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Istituto d’Istruzione Superiore Statale “R.
Canudo”
                 Liceo Scientifico “R.Canudo”
                         Gioia Del Colle
                       PON 2010-11 C1
   “Un approccio storico-epistemologico
all’analisi
                        infinitesimale”



   Esperto Nicola Filippopnio
Tutor Stella Loredana Lippolis
Dirigente Scolastico Rocco Fazio
fonti e documenti elaborati per le lezioni
                                funzioni




epistemologia nell’apprendimento della matematica
                                                                                          documentazione




                                               L’INFINITO

                                                                                         evoluzione concetto limite
        Infinito




                                                               infinito e infinitesimo
                            relazione finale
Insegnamento della matematica in Italia

Dall'unità d'Italia alla prima guerra mondiale


Nel 1867 si vollero introdurre nell’allora ginnasio superiore lo studio
della geometria razionale e gli Elementi di Euclide come libro di
testo di geometria; non si pensò che la sistemazione logica euclidea
doveva costituire il punto d’arrivo e non il punto di partenza dello
studio della geometria.
Dopo la seconda guerra mondiale

I principali progetti di riforma per la Scuola italiana dal 1945 furono i
seguenti:
1945
Programmi dei governi alleati per la Scuola media, i Licei e gli Istituti
magistrali.

Nella Scuola media i riferimenti di carattere storico diventano opzionali ed il
programma acquista un taglio pratico sperimentale.

I programmi per i Licei, invece, non presentano particolari novità e così
pure i programmi per il ginnasio. Ciò che muta nel ginnasio è l’adozione di
una impostazione metodologica che conduca gradualmente i giovani alla
piena consapevolezza dei concetti e delle proprietà.
C’è comunque da rimarcare il fatto che le buone indicazioni metodologiche
non trovano ampio consenso, né tra i docenti, né nei libri di testo.
•   Programmi per gli Istituti Tecnici

•   Proposta di Riforma Gonella; Programmi della Consulta Didattica

La Riforma prevedeva un ciclo medio triennale (con tre
   indirizzi: Classico, Tecnico, Normale) a seguito della Scuola
   elementare. Ai fini dell’elaborazione del Programma, fu costituita
   dal Ministero una Consulta Didattica, coordinata da Attilio Frajese.
   La Consulta stilò un programma secondo il quale « sarebbe
   opportuno evitare nelle prime classi del liceo l’introduzione di una
   sfilza di postulati, partendo invece da proprietà evidenti per avviare il
   processo dimostrativo. Inoltre la Consulta propose un’apertura verso
   le nuove correnti matematiche che stavano girando in Europa da
   circa dieci anni, affermano che sarebbe stato opportuno condurre lo
   studente alla rielaborazione critico-storica di qualche argomento
   precedentemente trattato, come saggio esemplificativo del processo
   ipotetico-deduttivo e del valore di rigore della matematica »
Lo spirito innovativo che traspare dai
programmi liceali e che vede la matematica
come disciplina eminentemente formativa,
viene meno nei programmi di Attilio Frajese
per gli Istituti Tecnici, nei quali la matematica
assume una valenza fortemente strumentale
e subordinata alle materie professionali
d’indirizzo.
L'influenza bourbakista
L’ondata bourbakista che ha travolto negli anni 1950 il mondo accademico e
la Scuola Secondaria ha portato un cambiamento radicale di impostazione
metodologica e di contenuti della didattica. Ciò può essere ad esempio
verificato andando ad analizzare la variazione subita nel periodo dai
programmi ministeriali e le conseguenti polemiche apparse su numerose
riviste di settore.
1959
Gli anni ’60 si aprirono con vivaci dibattiti sull’insegnamento della
matematica. Ci si chiede come gli sconvolgimenti che la
matematica ha vissuto negli ultimi cinquant’anni, con la rapida
transizione da una visione euclideo-kantiana ad una nuovo
assetto assiomatico di matrice hilbertiano-bourbakista, debbano
modificarne l’insegnamento. Nel 1959 a Royaumont, nei pressi
di Parigi, si tiene un Convegno promosso dall’OECE, dal titolo Le
nuove matematiche, con il preciso obiettivo di fare il punto
sull’attuale situazione dell’insegnamento della matematica nella
scuola secondaria. Durante una delle conferenze, Jean
Dieudonné, uno dei fondatori di Bourbaki, lanciò il grido A bas
Euclid ("abbasso Euclide"), a voler significare l’inattualità della
geometria greca ma, più in generale, di tutto l’insegnamento
tradizionale.
1960
Commissione di Dubrovnik (Ragusa) e Programmi
Conseguenza diretta del Convegno parigino fu la costituzione di
una Commissione incaricata di riscrivere i programmi per
l’introduzione delle nuove matematiche, epurate dall’eredità
ellenica, nei cicli della Scuola secondaria. Nel documento sono
sottolineati l’unitarietà ed il superamento di una visione separata
dell’algebra e della geometria.
1961
Convegno UMI -CIIM a Bologna.
Costituisce la riposta italiana alle proposte di Dubrovnik
(Ragusa). Viene sottolineata l’importanza di un aggiornamento
dell’insegnamento della matematica. I partecipanti vengono
invitati a stilare proposte che tengano presente il carattere di
unitarietà che la disciplina ha assunto.
1962-1964
Vengono proposti programmi fortemente influenzati da una
visione bourbakista della matematica. In particolare, nella premessa ai
programmi proposti a Lido di Camaiore viene rilevata sia l’urgenza di
mettere a disposizione degli insegnanti i necessari strumenti bibliografici,
sia la necessità di organizzare corsi di aggiornamento da estendersi quanto
più possibile alla totalità dei docenti liceali. I partecipanti al Convegno, dopo
ampia discussione, si sono trovati concordi sul rilevare:
• la funzione formativa della scuola liceale;
• la necessità nella scuola liceale di un opportuno equilibrio delle discipline
  letterarie, artistiche, storiche, filosofiche, scientifiche (matematiche e
  sperimentali);
• l’esigenza che tutte le discipline siano presenti nella scuola liceale come
  discipline formative e ordinate alla successiva specializzazione
universitaria
  e non come strumento per la sola preparazione tecnica e professionale;
• l’esigenza che la scuola liceale dia accesso a tutte le facoltà universitarie;
  l’esigenza di una adeguazione dei contenuti e dei metodi attraverso un
  rinnovamento aperto al progresso scientifico e culturale, pedagogico e
  didattico.
1966-1967
•Programmi di Frascati (proposte)
•Ai due Convegni di Frascati, promossi dall’UMI-CIIM,
parteciparono numerosi docenti universitari impegnati nella
ricerca didattica e docenti di Scuola secondaria appositamente
invitati. Al termine dei convegni furono formulati due programmi,
uno per il Biennio (1966) ed uno per il Triennio dei licei (1967).
•I programmi fanno riferimento a due finalità:
•formare la mente del giovane introducendolo alla riflessione e al
ragionamento matematico
•fornirgli alcuni semplici, ma fondamentali strumenti di
comprensione e di indagine.
Programma formulato per il biennio liceale
                                      I Anno
a) Nozioni elementari sugli insiemi e sulle corrispondenze.
• richiami sui numeri naturali - quozienti - resto - divisibilità- algoritmo
euclideo e numeri primi.
• riesame comparativo delle operazioni con numeri interi (relativi)
e razionali ed enunciazione delle relative proprietà formali.
• espressioni letterali ed eguaglianze notevoli fra numeri rappresentabili da
esse.
• esercitazioni non complicate, nelle quali i numeri siano rappresentati anche
da lettere, per richiamare l’aritmetica già studiata e abituare a semplificare le
operazioni razionali.
• ordinamento dei numeri interi e razionali - valori assoluti - proprietà formali
delle diseguaglianze - classi di resto
• partizione di un insieme e relazioni di equivalenza.

b) Il piano come insieme di punti e le rette come suoi sottoinsiemi
• proprietà di ordinamento della retta e partizione del piano. Segmenti, figure
convesse: angoli e poligoni.
II Anno
a) Introduzione intuitiva dei numeri reali, enunciazione delle relative
proprietà.
• i polinomi (in una variabile, introdotti come funzione). Enunciato
del principio di identità dei polinomi - operazioni con polinomi - algoritmo
euclideo della divisione fra polinomi - il caso del divisore di primo grado;
il teorema di Ruffini e le sue conseguenze.
• generalità sulle equazioni - equazioni di primo grado in un'incognita -
problemi relativi - frazioni razionali fratte.
• coordinate cartesiane sulla retta e sul piano - applicazioni - diagrammi di
semplici funzioni.
• illustrazione su esempi tratti dalle teorie svolte di qualche struttura
significativa come quelle di anello, gruppo, corpo ed eventuale reticolo,
spazio metrico.
b) Congruenze (oppure isometrie) - confronto di segmenti -
perpendicolarità - traslazioni, rotazioni e simmetrie - applicazioni ai
segmenti, agli angoli, ai triangoli e ai poligoni - circonferenza e cerchio
-poligoni regolari - teorema di Talete e teorema di Pitagora.
III Anno
• Il piano vettoriale geometrico: combinazioni lineari,
coordinate, traslazioni.
• Sistemi di equazioni lineari in due incognite.
• Equazione cartesiana della retta, sistema di due rette.
• I radicali e le potenza con esponente razionale. Equazioni di
secondo grado sopra il corpo reale.
• Numeri complessi.
• Prodotto scalare.
• Elementi di trigonometria (seno, coseno, tangente). Teorema
di addizione; teorema di Carnot, teorema dei seni).
• Gruppo delle congruenze e delle similitudini del piano.
IV Anno
• Equazione cartesiana della circonferenza, dell’ellisse,
dell’iperbole e della parabola.
• Generalità sulle funzioni reali di variabile reale. Funzioni
monotone e loro inverse. Funzione esponenziale e logaritmica.
• Progressioni aritmetiche e geometriche.
• Lo spazio come insieme di punti. Le rette e i piani come
suoi sottoinsiemi. Incidenza e parallelismo. Semispazi. Spazio
vettoriale geometrico. Estensione allo spazio del prodotto
scalare. Perpendicolarità. Distanze. Angoli di rette e piani.
• Limiti, continuità, derivate. Area delle figure piane: poligoni,
cerchio. Lunghezza della circonferenza.
V Anno
• Solidi elementari e loro principali proprietà.
• Integrale definito. Primitiva di una funzione. Volumi di solidi elementari.
Aree delle superfici di rotazione.
• Spazio vettoriale astratto. Suoi modelli e applicazioni.
• Calcolo combinatorio. Elementi di calcolo delle probabilità e semplici
applicazioni alla statistica, alla teoria degli errori, ecc...
Ripensamenti e complementi (a titolo esemplificativo)
•Geometrie non euclidee con riferimenti storico-critici sullo sviluppo del
pensiero matematico. Ampliamento proiettivo dello spazio affine o
euclideo e proprietà grafiche fondamentali.
• Proprietà elementari delle coniche. Introduzione alla logica matematica.
• Algebra di Boole.
• Qualche tratto dell’evoluzione storica del pensiero matematico.
• Cenni di teoria dei numeri. Varie forme di costruzione dei numeri reali.
• Fondamenti della geometria.
• Elementi di calcolo numerico.
• Elementi di topologia con applicazioni alle matematiche elementari.
• Elementi di geometria analitica dello spazio.
• Elementi di teoria dei gruppi. Le trasformazioni elementari e i loro gruppi.
• Sistemi di equazioni lineari.
• Elementi della teoria dei giochi.
• Aspetti algebrici dei problemi risolubili con riga e compasso.
• Fondamenti della cinematica classica e della cinematica relativistica.
• Equazioni di terzo grado ed equazioni di quarto grado.
• Ricerca operativa. Programmazione lineare.
Alcune polemiche
In Italia i risultati raggiunti a Royaumont e a Dubrovnik non
lasciarono indifferenti gli insegnanti della Scuola secondaria. Si
intuì subito la necessità di prestare particolare attenzione per
evitare che la matematica moderna non si presentasse come un
capitolo nuovo riservato ad alcuni specialisti, ma come una
concezione nuova di tutto l’edificio matematico. E, in attesa dei
programmi ufficiali, ci si rese conto della necessità che ogni
professore cercasse subito di completare le sue conoscenze,
riflettesse sui problemi pedagogici che pone l’insegnamento degli
elementi della matematica moderna, si compenetrasse della loro
estrema importanza e apportasse la propria collaborazione alla
ricerca delle soluzioni.
Da questo momento in poi nella Scuola italiana è il caos. Del
fatto che le “matematiche moderne” generassero nella
Scuola italiana uno scompiglio senza precedenti, ci si rende
conto immediatamente sfogliando le riviste dedicate alla
didattica della matematica del tempo. Ad esempio, tra
il 1965 ed il 1967 sulla rivista Archimede, si possono trovare
interminabili serie di articoli che mettono a nudo il disagio
degli insegnanti italiani nei confronti di una matematica che
non hanno i mezzi per concepire e che provano imbarazzo
nel cercare di trasmettere durante le lezioni.
Posizione della Scuola Normale Superiore di Pisa

La matematica bourbakista sicuramente non può non aver lasciato
tracce in una istituzione così prestigiosa e ricettiva nei confronti delle
avanguardie della ricerca scientifica ma è fuori dubbio che tali tracce
non siano rintracciabili nelle prove che di anno in anno hanno
selezionato gli aspiranti normalisti. Al massimo, scorrendo i temi di
ammissione alla Scuola Normale Superiore di Pisa, si possono
rintracciare cenni vaghi ai complementi e ripensamenti proposti nei
convegni di Frascati . Si può ritenere che alla Normale fu chiara la
distinzione tra Bourbaki e bourbakisti.
Dal Piano Nazionale per l'Informatica alle ultime riforme

1966-1972
Ingresso dell’Informatica nell’istruzione Tecnica

1977-1979
Riforma della Scuola media

1987
avvio del Progetto P.N.I.

1989
Programmi P.N.I. per il Triennio
L’evoluzione del concetto di limite
                e delle sue rappresentazioni
•Il primo Autore ricordato nella storia dei procedimenti infinitesimali è
Anassagora di Clazomene (500?-428 a.C.), autore del celebre frammento:
•«Rispetto al piccolo non vi è un ultimo grado di piccolezza, ma vi è sempre
un più piccolo, essendo impossibile che ciò che è, cessi di essere per
divisione»(cit. in: Geymonat, 1970, p. 96).
•Esso è riferibile ad una successione infinitesima: Anassagora descrive
infatti una quantità che può essere indefinitamente ridotta, senza mai
annullarsi.
• METODO DI ESAUSTIONE e QUADRATURA DELLA PARABOLA ad
opera di Archimede.
•Trattato sulle “FLUSSIONI” di Newton. Sviluppo del calcolo infinitesimale
parallelamente a Leibniz.
Formulazione rigorosa di Cauchy

«Quanto ai metodi, ho cercato di dar loro tutto il rigore che si esige in
geometria, in modo da non ricorrere mai a dei ragionamenti tratti dalla
generalità dell’algebra. Ragionamenti di questo tipo, benché ammessi
abbastanza comunemente, soprattutto nel passaggio dalle serie
convergenti alle serie divergenti e dalle quantità reali alle espressioni
immaginarie, non possono essere considerati, mi sembra, che come
delle induzioni adatte a far talvolta presentire la verità, ma che poco
s’accordano con l’esattezza tanto vantata dellescienze matematiche»
(trad. in: Bottazzini, Freguglia & Toti Rigatelli, 1992, p.326).
• Cauchy voleva svincolare l’analisi dai procedimenti poco
rigorosi (o scorretti) derivanti dall’applicazione teoricamente
non fondata di metodi di comodo ed avvertiva la necessità di
fondare tutti i concetti su definizioni precise.

• Karl Theodor Wilhelm Weierstrass (1815-1897) diede la
moderna definizione di limite e di funzione continua: egli
affermò che la funzione y=f(x) è continua in x = c se per ogni
reale e>0 si può trovare un d in modo che per ogni x tale che
|x-c| < d si abbia |f(x)-f(c)| < e.
La Matematica dell'infinito

Accostare Infinito e Matematica può sembrare collegamento
azzardato. L'Infinito, come pure il suo corrispondente
temporale, l'Eterno, è tema adeguato per Religione, Filosofia
o Letteratura, ma forse non per la scienza positiva. Meno che
mai per la più positiva delle scienze e cioè la Matematica. Del
resto, l'Infinito (in-definito, in-determinato) è, per sua stessa
etimologia e natura, ed anche per la comune opinione, ciò che
sfugge ad ogni possibile classificazione e misura, mentre la
Matematica tende a (e pretende di) classificare e misurare
ogni oggetto che esamina. Dunque, l'Infinito non è argomento
da Matematica.
In effetti, secondo una visione che risale ai tempi dell'antica
Grecia e che si è mantenuta radicata nei secoli fin quasi ai
nostri giorni, la Matematica è la scienza dei numeri naturali 0,
1, 2, ..., semmai allargata a quegli insiemi numerici - gli interi, i
razionali - che ai naturali sono direttamente collegati. Pitagora
sosteneva che il numero (naturale) è la base di tutto.Oltre due
millenni dopo, Kronecker (1832-1891) ribadiva che gli interi
positivi sono i soli numeri creati da Dio a voler significare che
trattare altri contesti non standard, come quello dei reali, era
quasi sacrilego
Dunque la Matematica va a combaciare, in questa
prospettiva, con l'Aritmetica dei numeri 0, 1, 2, ...: tutti
rigorosamente finiti per natura e rappresentazione (a
differenza dei reali, che scomodano allineamenti
decimali senza limiti e confini).
Si conferma così che non c'è spazio comune per
Matematica e Infinito. Eppure, a smentire tutte queste
pur ragionevoli premesse, va detto che la Matematica
è stata capace nella sua storia più recente di intuire,
accarezzare ed anche misurare l'Infinito, fin quasi a
sognare di dominarlo completamente.
Contare o confrontare?

