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Milano, 25 luglio 2013
Premessa
Il presente contributo si limiterà a fornire un’analisi ragionata di come le Proposte di Legge (di seguito PdL)
attualmente depositate hanno considerato i temi, le questioni e i problemi proposti nelle domande arrivate
dalla Rete per il convegno “Le proposte di legge sul contenimento del consumo di suolo a confronto -
Conferenza Urbanistica Partecipata”, tenutosi venerdì 12 luglio 2013 a Palazzo Marino, Milano.
Essendo il CRCS un ente di ricerca e non un estensore di una delle PdL, i temi affrontati durante la
conferenza, e ripresi nelle domande arrivate dalla Rete, verranno trattati in modo organico proponendo
alcuni spunti di riflessioni e un inquadramento delle criticità e questioni aperte.
Le PdL considerate sono:
 PdL 948 Legge quadro in materia di valorizzazione delle aree agricole e di contenimento del
consumo del suolo (detta anche PdL Salvasuoli “ex Catania”)
 PdL 1050 Norme per il blocco del consumo di suolo e la tutela del paesaggio (detta anche PdL
Berdini – Movimento5Stelle)
 PdL 70 Norme per il contenimento dell’uso di suolo e la rigenerazione urbana (detta anche PdL
Realacci)
 PdL “Norme per il contenimento e la riduzione del consumo di suolo” elaborata dall’Ufficio
legislativo del WWF Italia
 PdL per la salvaguardia del territorio non urbanizzato, predisposta da Vezio De Lucia, Paolo
Berdini, Luca De Lucia, Antonio di Gennaro, Edoardo Salzano, Giancarlo Storto.
___________________________________
L’adozione di sistemi perequativi e compensativi ha assunto nel corso degli anni una rilevanza sempre
maggiore all’interno degli strumenti urbanistici.
Il tema della perequazione, articolato in urbanistica e territoriale, viene ripreso unicamente dalla PdL AC/70
“Norme per il contenimento dell’uso di suolo e la rigenerazione urbana” in qualità di possibile strumento
urbanistico da utilizzare per porre rimedio a ciò che è definito come il “doppio regime dei suoli”, ovvero la
disparità di trattamento tra proprietari di aree nelle medesime condizioni di fatto (suoli urbanizzati o
urbanizzabili), limitando inoltre le difficoltà connesse alla reiterazione dei vincoli una volta decaduti dopo i
cinque anni dalla loro apposizione (Cfr. Sentenza Corte Costituzionale 179/99), allo stesso modo anche i
concetti di compensazione e incentivazione urbanistica (art. 6) vengono presenti solo nella PdL AC/70 e
risultano strettamente connessi al riuso e alla rigenerazione urbana.
Entrambi gli articoli della PdL riprendono in parte le normative regionali fornendo indicazioni, vincoli e
discipline che servono a regolamentare a livello nazionale tali strumenti, con un’accezione particolare
riferita al tema del contenimento del consumo di suolo.
Nello specifico, a titolo esemplificativo, il comma 4 dell’art. 4 della PdL AC/70, riferito alla perequazione
territoriale, intende porre rimedio alla distribuzione di oneri e vantaggi derivanti da politiche e interventi di
livello sovracomunale riconducendo la scelta unicamente a ragioni relative agli impatti ambientali e alle
diverse implicazioni per i bilanci comunali, evitando così che la localizzazione ottimale degli ambiti sia
governata unicamente dai vantaggi economici.
Nonostante si ritenga che tale articolo dovrebbe avere una propria autonomia legislativa in quanto
tematica non regolamentata a livello nazionale e con implicazioni che non contemplano unicamente
l’ambito del consumo di suolo, esso rappresenta un primo approccio per iniziare a considerare gli strumenti
2
della perequazione e compensazione con la finalità del contenimento e della minimizzazione del consumo
di suolo.
In proposito, occorre precisare che vi è una netta distinzione tra compensazione ambientale e
compensazione urbanistica. La prima costituisce uno strumento integrato al progetto di trasformazione del
suolo il cui obiettivo sostanziale è il riequilibrio ambientale degli impatti negativi generati dalla
trasformazione stessa. La teoria che supporta tale approccio è basata sulla misurazione del bilancio
ambientale: la sottrazione di valore ecologico deve essere compensata dalla generazione di nuovo valore
ecologico. La compensazione può quindi definirsi “riparativa” anche dell’impatto residuale e pertanto la
rigenerazione ecologica non necessariamente avviene nel luogo stesso dove è avvenuta la trasformazione,
ma in luoghi differenti. La compensazione è intesa quale opera riparativa, il cui obiettivo è principalmente
destinato al mantenimento di un bilancio ecologico positivo, e che inoltre si allontana dalle logiche
esclusivamente mitigative, la cui finalità, invece, è quella di assorbire gli effetti diretti derivati dalla
impermeabilizzazione del suolo. La declinazione della compensazione ambientale muove, inoltre, da un
assunto sostanziale: la riparazione all’alterazione dell’ambiente e del paesaggio deve avvenire
esclusivamente mediante la rigenerazione di nuovo valore ambientale e paesaggistico e non attraverso una
contropartita economica, determinando uno scambio tra perdite e guadagni che sia omologo, ovvero
contraddistinto dall’equità della indennità ecologica.
