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Ospedali Riuniti del Vallo di Diano «Luigi Curto e SS Annunziata»
                               Ospedale Generale Provinciale – Polla (Salerno)
                                       Reparto Ostetrico-Ginecologico.
                                                 _______

                                     DIABETE E GRAVIDANZA

L.LANGELLA                                   F. PERSIANI                                  C. LANDOLFI

Influenza sella gravidanza sul diabete.

    In condizioni fisiologiche il livello ematico di glucosio a digiuno nella donna gravida è inferiore
rispetto a quello nella donna non gravida. Probabilmente ciò è dovuto alla produzione di insulina
che si eleva progressivamente nel corso della gravidanza fino a raggiungere il massimo livello nel
9° mese. Tali elevati livelli insulinemici sono sostenuti da notevole ipertrofia delle isole di
Langherans. Evidentemente nella gravidanza fisiologica l'elevata increzione di insulina ha lo scopo
di controbilanciare l'aumentata produzione di ormoni antagonisti da parte dell'ipofisi materna e di
quelli prodotti dall'unità feto-placentare. La placenta produce infatti una proteina che possiede
insieme gli effetti dell'LTH e del GH e denominata variamente come fattore lattogenico placentare,
CGH (chorionic growth-hormone prolactin), ed ormone somatotropo prolattinico corionico, HPL.
Tale ormone prodotto dal sinciziotrofoblasto aumenta progressivamente nel corso della gravidanza
raggiungendo i massimi valori al III trimestre al contrario dell'HCG.
    Dosaggi radioimmunologici dimostrano che quest'ormone si rileva nel sangue materno ad una
concentrazione quasi 300 volte superiore che nel sangue fetale. Il suo livello presenta una stretta
correlazione con il peso placentare, ma non con quello fetale. I suoi valori alla 5ª settimana di
gestazione ormonale sono intorno ad 1 mg/ml. Nel III trimestre di gravidanza la sua concentrazione
plasmatica è compresa fra i 5 e i 10 mg/ml.
    Recentemente è stato identificato un nuovo ormone placentare, la coriotirotropina umana: i suoi
livelli risultano aumentati durante la gravidanza, ma non si conoscono dati per le gravidanze
diabetiche.
    Durante la gravidanza in una donna diabetica si osserva una caduta della sensibilità all'insulina;
infatti una dose di insulina iniettata in una donna gravida predisposta al diabete, determina un
minimo abbassamento della glicemia, dei fosfati inorganici e degli aminoacidi ematici, e determina,
inoltre, un modesto aumento del lattato. Questa resistenza può essere dovuta ad un blocco delle
reazioni enzimatiche del ciclo dei glucidi (forse a livello del glucosio-6.fosfato) per l'insufficiente
azione dell'insulina o all'iperproduzione di sinalbumina. La progressiva diminuzione della risposta
all'insulina che si ha in gravidanza appare inoltre parallela all'aumento della secrezione dell'HPL. La
Sinalbumina avrebbe la capacità di attraversare la placenta.
    Nel feto determinerebbe:
     1) un antagonismo dell'attività dell'insulina nella formazione del glicogeno muscolare con
         secondaria ipertrofia compensatrice delle isole di Langherans;
     2) non interferirebbe nella lipogenesi né nella crescita scheletrica.
    L'azione della sinalbumina spiegherebbe così la macrosomia fetale nelle donne diabetiche e la
grande tolleranza alla somministrazione di glucosio e.v. che si riscontra in tali neonati. Numerosi
ricercatori hanno inoltre descritto un sistema degradante l'insulina che originariamente fu chiamato
insulinasi di cui è particolarmente ricca la placenta. Questa capacità degradante è particolarmente
attiva nelle donne diabetiche gravide ed è in grado di spiegare l'aumentata degradazione insulinica
durante la gravidanza.
    Questi sistemi enzimatici agirebbero mediante catalizzazione del clivaggio della molecola
insulinica nelle sue due catene A e B riducendo i ponti di solfuro dell'insulina in presenza di
glutatione.
    L'effetto diabetogeno della gravidanza verrebbe ad identificarsi nell'azione combinata del fattore
lattogenico placentare (HPL) con gli ormoni di origine ipofisaria (STH, ACTH, TSH, Sinalbumina),
i glicocorticoidi surrenalici, il glucagone e l'azione enzimatica degradante l'insulina della placenta.
Non va trascurato, inoltre, il ruolo che possono svolgere gli estrogeni placentari per la loro azione di
stimolo della secrezione di STH-ipofisario in presenza di stress e quello da essi svolto
nell'aumentare i livelli plasmatici di coriotirotropina.
    Nella gravidanza normale la concentrazione di sodio e di potassio diminuiscono fino alla 18ª
settimana, quindi ambedue aumentano, anche se il potassio non significativamente.
    Inoltre nel puerperio iniziale vi è un aumento significativo della concentrazione plasmatica del
potassio e del sodio.
    Pertanto la diminuzione degli ioni di sodio o l'aumento della concentrazione degli ioni di
potassio interferiscono anche essi deprimendo la sintesi e la liberazione dell'insulina, aggravando la
malattia.
    Tra gli effetti di ordine biochimico che la gravidanza provoca in una donna diabetica, interessanti
sono quelli che riguardano il calcio. Infatti i livelli di calcio ionico sierico nella gravida normale
diminuiscono progressivamente con il progredire della gravidanza stessa, probabilmente come
effetto della aumentata produzione degli estrogeni e con clearance placentare. Tale ipocalcemia
interferirebbe, pertanto, diminuendo la secrezione insulinica da parte delle cellule pancreatiche .
Infine nell'immediato postpartum di una diabetica si possono avere delle improvvise e gravi crisi
ipoglicemiche. Tale fenomeno, se avvenuto in una donna non trattata farmacologicamente, è da
riferire alla brusca cessazione dell'attività placentare; se avvenuto in una trattata, all'improvvisa
iperinsulinemia che non è più necessaria a controbilanciare i fattori diabetogeni di origine
placentare.

Influenza del diabete sulla gravidanza:
   − Influenza del diabete sulla madre.

    Prima dell'avvento della terapia insulinica la gravidanza in una donna diabetica rappresentava un
evento veramente tragico. La sterilità, l'infertilità, i parti distocici, la mortalità materna e fetale, il
polidramnios e la gestosi avevano un'alta frequenza. Nelle nazioni Nord-americane ed europee
l'incidenza del diabete nella popolazione è aumentata negli ultimi anni probabilmente per le
migliorate condizioni socio-economiche ed oscilla tra il 2 ed il4%. E' stato calcolato che l'incidenza
del diabete delle donne in età feconda è compresa tra lo 0,5 e lo 0,8%.
    Nel 1959 su 17.000 gravidanze è stato trovato che il 6,2% delle donne avevano dei test di
tolleranza al glucosio anormali. Innanzitutto addirittura il 50% delle donne diabetiche non trattate
sono amenorroiche con ipoplasia degli organi genitali, e il 15% manifestano disordini mestruali.
L'amenorrea nelle donne diabetiche sembra essere il prodotto della mancata azione della insulina
sull'asse ipotalamo-ipofisi-ovaio, il prodotto di insufficienze nutrizionali o di disturbi emozionali.
    Facilmente comprensibile è la sterilità che da queste sindromi ne può derivare.
    Addirittura il 25% delle gravide non trattate va incontro all'aborto. Tali aborti, soprattutto quelli
precoci, si verificherebbero per anomalie dell'annidamento causate da alterazioni del tasso di
glicogeno ghiandolare e deciduale.
    Non tutti gli Autori però sono d'accordo su ciò. Infatti secondo alcuni, che avrebbero trovato solo
un'incidenza del 9% nelle gravide diabetiche, l'abortività non sarebbe superiore a quella osservata
nelle gravide non diabetiche.
    L'incidenza della gestosi tra le gravide diabetiche oscilla secondo i vari Autori tra il 10 e il 50%.
Difficile comunque da stabilire a questo proposito se essa sia primitiva o se non sia l'espressione di
un aggravamento delle complicazioni diabetiche (ipertensione e proteinuria).
    Il polidramnios, che secondo alcuni è una complicazione costante del diabete in gravidanza, si
riscontra con un'incidenza tra il 10 e il 30%. La patogenesi è completamente oscura ed il suo
decorso clinico in genere è cronico ab initio, ma a volte può avere anche una comparsa improvvisa
verso la fine della gravidanza (idramnios acuto). Un'ipotesi potrebbe essere la presenza di glucosio
nel liquido amniotico che richiama maggiore quantità di liquidi.
    L'incidenza della piolonefrite è quattro volte più frequente che nella gravida normale.