Dobbiamo riconoscere che l'Infinito non è tema completamente e
costituzionalmente estraneo alla Matematica. Gli stessi numeri naturali 0,
1, 2, ... sono sì ciascuno singolarmente finito, ma costituiscono
complessivamente un insieme infinito. La loro successione si snocciola
senza limitazioni in una strada senza fine. Tuttavia, come già Aristotele
osservava, bisogna esercitare un po' di finezza quando si parla di infinito
e distinguere la sua forma potenziale da quella attuale: la prima è
umanamente accessibile, la seconda no.
In altre parole, possiamo certamente convenire che ci sono successioni
senza termine di oggetti matematici, quali i numeri naturali, ed
abbracciarne con la nostra percezione porzioni comunque grandi (l'infinito
potenziale di cui sopra); ma, quanto ad afferrarne la totalità ed ad
identificarla completamente come singolo ente (l'infinito attuale), ebbene,
questo è un altro discorso, inaccessibile ai limiti della nostra mente
umana.
Per dirla in latino e dare così maggiore autorità alla citazione: infinitum
actu non datur.
Questo era il pensiero di Aristotele e, come tutti sappiamo, si
trattava di opinione autorevole, non solo ai tempi dell'antica
Grecia ma nei lunghi secoli successivi. Del resto, ancora nel
1831 (di nuovo, due millenni dopo Aristotele), colui che è
comunemente riconosciuto il più grande matematico, e cioè
Gauss, si esprimeva quasi negli stessi termini del suo illustre
predecessore. In una lettera al suo allievo Schumacher,
scriveva: io devo protestare veementemente contro l'uso
dell'infinito come qualcosa di definito: questo non è permesso in
Matematica. L'infinito è solo un modo di dire, ed intende un
limite cui certi rapporti possono approssimarsi vicino quanto
vogliono.
Del resto, nei secoli da Aristotele a Gauss, vari spunti avevano
introdotto in Matematica l'esigenza di studiare e definire l'infinito e,
se è per questo, anche il suo inverso matematico (l'infinitesimo)
nelle loro forme potenziali.
Ad esempio, la necessità di garantire adeguate basi teoriche allo
studio delle grandezze fisiche (come la velocità, la accelerazione e
così via) aveva indotto già nel secolo diciassettesimo (e forse anche
prima) Newton, Leibniz ed altri a fondare - con qualche
imprecisione, qualche vaghezza e molte polemiche - il calcolo
differenziale, il relativo studio delle derivate e, appunto, l'uso degli
infinitesimi.
L'obiettivo era quello di descrivere in termini matematici rigorosi il
comportamento di una funzione quando il suo argomento si
avvicina indefinitamente ad un punto, o supera ogni barriera verso
l'infinito.
GALILEI

Ma che si può dire degli infiniti attuali? Negli stessi secoli, menti
autorevoli avevano tentato di avventurarsi in questa zona
proibita, avvertendone però le anomalie e concludendo che
forse era il caso di lasciar perdere: è questo il caso di Galileo
Galilei e di alcune sue riflessioni contenute nell'opera del 1638
e note con il nome di Paradosso di Galileo. Galileo considera i
numeri naturali 0, 1, 2, 3 ... ed osserva che l'insieme (infinito)
dei loro quadrati 0, 1, 4, 9, ... è certamente più piccolo e, pur
tuttavia, contiene tanti elementi quanti erano i numeri di
partenza, perché ad ogni numero corrisponde in modo
biunivoco il suo quadrato.
Galileo conclude:

io non veggo che ad altra decisione si possa venire che a dire
infiniti essere tutti i numeri, infiniti i quadrati, ... né la
moltitudine de' quadrati essere minore di quella di tutti numeri,
né questa essere maggiore di quella, ed, in ultima
conclusione, gli attributi di eguale, maggiore e minore non
aver luogo negl'infiniti ma solo nelle quantità terminate, ed
aggiunge: queste son di quelle difficoltà che derivano dal
discorrer che noi facciamo col nostro intelletto finito intorno
all'infinito, dandogli quegli attributi che noi diamo alle cose
finite e terminate; il che penso che sia inconveniente.

Al di là di questa conclusione, le riflessioni di Galileo
contengono, magari solo in germe, suggerimenti stimolanti su
come potremmo pretendere di misurare l'infinito
Dunque, all'infinito possiamo, se non contare, confrontare e
decidere se due insiemi sono o no ugualmente numerosi. L'idea
è brillante e sottile ed induce alla tentazione di approfondire.
Pur tuttavia, c'è una obiezione che sorge abbastanza
spontaneamente: ne vale realmente la pena?
In effetti, si potrebbe sostenere che gli insiemi infiniti sono tutti,
appunto, infiniti, e come tali hanno forzatamente lo stesso
numero (infinito) di elementi. È dunque inutile soffermarsi in
questo genere di confronti, l'infinito appiattisce tutto.
L'esempio dei numeri e dei quadrati (i secondi apparentemente
molto minori dei primi) sembra confermarlo.
L’albergo di Hilbert
C'è un altro famoso argomento che corrobora questa impressione e va
sotto il nome di Albergo di Hilbert. Si tratta, infatti, di un esempio che
David Hilbert (1862-1943) adoperava per divulgare presso i non addetti ai
lavori le sottigliezze di questa analisi dell'infinito.
Lo ricordiamo brevemente. Gli alberghi di questo mondo sono tutti finiti
Supponiamo allora di avere un albergo completo, in cui ogni stanza N ha
già il suo ospite N. Se ad un'ora della notte arriva un nuovo cliente in
cerca di sistemazione, il portiere dovrà dichiarargli con rammarico di non
poterlo ospitare ed indirizzarlo ad altro ricovero. Ma ammettiamo per un
attimo di volare nell'albergo del Paradiso : l'albergo è ovviamente infinito,
come si addice a tutto quel che è trascendente. Gli ospiti che lo popolano
sono anch'essi infiniti e lo riempiono completamente. Abbiamo dunque il
problema di trovare un posto. "Non preoccupatevi" ci direbbe San Pietro
"sistemiamo:
l'ospite 0 nella camera 1,
l'ospite 1 nella camera 2, ...
l'ospite N nella camera N+1, ...
e vi liberiamo la camera 0".
Il tutto è lecito perché l'albergo è infinito
Gli insiemi di CANTOR

Ma chi diede la svolta fondamentale e decisiva all'intera
questione fu Georg Cantor (1845-1918):egli considerò varie
coppie di sottoinsiemi infiniti della retta reale R (e non solo)
cercando possibili biiezioni.
Ad esempio, osservò che ci sono tanti punti nell'intera retta quanti nel
segmento aperto ]0, 1[ (che pure è per altri aspetti enormemente più
piccolo.
Altri casi furono esplorati da Cantor.
Ne elenchiamo alcuni particolarmente significativi.
L'insieme N dei naturali 0, 1, 2, ... si potrebbe valutare ad occhio come la
metà dell'insieme Z di tutti gli interi ...-2, -1, 0, 1, 2, ...; ma sono infiniti
entrambi, ed in effetti è possibile determinare una corrispondenza biunivoca
f che li collega. Basta osservare che i naturali, a loro volta, si suddividono a
metà tra pari 0, 2, 4, ... e dispari 1, 3, 5, ... e dunque trasformare gli interi
non negativi nei primi e quelli negativi nei secondi.
Lo stesso può dirsi di naturali N e razionali Q: tra i due insiemi c'è una
corrispondenza biunivoca. Questo fu l'ingegnoso argomento con cui Cantor
provò nel 1895, in un articolo sui Mathematische Annalen, che i naturali
sono tanti quanti i razionali (in realtà Cantor aveva già raggiunto questa
conclusione nel 1874 sul Journal für Mathematik.
Un altro sorprendente risultato di Cantor collega il quadrato, o anche il
cubo, con il suo lato: l'uno e l'altro hanno lo stesso "numero" di punti.

Il teorema fu provato nel 1877 e suscitò incredulità e smarrimento tra i
matematici dell'epoca. Lo stesso Cantor ne rimase in un certo senso
sorpreso e lo commentò in una lettera a Dedekind con le parole:
                         "lo vedo, ma non lo credo".

La ragione di tanto stupore è facile da capire: il risultato sembra confondere
curve, superfici e volumi e dunque enti geometrici di dimensione 1, 2 e 3
abolendo ogni distinzione al riguardo e, in definitiva, minando le basi stesse
della Geometria. Ma si trattava (e si tratta) solo di un'impressione
superficiale, comprensibile in tempi che non avevano ancora sviluppato
compiutamente il concetto di spazio topologico.

Come Dedekind osservò lucidamente, le biiezioni di Cantor sono - appunto
- solo biiezioni e non hanno né pretendono di avere quel requisito di
continuità che, se sussistesse, andrebbe a contraddire tante assodate
certezze. Segmento, quadrato, cubo hanno lo stesso numero di punti, ma
non sono per questo tra loro omeomorfi.
Nel Paradiso di Cantor

Nel 1874, Cantor dimostrò che, al contrario di quel che tutti gli
esempi precedenti lasciano presagire, non tutti gli infiniti sono uguali ci
sono più possibili modi di essere "infinito".
In particolare, i punti della retta reale R non sono tanti quanti i numeri
naturali N (diagonalizzazione). Non c'è corrispondenza biunivoca
possibile tra i due insiemi. In verità Cantor aveva già intuito una prima
dimostrazione di questa sorprendente novità già nel 1873 ma aveva
atteso il parere e i suggerimenti di Dedekind per pubblicarla.

Visto che gli insiemi infiniti non sono tutti in corrispondenza biunivoca
tra loro, ha senso classificarli proprio tramite il "numero" dei loro
elementi. A questo fine, Cantor sviluppò la teoria dei numeri cardinali.
BIBLIOGRAFIA
[1] Galilei G., Discorsi e dimostrazioni matematiche intorno a due
nuove scienze, Elzeviri, Leida, 1638; Barbera, Firenze, 1898.
[2] Leonesi S., Toffalori C., Il problema del continuo, Archimede,
num. 2, 2003.
Intervista a Paolo Zellini
Riportiamo un'intervista a Paolo Zellini in occasione del
Festival della Matematica di Roma. Paolo Zellini, professore
di Analisi Numerica presso l’Università di Roma 2 e docente
presso il CNR di Roma, è autore del fortunato Breve storia
dell'infinito, considerato da Calvino una delle migliori letture
mai fatte.
Professor Zellini, lei sostiene che la matematica è nata per
comunicare con gli dei e poi è diventata la lingua per descrivere
il cosmo. E oggi?
«Dopo che gli dèi si sono eclissati, la matematica è stata a lungo
vicino all’unico Dio. Agostino diceva che numero e Sapienza sono la
stessa cosa e oggi Benedetto XVI si sforza di spiegare che il Logos
cristiano deve comprendere quel sapere matematico che era stato
parte integrante del logos greco. In epoca moderna la matematica ha
ereditato dalla filosofia e dalla teologia diverse questioni, come
l’esistenza dell’infinito e il principio di continuità nella catena
dell’essere. Per decifrare simili questioni i matematici hanno messo in
campo strumenti di ineguagliabile potenza, ma perdendo la pietas che
aveva spinto Eratostene a fare un’offerta agli dèi per aver imparato a
raddoppiare un cubo».
La «pietas» ha lasciato il posto alla complessità, che sta
trasformando tutte le scienze?
«Sforzandosi di dare una misura della complessità dei
processi di calcolo, la matematica si è proposta di rispondere
a domande fondamentali, come quella su cosa può o non può
fare il calcolatore. Sorprendentemente, ci sono problemi di
semplice formulazione, ma con un’esplosione combinatoria
che li rende praticamente insolubili. Dopo i risultati di Gödel
sull’incompletezza dell’aritmetica, si toccano di nuovo i limiti
della scienza».
Può spiegare a un non addetto ai lavori che cosa fa un
matematico?
«Il matematico risolve dei problemi, ma l’unico modo per
capire di quali problemi si tratta e con quali strumenti cerca di
risolverli sarebbe quello di occuparsene. Si capisce la
matematica solo “facendola”. Si può comunque dire che cosa
non fa».
Vale a dire? Che cosa non fa?
«Non esegue lunghi conteggi e anzi si sforza di trovare eleganti
teorie che servano a evitarli».

Dalla filosofia all’Ipod la matematica permea tutto: sono i
numeri l’occulto motore della globalizzazione e del progresso?
«La matematica, in effetti, entra in ogni cosa: dai suoi teoremi
dipendono l’elaborazione di immagini, il volo degli aerei, l’uso dei
motori di ricerca, i modelli dell’economia. Parlare di progresso è
tuttavia un po’ rischioso. La matematica è potente, ma non è detto
che accresca un vero progresso. Molti scienziati, quando si
accorgevano di contribuire a grandi rivoluzioni, hanno avvertito una
sorta di catastrofe imminente. Norbert Wiener, uno dei padri della
cibernetica, aveva la sensazione di difendere un’enclave di
razionalità contro un universo caotico e sapeva che ogni scoperta
poteva costringere a complicate rincorse per fronteggiarne i possibili
effetti».
Lei dice addirittura che le attuali tecniche di calcolo si rifanno alla
logica antica. In che senso?
«Il calcolo degli ultimi decenni si è sviluppato intorno a due pilastri: le
equazioni della fisica matematica e il concetto di algoritmo. Gli algoritmi
servono, tra l’altro, a tradurre le equazioni in puro calcolo aritmetico
eseguibile da un calcolatore. Ecco perché questi possono assomigliare a
procedure elementari del calcolo antico: in entrambi entrano in gioco le
operazioni fondamentali del calcolo aritmetico, che stanno a loro volta alla
base della “computatio” algebrica moderna e dell’analisi matematica. Questi
atomi di calcolo sono elementari, ma non altrettanto sono i problemi che
possono sollevare, se ci si chiede quale sia il grado di efficienza necessaria
perché siano eseguibili in modo automatico. La somiglianza tra algoritmi
antichi e moderni è comunque sorprendente. In molti metodi che servono a
risolvere complessi sistemi di equazioni si ripetono gli stessi schemi della
matematica indiana, cinese, greca e mesopotamica. Tra questi, occupa un
posto preminente lo gnomone quadrato, la figura a squadra che aggiunta o
tolta a un quadrato genera un altro quadrato, più grande o più piccolo. In un
prolungamento algebrico di questa figura consistono essenzialmente i
metodi per risolvere un’equazione usati dai matematici arabi e poi da Viète
e da Newton. Da questi metodi, in buona parte, è dipeso lo sviluppo
dell’algebra e dell’analisi».
Perché la matematica è considerata come la disciplina
più innaturale?
«In realtà la matematica è difficile anche per i matematici:
basti pensare ai problemi irrisolti da lustri o da secoli e alla
difficoltà di pensare per mezzo di manipolazioni di simboli,
che sono già l’abbreviazione di concetti complessi».
(Fonte: La Stampa)
Brevi considerazioni sull’infinito
       di Paolo Pendenza
L’infinito non è solo un concetto matematico, ma ha sempre
ispirato scienziati, filosofi e artisti sia perché rappresenta una
sfida per l’intelletto, sia perché nel corso dei secoli gli sono
stati attribuiti i più diversi significati simbolici.

Già Anassimandro, nel VI secolo a.C., pone come origine del
mondo l’apéiron, un’unica realtà originaria infinita, o più
letteralmente non-limitata, da cui hanno origine le coppie di
opposti che governano il mondo: caldo e freddo, asciutto e
umido, e così via. L’infinito, dunque, è un principio, anche
perché, avvisa Aristotele,
“ogni cosa o è principio o deriva da un principio: ma dell’infinito
non c’è principio, ché sarebbe il suo limite.”
Dunque l’infinito è il principio senza limiti, da cui deriva ogni cosa e
che non ha una forma che lo contenga. Viene alla mente
il chaos che, secondo la tradizione orfica, rappresenta il principio di
tutto; letteralmente chaos significa “spalancato”; il principio sarebbe
un’apertura, uno spazio cavo e buio, un qualcosa di indistinto, un
senza-forma. L’infinito rappresenta allora ciò che non è generato
ma che può generare qualunque forma, proprio perché esso non ha
forma: è indefinito, è una potenzialità assoluta.

Per i pitagorici, ci testimonia Filolao, la comprensione dell’universo
avviene grazie al numero:
“è la natura del numero che fa conoscere e insegna ad ognuno tutto
ciò che è dubbio e ignoto”.
Senza la natura del numero, che è una quantità finita, “tutte le cose
sarebbero illimitate e oscure e incomprensibili”: l’infinito assume
una connotazione negativa ed è associato alla mancanza di
conoscenza.
Questo concetto è ripreso da Aristotele, per il quale l’infinito è “ciò al di
fuori di cui, se si assume come quantità, è sempre possibile assumere
qualche altra cosa”; quindi è ciò che non è completo e che, per
definizione, non può essere completabile. Il concetto di infinito si
oppone, così, a quello di intero “al di fuori di cui non c’è nulla”, e che,
perciò, è perfetto. Aristotele si pone, così, in contrasto con
Anassimandro, il cui infinito è immutabile ed eterno, e quindi ha tutte le
caratteristiche della divinità.

Aristotele, inoltre, distingue l’infinito in atto da quello in potenza; solo il
secondo esiste: possiamo pensare all’infinito solo come a qualcosa che
continuamente diviene ma che mai raggiunge il suo essere infinito. Un
esempio di infinito in potenza è la serie dei numeri naturali, che
possono essere pensati sempre più grandi di ogni quantità definita, ma
il termine ultimo non viene mai raggiunto. Un esempio moderno,
invece, di infinito in atto è l’insieme di tutti i numeri razionali (cioè di
tutte le frazioni) compresi fra 0 e 1: dati due numeri razionali, ne esiste
sempre un terzo che si trova fra i primi due (ad esempio la loro media);
quindi fra due numeri razionali sono compresi sempre infiniti altri
numeri razionali.
Dunque Aristotele ammette solo l’infinito in potenza, che,
relativamente alle grandezze fisiche, può essere di due tipi: quello
che si ottiene raddoppiando ripetutamente la grandezza di un corpo
e quello che si ottiene dimezzando ripetutamente la grandezza di un
corpo. L’infinito del primo tipo non è ammissibile, perché si
otterrebbe un ente materiale infinito che non può esistere né può
essere immaginato:
“Se, difatti, si chiama corpo ciò che è limitato da una superficie, non
potrebbe esserci corpo infinito né come intelligibile né come
sensibile”;
inoltre, poiché ogni elemento ha caratteristiche sue proprie (ad
esempio l’aria è fredda e il fuoco è caldo), se un elemento fosse
infinito distruggerebbe le caratteristiche che con esso contrastano,
ma ciò, evidentemente, non è possibile.
Con l’infinito del secondo tipo, invece, un corpo può essere
diviso a metà, e poi ancora a metà, superando in
piccolezza qualunque grandezza, ma senza mai
raggiungere un limite ultimo. Quindi l’infinito applicato alle
grandezze può essere solo un infinito per divisione, un
infinito comunque limitato da una forma.
L’infinito aristotelico manca di quella caratteristica fondamentale
che si trova in Anassimandro che è il suo essere illimitato:
“come la materia così anche l’infinito è contenuto all’interno e la
forma lo contiene”.
Sembra che Aristotele, non potendo negare l’infinito senza
cadere in paradossi - come un tempo che abbia inizio e fine o
grandezze che non siano divisibili o numeri che non possono
essere superati – lo accetta cercando di “addomesticarlo”, di
eliminare la sua carica distruttrice ponendolo all’interno di una
forma e permettendogli di essere solo in potenza. Anche da ciò
deriva l’universo aristotelico formato da sfere concentriche al
centro delle quali si trova la Terra: un grande contenitore, un
cosmo ordinato, finito e, soprattutto, limitato dal cielo estremo
delle stelle fisse.
Bisogna aspettare il XVI secolo affinché l’infinito diventi un simbolo
positivo, in quanto espressione dell’infinita bontà del creatore.
Troviamo, così Thomas Digges, che nel 1576 scrive che il cielo
delle stelle fisse “si estende verso l’alto in altezza sferica infinita”, e
al “potere e maestà infiniti [di Dio] conviene solamente questo luogo
infinito”.

