2. La crisi del Trecento da
cosa è stata provocata?
Guida power point:
In queste slides vedremo quali sono i problemi
che causano la crisi del Trecento e quale era la
situazione politica in quel periodo.
3. L’Italia dopo Federico II
Nel Regno di Sicilia nel 1258 si impone come sovrano Manfredi, uno dei figli di
Federico 2° che cerca di proseguire la strategia abbozzata dal padre nell’Italia
centro-settentrionale.
Nel farlo può avvalersi dei contrasti all’interno delle stesse città cioè dei
conflitti interni ai comuni.
Dall’inizio del XIII secolo, le parti in conflitto si dividono tra sostenitori delle
ragioni degli Hohenstaufen e sostenitori delle ragioni dei Welfen:
1. I primi prendono il nome di ghibellini, cioè quei gruppi politici che
sostengono le ragioni dell’impero, così come le ha delineate Federico 2° e
come Manfredi cerca di riaffermarle.
2. Gli altri si chiamano guelfi, cioè quei gruppi che si fanno promotori
dell’autonomia dei comuni e della chiesa contro le pretese imperiali.
Manfredi cerca di sfruttare i conflitti tra i comuni italiani, alleandosi ai gruppi
ghibellini, con i quali cerca di imporre la sua autorità. Insieme ai ghibellini
Manfredi distrugge le truppe di Firenze, città dominata dai guelfi, nella
battaglia di Montaperti del 1260.
4. Carlo D’Angiò contro Manfredi
In effetti questo potrebbe essere l’inizio di una strategia
vincente, ma anche estremamente pericolosa per lo Stato
della Chiesa. A scongiurare questo pericolo provvede
l’intervento del pontefice Clemente IV che scomunica
Manfredi e proclama re di Sicilia Carlo d’Angiò fratello del
re di Francia. Egli allestisce un esercito col quale attacca il
Regno di Sicilia; le truppe di Manfredi vengono sconfitte a
Benevento nel 1266 e lui stesso muore.
Un estremo tentativo di reazione viene mosso da
Corradino, nipote di Manfredi, che però fallisce nella sua
impresa e viene sconfitto a Tagliacozzo, in Abruzzo, nel
1268.
5. Il Papato, da Bonifacio VIII al
trasferimento ad Avignone
Nel 1296 il re di Francia, Filippo IV, detto il Bello, per far fronte all’esigenza di
denaro decreta l’imposizione di tasse sugli ecclesiastici.
Il papa Bonifacio VIII protesta e nasce uno scontro. Il re di Francia convoca per
la prima volta gli Stati generali, una sorta di Parlamento composto dai
rappresentanti dei tre “ordini” ovvero il clero, la nobiltà e la borghesia. Questa
assemblea afferma che i poteri del sovrano, derivano direttamente da Dio,
senza la mediazione del Papa.
Bonifacio VIII riprende emanando la bolla “Unam Sanctam”, nella quale
sostiene la teoria opposta, ovvero che il Papa è l’unico capo della Chiesa ed è
superiore a qualunque altra autorità terrena.
La contesa si conclude con un atto di violenza: il 7 settembre 1303 un
rappresentante del re di Francia, Guglielmo di Nogaret, cattura Bonifacio VIII
nella sua residenza di Anagni: durante la cattura il Papa viene schiaffeggiato
da Sciarra Colonna. Bonifacio VIII non resiste all’affronto e muore un mese più
tardi.
6. Il periodo avignonese
Dopo la morte di Bonifacio VIII, il re di Francia riesce a
imporre l’elezione al pontificato di un francese,
Clemente V che nel 1309 decide di trasferire la sede
papale ad Avignone in Francia.
Fino al 1376 ad Avignone si succedono sette papi,
tutti francesi. Iniziò così un periodo di assenza del
papato da Roma: una fase che durò 70 anni, definita
cattività avignonese.
7. Problemi della crisi e che cosa
causano
Gli storici, a partire dall’Ottocento, sono concordi
nell’individuare un periodo di crisi nei secoli finali del
Medioevo. La prima metà del Trecento vide infatti un
susseguirsi continuo prima di carestie e poi di epidemie.
L’epidemia più grave fu la peste bubbonica.
Le carestie, a loro volta, determinarono un aumento dei
prezzi dei generi alimentari che mise in difficoltà i ceti più
deboli e tra questi i salariati dell’industria tessile, i quali
erano colpiti anche dal rallentamento della produzione,
provocato dalla crisi demografica e dalla conseguente
riduzione della domanda di prodotti tessili.
