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IL NEMICO ISLAMICO IN
EUROPA: SI PUÒ
ANDARE OLTRE?
Ricostruzione dello scontro culturale arabo-
europeo per un superamento del conflitto
Autore: Elena Colli
e.colli3@campus.unimib.it
Matricola 783063
A.A. 2014/2015
Tesina per il corso di “Diritti e cittadinanza europea”, tenuto dalla prof.ssa Marina Calloni
Corso di Laurea Magistrale in Sociologia, Università degli Studi di Milano - Bicocca
1
1 INDICE
2 Introduzione ................................................................................................ 2
3 Svolgimento ................................................................................................ 4
3.1 Introduzione: Ricostruzione storica dello scontro Europa - Islam.......... 4
3.2 Analisi: i frutti dello scontro: cosa accade oggi?.................................... 8
3.2.1 La rivincita di Dio ............................................................................ 8
3.2.2 Le reazioni in Europa.................................................................... 10
4 Conclusioni – Come andare oltre? ............................................................ 15
5 Bibliografia e sitografia.............................................................................. 18
5.1 Bibliografia .......................................................................................... 18
5.2 Sitografia............................................................................................. 19
6 Autovalutazione rispetto al proprio percorso formativo ............................. 20
2
2 INTRODUZIONE
La scelta di questo particolare tema è stata dettata dall’incrociarsi fortuito di due
elementi: primo fra questi, la lettura dello scambio epistolare dei due giornalisti e
scrittori Oriana Fallaci e Tiziano Terzani. Si tratta di un articolo che la scrittrice
fiorentina pubblicò su Il Corriere della sera in seguito all’attacco alle Torri Gemelle
dell’11 Settembre, e da poco riproposto sui social network dall’attuale vice
presidente del Senato Maurizio Gasparri. Non a caso questo articolo, pregno di
un patriottismo sincero e indignato verso la tolleranza occidentale all’avanzata
islamica, è stato riesumato dall’Onorevole come rilancio delle parole di rabbia e
orgoglio (da cui prese il titolo) da riproporre come messaggio attuale: “sembrano
scritte oggi”1. In risposta a quell’articolo però, il collega e amico Tiziano Terzani
rispose qualche tempo dopo, sempre sul Corriere, in tutti altri termini, con un
lucido messaggio di pacifismo e speranza (senza buonismo) che invitava la
Fallaci e i suoi lettori a fare attenzione alle conseguenze che un tale messaggio
di intolleranza poteva avere sugli equilibri sociali, “aizzando la bestia dell’odio e
provocando la cecità delle passioni” (Terzani, 2001).
Il secondo elemento del mio intreccio fortuito è stata la lettura della
monumentale opera “Lo scontro delle civiltà”, scritta da un autore di indubbia
acutezza, che nei primi anni ’90 scrisse questo testo attualissimo, sicuramente
non privo di controversie, visto il forte messaggio che intende comunicare.
Huntington in questa opera propone il suo schema di interpretazione della realtà,
secondo cui la suddivisione dell’umanità, e dunque la ragione dei conflitti, sarà in
futuro da ricondurre unicamente allo scontro culturale tra le maggiori civiltà
determinatesi nel corso della storia (sinica, giapponese, indù, islamica,
occidentale, latino americana, africana) e non più a forze di natura geopolitica o
ideologica: the clash of civilizations.
1 https://www.facebook.com/pages/Maurizio-Gasparri/, post sulla pagina ufficiale Facebook in
data 13/10/2014.
3
Il minimo comun denominatore di questi due elementi è risultato la figura
del nemico islamico, ieri come oggi, nello scambio epistolare così come nel testo
di Huntington. In un momento critico per l’Unione Europea come quello attuale,
ripercorrere la storia dell’identità della propria civiltà alla luce del suo scontro con
quella islamica, potrebbe aiutare per ricostruire quello scontro e
successivamente decostruire il Nemico, per potersi protendere verso quel
ripensamento dell’aggressività occidentale di cui parlava Terzani nel suo articolo.
Il recupero di questa paura dell’Islam (mista a rabbia e a rivendicazione della
propria diversità rispetto all’altro) è segno di una crisi di identità e di unità che
l’Europa sta attraversando, sia a livello di singole nazioni che come entità
collettiva. Certo il contributo della crisi economica prima statunitense poi europea
è stato decisivo nell’accentuare questa incertezza identitaria: alla domanda
basilare che popoli e nazioni continuamente si pongono – chi siamo? – l’Europa
si trova divisa e confusa. A tratti diffidente verso quell’apparato burocratico troppo
legato alle organizzazioni finanziarie ed economiche internazionali che poco
hanno a che fare coi principi di democrazia, riducendo la meravigliosa idea
politica di un’Europa unita, che risuonava speranzosa nel Manifesto di Ventotene,
a una traballante struttura di fallimentare unione finanziaria (Sen, 2012). Altre
volte invece, si protende verso quell’abbattimento dei confini nazionali, ormai
obsoleti in un mondo globalizzato, cimentandosi verso il riconoscimento e la
valorizzazione di quella cittadinanza europea che è ancora incerta ma che in certi
casi può simbolizzare la rappresentazione di un “noi” più grande del piccolo stato,
un noi che a volte risulta anche essere un modo di difendersi da quell’altro che
invece, da secoli e ancora oggi, si incarna in modo sempre più nitido nel “nemico
islamico”.
4
3 SVOLGIMENTO
3.1 INTRODUZIONE: RICOSTRUZIONE STORICA DELLO SCONTRO EUROPA -
ISLAM
I conflitti tra popoli esistono dacché la storia ha avuto origine. Le cause di queste
conflittualità sono le stesse da sempre e valgono a livello universale: controllo
sulla popolazione, territorio, ricchezza, risorse, e il potere di imporre ad altri i
nostri valori e le nostre istituzioni, impedendo che facciano lo stesso con noi
(Huntington, 1996). L’uomo ha bisogno di nemici: qualcuno con cui scontrarsi per
definire se stesso. Cristianesimo e Islam ne sono l’esempio più calzante: i
rapporti tra queste due confessioni, in ogni loro variante, sono stati spesso
burrascosi, di origine antica e di carattere fortemente conflittuale, in competizione
per la conquista di potere, terra, anime (Esposito, 1999). A volte ha prevalso la
coesistenza pacifica; ma molto più spesso il rapporto è stato di intensa rivalità,
da guerre fredde a guerre calde. Lo stesso termine “Guerra Fredda” ha origine
proprio dall’espressione usata dagli spagnoli nel XIII secolo per descrivere la
“difficile convivenza” con i musulmani nel Mediterraneo2.
Ma procedendo per ordine: a quando risalgono i primi rapporti tra queste
due conflittuali popolazioni? L’iniziale espansione arabo-islamica, tra VII e VIII
secolo, diffuse il dominio musulmano dal Medio Oriente fino a Nord Africa e
Spagna, e i confini si stabilizzarono per i due secoli seguenti. Alla fine dell’XI
secolo però, iniziarono gli scontri perpetrati dal mondo cristiano per il recupero
del controllo sul Mediterraneo occidentale. Fu infatti in quel momento che le
monarchie cristiane, sollecitate dal Papato, diedero inizio alle Crociate, cercando
di respingere l’Islam in espansione dal proprio territorio e tentando senza
successo di spingere il dominio cristiano fino in Terra Santa (Cartocci, 2011). Dal
XI al XIII secolo si registrò infatti la fase più acuta degli scontri sul piano
conflittuale tra i due popoli, a cui si aggiunsero i turchi ottomani: per ben due volte
l’Islam mise in serio pericolo la sopravvivenza dell’Occidente. Osserva lo storico
Bernard Lewis: “dal primo sbarco moresco in Spagna al secondo assedio turco
2 Huntington, S.P. (1996), pag. 303.
5
di Vienna, l’Europa è stata sotto la costante minaccia dell’Islam” (Lewis, 1995).
Ma lo stesso periodo fu anche occasione di scontri a livello culturale che furono
fonte di arricchimento e di scambio commerciale e scientifico, base essenziale
per la matrice culturale del Rinascimento e Umanesimo europei (Cartocci, 2011).
Dal XV secolo, tuttavia, ha inizio la Reconquista con la graduale ripresa
della penisola iberica da parte dei cristiani, quindi l’espansione del dominio
portoghese, dell’impero asburgico, l’avanzata dei russi su Mar Nero e Caucaso,
il decollo insomma del colonialismo europeo che durerà per tutti i secoli seguenti.
Al termine della prima guerra mondiale, l’Europa stabilì il proprio controllo sulle
restanti terre ottomane: nel 1920, mantenevano la propria indipendenza da
domini occidentali solo quattro paesi musulmani: Turchia, Arabia Saudita, Iran e
Afghanistan. L’Islam era stato sostanzialmente confinato, in nome dell’avanzata
occidentale.
Quando poi venne la volta della ritirata del colonialismo occidentale,
processo iniziato nel primo dopoguerra e rapidamente ampliato dopo la seconda
guerra mondiale, fu l’inizio di una ripresa da parte delle società musulmane. Con
il crollo dell’URSS, ulteriori aree potettero sottrarsi al conflitto ideologico e
riacquistare l’indipendenza. Si conta che tra il 1757 e il 1919, novantadue territori
musulmani finirono sotto il controllo di governi non musulmani; nel 1995,
sessantanove di quei territori erano tornati sotto al controllo musulmano, e la
maggioranza aveva una popolazione in grandissima maggioranza musulmana3.
Non si è trattato di mutamenti pacifici: nel corso di quel periodo più della metà dei
conflitti religiosi nel mondo è stata combattuta tra cristiani e islamici.
Ma qual è la causa di questa costante conflittualità? Attribuirla al fervore
cristiano delle Crociate o al fondamentalismo islamico del XX secolo è obsoleto
poiché essi riguardano fenomeni transitori che non possono coprire
un’estensione temporale millenaria. Huntington suggerisce che questa causa va
cercata nelle differenze e nelle similitudini che queste religioni presentano.
Partendo dalle similitudini, esse condividono aspetti che le rendono inconciliabili:
entrambe affermano l’esistenza di un unico Dio, sono universalistiche, dunque
ritengono di essere l’unica fede alla quale la popolazione mondiale dovrebbe
3 Huntington, S.P. (1996), pag. 308.
6
aderire, ed entrambe sono a vocazione missionaria, per cui gli adepti sono portati
alla conversione degli infedeli. Differiscono invece, e questo è fondamentale, nel
rapporto tra religione e sfera politica. Per i musulmani esiste il precetto secondo
cui l’Islam deve essere inteso come stile di vita, che trascende, unendole, politica
e religione. In contrapposizione, nel mondo cristiano vale la celebre separazione
tra potere spirituale e temporale suggellata dalla frase “Rendete a Cesare ciò che
è di Cesare e a Dio ciò che è di Dio” (Marco 12, 13-17).