E Giordano Bruno sostiene che “così si magnifica l’eccellenza di
Dio, si manifesta la grandezza dell’imperio suo: non si glorifica in
uno, ma in soli innumerevoli: non in una terra, un mondo, ma in
duecento mila, dico in infiniti.”
Qulche secolo dopo verrà fondata la teoria dei numeri transfiniti
con la presenza di un infinito attuale, che Cantor, andando sia
contro la tradizione aristotelica che contro alcuni suoi illustri
colleghi contemporanei, sosteneva potesse essere reale.

Una sua dimostrazione dell’esistenza di un infinito attuale,parte
dal concetto di Dio e arriva, in primo luogo, alla conclusione della
possibilità di unTransfinitum ordinatum traendola dall’altissima
perfezione della natura divina; deduce quindi dalla sua potenza e
bontà infinita la necessità di una creazione effettivamente
compiuta di un Transfinitum.
In queste parole si sente l’eco di Giordano Bruno, che associa l’idea
di infinito a quella di divino, e che giustifica l’esistenza di un ente
infinito con la necessità di trovare nella creazione qualcosa che
rispecchi “l’eccellenza di Dio”.

L’infinito ha ispirato significati contrastanti ed estremi, è stato invocato
come simbolo del divino o come espressione di una inaccettabile
inconoscibilità; oggi, tuttavia, in un periodo in cui le discussioni sui
fondamenti sembrano appartenere a un passato superato e la
giustificazione dei risultati scientifici si basa pragmaticamente sul fatto
che essi funzionino, l’infinito è diventato un concetto che ha una
natura puramente quantitativa.
E forse vale la pena osservare che…

Il fatto che la ricerca scientifica sia riuscita a riconoscere in modo
preciso i limiti delle sue possibilità, ci sembra una prestazione dello
spirito umano, più grande della tecnicizzazione del nostro mondo,
tanto spesso ammirata.
Queste son di quelle difficoltà che derivano dal discorrer che noi
facciamo col nostro intelletto finito intorno a gl'infiniti, dandogli quelli
attributi che noi diamo alle cose finite e terminate; il che penso che sia
inconveniente, perché stimo che questi attributi di maggioranza,
minorità ed egualità non convenghino a gl'infiniti, de i quali non si può
dire, uno esser maggiore o minore o eguale all'altro.
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L’Infinito
L'infinito (dal latino finitus, cioè "limitato" con prefisso
negativo in-) in filosofia è la qualità di ciò che non ha limiti o
che non può avere una conclusione perché appunto
infinito, senza-fine.

Moltissimi pensatori, filosofi e scienziati hanno da sempre
avuto a che fare con il concetto di infinito, in modi e forme
tra loro diverse, in contesti diversi e con significati diversi,
ma tra loro intrecciati.
E’ utile notare come, sostanzialmente, il concetto di infinito
si sia sempre presentato in tre forme diverse: un infinito
fisico (relativo, ad esempio, alle dimensioni dell’universo),
un infinito metafisico (relativo, ad esempio, a Dio) ed un
infinito matematico (relativo, ad esempio, ai numeri). La
posizione che si può assumere di fronte a questi tipi di
infinito non può essere intermedia: o è positiva, o è negativa
(vale a dire: o l’infinito esiste, in una di queste tre forme,
oppure non esiste).
L’INFINITO NELLA CULTURA ROMANTICA
A partire dall’ottocento, l’età del romanticismo, all’infinito -
identificato con l’Assoluto - viene definitivamente accordata
una posizione centrale in molti sistemi filosofici, ma anche
nell’immaginario collettivo.
Tipica dell’uomo romantico è la SEHNSUCHT, ovvero quella
‘tensione all’infinito’ caratterizzata da uno stato di
irrequietezza e incessante sforzo nel ricercare qualcosa di
irraggiungibile e illusorio, come illusoria è la convinzione di
poter superare le barriere del finito, la caducità delle cose.
La filosofia di Hegel costituisce indubbiamente una delle più
originali filosofie positive dell’infinito nell’età moderna, di
stampo romantico. La realtà è un organismo unitario di cui
tutto ciò che esiste è manifestazione e momento
necessario, perciò tale organismo coincide con l’Infinito o
con l’Assoluto, mentre le sue manifestazioni corrispondono
al finito.
La realtà è l’intero, la totalità che supera ogni opposizione: é
l’infinito, sintesi di tutte le determinazioni finite. Il problema
più grosso, per Hegel, è quello di superare la scissione tra il
finito e l’infinito, che sembra caratterizzare la realtà. Nella
‘Fenomenologia dello Spirito’ la coscienza diventa infelice
perché é consapevole della limitatezza dell’individuo, del
finito, rispetto all’eternità e all’infinità del divino. L’uomo si
sente    nulla   dinnanzi     all’assoluto,   ed    è   convinto
dell’impossibilità di superare questa scissione.
Neanche la natura, l’arte e la religione sono i luoghi
privilegiati dell’infinito: essi si limitano ad intuirlo, senza
eliminarne il carattere trascendente.
E’ solo nella filosofia, territorio della ragione dialettica, che si
può raggiungere e comprendere l’Assoluto, ricostruendo -
attraverso il movimento dialettico - il processo di
realizzazione della ragione stessa nella realtà (e quindi anche
dell’Assoluto, in cui è compresente il divino e il razionale).
Nei secoli da Aristotele a Gauss, vari spunti avevano
introdotto in matematica l'esigenza di studiare e definire
l'infinito. Ad esempio, la necessità di garantire adeguate basi
teoriche allo studio delle grandezze fisiche aveva indotto già
nel secolo diciassettesimo (e forse anche prima) Newton,
Leibniz ed altri a fondare - con qualche imprecisione,
qualche vaghezza e molte polemiche - il calcolo
differenziale, il relativo studio delle derivate e, appunto,
l'uso degli infinitesimi.
ISAAC NEWTON


Nel suo “Tractatus de quadratura
curvarum” Newton considerava le
quantità matematiche come descritte
da un moto continuo, e le linee
generate dal moto continuo dei punti.
Secondo lui questa genesi aveva luogo
nella natura delle cose, riconoscibile
nel moto dei corpi.
                                         1642 - 1727
GOTTFRIED WILHELM LEIBNIZ

Il primo matematico ad utilizzare il
termine funzione in un suo manoscritto
del 1673 fu Leibniz nella sua opera “Nova
methodus promaximise et minimis Itemque
tangentibus,    qua     nec    irrationales
quantitates moratur”
(Nuovo metodo per trovare i massimi e i
minimi, e anche le tangenti, non ostacolato
dalle quantità irrazionali).
Con questo termine indicava una quantità
                                              1646 - 1716
che varia da punto a punto in una curva.
In seguito la storia del concetto di infinito ha trovato i suoi
più concreti sviluppi con i fondamentali contributi di K.
Gauss, K. Weierstrass, G. Cantor, J. Dedekind, L. Brouwer, e
D. Hilbert.
E’   opportuno,    però,   prima    di   introdurre    l’analisi
infinitesimale, distinguere l’infinito potenziale e l’infinito
attuale.
L'infinito potenziale è rappresentato da estensioni, o
quantità o collezioni o classi senza fine: dato un insieme
finito qualunque di elementi, ce ne è sempre uno diverso. I
numeri naturali sono, nel giudizio unanime, una collezione
potenzialmente infinita.
Se invece ammettiamo che i numeri naturali siano una serie
finita di numeri, il processo del calcolo volgerà a un
termine.
Quindi non esiste una potenziale infinità di numeri e perciò
l’infinità è in atto.
Sebbene già introdotto dai paradossi di Zenone (nel V secolo
a.C.), l’infinito matematico deve attendere il seicento per una
sua elaborazione più sistematica. L’analisi infinitesimale,
dovuta soprattutto a Leibniz e a Newton, nasce dalla
necessità di trovare una soluzione a problemi quali
l’individuazione delle caratteristiche di una curva, il metodo
di tracciare le tangenti nei suoi punti, il calcolo di aree e
volumi, la determinazione della velocità nello studio del
moto dei corpi.
Il   calcolo   infinitesimale   si      occupa   di   studiare   il
comportamento di una curva tramite le nozioni di
continuità e limite. I “compiti” sono divisi tra il calcolo
differenziale e il calcolo integrale.
Entrambe, però, riconducono all’operazione fondamentale,
ovvero il calcolo del limite.
Il calcolo differenziale si occupa dell’individuazione delle rette tangenti
in ogni punto della curva, attraverso lo studio della derivata. Per
ottenere una definizione valida in generale, ci si avvale del concetto di
limite. Data la funzione y = f(x), sia A un punto di ascissa x = c
appartenente alla sua curva rappresentativa.

Si ha: A(c; f(c)). Se l’ascissa c del
punto A viene incrementata di un
valore h positivo arbitrariamente
“piccolo “, che Newton chiamava
evanescente, in corrispondenza, la
funzione passa dal valore          f(c) al
valore f(c + h).
Il rapporto:


 è anche il rapporto tra dy e dx,
 ovvero il coefficiente angolare della
 retta tangente.
 Quindi, data una funzione f(x),
 definita in un intervallo [a,b], si
 chiama derivata di f(x) nel punto c
 interno all’intervallo il limite, se
 esiste ed è finito, per h che tende a
 0, del rapporto incrementale:
Il calcolo integrale è legato al calcolo delle aree di superfici delimitate da
curve; effettua la somma di infinite parti piccole quanto si vuole (parti
infinitesime).
                                    Considerata una funzione y = f(x), il
                                    cui grafico sia quello rappresentato
                                    in figura, il calcolo dell’area della
                                    superficie delimitata dai segmenti
                                    AB, AC, BD e dall’arco CD di curva
                                    si ottiene dividendo il segmento AB
                                    in parti uguali, e sommando i
                                    rettangoli ottenuti. Più sono le n parti
                                    in cui viene diviso il segmento AB,
                                    più la somma delle aree dei
rettangoli si avvicinerà all’area del trapezoide. L’area del trapezoide
allora è data dalla somma di infiniti termini infinitesimi che si
indica con:   ∫f(x)dx.
EVOLUZIONE DEL CONCETTO DI LIMITE
D'Alembert         diede         una
formulazione del concetto di limite.
Nell'articolo "limite" scritto per
l'Encyclopédie    chiamava       una
quantità limite di una seconda
quantità (variabile) se questa
seconda quantità si avvicinava alla
prima così tanto che la differenza
fosse inferiore a qualsiasi quantità
data      (senza     effettivamente
coincidere con essa). L'imprecisione
di questa definizione la rese          JEAN BAPTISTE LE ROND
inaccettabile     per      i    suoi   D’ALEMBERT (1717 – 1783)
contemporanei.
E’ però a Cauchy che si deve la
prima elaborazione scientifica del
concetto di limite. Egli assunse
come fondamentale il concetto di
limite di D'Alembert, ma gli conferì
una maggiore precisione:
"Quando i valori successivi attribuiti
a una variabile si avvicinano
indefinitamente a un valore fissato
così che finiscono con il differire da   AUGUSTINE LOUIS
questo per una differenza piccola        CAUCHY(1789 – 1857)
quanto si vuole, quest'ultimo viene
detto il limite di tutti gli altri".
Cauchy si era impegnato in un sistematico lavoro di ricostruzione rigorosa
dei concetti fondamentali del calcolo differenziale.
Il progetto culturale di Cauchy appare chiaro: egli voleva svincolare l’analisi
dai procedimenti poco rigorosi (e talvolta nettamente scorretti) derivanti
dall’applicazione teoricamente non fondata di metodi di comodo. La Théorie
des fonctions analytiques era stata una delle opere più studiate dal giovane
Cauchy. Se egli ora concordava con Lagrange sulla necessità di fondare in
modo rigoroso il calcolo infinitesimale, senza limitarsi a giustificarne i metodi
con il successo nelle applicazioni o il ricorso a considerazioni intuitive, ne
prendeva tuttavia apertamente le distanze quando si trattava di individuarne
i fondamenti: gli argomenti di natura algebrica erano liquidati come “delle
induzioni adatte a far talvolta presentire la verità, ma che poco s’accordano con
l’esattezza tanto vantata delle scienze matematiche”.
L'obiettivo era quello di descrivere in termini matematici
rigorosi il comportamento di una funzione quando il suo
argomento si avvicina indefinitamente ad un punto, o supera
ogni barriera verso l'infinito. Proprio all'epoca di Gauss, l'opera
di Cauchy e Weierstrass aveva prodotto (neanche due secoli
dopo Newton) una adeguata risposta al problema e una rigorosa
introduzione teorica a questo argomento così delicato.
DEFINIZIONE RIGOROSA DI LIMITE
Definito un intorno di x0 come un qualunque intervallo aperto
contenente x0, si dice che:


“ il limite, per x che tende a x0, di f(x) è uguale a l ” se e solo se per
ogni intorno di l, esiste un intorno di x0 tale che, per ogni x
appartenente a questo intorno (escluso tutt’al più x0), f(x)
appartenga all’intorno di l fissato inizialmente.
Questa espressione è dovuta al lavoro di Heine, basato
comunque sugli studi di Cauchy e Weierstrass.
La presentazione è stata rielaborata sulle linee dei
seguenti documenti trovati in rete:


Una sfida del pensiero:
http://www.freewebs.com/moebiusring/infinito3.html
1)L’Evoluzione del concetto di infinito;
2)L’infinito nella cultura romantica;
3)L’infinito nel sistema filosofico di Hegel;
La matematica dell’infinito:
http://matematica-old.unibocconi.it/infinito/lettera48.pdf
Lo sviluppo storico del concetto di funzione:
http://www.lorenzopantieri.net/LaTeX_files/FunzioniDistrib
uzioni.pdf
Gli alunni della V E
Cardascia Serena
  Maselli Marina
   Masi Cristina
  Nettis Davide



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il metodo di Archimede
e le origini del calcolo infinitesimale
L'ápeiron di Anassimandro
Il termine greco “ápeiron” venne coniato per la prima volta da
Anassimandro per definire l’infinito. Questo termine non
riassume pienamente il concetto di infinito ma indica qualcosa
che “non ha limite”, cioè “illimitato”. Anassimandro diceva:
“principio non è né l’acqua né un altro dei cosiddetti elementi,
ma una certa natura infinita”. L’apeiron non va concepito
come una miscela dei vari elementi, ma piuttosto come una
materia in cui gli stessi non sono ancora distinti e che perciò è
anche indefinita.
Secondo Anassimandro l’apeiron è elemento divino, in
quanto forza immortale ed indistruttibile, che abbraccia e
regge l’universo. Dall’infinito si generano realtà tra loro
differenti, addirittura contrarie, le quali si alternano sulla
scena del mondo, si tolgono spazio e si limitano
reciprocamente, pagando infine la loro “colpa” , ovvero il
limite, causa delle contrapposizioni.
Anassimandro
               Anassimandro nacque nel 611 e morì
               intorno al 547 a.C. Fu filosofo e si occupò
               anche di politica. Per primo tra i filosofi
               greci, scrisse un libro di filosofia naturale,
               denominato in tempi posteriori “Della
               natura”. S'interessò anche di astronomia e
               geografia e il suo mappamondo ebbe
               grande importanza: concepisce la Terra
               non più come una superficie piatta ma
               come un cilindro che si libra nel mezzo del
               mondo, privo di ogni moto per la sua
               equidistanza dagli estremi. Gli esseri viventi
               sono per Anassimandro originati dal mare
               e l'uomo stesso deriva da altri viventi più
               semplici.
Pitagora nacque a Samo nel 570 e morì nel 497. Venne in
Italia e fondò una scuola a Crotone che fu anche
un’associazione religiosa e politica e i suoi insegnamenti si
diffusero in tutta l’Italia meridionale.
Ai Pitagorici si deve la creazione della matematica come
scienza; riconobbero il numero come sostanza di tutte le
cose. Di conseguenza le opposizioni tra le cose si riducono
ad opposizioni tra numeri: dispari e pari.



                                  Il dispari è un’entità limitata, perfetta e
                                  simbolo del bene.

                                  Il pari è un’entità illimitata, imperfetta e
                                  simbolo del male.
I seguaci di Pitagora scoprirono che la diagonale di un
quadrato non ha una unità di misura comune con i lati
del quadrato; perciò la radice quadrata di due non può
essere espressa come rapporto di due numeri interi.
Questa scoperta fa crollare la costruzione sviluppata
dai pitagorici che poneva la scienza del numero alla
base di tutto.
Se i numeri sono insufficienti a descrivere le cose e in particolare i loro
rapporti si relega allora in posizione marginale la teoria dei numeri e si
va sviluppando una teoria che permetta di operare direttamente sui
rapporti.
Da questo momento in poi tutti i risultati sulle grandezze verranno
espressi sempre in termini di rapporto o proporzione. In altre parole, la
misura delle grandezze, tra le quali figurano le aree delle figure piane
e i volumi dei solidi, non verrà espressa con un numero ma
confrontando la grandezza in questione con altre grandezze simili, in
modo da stabilire una rete di relazioni quantitative.

Da ciò deriva il metodo di esaustione di Eudosso di Cnido.
Eudosso di Cnido
Eudosso di Cnido nacque nel 408 e morì nel 355 a.C.
Matematico e astronomo greco, cui sono attribuiti risultati di grande
importanza, fondamentali per il costituirsi della matematica come scienza. Era
studioso e studente di Platone.


                                  Secondo Archimede, egli sviluppò la
                                  teoria delle proporzioni che consentì
                                  di superare le difficoltà che si
                                  incontrano per trattare i numeri
                                  irrazionali; questa teoria sarà ripresa
                                  negli Elementi di Euclide e in sostanza
                                  consente di trattare rigorosamente
                                  i numeri reali pensati come rapporti di
                                  grandezze.
Il metodo di esaustione si proponeva di riempire, letteralmente, un’area
con delle figure note tali che la loro somma approssimasse l’area
cercata.
È un procedimento logico, simile alla quadratura, adoperato per
calcolare l'area di figure geometriche aventi contorni curvilinei (come
del caso del cerchio, o dell'area sottesa da un ramo di parabola e la
relativa corda).

“PRINCIPIO DI ARCHIMEDE”

Date due aree disuguali è
possibile, aggiungendo a se
stesso l'eccesso di cui la
maggiore supera la minore,
superare ogni area finita data.
Archimede pensa la figura come
costituita da una serie di fili
pesanti, paralleli tra loro.
Immagina poi nel piano una leva
PQ, il cui fulcro sia un punto
conveniente O di PQ, e fa credere
che se quei fili venissero trasportati
parallelamente ed applicati in P, essi
col loro peso farebbero equilibrio
ad un’altra figura S’, di area nota,
aventeil baricentro in Q . Dalla legge
di equilibrio della leva che egli, nella
sua prima opera,aveva scoperto e
dimostrato, Archimedericava il peso
applicato in P, e quindi l’area S .

