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Doctor Doom ?
Mercoledì 19 febbraio Nouriel Roubini, uno dei più influenti, famosi e riconosciuti economisti internazionali, ha
partecipato a un convegno organizzato a Roma da Aism Luxembourg. Nella prestigiosa cornice dei saloni di
Palazzo Brancaccio, il tema affrontato era “Il futuro della zona Euro: il ritorno alla crescita ?” ma l’occasione
evidentemente era tale per spaziare trasversalmente su tutte le tematiche e problematiche globali.
Roubini, soprannominato Dottor Catastrofe, non ha bisogno di presentazioni. Per quei pochi che tuttavia non lo
conoscessero giova sapere che è uno dei tanti cittadini del mondo: nasce a Instanbul nel 1956 e vive per molti
anni tra l’Iran, Israele e l’Italia (qui restando per circa vent’anni) prima di stabilirsi definitivamente negli States
dove tutt’oggi è professore di economia alla New York University, oltre a essere Presidente del RGE (Roubini
Global Economics). Tutti sappiamo che la sua fama deriva dall’aver saputo prevedere lo tsunami dei mutui
subprime, quando nessuno se ne preoccupava. Non tutti però sanno che lo disse apertamente nel 2006 in un
incontro col direttorio del Fondo Monetario Internazionale (che per inciso racchiude quasi duecento Paesi nel
mondo), restando evidentemente inascoltato. Nel 2006 le cose andavano ancora molto bene e, per ignoranza,
ignavia o connivenza, non bisognava disturbare il manovratore.
Arrivo quindi ai principali concetti espressi nel corso delle due ore di intervento, saltando direttamente alla
conclusione: questa volta, nessuna disastrosa profezia. Tutto sommato meglio così: credo che nessuno sarebbe
interessato a rivendersi il vaticinio coi propri clienti per poi, in ogni caso, ritrovarsi lui stesso a vivere nel
mezzo di un’altra catastrofe. Quanto segue invece è il riassunto in pillole, mi auguro il più fedele possibile, del
pensiero di Roubini.
Situazione generale. Arriviamo da anni di recessione globale causata da una crisi finanziaria per il troppo
indebitamento (privato ma soprattutto pubblico), e quando la causa principale è il forte indebitamento
pubblico il processo di ritorno alla normalità è lungo e doloroso. Servono anche dieci anni, a volte.
Il recupero da questa condizione è stato più veloce per i mercati emergenti, grazie a un minor indebitamento e
a una maggiore capacità di crescita, e più lento nelle economie avanzate. Si sono perciò creati disallineamenti a
livello mondiale nel ritrovare una normalità finanziaria dalla quale ripartire.
Negli ultimi 6/12 mesi il fenomeno è stato contrario: Usa, Europa, Giappone, UK, sono andati meglio rispetto a
quanto abbiano fatto i paesi emergenti.
Economie sviluppate. In questo momento sono quelle che stanno meglio avendo già attuato politiche di fiscal
drag e avendo iniziato la riduzione della leva finanziaria (deleveraging) sull’indebitamento immobiliare,
aziendale e bancario. Inoltre il rischio di crollo dell’Eurozona si è ridotto molto contribuendo a ridare normalità
alla crescita, anche se ancora anemica. Le politiche economiche delle principali Banche Centrali (Fed, Bce, BoE,
BoJ) sono state molto accomodanti, portando i tassi praticamente a zero e con l’intenzione di mantenerli a
questo livello ancora per diverso tempo. Tutta la liquidità riversata sui mercati non ha generato inflazione
perché è stata assorbita principalmente dalle banche e non dal sistema produttivo; l’obiettivo di inflazione delle
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Banche Centrali è del 2% e non ci sono tensioni inflazionistiche nel breve termine. Il Tapering, per chiudere,
verrà ultimato gradualmente con la fine dell’anno in corso.
