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INTRODUZIONE


1.DIRITTO DEL LAVORO E DIRITTO SINDACALE
Il diritto del lavoro, in senso ampio, si caratterizza e presenta una propria autonomia, come
disciplina giuridica del lavoro subordinato.Tradizionalmente si distinguono al suo interno la
disciplina del rapporto individuale di lavoro (diritto del lavoro in senso stretto), che regola diritti e
obblighi del singolo lavoratore contrapposto al singolo datore; il diritto sindacale, che riflette
vicende ed interessi collettivi o di gruppo; il diritto della previdenza sociale (o della sicurezza),che
disciplina l’erogazione di beni e servizi in favore di coloro che ne hanno bisogno.Tutte queste
discipline hanno una comune origine,quella della diffusione del lavoro subordinato in conseguenza
della Rivoluzione Industriale.Il processo espansivo del diritto sindacale è però più lento e
incompleto rispetto a quello del diritto del lavoro,e della previdenza sociale.
L’elemento fondamentale che distingue il diritto sindacale dal resto della disciplina del lavoro,è il
riferimento ad aspetti e momenti collettivi dei rapporti di lavoro,infatti gli oggetti della disciplina
sono l’organizzazione collettiva dei lavoratori e dei datori di lavoro,il contratto collettivo di
lavoro,il conflitto collettivo (sciopero,serrata).Anche i protagonisti sono collettivi: le organizzazioni
dei lavoratori e degli imprenditori nelle loro varie forme,e lo Stato con le istituzioni pubbliche,la cui
presenza è diventata sempre più rilevante.


2.ORDINAMENTO STATALE E AUTONOMIA COLLETTIVA
Il diritto sindacale si presenta come un sistema di norme di diversa matrice: a quelle di origine
statale   si   intrecciano    regole      prodotte   dalle   stesse    parti   collettive,   sindacati   ed
imprenditori,soprattutto     attraverso     la   contrattazione   ma     anche     su    base   unilaterale
(statuti,regolamenti,ecc.).Di queste regole collettive alcune disciplinano situazioni finali (diritti e
doveri tra le parti),altre regolano l’attività di produzione di altre norme,hanno quindi carattere
strumentale.
I processi di osmosi tra ordinamento sindacale e statale sono intesi in entrambe le direzioni: il primo
ha esercitato una funzione di stimolo e innovazione rispetto al diritto statale che a sua volta ha
svolto compiti di sostegno dell’autonomia collettiva e talora di correzione o integrazione delle
norme prodotte da questa.


4.LE FONTI DEL DIRITTO SINDACALE
Le fonti del diritto sindacale sono quelle proprie del diritto generale.


 4.1.LE FONTI INTERNAZIONALI
Fanno capo all’Organizzazione Internazionale del Lavoro (OIL),la cui più nota attività consiste
nell’adozione dei testi di convenzioni internazionali e di raccomandazioni in materia di lavoro.
Le convenzioni sono trattati destinati ad essere ratificati dagli stati membri,così da diventare
vincolanti nel diritto interno. L’interpretazione è affidata alla Corte Internazionale di giustizia che
ha sede all’Aja.
Le raccomandazioni non sono destinate alla ratifica ed hanno valore non normativo,ma di modello o
indirizzo rispetto alle politiche nazionali del lavoro.


4.2.LE FONTI COMUNITARIE
L’attività degli organi comunitari appare più incisiva.Infatti l’attività normativa dell’Unione
Europea si attua in due forme prevalenti,ad opera del Consiglio e della Commissione.
I regolamenti sono atti generali obbligatori,di applicazione diretta nel diritto dei paesi membri;le
direttive sono fonti giuridiche che vincolano gli stati membri ad adeguarsi nei risultati,queste
godono di un’efficacia normativa indiretta,cioè condizionata all’emanazione di un apposito atto di
recepimento interno.Le direttive hanno efficacia direttamente nei confronti dello Stato quando
hanno un contenuto chiaro,preciso ed incondizionato;su questo si pronuncia la Corte di giustizia.


4.3.LE FONTI INTERNE
Il primo richiamo va alla Costituzione,i cui articoli direttamente rilevanti in tema di diritto sindacale
sono il 39, sull’organizzazione sindacale e la contrattazione collettiva, il 40, sullo sciopero, il 46
sulla partecipazione dei lavoratori nell’impresa. All’insegna del principio della libertà di
organizzazione sindacale si è affermata l’elaborazione dottrinale e giurisprudenziale sul sindacato
come associazione non riconosciuta e sul contratto collettivo c.d. di diritto comune.
Il ruolo della legislazione nel diritto sindacale del secondo dopo-guerra è stato a lungo marginale.La
prima tappa legislativa di rilievo è costituita dalla legge 20 Maggio 1970, numero 300,lo Statuto dei
lavoratori,si tratta di una disciplina di sostegno dell’attività sindacale in azienda.
Una seconda tappa significativa l’ha segnata la legge n.146 del 1990 (vd,l.83/2000),intervenuta a
disciplinare lo sciopero nei servizi pubblici essenziali.
Una terza tappa è rappresentata dal D.Lgs. n.29 del 1993 (ora D.Lgs. n.165 del 2001,Testo Unico
del pubblico impiego).
La contrattazione collettiva riveste un ruolo centrale in ambito lavoristico,in quanto come fonte
sindacale rileva per la parte obbligatoria dei contratti collettivi.
La giurisprudenza riveste in ogni paese occidentale un’importanza decisiva nella fomazione ed
applicazione del diritto sindacale.