Il parto prematuro si riscontrerebbe con un'incidenza tra il 14 e il 25%. Sarebbe secondario ai
sopracitati polidramnios e pielonefrite. I quozienti di mortalità nelle gravide diabetiche prima
dell'avvento della terapia insulinica erano molto alti, dopo l'introduzione della terapia la mortalità
materna legata al diabete è precipitata a valori veramente bassi (1,4%) o addirittura al di sotto dello
0,6%.
   Interessante notare che al Mount Sianai Hospital l'incidenza della mortalità materna (dal 1°
novembre 1952 al 31 dicembre 1961) su un totale di 253 gravidanze diabetiche è stata ancora al
9,5%. Tuttavia l'incidenza di tale mortalità tra le varie classi delle pazienti diabetiche classificate
secondo White (vedi in seguito) è stata del 4,4% nella classe A e del 16% nelle classi da 3 a F. Tale
mortalità, esclusi i gravi scompensi metabolici insorti in pazienti mal curate, è legata in genere a
sopravvenuta eclampsia, incidenti operatori, gravi fatti infettivi.
   I parti distocici nella gravida diabetica sono molto frequenti: essi sono legati alla macrosomia
fetale e alla presenza di polidramnios con sovradistensione dell'utero.
   Tra gli effetti di ordine biochimico che il diabete provoca sulla donna gravida, abitualmente si
riscontrano progressive anomalie della prova da carico di glucosio che ritorna normale circa 72 ore
dopo il parto. Tali anomalie si aggravano nelle successive gravidanze.
   La malattia diabetica può inoltre provocare più facilmente uno stato chetoacidosico in
gravidanza e soprattutto in travaglio di parto, chetoacidosi che può trasmettersi anche al feto.
   Per quanto riguarda l'azione che il diabete può avere sugli enzimi legati alla gravidanza poco è
conosciuto.
   Sono stati studiati la fosfatasi alcalina termostabile (HSAP) e la Diaminossidasi (DAO)
   L' HSAP è un enzima circolante prodotto dal sinciziotrofoblasto la cui concentrazione non ha
alcuna correlazione con il peso fetale o placentare; ha una vita media di tre giorni e viene secreto
unidirezionalmente nella circolazione materna. La sua concentrazione sierica aumenta dalle 2,9
KAU dei IV mese alle 10,9 KAU presso il termine. Nelle gravide diabetiche sono stati riscontrati
valori normali o più bassi.
   La Diaminossidasi (DAO) è un enzima secreto soprattutto dalla decidua. Nella gravida normale
aumenta da valori non misurabili prima della 20ª settimana fino ad oltre le 500 U/ml presso il
termine. Nelle gravide diabetiche i valori sono inferiori ai limiti normali o decisamente bassi.

   −   Influenza del diabete sull'unità feto-placentare.

    Le ricerche degli ultimi anni hanno ormai stabilito l'impossibilità di separare il feto dalla
placenta per lo studio delle eventuali interferenze reciproche fra madre e prodotto del
concepimento. La placenta con la sua estesa superficie esposta alla corrente sanguigna materna è
soggetta ai disordini generalizzati del metabolismo in una maniera simile ad altri tessuti anche se
essa ha una vita relativamente breve.
    Per quanto concerne l'aspetto macroscopico, la placenta al terzo trimestre di gravidanza in una
donna diabetica è descritta comunemente come voluminosa, umida, congesta. Molto raro è il
riscontro di infarti e di trombi intervillosi per lo meno in quelle gravidanze non complicate da
gestosi. Statistiche degli ultimi anni indicano un peso medio di circa 500 grammi a termine di
gravidanza, ma nel 10% il peso raggiunge e supera i 900 grammi . Il rapporto di peso feto-placenta
è in genere nei limiti normali.
    Dal punto di vista microscopico, nessuna delle alterazioni che saranno esposte può essere
utilizzata a scopo diagnostico. La più costante alterazione osservata è l'aumento del materiale della
membrana basale nei villi corionici terminali interessante sia la membrana basale dell'epitelio e dei
capillari, sia lo stroma.
    Altre alterazioni, come l'ipertrofia delle parti medie delle arterie descritte da alcuni Autori, si
rinvengono quasi esclusivamente in placente associate con morte endouterina del feto.
    Una insufficiente formazione di carboidrati strutturali è stata recentemente ipotizzata per
spiegare molte delle alterazioni vascolari placentari nel diabete. Ultimamente è stata richiamata
l'attenzione sull'aumentato deposito di glicogeno che si osserva spesso nello stroma dei villi
placentari. La capacità del tessuto placentare a sintetizzare glicogeno normalmente scompare nella
gravidanza avanzata. Il persistere di tale capacità può essere dovuto ad uno stato di immaturità
funzionale e a nuova formazione di villi, quando si possa escludere l'eventuale azione dell'insulina
esogena sul tessuto villoso.
    E' stata ammessa una correlazione tra la gravità delle lesioni vascolari placentari nel diabete, la
durata e il cattivo controllo della malattia. Poiché è stato ipotizzato che l'ispessimento della
membrana basale può essere riferito ad azione in loco di insulina intrappolata, è stata prospettata
una correlazione tra il tipo di terapia e le modificazioni della membrana basale. Ulteriori indagini
svolte su soggetti riceventi farmaci ipoglicemici orali e insulina non hanno tuttavia confermato
questa ipotesi. E' stato dimostrato che il glucosio attraversa liberamente la placenta per raggiungere
il feto ove viene utilizzato per varie necessità metaboliche.
    Un abbassamento del gradiente transplacentare per alcuni aminoacidi e per l'ossigeno è stato
riscontrato in alcune placente di madri diabetiche con cospicuo edema di villi coriali e deposito di
glicogeno. Questa scoperta potrebbe spiegare il frequente riscontro di insufficienza respiratoria cui
vanno incontro nelle prime 48 ore i neonati da madri diabetiche e va interpretata come conseguenza
della ipossia fetale.
    La placenta e la sua funzionalità hanno assunto negli ultimi tempi il ruolo di indice della buona
vitalità fetale. L'eliminazione urinaria dell'estriolo, che è secreto dalla placenta utilizzando
precursori di origine fetale, dopo la 20ª settimana aumenta progressivamente sino a superare sia
nella gravida normale che nella gravida diabetica i 12 mg/die, valore che dopo la 32ª settimana è un
limite invalicabile al di sotto del quale il rischio per il feto è altissimo.
    L'estriolo è il più abbondante tra gli estrogeni eliminati con le urine ed il suo livello sembra
essere strettamente correlato con il peso fetale, ma non con il peso placentare.
    L'estrione e l'estradiolo 17 sono indici della funzionalità della sola placenta, ma i livelli urinari
non sono utilizzabili come indice correlabile al peso fetale o placentare.
    Negli ultimi tempi è stata introdotta la determinazione dell'estriolo plasmatico che presenterebbe
dei vantaggi rispetto a quello urinario (influenza minore della postura e della funzione renale,
mancanza di influenza dell'iperglicemia. Il livello dell'estriolo plasmatico nelle gravide normali alla
25ª settimana di gestazione oscilla tra g 0,5/100 ml a g 3/100 ml, per aumentare verso il termine da
9 g/100 ml a 22 g/100 ml.
    Recentemente è stato messo a punto un nuovo test della funzione placentare denominato OGT
(oxjtocin challenge test) in grado di dimostrare segni di una diminuita riserva fetale prima della
caduta dell'estriolo. Nessuna gravida diabetica con un normale OCT manifestò escrezione di
estriolo patologica o asfissia fetale durante il travaglio e il parto.
    Il progesterone è un ormone che è sintetizzato ex novo dall'acetato da parte della placenta. Esso
viene dosato sotto forma di pregnandiolo nelle urine, ma questo rappresenta soltanto il 10-12%
della secrezione placentare di progesterone. La sua concentrazione urinaria oscilla tra i 10 μg/ml
alla 10ª settimana di gestazione e i 45 μg/ml alla 36ª settimana con una modesta diminuzione presso
il termine. Sfortunatamente vi è scarsa correlazione fra i livelli di progesterone sierico e
l'eliminazione di pregnandiolo urinario e, a causa di una importante disfunzione placentare, essi
possono rimanere normali per parecchio tempo dopo la morte del feto in utero. Una parte del
progesterone è inoltre convertita dalla surrenale fetale in 17-idrossiprogesterone a sua volta
eliminato dalla madre sotto forma di pregnantriolo urinario. Pertanto il 17-idrossiprogesterone e il
pregnantriolo rappresentano più strettamente un indice per l'unità feto-placentare.