La conflittualità violenta tra cristianesimo e Islam è variata nel tempo e
dipende ora, in modo combinato, dai tassi di crescita demografica, dallo sviluppo
economico e tecnologico, e dal livello di ardore religioso: elementi che ora come
ora sono a favore del popolo islamico. Nell’articolo di Terzani viene anche dato
spazio al ruolo che gli Stati Uniti hanno avuto nel risveglio violento del
risentimento islamico, sfociato nell’11 Settembre. Come egli stesso afferma,
l'attacco alle Torri Gemelle è
“…il risultato di tanti e complessi fatti antecedenti: certo non è l'atto di «una
guerra di religione» degli estremisti musulmani per la conquista delle
nostre anime, una Crociata alla rovescia, come la chiami tu, Oriana. Non
è neppure "un attacco alla libertà ed alla democrazia occidentale", come
vorrebbe la semplicistica formula ora usata dai politici. […] «Gli assassini
suicidi dell'11 settembre non hanno attaccato l'America: hanno attaccato
la politica estera americana»”. (Terzani, 2001)
Terzani, citando quell’ultima frase, fa infatti riferimento alle parole
dell’accademico statunitense Chalmers Johnson, che denunciò diversi
comportamenti controversi degli Stati Uniti tra i quali il mantenimento della loro
rete di circa 800 installazioni militari nel mondo nonostante la fine della Guerra
Fredda e il crollo dell’URSS, e successivamente il dichiarato o clandestino
coinvolgimento negli imbrogli, complotti, colpi di Stato, persecuzioni, assassinii e
interventi a favore di regimi dittatoriali e corrotti in America Latina, in Africa, in
Asia e nel Medio Oriente. Il ruolo statunitense nella ri-creazione del nemico
islamico a livello europeo è davvero troppo decisiva per essere sottovalutata,
anche se non potrò trattarla qui per ragioni di spazio e rischiando di allontanarmi
troppo dallo scopo di questo scritto. Basti in questa sede ricordare che esso fu
certamente un seme determinante per l’alimentazione di quell’anti-
7
americanesimo terrorista che fece conseguentemente raccogliere l’alleanza
compatta e unita di tutto l’Occidente per combatterlo.
In conclusione a quest’analisi introduttiva dello scontro Europa – Islam,
vorrei ricordare la delicata questione che vi fa da sfondo: la concezione tutta
occidentale dei “diritti fondamentali”, secondo cui questo conflitto, in nome della
libertà e della democrazia, in particolare nell’epoca contemporanea, viene portato
avanti. La nascita dei diritti individuali, secondo il filosofo Norberto Bobbio (1992)
ha origine proprio da quel rovesciamento di prospettiva secondo cui per capire la
società bisogna partire dal basso, da una concezione individualistica della realtà.
Questo switch di punto di vista è stato provocato all’inizio dell’età moderna,
proprio a partire da quelle guerre di religione trattate poc’anzi, che hanno
maturato nella società il bisogno di rivendicare il diritto del singolo individuo a non
essere oppresso, ovvero godere di quelle libertà naturali e fondamentali che non
devono dipendere dalla volontà del sovrano, prima fra tutte, la libertà religiosa. Il
dibattito che inevitabilmente si è aperto sulla definizione e la “natura” effettiva di
questi diritti dà spazio al dilemma: questi diritti fondamentali esprimono giudizi di
valore, ma quanto questi giudizi sono universali? Con che diritto possiamo dire
che sono “naturalmente insiti” indistintamente per tutti gli individui, di diversi credi,
etnie, civiltà? Bobbio risponde che infatti i diritti sono mutevoli, plastici,
storicamente determinati e quindi relativi: la “fondamentalità” (chiedo scusa per il
neologismo) dei diritti varia tra epoche e culture. Questo per dire che mentre
parliamo dell’affermazione dell’Occidente e quindi del risentimento islamico va
ricordato che questa concezione del diritto come individuale non era affatto
presente al di fuori della civiltà Occidentale, e parlando più in generale, molte di
quelle cose che in Occidente vengono definite “universali”, per i non-occidentali
vengono invece definite “occidentali”, appunto. La concezione del bene e del
male non è purtroppo qualcosa di universalizzabile: dove l’Occidente trova una
grande opportunità di integrazione (ad esempio nei mezzi di comunicazione di
massa), i non-Occidentali percepiscono, al contrario, un senso di minaccia, che
come tutte le paure, va ad alimentare l’odio e il desiderio di proteggere la propria
identità.
8
3.2 ANALISI: I FRUTTI DELLO SCONTRO: COSA ACCADE OGGI?
3.2.1 La rivincita di Dio
La fine del XX secolo è stata caratterizzata da una reviviscenza generale delle
varie religioni in tutto il mondo4: questo ha implicato l’intensificarsi della coscienza
religiosa, e la nascita di movimenti fondamentalisti all’interno delle diverse
religioni, dediti ad una purificazione della propria dottrina rispetto alle
contaminazioni, diciamo, dovute alla modernità. In quel periodo sia l’islamismo
che il cristianesimo hanno riscontrato una forte diffusione in Africa, così come in
altre società in espansione: negli ex stati comunisti, dall’Albania al Vietnam, la
rinascita religiosa è divampata, così come la reviviscenza islamica ha travolto
tutta l’Asia centrale. Dove la religione tradizionale non riesce ad adeguarsi ai
bisogni della modernizzazione, ci sono grandi possibilità di diffusione sia per il
cristianesimo occidentale sia per l’islamismo:
“I protagonisti di maggior successo della cultura occidentale non sono gli
economisti neoclassici, i democratici da crociata o i dirigenti di
multinazionali; sono, e continueranno probabilmente a essere, i missionari
cristiani. Né Adam Smith né Thomas Jefferson potranno mai soddisfare i
bisogni psicologici, emotivi, morali e sociali degli emigrati dei centri urbani
e dei diplomati della prima generazione. Forse neanche Gesù Cristo
riuscirà a farlo, ma è probabile che abbia maggiori chances.”5
Insomma il vero cavallo di battaglia dell’occidentalizzazione di matrice europea
sarebbe stato proprio il cristianesimo, con la sua straordinaria capacità di
attecchire in popolazioni eterogenee. Non la scienza, il pragmatismo, il
razionalismo occidentale, con l’annessa illusione di un mondo futuro
completamente secolarizzato e laico, depurato da riti e superstizioni, popolato da
una società emergente sempre più tollerante e umanistica. Non è andata affatto
così: la modernizzazione non è stato sinonimo di secolarizzazione come poteva
sembrare a livello europeo. Anzi, si è rivelata in realtà portatrice dell’effetto
contrario: soprattutto laddove ha recato rapidissimi mutamenti sociali, in cui
masse di uomini e donne si sono spostati dalle campagne alle città, separandosi
4 Huntington, S.P. (1996), pag.82.
5 Ivi, pag. 84.
9
dalle loro radici, essa è stata fonte di stress sociale: la modernità dà e poi toglie,
lasciando queste persone in balia di una forte alienazione e disorientamento, con
un bisogno di comunità, di legami identitari, di nuove regole morali che diano una
direzione e un senso alle loro vite, e nella religione (tradizionale, fondamentalista,
cristiana, islamica, di qualsiasi tipo) trovavano risposta a tutte queste esigenze.
Tuttavia, prevede l’autore, nel lungo periodo il vero vincitore sarà Maometto: se
il cristianesimo si diffonde con l’arma della conversione, le armi a disposizione
dell’Islam sono conversione e riproduzione: in conseguenza agli altissimi tassi di
crescita demografica, il numero di musulmani continuerà a crescere a ritmo
sostenuto arrivando a toccare probabilmente un buon 30% della popolazione
mondiale entro il 2025, contro un previsto 25% cristiano6 . Le due religioni
arriveranno dunque ad assumere simile peso a livello mondiale, con una certa
prevalenza di quella musulmana, resa ancora più viva e ardente dalla maggiore
componente di persone in giovane età.
Nel mondo moderno insomma, la religione è e rimane un’enorme forza
che non dovremmo sottovalutare e con cui dovremmo imparare a confrontarci,
forse la forza per eccellenza capace di motivare e mobilitare le masse con una
forza così profonda: basta guardare i documentari sul nascente Stato Islamico
(ISIS nel linguaggio giornalistico italiano, acronimo di Islamic State of Iraq and
Syria) per rendersi conto immediatamente dagli sguardi pieni di ambizione, dalle
parole cariche di forza, dai canti che uniscono in coro persone delle più diverse
età e provenienze, quale passione travolgente e impareggiabile una religione può
scatenare. La variabile demografica svolge un ruolo decisivo nell’esagerazione
ed esasperazione di questa passione religiosa: la massiccia presenza della
classe di età 15-24 anni alimenta fondamentalismo, terrorismo, insurrezione e
anche migrazione7. Grandi masse di musulmani si sono rivolti all’Islam come
fonte di identità, stabilità, legittimità, speranza soprattutto, infondendo loro con il
passare del tempo e l’accrescere dei fondamentalismi una grandiosa sensazione
di potere. Il potere di poter intraprendere un cammino indipendente
dall’Occidente e dalla sua cultura considerata viziosa, spezzando i confini statali
6 Huntington, S.P. (1996), pag.84.
7 Ivi, pag. 144.
10
modellati dal suo imperialismo secolare e tornando ad essere un popolo unito
sotto la guida culturale, politica, religiosa e sociale dell’Islam, rinato “dal basso”:
«Ora possiamo passare da Siria a Iraq senza passaporto, senza visto, niente del
genere: finalmente gli stati musulmani sono uniti»8.
3.2.2 Le reazioni in Europa
L’aumento demografico delle popolazioni islamiche, misto alla stagnazione
economica delle stesse, ha avuto la naturale conseguenza di una spinta
migratoria: popolazioni numerose richiedono maggiori risorse, con la tensione a
proiettarsi all’esterno facendo pressione su altri popoli demograficamente meno
dinamici: notoriamente, l’Europa è uno di questi. Inoltre, gli ostacoli alla
migrazione sono crollati con l’esponenziale sviluppo dei trasporti e dei mezzi di
comunicazione, che hanno giocato un ruolo fondamentale nel rendere la
migrazione più rapida, agevole ed economica9, unitamente al fatto che, una volta
avviato, il flusso migratorio si autoalimenta grazie al passaggio di informazioni e
risorse tra gli emigrati e le loro famiglie stimolate a partire (Weiner, 1995). Da
questa pressione si è andato esasperando il problema delle politiche di
immigrazione e la difficoltà a gestire il conflitto culturale, instaurando nei membri
dell’Unione Europea crescenti timori verso le popolazioni in arrivo e crescenti
conflitti sul modo di gestire le politiche migratorie e di adottare contromisure di
carattere politico ed economico. Fino agli anni ’70, i paesi europei si sono
dimostrati ben disposti nei confronti dell’immigrazione, anche come modo per
ovviare alla carenza di manodopera locale. Alla fine degli anni Ottanta, tuttavia,
gli alti tassi di disoccupazione e il flusso sempre crescente di immigrati e la loro
sempre più eterogenea provenienza (in larga parte non-europea) hanno causato
un cambiamento di rotta, un mutamento degli atteggiamenti e delle politiche
immigratorie degli europei10. L’Europa è stata improvvisamente colta dall’antico
8 Documentario intitolato “The Islamic State”, a cura della rivista canadese internazionale VICE
e pubblicato il 15/08/2014, disponibile all’indirizzo https://news.vice.com/video/the-islamic-state-
full-length
9 Huntington, S.P. (1996), pag. 290.
10 Ibidem.
11
terrore dell’invasore islamico, quasi come un déja-vu: ma stavolta non minacciata
dall’avanzata di eserciti e carri armati, ma da
“Orde di immigrati che parlano un’altra lingua, pregano un altro Dio,
appartengono a un’altra cultura e che, temono, ruberanno i loro posti di
lavoro, occuperanno la loro terra, distruggeranno lo stato sociale e
minacceranno il loro stile di vita” (Weiner, 1995).