                                          CAPITOLO PRIMO
IL DIRITTO SINDACALE: ATTORI ED EVOLUZIONE STORICA


A)L’EVOLUZIONE STORICA DEI RAPPORTI TRA GLI ATTORI


1.GLI ATTORI DELL’ORDINAMENTO SINDACALE E I LORO RAPPORTI
In ogni ordinamento sindacale operano tre attori: le organizzazioni sindacali dei lavoratori,le
organizzazioni sindacali imprenditoriali (e gli stessi singoli imprenditori), lo Stato (e più in generale
le istituzioni pubbliche).I rapporti tra questi tre attori variano nel tempo e a seconda degli
ordinamenti.


2.LE ORIGINI: LA REPRESSIONE DEL FENOMENO SINDACALE
In Italia,come in gran parte dei paesi occidentali, i rapporti collettivi sono stati caratterizzati
all’origine da forti tensioni conflittuali e da interventi repressivi da parte dello Stato nei confronti
dell’organizzazione sindacale e a maggior ragione dello sciopero.
Quasi tutti i paesi occidentali hanno attraversato una prima fase storica in cui l’ordinamento
giuridico,generalmente il legislatore,negava ai lavoratori e agli imprenditori la possibilità di
organizzarsi collettivamente per motivi di autotutela.


3.IL PERIODO DELLA TOLLERANZA PENALE
Nella fase successiva lo Stato provvide a rimuovere i divieti penali al conflitto e all’organizzazione
sindacale,sancendo la libertà di coalizione.
Il codice Zanardelli del 1889 inaugurò un periodo di tregua che durò fino al fascismo,non puniva lo
sciopero e la serrata ma i comportamenti in contrasto con la libertà di lavoro.
All’inizio del ventesimo secolo in Europa nacquero una serie di istituzioni pubbliche competenti per
le materie di rapporti di lavoro e relazioni industriali.Al consiglio dei probiviri spettava la
competenza sia sulle controversie individuali,sia in seguito su quelle collettive;fu il primo esempio
in Italia di intervento in materia di contrattazione collettiva.


4.IL PERIODO CORPORATIVO
In Italia l’avvento del fascismo interruppe lo sviluppo delle relazioni industriali.Si creò un sistema
sindacale e contrattuale pubblicistico,completamente controllato dallo Stato.La legge 3 Aprile 1926
n.563 ammetteva formalmente la libertà sindacale,ma solo un sindacato di lavoratori e datori per
ogni categoria poteva ottenere il riconoscimento legale dal Governo con attribuzione della
personalità giurdica;era quindi tutto controllato dallo Stato.
Una volta riconosciuti i sindacati avevano ex lege la rappresentanza di tutti i componenti della
categoria,quindi i contratti collettivi da questi conclusi avevano efficacia erga omnes.Il conflitto era
represso penalmente come reato contro l’economia nazionale.


5.LA FASE TRANSITORIA (1943-1947) E LA COSTITUZIONE
Dopo la caduta del fascismo (25 Luglio 1943) uno dei primi atti del Governo Badoglio fu quello di
abrogare le corporazioni e le istituzioni tipiche della fase corporativa.
Il modello costituzionale si fonda sulla valorizzazione del lavoro come criterio ordinatore generale
dei rapporti tra Stato e società,e come fondamento di una partecipazione dei lavoratori alla vita
produttiva e sociale;questo spiega la serie di diritti riservati esclusivamente ai lavoratori subordinati.
L’articolo 39 sancisce tre principi fondamentali:
a) la libertà sindacale come fondamento delle relazioni industriali (comma 1);
b) la registrazione del sindacato come presupposto per acquisire la capacità di stipulare contratti
collettivi efficaci per tutti gli appartenenti alla categoria cui si riferiscono;
c) l’attribuzione di tale capacità contrattuale a rappresentanze unitarie dei sindacati registrati,in
proporzione dei loro iscritti.
La valorizzazione del sindacato è rafforzata dal riconoscimento dello sciopero (art.40),privilegiato
rispetto alla serrata.


6.LA CRISI DEL MODELLO COSTITUZIONALE
La crisi del modello dell’art. 39 si ha già con la rottura dell’unità sindacale (1948).Comune a tutti i
sindacati è la paura di un controllo pubblico sulla propria organizzazione e sullo sciopero,la
disciplina dell’ordinamento sindacale si sposta così nel diritto privato;il sindacato è quindi
un’associazione non riconosciuta,sottratta a disciplina legislativa.