    Alcuni ricercatori hanno inoltre potuto dimostrare una stretta collaborazione tra pregnantriolo e
l'estriolo urinario. Riguardo alle gravidanze diabetiche i dati sono piuttosto limitati. In letteratura
sono riportati i valori normali o al di sotto della norma. Notevole contributo per la prognosi fetale è
stato recentemente apportato dalla introduzione del dosaggio radioimmunologico dell'alfa
fetoproteina. Questa proteina è sintetizzata dal fegato fetale e dal sacco vitellino, ma in piccole
quantità è presente anche nel siero degli adulti normali. I suoi livelli aumentano progressivamente
durante la gravidanza passando dai 53 ng/ml ai 500 ng/ml della 32ª settimana per poi scendere
nuovamente a valori più bassi (164 ng/ml alla 37ª settimana – 87 ng/ml alla 41ª settimana).
E' stato dimostrato che nelle gravide ad alto rischio e nelle gravide diabetiche la comparsa di una
sofferenza o della morte del feto è preceduta, da uno a quattordici giorni, da un aumento improvviso
dei livelli sierici di alfa fetoproteina rispetto ai valori che si riscontrano nelle gravide normali.
Situazione similare si riscontra nei dosaggi dell'alfa fetoproteina nel liquido amniotico, dove però i
livelli massimi (26.000 ng/ml) si trovano alla 15ª settimana, mentre oltre la 36ª settimana i valori
non superano i 185 ng/ml.
    Questo dosaggio, che può essere effettuato anche con metodi diversi da quello radio-
immunologico, può apportare utili informazioni per lo stato di salute del feto in utero.
    L'HCG nei primi due trimestri di gravidanza può essere usato come indice della buona
funzionalità feto-placentare. La sua massima eliminazione avviene alla fine del primo trimestre di
gravidanza e può raggiungere nella gravidanza monoovulare le 20.000 U.I./litro di urina/die. In
seguito la sua eliminazione decresce progressivamente fin quasi a scomparire al termine della
gravidanza. Nella gravida diabetica vi può essere un persistere della sua eliminazione anche nel
terzo trimestre di gravidanza; probabilmente questo fenomeno è dovuto al ringiovanimento del
trofoblasto delle placente di madri diabetiche.
    L'introduzione dei metodi radioimmunologici ha permesso la valutazione dell'HCG plasmatico
fin dalla prima settimana dopo l'impianto, per raggiungere i massimi valori tra l'ottava e la decima
settimana (163 U.I./ml) per scendere alle 12 U.I./ml alla 18ª settimana, per poi risalire alla 36ª
settimana ai valori intorno alle 63 U.I./ml e rimanere così fino al termine. Nella gravida diabetica
gli studi di Priscilla e White hanno dimostrato che nel III trimestre di gravidanza il valore medio
dell'HCG plasmatico è intorno alle 135 U.I./ml. Tale scoperta apre nuove possibilità di controllo
nelle gravide diabetiche in quanto una diminuzione della quantità secreta può essere usata come
segno di insufficienza placentare. L'azione dell'HCG non è ancora del tutto chiarita. E' certa la sua
azione di stimolo sulla increzione degli steroidi ovarici prima, placentari poi, soprattutto estrogeni;
è probabile la sua azione immunosoppressiva nel facilitare l'innesto ovulare; è stato dimostrato un
suo effetto glicogenolitico, per lo meno su placente perfuse in vitro, per incremento della
concentrazione intracellulare dell'AMP ciclico che a sua volta induce la fosforilizzazione del
glucosio a glucosio 1,6 difosfato; è stato accertato soprattutto negli obesi che esso provoca una
riduzione della lipidemia e del rapporto lipoproteine postprandiali e della colesterolemia. La
secrezione dell'HPL è identificabile per mezzo di metodi radio-immunologici fin dalla 6ª-8ª
settimana di gestazione. La sua concentrazione serica va progressivamente aumentando dai 3,5 ±
1,7 g/ml della 18ª settimana fino ai 9,7 ± 1,05 g/ml della 36ª settimana. A causa del brevissimo
tempo di vita media nel siero (meno di 30 minuti) è stato calcolato che in realtà la secrezione alla
36ª settimana dovrebbe essere di 1 g al giorno. Comunque 24 ore dopo il parto non è più dosabile.
Nel siero del cordone fetale la sua concentrazione è di circa 1,4% della concentrazione che si
rinviene nel siero materno, il che indica passaggio transplacentare bassissimo o nullo. Il dosaggio
dell'HPL prima della comparsa del travaglio può essere usato come indice della funzionalità
placentare.
    Nella gravida diabetica sarebbero stati riscontrati aumenti notevoli della concentrazione sierica
dell'HPL e tali incrementi possono essere usati come indice della gravità della malattia.
    Tali aumenti della concentrazione sono stati comunque notati soltanto dopo la 20ª settimana con
un aumento più rapido dopo la 36ª settimana, mentre prima della 20ª settimana i valori plasmatici
coincidono con quelli delle gravide normali.
    E' importante notare che l'HPL è indice della funzionalità della sola placenta, in quanto
l'eventuale morte del feto in utero non influenza la sua secrezione.
    L'azione dell'HPL non è comunque del tutto chiara. E' stato dimostrato che esso immobilizza
nella specie umana gli acidi grassi liberi (NEFA) che sono la maggiore sorgente di substrati ad alta
energia nell'uomo. I NEFA possono attraversare liberamente le membrane cellulari di tutti i tessuti
e, competendo metabolicamente con il glucosio, ne riducono l'utilizzazione periferica quando
aumenta la loro concentrazione plasmatica.
    D'altro canto è stata dimostrata una stretta collaborazione tra volume della placenta e livello
sierico dell'HPL.
Per quanto riguarda l'HSAP (fosfotasi alcalina termostabile), i suoi livelli sierici non riflettono lo
stato dell'unità fetoplacentare. Tuttavia è stato notato che nelle gravide diabetiche valori bassi
persistenti seguiti da improvvisi innalzamenti, oppure valori fluttuanti seguiti da un innalzamento,
sono stati associati ad un'aumentata incidenza di mortalità perinatale.
    Per quanto i dati non siano sicuri, nelle gravide diabetiche è stato dimostrato che l'assenza o
livelli molto bassi di DAO (diaminoossidasi) sono molto spesso associati a morte fetale.
    Recenti indagini che utilizzano metodi radioimmunologici indicano che la placenta degrada
quasi completamente la quantità di insulina materna o esogena che ad essa giunge per via ematica e
che pertanto, solo in minima quota, giunge al feto.
    Inoltre sulla placenta, nella quale è stato dimostrato il passaggio degli aminoacidi in ambedue le
direzioni, ma più rapidamente verso il feto che non verso la madre, l'insulina aumenta tale capacità
e tale azione sembra essere specifica della razza umana.
    Per quanto riguarda l'azione del diabete sul feto, il dato più importante, sul quale tutti gli Autori
sono d'accordo, è che la malattia rappresenta un rischio aumentato per il feto in utero e per la vita e
il benessere del neonato. Le cause dell'alta mortalità e morbilità perinatale sono ancora in gran parte
sconosciute. Più frequentemente sono chiamate in causa alterazioni della funzionalità placentare,
soprattutto per il riscontro di irregolarità ormonali nelle gravidanze complicate da diabete.
    I feti da madri diabetiche vanno considerati sempre, anche se sembrano normali, potenzialmente
malati. E' noto che la mortalità perinatale in Italia si aggiri sul 4,3%. Tali valori, per le note
differenze economiche sociali esistenti, variano notevolmente da regione a regione. Secondo le
statistiche riportate da Vaglio, in istituti attrezzati essa può scendere anche al 2,3%. Secondo
statistiche americane, nelle gravidanze complicate da diabete la mortalità perinatale è scesa dal 40%
al 15% negli ultimi trent'anni. Comunque in istituti particolarmente adeguati la media è scesa anche
al 5,7% nel 1971. Tali incidenze sono chiaramente superiori financo alla media nazionale italiana
per l'intera mortalità perinatale.
    Statisticamente si è constatato che il rischio per il feto in utero è maggiore quando si supera il
peso di 2.500 grammi e comunque dopo la 36ª settimana di gestazione.
    Uno studio accurato sull'influenza che il livello glicemico materno può avere sul quoziente di
mortalità perinatale è stato fatto da Moller. Questi è l'unico Autore nella letteratura ad aver
dimostrato l'assenza di mortalità feto-neonatale in 33 gravide diabetiche il cui livello glicemico
medio era stato mantenuto con trattamento insulinico al di sotto dei 100 mg/100 ml, mentre la
mortalità perinatale rimaneva al 17% in altre 41 gravide i cui livelli glicemici erano mantenuti al di
sopra dei 100 mg/100 ml.