La parte euristica del procedimento , per le nostre abitudini mentali di oggi ,
sta nell’avere sostituito la serie dei rettangoli approssimanti S, di cui
Archimede avrebbe fatto uso in una dimostrazione rigorosa , mediante una
serie di fili paralleli che costituiscono , per così dire , dei rettangoli
infinitesimi .
INTEGRARE = determinare un’area

In termini moderni si integra generalmente una funzione, ma in antichità
le funzioni non esistevano e i problemi di integrazione erano di natura
geometrica. Geometria e funzioni, apparentemente concetti distaccati,
hanno generato ed adottato lo stesso metodo di analisi.

Il procedimento adottato nell’antichità parte da un sistema di analisi
infinitesimale chiamato metodo di esaustione.

Archimede fu il primo ad affrontare problemi geometrici applicando
nozioni di meccanica e di statica, riuscendo addirittura a costruire un
metodo che anticipava di ben diciotto secoli il calcolo integrale.
Archimede
Archimede nacque a Siracusa nel 287 e morì nel 212 a.C.
Studiò ad Alessandria d'Egitto e rientrato a Siracusa, si applicò ai suoi studi: la
matematica, la fisica, la geometria, l’ottica e l’astronomia.
Il suo nome è legato a fondamentali studi dell’idrostatica (equilibrio dei liquidi) e
soprattutto sul calcolo delle aree e dei volumi.
Il padre Fidia molto stupito dall’intelligenza del figlio, decise di presentarlo al re
Gerone II, che lo tenne sempre in grande considerazione.


                              Nel 212 a.C. le truppe romane saccheggiarono la
                              città di Siracusa; un soldato entrò in casa di
                              Archimede e gli chiese chi fosse, ma Archimede,
                              preso dal suo lavoro, gli rispose male, quindi il
                              soldato sentendosi offeso lo uccise. Archimede
                              volle che sulla sua tomba fosse scolpita una sfera
                              racchiusa da un cilindro (che indicava il rapporto
                              fra il volume dei due solidi).
La dimostrazione di Archimede
La feconda ricerca di Archimede è considerata il punto culminante della
storia dei procedimenti infinitesimali nell’Antichità: Archimede calcola aree,
volumi, baricentri con tecniche spesso geniali, straordinariamente prossime
all’integrazione. Il ruolo essenziale del metodo di esaustione nel contesto
della ricerca geometrica archimedea è quello di garantire i risultati
inizialmente intuiti con tali metodi empirici, ovvero di conferire il definitivo
rigore alle loro dimostrazioni.
“Quel metodo, a differenza del processo di limite, non è un metodo analitico
di ricerca che conduca alla scoperta, ma fornisce solo il mezzo per
dimostrare, per assurdo, un risultato che si suppone già noto”
Questo aspetto è centrale dal punto di vista metodologico: il metodo di
esaustione non ha mai valore euristico (relativo alla ricerca).
Mediante esso Archimede non giunge ad un risultato, ma dimostra una tesi
che deve essere già supposta, intuita mediante procedimenti diversi.
Marazia Marica 3 D
 Magistro Roberto 3 D
Giannico Vincenza 3D
Sorressa Giuseppe 3H




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INFINITO E INFINITESIMO
 POTENZIALE E ATTUALE
Introduzione in campo
          filosofico

”C’è un concetto che corrompe e
  altera tutti gli altri. Non parlo del
  Male, il cui limitato impero è
  l’Etica; parlo dell’Infinito.”
                               J.L. Borges
Sin dai tempi dell’antica Grecia l’infinito è
stato al centro del dibattito filosofico, e per
primo fu identificato nel termine ”apeiron”
che vuol dire letteralmente ”senza limiti”, e
cioè ”illimitato”. Col passare degli anni,
questo concetto è stato interpretato in
modi differenti da una serie di filosofi-
matematici che hanno contribuito a
costruire l’immagine che ognuno di noi ha
dell’infinito: dalla sconvolgente scoperta
pitagorica dei numeri irrazionali alle ardite
teorizzazioni medievali, alla furia mistica di
Bruno e di Cusano, dalle innovazioni
scandalose di Cartesio, sino all’abbagliante
paradiso di Cantor.
Per Cusano l' infinito, l' assoluto, in ultima istanza Dio, non é
mai pienamente attingibile . Il concetto di dotta ignoranza vuol
  proprio sottolineare l' inattendibilità da parte dell' uomo dell'
     assoluto: il rapporto tra la nostra conoscenza e Dio (l'
 assoluto) é lo stesso che si instaura tra un poligono inscritto e
      la circonferenza alla quale é inscritto: il poligono e la
circonferenza , per definizione, non saranno mai uguali tuttavia
  man mano che si moltiplicano i lati del poligono ci si avvicina
  sempre di più alla circonferenza; così l' uomo può avvicinarsi
 sempre di più a Dio senza mai raggiungerlo definitivamente.
Nonostante le teorie di Bruno non fossero spiegabili
scientificamente ma basate su un metodo puramente
deduttivo, grazie alle scoperte tecnologiche della
Rivoluzione astronomica, si sono dimostrate più che
fondate mettendo le basi per ulteriori ricerche.
Secondo Bruno, l'universo è costituito da un'infinità di
mondi, i quali possono essere abitati come la Terra.
Mentre i singoli mondi sono in perpetuo divenire,
l'universo nel suo complesso è invece immoto ed eterno,
non avendo nulla al di fuori di sé e racchiudendo esso
stesso tutto l'essere. Dio, in quanto infinito, può creare
esclusivamente infinità. L'intelletto dell'uomo mira, conformemente all'essenza
dell'universo, alla conoscenza dell'infinito. L'infinità è il centro attorno al quale questo

ruota, senza peraltro poterlo mai raggiungere. Il moto dell'intelletto è perciò
sostenuto da un "eroico furore", che conduce ad una progressiva elevazione della
conoscenza e che culmina nell'unità col divino. Come ciascun mondo dell'universo è
al contempo centro e circonferenza, così ogni uomo è strumento dell'unico infinito
che lo condiziona, ma che è a sua volta condizionato dalla realizzazione all'infinito di
ciascuna potenzialità umana.
L’INFINITO COME POTENZA E ATTO

Greci: l’infinito è ciò che non è compiuto, o ciò che non ha
limite.
Il termine "infinito" non designa una realtà ma un processo, si
chiama infinito quello che ha sempre qualcosa oltre a sé
(concezione "operativistica" dell'infinito).

Infinito potenziale è qualche cosa che noi costruiamo
indefinitamente, ma non che esiste già come sistema dato di
tutte le cose.

Infinito attuale è qualche cosa realmente esistente come
tale in atto, introdotto successivamente nel neoplatonismo
con il concetto di iperuranio e poi entrato a far parte della
tradizione teologica e filosofica cristiana.
La "legittimità" del concetto di infinito attuale
è, sul piano propriamente logico, una
conquista recente dovuta essenzialmente ai
lavori svolti da Dedekind, il quale nel 1872 dà
la definizione di insieme infinito, e da Cantor,
il quale qualche anno dopo si accorge che
non tutti gli insiemi infiniti sono dello stesso
tipo, introducendo la nozione di numero
transfinito.
NUMERI TRANSFINITI
Introdotti da Georg Cantor servono a fornire un importante strumento
   di lavoro nella teoria degli insiemi.
Come per i numeri finiti vi sono due modi in cui la nozione di numero
   può essere estesa ai numeri transfiniti: come numeri ordinali e come
   numeri cardinali.
• Il più piccolo numero ordinale transfinito è ω.
• Il primo numero cardinale transfinito è Aleph-zero, cioè
   la cardinalità (numero degli elementi di un insieme) dell'insieme
   infinito dei numeri interi.
• Il successivo numero cardinale è Aleph-uno, .

L'ipotesi del continuo afferma che non esistono numeri cardinali
    intermedi tra Aleph-zero e la cardinalità del continuo, cioè la
    cardinalità dell'insieme dei numeri reali: questo equivale ad
    affermare che Aleph-uno esprime la cardinalità dell'insieme dei
    numeri reali.
A cura degli alunni
Posa Costantino Luca
 Capozzi Alessandro
    Ferrara Anna
  Ventaglini Daniela
   tutti della IV D alla copertina
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L’Infinito
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Funzioni

01 - Funzioni.

Una relazione f fra due insiemi A e B si dice che è una funzione se
soddisfa le seguenti due condizioni :
     1) D(f) = A
             (cioè il dominio della relazione deve essere uguale al primo
insieme A);
     2) Per ogni elemento di A esiste uno ed un solo elemento di B che gli
corrisponde
             (cioè ogni elemento del dominio deve avere un solo elemento
corrispondente, detto anche immagine, nel codominio)

Le funzioni sono quindi dei particolari tipi di relazione, cioè una funzione è
una relazione mentre una relazione non è in generale una funzione. Per
esserlo, una relazione, deve soddisfare le due condizioni precedenti.
Esempi (diamo direttamente i grafici
cartesiani delle relazioni) :
1.
la relazione f indicata nel grafico a destra
non è una funzione perché il dominio di f
non è uguale ad A .
2.
anche in questo caso la relazione f non è
una funzione perché
l'elemento c di A ha due immagini.
3.
la relazione f è in questo caso una
funzione.
Le funzioni sono fra gli oggetti più
importanti di tutta la matematica (così come
della fisica).
02 - Esempi di funzioni numeriche.

Con i numeri si fanno principalmente le quattro operazioni e l'elevamento a potenza. Non sempre,
però, queste operazioni hanno un risultato.
Non hanno risultato le seguenti operazioni :
     - la divisione di qualunque numero per 0 cioè : 1 / 0 , 2/ 0 , 10 / 0 , -1 / 0 , ... , 0 / 0
     - la potenza : 0 °
mentre bisogna ricordare che ogni numero (eccetto 0 ) elevato alla 0 dà 1 , cioè :
      1 ° = 3 ° = 10 ° = (-4) ° = ... = 1 .
Si ricordi anche che x ¹ = x .

Possiamo affermare che tutti i numeri, da meno infinito a più infinito, cioè l’insieme dei numeri
razionali e irrazionali, costituiscono l’insieme dei numeri reali. Essi si possono porre su di una retta
orientata (dotata di una freccia).

Una generica funzione numerica si indica con la scrittura :

                                                          y = f(x)

dove x è la variabile indipendente, appartenente al dominio della funzione, ed y è la variabile
dipendente, appartenente al codominio della funzione.
Il simbolo f(x) significa che se si dà un valore alla x , facendo i calcoli indicati dalla funzione stessa,
si ottiene un valore (uno solo !) della y .
Una funzione può "contenere" altre funzioni quali la radice quadrata, il seno, il coseno, la tangente, il
logaritmo, l'esponenziale ecc.
Data una qualunque funzione numerica è di fondamentale importanza
disegnarne il grafico cartesiano. E’ importante osservare che la
funzione e il suo grafico sono due cose distinte. Quindi non bisogna
confondere la funzione con il suo grafico.
La funzione, così come è scritta in termini simbolici, ci "dice" molto
poco. Il suo grafico, invece, ci dà in maniera visiva e sintetica tutte le
informazioni di cui abbiamo bisogno.
Ecco allora che lo studio di funzione, il disegnarne il grafico,
costituisce uno dei capitoli centrali di tutta la matematica. Riportiamo
qui come esempio i grafici di alcuni funzioni numeriche (li riportiamo
tutti su uno stesso sistema di riferimento).
2.1.   y = 1 , y = 2 , y = -1 , y = -2 , y = 0

Si tratta di rette parallele all'asse delle x , perché dando alla x
qualsiasi valore, si ottiene sempre una y costante. Si noti che
la funzione y = 0 coincide con l'asse delle x .
2.2.   y=x

 La funzione y = x rappresenta la retta bisettrice del I e
del III quadrante.
2.3.   y = -x

 La funzione y = -x rappresenta la retta bisettrice del II e del IV
quadrante.
2.4.   y = x/2 , y = 2x , y = 3x , y = -2x

Sono tutte rette che passano per l'origine 0 . Si noti che la
"pendenza" della retta y = 3x è maggiore di quella della retta y = 2x.
In generale, la pendenza è maggiore quanto più è grande in valore
assoluto (cioè privato del segno) il numero (coefficiente) che
moltiplica la x .
2.5.   y = mx

Possiamo affermare allora che ogni funzione del tipo y = mx , dove m è
un numero qualunque, rappresenta una retta che passa per l'origine.
Viceversa, ogni retta che passa per l'origine è rappresentata da una
funzione del tipo y = mx . Questa seconda affermazione è vera con
una sola eccezione :
- la retta che coincide con l'asse delle y non è rappresentabile da una
funzione di quel tipo, anzi non è neppure una funzione, perché al
valore x = 0 corrispondono infinite immagini (per cui cade uno dei due
presupposti perché una relazione sia una funzione).
Il fatto che la retta di equazione x = 0 (l'asse delle ordinate) non è una
funzione lo si può dedurre anche considerando che la retta y = mx
ha una pendenza che cresce al crescere del valore di m . Per valori di
m sempre più grandi, la retta tenderà a diventare verticale senza però
mai esserlo veramente. Solo se m avesse valore infinito, allora la
retta diverrebbe esattamente verticale, quindi coincidente con l'asse
delle y , ma l'infinito non è un numero, per cui nessuna funzione del
tipo y = mx può rappresentare una tale retta (verticale).

(per semplicità abbiamo disegnato solo le semirette del I quadrante).
2.6.    y = mx + p

Le funzioni di primo grado (in x ) sono le funzioni più semplici.
Esse sono riassumibili dalla espressione y = mx + p dove m e p
sono due numeri reali qualunque.

Per esempio :

       y = 2x + 1
       y = 3x - 2

Orbene, tutte le funzioni del tipo y = mx + p sono rappresentate
da una retta.
2.7.   y = f(x)

In generale, una qualunque funzione ad una sola variabile, è rappresentata
da una curva del piano. (vedi figura a destra)

Le rette viste sopra, in matematica, sono allora delle curve, anche se "dritte".
03 - Funzioni a due variabili indipendenti.

Le funzioni possono avere anche due variabili indipendenti. In questo
caso vengono simbolicamente indicate dall'espressione :
                                z = f(x, y)
dove le variabili x ed y , le variabili indipendenti appunto, possono
assumere valori qualunque mentre la variabile dipendente z è ottenuta
di conseguenza calcolando l'espressione matematica che caratterizza
la funzione stessa.
Vediamo come si rappresentano graficamente le funzioni a due variabili
indipendenti.
Prendiamo un sistema di assi cartesiani ortogonali a tre dimensioni 0xyz .
Diamo poi valori a caso alle variabili indipendenti x ed y . Otterremo diversi
punti del piano 0xy . Facciamo questo in modo da ottenere una certa regione
(dominio) del piano 0xy .
Abbiamo così individuato un insieme di coppie ordinate (x, y) . Adesso, per
ciascuna di queste coppie calcoliamo il valore z = f(x, y) . Otteniamo quindi,
per ogni coppia (x, y) un numero z . Immaginiamo allora che questo numero
z sia la "quota" di ciascuna coppia (x, y) . Otterremo allora una superficie
dello spazio.
Ogni funzione del tipo z = f(x, y) , a due variabili numeriche indipendenti,
rappresenta così una superficie dello spazio.
.


    04 - Funzioni iniettive, suriettive, biunivoche

    Torniamo ad una funzione ad una sola variabile indipendente y = f(x) che
    rappresenta una curva nel piano 0xy .
    Consideriamo che il dominio di questa funzione sia l'insieme A . Supponiamo
    che B sia un insieme di valori della y . Supponiamo che A ed B siano due
    intervalli (segmenti limitati). Si hanno allora alcuni casi di particolare importanza.

    •
• Una funzione si dice ingettiva se ogni immagine è
immagine di un solo elemento del dominio, ovvero se
non c'è nessun elemento del codominio che è
immagine di più elementi del dominio;



•Una funzione si dice surgettiva se il codominio
della funzione coincide col secondo insieme (nel nostro
caso B, cioè f(A)=B );



• Una funzione si dice biunivoca se è
contemporaneamente ingettiva e surgettiva.
05 - Invertibilità di una funzione.

Una relazione può essere sempre invertita e la relazione inversa si ottiene
invertendo tutte le coppie ordinate che fanno parte della relazione. Si ha allora
che il dominio della relazione diventa il codominio della relazione inversa e
viceversa.
Cioè se la coppia (a, b) appartiene alla relazione R, la coppia (b,a) apparterrà
alla relazione inversa R‾¹.
Graficamente, per "disegnare" la relazione inversa, basta fare l'immagine
speculare del grafico della relazione rispetto alla bisettrice del I e III quadrante :
L'immagine speculare può essere considerata anche come una rotazione di
180° rispetto alla suddetta bisettrice.
Proviamo allora ad invertire una funzione. Supponiamo che la funzione f sia
più a 1. Facendo l'immagine speculare del suo grafico rispetto alla bisettrice
del I e III quadrante si ha però una sorpresa "spiacevole" :
la funzione che si ottiene, f ‾ ¹ , non è più una funzione. Ad un elemento del
dominio corrispondono più elementi del codominio. Cade così uno dei
presupposti perché una relazione sia una funzione.
Proviamo adesso ad invertire una funzione biunivoca. In questo caso si
ottiene una funzione.
Abbiamo così scoperto un teorema della massima importanza in
matematica :
               "Una funzione è invertibile se e solo se è biunivoca".
06 - Altri esempi di funzione.

Seguono alcuni esempi di funzioni numeriche da A a B , dove A e B sono
indicati nei rispettivi grafici.
Ed ora due esempi di inversione di una funzione.
07 - Funzioni composte.

Consideriamo ora la funzione y = f(x) da A a B e la funzione z = g(y) da B a C

I loro grafici cartesiani, per esempio, siano :




Se rappresentiamo le due funzioni con i diagrammi di Venn otteniamo:




    (si noti che la rappresentazione con i diagrammi di Venn fornisce un altro
    interessante e "suggestivo" modo di visualizzare una funzione).
A questo punto ci chiediamo : è possibile "andare" da x a z direttamente,
senza passare da y ?
Basta considerare la funzione composta (detta anche funzione di funzione) :
                                    z = g(f(x))
che si ottiene sostituendo alla y di g(y) il suo valore f(x) :




La funzione composta quindi fornisce una "scorciatoia" matematica che lega
due funzioni, facendoci andare da x direttamente a z .
Con i diagrammi di Venn si ha :
Facciamo un esempio numerico di funzione composta.
Supponiamo che :

            y = f(x) corrisponda a y = 2x + 1
e
             z = g(y) corrisponda a z = y ² .