7.LO STATUTO DEI LAVORATORI
L’impulso decisivo al superamento della prospettiva costituzionale del riconoscimento giuridico
avviene nel 1970 con lo Statuto dei lavoratori.Il campo di intervento stavolta è l’azienda,all’interno
della quale il sindacato è il centro di contropotere.La legge è limitata alla realtà industriale della
fabbrica,e non si riferisce alle piccole realtà produttive.


8.CONCERTAZIONE              SOCIALE         E    INTERVENTO           PUBBLICO.A)LO         SCAMBIO
POLITICO NELL’EMERGENZA DEGLI ANNI ‘70
Nel corso degli anni ’70 matura un profondo cambiamento nel ruolo dello stato rispetto alle
relazioni industriali,che diventa infatti elemento fondamentale delle dinamiche delle relazioni
industriali.
9.B)LE AMBIVALENZE DEGLI ANNI ‘80
La rottura del 1984 (Protocollo di San Valentino) è solo un segnale delle difficoltà di praticare in
Italia lo scambio politico.Si sviluppano tendenze liberiste,superati gli anni delle grosse crisi.


10.C)CONCERTAZIONE SOCIALE E STABILIZZAZIONE ECONOMICA NEGLI ANNI
‘90
Gli anni ’90 sono dominati,anche per i rapporti sindacali, dai problemi del risanamento e della
stabilizzazione economica,aggravati dal peso del debito pubblico ereditato dal passato,e
dall’inflazione.
Con l’accordo del 31 Luglio 1992 i sindacati accettano l’abolizione di un istituto storico come la
scala mobile,che aveva retto per tutto il dopoguerra;ma la tappa più significativa è segnata
dall’accordo del 23 LUGLIO 1993,considerato la prima costituzione delle relazioni industriali
italiane,che sancisce la partecipazione dei sindacati confederali alle decisioni macroeconomiche
dell’esecutivo,e sostituisce il meccanismo automatico della scala mobile con quello della politica
dei redditi.


B) FUNZIONI E ISTITUZIONI PUBBLICHE NEL DIRITTO SINDACALE
1.L’INTERVENTO PUBBLICO NELLE RELAZIONI INDUSTRIALI
L’intervento dello Stato e dei pubblici poteri nelle relazioni industriali ha avuto storicamente
un’importanza sempre rilevante.Attualmente vi sono varie funzioni dello Stato rilevanti per le
relazioni industriali: la funzione programmatoria e di governo; la funzione legislativa; la funzione
decisoria, che si esplica attraverso la giurisprudenza ordinaria; la funzione conciliativa e mediatoria;
le funzioni assistenziali o di welfare; le funzioni di gestione diretta dei rapporti di
lavoro.Analogamente sono molteplici gli organi di intervento: oltre a governo, parlamento,
magistratura ed enti locali, operano altri organi di rilevanza costituzionale (il CNEL),e organi del
ministero del lavoro


2.LE FUNZIONI DELLO STATO NELLE RELAZIONI INDUSTRIALI: LA FUNZIONE
MEDIATORIA E CONCILIATIVA
L’esercizio di tale funzione può limitarsi a mettere in contatto le parti,a favorire il chiarimento delle
posizioni reciproche, a esplorare punti di convergenza.Rientra nelle competenze del Ministero del
lavoro e degli organi periferici


3.LA FUNZIONE ASSISTENZIALE (O DI “WELFARE”)
Si esprime in una vasta serie di interventi legislativi,amministrativi e finanziari,relativi all’intera
gamma dei rapporti sociali e impegna una consistente fetta delle risorse nazionali.Sono da segnalare
tre tipi di intervento: quelli di previdenza, di sicurezza e assistenza sociale in senso stretto: gli aiuti
alle imprese; gli interventi di politica fiscale.


4.LA FUNZIONE DI DATORE DI LAVORO
Tale funzione è svolta direttamente nel pubblico impiego,che a causa dei risultati insoddisfacenti
del settore pubblico ha portato alla privatizzazione,sia nelle aziende pubbliche,sia nel rapporto di
impiego.


5.LA FUNZIONE PROGRAMMATORIA
La programmazione è considerata lo strumento per eccellenza di guida pubblica delle politiche
economiche e sociali: un rilievo particolare lo ha assunto l’intervento dello stato nella dinamica dei
redditi, diretto cioè a predeterminare gli aumenti dei redditi da lavoro e anche dei prezzi,soprattutto
a fini di contenimento dell’inflazione.


6.GLI ORGANI E LE ISTITUZIONI NAZIONALI
    a) Il CNEL (Consiglio nazionale dell’ economia e del lavoro),previsto dall’art.99 Cost. e
        tutelato da diverse leggi,ha compito di consulenza nei confronti delle camere e del
        governo,di iniziativa legislativa e di contributo all’elaborazione della legislazione
        economica e sociale.
    b) Il Ministero del lavoro ha avuto tradizionalmente competenza amministrativa generale in
        materia di lavoro e di sicurezza sociale.Operano diverse commissioni,composte di
        rappresentanti dei lavoratori e dei datori.Al ministero restano compiti di indirizzo,di
        controllo e vigilanza,esercitati attraverso l’Ispettorato del lavoro.
    c) Organismi a composizione tripartita.
    d) Il governo,coinvolto nelle relazioni industriali con forme diverse.


