1. Agenzia per la valorizzazione dell’individuo nelle organizzazioni di servizio
IL COMPORTAMENTISMO (BEHAVIORISMO)
Agli inizi del secolo scorso, il fisiologo russo Ivan petrocic Pavlov (1849 – 1936) e lo
Psicologo statunitense John Watson (1878 – 1958) in aperto contrasto con le tesi strutturaliste di W.
Wundt, che sondavano la coscienza dell’individuo con il metodo dell’intropsezione, propugnarono
di accantonare lo studio fuorviante della coscienza, a vantaggio di una meticolosa analisi dei fatti
psichici che si fondasse prevalentemente su quanto la pura osservazione poteva fornire. Negli
esperimenti sul condizionamento classico di Pavlov si valutavano le reazioni agli stimoli; lo studio
si concentrava sulla ricerca delle determinanti materiali del fenomeno psichico. Su questa linea
direttrice nel corso degli anni e prevelentemente negli Stati Uniti, è andato via via sviluppandosi il
Comportamentismo (o Behaviorismo). Sono gli aspetti osservabili della mente, vale a dire i
comportamenti, l’oggetto d’indagine degli psicologi comportamentisti, ogni riferimento alle
variabili interne (covert) non misurabili e che non potevano soddisfare i requisiti della
riproducibilità scientifica veniva semplicemente considerato inutile.
Per suggellare un’impostazione che tenesse conto esclusivamente di dati misurabili e
quantificabili, gli studiosi che si rifacevano alla corrente comportamentista stabilirono
un’inscindibile adesione al principio di Lloyd Morgan che recitava quanto segue: “…Nei casi in cui
le spiegazioni più semplici risultino sufficienti, non è prudente inferire quello che potrebbe accadere
nella coscienza”.
Il capostipite indiscusso di questa famiglia di psicologi e di questa nuova prospettiva di studio,
è senza dubbio John B. Watson. Le sue asserzioni circa l’importanza dei condizionamenti nella
genesi di ogni tratto di personalità o di ogni tipo di fenomenologia comportamentale osservabile lo
portarono ad affermare che in presenza di particolari contingenze di apprendimento e di un
addestramento specifico, ogni individuo poteva essere orientato a sviluppare interessi e motivazioni
nella direzione voluta.
Nel 1913 pubblicava nella “Psychological Review” (la principale rivista psicologica
statunitense) il celebre saggio The Psichology as the Behaviorist Views It dove venivano presentati,
in forma sistematica, gli enunciati di base di un vero e proprio manifesto programmatico che
possiamo riassumere così:
a) La psicologia va concepita come una scienza empirica, a piena similitudine delle
scienze che indagano la natura. “La psicologia come la vede un comportamentista è
un settore della scienza naturale del tutto obiettivo e sperimentale”. (Watson, 1913)
b) In quanto scienza naturale la psicologia ha a che fare con fatti osservabili
obiettivamente e, almeno in linea di principio, quantificabili e misurabili
c) Oggetto della psicologia è il comportamento degli individui
d) Scopo della psicologia è la previsione del comportamento degli individui
e) Poiché la psicologia si basa su dati obiettivi osservabili pubblicamente è inevitabile
espungere l’introspezione dallo strumentario di lavoro dello psicologo.
f) Non esiste soluzione di continuità nello studio del comportamento degli organismi e
quindi neppure tra animali e uomo.
g) La psicologia una volta posta su tali basi, permetterà al mondo sociale una piena
utilizzazione pratica delle acquisizioni: “si chieda ad un medico o ad un magistrato,
oggi, se la psicologia scientifica occupi una qualsiasi parte nella routine giornaliera e
lo si sentirà negare in modo assoluto che la psicologia di laboratorio ha un posto nel
suo schema di lavoro. Penso che questa critica sia del tutto giustificata (Watson, 1913
pag. 66).
2. Il celebre caso del piccolo Albert rappresentò la prima dimostrazione che le nevrosi potevano
essere studiate e indotte in laboratorio (Watson J.B. e Rayner R. (1920), trad. italiana in Watson:
Antologia degli scritti, Il Mulino, Bologna 1976). Dall’esperienza condotta sul caso di nevrosi
appresa alla costruzione di tecniche di decondizionamento, basate sulla presentazione frazionata e
graduata dello stimolo ansiogeno e alla contemporanea elicitazione di risposte emozionali
antagoniste dell’ansia e della paura, si passò in brevissimo tempo ad opera di un’antesignana
fondatrice della desensibilizzazione sistematica dell’ansia (v. prossime newsletter AVIOS).
Ma il condizionamento classico non esauriva quanto di importante poteva essere studiato e
scoperto dagli psicologi comportamentisti. Edward L. Thorndike (1874 – 1949) e Burrhus F.
