Il passaggio dell'ultimo report della Direzione Nazionale Antimafia riguardante le cosiddette ecomafie, a cura del consigliere della Dna, Dott. Roberto Pennisi
Piano degli interventi, concernente le opere relative ai Giochi, predisposto ...
Relazione ecomafie 2013 Dott. Roberto Pennisi Dna
1. Parte I - § 11. Le attività svolte in ordine alle «materie di interesse»:
Ecomafie.
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Ecomafie
(Magistrato delegato Cons. Roberto Pennisi)
Così nell’abstract della relazione ecomafia periodo 2011/2012:
Nel periodo 2011-2012 in materia di contrasto dei crimini ambientali hanno iniziato a cogliersi gli effetti
delle recenti modifiche legislative in materia.
Si è, in particolare, colta la significativa svolta di una razionalizzazione delle indagini, tale da consentire
un perfezionamento della attività della polizia giudiziaria, nonché una minore dispersione di quella degli
organi giudiziari, soprattutto degli Uffici del pubblico ministero.
La Direzione Nazionale Antimafia, grazie ai poteri di coordinamento sulle indagini relative al delitto di
cui all’art. 260 D.Lgs. 152/06, dispone di una mappa della distribuzione sul territorio delle relative
condotte delittuose, ed è in condizioni di collegarle, ove ciò si verifichi, alla presenza delle
organizzazioni di tipo mafioso ed alle connesse strategie criminali. Come pure può rilevare la assenza di
tale collegamento e cogliere la primazia, in tale settore del crimine, delle centrali affaristiche cui fanno
capo i traffici di rifiuti.
Tale ampia possibilità di conoscenza consente pure di rilevare le interconnessioni esistenti tra il circuito
illegale dei rifiuti e lo sfruttamento criminale delle iniziative relative alla green economy, nel cui ambito
si sono ricreate le connectionstra centri di potere economico e signorie mafiose del territorio, finalizzate
alla illecita fruizione dei finanziamenti previsti per tali attività, nonché alla acquisizione dei lavori per la
realizzazione delle strutture di produzione di energia.
Allo scopo di rendere ancora più completa la conoscenza dei fenomeni criminali relativi a tale settore,
nel corrente anno la Direzione Nazionale Antimafia ha stipulato un protocollo di intesa con il Corpo
Forestale dello Stato, a seguito del quale personale del Corpo è stato inserito nella struttura della
Direzione onde rendere più scorrevole il flusso informativo, nonché per poter utilizzare al meglio le
specifiche competenze del Corpo nella attività di analisi dei dati relativi agli eco-crimini.
Analisi che ha consentito di accertare come anche nel periodo preso in esame sia proseguito il
precedente trend che ha visto e vede la diversità di atteggiamento della camorra, da un lato, e della mafia
(cosa nostra e ‘ndrangheta), dall’altro, verso il circuito dei rifiuti, nei termini dell’inserimento della
prima nel circuito illegale, e della seconda in quello illegale.
Le condotte in violazione della normativa penale in tema d’ambiente, nel frattempo, sono cresciute più in
termini qualitativi che quantitativi, anche per effetto della accentuata repressione penale, e privilegiano
il ricorso a sistemi più sofisticati per la elusione delle regole previste, nonché al traffico transfrontaliero,
specie verso l’Estremo Oriente.
Si nota, infine, anche in tale settore, la tendenza da parte soprattutto dei clan di camorra alla
delocalizzazione delle attività criminali.
Nel periodo oggi preso in esame
184
la Procura Nazionale Antimafia ha proseguito la sua attività
finalizzata al miglior coordinamento delle indagini ed al relativo impulso, divenuta ancor più
significativa a seguito dell’inserimento del delitto di cui all’art. 260 D.Lgs n. 152/2006 nel novero
dei reati previsti dall’art. 51 co 3 bis c.p.p. Attività che vide già il suo primo atto nella riunione
operativa indetta dal PNA in data 03.02.2011 con i rappresentanti delle Forze di Polizia
impegnate del contrasto del traffico illecito di rifiuti.
Riunione che svolse la funzione di focalizzare in campo nazionale le linee guida lungo le quali si
sarebbe svolta la azione dell’Ufficio, corrispondenti alle principali direttrici lungo le quali, sempre
in campo nazionale, si svolgevano le condotte criminose da contrastare.
Che, allora, ed ancor oggi si muovono attraverso:
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Qui di seguito il resoconto di quanto svolto ed analizzato dalla Direzione nel periodo di cui in oggetto, con la
precisazione che esso non conterrà alcun elenco di esiti giudiziari maturati nell’arco temporale stesso, peraltro
reperibili nelle pubblicazioni che ogni anno vengono diffuse dagli organismi del settore ambientale. Tali esiti, d’altra
parte, se di particolare rilievo, compariranno nelle relazioni relative a ciascun Distretto. Si leggeranno, invece, dati
ostensibili, elaborazioni, attività svolte e linee programmatiche di azione derivanti dalla analisi dello specifico ambito
criminale consentita dal particolare osservatorio dell’Ufficio Nazionale.
2. Parte I - § 11. Le attività svolte in ordine alle «materie di interesse»:
Ecomafie.
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a) Declassificazione dei rifiuti mediante de-rubricazione per farli rientrare nella tabella dei
rifiuti non pericolosi;
b) Ricorso al sistema del c.d. “girobolla” sintomatico della presenza di strutture criminali
perché richiede una organizzazione composta da varie figure professionali di natura
tecnica (laboratori) ed operativa (trasporti, ecc.), oltre che di contatto con i destinatari finali;
c) Sversamento diretto dei rifiuti nel territorio.
d) Esportazione illegale dei rifiuti all’estero,
e) Il ricorso al sistema del riutilizzo dei rifiuti nelle energie rinnovabili (biomasse, scarti
imprese agricole).
Da allora, onde rendere più efficace la attività di coordinamento e, soprattutto, quella di impulso
e miglior resa delle investigazioni svolte sul territorio, la DNA si è impegnata nella realizzazione
di un imponente progetto di raccolta di tutte le iscrizioni a RE.GE. effettuate da parte delle
Procure Ordinarie, a partire dal 01.01.2010, per i reati di loro competenza di cui agli artt. 256
(Attività di gestione di rifiuti non autorizzata) e 259 (Traffico illecito di rifiuti) del D.Lgs. 152/2006,
i quali sono i più significativi reati-spia del più grave delitto di cui all’art. 260.
La Direzione Nazionale Antimafia è divenuta, di fatto, centro di raccolta dati delle iscrizioni
RE.GE trasmesse da tutti le sedi di Procura della Repubblica.
I dati vengono riversati nella banca dati SIDDA/SIDNA per essere elaborati.