8.L’INTERNAZIONALIZZAZIONE                      DELL’ECONOMIA              E     GLI       ORGANISMI
INTERNAZIONALI
L’internazionalizzazione dell’economia riduca progressivamente il ruolo dello Stato nelle relazioni
industriali;sono state fondate quindi forme di autorità sopranazionale per regolare questi rapporti:
    a) L’Organizzazione Internazionale del Lavoro (OIL),del 1919 con sede a Ginevra, è
        l’organismo con competenze generali,soprattutto normative e di assistenza in materia di
        lavoro,svolte per migliorare le condizioni sociali e del lavoro.
    b) Il Consiglio d’Europa,del 1949, che ha elaborato la Convenzione europea dei diritti dell’
        uomo e delle libertà fondamentali.Ha elaborato anche la Carta sociale europea che sancisce
        diversi principi fondamentali in materia di lavoro: diritto al lavoro,alla retribuzione,ecc.
9.IL DIRITTO DEL LAVORO E LE ISTITUZIONI EUROPEE
    L’Europa è la prima area del mondo sviluppato che si è data organismi e progressivamente un vero
    ordinamento sopranazionale,competente anche per i rapporti di lavoro.La Commissione ha il
    compito di promuovere la consultazione delle parti sociali a livello comunitario.




                 CAPITOLO II: L’ORGANIZZAZIONE DEI LAVORATORI E DEGLI
                              IMPRENDITORI


1. Linee generali: le caratteristiche organizzative dei sindacati dei lavoratori e degli imprenditori risultano
strettamente influenzate dalle vicende storiche e dal contesto generale dei rapporti di lavoro che si realizza
in ciascun sistema. Un dato tipico della situazione italiana è lo sviluppo tardivo dell’organizzazione
sindacale, a causa del ritardo del processo di industrializzazione nel nostro paese, oltre che per la generale
fragilità del nostro sistema economico e la debolezza del mercato del lavoro; un altro carattere è la forte
politicizzazione, intesa sia come connotazione ideologica sia come connessione con gli stessi partiti politici.
Da notare che, nel caso italiano, la struttura delle organizzazioni imprenditoriali si è modellata su quella dei
sindacati dei lavoratori.


2. I modelli organizzativi: esiste una duplice linea organizzativa in ogni centrale sindacale: verticale e
orizzontale. La prima ha quale elemento di aggregazione l’appartenenza dei lavoratori, e delle imprese da
cui dipendono, allo stesso settore o categoria produttiva (es. sindacato dei tessili, dei metalmeccanici,
ecc…); la seconda, invece, comprende tutti i lavoratori e le imprese (nonché gli organismi verticali) dei vari
settori merceologici presenti in un determinato ambito geografico. Entrambe le linee organizzative non solo
coesistono e s’intersecano entro ogni sindacato, ma consistono ciascuna di varie strutture o istanze, di
diversa dimensione, dal luogo di lavoro, alla zona territoriale circoscritta fino all’ambito nazionale.
Le confederazioni rappresentano il vertice sia delle strutture orizzontali (s.o.) che di quelle verticali (s.v.); le
tre maggiori sono: la CGIL, la CISL, la UIL. Eguale importanza le strutture orizzontali hanno
nell’organizzazione degli imprenditori.


3. L’organizzazione sindacale: evoluzione storica: l’evoluzione sindacale nel secondo dopoguerra segue
fasi significative per l’intero assetto delle nostre relazioni industriali: 1)Periodo ’48-58: per oltre un
decennio le condizioni socio-politiche (tensioni sociali, politiche pubbliche di controllo e repressione
sindacale) ed economiche (forte disoccupazione) contribuiscono a mantenere il sindacato in situazione di
debolezza organizzativa e di divisione politica. 2) Anni della crescita: con il boom economico, la crescita
comporta un rafforzamento della posizione dei lavoratori sul mercato del lavoro, in particolar modo nei
settori dell’industria di massa; a ciò contribuisce il mutato quadro politico, l’atteggiamento dei pubblici
poteri, più favorevole all’organizzazione sindacale, e la modernizzazione sociale. La CGIL, la CISL e la
UIL si avvicinano; vi è più interesse ai temi dell’impresa e della contrattazione aziendale. 3) Decennio ’80:
a causa di una diffusa crisi economica a livello internazionale, che determina fenomeni di ristrutturazione e
innovazione produttiva, questa fase presenta tendenze contrastanti. 4) Decennio ’90: il decennio ’90 eredita
dal passato i fattori di crisi di rappresentatività del sindacato specie confederale, e questo rende più urgente
la modifica delle regole del gioco prevedendo criteri di rappresentatività effettivi dell’organizzazione
sindacale; il tutto è reso ancor più complesso dalla concorrenzialità tra sigle sindacali, sviluppatasi sia
all’esterno delle grandi centrali confederali, sia all’interno delle stesse.