Questo è esattamente il ritratto fotografico del punto di vista europeo verso
l’immigrazione, attualissimo più che mai oggi, qualcosa di riscontrabile in un
qualsiasi post o tweet degli esponenti dei partiti xenofobi europei. Partiti, questi
ultimi, espressione e incarnazione di tutte queste fobie che prendono forma dal
declino demografico europeo in contrasto agli alti tassi di fertilità non-occidentali,
dai reali scontri culturali esperiti dall’inizio dell’ondata migratoria, e dai timori sul
destino della propria identità nazionale (Hoffmann, 1990). Il punto è che questi
timori sono curiosamente selettivi verso la sola componente musulmana degli
immigrati, come notava il giornalista americano Roberson:
“L’ostilità è diretta principalmente contro i musulmani. Il termine “immigré”
[si riferiva alla Francia] è praticamente sinonimo di Islam, oggi la seconda
maggiore religione in Francia, e riflette un razzismo etnico e culturale che
ha radici assai profonde nella storia francese” (Roberson, 1994).
Sembrerebbe che dopo la seconda guerra mondiale, l’antisemitismo europeo sia
stato via via soppiantato dall’anti-islamismo: questa ostilità oltre che
politicamente si è manifestata anche in atti di violenza concreti contro individui o
comunità di immigrati, fenomeno che nei primi anni Novanta divenne in Germania
un vero e proprio caso nazionale11. Il punto è che i citati partiti xenofobi non sono
altro che il ritratto speculare dei partiti islamisti nei paesi musulmani: entrambi
denunciano un sistema politico corrotto, facendo leva sulle difficoltà economiche
e sulla disoccupazione dilagante; in entrambi esiste una frangia estremista che
agisce compiendo atti di violenza; entrambi hanno maggiore successo a livello
locale piuttosto che nazionale. Infatti, sempre in entrambi i casi, questi partiti
prendono piede a livello nazionale solo laddove non è presente una buona
alternativa (come è accaduto in misura significativa in Algeria, Austria, Italia) ma
11 Huntington, S.P. (1996), pag. 295.
12
anche come segno di protesta e di chiusura rispetto ad un Europa che si scontra
con gli interessi individuali nazionali, come hanno mostrato gli allarmanti risultati
delle ultime elezioni europee: il successo degli indipendentisti fiamminghi del
Vlaams Belang in Belgio, del Front National in Francia, dello Jobbik in Ungheria,
del partito anti-immigrazione danese, dei Veri Finlandesi, dello Ukip di Farage nel
Regno Unito, Alba Dorata in Grecia12. Insomma, a partire dagli anni ’90 i politici
europei hanno cavalcato l’onda dei sentimenti anti-immigrazione rendendo la
stessa il nemico pubblico numero uno in Europa, tema-chiave delle campagne
elettorali locali, nazionali, europee.
Riassumendo concettualmente quanto detto finora: nella decostruzione
del “nemico islamico” europeo è fondamentale e necessario riconsiderare
l’importanza che la matrice religiosa alla base delle due civiltà ha nella
determinazione del conflitto e nell’alimentazione odierna dello stesso, e la sua
strategica importanza futura. Anche il filosofo italiano Alessandro Ferrara (2014)
fa riferimento al ritorno della religione come conseguenza della cosìddetta “crisi
della democrazia”: la crisi identitaria lasciata dal crollo delle ideologie, delle
grandi narrazioni, ha fatto sì che le popolazioni tornassero a identificarsi
riferendosi alle proprie radici e valori religiosi. L’Unione Europea stessa ha avuto
il ruolo di fonte identitaria riconciliante dopo le divisioni interne create dalla guerra
fredda. Un popolo si identifica da sempre con quello che per esso ha più
significato, che sia la comunità religiosa, il gruppo etnico, la propria nazione o,
più ampiamente, la civiltà di appartenenza: “in cerca di radici e di amici per
proteggersi dall’ignoto” (Papandreou, 1994).
Nel caso dei popoli di confessione islamica è accaduto proprio questo,
l’ancoraggio alla propria religione come principale, anzi, unica agenzia identitaria,
che abbatte ogni confine e ogni regime (imposto o voluto), fomentato dalla
struttura demografica (popolazione giovane numerosa, piena di ideali e desiderio
di lotta esattamente come lo erano coloro che fecero la storia dei movimenti
collettivi negli anni ’60), e soprattutto dall’ormai affermato declino dell’Occidente
che ha suggerito loro di uscire dalla sottomissione statunitense e rivendicare la
12 Risultati delle elezioni europee del 2014, disponibili all’indirizzo
http://www.europarl.europa.eu/elections2014-results/it/seats-member-state-absolut.html
13
propria potenza e il proprio riscatto, in nome di un sempre più alimentato anti-
americanismo a cui viene legata anche l’Europa per un più generico anti-
occidentalismo, maturato in diversi secoli di imperialismo europeo e di influenza
occidentale (e occidentalizzante). Questa tendenza antioccidentale è andata
aumentando a partire dagli anni ’70, causata dall’avvento del fondamentalismo,
dal passaggio di potere da governi filo-occidentali a governi anti-occidentali,
dall’instaurarsi di una guerra strisciante tra gruppi islamici e l’Occidente, così
come l’allentamento dei legami creatisi tra USA e alcuni paesi musulmani durante
la guerra fredda 13 . L’Occidente ha stimolato nel resto del mondo la
modernizzazione, a volte assorbita in modo totalizzante, trasformandosi di fatto
in occidentalizzazione, mentre altre volte assunta solo nei suoi elementi
essenziali, mantenendola compatibile con la cultura locale. Dove quest’ultima
formula ha funzionato (ad esempio in Asia orientale), la crescita economica ha
alimentato il potere, l’autostima, e il senso di appartenenza a quel popolo e a
quella cultura, promuovendo di fatto una de-occidentalizzazione e il riemergere
impetuoso della cultura autoctona. A riprova di ciò, nei paesi islamici dagli anni
Ottanta e Novanta è avvenuta un’inversione di rotta: dalla modernizzazione
dell’Islam all’islamizzazione della modernità, in cui la re-islamizzazione della
società era e rimane un tema centrale: sempre dal documentario sullo Stato
Islamico, sentiamo un militante pronunciare le parole: «Non vogliamo far tornare
le persone all'epoca dei piccioni viaggiatori; noi trarremo vantaggio dallo sviluppo,
ma in un modo che non contraddica la Sharia».
Di questo passo l’Europa vede spostarsi la sua precedente cortina di ferro
che separava i blocchi ideologici capitalista e comunista di diversi chilometri più
a est, ovvero su una nuova linea di demarcazione che separa civiltà
culturalmente affini: quella europea cristiana-occidentale da quella musulmana14.
Il fatto curioso è che questa linea di demarcazione immaginaria tra civiltà
differenti, che Huntington ha tracciato nel suo libro nel 1996, affiancata ad una
cartina aggiornata dell’Unione Europea, rispecchia in modo impressionante quelli
che sono i confini reali degli Stati Membri membri attuali (Figura 1).
13 Huntington, S.P. (1996), pag. 268.
14 Ivi, pag. 24.
14
Nella vicendevole divisione del mondo in “noi” e “loro”, ognuno riporta la propria
visione del giusto: fedeli e infedeli per il mondo islamico (rispettivamente: Dar al-
Islam, dimora della pace, e Dar al-Harh, dimora della guerra), curiosamente
ribaltata dagli storici statunitensi che al contrario, durante la guerra fredda,
dividevano il mondo in “aree di pace” (uno scarso 15%, comprendente Occidente
e Giappone) e “aree di disordini”, la restante percentuale. In tutto questo, l’attacco
dell’11 Settembre ha fatto da spartiacque decisivo tra mondo islamico e
occidentale, con un’onda d’urto micidiale in Europa tale per cui si è potuto
Figura 1. Confini a confronto
Fonti:
Cartina a sinistra: S.P. Huntington, "The Clash of civilizations" pag. 229, Cartina 7.1
Cartina a destra: http://europa.eu/about-eu/countries/index_it.htm
15
ufficialmente stigmatizzare l’Islam come nemico dell’Occidente, risvegliando gli
antichi timori da Crociata.
4 CONCLUSIONI – COME ANDARE OLTRE?
Alla luce di quanto illustrato finora, tra cui la crucialità dell’elemento religioso nello
scontro tra Europa e Islam, è opportuno chiedersi: quale futuro ha il
fondamentalismo islamico, e quale impatto può avere sulla comunità europea?
Come tutti i “boom”, anche il boom demografico dei popoli islamici è destinato a
placarsi, e con esso l’impetuoso fondamentalismo. “Nessuna reviviscenza
religiosa o movimento culturale dura all’infinito, e prima o poi la rinascita islamica
si placherà e svanirà nella storia”, prevede ottimisticamente Huntington,
appoggiandosi alle aspettative di un indebolimento dello slancio demografico
entro il secondo o terzo decennio del 2000. A quel punto infatti inizieranno a
diminuire le fila dei guerriglieri, militanti e migranti, e il livello di conflittualità con
l’Europa e con il resto del mondo non islamico tenderà probabilmente a calare.