La seconda, ovvero la compensazione urbanistica, è uno strumento finalizzato all’acquisizione di aree
destinate alla realizzazione di interventi di interesse pubblico o generale, non disciplinate da piani e da atti
di programmazione, sulle quali possono essere attribuiti, a compensazione della loro cessione gratuita al
comune, aree in permuta o diritti edificatori trasferibili su aree edificabili previste dal Piano urbanistico
anche non soggette a piano attuativo.
Entrambi sono strumenti con finalità differenti e non valutabili in quanto coerenti o incoerenti con la
necessità di ridurre il consumo di suolo, quanto piuttosto valutabili nell’ambito della necessità di ridurre le
previsioni sovraordinate dei piani urbanistici e limitare gli impatti ambientali dei futuri consumi di suolo.
Il tema della perequazione è strettamente connesso alla spinosa questione dei diritti edificatori, in alcune
PdL è possibile riscontrare alcune importanti innovazioni. La PdL AC/70 (art. 7 - 8) stabilisce un’efficacia
limitata nel tempo dei diritti edificatori (compresi anche i diritti oggetto di trasferimento) subordinata
all’efficacia dello strumento urbanistico che ha generato tali diritti, anche la PdL Berdini – M5S (art.5)
attribuisce un valore meramente programmatico alle indicazioni relative alle espansioni contenute negli
strumenti urbanistici, inserendo la possibilità di modificare e cancellare le previsioni di Piano. Entrambe le
proposte risultano condizionate e subordinate alle normative di livello regionale, in quanto sono le regioni
ad avere la totale competenza in materia. Affinché tali provvedimenti assumano una maggiore valenza e
possano essere attuati adeguatamente, occorre prevedere una riforma del titolo V della costituzione in
merito al riordino delle competenze Stato-Regione.
In proposito, riteniamo che occorra approvare con urgenza una nuova legge nazionale per il governo del
territorio, l’attuale legge 1150/1942 risulta datata e non adeguata a rispondere alle esigenze, ai bisogni e
alle necessità del territorio attuale.
La riforma dei principi fondamentali del governo del territorio è indubbiamente necessaria in quanto vi
sono alcuni temi - quali la riqualificazione, la rigenerazione urbana e il riuso di porzioni di città intese come
uniche modalità per minimizzare e contenere il consumo di suolo e preservare, al tempo stesso, le aree
libere - che devono essere aggiornati e integrati nelle disciplina urbanistica.
Tra le PdL depositate quella che affronta più organicamente il fenomeno del consumo di suolo nell’ambito
del governo del territorio è la PdL Realacci poiché agisce su tre punti chiave: fiscalità, incentivazione al
riuso, anche mediante l’utilizzo dei diritti edificatori, e reversibilità delle previsioni di piano.
Nelle PdL depositate viene conferita una notevole attenzione al tema del riuso, riutilizzo e rigenerazione
urbana in quanto strumenti per contenere la crescita della città, arrestare lo sprawl urbano e limitare il
consumo di suolo. Tale principio viene esplicitato ampiamente nella proposta AC/70 che, fin dal titolo della
PdL “Norme per il contenimento del consumo di suolo e la rigenerazione urbana”, conferisce particolare
rilevanza al tema. È evidente che le misure di incentivazione al riuso e alla densificazione dei suoli
urbanizzati, citate quali necessità per la limitazione del consumo di suolo, devono essere adeguatamente
3
contestualizzate e programmate, nell’ambito della capacità del piano urbanistico devono essere selezionate
le aree sulle quali sarà possibile avviare un processo selettivo e programmato di densificazione e riuso che
non si configuri come una diffuso incremento degli indici edificatori. Le norme di piano possono consentire
inoltre di vincolare l’utilizzo di nuovi suoli al prioritario riutilizzo delle aree dismesse o sottoutilizzate.
La letteratura scientifica sembra individuare vie miste per rendere efficaci le politiche di limitazione di
consumi di suolo: gli approcci regolativi funzionano se supportati da adeguate regole di controllo
morfologico degli insediamenti e da misure fiscali per la disincentivazione all’occupazione di terreni liberi.