4. L’attuale struttura organizzativa del sindacato: l’attuale struttura organizzativa risulta basata su
quattro livelli: 1)Alla base stanno le strutture presenti nei luoghi di lavoro (delegati nel settore privato,
sezioni sindacali o simili nel settore pubblico). 2) Il secondo livello è quello provinciale o comprensoriale.
Qui sono presenti le s.v., i sindacati provinciali delle varie categorie e le strutture orizzontali, variamente
denominate: Camere del Lavoro per la CGIL, Camera sindacale per la UIL, Unioni sindacali per la CISL. 3)
Il livello regionale, sia orizzontale, sia di categoria, di più recente costituzione, è provvisto di poteri
crescenti anche in corrispondenza del decentramento amministrativo e regionale. 4) In ambito nazionale
operano le strutture di vertice dell’intera organizzazione, le federazioni nazionali di categoria e la
confederazione.
La distinzione tra s.o. e s.v. si basa su una fondamentale divisione di compiti nel sindacato: alle s.o. spetta di
fissare gli indirizzi essenziali di politica sindacale, economica, contrattuale per tutta l’organizzazione, di cui
rappresentano tendenzialmente l’istanza di direzione politica e di rappresentanza nei confronti dei poteri
pubblici. Le s.v. sono competenti per la conduzione dell’attività contrattuale e delle iniziative di rilievo
settoriale.
Per quanto riguarda la tipologia degli organi delle varie strutture, essa riproduce quella usuale delle
associazioni.
Le principali fonti di finanziamento dei sindacati sono: la quota tessera, principale introito delle centrali
confederali, i contributi associativi, e la quota di servizio.
L’elemento distintivo del sindacalismo italiano è la sua organizzazione su basi pluralistiche, vale a dire in
organizzazioni distinte a seconda di concezioni culturali, ideologiche e ascendenze politiche.
CGIL = componenti/ispirazioni legate ai partiti della sinistra italiana (socialista e comunista)
CISL = ispirazione cattolica e a lungo collaterale alla DC, anche lavoratori di aree diverse
UIL = componenti socialiste, repubblicane e socialdemocratiche
Il luglio 1972 vede la nascita della federazione CGIL-CISL-UIL attraverso un Patto federativo, momento
culminante di avvio all’unità organica, da sempre un traguardo di difficile raggiungimento a causa delle
divisioni sul ruolo del sindacato e sui rapporti con i partiti politici; nonostante questo, i contrasti degli anni
’80, culminanti nella rottura dell’84 fra CGIL, CISL e UIL sull’accordo antinflazione, hanno portato allo
scioglimento della federazione.


5. L’organizzazione dei lavoratori nei luoghi di lavoro: sviluppo storico: l’espressione degli interessi
collettivi dei lavoratori in azienda è stata, dalle origini fino agli anni ’60, affidata ad una rappresentanza, la
commissione interna (CI), strutturalmente diversa dal sindacato, in quanto costituita non su base associativa
come questo, ma elettivamente da tutti i lavoratori dell’azienda; la CI è una forma rappresentativa unitaria e
necessaria: compito generale di questo organismo era di “mantenere normali rapporti tra i lavoratori e la
direzione dell’azienda per il regolare svolgimento dell’attività produttiva, in uno spirito di collaborazione”.
In risposta all’esigenza di avere una diretta presenza organizzata in azienda, senza il tramite delle CI,
arrivano le sezioni sindacali aziendali; tuttavia queste non riuscirono a diffondersi al di fuori di poche
aziende industriali, anche perché non erano riconosciute come strutture con pieni poteri sindacali. Vi sono
poi i delegati di fabbrica, i cui caratteri principali sono di essere eletti in modo unitario da un gruppo
ristretto di lavoratori collocato nella stessa condizione produttiva; l’insieme dei delegati forma il Consiglio
di fabbrica (CdF).


6. L’attuale organizzazione dei lavoratori nei luoghi di lavoro: il Protocollo del luglio 1993 definisce i
compiti e le modalità costitutive delle nuove strutture di base, le c.d. Rappresentanze sindacali unitarie
(RSU). Le RSU hanno competenze generali di tutela collettiva dei lavoratori in azienda, compresa la
titolarità contrattuale, nei limiti delle competenze attribuite dal contratto collettivo nazionale a quello
decentrato. Le RSU sono composte da delegati in numero proporzionale ai voti ricevuti da ciascuna lista;
tuttavia, le organizzazioni stipulanti il contratto nazionale si assicurano la designazione di un terzo dei
delegati, in modo da garantirsi il controllo della struttura. La RSU è organo dell’insieme dei lavoratori e
funge al tempo stesso da struttura comune di rappresentanza dei sindacati in azienda; resta tuttavia
confermata la tradizione del c.d. “canale unico” sindacale di rappresentanza, per cui gli organismi
rappresentativi sono controllati dal sindacato ed hanno la totalità delle competenze di autotutela collettiva in
azienda, a differenza della maggioranza dei paesi europei che predilige il canale “doppio” o “plurimo” di
rappresentanza, ove si distingue fra rappresentanze sindacali in senso stretto e organismi eletti da tutti i
lavoratori.