La funzione composta z = g(f(x)) sarà allora :

                        z = (2x + 1) ²

che si ottiene semplicemente sostituendo alla y di g(y) la f(x).
08 - Funzioni analitiche.
Le funzioni analitiche si possono classificare in base alla natura dell’espressione
nella quale compare la variabile indipendente x. ;
Si hanno
•Le funzioni algebriche che possono essere:
    a) razionali: se le operazioni che si devono eseguire sulla x sono solo quelle di
addizione, sottrazione, moltiplicazione, divisione ed elevamento a potenza di x ad
esponente intero.
    Le razionali si distinguono, a loro volta in:
     a.1. intere se la x non sta al denominatore e se l’elevamento a potenza di x non

    ha esponente negativo;
 Esempio:
    a.2. fratte se la x sta al denominatore oppure l’elevamento a potenza di x ha
    esponente negativo.
Esempio:
   b) Irrazionali: se si deve eseguire sulla variabile indipendente x
   l’operazione di estrazione di radice o l’elevamento a potenza di x con
   esponente frazionario (oltre alle abituali operazione). Anche le funzioni
   irrazionali possono essere intere e fratte.
Esempio:
•  Le funzioni Trascendenti: sono le funzioni goniometriche, le esponenziali,
   le logaritmiche (ma ci sono altre).
Esempio:


                                       Prospetto delle funzioni.