Al superiore scopo è stato costituito un apposito Gruppo di Lavoro, formalizzato con
provvedimento del Procuratore Nazionale del 26 settembre 2013, costituito da un magistrato
della Direzione, dalla sua Segreteria, nonché dal nucleo del Corpo Forestale dello Stato
operante presso la DNA a seguito del Protocollo d’intesa stipulato lo scorso anno, e composto
da tre unità, giusta Dispositivo Applicativo siglato in data 17 luglio 2012, nel quale sono state
specificate le competenze spettanti al detto personale. E, cioè:
1. analisi documentale elaborazione dei dati relativi ai procedimenti inseriti in banca dati per il
reato di cui all’art. 260 T.U.A.;;
2. inserimento ed elaborazione dati iscrizioni RE.G.E 256 -259 T.U.A.;
3. collegamento tra distaccamenti NICAF presso le Procure e la DNA per ricezione e
trasmissione informative;
4. elaborazione di ogni informativa utile trasmessa, altresì, da Organismi a vario titolo
impegnati nel contrasto al fenomeno del traffico illecito dei rifiuti.
Il tutto sotto il coordinamento del magistrato addetto al servizio riguardante la criminalità
ambientale.
Fondamentale, peraltro, nella economia dello svolgimento della attività del Gruppo è stato ed è
il ruolo svolto dal magistrato della Direzione responsabile del Servizio Risorse Tecnologiche e
Sicurezza.
Nonostante la imponenza dei dati oggetto della elaborazione non ancora completata, anche allo
scopo di avere contezza della funzionalità della attività e rispondenza agli scopi prefissati, di
recente si è potuto avere un primo quadro dei risultati acquisiti.
In particolare, nei mesi di giugno – agosto 2013 si è proceduto a predisporre ed effettuare un
test di RICERCA su quanto inserito in BDN nell’ambito del lavoro di “monitoraggio rifiuti”. Le
finalità del test, secondo le direttive impartite, sono state quelle di verificare la presenza in BDN
di “ricorrenze significative” tra nominativi, intesi come soggetti fisici, inseriti con il bacino di dati
RE.GE. – Monitoraggio rifiutiforniti dalle Procure Ordinarie per gli anni 2010-2012 (campione di
circa cinquanta uffici); ovvero tra i predetti nominativi e quelli estrapolati dai RE.GE di alcune
Direzioni Distrettuali ed, ancora, quelli già presenti storicamente in BDN per altre tipologie di
reato.
In pratica, l’attività di ricerca ha seguito due percorsi:
Ricerca di ricorrenze significative all’interno del bacino dei dati RE.GE. delle Procure
Ordinarie, e successivo riscontro delle stesse in BDN; pertanto ricorrenze tra soggetti fisici
indagati in diverse Procure per i medesimi “reati spia” in materia di rifiuti (artt. 256, 259
D.Lgs. 152/2006), col seguente risultato:
Su un totale di n. 5293 soggetti fisici iscritti a RE.GE nel campione di circa 50 procure
Ordinarie, se ne sono evidenziati n. 53 che ricorrono per i medesimi “reati spia” su più
Procure.
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Altresì, il lancio a riscontro in BDN di tutti i 5293 soggetti di cui sopra, ha permesso di
evidenziarne n.73 ritenuti di interesse per essere già presenti storicamente in Base Dati
Nazionale.
Ricerca di ricorrenze in Base Dati Nazionale, di tutti i soggetti in RE.GE. delle Procure
Ordinarie per gli anni 2010-2012 (campione di circa 50 uffici) nonché di tutti quelli in
RE.GE. delle Direzioni Distrettuali Antimafia.
L’Aliquota CFS ha effettuato poi una dettagliata disamina delle ricorrenze evidenziatesi in BDN,
andando ad individuare quelle ritenute più significative in quanto rispondenti ai seguenti criteri:
- soggetti già presenti in BDN perché storicamente coinvolti in reati di tipo associativo nel
campo rifiuti - ecomafie
- soggetti già presenti in BDN perché appartenenti storicamente ad associazioni criminali di
tipo mafioso
- soggetti già presenti in BDN perché storicamente coinvolti in reati di tipo associativo nel
campo del traffico degli stupefacenti, armi e reati contro la P.A..
Orbene, su un totale di n. 9030 soggetti fisici lanciati a riscontro in Base Dati Nazionale, si sono
evidenziate n. 180 ricorrenze significative che, a loro volta, sono state ulteriormente valutate e
suddivise in quattro livelli di interesse investigativo:
PRIMO LIVELLO (il più importante) 10 ricorrenze
SECONDO LIVELLO 23 “
TERZO LIVELLO 127 “
QUARTO LIVELLO 20 “
Primo livello:
Soggetti con ricorrenze significative in più Procure Ordinarie e presenti in Base Dati
Nazionale
Secondo livello:
Soggetti con ricorrenze significative in più Procure Ordinarie e non presenti in Base Dati
Nazionale o nominativi che, pur non avendo ricorrenze in più Procure Ordinarie, ne
hanno almeno una in Base Dati Nazionale per art. 260 T.U.A.
Terzo Livello:
Nominativi iscritti in una Procura Ordinaria e presenti in Base Dati Nazionale o nominativi
iscritti a Re.Ge delle D.D.A. e presente in Base Dati Nazionale.
Quarto Livello:
Nominativi con ricorrenze non significative in più Procure Ordinarie .
Si ribadisce, in ordine a quanto sopra, e per comprendere la rilevanza del sistema di analisi,
che questa ha riguardato solo una limitata parte di quelli esistenti al RE.GE. delle Procure
Ordinarie.
Oltre alla ricezione dei dati trasmessi dalle Procure, di cui al punto 2., l’Ufficio si occupa anche
della ricezione delle informazioni che vengono inviate dalle Forze ed Organi di polizia giudiziaria
impegnati nel contrasto ai reati ambientali, nonché soggetti svolgenti per legge un ruolo nel
ciclo dei rifiuti, quali i Consorzi obbligatori previsti dal Testo Unico Ambientale.
Tali dati, opportunamente elaborati anche attraverso attività pre-investigativa, sono già stati
utilizzati per le iniziative di competenza di questa Direzione, ai sensi dell’art. 371 bis co. III
c.p.p.;; cioè per atti di impulso diretti alle Procure Distrettuali Antimafia al fine dell’inizio di
indagini a carico di soggetti ed imprese, che sono risultati coinvolti, a vario titolo, nella
commissione di tali reati. Ovvero per agevolare la individuazione della DDA competente ad
investigare quando si è appurato che su fenomeni collegati fossero in corso più indagini.
Ovvero per armonizzarle nel caso di prosecuzione separata delle stesse.
Tenuto conto, poi, che sin dal 2009 una Convenzione lega la DNA e la Agenzia delle Dogane, e
che tale rapporto ha svolto i suoi effetti soprattutto nel settore del contrasto dei reati ambientali,
la Direzione ha stimolato la interazione tra il predetto Corpo e la citata Agenzia, con specifico
riferimento all’Ufficio Centrale Antifrode di questa, col risultato pregevole di collegare il cuore del
Paese con la sua periferia, così perfezionando un ottimo sistema di contrasto, particolarmente
utile in questo ultimo tratto temporale che vede l’incentivarsi del traffico transfrontaliero di rifiuti
a scapito di quello interno.