Economie emergenti. Oggi rappresentano la metà del totale delle economie mondiali, e hanno un peso sempre
più rilevante, in positivo come in negativo. Esistono fattori esterni e interni che hanno generato il rallentamento
del 2013. Per i primi hanno influito l’inizio del Tapering ad opera della Fed, una crescita sostenuta ma inferiore
ai tassi attesi (Cina al 7%, probabilmente anche meno nel corso di quest’anno), la fine del superciclo delle
commodities. Per i secondi, un’inflazione che ha ripreso a crescere, le poche riforme strutturali, il troppo
protezionismo dei governi principali. Questo combinato disposto, per dirla in politichese, ha reso tutto più
fragile.
L’area dei mercati emergenti tuttavia è molto vasta (dall’Asia all’America Centrale e del Sud, dall’Europa
centrale e dell’Est ai paesi africani) e vanno fatte alcune distinzioni: tra quei paesi che si trovano in condizioni
migliori ci sono sicuramente Corea del Sud, Malesia, Singapore, Polonia, Repubblica Ceca, Messico, Cile,
Colombia, Perù, Africa sub‐sahariana.
Le cose tuttavia miglioreranno perché strutturalmente è un’area che sta civilizzandosi sempre di più, con una
crescita del ceto medio, con le macro riforme che non potranno che essere fatte, con un miglior equilibrio
generale di natura politica, fiscale ed economica.
Europa – Eurozona. Good news & bad news. Tra quelle positive la prima è l’allontanamento del rischio di
cedimento dei paesi periferici (Piigs), e per questo molto ha fatto la credibilità di Mario Draghi che, già a metà
anno scorso, dichiarò di esser pronto a fare qualsiasi cosa per scongiurare rischi sistemici: whatever it takes !
furono le sue parole. A qualsiasi costo ! A dire il vero non servì mettere in pratica la minaccia, a conferma di
quanto (ndr: vale anche per noi italiani) la credibilità sia già di per sé un fatto concreto.
La ripresa economica, seppur molto debole, è ritornata negli ultimi due trimestri; nel campo dell’austerità
fiscale molto è stato fatto (per cui eventuali aggiustamenti avranno minor impatto), e la competitività rispetto
all’estero ha ripreso vigore.
L’elenco delle notizie negative è lungo. La crescita c’è, ma è molto bassa, soprattutto nei paesi periferici; la
disoccupazione è troppo alta, e altissima quella giovanile; i nuovi posti di lavoro sono pochissimi;
l’innalzamento demografico non aiuta il processo di crescita; l’euro, inteso come valuta, è troppo forte (ndr:
definito da Roubini una palla al piede); manca una vera Unione Europea che sia bancaria, fiscale, politica ed
economica. Solo con una vera unione l’Europa potrà tornare al centro del sistema.
La Germania, unico paese ad avere una vera marcia in più, è molto restia a favorirla fintanto che i paesi
periferici non usciranno dalla condizione di dover sempre essere aiutati o, comunque, di rappresentare una
minaccia per il sistema. Fraulein Angela non accetta di trasferire dal proprio centro alla periferia parte del suo
Pil (ndr: e, se ci pensiamo, l’atteggiamento di noi italiani non è poi troppo diverso, in particolare del Nord Italia
nel confronti del Sud. Evidentemente gli italiani sono i terroni d’Europa).
Le popolazioni europee, particolarmente quelle della periferia, sono affaticate dall’austerity, la sopportazione è
al limite, “la gente dice basta”. Il rischio, se non si torna rapidamente a una crescita – unica strada strutturale
per uscire dalle crisi – è che gli estremismi abbiano il sopravvento e i governi finiscano nelle mani dei partiti
radicali (ndr: il riferimento era per la Grecia, ma tra le righe anche per l’Italia).
In questo contesto agrodolce quindi, ci sono i primi segnali di miglioramento, ma la strada è ancora lunga.