                                                                                       intere

                                                                   razionali

                                                                                       fratte

                                                algebriche

                                                                                  intere

                 funzioni analitiche                               irrazionali

                                                                                  fratte




                                                                        esponenziali

                                               trascendenti             logaritmiche

                                                                       goniometriche




                                                                                 Torna alla copertina

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Analisi infinitesimale

  • 1. Istituto d’Istruzione Superiore Statale “R. Canudo” Liceo Scientifico “R.Canudo” Gioia Del Colle PON 2010-11 C1 “Un approccio storico-epistemologico all’analisi infinitesimale” Esperto Nicola Filippopnio Tutor Stella Loredana Lippolis Dirigente Scolastico Rocco Fazio
  • 2. fonti e documenti elaborati per le lezioni funzioni epistemologia nell’apprendimento della matematica documentazione L’INFINITO evoluzione concetto limite Infinito infinito e infinitesimo relazione finale
  • 3.
  • 4. Insegnamento della matematica in Italia Dall'unità d'Italia alla prima guerra mondiale Nel 1867 si vollero introdurre nell’allora ginnasio superiore lo studio della geometria razionale e gli Elementi di Euclide come libro di testo di geometria; non si pensò che la sistemazione logica euclidea doveva costituire il punto d’arrivo e non il punto di partenza dello studio della geometria.
  • 5. Dopo la seconda guerra mondiale I principali progetti di riforma per la Scuola italiana dal 1945 furono i seguenti: 1945 Programmi dei governi alleati per la Scuola media, i Licei e gli Istituti magistrali. Nella Scuola media i riferimenti di carattere storico diventano opzionali ed il programma acquista un taglio pratico sperimentale. I programmi per i Licei, invece, non presentano particolari novità e così pure i programmi per il ginnasio. Ciò che muta nel ginnasio è l’adozione di una impostazione metodologica che conduca gradualmente i giovani alla piena consapevolezza dei concetti e delle proprietà. C’è comunque da rimarcare il fatto che le buone indicazioni metodologiche non trovano ampio consenso, né tra i docenti, né nei libri di testo.
  • 6. Programmi per gli Istituti Tecnici • Proposta di Riforma Gonella; Programmi della Consulta Didattica La Riforma prevedeva un ciclo medio triennale (con tre indirizzi: Classico, Tecnico, Normale) a seguito della Scuola elementare. Ai fini dell’elaborazione del Programma, fu costituita dal Ministero una Consulta Didattica, coordinata da Attilio Frajese. La Consulta stilò un programma secondo il quale « sarebbe opportuno evitare nelle prime classi del liceo l’introduzione di una sfilza di postulati, partendo invece da proprietà evidenti per avviare il processo dimostrativo. Inoltre la Consulta propose un’apertura verso le nuove correnti matematiche che stavano girando in Europa da circa dieci anni, affermano che sarebbe stato opportuno condurre lo studente alla rielaborazione critico-storica di qualche argomento precedentemente trattato, come saggio esemplificativo del processo ipotetico-deduttivo e del valore di rigore della matematica »
  • 7. Lo spirito innovativo che traspare dai programmi liceali e che vede la matematica come disciplina eminentemente formativa, viene meno nei programmi di Attilio Frajese per gli Istituti Tecnici, nei quali la matematica assume una valenza fortemente strumentale e subordinata alle materie professionali d’indirizzo.
  • 8. L'influenza bourbakista L’ondata bourbakista che ha travolto negli anni 1950 il mondo accademico e la Scuola Secondaria ha portato un cambiamento radicale di impostazione metodologica e di contenuti della didattica. Ciò può essere ad esempio verificato andando ad analizzare la variazione subita nel periodo dai programmi ministeriali e le conseguenti polemiche apparse su numerose riviste di settore.
  • 9. 1959 Gli anni ’60 si aprirono con vivaci dibattiti sull’insegnamento della matematica. Ci si chiede come gli sconvolgimenti che la matematica ha vissuto negli ultimi cinquant’anni, con la rapida transizione da una visione euclideo-kantiana ad una nuovo assetto assiomatico di matrice hilbertiano-bourbakista, debbano modificarne l’insegnamento. Nel 1959 a Royaumont, nei pressi di Parigi, si tiene un Convegno promosso dall’OECE, dal titolo Le nuove matematiche, con il preciso obiettivo di fare il punto sull’attuale situazione dell’insegnamento della matematica nella scuola secondaria. Durante una delle conferenze, Jean Dieudonné, uno dei fondatori di Bourbaki, lanciò il grido A bas Euclid ("abbasso Euclide"), a voler significare l’inattualità della geometria greca ma, più in generale, di tutto l’insegnamento tradizionale.
  • 10. 1960 Commissione di Dubrovnik (Ragusa) e Programmi Conseguenza diretta del Convegno parigino fu la costituzione di una Commissione incaricata di riscrivere i programmi per l’introduzione delle nuove matematiche, epurate dall’eredità ellenica, nei cicli della Scuola secondaria. Nel documento sono sottolineati l’unitarietà ed il superamento di una visione separata dell’algebra e della geometria. 1961 Convegno UMI -CIIM a Bologna. Costituisce la riposta italiana alle proposte di Dubrovnik (Ragusa). Viene sottolineata l’importanza di un aggiornamento dell’insegnamento della matematica. I partecipanti vengono invitati a stilare proposte che tengano presente il carattere di unitarietà che la disciplina ha assunto.
  • 11. 1962-1964 Vengono proposti programmi fortemente influenzati da una visione bourbakista della matematica. In particolare, nella premessa ai programmi proposti a Lido di Camaiore viene rilevata sia l’urgenza di mettere a disposizione degli insegnanti i necessari strumenti bibliografici, sia la necessità di organizzare corsi di aggiornamento da estendersi quanto più possibile alla totalità dei docenti liceali. I partecipanti al Convegno, dopo ampia discussione, si sono trovati concordi sul rilevare: • la funzione formativa della scuola liceale; • la necessità nella scuola liceale di un opportuno equilibrio delle discipline letterarie, artistiche, storiche, filosofiche, scientifiche (matematiche e sperimentali); • l’esigenza che tutte le discipline siano presenti nella scuola liceale come discipline formative e ordinate alla successiva specializzazione universitaria e non come strumento per la sola preparazione tecnica e professionale; • l’esigenza che la scuola liceale dia accesso a tutte le facoltà universitarie; l’esigenza di una adeguazione dei contenuti e dei metodi attraverso un rinnovamento aperto al progresso scientifico e culturale, pedagogico e didattico.
  • 12. 1966-1967 •Programmi di Frascati (proposte) •Ai due Convegni di Frascati, promossi dall’UMI-CIIM, parteciparono numerosi docenti universitari impegnati nella ricerca didattica e docenti di Scuola secondaria appositamente invitati. Al termine dei convegni furono formulati due programmi, uno per il Biennio (1966) ed uno per il Triennio dei licei (1967). •I programmi fanno riferimento a due finalità: •formare la mente del giovane introducendolo alla riflessione e al ragionamento matematico •fornirgli alcuni semplici, ma fondamentali strumenti di comprensione e di indagine.
  • 13. Programma formulato per il biennio liceale I Anno a) Nozioni elementari sugli insiemi e sulle corrispondenze. • richiami sui numeri naturali - quozienti - resto - divisibilità- algoritmo euclideo e numeri primi. • riesame comparativo delle operazioni con numeri interi (relativi) e razionali ed enunciazione delle relative proprietà formali. • espressioni letterali ed eguaglianze notevoli fra numeri rappresentabili da esse. • esercitazioni non complicate, nelle quali i numeri siano rappresentati anche da lettere, per richiamare l’aritmetica già studiata e abituare a semplificare le operazioni razionali. • ordinamento dei numeri interi e razionali - valori assoluti - proprietà formali delle diseguaglianze - classi di resto • partizione di un insieme e relazioni di equivalenza. b) Il piano come insieme di punti e le rette come suoi sottoinsiemi • proprietà di ordinamento della retta e partizione del piano. Segmenti, figure convesse: angoli e poligoni.
  • 14. II Anno a) Introduzione intuitiva dei numeri reali, enunciazione delle relative proprietà. • i polinomi (in una variabile, introdotti come funzione). Enunciato del principio di identità dei polinomi - operazioni con polinomi - algoritmo euclideo della divisione fra polinomi - il caso del divisore di primo grado; il teorema di Ruffini e le sue conseguenze. • generalità sulle equazioni - equazioni di primo grado in un'incognita - problemi relativi - frazioni razionali fratte. • coordinate cartesiane sulla retta e sul piano - applicazioni - diagrammi di semplici funzioni. • illustrazione su esempi tratti dalle teorie svolte di qualche struttura significativa come quelle di anello, gruppo, corpo ed eventuale reticolo, spazio metrico. b) Congruenze (oppure isometrie) - confronto di segmenti - perpendicolarità - traslazioni, rotazioni e simmetrie - applicazioni ai segmenti, agli angoli, ai triangoli e ai poligoni - circonferenza e cerchio -poligoni regolari - teorema di Talete e teorema di Pitagora.
  • 15. III Anno • Il piano vettoriale geometrico: combinazioni lineari, coordinate, traslazioni. • Sistemi di equazioni lineari in due incognite. • Equazione cartesiana della retta, sistema di due rette. • I radicali e le potenza con esponente razionale. Equazioni di secondo grado sopra il corpo reale. • Numeri complessi. • Prodotto scalare. • Elementi di trigonometria (seno, coseno, tangente). Teorema di addizione; teorema di Carnot, teorema dei seni). • Gruppo delle congruenze e delle similitudini del piano.
  • 16. IV Anno • Equazione cartesiana della circonferenza, dell’ellisse, dell’iperbole e della parabola. • Generalità sulle funzioni reali di variabile reale. Funzioni monotone e loro inverse. Funzione esponenziale e logaritmica. • Progressioni aritmetiche e geometriche. • Lo spazio come insieme di punti. Le rette e i piani come suoi sottoinsiemi. Incidenza e parallelismo. Semispazi. Spazio vettoriale geometrico. Estensione allo spazio del prodotto scalare. Perpendicolarità. Distanze. Angoli di rette e piani. • Limiti, continuità, derivate. Area delle figure piane: poligoni, cerchio. Lunghezza della circonferenza.
  • 17. V Anno • Solidi elementari e loro principali proprietà. • Integrale definito. Primitiva di una funzione. Volumi di solidi elementari. Aree delle superfici di rotazione. • Spazio vettoriale astratto. Suoi modelli e applicazioni. • Calcolo combinatorio. Elementi di calcolo delle probabilità e semplici applicazioni alla statistica, alla teoria degli errori, ecc...
  • 18. Ripensamenti e complementi (a titolo esemplificativo) •Geometrie non euclidee con riferimenti storico-critici sullo sviluppo del pensiero matematico. Ampliamento proiettivo dello spazio affine o euclideo e proprietà grafiche fondamentali. • Proprietà elementari delle coniche. Introduzione alla logica matematica. • Algebra di Boole. • Qualche tratto dell’evoluzione storica del pensiero matematico. • Cenni di teoria dei numeri. Varie forme di costruzione dei numeri reali. • Fondamenti della geometria. • Elementi di calcolo numerico. • Elementi di topologia con applicazioni alle matematiche elementari. • Elementi di geometria analitica dello spazio. • Elementi di teoria dei gruppi. Le trasformazioni elementari e i loro gruppi. • Sistemi di equazioni lineari. • Elementi della teoria dei giochi. • Aspetti algebrici dei problemi risolubili con riga e compasso. • Fondamenti della cinematica classica e della cinematica relativistica. • Equazioni di terzo grado ed equazioni di quarto grado. • Ricerca operativa. Programmazione lineare.
  • 19. Alcune polemiche In Italia i risultati raggiunti a Royaumont e a Dubrovnik non lasciarono indifferenti gli insegnanti della Scuola secondaria. Si intuì subito la necessità di prestare particolare attenzione per evitare che la matematica moderna non si presentasse come un capitolo nuovo riservato ad alcuni specialisti, ma come una concezione nuova di tutto l’edificio matematico. E, in attesa dei programmi ufficiali, ci si rese conto della necessità che ogni professore cercasse subito di completare le sue conoscenze, riflettesse sui problemi pedagogici che pone l’insegnamento degli elementi della matematica moderna, si compenetrasse della loro estrema importanza e apportasse la propria collaborazione alla ricerca delle soluzioni.
  • 20. Da questo momento in poi nella Scuola italiana è il caos. Del fatto che le “matematiche moderne” generassero nella Scuola italiana uno scompiglio senza precedenti, ci si rende conto immediatamente sfogliando le riviste dedicate alla didattica della matematica del tempo. Ad esempio, tra il 1965 ed il 1967 sulla rivista Archimede, si possono trovare interminabili serie di articoli che mettono a nudo il disagio degli insegnanti italiani nei confronti di una matematica che non hanno i mezzi per concepire e che provano imbarazzo nel cercare di trasmettere durante le lezioni.
  • 21. Posizione della Scuola Normale Superiore di Pisa La matematica bourbakista sicuramente non può non aver lasciato tracce in una istituzione così prestigiosa e ricettiva nei confronti delle avanguardie della ricerca scientifica ma è fuori dubbio che tali tracce non siano rintracciabili nelle prove che di anno in anno hanno selezionato gli aspiranti normalisti. Al massimo, scorrendo i temi di ammissione alla Scuola Normale Superiore di Pisa, si possono rintracciare cenni vaghi ai complementi e ripensamenti proposti nei convegni di Frascati . Si può ritenere che alla Normale fu chiara la distinzione tra Bourbaki e bourbakisti.
  • 22. Dal Piano Nazionale per l'Informatica alle ultime riforme 1966-1972 Ingresso dell’Informatica nell’istruzione Tecnica 1977-1979 Riforma della Scuola media 1987 avvio del Progetto P.N.I. 1989 Programmi P.N.I. per il Triennio
  • 23.
  • 24. L’evoluzione del concetto di limite e delle sue rappresentazioni •Il primo Autore ricordato nella storia dei procedimenti infinitesimali è Anassagora di Clazomene (500?-428 a.C.), autore del celebre frammento: •«Rispetto al piccolo non vi è un ultimo grado di piccolezza, ma vi è sempre un più piccolo, essendo impossibile che ciò che è, cessi di essere per divisione»(cit. in: Geymonat, 1970, p. 96). •Esso è riferibile ad una successione infinitesima: Anassagora descrive infatti una quantità che può essere indefinitamente ridotta, senza mai annullarsi. • METODO DI ESAUSTIONE e QUADRATURA DELLA PARABOLA ad opera di Archimede. •Trattato sulle “FLUSSIONI” di Newton. Sviluppo del calcolo infinitesimale parallelamente a Leibniz.
  • 25. Formulazione rigorosa di Cauchy «Quanto ai metodi, ho cercato di dar loro tutto il rigore che si esige in geometria, in modo da non ricorrere mai a dei ragionamenti tratti dalla generalità dell’algebra. Ragionamenti di questo tipo, benché ammessi abbastanza comunemente, soprattutto nel passaggio dalle serie convergenti alle serie divergenti e dalle quantità reali alle espressioni immaginarie, non possono essere considerati, mi sembra, che come delle induzioni adatte a far talvolta presentire la verità, ma che poco s’accordano con l’esattezza tanto vantata dellescienze matematiche» (trad. in: Bottazzini, Freguglia & Toti Rigatelli, 1992, p.326).
  • 26. • Cauchy voleva svincolare l’analisi dai procedimenti poco rigorosi (o scorretti) derivanti dall’applicazione teoricamente non fondata di metodi di comodo ed avvertiva la necessità di fondare tutti i concetti su definizioni precise. • Karl Theodor Wilhelm Weierstrass (1815-1897) diede la moderna definizione di limite e di funzione continua: egli affermò che la funzione y=f(x) è continua in x = c se per ogni reale e>0 si può trovare un d in modo che per ogni x tale che |x-c| < d si abbia |f(x)-f(c)| < e.
  • 27. La Matematica dell'infinito Accostare Infinito e Matematica può sembrare collegamento azzardato. L'Infinito, come pure il suo corrispondente temporale, l'Eterno, è tema adeguato per Religione, Filosofia o Letteratura, ma forse non per la scienza positiva. Meno che mai per la più positiva delle scienze e cioè la Matematica. Del resto, l'Infinito (in-definito, in-determinato) è, per sua stessa etimologia e natura, ed anche per la comune opinione, ciò che sfugge ad ogni possibile classificazione e misura, mentre la Matematica tende a (e pretende di) classificare e misurare ogni oggetto che esamina. Dunque, l'Infinito non è argomento da Matematica.
  • 28. In effetti, secondo una visione che risale ai tempi dell'antica Grecia e che si è mantenuta radicata nei secoli fin quasi ai nostri giorni, la Matematica è la scienza dei numeri naturali 0, 1, 2, ..., semmai allargata a quegli insiemi numerici - gli interi, i razionali - che ai naturali sono direttamente collegati. Pitagora sosteneva che il numero (naturale) è la base di tutto.Oltre due millenni dopo, Kronecker (1832-1891) ribadiva che gli interi positivi sono i soli numeri creati da Dio a voler significare che trattare altri contesti non standard, come quello dei reali, era quasi sacrilego
  • 29. Dunque la Matematica va a combaciare, in questa prospettiva, con l'Aritmetica dei numeri 0, 1, 2, ...: tutti rigorosamente finiti per natura e rappresentazione (a differenza dei reali, che scomodano allineamenti decimali senza limiti e confini). Si conferma così che non c'è spazio comune per Matematica e Infinito. Eppure, a smentire tutte queste pur ragionevoli premesse, va detto che la Matematica è stata capace nella sua storia più recente di intuire, accarezzare ed anche misurare l'Infinito, fin quasi a sognare di dominarlo completamente.
  • 30. Contare o confrontare? Dobbiamo riconoscere che l'Infinito non è tema completamente e costituzionalmente estraneo alla Matematica. Gli stessi numeri naturali 0, 1, 2, ... sono sì ciascuno singolarmente finito, ma costituiscono complessivamente un insieme infinito. La loro successione si snocciola senza limitazioni in una strada senza fine. Tuttavia, come già Aristotele osservava, bisogna esercitare un po' di finezza quando si parla di infinito e distinguere la sua forma potenziale da quella attuale: la prima è umanamente accessibile, la seconda no. In altre parole, possiamo certamente convenire che ci sono successioni senza termine di oggetti matematici, quali i numeri naturali, ed abbracciarne con la nostra percezione porzioni comunque grandi (l'infinito potenziale di cui sopra); ma, quanto ad afferrarne la totalità ed ad identificarla completamente come singolo ente (l'infinito attuale), ebbene, questo è un altro discorso, inaccessibile ai limiti della nostra mente umana. Per dirla in latino e dare così maggiore autorità alla citazione: infinitum actu non datur.
  • 31. Questo era il pensiero di Aristotele e, come tutti sappiamo, si trattava di opinione autorevole, non solo ai tempi dell'antica Grecia ma nei lunghi secoli successivi. Del resto, ancora nel 1831 (di nuovo, due millenni dopo Aristotele), colui che è comunemente riconosciuto il più grande matematico, e cioè Gauss, si esprimeva quasi negli stessi termini del suo illustre predecessore. In una lettera al suo allievo Schumacher, scriveva: io devo protestare veementemente contro l'uso dell'infinito come qualcosa di definito: questo non è permesso in Matematica. L'infinito è solo un modo di dire, ed intende un limite cui certi rapporti possono approssimarsi vicino quanto vogliono.
  • 32. Del resto, nei secoli da Aristotele a Gauss, vari spunti avevano introdotto in Matematica l'esigenza di studiare e definire l'infinito e, se è per questo, anche il suo inverso matematico (l'infinitesimo) nelle loro forme potenziali. Ad esempio, la necessità di garantire adeguate basi teoriche allo studio delle grandezze fisiche (come la velocità, la accelerazione e così via) aveva indotto già nel secolo diciassettesimo (e forse anche prima) Newton, Leibniz ed altri a fondare - con qualche imprecisione, qualche vaghezza e molte polemiche - il calcolo differenziale, il relativo studio delle derivate e, appunto, l'uso degli infinitesimi. L'obiettivo era quello di descrivere in termini matematici rigorosi il comportamento di una funzione quando il suo argomento si avvicina indefinitamente ad un punto, o supera ogni barriera verso l'infinito.
  • 33. GALILEI Ma che si può dire degli infiniti attuali? Negli stessi secoli, menti autorevoli avevano tentato di avventurarsi in questa zona proibita, avvertendone però le anomalie e concludendo che forse era il caso di lasciar perdere: è questo il caso di Galileo Galilei e di alcune sue riflessioni contenute nell'opera del 1638 e note con il nome di Paradosso di Galileo. Galileo considera i numeri naturali 0, 1, 2, 3 ... ed osserva che l'insieme (infinito) dei loro quadrati 0, 1, 4, 9, ... è certamente più piccolo e, pur tuttavia, contiene tanti elementi quanti erano i numeri di partenza, perché ad ogni numero corrisponde in modo biunivoco il suo quadrato.
  • 34. Galileo conclude: io non veggo che ad altra decisione si possa venire che a dire infiniti essere tutti i numeri, infiniti i quadrati, ... né la moltitudine de' quadrati essere minore di quella di tutti numeri, né questa essere maggiore di quella, ed, in ultima conclusione, gli attributi di eguale, maggiore e minore non aver luogo negl'infiniti ma solo nelle quantità terminate, ed aggiunge: queste son di quelle difficoltà che derivano dal discorrer che noi facciamo col nostro intelletto finito intorno all'infinito, dandogli quegli attributi che noi diamo alle cose finite e terminate; il che penso che sia inconveniente. Al di là di questa conclusione, le riflessioni di Galileo contengono, magari solo in germe, suggerimenti stimolanti su come potremmo pretendere di misurare l'infinito
  • 35. Dunque, all'infinito possiamo, se non contare, confrontare e decidere se due insiemi sono o no ugualmente numerosi. L'idea è brillante e sottile ed induce alla tentazione di approfondire. Pur tuttavia, c'è una obiezione che sorge abbastanza spontaneamente: ne vale realmente la pena? In effetti, si potrebbe sostenere che gli insiemi infiniti sono tutti, appunto, infiniti, e come tali hanno forzatamente lo stesso numero (infinito) di elementi. È dunque inutile soffermarsi in questo genere di confronti, l'infinito appiattisce tutto. L'esempio dei numeri e dei quadrati (i secondi apparentemente molto minori dei primi) sembra confermarlo.
  • 36. L’albergo di Hilbert C'è un altro famoso argomento che corrobora questa impressione e va sotto il nome di Albergo di Hilbert. Si tratta, infatti, di un esempio che David Hilbert (1862-1943) adoperava per divulgare presso i non addetti ai lavori le sottigliezze di questa analisi dell'infinito. Lo ricordiamo brevemente. Gli alberghi di questo mondo sono tutti finiti Supponiamo allora di avere un albergo completo, in cui ogni stanza N ha già il suo ospite N. Se ad un'ora della notte arriva un nuovo cliente in cerca di sistemazione, il portiere dovrà dichiarargli con rammarico di non poterlo ospitare ed indirizzarlo ad altro ricovero. Ma ammettiamo per un attimo di volare nell'albergo del Paradiso : l'albergo è ovviamente infinito, come si addice a tutto quel che è trascendente. Gli ospiti che lo popolano sono anch'essi infiniti e lo riempiono completamente. Abbiamo dunque il problema di trovare un posto. "Non preoccupatevi" ci direbbe San Pietro "sistemiamo: l'ospite 0 nella camera 1, l'ospite 1 nella camera 2, ... l'ospite N nella camera N+1, ... e vi liberiamo la camera 0". Il tutto è lecito perché l'albergo è infinito
  • 37. Gli insiemi di CANTOR Ma chi diede la svolta fondamentale e decisiva all'intera questione fu Georg Cantor (1845-1918):egli considerò varie coppie di sottoinsiemi infiniti della retta reale R (e non solo) cercando possibili biiezioni.