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Da ciò è derivata in data 08.10.2013, per iniziativa delle due Parti condivisa dalla Direzione, la
stipula di un Protocollo d’Intesa tra il Corpo Forestale dello Stato e l’Agenzia delle Dogane, che
si inquadra perfettamente nel nuovo scenario internazionale del contrasto dei crimini ambientali,
che oggi vede una criminalità che opera senza conoscere frontiere né competenze nazionali ed
il cui contrasto, quindi, richiede un approccio e una strategia che coinvolga il maggior numero
possibile di organismi, a livello nazionale, razionalizzando le risorse e rendendo sinergiche le
specifiche competenze delle Amministrazioni dello Stato. E ciò a dispetto di una triste tradizione
della Nazione, a causa della quale, spesso, si è perduta la occasione di conseguire i migliori
risultati per effetto di particolarismi e mire di supremazia fondati su pretesi diritti di
primogenitura. Cosa resa ancor più grave dal fatto che, così operandosi, si è reso un servizio
alla criminalità, senz’altro favorita dalla divisione e, peggio ancora, dalla conflittualità delle
strutture preposte alla prevenzione e repressione degli illeciti. Persino la Suprema Corte ha
dovuto intervenire per ricordare che le funzioni di contrasto dei reati ambientali appartengono a
tutti gli organi dello Stato dotati di compiti di repressione, e tutti devono concorrervi.
La necessità della sinergia e dell’armonico convergere verso un solo scopo di tutte le forze in
campo è, invece, fortemente voluta dalla Direzione Nazionale Antimafia che, per di più, ha un
diretto e primario interesse alla conoscenza di informazioni essenziali per l’esercizio delle
funzioni istituzionali di cui all’art. 371-bis del codice di procedura penale in relazione ai
procedimenti per i delitti indicati all’art. 51, comma 3-bis, c.p.p., che oggi contempla anche il
reato previsto dall’art. 260 D.Lgs. 152/2006. Nel cui contrasto risultano sempre più impegnati
sia il Corpo Forestale dello Stato con le sue articolazioni centrali e territoriali, sia l’Agenzia delle
Dogane, anche in considerazione della attuale tendenza della criminalità ambientale ad
“internazionalizzarsi” attraverso le importazioni e/o esportazioni di rifiuti, sì che inevitabilmente
esso invade l’area in cui le Strutture della predetta Agenzia espletano le loro funzioni,
applicandovi il bagaglio di competenze e conoscenze di cui esse dispongono.
E non va, altresì, dimenticato quanto compete alla Direzione ai sensi dell’ultima parte del primo
comma dell’art. 371 bis c.p.p., anche per adempiere alla previsione di cui al secondo comma
del predetto articolo circa le sue funzioni di impulso, per comprendere l’importanza che essa
attribuisce alla sinergia tra gli organi dello Stato che in funzione della stessa si adoprano. Dal
che deriva l’apprezzamento per l’iniziativa che ha consentito di creare uno stabile legame tra il
Corpo istituzionalmente preposto alla tutela dell’ambiente, che costituisce valore fondamentale
di rilievo costituzionale, e l’Agenzia che controlla i movimenti delle merci provenienti da o
destinate verso l’estero, così potendosi ottenere quella completezza e tempestività delle
investigazioni essenziale per la attività di indagine delle procure distrettuali.
E va, ancora una volta, sul punto affermato e ribadito con forza, proprio perché quella relativa
all’ambiente è materia di estrema delicatezza che non va lasciata ad iniziative estemporanee ed
alla improvvisazione dei singoli, e tanto meno sfruttata a scopi propagandistici e/o di parte, che
sottrarsi al confronto con gli organi cui spettano compiti di organizzazione generale del
contrasto di tali crimini, ovvero alle richieste di informazioni che da tali organi provengono, è
contrario alla logica, al diritto ed alla Costituzione.
Proprio perché conscia di ciò la Direzione, sempre dal punto di vista organizzativo, seguendo il
tragitto intrapreso lungo il solco che si è già iniziato a tracciare negli anni precedenti sulla scorta
di consapevolezze che il decorrere del tempo e l’accumularsi corrispondente di cognizioni
hanno contribuito vieppiù ad approfondire, è in condizioni di affermare come sia limitativo far
corrispondere all’ambito “ecomafia” il proprio intervento secondo quanto previsto dalle
disposizioni di legge che definiscono i suoi compiti.
A seguito di apposita riunione svoltasi all’interno dell’Ufficio in data 14.02.2013 con la
partecipazione di tutti i magistrati interessati, è ampiamente emerso che la materia di interesse
“ecomafia” (il cui titolo è più di derivazione politico-mediatica che tecnico-giuridica), per come
attualmente intesa ed organizzata all’interno dell’Ufficio, non risulta più corrispondere alla reale
situazione del settore criminale in questione. E ciò per tutto un insieme di motivi che hanno la
loro ragion d’essere sia nelle attuali tendenze della criminalità, che nello stesso assetto
legislativo.
Quanto a quest’ultimo, va rilevato come il principale reato ed unico delitto in tema di rifiuti, art.
260 T.U.A., sia da considerarsi un vero e proprio delitto di impresa -trattandosi di una fattispecie
mono-soggettiva ritagliata perfettamente sulla struttura della attività imprenditoriale- teso a
proteggere, oltre che l’ambiente, l’ordine sociale qui inteso come pubblica incolumità (Cass.
Pen. n. 25992 del 09.06.2004). Il che lo proietta in un’orbita, per così dire, “multidisciplinare”, la
quale richiede una particolare organizzazione dell’organo giudiziario che svolge i compiti
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previsti dall’art. 371 bis c.p.p., oggi ancor più impellenti, atteso l’inserimento della fattispecie tra
i reati di competenza delle Direzioni Distrettuali Antimafia. Sì che la sua trattazione da parte
degli Uffici territoriali (distrettuali) e di quello centrale (DNA) prescinde dalla connessione con
delitti di criminalità organizzata in senso stretto, così come, invece, avveniva in passato. E ciò è
particolarmente significativo in una realtà storica, quale quella attuale che, per come emerso dal
dibattito, ancora non vede le DDA particolarmente sensibili alla trattazione delle relative indagini
ove non risulti la detta connessione. E ciò per la mancata percezione da parte degli Uffici della
reale entità del pericolo derivante dalla consumazione di tali reati, non certo connesso, come si
diceva, alla presenza sullo sfondo, o sul palcoscenico, delle organizzazioni di tipo mafioso. Ne
deriva che in ordine a tale delitto più che mai decisivi si manifestano i compiti di stimolo e di
impulso della DNA che, conseguentemente, deve particolarmente attrezzarsi allo scopo.