Ciò nonostante, ad oggi il nodo da affrontare non è tanto la necessità di individuare una soglia non
superabile per il consumo di suolo quanto piuttosto riuscire a introdurre il principio della decadenza
temporale dei diritti edificatori privati e distinguere chiaramente questi dalle potenzialità edificatorie
(aspetto approfondito nella PdL AC/70). Ciò è necessario per liberare il suolo dall’attuale indissolubile
legame con le sue destinazioni edificatorie e mettere così a disposizione delle Amministrazioni un quadro
legislativo che consenta di affrontare, senza incertezze, la revisione delle previsioni largamente
sovradimensionate dei piani urbanistici comunali. Se infatti la limitazione del consumo di suolo non
interviene preventivamente sulle aree già selezionate dai documenti di programmazione territoriale il
consumo di suolo è destinato ad aumentare.
L’ipotesi di definire una soglia massima di consumo di suolo è stata portata avanti sia dalla Proposta di
Legge “ex Catania” (art. 3 – limite al consumo di superficie agricola), sia dalla PdL Berdini – M5S (art. 3 -
perimetrazione del territorio agricolo e naturale).
Tale approccio presenta indubbiamente alcune criticità di tipo metodologico, ovvero in che modo e
secondo quale criterio è possibile tracciare e perimetrare una porzione di territorio che potrà essere
urbanizzata.
La PdL 1050 propone una suddivisione del territorio in 3 categorie (aree urbanizzate, agricole, e a vocazione
ambientale) specificando che le trasformazioni sono concesse unicamente nelle aree urbanizzate non
considerando le numerose sfaccettature proprie del tessuto urbanizzato. Tali aree infatti possono avere al
loro interno aree libere interstiziali e di margine che devono essere mantenute al loro stato attuale e non
urbanizzate. Anche le aree periurbane rientrano in due delle tre categorie ipotizzate dal PdL 1050, pertanto
la classificazione non risulta oggettiva ma discrezionale e difficilmente applicabile.
Oltre alle problematiche relative alla corretta attribuzione della vocazione di un’area, tale approccio
considera come aree urbanizzate quelle individuate dagli strumenti urbanistici vigenti includendo quindi
anche le aree libere nello stato di fatto ma con diritto edificatorio mai esercitato (il cosiddetto “residuo di
piano”), rendendolo di conseguenza permanente e non, invece, con efficacia limitata nel tempo.
Oltre a ciò, vengono riscontrate anche criticità di merito. La Pdl 948 enuncia l’obiettivo di ridurre il consumo
di suolo agricolo determinando un’estensione massima di superficie agricola consumabile. Tale approccio,
oltre che apparire contradditorio, non fornisce una chiara definizione di come ridurre il consumo di suolo e
di come individuare la soglia massima di suolo agricolo consumabile in quando demandata a successivo
decreto. Si riscontra inoltre la mancanza di specifiche indicazioni in merito a un eventuale superamento
dell’estensione massima di superficie edificabile e l’assenza di una gerarchia nelle scelte di localizzazione
delle nuove trasformazioni privilegiando (e quantomeno incentivando) il riuso e il recupero di aree già
urbanizzate ma attualmente dismesse o sottoutilizzate. Se tale vuole essere il metodo da applicare, prima
del rilascio di aliquote di nuovo consumo di suolo, occorre svolgere indagini sul bisogno effettivo di nuove
trasformazioni e sulle potenzialità del dismesso e del sottutilizzato, anche considerando le previsioni degli
strumenti urbanistici vigenti.
È dimostrabile infine come l’introduzione di soli meccanismi regolativi che fissino un tetto quantitativo
massimo di suoli urbanizzabili sia risultata inefficace, e tendenzialmente “distorsiva” poiché induce a
“rincorrere” le soglie di limite o ad aggirare l’interpretazione delle definizioni di tali soglie mediante
meccanismi di misurazione non verificabili. In particolare, l’art. 3 comma 2 del DdL “Catania” detta i principi
secondo i quali stabilire criteri e modalità per definire l’estensione massima di superficie agricola
consumabile, citando gli elementi da considerare in via di definizione. Tale approccio introduce
sicuramente una attenzione al tema ma potrebbe rivelarsi inefficace se non integrato da strumenti
adeguati di monitoraggio e da una fiscalità di scopo per limitare i consumi di suolo.
4
Come ampiamente spiegato, il riuso e la rigenerazione urbana risultano fondamentali per contenere il
consumo di suolo, spesso però l’attuazione di tali modalità si scontra con problemi relativi alla
contaminazione del suolo di molte aree dismesse.
Per quanto concerne le procedure di bonifica dei siti inquinanti, il testo unico dell’ambiente (D.Lgs
152/2006) nella Parte quarta dedicata alle Norme in materia di gestione dei rifiuti e di bonifica dei siti
inquinati, stabilisce l’obbligo di bonifica e la definizione di un percorso per l’individuazione del soggetto
responsabile e il successivo ripristino del danno ambientale. Tuttavia siamo coscienti del fatto che tale
percorso risulta complicato, con tempi di attuazione lunghi e con risultati non del tutto soddisfacenti.