    La mortalità intrauterina varia dal 2% della 32ª settimana al 25% della 40ª settimana; la
mortalità intra partum varia dal 26% della 34ª settimana al 5% della 40ª settimana.
    I neonati da madre diabetica risultano molto frequentemente di grande taglia, spesso di aspetto
Cushing-smile. Addirittura il 20% risulta raggiungere o superare i 4.000 grammi rispetto alla
incidenza media del 2% dei nati da madri normoglicemiche.
    Qualunque sia il peso alla nascita del neonato, la mortalità perinatale è comunque superiore per i
figli da madre diabetica rispetto a quelli nati da madre sana. Il rischio, tuttavia, è maggiore quanto
maggiore è il peso del neonato.
    La macrosomia fetale influenza strettamente l'elevata incidenza di parti distosici.
    L'elevato peso fetale è legato ad un aumento del grasso corporeo e ad una proporzionale
diminuzione di acqua. La quantità totale di liquidi mancanti si aggira intorno al 2-3% in peso e
pertanto questi grossi bambini paffuti possono essere ipovolemici. E' stata dimostrata una stretta
correlazione tra peso fetale (superiore ai 4.000 grammi) e livelli sierici di HPL sempre superiori alla
norma (11 ng/ml) anche nelle gravidanze non complicate da diabete.
    La sinalbumina con il suo basso peso molecolare attraversa liberamente la placenta e nel feto
eserciterebbe la sua azione: inibirebbe l'utilizzazione del glucosio da parte del tessuto muscolare,
ma non avrebbe alcuna azione antiinsulinica nel tessuto adiposo. Pertanto in utero il feto di madre
diabetica si trova in una condizione potenziale se non attuale di iperglicemia legata alla mancata
trasformazione del glucosio in glicogeno nei muscoli ed all'aumentato apporto transplacentare di
glucosio materno. A questa iperglicemia esso reagisce con una iperincrezione di insulina come
dimostrato dalla iperplasia cellulare delle cellule delle isole pancreatiche che si riscontra alle
autopsie eseguite sui nati morti.
    D'altro canto è stato dimostrato mediante tecniche radioimmunologiche che la maggior parte dei
lipidi fetali sono prodotti dallo stesso feto nel fegato partendo dal glucosio materno.
    Reperti autoptici hanno rivelato che in gran parte dei neonati maschi da madre diabetica si
riscontra un'iperplasia delle cellule di Leydig testicolari. Tale aumento è stato considerato
secondario all'aumentato livello di HCG che si riscontra in tali gravide. La secondaria produzione di
ormone androgeno che può derivare da tale iperplasia può esercitare il suo effetto positivo
sull'anabolismo proteico e sulla crescita delle ossa dei feti maschi.
    Inoltre in caso di gravide diabetiche sottoposte a surrenalectomia, il livello di testosterone
urinario (in caso di feto maschio) è superiore all'eliminazione di testosterone nelle gravide non
diabetiche, indicando perciò l'origine fetale di tale ormone.
    E' stato inoltre dimostrato un aumento di corticosteroidi urinari nelle gravide diabetiche. Non si
conosce l'origine di tali ormoni, se materna o dall'unità fetoplacentare. Se l'origine fosse fetale
potrebbe essere spiegato l'aspetto Cushing-smile, ma si è visto che tali gravide non tendono a dare
alla luce bambini macrosomi. Comunque in alcuni casi di gravidanze diabetiche con feti macrosomi
, nel siero di questi è stata dimostrata la presenza di un livello di STH doppio rispetto ai livelli
presenti nei sieri di feti normali.
    La macrosomia dei figli da madre diabetica sarebbe pertanto legata alla concomitante azione di
sinalbumina di origine materna, iperglicemia, iperinsulinismo ed ipersecrezione di ormoni
androgeni o corticosurrenalici fetali e probabilmente anche all'azione dell'HPL.
    Non è stato possibile sinora accertare quale sia la causa delle malformazioni fetali tra i figli di
madri diabetiche: oscilla secondo alcuni intorno all'1,7% dei casi. Moracci dal 1961 al 1966 ha
trovato un'incidenza del 18% mentre dal 1956 al 1960 l'incidenza era dello 0,78%.
    Numerosi sono stato gli agenti teratogeni chiamati in causa: l'ipoglicemia fetale, il
dismetabolismo e l'acidosi materna, l'ipercorticalismo e l'iperinsulinismo materno, e negli ultimi
anni, in alcuni casi, l'uso degli ipoglicemizzanti orali.
    Recentemente un'indagine statistica ha rilevato che le malformazioni erano tanto più frequenti
quanto maggiore era la durata della malattia e più alta la glicemia materna, con una differenza
significativa fra il gruppo con glicemia al di sotto dei 100 mg/100 ml e quello in cui era superiore ai
100 mg/100 ml. Nella stessa statistica di è potuto constatate che con il progredire delle tecniche
terapeutiche assistenziali, l'incidenza delle malformazioni tra i figli di madri diabetiche è scesa al
13,1% del quinquennio 1966-70. Nell'ultimo decennio vi sarebbe stata un'incidenza dell'11,1% dei
bambini malformati.
    Le malformazioni cardiache (ipoplasia dell'atrio e del ventricolo sinisto9 sono quelle osservate
più frequentemente, ma sono state descritte anche l'agenesia dei reni, la micromelia, il labbro
leporino, la palatoschisi, l'idrocele, il meningocele, l'acrania, malformazioni multiple dello
scheletro, l'onfalocele, l'idrocefalo. Molto frequente è l'associazione delle malformazioni fetali con
il polidramnios.
    Rilevante è il fatto che in una donna diabetica si ripetono in genere le stesse malformazioni fetali
in gravidanze successive. Comunque il dato che abbassando il livello glicemico materno diminuisce
il rischio di malformazioni fetali, potrebbe indicare che la normalizzazione della glicemia migliora
l'ambiente metabolico per lo sviluppo del feto. Questa ipotesi trova una conferma nella più bassa
incidenza di malformazioni fetali nei figli di topine con diabete provocato da allossana trattate con
insulina che non nelle topine non trattate.
    Una volta superata la nascita, la causa di morte più comune nel periodo neonatale (dal 50 al
100%) è dovuta ad insufficienza respiratoria acuta secondaria ad atelettasia e al morbo della
membrana ialina caratterizzata principalmente da dispnea ingravescente associata a cianosi.
Anatomopatologicamente oltre ad atelettasia e congestione dei polmoni si rinviene una membrana
ialina di colore rosa che tappezza gli alveoli. Queste due sindromi incidono per il 46% sulle morti
dei bambini nella prima settimana di vita. Alcune condizioni favoriscono la formazione della
membrana ialina : la prematurità, il peso dei bambini al di sotto dei 2.500 grammi e, stranamente, il
taglio cesareo. In questo ultimo caso, la mortalità per sindrome della membrana ialina è 8,2 volte
superiore alla frequenza aspettata e per i nati da madre diabetica 18,5 volte. Recentemente la
valutazione dei fosfolipidi nel liquido amniotico delle diabetiche è stata utilizzata come test per
predire la maturità fetale ed è stata dimostrata un'alta corrispondenza.
   Una grave condizione, fortunatamente non molto frequente, è l'ipoglicemia che si riscontra
intorno alla quarta ora dopo il parto nei neonati da madre diabetica. E' noto che il metabolismo degli
zuccheri da parte del neonato è diverso da quello degli adulti; si riscontra infatti una maggiore
glicolisi anaerobica rispetto a quella aerobica, un'accentuata utilizzazione del glucosio, una minore
neoglicogenesi e glicogenolisi, una elevata sensibilità all'insulina, e tolleranza degli zuccheri e,
inoltre, una ridotta sensibilità alla adrenalina e al glucagone.
   Nei neonati normali la glicemia oscilla tra 50 e 60 mg/100 ml.
   Non rari, comunque, valori glicemici intorno ai 30 mg/100 ml specie nei neonati il cui peso è
basso in rapporto alla durata della gestazione, o nel più piccolo dei due gemelli, più frequenti fra i
maschi che non fra le femmine.
   Tra i figli di madri diabetiche livelli glicemici al di sotto dei 30 mg/100 ml si possono riscontrare
nel 54% dei casi contro il 14% di quelli nati da madri non diabetiche.
   Caratteristica della ipoglicemia di neonati da madri diabetiche è la drammaticità della sua
comparsa. Queste ipoglicemie sono dovute all'improvvisa cessazione dell'apporto glucidico materno
ed al persistere della iperproduzione di insulina da parte del pancreas fetale.