Ma il vero punto chiave che bisognerebbe enfatizzare e riconoscere
maggiormente in Europa (così come in tutto l’Occidente), è che l’Islam non è
l’ISIS. Difatti, pur utilizzando come riferimento il testo di Huntington per maggior
parte di questo scritto, mi sento in dovere di muovere in questo punto alcune
importanti critiche. Il politologo statunitense commette infatti un errore di base:
considera le civiltà in toto come omogenee e statiche al loro interno, oltre che
ancorate a territori con precisi confini, come si può facilmente notare dalla
riduzione della complessità del mondo e delle civiltà in cartine geografiche. Errore
comprensibile da parte di una mentalità fortemente ideologica e da stratega
militare quale era la sua, e accettabile fintanto che si pone come schema
interpretativo della realtà per meglio studiarla, comprenderla, interpretarla in
chiave geopolitica (come ho voluto coglierne io l’occasione per la ricostruzione
storica dello scontro tra le civiltà occidentale e islamica); ma imperdonabile se
rivolto, come avviene alla fine dell’opera, ad un giudizio di valore su come
andrebbero gestite le relazioni tra queste civiltà. Con la sua chiave di lettura infatti
16
Huntington condanna all’ombra tutti quegli aspetti che dipendono dalla
permeabilità effettiva delle civiltà, dunque non solo gli scontri militari e le
operazioni di conquista ma anche le importantissime occasioni di scambi,
contaminazioni, condivisioni, capacità di arricchimento reciproco come si è potuto
accennare in riguardo al periodo delle Crociate. Ponendo al primo piano la civiltà,
ci si dimentica dell’importanza dell’individuo, dal quale non si può prescindere nel
dibattito internazionale sulla gestione della multiculturalità. Alcuni occidentali, tra
i quali l’ex presidente americano Bill Clinton, hanno sostenuto che il problema per
l’Occidente non sarebbe l’Islam ma solo gli estremisti islamici violenti15. Tuttavia
millequattrocento anni di storia dimostrano il contrario, come abbiamo potuto
vedere nell’introduzione storica. Bisognerebbe dunque lavorare su quegli
elementi che determinano la tendenza dei popoli a dividersi nel noi e nell’altro
nemico, ovvero: il sentimento di superiorità dell’Europa cristiana verso il vicino
islamico; la paura e la mancanza di fiducia; le difficoltà di comunicazione, quindi
anche la diversa interpretazione del concetto di comportamento civile, la
mancanza di familiarità con i loro valori, rapporti, consuetudini sociali. Elementi
riconducibili anche, appunto, alla concezione “in blocchi” del mondo, che rende il
dialogo tra essi impossibile oltre che poco desiderabile. Andrebbe al contrario
incentivata la possibilità di interpretare le relazioni tra gruppi come semplice
differenza, invece che come esclusione, opposizione o supremazia (Young,
1990). Una visione dinamica e plurale delle civiltà, che rispecchi in modo più
concreto quella che è la realtà, depurata da etichette pericolose, esposte al
rischio di un utilizzo strumentale ed irresponsabile in cui l’ignoranza – più che la
differenza culturale – si mostrerebbe come la vera ragione di scontro tra i popoli
(Said, 2001). Superando dunque una concezione che va nella direzione
dell’accentuazione delle differenze sulla base della paura, per imboccare una
strada che queste differenze provi a riconoscerle e a comprenderle tramite
soluzioni democratiche. In questo modo si attenuerebbe la divisione netta tra i
popoli, e la tendenza a volerlo accentuare e radicalizzare in nome della
protezione della propria identità.
15 Huntington, S.P. (1996), pag. 306.
17
A sostegno di questa soluzione, c’è la già citata tesi di Ferrara, secondo
cui possono coesistere diversi modelli di modernità e di democrazie all’interno di
diverse culture e religioni, che hanno in comune molto più di quanto possa
apparire. Come illustrò chiaramente nella lezione del ciclo di incontri “Per una
cittadinanza inclusiva”, nei venticinque secoli di storia della democrazia, si è
potuto verificare come essa sia una forma di governo compatibile con diversi
modelli, quali che essi siano. Possono insomma esistere, e di fatto esistono,
culture democratiche diverse, a partire da elementi di convergenza come
appunto le religioni, che spesso dirigono le azioni politiche ed economiche. Cosa
condividono, infatti, le diverse religioni? Nella religione come nella democrazia,
l’interesse generale è anteposto all’interesse particolare, in nome di un bene
comune. Sia nell’Islam che nel cristianesimo è presente nel nucleo dei rispettivi
testi sacri l’idea di un uguaglianza completa, di una salvezza che va oltre i confini
dei popoli. Anche il consenso come forma di legittimazione del sovrano è un
elemento comune a diversi credi, secondo cui la legittimità del sovrano dipende
dai popoli. Le diverse combinazioni di questi valori democratici danno vita a
diverse forme di governo compatibili e plasmabili in base alle diverse culture,
anche come forma di sopravvivenza delle stesse.
Per concludere: per riuscire a trasmettere questo messaggio di compatibilità
tra culture democratiche e culture religiose e dunque di permeabilità tra le civiltà,
che aiuti a preservare la propria identità senza il bisogno di stigmatizzare l’altro
come nemico (e quindi senza arrivare alla deriva apocalittica dello scontro tra
civiltà nemiche), è indispensabile una riforma dell’educazione. Servirebbe sì una
trasmissione della cultura europea, ma non in chiave eurocentrica come avviene
attualmente. Una visione più ampia della storia, che dia una visione olistica
dell’origine e dei percorsi delle civiltà come attualmente le conosciamo, che
esprima meglio la complessità che sta dietro al concetto di civilization e che aiuti
a comprendere che non tutto quello che l’Occidente dà per scontato e per
“giusto”, “naturale”, “fondamentale”, lo è per gli altri popoli. Lo stesso Terzani lo
ricorda in conclusione al suo articolo. Nel suo lungo, decennale soggiorno in
Oriente, fa capire che ha cambiato profondamente punto di vista sulle cose:
l’Occidente ha ancora tanto da apprendere dalle altre culture. E presto dovrà
18
rendersene conto, quando capirà che non è più il tempo del dominio occidentale
sulle logiche internazionali, così come non ha più senso la speranza di
annientamento dell’altro.
“Non c'è stata ancora la guerra che ha messo fine a tutte le guerre. Non lo
sarà nemmeno questa. Non si tratta di giustificare, di condonare, ma di
capire. Capire, perché io sono convinto che il problema del terrorismo non si
risolverà uccidendo i terroristi, ma eliminando le ragioni che li rendono tali.”
(Terzani, 2001).
La chiave per fare questo sta proprio nel motto importante e ambizioso che
l’Unione Europea ha scelto per se stessa, e che non va mai dimenticato: uniti
nella diversità. L’identità dell’Europa risiede proprio nella capacità di avere
elaborato regole comuni per gestire la diversità, un passo di rilevanza epocale
verso l’annientamento della paura, la difesa del confronto e del dialogo tra le
culture: “la paura dei barbari è ciò che rischia di renderci barbari” (Todorov, 2009).
Tra i valori comuni promossi dall’Europa c’è anche l’individualismo, inteso come
il primato dell’individuo sulla comunità: in primo piano non andrebbero dunque
messi i paradigmi del “noi” e del “loro”. Deve anzi essere ricordato il valore
dell’individuo, con i suoi diritti e i suoi doveri, e preferire un’identificazione che
passi per i pronomi meno faziosi di “io” e “tu”, verso la concezione più ampia di
quella che, riprendendo per l’ultima volta Huntington, alla fine del suo testo egli
propone come la considerazione dell’umanità in toto, quella che prescinde da
ogni confine: la Civilità con la “C” maiuscola.
5 BIBLIOGRAFIA E SITOGRAFIA
5.1 BIBLIOGRAFIA
Bobbio, Norberto (1992). L’età dei diritti. Torino: Einaudi.
Cartocci, Roberto (a cura di) (2011). Costruire la democrazia in Europa. Un
inventario di strumenti analitici. Bologna: Il Mulino.
Esposito, John L. (1999). The Islamic threat: Myth or reality?. Oxford: Oxford
University Press.
19
Fallaci, Oriana (2001). La rabbia e l’orgoglio. Corriere della Sera. 26 Settembre
2001.
Ferrara, Alessandro (2014). Dalle modernità multiple alle democrazie multiple.
Lecture nell’ambito del ciclo di incontri “Per una cittadinanza inclusiva”, un
progetto di Reset-Dialogues on Civilizations e Fondazione Giangiacomo
Feltrinelli.
Hoffmann, Stanley (1990). “The case for leadership”. In: Foreign Policy, n. 81,
pag. 30.
Huntington, Samuel P. (1996). Lo scontro delle civiltà e il nuovo ordine mondiale.
Milano: Garzanti.
Lewis, Bernard (1995). L’Europa e l’Islam. Bari: Laterza.
Papandreou, Andreas (1994). “Europe turns left”. In: New Perspectives
Quarterly, n. 11, p. 53.
Roberson, Barbara A. (1994). “Islam and Europe: an enigma or a myth?”. In:
Middle East Journal, n. 48, p. 302.
Said, E. W. (2001). The Clash of Ignorance. The Nation.
Sen, Amartya (2012). The snakes and ladders of Europe. The Economic System
We Need. 10 Maggio 2012.
Terzani, Tiziano (2001). Il sultano e San Francesco: non possiamo rinunciare alla
speranza. Corriere della Sera. 8 Ottobre 2001.
Todorov, T. (2009). La paura dei barbari: oltre lo scontro delle civiltà. Garzanti.
Weiner, Myron (1995). The global migration crisis: challenge to states and to
human rights.
Young, I. M. (1990). Le politiche della differenza. Milano: Feltrinelli.
5.2 SITOGRAFIA
Parlamento Europeo: http://www.europarl.europa.eu/portal/it
Profilo Facebook ufficiale Maurizio Gasparri:
https://www.facebook.com/pages/Maurizio-Gasparri
VICE News: https://news.vice.com/
Sito Ufficiale dell’Unione Europea: http://europa.eu/
20
6 AUTOVALUTAZIONE RISPETTO AL PROPRIO PERCORSO
FORMATIVO
Complessivamente, ritengo soddisfacente il modo peculiare con cui questo corso
ha arricchito il mio percorso accademico: faccio riferimento in particolare
all’insistenza sulla capacità critica che ci si aspettava dagli studenti, in modo
diverso dagli altri corsi che, più specificamente, cercano di perfezionare le
capacità tecniche e professionalizzanti da spendere su casi empirici. Entrambe
sono fondamentali per uscire con un titolo magistrale che ne valga il nome, per
cui sono contenta di questo aspetto e spero soprattutto di averlo acquisito al
meglio. Per ottenere una buona capacità critica è necessario padroneggiare
adeguatamente l’argomento trattato, per cui mi accorgo che, rispetto ai tentativi
fatti durante la laurea triennale (Scienze Politiche, Bologna) i risultati di essays
scritti in chiave critica sono ora più appaganti e – spero – credibili, segno che gli
anni passati a trattare e ritrattare i temi delle scienze sociali e umanistiche non
sono stati vani. Un altro elemento arricchente è stato la meticolosità con cui gli
studenti sono stati spinti a prendere sul serio le presentazioni in aula: i tempi, le
tecniche di conduzione, il ruolo dei discussant, la proposta della lingua inglese,
sono stati per noi una sfida importante mascherata da una componente quasi
giocosa. È stato curioso riscontrare le stesse dinamiche sperimentate in aula
nella realtà concreta di seminari e convegni. Passando invece alle mancanze,
devo ammettere che rispetto alla domanda su che cosa fosse la filosofia politica,
a cui ci è stato proposto ad inizio corso di dare una definizione, non so se ho
ottenuto realmente una risposta: mi è sembrato mancasse una formazione
concettuale preliminare che ci desse qualche marcia in più per affrontare in modo
più preparato i temi affrontati nella seconda parte del corso. Penso che in questo
versante il corso avesse ancora molto da offrire, vista anche l’ottima bibliografia
a disposizione: manca forse una reale condivisione con gli studenti di tutto il
sapere che i docenti hanno (perché qui in Bicocca i docenti sono preparati
eccome) e che sarebbero tenuti a maggior ragione a seminare, promuovere,
stimolare negli studenti come loro priorità assoluta. Per concludere, devo
ringraziare infine questo esame per avermi indotto alla lettura de “Lo scontro delle
21
civiltà”, un testo immenso che a tratti mi ha fatto innamorare e arrabbiare, ma che
soprattutto ha potuto darmi quella “visione olistica” della storia che suggerisco
nelle conclusioni del mio saggio come elemento di possibile aiuto per il
superamento del conflitto identitario e che infatti mi ha personalmente aiutato
molto a riconsiderare la visione occidentale della storia.