Per fare chiarezza, riportiamo brevemente quali sono le modalità previste dalla normativa per l’esecuzione
della bonifica di un sito inquinato e le sanzioni da applicare in caso di inadempimento.
L’obbligo di bonifica grava in primo luogo sull’effettivo responsabile dell’inquinamento, che le competenti
Autorità amministrative hanno l’obbligo di ricercare e individuare. La mera qualifica di proprietario del
terreno inquinato invece, non ha di per sé l’obbligo di effettuazione della bonifica ma ne ha la facoltà. Il
proprietario infatti ha la possibilità di eseguire volontariamente gli interventi ambientali al fine di evitare
l’espropriazione del terreno, gravato ex lege dall’onere reale e privilegio speciale.
Il Decreto stabilisce inoltre che “Qualora i soggetti responsabili della contaminazione non provvedano
direttamente agli adempimenti disposti … non siano individuabili e non provvedano né il proprietario del
sito né altri soggetti interessati, le procedure e gli interventi … sono realizzati d'ufficio dal Comune
territorialmente competente e, ove questo non provveda, dalla Regione, secondo l'ordine di priorità fissati
dal piano regionale per la bonifica delle aree inquinate, avvalendosi anche di altri soggetti pubblici o privati,
individuati ad esito di apposite procedure ad evidenza pubblica. Al fine di anticipare le somme per i predetti
interventi le regioni possono istituire appositi fondi nell'ambito delle proprie disponibilità di bilancio”
(art.250, comma 1).
La normativa prevede inoltre delle sanzioni penali in linea con il principio “chi inquina paga” che prevedono
oltre al pagamento di un ammenda nel caso in cui non si provveda alla bonifica del sito anche la pena
dell’arresto. Tali sanzioni vengono ulteriormente inasprite qualora l’inquinamento sia provocato da
sostanze pericolose.
In conclusione, diverse domande arrivate dalla Rete in occasione del convegno del 12.07.13 hanno
riguardato le modalità di coinvolgimento, partecipazione e informazione dei cittadini in merito al
fenomeno del consumo di suolo sia durante il percorso di stesura delle PdL, sia nelle PdL stesse.
In proposito, possiamo dire che nelle PdL presentate vengono per lo più considerati e coinvolti gli enti e le
istituzioni con competenze tecniche. Nello specifico, la PdL AC/70 si affida all’ISTAT, in qualità di ente
competente in materia e detentori di informazioni e conoscenze territoriali, per definire un quadro
conoscitivo completo e articolato sul fenomeno del consumo di suolo, e successivamente definire adeguate
politiche di contenimento, minimizzazione e azzeramento.
Il PdL 948 invece prevede l’istituzione di un Comitato con la funzione di monitorare il consumo di superficie
agricola e l’attuazione della presente Legge. Il Comitato risulta però costituito da cariche politiche, quando
invece tale compito richiede competenze specialistiche di tipo tecnico-scientifiche.
Solo nella PdL “Norme per il contenimento e la riduzione del consumo di suolo” elaborata dall’Ufficio
legislativo del WWF Italia, viene fornito uno Strumentario del WWF per l’Italia da riutilizzare e il
contenimento del consumo di suolo. Tra le proposte di scala locale vi sono i “Laboratori urbani, luoghi in cui
sono disponibili le informazioni riguardanti gli strumenti urbanistici, le varianti e i piani operativi di
trasformazione e rigenerazione urbana e sia possibile avviare e consolidare esperienze di urbanistica
concertata e consensuale (con il coinvolgimento dei cittadini), superando la stagione della urbanistica
contrattata”.
il CRCS è da tempo convinto che la “patologia” del consumo di suolo ha una matrice culturale, prima ancora
che fisica, che deve essere superata mediante una costante e corretta informazione e divulgazione. Detto
questo, riteniamo che tale obiettivo venga in parte recepito dalla PdL AC/70 (art.1) in quanto è prevista la
pubblicazione e divulgazione annuale di un rapporto sul consumo di suolo e sui processi di più rilevante
trasformazione ambientale con la definizione di obiettivi di contenimento quantitativo su scala pluriennale.
5
Le PdL vertono prevalentemente sul contenimento del consumo di suolo, la rigenerazione urbana e la
valorizzazione delle aree libere, nuove professionalità nel settore dell’urbanistica potrebbero essere
attivate nell’ambito di una riforma urbanistica generale che preveda nuovi compiti, nuove funzioni e nuove
conoscenze. Con l’introduzione del concetto più ampio e articolato di “governo del territorio” anziché di
urbanistica, il campo disciplinare riferito alla progettazione e programmazione del territorio si è già
arricchito di nuovi contenuti e nuove figure che hanno reso la materia interdisciplinare. Ciò nonostante, con
riferimento al tema del consumo di suolo, sembra necessaria una maggiore integrazione tra la discipline
ambientali e urbanistiche, in grado di rafforzare l’azione conoscitiva riferita ai suoli liberi che indirizzi le
opzioni di trasformazione dei suoli che il piano urbanistico mette in campo.