Quanto alle prime (le tendenze criminali), il fenomeno che si nota, e messo in rilievo nella
relazione precedente, è quello:
1. Del progressivo svincolarsi dei traffici dei rifiuti dal loro storico collegamento con le
organizzazioni criminali di tipo mafioso (specialmente camorra), anche per aver essi traffici
imboccato la direttrice che porta all’esterno dei confini nazionali (sì che non si necessita più
di “controllori” del territorio).
2. Del loro inserirsi in dinamiche, anch’esse organizzate, ma facenti capo a centrali
affaristico-imprenditorial-criminali nazionali e transnazionali, il cui disvelamento è di
particolare complessità, ed ove il coordinamento e l’impulso investigativo sono
imprescindibili.
3. Del comprendere anche l’apertura delle nuove frontiere che vedono i rifiuti entrare nel
campo delle energie alternative nell’ottica di quella che può definirsi la criminal soft
economy, ove interagiscono brokers dei traffici di rifiuti e “sviluppatori” di pratiche ed attività
riguardanti le relative installazioni
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.
Ne deriva il seguente schema che, alla luce della multidisciplinarietà di cui si diceva, impone la
trattazione del tema della tutela dell’ambiente sotto diversi profili.
Primo tra tutti quello dei RIFIUTI sotto i seguenti aspetti.
Attività organizzate per il traffico illecito di rifiuti ex art.260 del T.U.A., e i suoi principali
“reati spia”, ovvero l’art. 256 “attività di gestione rifiuti non autorizzata” e l’art.259 “traffico
illecito di rifiuti” leggasi le spedizioni transfrontaliere di rifiuti.
gestione di tutto il ciclo dei rifiuti solidi urbani (R.S.U.), dalla raccolta e dal trasporto, al
trattamento fino allo smaltimento nelle discariche ed alla gestione di queste; non da meno
l’interesse per tutto il sistema della raccolta differenziata – particolare attenzione ai sistemi
di assegnazione tramite gare di appalto del servizio di raccolta nei singoli Ambiti Territoriali
Ottimali, e del servizio di smaltimento in discarica e della loro gestione;
gestione di tutto il ciclo dei rifiuti speciali, pericolosi e non, con i medesimi punti precedenti,
tipici del ciclo di gestione, ed in particolare l’aspetto del trattamento-recupero (o meglio
falso trattamento, tramite i “classici” giro-bolla e declassificazione) e dello smaltimento dei
rifiuti pericolosi (spedizioni transfrontaliere verso paesi terzi) tramite la figura degli
intermediari;
acque di scarico e tutto il sistema di depurazione delle acque pubbliche: piccoli e grandi
depuratori delle municipalizzate pubbliche che operano in deroga anche lo smaltimento di
rifiuti liquidi a scapito della depurazione principale delle reti fognarie.
Evidente già appare, da quanto sopra, come si vada ben aldilà di una semplice materia di
interesse ed, altresì, che chi si occupa di “ecomafia” deve necessariamente spaziare in ambiti di
altre materie previste dall’organigramma di questo Ufficio (si pensi alle infiltrazioni nella
Pubblica Amministrazione e negli appalti, nonché alla esecuzione delle Grandi Opere
Pubbliche, cui si accompagnano sempre fenomeni connessi al ciclo dei rifiuti, investito dalla
esecuzione di quelle).
Ma, il tema dei rifiuti si inserisce in quello più complessivo dell’Ambiente, nei cui confronti la
criminalità sferra attacchi che vanno ben oltre il settore dei rifiuti. Si entra, così nel secondo
settore, ovverosia quello delle energie alternative. E cioè quelle proveniente da fonti rinnovabili
185
Non appare inutile, sul punto, fare riferimento all’interesse dell’ONU, attraverso UNICRI ed UNEP, verso i
fenomeni criminali in questione, per il cui contrasto si è proceduto alla redazione di un “Piano”, con la collaborazione
di questa DNA.
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Ecomafie.
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non fossili (F.E.R.), vale a dire energia eolica, solare, geotermica, idro-termica e oceanica,
idraulica, biomassa, gas di discarica, biogas, bioliquidi.
In particolare, quale punto di contatto con il settore precedente, la “biomassa”, intesa come la
frazione biodegradabile dei prodotti, rifiuti e residui di origine biologica provenienti
dall’agricoltura (comprendente sostanze vegetali e animali), dalla silvicoltura e dalle industrie
connesse, comprese la pesca e l’acquacoltura, nonché la parte biodegradabile dei rifiuti
industriali e urbani.
Ne derivano, come potenziali attività criminose:
truffe aggravate per il conseguimento di erogazioni pubbliche ai danni dello Stato e della
Comunità Europea, tramite svariati falsi tendenti a trarre in inganno gli organismi di
controllo e i soggetti deputati alle erogazioni dei benefici pubblici e/o comunque sottesi
all’erogazione delle sovvenzioni per la produzione di energia elettrica “pulita”
(CERTIFICATI VERDI);
frodi nelle pubbliche forniture (di energia elettrica immessa in rete)in tutte quelle tipologie di
inadempimenti ai contratti stipulati con la parte pubblica (società di gestione dell’energia)
relativamente a quei combustibili non eco-compatibili (ad es. l’incenerimento di matrici di
rifiuti non conformi alle autorizzazioni ambientali, e/o biomasse mescolate con rifiuti, anche
pericolosi)
Quindi, di tutta evidenza la riferibilità di quanto sopra anche alla Sezione Contrasto Patrimoniale
alla criminalità organizzata, con specifico riferimento alla illecita percezione di fondi comunitari
che, come noto, da lungo tempo ha costituito “materia di interesse” delle organizzazioni
criminali.
Altri settori ambientali, poi, di potenziale interesse possono individuarsi in:
A. UTILIZZAZIONI BOSCHIVE
Il tema riguarda in particolare le regioni ad alta infiltrazione criminale (es. Calabria e Campania).
La cosiddetta “mafia dei boschi” che in vaste realtà gestisce a suo piacimento tutto il sistema
degli appalti dei tagli boschivi; trattasi di enormi lotti di territorio, la cui utilizzazione costituisce
oggetto di gare indette dai Comuni montani tra le aziende del settore, gare che risultano spesso
“indirizzate” nella loro aggiudicazione tramite i classici metodi intimidatori e/o metodi corruttivi e
collusivi dei Pubblici Amministratori.
B. INCENTIVI ED AIUTI DELL’UNIONE EUROPEA NELL’AMBITO DELLA POLITICA
AGRICOLA COMUNITARIA (P.A.C.)
Qui si tratta di truffe aggravate e frodi in danno all’Unione Europea perpetrate da imprenditori,
spesso associati fra loro, al fine dell’ottenimento delle erogazioni comunitarie nei più svariati
settori della politica agricola (zootecnia, seminativi, ortofrutta, ecc.) senza averne i requisiti
previsti. E tale ambito ha costituito e costituisce anch’esso un succoso brodo di coltura di cui si
alimenta il crimine organizzato.
C. FALSIFICAZIONI DEI MARCHI E ALTERAZIONI NEI PRODOTTI ALIMENTARI E
FORESTALI
Qui le connessioni col crimine organizzato sono intuitive.