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Il nemico islamico in Europa: si può andare oltre? - Ricostruzione dello scontro culturale arabo-europeo per un superamento del conflitto

  • 1. IL NEMICO ISLAMICO IN EUROPA: SI PUÒ ANDARE OLTRE? Ricostruzione dello scontro culturale arabo- europeo per un superamento del conflitto Autore: Elena Colli e.colli3@campus.unimib.it Matricola 783063 A.A. 2014/2015 Tesina per il corso di “Diritti e cittadinanza europea”, tenuto dalla prof.ssa Marina Calloni Corso di Laurea Magistrale in Sociologia, Università degli Studi di Milano - Bicocca
  • 2. 1 1 INDICE 2 Introduzione ................................................................................................ 2 3 Svolgimento ................................................................................................ 4 3.1 Introduzione: Ricostruzione storica dello scontro Europa - Islam.......... 4 3.2 Analisi: i frutti dello scontro: cosa accade oggi?.................................... 8 3.2.1 La rivincita di Dio ............................................................................ 8 3.2.2 Le reazioni in Europa.................................................................... 10 4 Conclusioni – Come andare oltre? ............................................................ 15 5 Bibliografia e sitografia.............................................................................. 18 5.1 Bibliografia .......................................................................................... 18 5.2 Sitografia............................................................................................. 19 6 Autovalutazione rispetto al proprio percorso formativo ............................. 20
  • 3. 2 2 INTRODUZIONE La scelta di questo particolare tema è stata dettata dall’incrociarsi fortuito di due elementi: primo fra questi, la lettura dello scambio epistolare dei due giornalisti e scrittori Oriana Fallaci e Tiziano Terzani. Si tratta di un articolo che la scrittrice fiorentina pubblicò su Il Corriere della sera in seguito all’attacco alle Torri Gemelle dell’11 Settembre, e da poco riproposto sui social network dall’attuale vice presidente del Senato Maurizio Gasparri. Non a caso questo articolo, pregno di un patriottismo sincero e indignato verso la tolleranza occidentale all’avanzata islamica, è stato riesumato dall’Onorevole come rilancio delle parole di rabbia e orgoglio (da cui prese il titolo) da riproporre come messaggio attuale: “sembrano scritte oggi”1. In risposta a quell’articolo però, il collega e amico Tiziano Terzani rispose qualche tempo dopo, sempre sul Corriere, in tutti altri termini, con un lucido messaggio di pacifismo e speranza (senza buonismo) che invitava la Fallaci e i suoi lettori a fare attenzione alle conseguenze che un tale messaggio di intolleranza poteva avere sugli equilibri sociali, “aizzando la bestia dell’odio e provocando la cecità delle passioni” (Terzani, 2001). Il secondo elemento del mio intreccio fortuito è stata la lettura della monumentale opera “Lo scontro delle civiltà”, scritta da un autore di indubbia acutezza, che nei primi anni ’90 scrisse questo testo attualissimo, sicuramente non privo di controversie, visto il forte messaggio che intende comunicare. Huntington in questa opera propone il suo schema di interpretazione della realtà, secondo cui la suddivisione dell’umanità, e dunque la ragione dei conflitti, sarà in futuro da ricondurre unicamente allo scontro culturale tra le maggiori civiltà determinatesi nel corso della storia (sinica, giapponese, indù, islamica, occidentale, latino americana, africana) e non più a forze di natura geopolitica o ideologica: the clash of civilizations. 1 https://www.facebook.com/pages/Maurizio-Gasparri/, post sulla pagina ufficiale Facebook in data 13/10/2014.
  • 4. 3 Il minimo comun denominatore di questi due elementi è risultato la figura del nemico islamico, ieri come oggi, nello scambio epistolare così come nel testo di Huntington. In un momento critico per l’Unione Europea come quello attuale, ripercorrere la storia dell’identità della propria civiltà alla luce del suo scontro con quella islamica, potrebbe aiutare per ricostruire quello scontro e successivamente decostruire il Nemico, per potersi protendere verso quel ripensamento dell’aggressività occidentale di cui parlava Terzani nel suo articolo. Il recupero di questa paura dell’Islam (mista a rabbia e a rivendicazione della propria diversità rispetto all’altro) è segno di una crisi di identità e di unità che l’Europa sta attraversando, sia a livello di singole nazioni che come entità collettiva. Certo il contributo della crisi economica prima statunitense poi europea è stato decisivo nell’accentuare questa incertezza identitaria: alla domanda basilare che popoli e nazioni continuamente si pongono – chi siamo? – l’Europa si trova divisa e confusa. A tratti diffidente verso quell’apparato burocratico troppo legato alle organizzazioni finanziarie ed economiche internazionali che poco hanno a che fare coi principi di democrazia, riducendo la meravigliosa idea politica di un’Europa unita, che risuonava speranzosa nel Manifesto di Ventotene, a una traballante struttura di fallimentare unione finanziaria (Sen, 2012). Altre volte invece, si protende verso quell’abbattimento dei confini nazionali, ormai obsoleti in un mondo globalizzato, cimentandosi verso il riconoscimento e la valorizzazione di quella cittadinanza europea che è ancora incerta ma che in certi casi può simbolizzare la rappresentazione di un “noi” più grande del piccolo stato, un noi che a volte risulta anche essere un modo di difendersi da quell’altro che invece, da secoli e ancora oggi, si incarna in modo sempre più nitido nel “nemico islamico”.
  • 5. 4 3 SVOLGIMENTO 3.1 INTRODUZIONE: RICOSTRUZIONE STORICA DELLO SCONTRO EUROPA - ISLAM I conflitti tra popoli esistono dacché la storia ha avuto origine. Le cause di queste conflittualità sono le stesse da sempre e valgono a livello universale: controllo sulla popolazione, territorio, ricchezza, risorse, e il potere di imporre ad altri i nostri valori e le nostre istituzioni, impedendo che facciano lo stesso con noi (Huntington, 1996). L’uomo ha bisogno di nemici: qualcuno con cui scontrarsi per definire se stesso. Cristianesimo e Islam ne sono l’esempio più calzante: i rapporti tra queste due confessioni, in ogni loro variante, sono stati spesso burrascosi, di origine antica e di carattere fortemente conflittuale, in competizione per la conquista di potere, terra, anime (Esposito, 1999). A volte ha prevalso la coesistenza pacifica; ma molto più spesso il rapporto è stato di intensa rivalità, da guerre fredde a guerre calde. Lo stesso termine “Guerra Fredda” ha origine proprio dall’espressione usata dagli spagnoli nel XIII secolo per descrivere la “difficile convivenza” con i musulmani nel Mediterraneo2. Ma procedendo per ordine: a quando risalgono i primi rapporti tra queste due conflittuali popolazioni? L’iniziale espansione arabo-islamica, tra VII e VIII secolo, diffuse il dominio musulmano dal Medio Oriente fino a Nord Africa e Spagna, e i confini si stabilizzarono per i due secoli seguenti. Alla fine dell’XI secolo però, iniziarono gli scontri perpetrati dal mondo cristiano per il recupero del controllo sul Mediterraneo occidentale. Fu infatti in quel momento che le monarchie cristiane, sollecitate dal Papato, diedero inizio alle Crociate, cercando di respingere l’Islam in espansione dal proprio territorio e tentando senza successo di spingere il dominio cristiano fino in Terra Santa (Cartocci, 2011). Dal XI al XIII secolo si registrò infatti la fase più acuta degli scontri sul piano conflittuale tra i due popoli, a cui si aggiunsero i turchi ottomani: per ben due volte l’Islam mise in serio pericolo la sopravvivenza dell’Occidente. Osserva lo storico Bernard Lewis: “dal primo sbarco moresco in Spagna al secondo assedio turco 2 Huntington, S.P. (1996), pag. 303.
  • 6. 5 di Vienna, l’Europa è stata sotto la costante minaccia dell’Islam” (Lewis, 1995). Ma lo stesso periodo fu anche occasione di scontri a livello culturale che furono fonte di arricchimento e di scambio commerciale e scientifico, base essenziale per la matrice culturale del Rinascimento e Umanesimo europei (Cartocci, 2011). Dal XV secolo, tuttavia, ha inizio la Reconquista con la graduale ripresa della penisola iberica da parte dei cristiani, quindi l’espansione del dominio portoghese, dell’impero asburgico, l’avanzata dei russi su Mar Nero e Caucaso, il decollo insomma del colonialismo europeo che durerà per tutti i secoli seguenti. Al termine della prima guerra mondiale, l’Europa stabilì il proprio controllo sulle restanti terre ottomane: nel 1920, mantenevano la propria indipendenza da domini occidentali solo quattro paesi musulmani: Turchia, Arabia Saudita, Iran e Afghanistan. L’Islam era stato sostanzialmente confinato, in nome dell’avanzata occidentale. Quando poi venne la volta della ritirata del colonialismo occidentale, processo iniziato nel primo dopoguerra e rapidamente ampliato dopo la seconda guerra mondiale, fu l’inizio di una ripresa da parte delle società musulmane. Con il crollo dell’URSS, ulteriori aree potettero sottrarsi al conflitto ideologico e riacquistare l’indipendenza. Si conta che tra il 1757 e il 1919, novantadue territori musulmani finirono sotto il controllo di governi non musulmani; nel 1995, sessantanove di quei territori erano tornati sotto al controllo musulmano, e la maggioranza aveva una popolazione in grandissima maggioranza musulmana3. Non si è trattato di mutamenti pacifici: nel corso di quel periodo più della metà dei conflitti religiosi nel mondo è stata combattuta tra cristiani e islamici. Ma qual è la causa di questa costante conflittualità? Attribuirla al fervore cristiano delle Crociate o al fondamentalismo islamico del XX secolo è obsoleto poiché essi riguardano fenomeni transitori che non possono coprire un’estensione temporale millenaria. Huntington suggerisce che questa causa va cercata nelle differenze e nelle similitudini che queste religioni presentano. Partendo dalle similitudini, esse condividono aspetti che le rendono inconciliabili: entrambe affermano l’esistenza di un unico Dio, sono universalistiche, dunque ritengono di essere l’unica fede alla quale la popolazione mondiale dovrebbe 3 Huntington, S.P. (1996), pag. 308.