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  • 1. 1 Milano, 25 luglio 2013 Premessa Il presente contributo si limiterà a fornire un’analisi ragionata di come le Proposte di Legge (di seguito PdL) attualmente depositate hanno considerato i temi, le questioni e i problemi proposti nelle domande arrivate dalla Rete per il convegno “Le proposte di legge sul contenimento del consumo di suolo a confronto - Conferenza Urbanistica Partecipata”, tenutosi venerdì 12 luglio 2013 a Palazzo Marino, Milano. Essendo il CRCS un ente di ricerca e non un estensore di una delle PdL, i temi affrontati durante la conferenza, e ripresi nelle domande arrivate dalla Rete, verranno trattati in modo organico proponendo alcuni spunti di riflessioni e un inquadramento delle criticità e questioni aperte. Le PdL considerate sono:  PdL 948 Legge quadro in materia di valorizzazione delle aree agricole e di contenimento del consumo del suolo (detta anche PdL Salvasuoli “ex Catania”)  PdL 1050 Norme per il blocco del consumo di suolo e la tutela del paesaggio (detta anche PdL Berdini – Movimento5Stelle)  PdL 70 Norme per il contenimento dell’uso di suolo e la rigenerazione urbana (detta anche PdL Realacci)  PdL “Norme per il contenimento e la riduzione del consumo di suolo” elaborata dall’Ufficio legislativo del WWF Italia  PdL per la salvaguardia del territorio non urbanizzato, predisposta da Vezio De Lucia, Paolo Berdini, Luca De Lucia, Antonio di Gennaro, Edoardo Salzano, Giancarlo Storto. ___________________________________ L’adozione di sistemi perequativi e compensativi ha assunto nel corso degli anni una rilevanza sempre maggiore all’interno degli strumenti urbanistici. Il tema della perequazione, articolato in urbanistica e territoriale, viene ripreso unicamente dalla PdL AC/70 “Norme per il contenimento dell’uso di suolo e la rigenerazione urbana” in qualità di possibile strumento urbanistico da utilizzare per porre rimedio a ciò che è definito come il “doppio regime dei suoli”, ovvero la disparità di trattamento tra proprietari di aree nelle medesime condizioni di fatto (suoli urbanizzati o urbanizzabili), limitando inoltre le difficoltà connesse alla reiterazione dei vincoli una volta decaduti dopo i cinque anni dalla loro apposizione (Cfr. Sentenza Corte Costituzionale 179/99), allo stesso modo anche i concetti di compensazione e incentivazione urbanistica (art. 6) vengono presenti solo nella PdL AC/70 e risultano strettamente connessi al riuso e alla rigenerazione urbana. Entrambi gli articoli della PdL riprendono in parte le normative regionali fornendo indicazioni, vincoli e discipline che servono a regolamentare a livello nazionale tali strumenti, con un’accezione particolare riferita al tema del contenimento del consumo di suolo. Nello specifico, a titolo esemplificativo, il comma 4 dell’art. 4 della PdL AC/70, riferito alla perequazione territoriale, intende porre rimedio alla distribuzione di oneri e vantaggi derivanti da politiche e interventi di livello sovracomunale riconducendo la scelta unicamente a ragioni relative agli impatti ambientali e alle diverse implicazioni per i bilanci comunali, evitando così che la localizzazione ottimale degli ambiti sia governata unicamente dai vantaggi economici. Nonostante si ritenga che tale articolo dovrebbe avere una propria autonomia legislativa in quanto tematica non regolamentata a livello nazionale e con implicazioni che non contemplano unicamente l’ambito del consumo di suolo, esso rappresenta un primo approccio per iniziare a considerare gli strumenti
  • 2. 2 della perequazione e compensazione con la finalità del contenimento e della minimizzazione del consumo di suolo. In proposito, occorre precisare che vi è una netta distinzione tra compensazione ambientale e compensazione urbanistica. La prima costituisce uno strumento integrato al progetto di trasformazione del suolo il cui obiettivo sostanziale è il riequilibrio ambientale degli impatti negativi generati dalla trasformazione stessa. La teoria che supporta tale approccio è basata sulla misurazione del bilancio ambientale: la sottrazione di valore ecologico deve essere compensata dalla generazione di nuovo valore ecologico. La compensazione può quindi definirsi “riparativa” anche dell’impatto residuale e pertanto la rigenerazione ecologica non necessariamente avviene nel luogo stesso dove è avvenuta la trasformazione, ma in luoghi differenti. La compensazione è intesa quale opera riparativa, il cui obiettivo è principalmente destinato al mantenimento di un bilancio