Quanto sopra (punti A.-B.-C.) si ricollega alle materie del Contrasto Patrimoniale alla criminalità
organizzata nel settore delle acquisizioni di beni tramite aste, a quella delle infiltrazioni
nell’ambito agricolo ed a quella della contraffazione dei marchi.
Di tutto quanto sopra non è inopportuno tener conto in sede di riorganizzazione della Direzione.
La quale, peraltro, grazie anche alla struttura di cui si è dotata nella materia in questione e di cui
si è sopra detto, si è già attivata per ottimizzare il tipo di risposta dell’apparato repressivo dello
Stato corrispondentemente all’attuale modo di manifestarsi della criminalità ambientale. Il che
vuol dire fornire alle competenti Direzioni Distrettuali Antimafia gli opportuni input investigativi in
ordine al reato di cui all’art. 260 del Testo Unico Ambientale.
E ciò tenendo conto che:
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Dall’elaborazione dei dati sinora in possesso si è notato come il traffico illecito dei rifiuti si
stia configurando sempre più come “Delitto di Impresa” e sempre meno come “Delitto di
Mafia”;;
Si ricorre sempre più spesso al traffico Internazionale dei rifiuti, dovuto anche ai contatti od
alle “teste di ponte” che i trafficanti stabiliscono con gruppi e/o persone operanti in aree
geografiche in cui i rifiuti illecitamente esportati sono ben accetti o perché trattasi di zone
“povere”, ovvero perché risultati vincenti nel bilanciamento tra interesse economico e tutela
dell’ambiente. Quella stessa valutazione che induce le imprese prive di scrupoli, a danno di
ambiente ed imprese virtuose, a privilegiare la scelta della illegalità, invogliata a tal fine
anche dalla grave crisi economica in atto;
Sempre maggiore è il pericolo, attesa la estrema rilevanza degli interessi economici in
gioco, che ad inserirsi nelle più sofisticate condotte delittuose in tema di rifiuti siano
soggetti, organi, organismi, strutture (pubblici e privati) operanti nel ciclo dei rifiuti ed in
qualche caso preposte al controllo del rispetto della legalità.
Di quanto sopra sono indice le più rilevanti azioni repressive dei tempi recenti che non vedono
più comparire la componente di tipo mafioso negli organigrammi dei sodalizi criminali cui si
addebita il delitto di cui all’art. 260 T.U.A. se commesso, come spesso avviene, in forma
associata e non da singoli soggetti operanti in concorso o meno
186
. E, sorprendentemente,
anche in zone storicamente infestate dalla criminalità organizzata. Ciò a conferma del fatto che
quando in passato si sono viste operare le consorterie di tipo mafioso, tanto è avvenuto perché
tale decisione, nell’ambito del ciclo illegale dei rifiuti, è stata presa da parte degli operatori del
settore, cioè quella sorta di élite economico-finanziaria cui detti traffici fanno capo.
In secondo luogo una ulteriore notazione si impone, alla prima collegata. Le dette azioni
repressive di maggior rilievo hanno riguardato, soprattutto, la attività di organizzazione di traffici
di rifiuti diretti verso Paesi esteri, in un primo momento dell’Estremo Oriente e del Centro Africa
e, in un secondo momento, dell’Unione Europea, soprattutto Paesi dell’Europa orientale
recentemente entrati nel sistema comunitario. E ciò spiega la scomparsa delle signorie criminali
che governano il territorio destinato a trasformarsi in discarica.
Pertanto si è dato corso ad una attività di questa Direzione nel perimetro delle cosiddette pre-
investigazioni il cui esclusivo fine è quello di far emergere a livello embrionale i presupposti di
notitiae criminis delle quali informare immediatamente con atti di impulso le competenti Direzioni
Distrettuali per l’inizio delle indagini, secondo una dinamica già positivamente sperimentata
negli ultimi tempi.
Al superiore scopo si è dato corso agli strumenti derivanti dal Protocollo esistente col Corpo
Forestale dello Stato e dalla Convenzione che lega Direzione Nazionale ed Agenzia delle
Dogane, con la conseguente acquisizione di notizie pervenute o dal Corpo, o dall’Agenzia;; ed a
queste si aggiungono quelle provenienti da altre fonti con ufficiali comunicazioni.
A tal punto la Direzione ha investito congiuntamente le apposite articolazioni forestali e doganali
(rispettivamente NICAF e Ufficio Centrale Antifrode) per lo svolgimento di attività esplorative in
ordine a presumibili illecite esportazioni di rifiuti ad opera di imprese, o gruppi di imprese
operanti sinergicamente, secondo i rispettivi oggetti sociali, con la stipula di negozi giuridici a
titolo oneroso, per la raccolta, il trattamento, il trasporto ed, infine, la esportazione di rifiuti,
provenienti da diverse aree del territorio, verso ditte estere, ovviamente anche in questo caso
sulla scorta di accordi contrattuali.
E’ chiaro che, ove nella catena che collega il momento della produzione iniziale con quello della
destinazione finale del rifiuto si dovesse inserire anche un solo indice di illegalità,
comprendendosi anche in tali indici le confusioni create ad arte tra rifiuti sottoprodotti e materie
prime-seconde (mps), si entrerebbe immediatamente nell’area penale che ricade nella sfera
della fattispecie delittuosa dell’art. 260 T.U.A.
Quest’ultima, peraltro, è una figura delittuosa di non lieve complessità, anche per la sua stessa
natura di “reato abituale di condotta” che rappresenta, appunto, il risultato finale di una serie di
condotte costituenti autonomamente reati contravvenzionali anch’essi previsti dal T.U.A. (artt.
256, 259), ed alla sua individuazione si perviene attraverso una attività di ricostruzione
investigativa rivolta verso il passato, che può fondatamente avere inizio e svolgimento, col
ricorso ad atti di indagine anche sofisticati, solo dopo che si sia avuta la consapevolezza
186
Sarà interessante notare in proposito ciò che si trarrà dall’analisi delle iscrizioni presso le DDA per il periodo
preso in esame, quanto al delitto di cui all’art. 260 D. Lgs. 152/06.
8. Parte I - § 11. Le attività svolte in ordine alle «materie di interesse»:
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almeno di un illecito ambientale da cui prendere le mosse. Ecco perché, lo si afferma per inciso,
sembra proprio essere un delitto al cui perseguimento le attività di pre-investigazione sono
estremamente congeniali, come lo è per la gran parte dei delitti non manifesti, l’accertamento
del cui consumarsi di norma segue, e non precede, la attività di indagine. Per di più, non di
secondo momento è l’esigenza che questa Direzione sente, proprio attraverso il detto
svolgimento, di aprire nuove frontiere che valgano dal punto di vista generale per le indagini di
tutti gli Uffici di procura dell’intero territorio nazionale. In altri termini, al fine di munirsi dei
migliori strumenti per svolgere la attività di coordinamento che le è demandata, in uno con
quella attinente al più opportuno impiego degli organi di polizia preposti al contrasto dei reati di
cui all’art. 51 comma 3 bis c.p.p..