  • 7. 6 aderire, ed entrambe sono a vocazione missionaria, per cui gli adepti sono portati alla conversione degli infedeli. Differiscono invece, e questo è fondamentale, nel rapporto tra religione e sfera politica. Per i musulmani esiste il precetto secondo cui l’Islam deve essere inteso come stile di vita, che trascende, unendole, politica e religione. In contrapposizione, nel mondo cristiano vale la celebre separazione tra potere spirituale e temporale suggellata dalla frase “Rendete a Cesare ciò che è di Cesare e a Dio ciò che è di Dio” (Marco 12, 13-17). La conflittualità violenta tra cristianesimo e Islam è variata nel tempo e dipende ora, in modo combinato, dai tassi di crescita demografica, dallo sviluppo economico e tecnologico, e dal livello di ardore religioso: elementi che ora come ora sono a favore del popolo islamico. Nell’articolo di Terzani viene anche dato spazio al ruolo che gli Stati Uniti hanno avuto nel risveglio violento del risentimento islamico, sfociato nell’11 Settembre. Come egli stesso afferma, l'attacco alle Torri Gemelle è “…il risultato di tanti e complessi fatti antecedenti: certo non è l'atto di «una guerra di religione» degli estremisti musulmani per la conquista delle nostre anime, una Crociata alla rovescia, come la chiami tu, Oriana. Non è neppure "un attacco alla libertà ed alla democrazia occidentale", come vorrebbe la semplicistica formula ora usata dai politici. […] «Gli assassini suicidi dell'11 settembre non hanno attaccato l'America: hanno attaccato la politica estera americana»”. (Terzani, 2001) Terzani, citando quell’ultima frase, fa infatti riferimento alle parole dell’accademico statunitense Chalmers Johnson, che denunciò diversi comportamenti controversi degli Stati Uniti tra i quali il mantenimento della loro rete di circa 800 installazioni militari nel mondo nonostante la fine della Guerra Fredda e il crollo dell’URSS, e successivamente il dichiarato o clandestino coinvolgimento negli imbrogli, complotti, colpi di Stato, persecuzioni, assassinii e interventi a favore di regimi dittatoriali e corrotti in America Latina, in Africa, in Asia e nel Medio Oriente. Il ruolo statunitense nella ri-creazione del nemico islamico a livello europeo è davvero troppo decisiva per essere sottovalutata, anche se non potrò trattarla qui per ragioni di spazio e rischiando di allontanarmi troppo dallo scopo di questo scritto. Basti in questa sede ricordare che esso fu certamente un seme determinante per l’alimentazione di quell’anti-
  • 8. 7 americanesimo terrorista che fece conseguentemente raccogliere l’alleanza compatta e unita di tutto l’Occidente per combatterlo. In conclusione a quest’analisi introduttiva dello scontro Europa – Islam, vorrei ricordare la delicata questione che vi fa da sfondo: la concezione tutta occidentale dei “diritti fondamentali”, secondo cui questo conflitto, in nome della libertà e della democrazia, in particolare nell’epoca contemporanea, viene portato avanti. La nascita dei diritti individuali, secondo il filosofo Norberto Bobbio (1992) ha origine proprio da quel rovesciamento di prospettiva secondo cui per capire la società bisogna partire dal basso, da una concezione individualistica della realtà. Questo switch di punto di vista è stato provocato all’inizio dell’età moderna, proprio a partire da quelle guerre di religione trattate poc’anzi, che hanno maturato nella società il bisogno di rivendicare il diritto del singolo individuo a non essere oppresso, ovvero godere di quelle libertà naturali e fondamentali che non devono dipendere dalla volontà del sovrano, prima fra tutte, la libertà religiosa. Il dibattito che inevitabilmente si è aperto sulla definizione e la “natura” effettiva di questi diritti dà spazio al dilemma: questi diritti fondamentali esprimono giudizi di valore, ma quanto questi giudizi sono universali? Con che diritto possiamo dire che sono “naturalmente insiti” indistintamente per tutti gli individui, di diversi credi, etnie, civiltà? Bobbio risponde che infatti i diritti sono mutevoli, plastici, storicamente determinati e quindi relativi: la “fondamentalità” (chiedo scusa per il neologismo) dei diritti varia tra epoche e culture. Questo per dire che mentre parliamo dell’affermazione dell’Occidente e quindi del risentimento islamico va ricordato che questa concezione del diritto come individuale non era affatto presente al di fuori della civiltà Occidentale, e parlando più in generale, molte di quelle cose che in Occidente vengono definite “universali”, per i non-occidentali vengono invece definite “occidentali”, appunto. La concezione del bene e del male non è purtroppo qualcosa di universalizzabile: dove l’Occidente trova una grande opportunità di integrazione (ad esempio nei mezzi di comunicazione di massa), i non-Occidentali percepiscono, al contrario, un senso di minaccia, che come tutte le paure, va ad alimentare l’odio e il desiderio di proteggere la propria identità.
  • 9. 8 3.2 ANALISI: I FRUTTI DELLO SCONTRO: COSA ACCADE OGGI? 3.2.1 La rivincita di Dio La fine del XX secolo è stata caratterizzata da una reviviscenza generale delle varie religioni in tutto il mondo4: questo ha implicato l’intensificarsi della coscienza religiosa, e la nascita di movimenti fondamentalisti all’interno delle diverse religioni, dediti ad una purificazione della propria dottrina rispetto alle contaminazioni, diciamo, dovute alla modernità. In quel periodo sia l’islamismo che il cristianesimo hanno riscontrato una forte diffusione in Africa, così come in altre società in espansione: negli ex stati comunisti, dall’Albania al Vietnam, la rinascita religiosa è divampata, così come la reviviscenza islamica ha travolto tutta l’Asia centrale. Dove la religione tradizionale non riesce ad adeguarsi ai bisogni della modernizzazione, ci sono grandi possibilità di diffusione sia per il cristianesimo occidentale sia per l’islamismo: “I protagonisti di maggior successo della cultura occidentale non sono gli economisti neoclassici, i democratici da crociata o i dirigenti di multinazionali; sono, e continueranno probabilmente a essere, i missionari cristiani. Né Adam Smith né Thomas Jefferson potranno mai soddisfare i bisogni psicologici, emotivi, morali e sociali degli emigrati dei centri urbani e dei diplomati della prima generazione. Forse neanche Gesù Cristo riuscirà a farlo, ma è probabile che abbia maggiori chances.”5 Insomma il vero cavallo di battaglia dell’occidentalizzazione di matrice europea sarebbe stato proprio il cristianesimo, con la sua straordinaria capacità di attecchire in popolazioni eterogenee. Non la scienza, il pragmatismo, il razionalismo occidentale, con l’annessa illusione di un mondo futuro completamente secolarizzato e laico, depurato da riti e superstizioni, popolato da una società emergente sempre più tollerante e umanistica. Non è andata affatto così: la modernizzazione non è stato sinonimo di secolarizzazione come poteva sembrare a livello europeo. Anzi, si è rivelata in realtà portatrice dell’effetto contrario: soprattutto laddove ha recato rapidissimi mutamenti sociali, in cui masse di uomini e donne si sono spostati dalle campagne alle città, separandosi 4 Huntington, S.P. (1996), pag.82. 5 Ivi, pag. 84.
  • 10. 9 dalle loro radici, essa è stata fonte di stress sociale: la modernità dà e poi toglie, lasciando queste persone in balia di una forte alienazione e disorientamento, con un bisogno di comunità, di legami identitari, di nuove regole morali che diano una direzione e un senso alle loro vite, e nella religione (tradizionale, fondamentalista, cristiana, islamica, di qualsiasi tipo) trovavano risposta a tutte queste esigenze. Tuttavia, prevede l’autore, nel lungo periodo il vero vincitore sarà Maometto: se il cristianesimo si diffonde con l’arma della conversione, le armi a disposizione dell’Islam sono conversione e riproduzione: in conseguenza agli altissimi tassi di crescita demografica, il numero di musulmani continuerà a crescere a ritmo sostenuto arrivando a toccare probabilmente un buon 30% della popolazione mondiale entro il 2025, contro un previsto 25% cristiano6 . Le due religioni arriveranno dunque ad assumere simile peso a livello mondiale, con una certa prevalenza di quella musulmana, resa ancora più viva e ardente dalla maggiore componente di persone in giovane età. Nel mondo moderno insomma, la religione è e rimane un’enorme forza che non dovremmo sottovalutare e con cui dovremmo imparare a confrontarci, forse la forza per eccellenza capace di motivare e mobilitare le masse con una forza così profonda: basta guardare i documentari sul nascente Stato Islamico (ISIS nel linguaggio giornalistico italiano, acronimo di Islamic State of Iraq and Syria) per rendersi conto immediatamente dagli sguardi pieni di ambizione, dalle parole cariche di forza, dai canti che uniscono in coro persone delle più diverse età e provenienze, quale passione travolgente e impareggiabile una religione può scatenare. La variabile demografica svolge un ruolo decisivo nell’esagerazione ed esasperazione di questa passione religiosa: la massiccia presenza della classe di età 15-24 anni alimenta fondamentalismo, terrorismo, insurrezione e anche migrazione7. Grandi masse di musulmani si sono rivolti all’Islam come fonte di identità, stabilità, legittimità, speranza soprattutto, infondendo loro con il passare del tempo e l’accrescere dei fondamentalismi una grandiosa sensazione di potere. Il potere di poter intraprendere un cammino indipendente dall’Occidente e dalla sua cultura considerata viziosa, spezzando i confini statali 6 Huntington, S.P. (1996), pag.84. 7 Ivi, pag. 144.
  • 11. 10 modellati dal suo imperialismo secolare e tornando ad essere un popolo unito sotto la guida culturale, politica, religiosa e sociale dell’Islam, rinato “dal basso”: «Ora possiamo passare da Siria a Iraq senza passaporto, senza visto, niente del genere: finalmente gli stati musulmani sono uniti»8. 3.2.2 Le reazioni in Europa L’aumento demografico delle popolazioni islamiche, misto alla stagnazione economica delle stesse, ha avuto la naturale conseguenza di una spinta migratoria: popolazioni numerose richiedono maggiori risorse, con la tensione a proiettarsi all’esterno facendo pressione su altri popoli demograficamente meno dinamici: notoriamente, l’Europa è uno di questi. Inoltre, gli ostacoli alla migrazione sono crollati con l’esponenziale sviluppo dei trasporti e dei mezzi di comunicazione, che hanno giocato un ruolo fondamentale nel rendere la migrazione più rapida, agevole ed economica9, unitamente al fatto che, una volta avviato, il flusso migratorio si autoalimenta grazie al passaggio di informazioni e risorse tra gli emigrati e le loro famiglie stimolate a partire (Weiner, 1995). Da questa pressione si è andato esasperando il problema delle politiche di immigrazione e la difficoltà a gestire il conflitto culturale, instaurando nei membri dell’Unione Europea crescenti timori verso le popolazioni in arrivo e crescenti conflitti sul modo di gestire le politiche migratorie e di adottare contromisure di carattere politico ed economico. Fino agli anni ’70, i paesi europei si sono dimostrati ben disposti nei confronti dell’immigrazione, anche come modo per ovviare alla carenza di manodopera locale. Alla fine degli anni Ottanta, tuttavia, gli alti tassi di disoccupazione e il flusso sempre crescente di immigrati e la loro sempre più eterogenea provenienza (in larga parte non-europea) hanno causato un cambiamento di rotta, un mutamento degli atteggiamenti e delle politiche immigratorie degli europei10. L’Europa è stata improvvisamente colta dall’antico 8 Documentario intitolato “The Islamic State”, a cura della rivista canadese internazionale VICE e pubblicato il 15/08/2014, disponibile all’indirizzo https://news.vice.com/video/the-islamic-state- full-length 9 Huntington, S.P. (1996), pag. 290. 10 Ibidem.