ecologico positivo, e che inoltre si allontana dalle logiche esclusivamente mitigative, la cui finalità, invece, è quella di assorbire gli effetti diretti derivati dalla impermeabilizzazione del suolo. La declinazione della compensazione ambientale muove, inoltre, da un assunto sostanziale: la riparazione all’alterazione dell’ambiente e del paesaggio deve avvenire esclusivamente mediante la rigenerazione di nuovo valore ambientale e paesaggistico e non attraverso una contropartita economica, determinando uno scambio tra perdite e guadagni che sia omologo, ovvero contraddistinto dall’equità della indennità ecologica. La seconda, ovvero la compensazione urbanistica, è uno strumento finalizzato all’acquisizione di aree destinate alla realizzazione di interventi di interesse pubblico o generale, non disciplinate da piani e da atti di programmazione, sulle quali possono essere attribuiti, a compensazione della loro cessione gratuita al comune, aree in permuta o diritti edificatori trasferibili su aree edificabili previste dal Piano urbanistico anche non soggette a piano attuativo. Entrambi sono strumenti con finalità differenti e non valutabili in quanto coerenti o incoerenti con la necessità di ridurre il consumo di suolo, quanto piuttosto valutabili nell’ambito della necessità di ridurre le previsioni sovraordinate dei piani urbanistici e limitare gli impatti ambientali dei futuri consumi di suolo. Il tema della perequazione è strettamente connesso alla spinosa questione dei diritti edificatori, in alcune PdL è possibile riscontrare alcune importanti innovazioni. La PdL AC/70 (art. 7 - 8) stabilisce un’efficacia limitata nel tempo dei diritti edificatori (compresi anche i diritti oggetto di trasferimento) subordinata all’efficacia dello strumento urbanistico che ha generato tali diritti, anche la PdL Berdini – M5S (art.5) attribuisce un valore meramente programmatico alle indicazioni relative alle espansioni contenute negli strumenti urbanistici, inserendo la possibilità di modificare e cancellare le previsioni di Piano. Entrambe le proposte risultano condizionate e subordinate alle normative di livello regionale, in quanto sono le regioni ad avere la totale competenza in materia. Affinché tali provvedimenti assumano una maggiore valenza e possano essere attuati adeguatamente, occorre prevedere una riforma del titolo V della costituzione in merito al riordino delle competenze Stato-Regione. In proposito, riteniamo che occorra approvare con urgenza una nuova legge nazionale per il governo del territorio, l’attuale legge 1150/1942 risulta datata e non adeguata a rispondere alle esigenze, ai bisogni e alle necessità del territorio attuale. La riforma dei principi fondamentali del governo del territorio è indubbiamente necessaria in quanto vi sono alcuni temi - quali la riqualificazione, la rigenerazione urbana e il riuso di porzioni di città intese come uniche modalità per minimizzare e contenere il consumo di suolo e preservare, al tempo stesso, le aree libere - che devono essere aggiornati e integrati nelle disciplina urbanistica. Tra le PdL depositate quella che affronta più organicamente il fenomeno del consumo di suolo nell’ambito del governo del territorio è la PdL Realacci poiché agisce su tre punti chiave: fiscalità, incentivazione al riuso, anche mediante l’utilizzo dei diritti edificatori, e reversibilità delle previsioni di piano. Nelle PdL depositate viene conferita una notevole attenzione al tema del riuso, riutilizzo e rigenerazione urbana in quanto strumenti per contenere la crescita della città, arrestare lo sprawl urbano e limitare il consumo di suolo. Tale principio viene esplicitato ampiamente nella proposta AC/70 che, fin dal titolo della PdL “Norme per il contenimento del consumo di suolo e la rigenerazione urbana”, conferisce particolare rilevanza al tema. È evidente che le misure di incentivazione al riuso e alla densificazione dei suoli urbanizzati, citate quali necessità per la limitazione del consumo di suolo, devono essere adeguatamente