8. LA «morte nera»
Gli scontri, le guerre, le lotte al potere portano dal
1320 un peggioramento delle condizioni
climatiche, di conseguenza cattivi raccolti
alimentazione insufficiente.
Proprio su una popolazione spossata da tre
decenni di crisi e carestie si abbatte nel 1347 una
malattia epidemica quasi sconosciuta in Europa,
di una virulenza assolutamente inaudita LA PESTE
BUBBONICA.
9. La peste bubbonica
La peste bubbonica è una malattia che si manifesta
con attacchi di febbre, conati di vomito, sete, diarrea,
macchie sulla pelle e con un ingrossamento delle
ghiandole linfatiche dell’inguine e delle ascelle, che
provoca i «bubboni» da cui la malattia prende il
nome. Questa dalla Cina raggiunse l’Italia (tramite
topi e pulci che si spostavano con le carovane dei
mercanti) e da qui dilagò in Europa fino ai paesi
scandinavi.
10. Che conseguenze provoca la
peste
Gli effetti demografici del diffondersi della malattia sono spaventosi.
Osservando l’insieme dell’Europa tra il 1347 e il 1350, si può stimare che
almeno un terzo della popolazione sia stato colpito dalla peste (da poco meno
di 90mln a 65mln le persone rimaste in vita). Inoltre causa l’abbandono di terre
coltivate, la concentrazione dei vari patrimoni in poche mani e infine la
riconversione produttiva (riadattamento dei prodotti coltivati).
Tra le reazioni collettive dovute a questa crisi, un ruolo importante rivestono i
rituali religiosi che in particolare vogliono esorcizzare la minaccia della peste,
che vanno a risentire del paesaggio economico sociale e la componente
antigiudaica.
La gente inoltre iniziava a fustigarsi fino a sanguinare, sono i flagellanti, che
credevano che facendosi del male fisico si sarebbero purificati. Questa
iniziativa si diffonde in tutto il Centro Europa e il rituale prevede che all’arrivo
in una località ci si rechi in una chiesa cantando inni e flagellandosi; se nella
città visitata c’era una comunità ebraica, il rituale si si concludeva con una
selvaggia aggressione agli ebrei, considerati i veri responsabili della malattia.
11. Crisis
Cause
Epidemia di peste
bubbonica Cattivi raccolti
Peggioramento del
clima
Conseguenze
Pratiche
religiose
Ostilità
antigiudaica
Componenti
penitenziali
Risentimento
economico
sociale
Calo della
produzione
Abbandono di
terre coltivate
Riconversione
produttiva
Concentrazione
di patrimoni
Diminuzione
della
popolazione
13. Lo sviluppo storico in Malthus
Il dibattito sulla crisi del Trecento fu avviato nell’Ottocento.
Il punto di partenza è rappresentato dal Saggio sul principio di
popolazione, pubblicato nel 1798 dall’ inglese Thomas Robert
Malthus, il quale osservò che, mentre la crescita di popolazione
avviene in progressione geometrica (1, 2, 4, 8, 16…), quella dei
mezzi di sussistenza si muove in progressione aritmetica (1, 2,
3, 4…); la conseguenza, secondo l’autore, è che a un certo punto
si crea una sfasatura tra risorse e bocche da sfamare, che
arresta l’ulteriore aumento della popolazione e fa scattare
«freni repressivi» quali carestie, epidemie e guerre che,
provocando un’alta mortalità, ristabiliscono un equilibrio con le
risorse alimentari disponibili.
14. All’interno del Saggio sul principio di
popolazione
A parità delle altra condizioni, si può affermare che le nazioni
sono popolose a seconda della quantità di alimenti destinati
all’uomo da esse prodotta.
Il dottor Adam Smith osserva che qualora le patate
diventassero il cibo vegetale preferito dal popolo comune e
venisse impiegata per la loro coltivazione, il paese sarebbe in
grado di mantenere una popolazione molto più numerosa.
Secondo Malthus la felicità di un paese non dipende, in linea
generale, dalla sua povertà o dalla sua ricchezza, dalla sua
giovinezza o dalla sua vecchiaia, dal fatto di essere
densamente o scarsamente abitato, bensì dalla rapidità con cui
sta aumentando, dal grado in cui l’incremento annuo degli
alimenti si avvicina all’incremento annuo di una popolazione
non sottoposta a restrizione alcuna.