   Dal punto di vista prognostico, la maggioranza di questi neonati sopporta abbastanza bene la
crisi ipoglicemica, tranne i casi in cui la glicemia scende a valori veramente bassi. Può essere invece
molto interessante constatare che studi longitudinali su soggetti che avevano avuto in periodo
neonatale una crisi ipoglicemica possono manifestare, in tempi successivi, curve glicemiche
patologiche con una frequenza superiore a quella che si riscontra nei neonati non andati incontro
alla sopracitata crisi.

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Luigi Langella studio sul diabete e la gravidanza

  • 1. Ospedali Riuniti del Vallo di Diano «Luigi Curto e SS Annunziata» Ospedale Generale Provinciale – Polla (Salerno) Reparto Ostetrico-Ginecologico. _______ DIABETE E GRAVIDANZA L.LANGELLA F. PERSIANI C. LANDOLFI Influenza sella gravidanza sul diabete. In condizioni fisiologiche il livello ematico di glucosio a digiuno nella donna gravida è inferiore rispetto a quello nella donna non gravida. Probabilmente ciò è dovuto alla produzione di insulina che si eleva progressivamente nel corso della gravidanza fino a raggiungere il massimo livello nel 9° mese. Tali elevati livelli insulinemici sono sostenuti da notevole ipertrofia delle isole di Langherans. Evidentemente nella gravidanza fisiologica l'elevata increzione di insulina ha lo scopo di controbilanciare l'aumentata produzione di ormoni antagonisti da parte dell'ipofisi materna e di quelli prodotti dall'unità feto-placentare. La placenta produce infatti una proteina che possiede insieme gli effetti dell'LTH e del GH e denominata variamente come fattore lattogenico placentare, CGH (chorionic growth-hormone prolactin), ed ormone somatotropo prolattinico corionico, HPL. Tale ormone prodotto dal sinciziotrofoblasto aumenta progressivamente nel corso della gravidanza raggiungendo i massimi valori al III trimestre al contrario dell'HCG. Dosaggi radioimmunologici dimostrano che quest'ormone si rileva nel sangue materno ad una concentrazione quasi 300 volte superiore che nel sangue fetale. Il suo livello presenta una stretta correlazione con il peso placentare, ma non con quello fetale. I suoi valori alla 5ª settimana di gestazione ormonale sono intorno ad 1 mg/ml. Nel III trimestre di gravidanza la sua concentrazione plasmatica è compresa fra i 5 e i 10 mg/ml. Recentemente è stato identificato un nuovo ormone placentare, la coriotirotropina umana: i suoi livelli risultano aumentati durante la gravidanza, ma non si conoscono dati per le gravidanze diabetiche. Durante la gravidanza in una donna diabetica si osserva una caduta della sensibilità all'insulina; infatti una dose di insulina iniettata in una donna gravida predisposta al diabete, determina un minimo abbassamento della glicemia, dei fosfati inorganici e degli aminoacidi ematici, e determina, inoltre, un modesto aumento del lattato. Questa resistenza può essere dovuta ad un blocco delle reazioni enzimatiche del ciclo dei glucidi (forse a livello del glucosio-6.fosfato) per l'insufficiente azione dell'insulina o all'iperproduzione di sinalbumina. La progressiva diminuzione della risposta all'insulina che si ha in gravidanza appare inoltre parallela all'aumento della secrezione dell'HPL. La Sinalbumina avrebbe la capacità di attraversare la placenta. Nel feto determinerebbe: 1) un antagonismo dell'attività dell'insulina nella formazione del glicogeno muscolare con secondaria ipertrofia compensatrice delle isole di Langherans; 2) non interferirebbe nella lipogenesi né nella crescita scheletrica. L'azione della sinalbumina spiegherebbe così la macrosomia fetale nelle donne diabetiche e la grande tolleranza alla somministrazione di glucosio e.v. che si riscontra in tali neonati. Numerosi ricercatori hanno inoltre descritto un sistema degradante l'insulina che originariamente fu chiamato insulinasi di cui è particolarmente ricca la placenta. Questa capacità degradante è particolarmente attiva nelle donne diabetiche gravide ed è in grado di spiegare l'aumentata degradazione insulinica durante la gravidanza. Questi sistemi enzimatici agirebbero mediante catalizzazione del clivaggio della molecola insulinica nelle sue due catene A e B riducendo i ponti di solfuro dell'insulina in presenza di glutatione. L'effetto diabetogeno della gravidanza verrebbe ad identificarsi nell'azione combinata del fattore lattogenico placentare (HPL) con gli ormoni di origine ipofisaria (STH, ACTH, TSH, Sinalbumina),
  • 2. i glicocorticoidi surrenalici, il glucagone e l'azione enzimatica degradante l'insulina della placenta. Non va trascurato, inoltre, il ruolo che possono svolgere gli estrogeni placentari per la loro azione di stimolo della secrezione di STH-ipofisario in presenza di stress e quello da essi svolto nell'aumentare i livelli plasmatici di coriotirotropina. Nella gravidanza normale la concentrazione di sodio e di potassio diminuiscono fino alla 18ª settimana, quindi ambedue aumentano, anche se il potassio non significativamente. Inoltre nel puerperio iniziale vi è un aumento significativo della concentrazione plasmatica del potassio e del sodio. Pertanto la diminuzione degli ioni di sodio o l'aumento della concentrazione degli ioni di potassio interferiscono anche essi deprimendo la sintesi e la liberazione dell'insulina, aggravando la malattia. Tra gli effetti di ordine biochimico che la gravidanza provoca in una donna diabetica, interessanti sono quelli che riguardano il calcio. Infatti i livelli di calcio ionico sierico nella gravida normale diminuiscono progressivamente con il progredire della gravidanza stessa, probabilmente come effetto della aumentata produzione degli estrogeni e con clearance placentare. Tale ipocalcemia interferirebbe, pertanto, diminuendo la secrezione insulinica da parte delle cellule pancreatiche . Infine nell'immediato postpartum di una diabetica si possono avere delle improvvise e gravi crisi ipoglicemiche. Tale fenomeno, se avvenuto in una donna non trattata farmacologicamente, è da riferire alla brusca cessazione dell'attività placentare; se avvenuto in una trattata, all'improvvisa iperinsulinemia che non è più necessaria a controbilanciare i fattori diabetogeni di origine placentare. Influenza del diabete sulla gravidanza: − Influenza del diabete sulla madre. Prima dell'avvento della terapia insulinica la gravidanza in una donna diabetica rappresentava un evento veramente tragico. La sterilità, l'infertilità, i parti distocici, la mortalità materna e fetale, il polidramnios e la gestosi avevano un'alta frequenza. Nelle nazioni Nord-americane ed europee l'incidenza del diabete nella popolazione è aumentata negli ultimi anni probabilmente per le migliorate condizioni socio-economiche ed oscilla tra il 2 ed il4%. E' stato calcolato che l'incidenza del diabete delle donne in età feconda è compresa tra lo 0,5 e lo 0,8%. Nel 1959 su 17.000 gravidanze è stato trovato che il 6,2% delle donne avevano dei test di tolleranza al glucosio anormali. Innanzitutto addirittura il 50% delle donne diabetiche non trattate sono amenorroiche con ipoplasia degli organi genitali, e il 15% manifestano disordini mestruali. L'amenorrea nelle donne diabetiche sembra essere il prodotto della mancata azione della insulina sull'asse ipotalamo-ipofisi-ovaio, il prodotto di insufficienze nutrizionali o di disturbi emozionali. Facilmente comprensibile è la sterilità che da queste sindromi ne può derivare. Addirittura il 25% delle gravide non trattate va incontro all'aborto. Tali aborti, soprattutto quelli precoci, si verificherebbero per anomalie dell'annidamento causate da alterazioni del tasso di glicogeno ghiandolare e deciduale. Non tutti gli Autori però sono d'accordo su ciò. Infatti secondo alcuni, che avrebbero trovato solo un'incidenza del 9% nelle gravide diabetiche, l'abortività non sarebbe superiore a quella osservata nelle gravide non diabetiche. L'incidenza della gestosi tra le gravide diabetiche oscilla secondo i vari Autori tra il 10 e il 50%. Difficile comunque da stabilire a questo proposito se essa sia primitiva o se non sia l'espressione di un aggravamento delle complicazioni diabetiche (ipertensione e proteinuria). Il polidramnios, che secondo alcuni è una complicazione costante del diabete in gravidanza, si riscontra con un'incidenza tra il 10 e il 30%. La patogenesi è completamente oscura ed il suo decorso clinico in genere è cronico ab initio, ma a volte può avere anche una comparsa improvvisa verso la fine della gravidanza (idramnios acuto). Un'ipotesi potrebbe essere la presenza di glucosio nel liquido amniotico che richiama maggiore quantità di liquidi. L'incidenza della piolonefrite è quattro volte più frequente che nella gravida normale.
