infermo, Dante invoca la morte piangendo. La giovane donna che l'assiste amorosamente scoppia in singulti. Altre donne accorrono, allontanano la piangente, s'appressano al letto di Dante, lo richiamano in sé e lo rincorano, credendolo in delirio. Dal pensiero che l'angosciava Dante si stacca, pronunziando il nome di Beatrice: ma con voce così rotta dal pianto che poté udirlo soltanto il suo cuore. Benché gli si dipinga in volto la vergogna, egli si rivolge amabilmente alle donne che gli sono attorno e che in quel suo pallore temono la morte. Con dolcezza lo confortano e gli domandano di che ha avuto paura nel delirio. Così Dante fissa e artisticamente rappresenta l'atmosfera trepidante di generosa bontà, entro la quale egli si riprende e si racconta. Mentre pensava alla sua fragile vita e Vita Nova 22
  • 8. al suo rapido trapassare, egli sentì come propria la vita della sua donna, destinata pur lei a perire. E si vide perduto. E chiuse gli occhi delirando. Alla sua fantasia apparvero visi di donne addolorate, che gli dicevano: "tu morirai". E nel suo vano immaginare si ritrovò in un luogo dove altre donne, scapigliate e affrante, alzavano grida: il sole si velava, apparivano le stelle ed era un pianto del cielo: precipitavano gli uccelli dall'alto; la terra tremava; e uno gli dava l'annunzio fatale: "Morta è la donna tua, ch'era sì bella". Alzando gli occhi in lagrime, egli corse allora un candore di angeli volanti, che cantavano "osanna" dietro una nuvoletta e risalivano su nel cielo. Sospinto dall'amore si portò quindi a vedere la salma della sua donna, collocata sulla bara, mentre la ricoprivano di un velo. In umile e rassegnato atteggiamento ella sembrava dire: "io sono in pace". E allora, nel suo dolore Dante s'era sentito cristianamente buono ("umile"). Vista nella sua donna, la cui anima in istato di grazia era salita al cielo, la morte gli parve dolce e la riconobbe pietosa; e la invocò di tutto cuore. Anche per sé pregò la grazia della buona morte. Poi se n’era allontanato e, guardando il cielo, riconobbe beati coloro che vedevano l'anima bella della sua donna. In quel momento l'avevano riscosso le donne e richiamato in sé con affettuosa gentilezza. Nella sua trama narrativa la canzone è un sottile ricamo di sentimenti delicati, che sorgono dal profondo: vita di un'anima, che intimamente trepida vigilando e che si coglie stilisticamente nella parola fragile e appassionata, sempre suggestiva. Nella commossa invocazione alla grazia della buona morte, il motivo poetico della morte di Beatrice, come la morte temuta e deprecata, si fa motivo di esaltazione della donna amata, di là dalla morte, nel regno della gloria. “DONNE CH'AVETE INTELLETTO D'AMORE” E’ una canzone della cui composizione egli dichiara, nella sua Vita Nuova (XVIII-XIX), la causa occasionale nonché l'improvviso erompere del motivo poetico dal quale essa è germinata. E’ l'esaltazione, in Beatrice, di quella bellezza spirituale nella quale riluce l'effetto della prima causa: Dio, che è la bontà, la bellezza e l'Amore. Tre attributi divini, che analogicamente risplendono in Beatrice e ne dicono il merito e la gloria: perfezione somma, che non può non essere amata, perché ogni anima vi tende in virtù della sua stessa natura (Divina Commedia). Vita Nova 23
  • 9. Dante si rivolge alle donne che sanno cosa sia l'amore e parlerà loro di Beatrice, non per esaurirne le lodi, ma per dar sfogo alla sua anima. Solo pensando a ciò che ella è in se stessa ("il suo valore") egli esperimenta nel cuore una dolcezza tale che se potesse comunicarla farebbe innamorare tutti. Non tenterà un compito così alto, per timore di doversene ritrarre: ma, in modo semplice e piano, come si conviene alle gentili ascoltatrici, egli parlerà dell'amore quale lo sente e lo conosce in vivente relazione alla sua donna. Gli angeli si meravigliano in Dio del mistero operante di un'anima, la cui bellezza risplende fino lassù; e i beati, che ne sentono la mancanza in cielo, chiedono a Dio, per grazia, la presenza di lei tra loro. Dio misericordioso prende la parte di chi si trova in terra e, alludendo a Beatrice, si compiace di lasciarla quaggiù, dove Dante ("alcun") teme di perderla e che dirà, a quanti vivono disperati e senza il lume della grazia ("nell'inferno"), d'aver visto la creatura perfetta, che è la speranza dei beati. E tale perfezione Dante la dice subito, dichiarando ciò di cui è causa la bellezza di Beatrice. Quand'ella passa per via, coloro che vivono nei sensi ("cor villani") si riscuotono: ogni loro torbido pensiero svanisce e, se potessero soffermarsi a guardarla, si perfezionerebbero o morirebbero; coloro che godono della bellezza e ne riconoscono, in Beatrice, il potere dispotico, si sentono umili e buoni. Chiunque le parla ama in lei la bontà e vuole il bene e si salva. L'amore che parla in Dante si chiede come tanta purezza e tanti pregi possano esistere in una creatura mortale; e, contemplandola, riconosce in lei un effetto mirabile di Dio creatore. La sua figura femminile è quanto di bene può fare la natura; e su di lei, come esempio, si misura la bellezza delle cose. Negli occhi suoi risplende la luce di un'anima, che gioisce in virtù della propria perfezione, e che si fa presente come amore a chi la mira, infondendo nel cuore la gioia. Sulle sue labbra, che s'aprono al saluto, fiorisce un tale amore. Il poeta congeda quindi la sua canzone, figlia della sua anima innamorata, e ornata delle lodi di Beatrice. Essa parlerà soltanto a persone gentili, che potranno condurla alla presenza di quell'amore, che in Beatrice parla e per lei si rivela. Per il suo contenuto questa composizione lirica si rannoda all'esperienza amorosa del Guinizelli, che la teorizza nella canzone “Al cor gentil rempaira sempre amore”. Essa segna in Dante l'inizio delle "nuove rime": il suo "dolce stilnovo" (Purg., XXIV, 48-62): espressione di quel diritto amore, che tendendo Vita Nova 24
  • 10. alla bellezza delle cose come bellezza divina partecipata, tende a ciò che diletta l'intelligenza e dà gioia al cuore; una gioia che internamente ferve e trabocca per amore della cosa così contemplata. Liricamente, e con intima commozione, la canzone si svolge su una linea di movimento semplice e discorsivo, sapientemente graduato nel tono e nell'accento; e accompagnato dal sentimento cristiano che la bellezza della creatura è provvidenziale: un divino appello a uscire di noi stessi, per una vita spirituale che sia di bontà, di bellezza e d'amore. Vita Nova 25