Si rivelano preziose nell’ambito di dette pre-investigazioni anche le individuate criticità connesse
alle difficoltà di effettuare controlli penetranti sulle tonnellate di materiale che pervengono in
dogana in vista dell’imbarco. Senza contare che si è notato, e ciò è motivo di ulteriore sospetto,
il ricorso al trasporto su gomma “oltre frontiera”, proprio per evitare il passaggio dei rifiuti in
un’area temuta quale quella doganale.
Dal che la necessità di affinare le tecniche pre-investigative, spostando i controlli dalla fase
finale, per quanto riguarda il territorio nazionale, immediatamente antecedente alla
esportazione, a quelle intermedia ed iniziale. Ed, ancora, proiettandole nei modi consentiti verso
l’estero ove hanno luogo delle fasi del ciclo dei rifiuti. In funzione anche di ciò appare
interessante strategia quella di porre attenzione, oltre ai movimenti delle merci, ai relativi flussi
finanziari, a tal fine impiegando le professionalità delle strutture più attrezzate in tal senso.
Torna utile, a questo punto, ricordare quanto prospettato, in occasione della riunione citata in
premessa svoltasi presso questa Direzione in data 03.02.2011, dalla Guardia di Finanza, che
ebbe a precisare “… in merito alle condotte sintomatiche della commissione del delitto di cui
all’art. 260 D.Lgs. 152/06, che esse vengono attenzionate dalla Guardia di Finanza sotto il
profilo determinato dalle specifiche competenze del Corpo. E, quindi, facendo leva sulle
verifiche finanziarie soprattutto delle strutture societarie svolgenti attività produttive generatrici
di rifiuti, con specifico riferimento ai costi dichiarati ed accertati, e corrispondenti fatturazioni,
spesso false perché relative ad operazioni in tutto od in parte inesistenti.”
E’ ad un modello investigativo che metta in campo le diverse specificità dei servizi di polizia
giudiziaria disponibili, quando ci si trovi al cospetto di complesse indagini per il delitto di attività
organizzate per il traffico illecito dei rifiuti, che la Direzione Nazionale si ispira, proponendolo
alle Direzioni Distrettuali Antimafia. A tale scopo mira quell’ “affinamento” delle relative tecniche
cui prima si faceva riferimento. E si agevolerà, così, anche la possibilità di individuare le
compagini criminali di tipo associativo cui spesso fanno capo i detti traffici, specie quando il
concorrere duraturo nel tempo delle condotte attenga alle diverse fasi del ciclo dei rifiuti
(ciascuna delle quali è specificata nella condotta penalmente rilevante descritta dalla norma
incriminatrice), che comportano l’apporto delle attività di diverse strutture imprenditoriali. Le
quali, come rilevato a proposito della natura del reato previsto dall’art. 260 T.U.A., operando in
violazione della normativa ambientale sui rifiuti, si trasformano ipso facto in soggetti che
delinquono, in forma associata o meno.
###################
Passando, ora, dai temi di carattere generale ai dati specifici, la cui conoscenza ha peraltro ispirato le
superiori considerazioni e prospettazioni, appare subito opportuno, qui di seguito, proporre la tabella (con
9. Parte I - § 11. Le attività svolte in ordine alle «materie di interesse»:
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relativo grafico) contenente il numero delle iscrizioni presso le DDA per il delitto di cui all’art. 260
D.Lgs. 152/06 nel periodo dal 1° luglio 2012 al 30 giugno 2013.
PROCEDIMENTI ISCRITTI DAL 1.7.2012 AL 30 AL 30.6.2013
PER IL REATO DI CUI ALL'ART. 260 L. 152/06
SEDE Noti indagati ignoti
ANCONA 4 12 0
BARI 6 56 0
BOLOGNA 10 35 1
BRESCIA 8 77 0
CAGLIARI 2 14 0
CALTANISSETTA 1 2 0
CAMPOBASSO 1 6 1
CATANIA 12 65 2
CATANZARO 2 75 0
FIRENZE 3 8 0
GENOVA 5 13 0
L'AQUILA 6 25 0
LECCE 0 0 1
MESSINA 3 29 0
MILANO 8 70 0
NAPOLI 13 81 1
PALERMO 5 10 0
PERUGIA 2 9 0
POTENZA 3 15 0
REGGIO CALABRIA 2 10 0
ROMA 5 23 1
SALERNO 3 3 0
TORINO 8 16 0
TRENTO 1 3 0
TRIESTE 2 5 0
VENEZIA 8 25 0
TOTALE 123 687 7
10. Parte I - § 11. Le attività svolte in ordine alle «materie di interesse»:
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Si può, innanzitutto, notare come le n. 123 iscrizioni si siano distribuite in maniera grosso modo
uniforme in tutto il territorio nazionale, perché, ad esempio, alle numerose iscrizioni di Napoli e
Catania al SUD fanno da contraltare quelle di Bologna, Brescia Milano, Torino e Venezia al
Nord, passando attraverso il Centro con Roma e L’Aquila. In totale si registrano n. 50 iscrizioni
al Nord, n. 51 al Sud e n. 20 iscrizioni nell’Italia centrale, oltre a n.2 nel distretto di Cagliari. La
distribuzione cambia in termini di indagati, in quanto i distretti meridionali ne totalizzano n. 352,
in quelli del Nord se ne contano n. 244, n. 77 in quelli delCentro
187
, oltre a 14 nel Distretto di
Cagliari.
Se, però, si considera che le DDA dell’Italia settentrionale sono in numero di 8, mentre quelle
del SUD sono n. 12, il dato percentuale porta a concludere nel senso di una maggiore iscrizione
di procedimenti penali per il delitto di attività organizzata per il traffico di rifiuti al Nord-Italia.
E non va dimenticato ciò che già si rilevava sul medesimo tema delle iscrizioni nella relazione
dello scorso anno, quando si affermava “come il numero delle iscrizioni non dipenda certamente
dalla mole di lavoro di ciascun Distretto dovuta alla sua ampiezza in termini di estensione
territoriale e numero di abitanti; e neppure dalla densità criminale del relativo territorio.”
I superiori numeri danno conto di una realtà che corrisponde alle considerazioni svolte in
precedenza. Invero, il maggior numero di procedimenti percentualmente iscritti (corrispondente
ad un maggior numero di fatti di reato individuati) nell’Italia settentrionale, ove è storicamente
dislocato il maggior numero di imprese e di attività industriali, si ricollega armonicamente alla
natura di “delitto d’impresa” quale è quello previsto dall’art. 260 T.U.A.. Mentre la maggiore
quantità di indagati al SUD, per un numero superiore di oltre n.100 rispetto a quelli del
Settentrione, fa ben intendere la maggiore propensione alle fattispecie concorsuali nel
Meridione. E tale dato è confermato da quello dell’Italia centrale, dove ad un numero di poco
meno della metà dei procedimenti iscritti rispetto al SUD, corrisponde un quantitativo di indagati
quasi pari ad un terzo.