  • 3. Il parto prematuro si riscontrerebbe con un'incidenza tra il 14 e il 25%. Sarebbe secondario ai sopracitati polidramnios e pielonefrite. I quozienti di mortalità nelle gravide diabetiche prima dell'avvento della terapia insulinica erano molto alti, dopo l'introduzione della terapia la mortalità materna legata al diabete è precipitata a valori veramente bassi (1,4%) o addirittura al di sotto dello 0,6%. Interessante notare che al Mount Sianai Hospital l'incidenza della mortalità materna (dal 1° novembre 1952 al 31 dicembre 1961) su un totale di 253 gravidanze diabetiche è stata ancora al 9,5%. Tuttavia l'incidenza di tale mortalità tra le varie classi delle pazienti diabetiche classificate secondo White (vedi in seguito) è stata del 4,4% nella classe A e del 16% nelle classi da 3 a F. Tale mortalità, esclusi i gravi scompensi metabolici insorti in pazienti mal curate, è legata in genere a sopravvenuta eclampsia, incidenti operatori, gravi fatti infettivi. I parti distocici nella gravida diabetica sono molto frequenti: essi sono legati alla macrosomia fetale e alla presenza di polidramnios con sovradistensione dell'utero. Tra gli effetti di ordine biochimico che il diabete provoca sulla donna gravida, abitualmente si riscontrano progressive anomalie della prova da carico di glucosio che ritorna normale circa 72 ore dopo il parto. Tali anomalie si aggravano nelle successive gravidanze. La malattia diabetica può inoltre provocare più facilmente uno stato chetoacidosico in gravidanza e soprattutto in travaglio di parto, chetoacidosi che può trasmettersi anche al feto. Per quanto riguarda l'azione che il diabete può avere sugli enzimi legati alla gravidanza poco è conosciuto. Sono stati studiati la fosfatasi alcalina termostabile (HSAP) e la Diaminossidasi (DAO) L' HSAP è un enzima circolante prodotto dal sinciziotrofoblasto la cui concentrazione non ha alcuna correlazione con il peso fetale o placentare; ha una vita media di tre giorni e viene secreto unidirezionalmente nella circolazione materna. La sua concentrazione sierica aumenta dalle 2,9 KAU dei IV mese alle 10,9 KAU presso il termine. Nelle gravide diabetiche sono stati riscontrati valori normali o più bassi. La Diaminossidasi (DAO) è un enzima secreto soprattutto dalla decidua. Nella gravida normale aumenta da valori non misurabili prima della 20ª settimana fino ad oltre le 500 U/ml presso il termine. Nelle gravide diabetiche i valori sono inferiori ai limiti normali o decisamente bassi. − Influenza del diabete sull'unità feto-placentare. Le ricerche degli ultimi anni hanno ormai stabilito l'impossibilità di separare il feto dalla placenta per lo studio delle eventuali interferenze reciproche fra madre e prodotto del concepimento. La placenta con la sua estesa superficie esposta alla corrente sanguigna materna è soggetta ai disordini generalizzati del metabolismo in una maniera simile ad altri tessuti anche se essa ha una vita relativamente breve. Per quanto concerne l'aspetto macroscopico, la placenta al terzo trimestre di gravidanza in una donna diabetica è descritta comunemente come voluminosa, umida, congesta. Molto raro è il riscontro di infarti e di trombi intervillosi per lo meno in quelle gravidanze non complicate da gestosi. Statistiche degli ultimi anni indicano un peso medio di circa 500 grammi a termine di gravidanza, ma nel 10% il peso raggiunge e supera i 900 grammi . Il rapporto di peso feto-placenta è in genere nei limiti normali. Dal punto di vista microscopico, nessuna delle alterazioni che saranno esposte può essere utilizzata a scopo diagnostico. La più costante alterazione osservata è l'aumento del materiale della membrana basale nei villi corionici terminali interessante sia la membrana basale dell'epitelio e dei capillari, sia lo stroma. Altre alterazioni, come l'ipertrofia delle parti medie delle arterie descritte da alcuni Autori, si rinvengono quasi esclusivamente in placente associate con morte endouterina del feto. Una insufficiente formazione di carboidrati strutturali è stata recentemente ipotizzata per spiegare molte delle alterazioni vascolari placentari nel diabete. Ultimamente è stata richiamata l'attenzione sull'aumentato deposito di glicogeno che si osserva spesso nello stroma dei villi
  • 4. placentari. La capacità del tessuto placentare a sintetizzare glicogeno normalmente scompare nella gravidanza avanzata. Il persistere di tale capacità può essere dovuto ad uno stato di immaturità funzionale e a nuova formazione di villi, quando si possa escludere l'eventuale azione dell'insulina esogena sul tessuto villoso. E' stata ammessa una correlazione tra la gravità delle lesioni vascolari placentari nel diabete, la durata e il cattivo controllo della malattia. Poiché è stato ipotizzato che l'ispessimento della membrana basale può essere riferito ad azione in loco di insulina intrappolata, è stata prospettata una correlazione tra il tipo di terapia e le modificazioni della membrana basale. Ulteriori indagini svolte su soggetti riceventi farmaci ipoglicemici orali e insulina non hanno tuttavia confermato questa ipotesi. E' stato dimostrato che il glucosio attraversa liberamente la placenta per raggiungere il feto ove viene utilizzato per varie necessità metaboliche. Un abbassamento del gradiente transplacentare per alcuni aminoacidi e per l'ossigeno è stato riscontrato in alcune placente di madri diabetiche con cospicuo edema di villi coriali e deposito di glicogeno. Questa scoperta potrebbe spiegare il frequente riscontro di insufficienza respiratoria cui vanno incontro nelle prime 48 ore i neonati da madri diabetiche e va interpretata come conseguenza della ipossia fetale. La placenta e la sua funzionalità hanno assunto negli ultimi tempi il ruolo di indice della buona vitalità fetale. L'eliminazione urinaria dell'estriolo, che è secreto dalla placenta utilizzando precursori di origine fetale, dopo la 20ª settimana aumenta progressivamente sino a superare sia nella gravida normale che nella gravida diabetica i 12 mg/die, valore che dopo la 32ª settimana è un limite invalicabile al di sotto del quale il rischio per il feto è altissimo. L'estriolo è il più abbondante tra gli estrogeni eliminati con le urine ed il suo livello sembra essere strettamente correlato con il peso fetale, ma non con il peso placentare. L'estrione e l'estradiolo 17 sono indici della funzionalità della sola placenta, ma i livelli urinari non sono utilizzabili come indice correlabile al peso fetale o placentare. Negli ultimi tempi è stata introdotta la determinazione dell'estriolo plasmatico che presenterebbe dei vantaggi rispetto a quello urinario (influenza minore della postura e della funzione renale, mancanza di influenza dell'iperglicemia. Il livello dell'estriolo plasmatico nelle gravide normali alla 25ª settimana di gestazione oscilla tra g 0,5/100 ml a g 3/100 ml, per aumentare verso il termine da 9 g/100 ml a 22 g/100 ml. Recentemente è stato messo a punto un nuovo test della funzione placentare denominato OGT (oxjtocin challenge test) in grado di dimostrare segni di una diminuita riserva fetale prima della caduta dell'estriolo. Nessuna gravida diabetica con un normale OCT manifestò escrezione di estriolo patologica o asfissia fetale durante il travaglio e il parto. Il progesterone è un ormone che è sintetizzato ex novo dall'acetato da parte della placenta. Esso viene dosato sotto forma di pregnandiolo nelle urine, ma questo rappresenta soltanto il 10-12% della secrezione placentare di progesterone. La sua concentrazione urinaria oscilla tra i 10 μg/ml alla 10ª settimana di gestazione e i 45 μg/ml alla 36ª settimana con una modesta diminuzione presso il termine. Sfortunatamente vi è scarsa correlazione fra i livelli di progesterone sierico e l'eliminazione di pregnandiolo urinario e, a causa di una importante disfunzione placentare, essi possono rimanere normali per parecchio tempo dopo la morte del feto in utero. Una parte del progesterone è inoltre convertita dalla surrenale fetale in 17-idrossiprogesterone a sua volta eliminato dalla madre sotto forma di pregnantriolo urinario. Pertanto il 17-idrossiprogesterone e il pregnantriolo rappresentano più strettamente un indice per l'unità feto-placentare. Alcuni ricercatori hanno inoltre potuto dimostrare una stretta collaborazione tra pregnantriolo e l'estriolo urinario. Riguardo alle gravidanze diabetiche i dati sono piuttosto limitati. In letteratura sono riportati i valori normali o al di sotto della norma. Notevole contributo per la prognosi fetale è stato recentemente apportato dalla introduzione del dosaggio radioimmunologico dell'alfa fetoproteina. Questa proteina è sintetizzata dal fegato fetale e dal sacco vitellino, ma in piccole quantità è presente anche nel siero degli adulti normali. I suoi livelli aumentano progressivamente durante la gravidanza passando dai 53 ng/ml ai 500 ng/ml della 32ª settimana per poi scendere nuovamente a valori più bassi (164 ng/ml alla 37ª settimana – 87 ng/ml alla 41ª settimana).