  • 3. 3 contestualizzate e programmate, nell’ambito della capacità del piano urbanistico devono essere selezionate le aree sulle quali sarà possibile avviare un processo selettivo e programmato di densificazione e riuso che non si configuri come una diffuso incremento degli indici edificatori. Le norme di piano possono consentire inoltre di vincolare l’utilizzo di nuovi suoli al prioritario riutilizzo delle aree dismesse o sottoutilizzate. La letteratura scientifica sembra individuare vie miste per rendere efficaci le politiche di limitazione di consumi di suolo: gli approcci regolativi funzionano se supportati da adeguate regole di controllo morfologico degli insediamenti e da misure fiscali per la disincentivazione all’occupazione di terreni liberi. Ciò nonostante, ad oggi il nodo da affrontare non è tanto la necessità di individuare una soglia non superabile per il consumo di suolo quanto piuttosto riuscire a introdurre il principio della decadenza temporale dei diritti edificatori privati e distinguere chiaramente questi dalle potenzialità edificatorie (aspetto approfondito nella PdL AC/70). Ciò è necessario per liberare il suolo dall’attuale indissolubile legame con le sue destinazioni edificatorie e mettere così a disposizione delle Amministrazioni un quadro legislativo che consenta di affrontare, senza incertezze, la revisione delle previsioni largamente sovradimensionate dei piani urbanistici comunali. Se infatti la limitazione del consumo di suolo non interviene preventivamente sulle aree già selezionate dai documenti di programmazione territoriale il consumo di suolo è destinato ad aumentare. L’ipotesi di definire una soglia massima di consumo di suolo è stata portata avanti sia dalla Proposta di Legge “ex Catania” (art. 3 – limite al consumo di superficie agricola), sia dalla PdL Berdini – M5S (art. 3 - perimetrazione del territorio agricolo e naturale). Tale approccio presenta indubbiamente alcune criticità di tipo metodologico, ovvero in che modo e secondo quale criterio è possibile tracciare e perimetrare una porzione di territorio che potrà essere urbanizzata. La PdL 1050 propone una suddivisione del territorio in 3 categorie (aree urbanizzate, agricole, e a vocazione ambientale) specificando che le trasformazioni sono concesse unicamente nelle aree urbanizzate non considerando le numerose sfaccettature proprie del tessuto urbanizzato. Tali aree infatti possono avere al loro interno aree libere interstiziali e di margine che devono essere mantenute al loro stato attuale e non urbanizzate. Anche le aree periurbane rientrano in due delle tre categorie ipotizzate dal PdL 1050, pertanto la classificazione non risulta oggettiva ma discrezionale e difficilmente applicabile. Oltre alle problematiche relative alla corretta attribuzione della vocazione di un’area, tale approccio considera come aree urbanizzate quelle individuate dagli strumenti urbanistici vigenti includendo quindi anche le aree libere nello stato di fatto ma con diritto edificatorio mai esercitato (il cosiddetto “residuo di piano”), rendendolo di conseguenza permanente e non, invece, con efficacia limitata nel tempo. Oltre a ciò, vengono riscontrate anche criticità di merito. La Pdl 948 enuncia l’obiettivo di ridurre il consumo di suolo agricolo determinando un’estensione massima di superficie agricola consumabile. Tale approccio, oltre che apparire contradditorio, non fornisce una chiara definizione di come ridurre il consumo di suolo e di come individuare la soglia massima di suolo agricolo consumabile in quando demandata a successivo decreto. Si riscontra inoltre la mancanza di specifiche indicazioni in merito a un eventuale superamento dell’estensione massima di superficie edificabile e l’assenza di una gerarchia nelle scelte di localizzazione delle nuove trasformazioni privilegiando (e quantomeno incentivando) il riuso e il recupero di aree già urbanizzate ma attualmente dismesse o sottoutilizzate. Se tale vuole essere il metodo da applicare, prima del rilascio di aliquote di nuovo consumo di suolo, occorre svolgere indagini sul bisogno effettivo di nuove trasformazioni e sulle potenzialità del dismesso e del sottutilizzato, anche considerando le previsioni degli strumenti urbanistici vigenti. È dimostrabile infine come l’introduzione di soli meccanismi regolativi che fissino un tetto quantitativo massimo di suoli urbanizzabili sia risultata inefficace, e tendenzialmente “distorsiva” poiché induce a “rincorrere” le soglie di limite o ad aggirare l’interpretazione delle definizioni di tali soglie mediante meccanismi di misurazione non verificabili. In particolare, l’art. 3 comma 2 del DdL “Catania” detta i principi secondo i quali stabilire criteri e modalità per definire l’estensione massima di superficie agricola consumabile, citando gli elementi da considerare in via di definizione. Tale approccio introduce sicuramente una attenzione al tema ma potrebbe rivelarsi inefficace se non integrato da strumenti adeguati di monitoraggio e da una fiscalità di scopo per limitare i consumi di suolo.