  • 12. 11 terrore dell’invasore islamico, quasi come un déja-vu: ma stavolta non minacciata dall’avanzata di eserciti e carri armati, ma da “Orde di immigrati che parlano un’altra lingua, pregano un altro Dio, appartengono a un’altra cultura e che, temono, ruberanno i loro posti di lavoro, occuperanno la loro terra, distruggeranno lo stato sociale e minacceranno il loro stile di vita” (Weiner, 1995). Questo è esattamente il ritratto fotografico del punto di vista europeo verso l’immigrazione, attualissimo più che mai oggi, qualcosa di riscontrabile in un qualsiasi post o tweet degli esponenti dei partiti xenofobi europei. Partiti, questi ultimi, espressione e incarnazione di tutte queste fobie che prendono forma dal declino demografico europeo in contrasto agli alti tassi di fertilità non-occidentali, dai reali scontri culturali esperiti dall’inizio dell’ondata migratoria, e dai timori sul destino della propria identità nazionale (Hoffmann, 1990). Il punto è che questi timori sono curiosamente selettivi verso la sola componente musulmana degli immigrati, come notava il giornalista americano Roberson: “L’ostilità è diretta principalmente contro i musulmani. Il termine “immigré” [si riferiva alla Francia] è praticamente sinonimo di Islam, oggi la seconda maggiore religione in Francia, e riflette un razzismo etnico e culturale che ha radici assai profonde nella storia francese” (Roberson, 1994). Sembrerebbe che dopo la seconda guerra mondiale, l’antisemitismo europeo sia stato via via soppiantato dall’anti-islamismo: questa ostilità oltre che politicamente si è manifestata anche in atti di violenza concreti contro individui o comunità di immigrati, fenomeno che nei primi anni Novanta divenne in Germania un vero e proprio caso nazionale11. Il punto è che i citati partiti xenofobi non sono altro che il ritratto speculare dei partiti islamisti nei paesi musulmani: entrambi denunciano un sistema politico corrotto, facendo leva sulle difficoltà economiche e sulla disoccupazione dilagante; in entrambi esiste una frangia estremista che agisce compiendo atti di violenza; entrambi hanno maggiore successo a livello locale piuttosto che nazionale. Infatti, sempre in entrambi i casi, questi partiti prendono piede a livello nazionale solo laddove non è presente una buona alternativa (come è accaduto in misura significativa in Algeria, Austria, Italia) ma 11 Huntington, S.P. (1996), pag. 295.
  • 13. 12 anche come segno di protesta e di chiusura rispetto ad un Europa che si scontra con gli interessi individuali nazionali, come hanno mostrato gli allarmanti risultati delle ultime elezioni europee: il successo degli indipendentisti fiamminghi del Vlaams Belang in Belgio, del Front National in Francia, dello Jobbik in Ungheria, del partito anti-immigrazione danese, dei Veri Finlandesi, dello Ukip di Farage nel Regno Unito, Alba Dorata in Grecia12. Insomma, a partire dagli anni ’90 i politici europei hanno cavalcato l’onda dei sentimenti anti-immigrazione rendendo la stessa il nemico pubblico numero uno in Europa, tema-chiave delle campagne elettorali locali, nazionali, europee. Riassumendo concettualmente quanto detto finora: nella decostruzione del “nemico islamico” europeo è fondamentale e necessario riconsiderare l’importanza che la matrice religiosa alla base delle due civiltà ha nella determinazione del conflitto e nell’alimentazione odierna dello stesso, e la sua strategica importanza futura. Anche il filosofo italiano Alessandro Ferrara (2014) fa riferimento al ritorno della religione come conseguenza della cosìddetta “crisi della democrazia”: la crisi identitaria lasciata dal crollo delle ideologie, delle grandi narrazioni, ha fatto sì che le popolazioni tornassero a identificarsi riferendosi alle proprie radici e valori religiosi. L’Unione Europea stessa ha avuto il ruolo di fonte identitaria riconciliante dopo le divisioni interne create dalla guerra fredda. Un popolo si identifica da sempre con quello che per esso ha più significato, che sia la comunità religiosa, il gruppo etnico, la propria nazione o, più ampiamente, la civiltà di appartenenza: “in cerca di radici e di amici per proteggersi dall’ignoto” (Papandreou, 1994). Nel caso dei popoli di confessione islamica è accaduto proprio questo, l’ancoraggio alla propria religione come principale, anzi, unica agenzia identitaria, che abbatte ogni confine e ogni regime (imposto o voluto), fomentato dalla struttura demografica (popolazione giovane numerosa, piena di ideali e desiderio di lotta esattamente come lo erano coloro che fecero la storia dei movimenti collettivi negli anni ’60), e soprattutto dall’ormai affermato declino dell’Occidente che ha suggerito loro di uscire dalla sottomissione statunitense e rivendicare la 12 Risultati delle elezioni europee del 2014, disponibili all’indirizzo http://www.europarl.europa.eu/elections2014-results/it/seats-member-state-absolut.html
  • 14. 13 propria potenza e il proprio riscatto, in nome di un sempre più alimentato anti- americanismo a cui viene legata anche l’Europa per un più generico anti- occidentalismo, maturato in diversi secoli di imperialismo europeo e di influenza occidentale (e occidentalizzante). Questa tendenza antioccidentale è andata aumentando a partire dagli anni ’70, causata dall’avvento del fondamentalismo, dal passaggio di potere da governi filo-occidentali a governi anti-occidentali, dall’instaurarsi di una guerra strisciante tra gruppi islamici e l’Occidente, così come l’allentamento dei legami creatisi tra USA e alcuni paesi musulmani durante la guerra fredda 13 . L’Occidente ha stimolato nel resto del mondo la modernizzazione, a volte assorbita in modo totalizzante, trasformandosi di fatto in occidentalizzazione, mentre altre volte assunta solo nei suoi elementi essenziali, mantenendola compatibile con la cultura locale. Dove quest’ultima formula ha funzionato (ad esempio in Asia orientale), la crescita economica ha alimentato il potere, l’autostima, e il senso di appartenenza a quel popolo e a quella cultura, promuovendo di fatto una de-occidentalizzazione e il riemergere impetuoso della cultura autoctona. A riprova di ciò, nei paesi islamici dagli anni Ottanta e Novanta è avvenuta un’inversione di rotta: dalla modernizzazione dell’Islam all’islamizzazione della modernità, in cui la re-islamizzazione della società era e rimane un tema centrale: sempre dal documentario sullo Stato Islamico, sentiamo un militante pronunciare le parole: «Non vogliamo far tornare le persone all'epoca dei piccioni viaggiatori; noi trarremo vantaggio dallo sviluppo, ma in un modo che non contraddica la Sharia». Di questo passo l’Europa vede spostarsi la sua precedente cortina di ferro che separava i blocchi ideologici capitalista e comunista di diversi chilometri più a est, ovvero su una nuova linea di demarcazione che separa civiltà culturalmente affini: quella europea cristiana-occidentale da quella musulmana14. Il fatto curioso è che questa linea di demarcazione immaginaria tra civiltà differenti, che Huntington ha tracciato nel suo libro nel 1996, affiancata ad una cartina aggiornata dell’Unione Europea, rispecchia in modo impressionante quelli che sono i confini reali degli Stati Membri membri attuali (Figura 1). 13 Huntington, S.P. (1996), pag. 268. 14 Ivi, pag. 24.
  • 15. 14 Nella vicendevole divisione del mondo in “noi” e “loro”, ognuno riporta la propria visione del giusto: fedeli e infedeli per il mondo islamico (rispettivamente: Dar al- Islam, dimora della pace, e Dar al-Harh, dimora della guerra), curiosamente ribaltata dagli storici statunitensi che al contrario, durante la guerra fredda, dividevano il mondo in “aree di pace” (uno scarso 15%, comprendente Occidente e Giappone) e “aree di disordini”, la restante percentuale. In tutto questo, l’attacco dell’11 Settembre ha fatto da spartiacque decisivo tra mondo islamico e occidentale, con un’onda d’urto micidiale in Europa tale per cui si è potuto Figura 1. Confini a confronto Fonti: Cartina a sinistra: S.P. Huntington, "The Clash of civilizations" pag. 229, Cartina 7.1 Cartina a destra: http://europa.eu/about-eu/countries/index_it.htm
  • 16. 15 ufficialmente stigmatizzare l’Islam come nemico dell’Occidente, risvegliando gli antichi timori da Crociata. 4 CONCLUSIONI – COME ANDARE OLTRE? Alla luce di quanto illustrato finora, tra cui la crucialità dell’elemento religioso nello scontro tra Europa e Islam, è opportuno chiedersi: quale futuro ha il fondamentalismo islamico, e quale impatto può avere sulla comunità europea? Come tutti i “boom”, anche il boom demografico dei popoli islamici è destinato a placarsi, e con esso l’impetuoso fondamentalismo. “Nessuna reviviscenza religiosa o movimento culturale dura all’infinito, e prima o poi la rinascita islamica si placherà e svanirà nella storia”, prevede ottimisticamente Huntington, appoggiandosi alle aspettative di un indebolimento dello slancio demografico entro il secondo o terzo decennio del 2000. A quel punto infatti inizieranno a diminuire le fila dei guerriglieri, militanti e migranti, e il livello di conflittualità con l’Europa e con il resto del mondo non islamico tenderà probabilmente a calare. Ma il vero punto chiave che bisognerebbe enfatizzare e riconoscere maggiormente in Europa (così come in tutto l’Occidente), è che l’Islam non è l’ISIS. Difatti, pur utilizzando come riferimento il testo di Huntington per maggior parte di questo scritto, mi sento in dovere di muovere in questo punto alcune importanti critiche. Il politologo statunitense commette infatti un errore di base: considera le civiltà in toto come omogenee e statiche al loro interno, oltre che ancorate a territori con precisi confini, come si può facilmente notare dalla riduzione della complessità del mondo e delle civiltà in cartine geografiche. Errore comprensibile da parte di una mentalità fortemente ideologica e da stratega militare quale era la sua, e accettabile fintanto che si pone come schema interpretativo della realtà per meglio studiarla, comprenderla, interpretarla in chiave geopolitica (come ho voluto coglierne io l’occasione per la ricostruzione storica dello scontro tra le civiltà occidentale e islamica); ma imperdonabile se rivolto, come avviene alla fine dell’opera, ad un giudizio di valore su come andrebbero gestite le relazioni tra queste civiltà. Con la sua chiave di lettura infatti
  • 17. 16 Huntington condanna all’ombra tutti quegli aspetti che dipendono dalla permeabilità effettiva delle civiltà, dunque non solo gli scontri militari e le operazioni di conquista ma anche le importantissime occasioni di scambi, contaminazioni, condivisioni, capacità di arricchimento reciproco come si è potuto accennare in riguardo al periodo delle Crociate. Ponendo al primo piano la civiltà, ci si dimentica dell’importanza dell’individuo, dal quale non si può prescindere nel dibattito internazionale sulla gestione della multiculturalità. Alcuni occidentali, tra i quali l’ex presidente americano Bill Clinton, hanno sostenuto che il problema per l’Occidente non sarebbe l’Islam ma solo gli estremisti islamici violenti15. Tuttavia millequattrocento anni di storia dimostrano il contrario, come abbiamo potuto vedere nell’introduzione storica. Bisognerebbe dunque lavorare su quegli elementi che determinano la tendenza dei popoli a dividersi nel noi e nell’altro nemico, ovvero: il sentimento di superiorità dell’Europa cristiana verso il vicino islamico; la paura e la mancanza di fiducia; le difficoltà di comunicazione, quindi anche la diversa interpretazione del concetto di comportamento civile, la mancanza di familiarità con i loro valori, rapporti, consuetudini sociali. Elementi riconducibili anche, appunto, alla concezione “in blocchi” del mondo, che rende il dialogo tra essi impossibile oltre che poco desiderabile. Andrebbe al contrario incentivata la possibilità di interpretare le relazioni tra gruppi come semplice differenza, invece che come esclusione, opposizione o supremazia (Young, 1990). Una visione dinamica e plurale delle civiltà, che rispecchi in modo più concreto quella che è la realtà, depurata da etichette pericolose, esposte al rischio di un utilizzo strumentale ed irresponsabile in cui l’ignoranza – più che la differenza culturale – si mostrerebbe come la vera ragione di scontro tra i popoli (Said, 2001). Superando dunque una concezione che va nella direzione dell’accentuazione delle differenze sulla base della paura, per imboccare una strada che queste differenze provi a riconoscerle e a comprenderle tramite soluzioni democratiche. In questo modo si attenuerebbe la divisione netta tra i popoli, e la tendenza a volerlo accentuare e radicalizzare in nome della protezione della propria identità. 15 Huntington, S.P. (1996), pag. 306.