Skinner (1904 – 1990) andarono alla ricerca di nuovi tipi di apprendimento e scoprirono che oltre al
condizionamento classico pavloviano esisteva anche un altro possibile tipo di condizionamento che
passò poi alla storia col nome di “condizionamento operante” (o “strumentale” o di “II° tipo”). In
particolare, si analizzarono i meccanismi che consentivano l’emergere nell’individuo di risposte
nuove (non presenti nel repertorio comportamentale) agli stimoli. Le tecniche di Skinner, basate su
rinforzi positivi (ricompense) o punizioni, hanno avuto vaste applicazioni anche in campo educativo
e sociale. A partire dagli studi di Skinner si sono succeduti diversi contributi, provenienti dagli
ambienti più fertili della psicologia sperimentale che hanno ampliato e perfezionato tutta una serie
di metodiche rigorose e che hanno dato vita a quella tipologia d’intervento che, nei diversi ambiti,
ha preso il nome di “tecnologia del comportamento”. Così Mary Cover Jones introduceva le
variabili legate all’evitamento tra i fattori di mantenimento delle fobie; il meccanismo che rendeva
possibile il mantenimento dei comportamenti fobici era il rinforzo negativo, una variante di quello
positivo di Skinner che differiva da questo solo per il fatto di avere alla base una situazione
aversiva. Un ulteriore approfondimento degli studi nella direzione della Mary Cover Jones è
rappresentato dalla legge bifattoriale di Mowrer, questa rappresenta ancora oggi una delle teorie che
contribuiscono a debellare comportamenti nevrotici fondati sull’apprendimento e il conseguente
evitamento. Esempio di “ingegneria comportamentista” furono gli strumenti che utilizzò per
fronteggiare problematiche connesse con l’enuresi notturna dei bambini basate essenzialmente sui
pricipi del condizionamento pavloviano (Mowrer O.H., 1965 learning theory and behavior therapy,
handbook of Clinical Psychology, McGraw – Hill, NY. Ancora Wolpe e i suoi studi sulla
desensibilizzazione sistematica dell’ansia (in pubblicazione prossime newsletter) che continuavano
a sfruttare i principi del condizionamento classico. Ma le applicazioni pratiche in ambito clinico ed
educativo non si esaurisconio qui, altri autori si sono dedicati allo studio di metodiche per la
rilevazione e lo studio sistematico dei comportamenti introducendo tecnologie quali: “L’analisi
funzionale del comportamento”(Vedi prossima Newsletter AVIOS) o “Il disegno sul soggetto
singolo”, oltre all’osservazione sistematica del comportamento che in ambito comportamentista a
conosciuto uno sviluppo notevole.
Per concludere, per ovvie ragioni di spazio (rimandiamo il lettore alla bibliografia AVIOS o a
quella presente nei vari contributi), Comportamentisti come Albert Bandura dimostrarono che
nell’apprendimento di nuove abilità e nell’estinzione di abitudini precedenti l’imitazione gioca un
ruolo di primo piano. Si osservò come l’apprendimento sociale, ovvero l’apprendimento di tutte
quelle abilità sociali di base quali il linguaggio, gli atteggiamenti, ecc. si sviluppava in età
precocissime. Dapprima i bambini osservano il comportamento di coloro che li circondano,
successivamente ripetono i comportamenti che hanno osservato preferendo quei comportamenti che
hanno avuto successo. Gli studi sul modellamento (apprendimento per imitazione) rimangono a
tutt’oggi una delle pagine più importanti della psicologia moderna.
Quantunque alcune posizioni del primo comportamentismo siano state superate, esso continua
ad avere una notevole e proficua influenza nella psicologia moderna. Ciò è dovuto prevalentemente
alla metodologia obiettiva adottata nello studio del comportamento, ma anche all’applicabilità dei
meccanismi e dei precetti dell’apprendimento nell’ambito della programmazione educativa e
didattica e della psicopatologia.
3. Naturalmente esistono limiti e i difetti in tutto l’impianto teorico- applicativo del
comportamentismo, per un esame più approfondito di questi si rimanda alla bibliografia di
riferimento.
Nella prassi odierna il termine comportamentismo è entrato in disuso. Si parla di approccio
cognitivo-comportamentale a partire dalla fusione dei due approcci: quello comportamentista con
quello cognitivista; in particolare il cognitivismo dello “Human Information Processing” e di autori
che a partire da Neisser fino ad Ellis hanno contribuito alla crescita della psicologia mondiale.
Per una lettura schematica delle teorie dell’apprendimento confronta il file: “ Teorie
apprend”.