  • 4. 4 Come ampiamente spiegato, il riuso e la rigenerazione urbana risultano fondamentali per contenere il consumo di suolo, spesso però l’attuazione di tali modalità si scontra con problemi relativi alla contaminazione del suolo di molte aree dismesse. Per quanto concerne le procedure di bonifica dei siti inquinanti, il testo unico dell’ambiente (D.Lgs 152/2006) nella Parte quarta dedicata alle Norme in materia di gestione dei rifiuti e di bonifica dei siti inquinati, stabilisce l’obbligo di bonifica e la definizione di un percorso per l’individuazione del soggetto responsabile e il successivo ripristino del danno ambientale. Tuttavia siamo coscienti del fatto che tale percorso risulta complicato, con tempi di attuazione lunghi e con risultati non del tutto soddisfacenti. Per fare chiarezza, riportiamo brevemente quali sono le modalità previste dalla normativa per l’esecuzione della bonifica di un sito inquinato e le sanzioni da applicare in caso di inadempimento. L’obbligo di bonifica grava in primo luogo sull’effettivo responsabile dell’inquinamento, che le competenti Autorità amministrative hanno l’obbligo di ricercare e individuare. La mera qualifica di proprietario del terreno inquinato invece, non ha di per sé l’obbligo di effettuazione della bonifica ma ne ha la facoltà. Il proprietario infatti ha la possibilità di eseguire volontariamente gli interventi ambientali al fine di evitare l’espropriazione del terreno, gravato ex lege dall’onere reale e privilegio speciale. Il Decreto stabilisce inoltre che “Qualora i soggetti responsabili della contaminazione non provvedano direttamente agli adempimenti disposti … non siano individuabili e non provvedano né il proprietario del sito né altri soggetti interessati, le procedure e gli interventi … sono realizzati d'ufficio dal Comune territorialmente competente e, ove questo non provveda, dalla Regione, secondo l'ordine di priorità fissati dal piano regionale per la bonifica delle aree inquinate, avvalendosi anche di altri soggetti pubblici o privati, individuati ad esito di apposite procedure ad evidenza pubblica. Al fine di anticipare le somme per i predetti interventi le regioni possono istituire appositi fondi nell'ambito delle proprie disponibilità di bilancio” (art.250, comma 1). La normativa prevede inoltre delle sanzioni penali in linea con il principio “chi inquina paga” che prevedono oltre al pagamento di un ammenda nel caso in cui non si provveda alla bonifica del sito anche la pena dell’arresto. Tali sanzioni vengono ulteriormente inasprite qualora l’inquinamento sia provocato da sostanze pericolose. In conclusione, diverse domande arrivate dalla Rete in occasione del convegno del 12.07.13 hanno riguardato le modalità di coinvolgimento, partecipazione e informazione dei cittadini in merito al fenomeno del consumo di suolo sia durante il percorso di stesura delle PdL, sia nelle PdL stesse. In proposito, possiamo dire che nelle PdL presentate vengono per lo più considerati e coinvolti gli enti e le istituzioni con competenze tecniche. Nello specifico, la PdL AC/70 si affida all’ISTAT, in qualità di ente competente in materia e detentori di informazioni e conoscenze territoriali, per definire un quadro conoscitivo completo e articolato sul fenomeno del consumo di suolo, e successivamente definire adeguate politiche di contenimento, minimizzazione e azzeramento. Il PdL 948 invece prevede l’istituzione di un Comitato con la funzione di monitorare il consumo di superficie agricola e l’attuazione della presente Legge. Il Comitato risulta però costituito da cariche politiche, quando invece tale compito richiede competenze specialistiche di tipo tecnico-scientifiche. Solo nella PdL “Norme per il contenimento e la riduzione del consumo di suolo” elaborata dall’Ufficio legislativo del WWF Italia, viene fornito uno Strumentario del WWF per l’Italia da riutilizzare e il contenimento del consumo di suolo. Tra le proposte di scala locale vi sono i “Laboratori urbani, luoghi in cui sono disponibili le informazioni riguardanti gli strumenti urbanistici, le varianti e i piani operativi di trasformazione e rigenerazione urbana e sia possibile avviare e consolidare esperienze di urbanistica concertata e consensuale (con il coinvolgimento dei cittadini), superando la stagione della urbanistica contrattata”. il CRCS è da tempo convinto che la “patologia” del consumo di suolo ha una matrice culturale, prima ancora che fisica, che deve essere superata mediante una costante e corretta informazione e divulgazione. Detto questo, riteniamo che tale obiettivo venga in parte recepito dalla PdL AC/70 (art.1) in quanto è prevista la pubblicazione e divulgazione annuale di un rapporto sul consumo di suolo e sui processi di più rilevante trasformazione ambientale con la definizione di obiettivi di contenimento quantitativo su scala pluriennale.
  • 5. 5 Le PdL vertono prevalentemente sul contenimento del consumo di suolo, la rigenerazione urbana e la valorizzazione delle aree libere, nuove professionalità nel settore dell’urbanistica potrebbero essere attivate nell’ambito di una riforma urbanistica generale che preveda nuovi compiti, nuove funzioni e nuove conoscenze. Con l’introduzione del concetto più ampio e articolato di “governo del territorio” anziché di urbanistica, il campo disciplinare riferito alla progettazione e programmazione del territorio si è già arricchito di nuovi contenuti e nuove figure che hanno reso la materia interdisciplinare. Ciò nonostante, con riferimento al tema del consumo di suolo, sembra necessaria una maggiore integrazione tra la discipline ambientali e urbanistiche, in grado di rafforzare l’azione conoscitiva riferita ai suoli liberi che indirizzi le opzioni di trasformazione dei suoli che il piano urbanistico mette in campo.