  • 18. 17 A sostegno di questa soluzione, c’è la già citata tesi di Ferrara, secondo cui possono coesistere diversi modelli di modernità e di democrazie all’interno di diverse culture e religioni, che hanno in comune molto più di quanto possa apparire. Come illustrò chiaramente nella lezione del ciclo di incontri “Per una cittadinanza inclusiva”, nei venticinque secoli di storia della democrazia, si è potuto verificare come essa sia una forma di governo compatibile con diversi modelli, quali che essi siano. Possono insomma esistere, e di fatto esistono, culture democratiche diverse, a partire da elementi di convergenza come appunto le religioni, che spesso dirigono le azioni politiche ed economiche. Cosa condividono, infatti, le diverse religioni? Nella religione come nella democrazia, l’interesse generale è anteposto all’interesse particolare, in nome di un bene comune. Sia nell’Islam che nel cristianesimo è presente nel nucleo dei rispettivi testi sacri l’idea di un uguaglianza completa, di una salvezza che va oltre i confini dei popoli. Anche il consenso come forma di legittimazione del sovrano è un elemento comune a diversi credi, secondo cui la legittimità del sovrano dipende dai popoli. Le diverse combinazioni di questi valori democratici danno vita a diverse forme di governo compatibili e plasmabili in base alle diverse culture, anche come forma di sopravvivenza delle stesse. Per concludere: per riuscire a trasmettere questo messaggio di compatibilità tra culture democratiche e culture religiose e dunque di permeabilità tra le civiltà, che aiuti a preservare la propria identità senza il bisogno di stigmatizzare l’altro come nemico (e quindi senza arrivare alla deriva apocalittica dello scontro tra civiltà nemiche), è indispensabile una riforma dell’educazione. Servirebbe sì una trasmissione della cultura europea, ma non in chiave eurocentrica come avviene attualmente. Una visione più ampia della storia, che dia una visione olistica dell’origine e dei percorsi delle civiltà come attualmente le conosciamo, che esprima meglio la complessità che sta dietro al concetto di civilization e che aiuti a comprendere che non tutto quello che l’Occidente dà per scontato e per “giusto”, “naturale”, “fondamentale”, lo è per gli altri popoli. Lo stesso Terzani lo ricorda in conclusione al suo articolo. Nel suo lungo, decennale soggiorno in Oriente, fa capire che ha cambiato profondamente punto di vista sulle cose: l’Occidente ha ancora tanto da apprendere dalle altre culture. E presto dovrà
  • 19. 18 rendersene conto, quando capirà che non è più il tempo del dominio occidentale sulle logiche internazionali, così come non ha più senso la speranza di annientamento dell’altro. “Non c'è stata ancora la guerra che ha messo fine a tutte le guerre. Non lo sarà nemmeno questa. Non si tratta di giustificare, di condonare, ma di capire. Capire, perché io sono convinto che il problema del terrorismo non si risolverà uccidendo i terroristi, ma eliminando le ragioni che li rendono tali.” (Terzani, 2001). La chiave per fare questo sta proprio nel motto importante e ambizioso che l’Unione Europea ha scelto per se stessa, e che non va mai dimenticato: uniti nella diversità. L’identità dell’Europa risiede proprio nella capacità di avere elaborato regole comuni per gestire la diversità, un passo di rilevanza epocale verso l’annientamento della paura, la difesa del confronto e del dialogo tra le culture: “la paura dei barbari è ciò che rischia di renderci barbari” (Todorov, 2009). Tra i valori comuni promossi dall’Europa c’è anche l’individualismo, inteso come il primato dell’individuo sulla comunità: in primo piano non andrebbero dunque messi i paradigmi del “noi” e del “loro”. Deve anzi essere ricordato il valore dell’individuo, con i suoi diritti e i suoi doveri, e preferire un’identificazione che passi per i pronomi meno faziosi di “io” e “tu”, verso la concezione più ampia di quella che, riprendendo per l’ultima volta Huntington, alla fine del suo testo egli propone come la considerazione dell’umanità in toto, quella che prescinde da ogni confine: la Civilità con la “C” maiuscola. 5 BIBLIOGRAFIA E SITOGRAFIA 5.1 BIBLIOGRAFIA Bobbio, Norberto (1992). L’età dei diritti. Torino: Einaudi. Cartocci, Roberto (a cura di) (2011). Costruire la democrazia in Europa. Un inventario di strumenti analitici. Bologna: Il Mulino. Esposito, John L. (1999). The Islamic threat: Myth or reality?. Oxford: Oxford University Press.
  • 20. 19 Fallaci, Oriana (2001). La rabbia e l’orgoglio. Corriere della Sera. 26 Settembre 2001. Ferrara, Alessandro (2014). Dalle modernità multiple alle democrazie multiple. Lecture nell’ambito del ciclo di incontri “Per una cittadinanza inclusiva”, un progetto di Reset-Dialogues on Civilizations e Fondazione Giangiacomo Feltrinelli. Hoffmann, Stanley (1990). “The case for leadership”. In: Foreign Policy, n. 81, pag. 30. Huntington, Samuel P. (1996). Lo scontro delle civiltà e il nuovo ordine mondiale. Milano: Garzanti. Lewis, Bernard (1995). L’Europa e l’Islam. Bari: Laterza. Papandreou, Andreas (1994). “Europe turns left”. In: New Perspectives Quarterly, n. 11, p. 53. Roberson, Barbara A. (1994). “Islam and Europe: an enigma or a myth?”. In: Middle East Journal, n. 48, p. 302. Said, E. W. (2001). The Clash of Ignorance. The Nation. Sen, Amartya (2012). The snakes and ladders of Europe. The Economic System We Need. 10 Maggio 2012. Terzani, Tiziano (2001). Il sultano e San Francesco: non possiamo rinunciare alla speranza. Corriere della Sera. 8 Ottobre 2001. Todorov, T. (2009). La paura dei barbari: oltre lo scontro delle civiltà. Garzanti. Weiner, Myron (1995). The global migration crisis: challenge to states and to human rights. Young, I. M. (1990). Le politiche della differenza. Milano: Feltrinelli. 5.2 SITOGRAFIA Parlamento Europeo: http://www.europarl.europa.eu/portal/it Profilo Facebook ufficiale Maurizio Gasparri: https://www.facebook.com/pages/Maurizio-Gasparri VICE News: https://news.vice.com/ Sito Ufficiale dell’Unione Europea: http://europa.eu/
  • 21. 20 6 AUTOVALUTAZIONE RISPETTO AL PROPRIO PERCORSO FORMATIVO Complessivamente, ritengo soddisfacente il modo peculiare con cui questo corso ha arricchito il mio percorso accademico: faccio riferimento in particolare all’insistenza sulla capacità critica che ci si aspettava dagli studenti, in modo diverso dagli altri corsi che, più specificamente, cercano di perfezionare le capacità tecniche e professionalizzanti da spendere su casi empirici. Entrambe sono fondamentali per uscire con un titolo magistrale che ne valga il nome, per cui sono contenta di questo aspetto e spero soprattutto di averlo acquisito al meglio. Per ottenere una buona capacità critica è necessario padroneggiare adeguatamente l’argomento trattato, per cui mi accorgo che, rispetto ai tentativi fatti durante la laurea triennale (Scienze Politiche, Bologna) i risultati di essays scritti in chiave critica sono ora più appaganti e – spero – credibili, segno che gli anni passati a trattare e ritrattare i temi delle scienze sociali e umanistiche non sono stati vani. Un altro elemento arricchente è stato la meticolosità con cui gli studenti sono stati spinti a prendere sul serio le presentazioni in aula: i tempi, le tecniche di conduzione, il ruolo dei discussant, la proposta della lingua inglese, sono stati per noi una sfida importante mascherata da una componente quasi giocosa. È stato curioso riscontrare le stesse dinamiche sperimentate in aula nella realtà concreta di seminari e convegni. Passando invece alle mancanze, devo ammettere che rispetto alla domanda su che cosa fosse la filosofia politica, a cui ci è stato proposto ad inizio corso di dare una definizione, non so se ho ottenuto realmente una risposta: mi è sembrato mancasse una formazione concettuale preliminare che ci desse qualche marcia in più per affrontare in modo più preparato i temi affrontati nella seconda parte del corso. Penso che in questo versante il corso avesse ancora molto da offrire, vista anche l’ottima bibliografia a disposizione: manca forse una reale condivisione con gli studenti di tutto il sapere che i docenti hanno (perché qui in Bicocca i docenti sono preparati eccome) e che sarebbero tenuti a maggior ragione a seminare, promuovere, stimolare negli studenti come loro priorità assoluta. Per concludere, devo ringraziare infine questo esame per avermi indotto alla lettura de “Lo scontro delle
  • 22. 21 civiltà”, un testo immenso che a tratti mi ha fatto innamorare e arrabbiare, ma che soprattutto ha potuto darmi quella “visione olistica” della storia che suggerisco nelle conclusioni del mio saggio come elemento di possibile aiuto per il superamento del conflitto identitario e che infatti mi ha personalmente aiutato molto a riconsiderare la visione occidentale della storia.