  • 38. Ad esempio, osservò che ci sono tanti punti nell'intera retta quanti nel segmento aperto ]0, 1[ (che pure è per altri aspetti enormemente più piccolo. Altri casi furono esplorati da Cantor. Ne elenchiamo alcuni particolarmente significativi. L'insieme N dei naturali 0, 1, 2, ... si potrebbe valutare ad occhio come la metà dell'insieme Z di tutti gli interi ...-2, -1, 0, 1, 2, ...; ma sono infiniti entrambi, ed in effetti è possibile determinare una corrispondenza biunivoca f che li collega. Basta osservare che i naturali, a loro volta, si suddividono a metà tra pari 0, 2, 4, ... e dispari 1, 3, 5, ... e dunque trasformare gli interi non negativi nei primi e quelli negativi nei secondi. Lo stesso può dirsi di naturali N e razionali Q: tra i due insiemi c'è una corrispondenza biunivoca. Questo fu l'ingegnoso argomento con cui Cantor provò nel 1895, in un articolo sui Mathematische Annalen, che i naturali sono tanti quanti i razionali (in realtà Cantor aveva già raggiunto questa conclusione nel 1874 sul Journal für Mathematik.
  • 39. Un altro sorprendente risultato di Cantor collega il quadrato, o anche il cubo, con il suo lato: l'uno e l'altro hanno lo stesso "numero" di punti. Il teorema fu provato nel 1877 e suscitò incredulità e smarrimento tra i matematici dell'epoca. Lo stesso Cantor ne rimase in un certo senso sorpreso e lo commentò in una lettera a Dedekind con le parole: "lo vedo, ma non lo credo". La ragione di tanto stupore è facile da capire: il risultato sembra confondere curve, superfici e volumi e dunque enti geometrici di dimensione 1, 2 e 3 abolendo ogni distinzione al riguardo e, in definitiva, minando le basi stesse della Geometria. Ma si trattava (e si tratta) solo di un'impressione superficiale, comprensibile in tempi che non avevano ancora sviluppato compiutamente il concetto di spazio topologico. Come Dedekind osservò lucidamente, le biiezioni di Cantor sono - appunto - solo biiezioni e non hanno né pretendono di avere quel requisito di continuità che, se sussistesse, andrebbe a contraddire tante assodate certezze. Segmento, quadrato, cubo hanno lo stesso numero di punti, ma non sono per questo tra loro omeomorfi.
  • 40. Nel Paradiso di Cantor Nel 1874, Cantor dimostrò che, al contrario di quel che tutti gli esempi precedenti lasciano presagire, non tutti gli infiniti sono uguali ci sono più possibili modi di essere "infinito". In particolare, i punti della retta reale R non sono tanti quanti i numeri naturali N (diagonalizzazione). Non c'è corrispondenza biunivoca possibile tra i due insiemi. In verità Cantor aveva già intuito una prima dimostrazione di questa sorprendente novità già nel 1873 ma aveva atteso il parere e i suggerimenti di Dedekind per pubblicarla. Visto che gli insiemi infiniti non sono tutti in corrispondenza biunivoca tra loro, ha senso classificarli proprio tramite il "numero" dei loro elementi. A questo fine, Cantor sviluppò la teoria dei numeri cardinali.
  • 41. BIBLIOGRAFIA [1] Galilei G., Discorsi e dimostrazioni matematiche intorno a due nuove scienze, Elzeviri, Leida, 1638; Barbera, Firenze, 1898. [2] Leonesi S., Toffalori C., Il problema del continuo, Archimede, num. 2, 2003.
  • 42. Intervista a Paolo Zellini Riportiamo un'intervista a Paolo Zellini in occasione del Festival della Matematica di Roma. Paolo Zellini, professore di Analisi Numerica presso l’Università di Roma 2 e docente presso il CNR di Roma, è autore del fortunato Breve storia dell'infinito, considerato da Calvino una delle migliori letture mai fatte.
  • 43. Professor Zellini, lei sostiene che la matematica è nata per comunicare con gli dei e poi è diventata la lingua per descrivere il cosmo. E oggi? «Dopo che gli dèi si sono eclissati, la matematica è stata a lungo vicino all’unico Dio. Agostino diceva che numero e Sapienza sono la stessa cosa e oggi Benedetto XVI si sforza di spiegare che il Logos cristiano deve comprendere quel sapere matematico che era stato parte integrante del logos greco. In epoca moderna la matematica ha ereditato dalla filosofia e dalla teologia diverse questioni, come l’esistenza dell’infinito e il principio di continuità nella catena dell’essere. Per decifrare simili questioni i matematici hanno messo in campo strumenti di ineguagliabile potenza, ma perdendo la pietas che aveva spinto Eratostene a fare un’offerta agli dèi per aver imparato a raddoppiare un cubo».
  • 44. La «pietas» ha lasciato il posto alla complessità, che sta trasformando tutte le scienze? «Sforzandosi di dare una misura della complessità dei processi di calcolo, la matematica si è proposta di rispondere a domande fondamentali, come quella su cosa può o non può fare il calcolatore. Sorprendentemente, ci sono problemi di semplice formulazione, ma con un’esplosione combinatoria che li rende praticamente insolubili. Dopo i risultati di Gödel sull’incompletezza dell’aritmetica, si toccano di nuovo i limiti della scienza».
  • 45. Può spiegare a un non addetto ai lavori che cosa fa un matematico? «Il matematico risolve dei problemi, ma l’unico modo per capire di quali problemi si tratta e con quali strumenti cerca di risolverli sarebbe quello di occuparsene. Si capisce la matematica solo “facendola”. Si può comunque dire che cosa non fa».
  • 46. Vale a dire? Che cosa non fa? «Non esegue lunghi conteggi e anzi si sforza di trovare eleganti teorie che servano a evitarli». Dalla filosofia all’Ipod la matematica permea tutto: sono i numeri l’occulto motore della globalizzazione e del progresso? «La matematica, in effetti, entra in ogni cosa: dai suoi teoremi dipendono l’elaborazione di immagini, il volo degli aerei, l’uso dei motori di ricerca, i modelli dell’economia. Parlare di progresso è tuttavia un po’ rischioso. La matematica è potente, ma non è detto che accresca un vero progresso. Molti scienziati, quando si accorgevano di contribuire a grandi rivoluzioni, hanno avvertito una sorta di catastrofe imminente. Norbert Wiener, uno dei padri della cibernetica, aveva la sensazione di difendere un’enclave di razionalità contro un universo caotico e sapeva che ogni scoperta poteva costringere a complicate rincorse per fronteggiarne i possibili effetti».
  • 47. Lei dice addirittura che le attuali tecniche di calcolo si rifanno alla logica antica. In che senso? «Il calcolo degli ultimi decenni si è sviluppato intorno a due pilastri: le equazioni della fisica matematica e il concetto di algoritmo. Gli algoritmi servono, tra l’altro, a tradurre le equazioni in puro calcolo aritmetico eseguibile da un calcolatore. Ecco perché questi possono assomigliare a procedure elementari del calcolo antico: in entrambi entrano in gioco le operazioni fondamentali del calcolo aritmetico, che stanno a loro volta alla base della “computatio” algebrica moderna e dell’analisi matematica. Questi atomi di calcolo sono elementari, ma non altrettanto sono i problemi che possono sollevare, se ci si chiede quale sia il grado di efficienza necessaria perché siano eseguibili in modo automatico. La somiglianza tra algoritmi antichi e moderni è comunque sorprendente. In molti metodi che servono a risolvere complessi sistemi di equazioni si ripetono gli stessi schemi della matematica indiana, cinese, greca e mesopotamica. Tra questi, occupa un posto preminente lo gnomone quadrato, la figura a squadra che aggiunta o tolta a un quadrato genera un altro quadrato, più grande o più piccolo. In un prolungamento algebrico di questa figura consistono essenzialmente i metodi per risolvere un’equazione usati dai matematici arabi e poi da Viète e da Newton. Da questi metodi, in buona parte, è dipeso lo sviluppo dell’algebra e dell’analisi».
  • 48. Perché la matematica è considerata come la disciplina più innaturale? «In realtà la matematica è difficile anche per i matematici: basti pensare ai problemi irrisolti da lustri o da secoli e alla difficoltà di pensare per mezzo di manipolazioni di simboli, che sono già l’abbreviazione di concetti complessi». (Fonte: La Stampa)
  • 50. L’infinito non è solo un concetto matematico, ma ha sempre ispirato scienziati, filosofi e artisti sia perché rappresenta una sfida per l’intelletto, sia perché nel corso dei secoli gli sono stati attribuiti i più diversi significati simbolici. Già Anassimandro, nel VI secolo a.C., pone come origine del mondo l’apéiron, un’unica realtà originaria infinita, o più letteralmente non-limitata, da cui hanno origine le coppie di opposti che governano il mondo: caldo e freddo, asciutto e umido, e così via. L’infinito, dunque, è un principio, anche perché, avvisa Aristotele, “ogni cosa o è principio o deriva da un principio: ma dell’infinito non c’è principio, ché sarebbe il suo limite.”
  • 51. Dunque l’infinito è il principio senza limiti, da cui deriva ogni cosa e che non ha una forma che lo contenga. Viene alla mente il chaos che, secondo la tradizione orfica, rappresenta il principio di tutto; letteralmente chaos significa “spalancato”; il principio sarebbe un’apertura, uno spazio cavo e buio, un qualcosa di indistinto, un senza-forma. L’infinito rappresenta allora ciò che non è generato ma che può generare qualunque forma, proprio perché esso non ha forma: è indefinito, è una potenzialità assoluta. Per i pitagorici, ci testimonia Filolao, la comprensione dell’universo avviene grazie al numero: “è la natura del numero che fa conoscere e insegna ad ognuno tutto ciò che è dubbio e ignoto”. Senza la natura del numero, che è una quantità finita, “tutte le cose sarebbero illimitate e oscure e incomprensibili”: l’infinito assume una connotazione negativa ed è associato alla mancanza di conoscenza.
  • 52. Questo concetto è ripreso da Aristotele, per il quale l’infinito è “ciò al di fuori di cui, se si assume come quantità, è sempre possibile assumere qualche altra cosa”; quindi è ciò che non è completo e che, per definizione, non può essere completabile. Il concetto di infinito si oppone, così, a quello di intero “al di fuori di cui non c’è nulla”, e che, perciò, è perfetto. Aristotele si pone, così, in contrasto con Anassimandro, il cui infinito è immutabile ed eterno, e quindi ha tutte le caratteristiche della divinità. Aristotele, inoltre, distingue l’infinito in atto da quello in potenza; solo il secondo esiste: possiamo pensare all’infinito solo come a qualcosa che continuamente diviene ma che mai raggiunge il suo essere infinito. Un esempio di infinito in potenza è la serie dei numeri naturali, che possono essere pensati sempre più grandi di ogni quantità definita, ma il termine ultimo non viene mai raggiunto. Un esempio moderno, invece, di infinito in atto è l’insieme di tutti i numeri razionali (cioè di tutte le frazioni) compresi fra 0 e 1: dati due numeri razionali, ne esiste sempre un terzo che si trova fra i primi due (ad esempio la loro media); quindi fra due numeri razionali sono compresi sempre infiniti altri numeri razionali.
  • 53. Dunque Aristotele ammette solo l’infinito in potenza, che, relativamente alle grandezze fisiche, può essere di due tipi: quello che si ottiene raddoppiando ripetutamente la grandezza di un corpo e quello che si ottiene dimezzando ripetutamente la grandezza di un corpo. L’infinito del primo tipo non è ammissibile, perché si otterrebbe un ente materiale infinito che non può esistere né può essere immaginato: “Se, difatti, si chiama corpo ciò che è limitato da una superficie, non potrebbe esserci corpo infinito né come intelligibile né come sensibile”; inoltre, poiché ogni elemento ha caratteristiche sue proprie (ad esempio l’aria è fredda e il fuoco è caldo), se un elemento fosse infinito distruggerebbe le caratteristiche che con esso contrastano, ma ciò, evidentemente, non è possibile.
  • 54. Con l’infinito del secondo tipo, invece, un corpo può essere diviso a metà, e poi ancora a metà, superando in piccolezza qualunque grandezza, ma senza mai raggiungere un limite ultimo. Quindi l’infinito applicato alle grandezze può essere solo un infinito per divisione, un infinito comunque limitato da una forma.
  • 55. L’infinito aristotelico manca di quella caratteristica fondamentale che si trova in Anassimandro che è il suo essere illimitato: “come la materia così anche l’infinito è contenuto all’interno e la forma lo contiene”. Sembra che Aristotele, non potendo negare l’infinito senza cadere in paradossi - come un tempo che abbia inizio e fine o grandezze che non siano divisibili o numeri che non possono essere superati – lo accetta cercando di “addomesticarlo”, di eliminare la sua carica distruttrice ponendolo all’interno di una forma e permettendogli di essere solo in potenza. Anche da ciò deriva l’universo aristotelico formato da sfere concentriche al centro delle quali si trova la Terra: un grande contenitore, un cosmo ordinato, finito e, soprattutto, limitato dal cielo estremo delle stelle fisse.
  • 56. Bisogna aspettare il XVI secolo affinché l’infinito diventi un simbolo positivo, in quanto espressione dell’infinita bontà del creatore. Troviamo, così Thomas Digges, che nel 1576 scrive che il cielo delle stelle fisse “si estende verso l’alto in altezza sferica infinita”, e al “potere e maestà infiniti [di Dio] conviene solamente questo luogo infinito”. E Giordano Bruno sostiene che “così si magnifica l’eccellenza di Dio, si manifesta la grandezza dell’imperio suo: non si glorifica in uno, ma in soli innumerevoli: non in una terra, un mondo, ma in duecento mila, dico in infiniti.”
  • 57. Qulche secolo dopo verrà fondata la teoria dei numeri transfiniti con la presenza di un infinito attuale, che Cantor, andando sia contro la tradizione aristotelica che contro alcuni suoi illustri colleghi contemporanei, sosteneva potesse essere reale. Una sua dimostrazione dell’esistenza di un infinito attuale,parte dal concetto di Dio e arriva, in primo luogo, alla conclusione della possibilità di unTransfinitum ordinatum traendola dall’altissima perfezione della natura divina; deduce quindi dalla sua potenza e bontà infinita la necessità di una creazione effettivamente compiuta di un Transfinitum.
  • 58. In queste parole si sente l’eco di Giordano Bruno, che associa l’idea di infinito a quella di divino, e che giustifica l’esistenza di un ente infinito con la necessità di trovare nella creazione qualcosa che rispecchi “l’eccellenza di Dio”. L’infinito ha ispirato significati contrastanti ed estremi, è stato invocato come simbolo del divino o come espressione di una inaccettabile inconoscibilità; oggi, tuttavia, in un periodo in cui le discussioni sui fondamenti sembrano appartenere a un passato superato e la giustificazione dei risultati scientifici si basa pragmaticamente sul fatto che essi funzionino, l’infinito è diventato un concetto che ha una natura puramente quantitativa.
  • 59. E forse vale la pena osservare che… Il fatto che la ricerca scientifica sia riuscita a riconoscere in modo preciso i limiti delle sue possibilità, ci sembra una prestazione dello spirito umano, più grande della tecnicizzazione del nostro mondo, tanto spesso ammirata. Queste son di quelle difficoltà che derivano dal discorrer che noi facciamo col nostro intelletto finito intorno a gl'infiniti, dandogli quelli attributi che noi diamo alle cose finite e terminate; il che penso che sia inconveniente, perché stimo che questi attributi di maggioranza, minorità ed egualità non convenghino a gl'infiniti, de i quali non si può dire, uno esser maggiore o minore o eguale all'altro.
  • 62. L'infinito (dal latino finitus, cioè "limitato" con prefisso negativo in-) in filosofia è la qualità di ciò che non ha limiti o che non può avere una conclusione perché appunto infinito, senza-fine. Moltissimi pensatori, filosofi e scienziati hanno da sempre avuto a che fare con il concetto di infinito, in modi e forme tra loro diverse, in contesti diversi e con significati diversi, ma tra loro intrecciati.
  • 63. E’ utile notare come, sostanzialmente, il concetto di infinito si sia sempre presentato in tre forme diverse: un infinito fisico (relativo, ad esempio, alle dimensioni dell’universo), un infinito metafisico (relativo, ad esempio, a Dio) ed un infinito matematico (relativo, ad esempio, ai numeri). La posizione che si può assumere di fronte a questi tipi di infinito non può essere intermedia: o è positiva, o è negativa (vale a dire: o l’infinito esiste, in una di queste tre forme, oppure non esiste).
  • 64. L’INFINITO NELLA CULTURA ROMANTICA A partire dall’ottocento, l’età del romanticismo, all’infinito - identificato con l’Assoluto - viene definitivamente accordata una posizione centrale in molti sistemi filosofici, ma anche nell’immaginario collettivo. Tipica dell’uomo romantico è la SEHNSUCHT, ovvero quella ‘tensione all’infinito’ caratterizzata da uno stato di irrequietezza e incessante sforzo nel ricercare qualcosa di irraggiungibile e illusorio, come illusoria è la convinzione di poter superare le barriere del finito, la caducità delle cose.
  • 65. La filosofia di Hegel costituisce indubbiamente una delle più originali filosofie positive dell’infinito nell’età moderna, di stampo romantico. La realtà è un organismo unitario di cui tutto ciò che esiste è manifestazione e momento necessario, perciò tale organismo coincide con l’Infinito o con l’Assoluto, mentre le sue manifestazioni corrispondono al finito.
  • 66. La realtà è l’intero, la totalità che supera ogni opposizione: é l’infinito, sintesi di tutte le determinazioni finite. Il problema più grosso, per Hegel, è quello di superare la scissione tra il finito e l’infinito, che sembra caratterizzare la realtà. Nella ‘Fenomenologia dello Spirito’ la coscienza diventa infelice perché é consapevole della limitatezza dell’individuo, del finito, rispetto all’eternità e all’infinità del divino. L’uomo si sente nulla dinnanzi all’assoluto, ed è convinto dell’impossibilità di superare questa scissione.
  • 67. Neanche la natura, l’arte e la religione sono i luoghi privilegiati dell’infinito: essi si limitano ad intuirlo, senza eliminarne il carattere trascendente. E’ solo nella filosofia, territorio della ragione dialettica, che si può raggiungere e comprendere l’Assoluto, ricostruendo - attraverso il movimento dialettico - il processo di realizzazione della ragione stessa nella realtà (e quindi anche dell’Assoluto, in cui è compresente il divino e il razionale).
  • 68. Nei secoli da Aristotele a Gauss, vari spunti avevano introdotto in matematica l'esigenza di studiare e definire l'infinito. Ad esempio, la necessità di garantire adeguate basi teoriche allo studio delle grandezze fisiche aveva indotto già nel secolo diciassettesimo (e forse anche prima) Newton, Leibniz ed altri a fondare - con qualche imprecisione, qualche vaghezza e molte polemiche - il calcolo differenziale, il relativo studio delle derivate e, appunto, l'uso degli infinitesimi.
  • 69. ISAAC NEWTON Nel suo “Tractatus de quadratura curvarum” Newton considerava le quantità matematiche come descritte da un moto continuo, e le linee generate dal moto continuo dei punti. Secondo lui questa genesi aveva luogo nella natura delle cose, riconoscibile nel moto dei corpi. 1642 - 1727
  • 70. GOTTFRIED WILHELM LEIBNIZ Il primo matematico ad utilizzare il termine funzione in un suo manoscritto del 1673 fu Leibniz nella sua opera “Nova methodus promaximise et minimis Itemque tangentibus, qua nec irrationales quantitates moratur” (Nuovo metodo per trovare i massimi e i minimi, e anche le tangenti, non ostacolato dalle quantità irrazionali). Con questo termine indicava una quantità 1646 - 1716 che varia da punto a punto in una curva.
  • 71. In seguito la storia del concetto di infinito ha trovato i suoi più concreti sviluppi con i fondamentali contributi di K. Gauss, K. Weierstrass, G. Cantor, J. Dedekind, L. Brouwer, e D. Hilbert. E’ opportuno, però, prima di introdurre l’analisi infinitesimale, distinguere l’infinito potenziale e l’infinito attuale.
  • 72. L'infinito potenziale è rappresentato da estensioni, o quantità o collezioni o classi senza fine: dato un insieme finito qualunque di elementi, ce ne è sempre uno diverso. I numeri naturali sono, nel giudizio unanime, una collezione potenzialmente infinita. Se invece ammettiamo che i numeri naturali siano una serie finita di numeri, il processo del calcolo volgerà a un termine. Quindi non esiste una potenziale infinità di numeri e perciò l’infinità è in atto.
  • 73. Sebbene già introdotto dai paradossi di Zenone (nel V secolo a.C.), l’infinito matematico deve attendere il seicento per una sua elaborazione più sistematica. L’analisi infinitesimale, dovuta soprattutto a Leibniz e a Newton, nasce dalla necessità di trovare una soluzione a problemi quali l’individuazione delle caratteristiche di una curva, il metodo di tracciare le tangenti nei suoi punti, il calcolo di aree e volumi, la determinazione della velocità nello studio del moto dei corpi.
  • 74. Il calcolo infinitesimale si occupa di studiare il comportamento di una curva tramite le nozioni di continuità e limite. I “compiti” sono divisi tra il calcolo differenziale e il calcolo integrale. Entrambe, però, riconducono all’operazione fondamentale, ovvero il calcolo del limite.
  • 75. Il calcolo differenziale si occupa dell’individuazione delle rette tangenti in ogni punto della curva, attraverso lo studio della derivata. Per ottenere una definizione valida in generale, ci si avvale del concetto di limite. Data la funzione y = f(x), sia A un punto di ascissa x = c appartenente alla sua curva rappresentativa. Si ha: A(c; f(c)). Se l’ascissa c del punto A viene incrementata di un valore h positivo arbitrariamente “piccolo “, che Newton chiamava evanescente, in corrispondenza, la funzione passa dal valore f(c) al valore f(c + h).
  • 76. Il rapporto: è anche il rapporto tra dy e dx, ovvero il coefficiente angolare della retta tangente. Quindi, data una funzione f(x), definita in un intervallo [a,b], si chiama derivata di f(x) nel punto c interno all’intervallo il limite, se esiste ed è finito, per h che tende a 0, del rapporto incrementale:
  • 77. Il calcolo integrale è legato al calcolo delle aree di superfici delimitate da curve; effettua la somma di infinite parti piccole quanto si vuole (parti infinitesime). Considerata una funzione y = f(x), il cui grafico sia quello rappresentato in figura, il calcolo dell’area della superficie delimitata dai segmenti AB, AC, BD e dall’arco CD di curva si ottiene dividendo il segmento AB in parti uguali, e sommando i rettangoli ottenuti. Più sono le n parti in cui viene diviso il segmento AB, più la somma delle aree dei rettangoli si avvicinerà all’area del trapezoide. L’area del trapezoide allora è data dalla somma di infiniti termini infinitesimi che si indica con: ∫f(x)dx.
  • 79. D'Alembert diede una formulazione del concetto di limite. Nell'articolo "limite" scritto per l'Encyclopédie chiamava una quantità limite di una seconda quantità (variabile) se questa seconda quantità si avvicinava alla prima così tanto che la differenza fosse inferiore a qualsiasi quantità data (senza effettivamente coincidere con essa). L'imprecisione di questa definizione la rese JEAN BAPTISTE LE ROND inaccettabile per i suoi D’ALEMBERT (1717 – 1783) contemporanei.
  • 80. E’ però a Cauchy che si deve la prima elaborazione scientifica del concetto di limite. Egli assunse come fondamentale il concetto di limite di D'Alembert, ma gli conferì una maggiore precisione: "Quando i valori successivi attribuiti a una variabile si avvicinano indefinitamente a un valore fissato così che finiscono con il differire da AUGUSTINE LOUIS questo per una differenza piccola CAUCHY(1789 – 1857) quanto si vuole, quest'ultimo viene detto il limite di tutti gli altri".
  • 81. Cauchy si era impegnato in un sistematico lavoro di ricostruzione rigorosa dei concetti fondamentali del calcolo differenziale. Il progetto culturale di Cauchy appare chiaro: egli voleva svincolare l’analisi dai procedimenti poco rigorosi (e talvolta nettamente scorretti) derivanti dall’applicazione teoricamente non fondata di metodi di comodo. La Théorie des fonctions analytiques era stata una delle opere più studiate dal giovane Cauchy. Se egli ora concordava con Lagrange sulla necessità di fondare in modo rigoroso il calcolo infinitesimale, senza limitarsi a giustificarne i metodi con il successo nelle applicazioni o il ricorso a considerazioni intuitive, ne prendeva tuttavia apertamente le distanze quando si trattava di individuarne i fondamenti: gli argomenti di natura algebrica erano liquidati come “delle induzioni adatte a far talvolta presentire la verità, ma che poco s’accordano con l’esattezza tanto vantata delle scienze matematiche”.
  • 82. L'obiettivo era quello di descrivere in termini matematici rigorosi il comportamento di una funzione quando il suo argomento si avvicina indefinitamente ad un punto, o supera ogni barriera verso l'infinito. Proprio all'epoca di Gauss, l'opera di Cauchy e Weierstrass aveva prodotto (neanche due secoli dopo Newton) una adeguata risposta al problema e una rigorosa introduzione teorica a questo argomento così delicato.