Rischi generali. A livello globale i principali rischi sono collegati ai lidi dove approderà (e dove già è arrivata)
la grande liquidità immessa sui mercati. Potrebbero generarsi fluttuazioni importanti dei prezzi e
successivamente sfociare in bolla (mercato immobiliare e mercato creditizio americano in particolare, ma
anche mercati azionari e high tech).
Un secondo problema potrebbe essere rappresentato da un hard landing cinese: la crescita è inferiore agli anni
passati, e se alcune riforme non saranno attuate rapidamente il rischio si farà concreto (parliamo della seconda
economia mondiale, quasi prima).
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In ultimo possibili problemi potrebbero sorgere da eventuali tensioni di natura geopolitica. Ucraina a parte,
tema caldissimo di questi giorni, quando si pensa ai conflitti militari è facile associarli al Medio Oriente; oggi
invece all’orizzonte si profila una conflitto tra la Cina e diversi paesi limitrofi, ma soprattutto verso il Giappone.
E sarebbero sicuramente dolori.
Prospettive anno in corso. Gli indici azionari Usa cresceranno ma non a due cifre come nel 2013. Meglio
l’Europa da questo punto di vista, anche in riferimento ai paesi periferici. I mercati obbligazionari non
offriranno molto, dato il permanere di tassi molto bassi. L’Euro è troppo forte, sopra di almeno il 10% del suo
valore, e potrebbe perfino rafforzarsi ancora. I mercati emergenti, pur con le considerazioni già fatte,
potrebbero recuperare dalle quotazioni che sono scese molto.
Italia. (ndr: l’occasione era ghiotta ovviamente, visto il momento politico che stiamo vivendo, e più di qualcuno
sosteneva che avesse incontrato il prossimo Presidente del Consiglio in questo giro romano. Servirebbe una
pagina solo per parlare “di noi”, per cui riassumerò ulteriormente per punti).
1. Deficit di bilancio leggermente sceso, ma il debito pubblico ha continuato a crescere
2. Alcune riforme sono state fatte (poche e utilizzando molto la leva fiscale), ma non quanto hanno fatto
altri paesi come Spagna e Portogallo
3. Il costo del lavoro in Italia è troppo alto: serve urgente la riforma del mercato del lavoro e una maggiore
flessibilità, uniformando le forme contrattuali (i vecchi hanno molte tutele, i giovani poche)
4. Va attuata rapidamente la spending review, va riformata la Pubblica Amministrazione
5. Il credito alle imprese deve riprendere, e non deve arrivare solo dalle banche
6. Vanno attuate la riforma elettorale e quella giudiziaria
Dimentico sicuramente tante cose, ma non ha detto nulla di diverso rispetto a quello che tutti in Italia pensano
e dicono. Il punto, evidentemente, è far seguire i fatti alle parole.
Sono invece interessanti le ultime considerazioni. I mercati stanno concedendo il beneficio del dubbio al nuovo
Presidente del Consiglio in pectore, Matteo Renzi. C’è attesa e speranza. Lo spread è basso, ma tra sei mesi o un
anno ripartirebbe se le cose non cambiassero veramente. Ma … una persona da sola non può riuscirci se non ha
alle spalle un Paese. Senza coesione sociale e politica non si può cambiare e costruire nulla. Inutili e
anacronistiche le divisioni partitiche, la caccia alle poltrone, i veti a priori, le opposizioni ideologiche. Oggi
Renzi per l’Italia rappresenta l’ultima spiaggia: “o nuotate insieme, o annegate insieme” (ndr: queste le
testuali e ultime parole di Roubini).
Nota personale e finale: se le premesse sono quelle di questi giorni e, buon ultimo, ciò a cui si è assistito in
diretta streaming nel confronto tra il futuro governo e una parte comunque importante dell’opposizione, non
solo siamo molto distanti dal nuotare insieme, ma anche solo dall’imparare a farlo. Molto più facile annegare.
Insieme. Con buona pace di tutti, predicatori e asinelli al seguito.
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