15. Se un paese non venisse mai conquistato da un popolo più
avanzato nella tecnica, ma fosse lasciato al suo naturale
progresso civile, non ci potrà mai essere un solo periodo del
quale si possa dire che la massa della popolazione è libera dalle
pene recatele direttamente o indirettamente dalla scarsità del
cibo.
La carestia sembra essere l’estrema e più terribile risorsa della
natura. Il potere di popolazione è tanto superiore al potere di
produrre sussistenza per l’uomo di cui è dotata la terra, che
inevitabilmente la morte prematura sorprende, in un modo o
nell’altro la razza umana. I vizi dell’umanità eseguono in maniera
attiva ed efficace il loro compito spopolatore. Essi costituiscono
le avanguardie del grande esercito della distruzione e spesso
hanno forza sufficiente per portare a termine da soli quest’opera
terribile. Ma quando fallissero in questa guerra di sterminio, le
stagioni malsane, le epidemie, la pestilenza e altri morbi
avanzano in spaventoso schieramento e spazzano via le loro
vittime a decine di migliaia.
16. Marx e la transizione dal feudalesimo
al capitalismo
La teoria di Malthus fu contestata in maniera decisa da Karl
Marx, il quale ne Il Capitale elaborò una teoria per spiegare il
passaggio dal feudalesimo al capitalismo.
Marx capovolse l’impostazione di Malthus, negando che i
fattori demografici potessero essere determinanti nello
sviluppo storico e considerandoli piuttosto come riflesso
delle strutture sociali. Secondo Marx il passaggio di
produzione da un modo all’altro avviene attraverso i conflitti
sociali che si generano al loro interno, determinandone il
crollo. In questa prospettiva la crisi del Tre-Quattrocento di
configura come l’inizio della crisi lenta, plurisecolare, del
modo di produzione feudale, al quale sarebbe subentrato il
sistema di produzione capitalistico.
17. All’interno de Il capitale
Occorre trasformare in capitale denaro e merce. Questa
trasformazione può avvenire soltanto a certe condizioni:
devono trovarsi due specie di possessori di merce
diversissime, da una parte proprietari di denaro e di
mezzi di produzione e di sussistenza, ai quali importa
valorizzare mediante l’acquisto di forza-lavoro altrui la
somma di valori posseduta; dall’altra parte operai liberi,
venditori della propria forza-lavoro e quindi venditori di
lavoro. Essi non fanno parte direttamente dei mezzi di
produzione come gli schiavi, né ad essi appartengono i
mezzi di produzione, anzi ne sono liberi.
Con questa polarizzazione del mercato delle merci si
hanno le condizioni fondamentali della produzione
capitalistica.
18. Il rapporto capitalistico ha come presupposto la separazione tra i
lavoratori e la proprietà delle condizioni di realizzazione del lavoro…
La struttura economica della società capitalistica è derivata dalla
struttura economica della società feudale. La dissoluzione di
questa ha liberato gli elementi di quella. L’operaio ha potuto
disporre della sua persona soltanto dopo aver smesso di essere
servo o infeudato ad un’altra persona. Per diventare libero
venditore di forza-lavoro ha inoltre dovuto sottrarsi al dominio delle
corporazioni, ai loro ordinamenti sugli apprendisti e sui garzoni e
all’impaccio delle loro prescrizioni per il lavoro. Così il movimento
storico che trasforma i produttori in operai salariati si presenta, da
un lato, come la loro liberazione dalla servitù e dalla coercizione
(repressione) corporativa; ma dall’altro lato questi neo-affrancati
diventano venditori di se stessi soltanto dopo essere stati spogliati
di tutti di tutti i loro mezzi di produzione e di tutte le garanzie per la
loro esistenza, offerte dalle antiche istituzioni feudali.
19. I capitalisti industriali, hanno dovuto per parte loro
non soltanto soppiantare i maestri artigiani delle
corporazioni, ma anche i signori feudali possessori
delle fonti di ricchezza.
Il punto di partenza dello sviluppo che genera tanto
l’operaio salariato quanto il capitalista è la servitù del
lavoratore. Da qui in poi inizio la trasformazione dello
sfruttamento feudale in sfruttamento capitalistico.
Marx dice che i primi inizi della produzione
capitalistica si incontrano sin dal XIV e XV secolo e in
alcune città del Mediterraneo, l’era capitalistica data
solo dal XVI secolo.