  • 5. E' stato dimostrato che nelle gravide ad alto rischio e nelle gravide diabetiche la comparsa di una sofferenza o della morte del feto è preceduta, da uno a quattordici giorni, da un aumento improvviso dei livelli sierici di alfa fetoproteina rispetto ai valori che si riscontrano nelle gravide normali. Situazione similare si riscontra nei dosaggi dell'alfa fetoproteina nel liquido amniotico, dove però i livelli massimi (26.000 ng/ml) si trovano alla 15ª settimana, mentre oltre la 36ª settimana i valori non superano i 185 ng/ml. Questo dosaggio, che può essere effettuato anche con metodi diversi da quello radio- immunologico, può apportare utili informazioni per lo stato di salute del feto in utero. L'HCG nei primi due trimestri di gravidanza può essere usato come indice della buona funzionalità feto-placentare. La sua massima eliminazione avviene alla fine del primo trimestre di gravidanza e può raggiungere nella gravidanza monoovulare le 20.000 U.I./litro di urina/die. In seguito la sua eliminazione decresce progressivamente fin quasi a scomparire al termine della gravidanza. Nella gravida diabetica vi può essere un persistere della sua eliminazione anche nel terzo trimestre di gravidanza; probabilmente questo fenomeno è dovuto al ringiovanimento del trofoblasto delle placente di madri diabetiche. L'introduzione dei metodi radioimmunologici ha permesso la valutazione dell'HCG plasmatico fin dalla prima settimana dopo l'impianto, per raggiungere i massimi valori tra l'ottava e la decima settimana (163 U.I./ml) per scendere alle 12 U.I./ml alla 18ª settimana, per poi risalire alla 36ª settimana ai valori intorno alle 63 U.I./ml e rimanere così fino al termine. Nella gravida diabetica gli studi di Priscilla e White hanno dimostrato che nel III trimestre di gravidanza il valore medio dell'HCG plasmatico è intorno alle 135 U.I./ml. Tale scoperta apre nuove possibilità di controllo nelle gravide diabetiche in quanto una diminuzione della quantità secreta può essere usata come segno di insufficienza placentare. L'azione dell'HCG non è ancora del tutto chiarita. E' certa la sua azione di stimolo sulla increzione degli steroidi ovarici prima, placentari poi, soprattutto estrogeni; è probabile la sua azione immunosoppressiva nel facilitare l'innesto ovulare; è stato dimostrato un suo effetto glicogenolitico, per lo meno su placente perfuse in vitro, per incremento della concentrazione intracellulare dell'AMP ciclico che a sua volta induce la fosforilizzazione del glucosio a glucosio 1,6 difosfato; è stato accertato soprattutto negli obesi che esso provoca una riduzione della lipidemia e del rapporto lipoproteine postprandiali e della colesterolemia. La secrezione dell'HPL è identificabile per mezzo di metodi radio-immunologici fin dalla 6ª-8ª settimana di gestazione. La sua concentrazione serica va progressivamente aumentando dai 3,5 ± 1,7 g/ml della 18ª settimana fino ai 9,7 ± 1,05 g/ml della 36ª settimana. A causa del brevissimo tempo di vita media nel siero (meno di 30 minuti) è stato calcolato che in realtà la secrezione alla 36ª settimana dovrebbe essere di 1 g al giorno. Comunque 24 ore dopo il parto non è più dosabile. Nel siero del cordone fetale la sua concentrazione è di circa 1,4% della concentrazione che si rinviene nel siero materno, il che indica passaggio transplacentare bassissimo o nullo. Il dosaggio dell'HPL prima della comparsa del travaglio può essere usato come indice della funzionalità placentare. Nella gravida diabetica sarebbero stati riscontrati aumenti notevoli della concentrazione sierica dell'HPL e tali incrementi possono essere usati come indice della gravità della malattia. Tali aumenti della concentrazione sono stati comunque notati soltanto dopo la 20ª settimana con un aumento più rapido dopo la 36ª settimana, mentre prima della 20ª settimana i valori plasmatici coincidono con quelli delle gravide normali. E' importante notare che l'HPL è indice della funzionalità della sola placenta, in quanto l'eventuale morte del feto in utero non influenza la sua secrezione. L'azione dell'HPL non è comunque del tutto chiara. E' stato dimostrato che esso immobilizza nella specie umana gli acidi grassi liberi (NEFA) che sono la maggiore sorgente di substrati ad alta energia nell'uomo. I NEFA possono attraversare liberamente le membrane cellulari di tutti i tessuti e, competendo metabolicamente con il glucosio, ne riducono l'utilizzazione periferica quando aumenta la loro concentrazione plasmatica. D'altro canto è stata dimostrata una stretta collaborazione tra volume della placenta e livello sierico dell'HPL.
  • 6. Per quanto riguarda l'HSAP (fosfotasi alcalina termostabile), i suoi livelli sierici non riflettono lo stato dell'unità fetoplacentare. Tuttavia è stato notato che nelle gravide diabetiche valori bassi persistenti seguiti da improvvisi innalzamenti, oppure valori fluttuanti seguiti da un innalzamento, sono stati associati ad un'aumentata incidenza di mortalità perinatale. Per quanto i dati non siano sicuri, nelle gravide diabetiche è stato dimostrato che l'assenza o livelli molto bassi di DAO (diaminoossidasi) sono molto spesso associati a morte fetale. Recenti indagini che utilizzano metodi radioimmunologici indicano che la placenta degrada quasi completamente la quantità di insulina materna o esogena che ad essa giunge per via ematica e che pertanto, solo in minima quota, giunge al feto. Inoltre sulla placenta, nella quale è stato dimostrato il passaggio degli aminoacidi in ambedue le direzioni, ma più rapidamente verso il feto che non verso la madre, l'insulina aumenta tale capacità e tale azione sembra essere specifica della razza umana. Per quanto riguarda l'azione del diabete sul feto, il dato più importante, sul quale tutti gli Autori sono d'accordo, è che la malattia rappresenta un rischio aumentato per il feto in utero e per la vita e il benessere del neonato. Le cause dell'alta mortalità e morbilità perinatale sono ancora in gran parte sconosciute. Più frequentemente sono chiamate in causa alterazioni della funzionalità placentare, soprattutto per il riscontro di irregolarità ormonali nelle gravidanze complicate da diabete. I feti da madri diabetiche vanno considerati sempre, anche se sembrano normali, potenzialmente malati. E' noto che la mortalità perinatale in Italia si aggiri sul 4,3%. Tali valori, per le note differenze economiche sociali esistenti, variano notevolmente da regione a regione. Secondo le statistiche riportate da Vaglio, in istituti attrezzati essa può scendere anche al 2,3%. Secondo statistiche americane, nelle gravidanze complicate da diabete la mortalità perinatale è scesa dal 40% al 15% negli ultimi trent'anni. Comunque in istituti particolarmente adeguati la media è scesa anche al 5,7% nel 1971. Tali incidenze sono chiaramente superiori financo alla media nazionale italiana per l'intera mortalità perinatale. Statisticamente si è constatato che il rischio per il feto in utero è maggiore quando si supera il peso di 2.500 grammi e comunque dopo la 36ª settimana di gestazione. Uno studio accurato sull'influenza che il livello glicemico materno può avere sul quoziente di mortalità perinatale è stato fatto da Moller. Questi è l'unico Autore nella letteratura ad aver dimostrato l'assenza di mortalità feto-neonatale in 33 gravide diabetiche il cui livello glicemico medio era stato mantenuto con trattamento insulinico al di sotto dei 100 mg/100 ml, mentre la mortalità perinatale rimaneva al 17% in altre 41 gravide i cui livelli glicemici erano mantenuti al di sopra dei 100 mg/100 ml. La mortalità intrauterina varia dal 2% della 32ª settimana al 25% della 40ª settimana; la mortalità intra partum varia dal 26% della 34ª settimana al 5% della 40ª settimana. I neonati da madre diabetica risultano molto frequentemente di grande taglia, spesso di aspetto Cushing-smile. Addirittura il 20% risulta raggiungere o superare i 4.000 grammi rispetto alla incidenza media del 2% dei nati da madri normoglicemiche. Qualunque sia il peso alla nascita del neonato, la mortalità perinatale è comunque superiore per i figli da madre diabetica rispetto a quelli nati da madre sana. Il rischio, tuttavia, è maggiore quanto maggiore è il peso del neonato. La macrosomia fetale influenza strettamente l'elevata incidenza di parti distosici. L'elevato peso fetale è legato ad un aumento del grasso corporeo e ad una proporzionale diminuzione di acqua. La quantità totale di liquidi mancanti si aggira intorno al 2-3% in peso e pertanto questi grossi bambini paffuti possono essere ipovolemici. E' stata dimostrata una stretta correlazione tra peso fetale (superiore ai 4.000 grammi) e livelli sierici di HPL sempre superiori alla norma (11 ng/ml) anche nelle gravidanze non complicate da diabete. La sinalbumina con il suo basso peso molecolare attraversa liberamente la placenta e nel feto eserciterebbe la sua azione: inibirebbe l'utilizzazione del glucosio da parte del tessuto muscolare, ma non avrebbe alcuna azione antiinsulinica nel tessuto adiposo. Pertanto in utero il feto di madre diabetica si trova in una condizione potenziale se non attuale di iperglicemia legata alla mancata trasformazione del glucosio in glicogeno nei muscoli ed all'aumentato apporto transplacentare di