Ma la più concreta e formidabile conferma degli assunti della presente relazione la si rinviene
passando ad esaminare in quanti casi sia stata configurata, nella iscrizione del procedimento a
RE.GE., l’aggravante di cui all’art. 7 L. 203/1991, che collega al crimine organizzato mafioso, o
187
Da tenere presente che in questa area geografica si è ritenuto di inserire la Regione Abruzzo.
11. Parte I - § 11. Le attività svolte in ordine alle «materie di interesse»:
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come origine o come finalizzazione, il delitto che si ipotizza. Il dato sul punto, infatti, potrebbe
definirsi sorprendente se non si conoscesse bene la realtà del fenomeno di cui si tratta.
Conoscendola, invece, corrisponde pienamente alle aspettative: solo n. 4 iscrizioni vedono la
detta aggravante. Ed una per ciascuna in quattro diverse DDA: Bologna, Campobasso, Catania
e Napoli. Ed, in particolare, nessuna a Palermo, “capitale” di “cosa nostra” come pure a Reggio
Calabria ed a Milano, dominate dal punto di vista criminale da una ‘ndrangheta della medesima
matrice.
Quanto, in particolare, a Milano -la cui DDA ha sviluppato una delle più interessanti indagini che
hanno visto i loro esiti nel periodo preso in considerazione per il delitto di cui all’art. 260 D.Lgs.
152/06, emersa dalla galassia investigativa “INFINITO” che ha sviscerato la mafia calabrese in
quel Distretto agendo in sinergia con la DDA di Reggio Calabria- va detto che non si è ritenuto
da parte di quell’Ufficio di configurare nei fatti delittuosi accertati l’aggravante “di mafia”, il che è
estremamente indicativo dell’autonomia che questo tipo di vicende delittuose rivestono rispetto
alle dinamiche criminali mafiose.
Si impone allora, va ribadito, una profonda riflessione sull’eco-crimine, che è sempre meno
“eco-mafia”, sia per quanto riguarda le strategie di contrasto da parte degli apparati investigativi,
che per ciò che attiene agli strumenti legislativi per contrastarlo. Che non potranno e dovranno
modularsi sulla criminalità mafiosa, in quanto le prime, se così facessero, non troverebbero il
bersaglio, ed i secondi darebbero vita ad un quasi inutile prodotto legislativo.
E’ ben vero che nel periodo in cui si redige la presente relazione la Nazione è scossa dalle
notizie che riguardano lo sconvolgimento ambientale della Campania determinato dalla
commissione di reati in materia di rifiuti, nella cui consumazione un importante ruolo ha svolta la
criminalità organizzata di matrice camorrista, ma è anche vero che ciò riguarda condotte poste
in essere soprattutto nel ventennio relativo agli anni ’80 e ’90 in cui una ben determinata parte
di quel territorio è stata vittima di quella imponente attività criminale connessa al ciclo illegale
dei rifiuti, che l’ha trasformata in una immensa discarica di rifiuti speciali pericolosi sulla quale
vivono diversi milioni di abitanti.
Le cifre che sopra si mettevano in evidenza stanno a dimostrare come non si tratti, e da tempo,
di un fenomeno attuale, come pure confermato dalla scomparsa, nelle indagini di criminalità di
tipo mafioso sviluppate dalla DDA di Napoli e relative ai fatti più recenti, del traffico dei rifiuti dal
programma criminoso dei sodalizi investigati.
Sicché nuovi strumenti legislativi penali rivolti verso il passato sarebbero non solo inutili, non
potendo avere effetti retroattivi, ma darebbero ancora una volta il triste segnale che lo Stato
combatte battaglie di retroguardia contro un crimine che precorre sempre i tempi, ed oggi
minaccia e colpisce l’ambiente su frontiere e con modalità diverse.
Si abbia cura, una buona volta e finalmente, di introdurre nella legislazione penale il delitto di
disastro ambientale configurandolo in maniera chiara e definita nella sua fattispecie, con meno
avverbi e più verbi, a tal fine utilizzando la pregevole giurisprudenza maturata nel tempo
nonostante l’assenza di una specifica disposizione legislativa.
E si abbia l’ardire, anche, di prevedere la “aggravante ambientale”, per tutti i reati, ed in
particolare quelli contro:
PUBBLICA AMMINISTRAZIONE;
AMMINISTRAZIONE DELLA GIUSTIZIA;
ORDINE PUBBLICO;
INCOLUMITÀ PUBBLICA;
FEDE PUBBLICA;
ECONOMIA, INDUSTRIA E COMMERCIO.
E non si commetta l’errore di promulgare leggi speciali più dure relativamente a determinati
territori, aventi di fatto solo finalità propagandistiche, tentando di dissimularne la
incostituzionalità con la temporaneità. Il loro effetto, oltre a quello del vulnus costituzionale e
della ghettizzazione di aree, sarebbe quello di spostare su altri territori, limitrofi o meno, certe
condotte penalmente antigiuridiche.
Sarebbe, piuttosto, opportuno adottare per l’intero territorio nazionale modifiche alla attuale
legislazione sanzionatoria in tema di rifiuti, trasformando in delitti le più rilevanti violazioni oggi
punite a titolo contravvenzionale, con la previsione del rito direttissimo obbligatorio, con le sole
eccezioni imposte dal rito.
E si coglie, a questo punto l’occasione, per ribadire che il legislatore ha il dovere di rimediare ad
alcune incongruenze di natura processuale che ancora colpiscono i procedimenti penali, e le
relative indagini, riguardanti il delitto di cui all’art. 260 T.U.A., con specifico riferimento:
12. Parte I - § 11. Le attività svolte in ordine alle «materie di interesse»:
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1. al sistema delle intercettazioni telefoniche;
2. ai termini di durata delle indagini preliminari;
3. ai termini di durata della custodia cautelare e delle cause della loro sospensione;
4. al sequestro preventivo ancora inattuabile secondo i canoni di cui all’art. 12 sexies l. n.
356/92;
5. alla competenza del giudice (monocratico e non collegiale);
6. al mancato inserimento dei procedimenti per il delitto in questione tra quelli a “corsia
privilegiata” di cui all’art. 132 bis Disp. Att. c.p.p..
Ma, come già accennato di sfuggita in precedenza, anche a livello di organizzazione degli Uffici
di procura preposti alle indagini in ordine al delitto di cui si tratta, occorrono dei concreti
interventi strutturali.
Si è già rilevato nelle relazioni dei due anni precedenti come più che opportuno sia stato
l’inserimento del delitto previsto dall’art. 260 T.U.A. tra quelli di competenza delle DDA, attesa la
sua caratteristica di reato di grave allarme sociale, così come diversi altri inseriti nel novero di
quelli di cui all’art. 51 co. 3 bis c.p.p., non classificabili né di criminalità mafiosa né di criminalità
organizzata in senso più lato. E si è già rilevato come più che opportuna sia stata la circolare
del C.S.M. in tema di applicazioni endo-distrettuali di magistrati del pubblico ministero di altre
Procure della Repubblica presso la Direzione Distrettuale operante nel medesimo territorio,
onde non disperdere, soprattutto, la professionalità acquisita dai primi in subiecta materia.