7. L’organizzazione degli imprenditori in generale: l’organizzazione degli imprenditori è un fenomeno
storicamente indotto, o di risposta, rispetto al sindacato dei lavoratori e ne riproduce i tratti organizzativi
generali: doppia linea organizzativa, prevalenza delle strutture orizzontali, tradizionale accentramento.
CONFINDUSTRIA = organizzazione imprenditori industriali
CONFCOMMERCIO = organizzazione imprenditori del commercio
CONFAGRICOLTURA = organizzazione imprenditori dell’agricoltura
Organizzazioni delle imprese a partecipazione statale = Intersind (imprese del gruppo IRI) – Asap (imprese
del gruppo ENI).
L’Aran (Agenzia per la rappresentanza negoziale) ha due scopi: a) sostituire le varie delegazioni di parte
pubblica, politicizzate e precarie, con un’unica controparte, tecnica e stabile; b) contribuire a dare piena
efficacia alla contrattazione collettiva ormai di diritto comune.


8. La Confindustria: la Confindustria è l’organizzazione imprenditoriale più consistente: le imprese
associate operano nell’industria e nel c.d. terziario avanzato (trasporti, comunicazioni, turismo). Più della
metà delle imprese rappresentate impiegano meno di 10 dipendenti. Le strutture portanti (orizzontali) sono
le associazioni territoriali (più o meno una provincia); a queste fanno capo tutte le imprese della provincia,
che spesso non aderiscono alla loro organizzazione (verticale) di categoria. La principale attività svolta dalle
associazioni territoriali è l’assistenza fornita alle aziende in materia di contrattazione, applicazione dei
contratti e delle leggi sul lavoro e composizione delle controversie relative. Le federazioni di categoria (di
cui la Federmeccanica è la più importante) svolgono un ruolo significativo nella preparazione e conduzione
delle tornate contrattuali nazionali, nonché nell’indirizzo della contrattazione decentrata. La struttura
organizzativa della Confindustria (assemblea, giunta, consiglio direttivo e presidente) la rende simile ad una
associazione; sono previsti tre comitati particolari, con funzioni consultive (comitato per le piccole imprese;
comitato per il mezzogiorno; comitato dei giovani industriali). Decisivo è il ruolo della presidenza.


9. Organizzazioni sindacali a livello internazionale e comunitario: la CISL (Confederazione
Internazionale dei Sindacati Liberi) è l’organizzazione sindacale internazionale più rappresentativa dei
lavoratori. A livello verticale si sono sviluppate federazioni internazionali di categoria, con compiti di
coordinamento dell’azione sindacale. La CES (Confederazione Europea dei Sindacati) rappresenta oltre
trenta organizzazioni. Non esistono centrali internazionale degli imprenditori paragonabili a quelle dei
lavoratori: gli imprenditori sono rappresentati all’OIL. L’UNICE (Unione delle Industrie della Comunità
europea) raggruppa le organizzazioni padronali dei paesi membri per settori di attività.




                                  CAPITOLO III: LA LIBERTÀ SINDACALE


1. Norme nazionali ed internazionali: nel nostro ordinamento il riconoscimento della libertà sindacale si
incentra sul sintetico disposto dell’art. 39 Cost, 1° comma (“l’organizzazione sindacale è libera”); a questo
si aggiungono diverse fonti internazionali, tra cui le Convenzioni dell’Organizzazione Internazionale del
Lavoro, n° 87 (libertà sindacale e protezione dei fenomeni sindacali in genere) e n° 98 (principio del diritto
di organizzazione e di negoziazione collettiva nei rapporti interprivati e nei confronti dei datori di lavoro);
inoltre la libertà di associazione e di attività sindacale trova spazio nella Convenzione europea per la
salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali del 1950 e nella Carta sociale europea del
1961.
Di fondamentale importanza sono pure le disposizioni dettate dallo Statuto dei lavoratori in materia
sindacale; in modo particolare il titolo II della legge 300 costituisce una concreta articolazione del principio
costituzionale con riguardo all’ambito endoaziendale [diritto di associazione e di attività sindacale nei
luoghi di lavoro (art. 14), divieto di trattamenti discriminatori in ragione di affiliazione o attività sindacale
(artt. 15 e 16), ecc…].
La libertà garantita a livello costituzionale all’organizzazione sindacale va oltre quella sancita in linea
generale per il fenomeno associativo di cui all’art. 18 Cost. (infatti l’art 39 non considera il sindacato quale
“associazione”, bensì quale “organizzazione”, allargando quindi la sfera d’azione anche a forme
organizzatorie non necessariamente a carattere associativo, come ad esempio le CI e i CdF).