  • 7. glucosio materno. A questa iperglicemia esso reagisce con una iperincrezione di insulina come dimostrato dalla iperplasia cellulare delle cellule delle isole pancreatiche che si riscontra alle autopsie eseguite sui nati morti. D'altro canto è stato dimostrato mediante tecniche radioimmunologiche che la maggior parte dei lipidi fetali sono prodotti dallo stesso feto nel fegato partendo dal glucosio materno. Reperti autoptici hanno rivelato che in gran parte dei neonati maschi da madre diabetica si riscontra un'iperplasia delle cellule di Leydig testicolari. Tale aumento è stato considerato secondario all'aumentato livello di HCG che si riscontra in tali gravide. La secondaria produzione di ormone androgeno che può derivare da tale iperplasia può esercitare il suo effetto positivo sull'anabolismo proteico e sulla crescita delle ossa dei feti maschi. Inoltre in caso di gravide diabetiche sottoposte a surrenalectomia, il livello di testosterone urinario (in caso di feto maschio) è superiore all'eliminazione di testosterone nelle gravide non diabetiche, indicando perciò l'origine fetale di tale ormone. E' stato inoltre dimostrato un aumento di corticosteroidi urinari nelle gravide diabetiche. Non si conosce l'origine di tali ormoni, se materna o dall'unità fetoplacentare. Se l'origine fosse fetale potrebbe essere spiegato l'aspetto Cushing-smile, ma si è visto che tali gravide non tendono a dare alla luce bambini macrosomi. Comunque in alcuni casi di gravidanze diabetiche con feti macrosomi , nel siero di questi è stata dimostrata la presenza di un livello di STH doppio rispetto ai livelli presenti nei sieri di feti normali. La macrosomia dei figli da madre diabetica sarebbe pertanto legata alla concomitante azione di sinalbumina di origine materna, iperglicemia, iperinsulinismo ed ipersecrezione di ormoni androgeni o corticosurrenalici fetali e probabilmente anche all'azione dell'HPL. Non è stato possibile sinora accertare quale sia la causa delle malformazioni fetali tra i figli di madri diabetiche: oscilla secondo alcuni intorno all'1,7% dei casi. Moracci dal 1961 al 1966 ha trovato un'incidenza del 18% mentre dal 1956 al 1960 l'incidenza era dello 0,78%. Numerosi sono stato gli agenti teratogeni chiamati in causa: l'ipoglicemia fetale, il dismetabolismo e l'acidosi materna, l'ipercorticalismo e l'iperinsulinismo materno, e negli ultimi anni, in alcuni casi, l'uso degli ipoglicemizzanti orali. Recentemente un'indagine statistica ha rilevato che le malformazioni erano tanto più frequenti quanto maggiore era la durata della malattia e più alta la glicemia materna, con una differenza significativa fra il gruppo con glicemia al di sotto dei 100 mg/100 ml e quello in cui era superiore ai 100 mg/100 ml. Nella stessa statistica di è potuto constatate che con il progredire delle tecniche terapeutiche assistenziali, l'incidenza delle malformazioni tra i figli di madri diabetiche è scesa al 13,1% del quinquennio 1966-70. Nell'ultimo decennio vi sarebbe stata un'incidenza dell'11,1% dei bambini malformati. Le malformazioni cardiache (ipoplasia dell'atrio e del ventricolo sinisto9 sono quelle osservate più frequentemente, ma sono state descritte anche l'agenesia dei reni, la micromelia, il labbro leporino, la palatoschisi, l'idrocele, il meningocele, l'acrania, malformazioni multiple dello scheletro, l'onfalocele, l'idrocefalo. Molto frequente è l'associazione delle malformazioni fetali con il polidramnios. Rilevante è il fatto che in una donna diabetica si ripetono in genere le stesse malformazioni fetali in gravidanze successive. Comunque il dato che abbassando il livello glicemico materno diminuisce il rischio di malformazioni fetali, potrebbe indicare che la normalizzazione della glicemia migliora l'ambiente metabolico per lo sviluppo del feto. Questa ipotesi trova una conferma nella più bassa incidenza di malformazioni fetali nei figli di topine con diabete provocato da allossana trattate con insulina che non nelle topine non trattate. Una volta superata la nascita, la causa di morte più comune nel periodo neonatale (dal 50 al 100%) è dovuta ad insufficienza respiratoria acuta secondaria ad atelettasia e al morbo della membrana ialina caratterizzata principalmente da dispnea ingravescente associata a cianosi. Anatomopatologicamente oltre ad atelettasia e congestione dei polmoni si rinviene una membrana ialina di colore rosa che tappezza gli alveoli. Queste due sindromi incidono per il 46% sulle morti dei bambini nella prima settimana di vita. Alcune condizioni favoriscono la formazione della
  • 8. membrana ialina : la prematurità, il peso dei bambini al di sotto dei 2.500 grammi e, stranamente, il taglio cesareo. In questo ultimo caso, la mortalità per sindrome della membrana ialina è 8,2 volte superiore alla frequenza aspettata e per i nati da madre diabetica 18,5 volte. Recentemente la valutazione dei fosfolipidi nel liquido amniotico delle diabetiche è stata utilizzata come test per predire la maturità fetale ed è stata dimostrata un'alta corrispondenza. Una grave condizione, fortunatamente non molto frequente, è l'ipoglicemia che si riscontra intorno alla quarta ora dopo il parto nei neonati da madre diabetica. E' noto che il metabolismo degli zuccheri da parte del neonato è diverso da quello degli adulti; si riscontra infatti una maggiore glicolisi anaerobica rispetto a quella aerobica, un'accentuata utilizzazione del glucosio, una minore neoglicogenesi e glicogenolisi, una elevata sensibilità all'insulina, e tolleranza degli zuccheri e, inoltre, una ridotta sensibilità alla adrenalina e al glucagone. Nei neonati normali la glicemia oscilla tra 50 e 60 mg/100 ml. Non rari, comunque, valori glicemici intorno ai 30 mg/100 ml specie nei neonati il cui peso è basso in rapporto alla durata della gestazione, o nel più piccolo dei due gemelli, più frequenti fra i maschi che non fra le femmine. Tra i figli di madri diabetiche livelli glicemici al di sotto dei 30 mg/100 ml si possono riscontrare nel 54% dei casi contro il 14% di quelli nati da madri non diabetiche. Caratteristica della ipoglicemia di neonati da madri diabetiche è la drammaticità della sua comparsa. Queste ipoglicemie sono dovute all'improvvisa cessazione dell'apporto glucidico materno ed al persistere della iperproduzione di insulina da parte del pancreas fetale. Dal punto di vista prognostico, la maggioranza di questi neonati sopporta abbastanza bene la crisi ipoglicemica, tranne i casi in cui la glicemia scende a valori veramente bassi. Può essere invece molto interessante constatare che studi longitudinali su soggetti che avevano avuto in periodo neonatale una crisi ipoglicemica possono manifestare, in tempi successivi, curve glicemiche patologiche con una frequenza superiore a quella che si riscontra nei neonati non andati incontro alla sopracitata crisi.