Ma tutto ciò, ovviamente, come rimedio temporaneo per far fronte al repentino cambiamento di
competenza a procedere, in attesa che le Direzioni Distrettuali si attrezzassero per far fronte al
nuovo onere.
L’esame della situazione reale in atto, che compete a questa Direzione Nazionale, consente di
affermare come tutto ciò in gran parte non sia avvenuto.
Si è verificata e si verifica spesso una sorta di marginalizzazione dei procedimenti penali in
questione, quasi appartenessero ad una sorta di secondo livello. E ricorrentemente, a fronte
della constatazione di ciò, si coglie la osservazione, a giustificazione della detta
marginalizzazione, del mancato rinvenimento del collegamento dei fatti oggetto della indagine
con la criminalità organizzata di tipo mafioso.
Tale impostazione consente di rilevare come sia sfuggito (e non solo agli uffici giudiziari, ma
anche ai principali servizi di polizia giudiziaria) il vero senso della modifica legislativa relativa
alla competenza a procedere contenuta nell’art. 11 della legge n.136 del 2010, resa ancor più
significativa dalla previsione contenuta nell’art. 9 della medesima legge che, complessivamente
riorganizzando il sistema delle operazioni sotto copertura, ha inserito anche il reato del 260
T.U.A. tra quelli per i quali tale tipo di investigazione può attivarsi.
E non si esita ad affermare che tale gap è anche da ricollegarsi all’ormai diffuso ricorso alla
terminologia “ecomafia” (cui neppure questa Direzione si è sottratta, dato che la presente parte
di relazione si redige nell’ambito del servizio ECOMAFIA), che se è apprezzabile dal punto di
vista mediatico per destare l’interesse dell’audience, altrettanto non lo è dal punto di vista
giuridico e giudiziario. In altre parole non è termine che deve essere caro ai tecnici del diritto,
della amministrazione della giustizia e delle investigazioni.
Ma, soprattutto, la specificità della materia, che non si esita a definire multidisciplinare -per la
cui trattazione occorre una approfondita conoscenza tecnica del complesso settore dei rifiuti, in
cui materie scientifiche e giuridiche si fondono in normative in continua evoluzione che vengono
elaborate in sede U.E. e poi trasfuse nella legislazione nazionale- richiede nel pubblico
ministero che se ne occupa una elevata professionalità, per la quale non può e deve contare sul
solo apporto della polizia giudiziaria delegata per le investigazioni, pena l’alterazione della
struttura delle indagini preliminari come oggi disegnata dal codice di rito, che attribuisce al
pubblico ministero la direzione delle indagini.
Efficacissimo strumento per far fronte alle superiori esigenze è il modello organizzativo delle
Procure della Repubblica ove sono insediate le Direzioni Distrettuali Antimafia, il quale potrebbe
ben ritenere, per il delitto di cui all’art. 260 D.Lgs. 152/06, la attribuzione della sua trattazione ad
un apposito “nucleo” della DDA, composto da uno o più magistrati con specifica competenza in
materia. E ciò per la detta sua specificità (che non necessariamente si collega a fatti di
criminalità mafiosa), e quella dei servizi di polizia giudiziaria che se ne occupano, la direzione
dei quali in sede investigativa comporta per il pubblico ministero la conoscenza di dinamiche
comportamentali criminali da contrastare, del tutto diverse da quelle tradizionali; il che rende
necessario quel sapere investigativo multidisciplinare cui prima ci si riferiva.
13. Parte I - § 11. Le attività svolte in ordine alle «materie di interesse»:
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Tale “nucleo”, così, concentrando su di sé quel tipo di indagini della DDA, potrà, o direttamente
o anche per il tramite del capo dell’Ufficio, coordinarsi col gruppo di lavoro del medesimo Ufficio
che si occupa dei reati ambientali, e specificamente di quelli (contravvenzioni) in tema di rifiuti
(dall’art. 256 all’art. 259 del D.Lgs. 152/06), che spesso sono spia del delitto di “attività
organizzate finalizzate al traffico illecito dei rifiuti”;; e tramite apposito protocollo, anche con i
corrispondenti gruppi di lavoro delle altre Procure del Distretto. In altri termini realizzandosi in
ambito distrettuale ciò che, come in principio si sottolineava, questa Direzione sta attuando in
ambito nazionale.
Ed, ancora, estremamente utile potrà essere, sulla base della osservazione della realtà di fatto
esistente nel territorio e delle forze dell’Ufficio, la creazione, all’interno di quest’ultimo, di uno
specifico gruppo di lavoro che abbia quale oggetto di interesse la tutela dell’ambiente sotto una
diversa prospettiva. Che abbia cioè riguardo a:
a) Tutte le condotte penalmente rilevanti relative ai rifiuti diverse dal delitto di cui all’art. 260
del Testo Unico Ambientale (D.lgs. 152/06);
b) Le energie alternative con le loro potenziali attività criminose quali:
1. truffe aggravate per il conseguimento di erogazioni pubbliche ai danni dello Stato e
della Comunità Europea, tramite falsi tendenti a trarre in inganno gli organismi di
controllo e i soggetti deputati alle erogazioni dei benefici pubblici e/o comunque
sottesi all’erogazione delle sovvenzioni per la produzione di energia elettrica “pulita”
(CERTIFICATI VERDI);
2. frodi nelle pubbliche forniture (di energia elettrica immessa in rete) in tutte quelle
tipologie di inadempimenti ai contratti stipulati con la parte pubblica (società di
gestione dell’energia) relativamente a quei combustibili non eco-compatibili (ad es.
l’incenerimento di matrici di rifiuti non conformi alle autorizzazioni ambientali, e/o
biomasse mescolate con rifiuti, anche pericolosi);
c) Le utilizzazioni boschive;
d) Gli incentivi ed aiuti dell’Unione Europea nell’ambito della politica agricola comunitaria
(p.a.c.), cui si ricollegano truffe aggravate e frodi in danno all’Unione Europea nei settori
della imprenditoria agricola (zootecnia, seminativi, ortofrutta, ecc.);
e) Falsificazioni di marchi ed alterazioni dei prodotti alimentari.
Gruppo che, così formato, potrà agevolmente interloquire, tramite il suo coordinatore o
direttamente il capo dell’Ufficio, con la DDA attese le possibili connessioni con la attività di
questa nel campo delle sue indagini relative al delitto di cui al citato art. 260 T.U.A., ovvero ad
altri di sua competenza.
Si ritiene che, cosi operando, si possa contribuire efficacemente a quella che da altissimo
pulpito spirituale è stata definita la “difesa del Creato”.