2. I contenuti dell’art. 39, 1° comma, Cost.: il profilo individuale e quello collettivo: l’art. 39, 1° comma
, Cost. garantisce la libertà sindacale tanto ai singoli individui che ai gruppi organizzati.
Profilo individuale: distinzione tra libertà sindacale positiva e libertà sindacale negativa; la prima consiste
nella libertà per il singolo di costituire un sindacato, di aderirvi, di fare opera di proselitismo, di raccogliere
contributi sindacali, di riunirsi in assemblea (Convenzione OIL n° 87 e art. 14 legge 300 1970 per garantirne
l’attuazione nei luoghi di lavoro; a questo si lega l’art. 15 che decreta la nullità dei (p)atti discriminatori
rivolti a colpire un lavoratore in ragione della sua adesione ad un’associazione sindacale). Alla lettera a
dell’art. 15 è rinvenibile l’unico riferimento presente nella legislazione italiana alla libertà sindacale
negativa, ossia la libertà del lavoratore di non aderire o di recedere dal sindacato; questo tipo di libertà non
trova invece spazio nelle fonti internazionali, a causa dell’esistenza, specie su suolo anglosassone, di
pratiche restrittive di tale libertà negativa (v. closed shop).
Profilo collettivo: A) libertà di organizzazione del sindacato garantita sia a livello nazionale che
internazionale, con conseguente libertà di scelta delle forme organizzative e delle regole che disciplinano
l’assetto interno, oltre alla libertà di definire gli obiettivi e gli strumenti dell’attività sindacale, senza alcuna
interferenza esterna; allo stesso modo è garantita la facoltà del sindacato di aderire ad organizzazioni
complesse, sia a livello nazionale che internazionale; B) Libertà di privilegiare, all’interno
dell’organizzazione sindacale, il ruolo e i poteri del vertice o della base, secondo le contingenti valutazioni
di strategia e di opportunità; C) possibilità di valorizzare il ruolo di rappresentanza degli associati o piuttosto
di rappresentanza dell’intera classe dei lavoratori; D) possibilità di privilegiare il confronto o con la
controparte datoriale o con le pubbliche istituzioni, valorizzando all’interno del confronto un modello
conflittuale o invece un modello cooperativo; E) libertà di azione sindacale e, in particolare, dell’azione
contrattuale, come affermato nelle fonti internazionali (Convenzione OIL n° 98).
La libertà sindacale, oltre che come libertà di organizzazione e di azione specie contrattuale, va intesa anche
come libertà di lotta.
3. Il carattere “sindacale” dell’organizzazione protetta: è opportuno ora considerare quali organizzazioni
e attività rientrino nella fattispecie “sindacale” prevista dal 1° comma dell’art. 39, e possano quindi godere
di tutte le garanzie connesse a tale norma, dalla quale può solo desumersi un rinvio alla realtà sociale;
un’attenta analisi del fenomeno sindacale mette in luce, innanzitutto, il c.d. profilo teleologico (o oggettivo),
vale a dire il fine perseguito dalla fattispecie sindacale, che può essere individuato nella funzione di
“autotutela di interessi connessi a relazioni giuridiche in cui sia dedotta l’attività di lavoro”: sotto questo
aspetto la convergenza tra fenomeno sindacale e momento politico-partitico è più che netta, visto e
considerato che entrambe le realtà insistono sugli stessi temi (gli interessi dei lavoratori); ed è qui che
interviene un valido criterio discriminante, ossia le attività e gli strumenti impiegati dal fenomeno sindacale
per il raggiungimento dell’obbiettivo preposto (profilo strumentale = organizzazione, contrattazione,
sciopero). Per quanto riguarda il profilo soggettivo, basta dire che il concetto di “autotutela” implica pur
sempre una gestione degli interessi collettivi posta in essere dagli stessi lavoratori o da espressioni
immediate di loro rappresentanza.