  • 83. DEFINIZIONE RIGOROSA DI LIMITE Definito un intorno di x0 come un qualunque intervallo aperto contenente x0, si dice che: “ il limite, per x che tende a x0, di f(x) è uguale a l ” se e solo se per ogni intorno di l, esiste un intorno di x0 tale che, per ogni x appartenente a questo intorno (escluso tutt’al più x0), f(x) appartenga all’intorno di l fissato inizialmente. Questa espressione è dovuta al lavoro di Heine, basato comunque sugli studi di Cauchy e Weierstrass.
  • 84. La presentazione è stata rielaborata sulle linee dei seguenti documenti trovati in rete: Una sfida del pensiero: http://www.freewebs.com/moebiusring/infinito3.html 1)L’Evoluzione del concetto di infinito; 2)L’infinito nella cultura romantica; 3)L’infinito nel sistema filosofico di Hegel; La matematica dell’infinito: http://matematica-old.unibocconi.it/infinito/lettera48.pdf Lo sviluppo storico del concetto di funzione: http://www.lorenzopantieri.net/LaTeX_files/FunzioniDistrib uzioni.pdf
  • 85. Gli alunni della V E Cardascia Serena Maselli Marina Masi Cristina Nettis Davide Torna alla copertina
  • 86. il metodo di Archimede e le origini del calcolo infinitesimale
  • 87. L'ápeiron di Anassimandro Il termine greco “ápeiron” venne coniato per la prima volta da Anassimandro per definire l’infinito. Questo termine non riassume pienamente il concetto di infinito ma indica qualcosa che “non ha limite”, cioè “illimitato”. Anassimandro diceva: “principio non è né l’acqua né un altro dei cosiddetti elementi, ma una certa natura infinita”. L’apeiron non va concepito come una miscela dei vari elementi, ma piuttosto come una materia in cui gli stessi non sono ancora distinti e che perciò è anche indefinita.
  • 88. Secondo Anassimandro l’apeiron è elemento divino, in quanto forza immortale ed indistruttibile, che abbraccia e regge l’universo. Dall’infinito si generano realtà tra loro differenti, addirittura contrarie, le quali si alternano sulla scena del mondo, si tolgono spazio e si limitano reciprocamente, pagando infine la loro “colpa” , ovvero il limite, causa delle contrapposizioni.
  • 89. Anassimandro Anassimandro nacque nel 611 e morì intorno al 547 a.C. Fu filosofo e si occupò anche di politica. Per primo tra i filosofi greci, scrisse un libro di filosofia naturale, denominato in tempi posteriori “Della natura”. S'interessò anche di astronomia e geografia e il suo mappamondo ebbe grande importanza: concepisce la Terra non più come una superficie piatta ma come un cilindro che si libra nel mezzo del mondo, privo di ogni moto per la sua equidistanza dagli estremi. Gli esseri viventi sono per Anassimandro originati dal mare e l'uomo stesso deriva da altri viventi più semplici.
  • 90. Pitagora nacque a Samo nel 570 e morì nel 497. Venne in Italia e fondò una scuola a Crotone che fu anche un’associazione religiosa e politica e i suoi insegnamenti si diffusero in tutta l’Italia meridionale. Ai Pitagorici si deve la creazione della matematica come scienza; riconobbero il numero come sostanza di tutte le cose. Di conseguenza le opposizioni tra le cose si riducono ad opposizioni tra numeri: dispari e pari. Il dispari è un’entità limitata, perfetta e simbolo del bene. Il pari è un’entità illimitata, imperfetta e simbolo del male.
  • 91. I seguaci di Pitagora scoprirono che la diagonale di un quadrato non ha una unità di misura comune con i lati del quadrato; perciò la radice quadrata di due non può essere espressa come rapporto di due numeri interi. Questa scoperta fa crollare la costruzione sviluppata dai pitagorici che poneva la scienza del numero alla base di tutto.
  • 92. Se i numeri sono insufficienti a descrivere le cose e in particolare i loro rapporti si relega allora in posizione marginale la teoria dei numeri e si va sviluppando una teoria che permetta di operare direttamente sui rapporti. Da questo momento in poi tutti i risultati sulle grandezze verranno espressi sempre in termini di rapporto o proporzione. In altre parole, la misura delle grandezze, tra le quali figurano le aree delle figure piane e i volumi dei solidi, non verrà espressa con un numero ma confrontando la grandezza in questione con altre grandezze simili, in modo da stabilire una rete di relazioni quantitative. Da ciò deriva il metodo di esaustione di Eudosso di Cnido.
  • 93. Eudosso di Cnido Eudosso di Cnido nacque nel 408 e morì nel 355 a.C. Matematico e astronomo greco, cui sono attribuiti risultati di grande importanza, fondamentali per il costituirsi della matematica come scienza. Era studioso e studente di Platone. Secondo Archimede, egli sviluppò la teoria delle proporzioni che consentì di superare le difficoltà che si incontrano per trattare i numeri irrazionali; questa teoria sarà ripresa negli Elementi di Euclide e in sostanza consente di trattare rigorosamente i numeri reali pensati come rapporti di grandezze.
  • 94. Il metodo di esaustione si proponeva di riempire, letteralmente, un’area con delle figure note tali che la loro somma approssimasse l’area cercata. È un procedimento logico, simile alla quadratura, adoperato per calcolare l'area di figure geometriche aventi contorni curvilinei (come del caso del cerchio, o dell'area sottesa da un ramo di parabola e la relativa corda). “PRINCIPIO DI ARCHIMEDE” Date due aree disuguali è possibile, aggiungendo a se stesso l'eccesso di cui la maggiore supera la minore, superare ogni area finita data.
  • 95. Archimede pensa la figura come costituita da una serie di fili pesanti, paralleli tra loro. Immagina poi nel piano una leva PQ, il cui fulcro sia un punto conveniente O di PQ, e fa credere che se quei fili venissero trasportati parallelamente ed applicati in P, essi col loro peso farebbero equilibrio ad un’altra figura S’, di area nota, aventeil baricentro in Q . Dalla legge di equilibrio della leva che egli, nella sua prima opera,aveva scoperto e dimostrato, Archimedericava il peso applicato in P, e quindi l’area S . La parte euristica del procedimento , per le nostre abitudini mentali di oggi , sta nell’avere sostituito la serie dei rettangoli approssimanti S, di cui Archimede avrebbe fatto uso in una dimostrazione rigorosa , mediante una serie di fili paralleli che costituiscono , per così dire , dei rettangoli infinitesimi .
  • 96. INTEGRARE = determinare un’area In termini moderni si integra generalmente una funzione, ma in antichità le funzioni non esistevano e i problemi di integrazione erano di natura geometrica. Geometria e funzioni, apparentemente concetti distaccati, hanno generato ed adottato lo stesso metodo di analisi. Il procedimento adottato nell’antichità parte da un sistema di analisi infinitesimale chiamato metodo di esaustione. Archimede fu il primo ad affrontare problemi geometrici applicando nozioni di meccanica e di statica, riuscendo addirittura a costruire un metodo che anticipava di ben diciotto secoli il calcolo integrale.
  • 97. Archimede Archimede nacque a Siracusa nel 287 e morì nel 212 a.C. Studiò ad Alessandria d'Egitto e rientrato a Siracusa, si applicò ai suoi studi: la matematica, la fisica, la geometria, l’ottica e l’astronomia. Il suo nome è legato a fondamentali studi dell’idrostatica (equilibrio dei liquidi) e soprattutto sul calcolo delle aree e dei volumi. Il padre Fidia molto stupito dall’intelligenza del figlio, decise di presentarlo al re Gerone II, che lo tenne sempre in grande considerazione. Nel 212 a.C. le truppe romane saccheggiarono la città di Siracusa; un soldato entrò in casa di Archimede e gli chiese chi fosse, ma Archimede, preso dal suo lavoro, gli rispose male, quindi il soldato sentendosi offeso lo uccise. Archimede volle che sulla sua tomba fosse scolpita una sfera racchiusa da un cilindro (che indicava il rapporto fra il volume dei due solidi).
  • 98. La dimostrazione di Archimede La feconda ricerca di Archimede è considerata il punto culminante della storia dei procedimenti infinitesimali nell’Antichità: Archimede calcola aree, volumi, baricentri con tecniche spesso geniali, straordinariamente prossime all’integrazione. Il ruolo essenziale del metodo di esaustione nel contesto della ricerca geometrica archimedea è quello di garantire i risultati inizialmente intuiti con tali metodi empirici, ovvero di conferire il definitivo rigore alle loro dimostrazioni. “Quel metodo, a differenza del processo di limite, non è un metodo analitico di ricerca che conduca alla scoperta, ma fornisce solo il mezzo per dimostrare, per assurdo, un risultato che si suppone già noto” Questo aspetto è centrale dal punto di vista metodologico: il metodo di esaustione non ha mai valore euristico (relativo alla ricerca). Mediante esso Archimede non giunge ad un risultato, ma dimostra una tesi che deve essere già supposta, intuita mediante procedimenti diversi.
  • 99. Marazia Marica 3 D Magistro Roberto 3 D Giannico Vincenza 3D Sorressa Giuseppe 3H Torna alla copertina
  • 100. INFINITO E INFINITESIMO POTENZIALE E ATTUALE
  • 101. Introduzione in campo filosofico ”C’è un concetto che corrompe e altera tutti gli altri. Non parlo del Male, il cui limitato impero è l’Etica; parlo dell’Infinito.” J.L. Borges
  • 102. Sin dai tempi dell’antica Grecia l’infinito è stato al centro del dibattito filosofico, e per primo fu identificato nel termine ”apeiron” che vuol dire letteralmente ”senza limiti”, e cioè ”illimitato”. Col passare degli anni, questo concetto è stato interpretato in modi differenti da una serie di filosofi- matematici che hanno contribuito a costruire l’immagine che ognuno di noi ha dell’infinito: dalla sconvolgente scoperta pitagorica dei numeri irrazionali alle ardite teorizzazioni medievali, alla furia mistica di Bruno e di Cusano, dalle innovazioni scandalose di Cartesio, sino all’abbagliante paradiso di Cantor.
  • 103. Per Cusano l' infinito, l' assoluto, in ultima istanza Dio, non é mai pienamente attingibile . Il concetto di dotta ignoranza vuol proprio sottolineare l' inattendibilità da parte dell' uomo dell' assoluto: il rapporto tra la nostra conoscenza e Dio (l' assoluto) é lo stesso che si instaura tra un poligono inscritto e la circonferenza alla quale é inscritto: il poligono e la circonferenza , per definizione, non saranno mai uguali tuttavia man mano che si moltiplicano i lati del poligono ci si avvicina sempre di più alla circonferenza; così l' uomo può avvicinarsi sempre di più a Dio senza mai raggiungerlo definitivamente.
  • 104. Nonostante le teorie di Bruno non fossero spiegabili scientificamente ma basate su un metodo puramente deduttivo, grazie alle scoperte tecnologiche della Rivoluzione astronomica, si sono dimostrate più che fondate mettendo le basi per ulteriori ricerche. Secondo Bruno, l'universo è costituito da un'infinità di mondi, i quali possono essere abitati come la Terra. Mentre i singoli mondi sono in perpetuo divenire, l'universo nel suo complesso è invece immoto ed eterno, non avendo nulla al di fuori di sé e racchiudendo esso stesso tutto l'essere. Dio, in quanto infinito, può creare esclusivamente infinità. L'intelletto dell'uomo mira, conformemente all'essenza dell'universo, alla conoscenza dell'infinito. L'infinità è il centro attorno al quale questo ruota, senza peraltro poterlo mai raggiungere. Il moto dell'intelletto è perciò sostenuto da un "eroico furore", che conduce ad una progressiva elevazione della conoscenza e che culmina nell'unità col divino. Come ciascun mondo dell'universo è al contempo centro e circonferenza, così ogni uomo è strumento dell'unico infinito che lo condiziona, ma che è a sua volta condizionato dalla realizzazione all'infinito di ciascuna potenzialità umana.
  • 105. L’INFINITO COME POTENZA E ATTO Greci: l’infinito è ciò che non è compiuto, o ciò che non ha limite. Il termine "infinito" non designa una realtà ma un processo, si chiama infinito quello che ha sempre qualcosa oltre a sé (concezione "operativistica" dell'infinito). Infinito potenziale è qualche cosa che noi costruiamo indefinitamente, ma non che esiste già come sistema dato di tutte le cose. Infinito attuale è qualche cosa realmente esistente come tale in atto, introdotto successivamente nel neoplatonismo con il concetto di iperuranio e poi entrato a far parte della tradizione teologica e filosofica cristiana.
  • 106. La "legittimità" del concetto di infinito attuale è, sul piano propriamente logico, una conquista recente dovuta essenzialmente ai lavori svolti da Dedekind, il quale nel 1872 dà la definizione di insieme infinito, e da Cantor, il quale qualche anno dopo si accorge che non tutti gli insiemi infiniti sono dello stesso tipo, introducendo la nozione di numero transfinito.
  • 107. NUMERI TRANSFINITI Introdotti da Georg Cantor servono a fornire un importante strumento di lavoro nella teoria degli insiemi. Come per i numeri finiti vi sono due modi in cui la nozione di numero può essere estesa ai numeri transfiniti: come numeri ordinali e come numeri cardinali. • Il più piccolo numero ordinale transfinito è ω. • Il primo numero cardinale transfinito è Aleph-zero, cioè la cardinalità (numero degli elementi di un insieme) dell'insieme infinito dei numeri interi. • Il successivo numero cardinale è Aleph-uno, . L'ipotesi del continuo afferma che non esistono numeri cardinali intermedi tra Aleph-zero e la cardinalità del continuo, cioè la cardinalità dell'insieme dei numeri reali: questo equivale ad affermare che Aleph-uno esprime la cardinalità dell'insieme dei numeri reali.
  • 108. A cura degli alunni Posa Costantino Luca Capozzi Alessandro Ferrara Anna Ventaglini Daniela tutti della IV D alla copertina Torna
  • 111. Funzioni 01 - Funzioni. Una relazione f fra due insiemi A e B si dice che è una funzione se soddisfa le seguenti due condizioni : 1) D(f) = A (cioè il dominio della relazione deve essere uguale al primo insieme A); 2) Per ogni elemento di A esiste uno ed un solo elemento di B che gli corrisponde (cioè ogni elemento del dominio deve avere un solo elemento corrispondente, detto anche immagine, nel codominio) Le funzioni sono quindi dei particolari tipi di relazione, cioè una funzione è una relazione mentre una relazione non è in generale una funzione. Per esserlo, una relazione, deve soddisfare le due condizioni precedenti.
  • 112. Esempi (diamo direttamente i grafici cartesiani delle relazioni) : 1. la relazione f indicata nel grafico a destra non è una funzione perché il dominio di f non è uguale ad A . 2. anche in questo caso la relazione f non è una funzione perché l'elemento c di A ha due immagini. 3. la relazione f è in questo caso una funzione. Le funzioni sono fra gli oggetti più importanti di tutta la matematica (così come della fisica).
  • 113. 02 - Esempi di funzioni numeriche. Con i numeri si fanno principalmente le quattro operazioni e l'elevamento a potenza. Non sempre, però, queste operazioni hanno un risultato. Non hanno risultato le seguenti operazioni : - la divisione di qualunque numero per 0 cioè : 1 / 0 , 2/ 0 , 10 / 0 , -1 / 0 , ... , 0 / 0 - la potenza : 0 ° mentre bisogna ricordare che ogni numero (eccetto 0 ) elevato alla 0 dà 1 , cioè : 1 ° = 3 ° = 10 ° = (-4) ° = ... = 1 . Si ricordi anche che x ¹ = x . Possiamo affermare che tutti i numeri, da meno infinito a più infinito, cioè l’insieme dei numeri razionali e irrazionali, costituiscono l’insieme dei numeri reali. Essi si possono porre su di una retta orientata (dotata di una freccia). Una generica funzione numerica si indica con la scrittura : y = f(x) dove x è la variabile indipendente, appartenente al dominio della funzione, ed y è la variabile dipendente, appartenente al codominio della funzione. Il simbolo f(x) significa che se si dà un valore alla x , facendo i calcoli indicati dalla funzione stessa, si ottiene un valore (uno solo !) della y . Una funzione può "contenere" altre funzioni quali la radice quadrata, il seno, il coseno, la tangente, il logaritmo, l'esponenziale ecc.
  • 114. Data una qualunque funzione numerica è di fondamentale importanza disegnarne il grafico cartesiano. E’ importante osservare che la funzione e il suo grafico sono due cose distinte. Quindi non bisogna confondere la funzione con il suo grafico. La funzione, così come è scritta in termini simbolici, ci "dice" molto poco. Il suo grafico, invece, ci dà in maniera visiva e sintetica tutte le informazioni di cui abbiamo bisogno. Ecco allora che lo studio di funzione, il disegnarne il grafico, costituisce uno dei capitoli centrali di tutta la matematica. Riportiamo qui come esempio i grafici di alcuni funzioni numeriche (li riportiamo tutti su uno stesso sistema di riferimento).
  • 115. 2.1. y = 1 , y = 2 , y = -1 , y = -2 , y = 0 Si tratta di rette parallele all'asse delle x , perché dando alla x qualsiasi valore, si ottiene sempre una y costante. Si noti che la funzione y = 0 coincide con l'asse delle x .
  • 116. 2.2. y=x La funzione y = x rappresenta la retta bisettrice del I e del III quadrante.
  • 117. 2.3. y = -x La funzione y = -x rappresenta la retta bisettrice del II e del IV quadrante.
  • 118. 2.4. y = x/2 , y = 2x , y = 3x , y = -2x Sono tutte rette che passano per l'origine 0 . Si noti che la "pendenza" della retta y = 3x è maggiore di quella della retta y = 2x. In generale, la pendenza è maggiore quanto più è grande in valore assoluto (cioè privato del segno) il numero (coefficiente) che moltiplica la x .
  • 119. 2.5. y = mx Possiamo affermare allora che ogni funzione del tipo y = mx , dove m è un numero qualunque, rappresenta una retta che passa per l'origine. Viceversa, ogni retta che passa per l'origine è rappresentata da una funzione del tipo y = mx . Questa seconda affermazione è vera con una sola eccezione : - la retta che coincide con l'asse delle y non è rappresentabile da una funzione di quel tipo, anzi non è neppure una funzione, perché al valore x = 0 corrispondono infinite immagini (per cui cade uno dei due presupposti perché una relazione sia una funzione).
  • 120. Il fatto che la retta di equazione x = 0 (l'asse delle ordinate) non è una funzione lo si può dedurre anche considerando che la retta y = mx ha una pendenza che cresce al crescere del valore di m . Per valori di m sempre più grandi, la retta tenderà a diventare verticale senza però mai esserlo veramente. Solo se m avesse valore infinito, allora la retta diverrebbe esattamente verticale, quindi coincidente con l'asse delle y , ma l'infinito non è un numero, per cui nessuna funzione del tipo y = mx può rappresentare una tale retta (verticale). (per semplicità abbiamo disegnato solo le semirette del I quadrante).
  • 121. 2.6. y = mx + p Le funzioni di primo grado (in x ) sono le funzioni più semplici. Esse sono riassumibili dalla espressione y = mx + p dove m e p sono due numeri reali qualunque. Per esempio : y = 2x + 1 y = 3x - 2 Orbene, tutte le funzioni del tipo y = mx + p sono rappresentate da una retta.
  • 122. 2.7. y = f(x) In generale, una qualunque funzione ad una sola variabile, è rappresentata da una curva del piano. (vedi figura a destra) Le rette viste sopra, in matematica, sono allora delle curve, anche se "dritte".
  • 123. 03 - Funzioni a due variabili indipendenti. Le funzioni possono avere anche due variabili indipendenti. In questo caso vengono simbolicamente indicate dall'espressione : z = f(x, y) dove le variabili x ed y , le variabili indipendenti appunto, possono assumere valori qualunque mentre la variabile dipendente z è ottenuta di conseguenza calcolando l'espressione matematica che caratterizza la funzione stessa.
  • 124. Vediamo come si rappresentano graficamente le funzioni a due variabili indipendenti. Prendiamo un sistema di assi cartesiani ortogonali a tre dimensioni 0xyz . Diamo poi valori a caso alle variabili indipendenti x ed y . Otterremo diversi punti del piano 0xy . Facciamo questo in modo da ottenere una certa regione (dominio) del piano 0xy . Abbiamo così individuato un insieme di coppie ordinate (x, y) . Adesso, per ciascuna di queste coppie calcoliamo il valore z = f(x, y) . Otteniamo quindi, per ogni coppia (x, y) un numero z . Immaginiamo allora che questo numero z sia la "quota" di ciascuna coppia (x, y) . Otterremo allora una superficie dello spazio. Ogni funzione del tipo z = f(x, y) , a due variabili numeriche indipendenti, rappresenta così una superficie dello spazio.
  • 125. . 04 - Funzioni iniettive, suriettive, biunivoche Torniamo ad una funzione ad una sola variabile indipendente y = f(x) che rappresenta una curva nel piano 0xy . Consideriamo che il dominio di questa funzione sia l'insieme A . Supponiamo che B sia un insieme di valori della y . Supponiamo che A ed B siano due intervalli (segmenti limitati). Si hanno allora alcuni casi di particolare importanza. •
  • 126. • Una funzione si dice ingettiva se ogni immagine è immagine di un solo elemento del dominio, ovvero se non c'è nessun elemento del codominio che è immagine di più elementi del dominio; •Una funzione si dice surgettiva se il codominio della funzione coincide col secondo insieme (nel nostro caso B, cioè f(A)=B ); • Una funzione si dice biunivoca se è contemporaneamente ingettiva e surgettiva.
  • 127. 05 - Invertibilità di una funzione. Una relazione può essere sempre invertita e la relazione inversa si ottiene invertendo tutte le coppie ordinate che fanno parte della relazione. Si ha allora che il dominio della relazione diventa il codominio della relazione inversa e viceversa. Cioè se la coppia (a, b) appartiene alla relazione R, la coppia (b,a) apparterrà alla relazione inversa R‾¹. Graficamente, per "disegnare" la relazione inversa, basta fare l'immagine speculare del grafico della relazione rispetto alla bisettrice del I e III quadrante :
  • 128. L'immagine speculare può essere considerata anche come una rotazione di 180° rispetto alla suddetta bisettrice. Proviamo allora ad invertire una funzione. Supponiamo che la funzione f sia più a 1. Facendo l'immagine speculare del suo grafico rispetto alla bisettrice del I e III quadrante si ha però una sorpresa "spiacevole" : la funzione che si ottiene, f ‾ ¹ , non è più una funzione. Ad un elemento del dominio corrispondono più elementi del codominio. Cade così uno dei presupposti perché una relazione sia una funzione. Proviamo adesso ad invertire una funzione biunivoca. In questo caso si ottiene una funzione. Abbiamo così scoperto un teorema della massima importanza in matematica : "Una funzione è invertibile se e solo se è biunivoca".
  • 129. 06 - Altri esempi di funzione. Seguono alcuni esempi di funzioni numeriche da A a B , dove A e B sono indicati nei rispettivi grafici.
  • 130. Ed ora due esempi di inversione di una funzione.
  • 131. 07 - Funzioni composte. Consideriamo ora la funzione y = f(x) da A a B e la funzione z = g(y) da B a C I loro grafici cartesiani, per esempio, siano : Se rappresentiamo le due funzioni con i diagrammi di Venn otteniamo: (si noti che la rappresentazione con i diagrammi di Venn fornisce un altro interessante e "suggestivo" modo di visualizzare una funzione).
  • 132. A questo punto ci chiediamo : è possibile "andare" da x a z direttamente, senza passare da y ? Basta considerare la funzione composta (detta anche funzione di funzione) : z = g(f(x)) che si ottiene sostituendo alla y di g(y) il suo valore f(x) : La funzione composta quindi fornisce una "scorciatoia" matematica che lega due funzioni, facendoci andare da x direttamente a z . Con i diagrammi di Venn si ha :
  • 133. Facciamo un esempio numerico di funzione composta. Supponiamo che : y = f(x) corrisponda a y = 2x + 1 e z = g(y) corrisponda a z = y ² . La funzione composta z = g(f(x)) sarà allora : z = (2x + 1) ² che si ottiene semplicemente sostituendo alla y di g(y) la f(x).
  • 134. 08 - Funzioni analitiche. Le funzioni analitiche si possono classificare in base alla natura dell’espressione nella quale compare la variabile indipendente x. ; Si hanno •Le funzioni algebriche che possono essere: a) razionali: se le operazioni che si devono eseguire sulla x sono solo quelle di addizione, sottrazione, moltiplicazione, divisione ed elevamento a potenza di x ad esponente intero. Le razionali si distinguono, a loro volta in: a.1. intere se la x non sta al denominatore e se l’elevamento a potenza di x non ha esponente negativo; Esempio: a.2. fratte se la x sta al denominatore oppure l’elevamento a potenza di x ha esponente negativo. Esempio: b) Irrazionali: se si deve eseguire sulla variabile indipendente x l’operazione di estrazione di radice o l’elevamento a potenza di x con esponente frazionario (oltre alle abituali operazione). Anche le funzioni irrazionali possono essere intere e fratte. Esempio:
  • 135. • Le funzioni Trascendenti: sono le funzioni goniometriche, le esponenziali, le logaritmiche (ma ci sono altre). Esempio: Prospetto delle funzioni. intere razionali fratte algebriche intere funzioni analitiche irrazionali fratte esponenziali trascendenti logaritmiche goniometriche Torna alla copertina