4. La titolarità della libertà sindacale: questione della titolarità della libertà sindacale da parte degli
imprenditori, in merito al fatto se tale attività debba ritenersi riconducibile, come quella dei lavoratori, alla
tutela costituzionale dell’art. 39, 1° comma, o piuttosto se rimanga nell’ambito della libertà di associazione e
di iniziativa economica (artt. 18 e 41 Cost.), con i limiti del caso. È opportuno considerare anzitutto le
diversità tra l’attività sindacale dei lavoratori e degli imprenditori: 1) Sul versante dei lavoratori, l’attività
sindacale è un fenomeno “collettivo”, mentre il datore di lavoro è soggetto sindacale anche come singolo.
2) Il contratto collettivo è inderogabile in peius dai singoli lavoratori, a conferma di una peculiare solidarietà
di classe; è invece derogabile dal singolo datore di lavoro, a conferma di una maggiore autonomia del
singolo rispetto al collettivo.
Libertà sindacale dei lavoratori parasubordinati e autonomi: i primi trovano spiegazione nel processo
espansivo del diritto del lavoro proteso ad estendere le proprie garanzie in direzione di ogni ipotesi di
dipendenza sociale ed economica; per i secondi (i lavoratori autonomi), le istanze di tutela “sindacale” dei
gruppi professionali, prima confluite all’interno degli organismi professionali, hanno successivamente
indotto lo sviluppo collaterale di forme associative di natura privatistici con struttura e finalità
peculiarmente sindacali.
Libertà sindacale dei pubblici dipendenti: il riconoscimento della libertà sindacale ai pubblici dipendenti
non è mai stato messo in discussione, visto che alla incondizionata portata precettiva della norma
costituzionale ha subito fatto riscontro nella pratica il diffuso ingresso del sindacalismo nelle
amministrazioni pubbliche; a completare l’opera è intervenuto il D. Lgs. n° 29/1993 che, nel privatizzare il
rapporto di pubblico impiego, ha sancito la piena tutela della libertà e dell’attività sindacale nel settore
pubblico.
5. La multidirezionalità della tutela dell’art. 39, 1° comma, Cost.: il riconoscimento costituzionale della
libertà sindacale esplica i suoi effetti sia sul piano del diritto pubblico – garantendo l’immunità
dell’organizzazione sindacale nei confronti dello Stato e dei pubblici poteri – sia su quello dei rapporti
privati e soprattutto nei confronti del datore di lavoro. Per quanto riguarda i pubblici poteri, ad essi è quindi
preclusa ogni possibilità di controllo o ingerenza nella sfera organizzativa e nella identità politico-ideologica
dei sindacati; è altresì vietato ogni condizionamento autoritativo, che possa irreggimentare il sindacato e la
sua azione secondo le linee della politica governativa. Il problema della garanzia nei confronti di interventi
dei pubblici poteri si presenta riguardo alla libertà di contrattazione collettiva, ossia riguardo alla possibilità
che iniziative di carattere legislativo o amministrativo modifichino o pongano limiti inderogabili agli
accordi intervenuti tra le parti collettive.
Oltre che nei confronti dei pubblici poteri, la libertà sindacale viene riconosciuta nei confronti dei datori di
lavoro, i quali, in quanto detentori del potere economico e alcune prerogative in tema di organizzazione e
controllo del lavoro, sono in grado di condizionare la presenza e le iniziative del sindacato, specie nel luogo
di lavoro; sotto questo profilo, le manifestazioni della libertà sindacale incontrano un limite nelle esigenze
organizzative dell’impresa: dunque, le istanze dell’imprenditore, antagonistiche rispetto a quelle sindacali,
vengono salvaguardate, nel senso che queste non sono subordinate di diritto all’esercizio delle libertà
sindacali. Non è quindi possibile parlare di lesione dei diritti sindacali da parte dell’imprenditore quando
questi abbia agito nel rispetto di obiettive e razionali esigenze organizzative.




    CAPITOLO IV: I SINDACATI E LE ORGANIZZAZIONI IMPRENDITORIALI COME
                                    ASSOCIAZIONI NON RICONOSCIUTE


1. Fattispecie sindacale e associazione: la mancata attuazione dell’art. 39, 2ª parte, Cost. ha avuto due
conseguenze sulla disciplina delle organizzazioni sindacali sia dei lavoratori che dei datori di lavoro: a) una
accentuazione del loro carattere privatistici; b) la loro appartenenza al genere “associazioni non
riconosciute”.
Pur essendo proprio del sindacato, il carattere associativo non è necessario della fattispecie sindacale, il cui
unico elemento qualificante è l’esercizio in forma organizzata di autotutela collettiva, attività questa che può
essere svolta da coalizioni o gruppi occasionali, privi dei caratteri di stabilità e della strumentazione propri
dell’associazione, oppure da organismi elettivi.


2. La disciplina codicistica delle associazioni: in quanto associazioni non riconosciute, sindacati e
organizzazioni imprenditoriali sono assoggettati alla disciplina degli artt. 36, 37 e 38 del codice civile. Il
principio base è sancito dal 1° comma dell’art. 36, secondo cui l’ordinamento interno e l’amministrazione
delle associazioni non riconosciute sono regolati dagli accordi tra gli associati, ossia dalle regole interne
dell’associazione, statuti e regolamenti che si ritengono riconducibili al consenso dei soci; le altre norme,
invece, riguardano gli aspetti patrimoniali. Per quanto riguarda la questione del carattere di associazione non
riconosciuta, si è giunti alla conclusione che, anche in assenza di questa, è possibile godere di soggettività
giuridica, come capacità sia pur limitata e relativa di essere centro di imputazione di rapporti giuridici
(l’unica differenza di spicco tra un’associazione riconosciuta ed una non riconosciuta è ravvisabile nella c.d.
autonomia patrimoniale perfetta, propria solo della prima).
L’art. 28 dello Statuto dei lavoratori riconosce al sindacato la legittimità ad agire in giudizio per la difesa dei
propri interessi.


3. Rapporti interni e democrazia sindacale: l’assenza di una disciplina tipica dell’associazione sindacale
ha un rilievo particolare in ordine ai rapporti interni del sindacato. Scarso rilievo giuridico dei problemi
della tutela dei soci verso l’organizzazione. Il principio della democraticità interna del sindacato richiesto
dall’art. 39 Cost., come condizione per la registrazione, deve ritenersi vigente anche per i sindacati di fatto,
come condizione di qualificazione in quanto tali; in assenza di questo requisito, l’organizzazione non
beneficerebbe della disciplina (in termini di diritti e poteri) riservata dall’ordinamento al sindacato. Tra le
regole democratiche accettate dal sindacalismo, di fondamentale importanza sono: il carattere elettivo delle
cariche sociali, il principio di maggioranza, la necessità che le decisioni generali per la vita
dell’associazione siano di competenza di un organo assembleare, comprendente tutti i soci.


4. La giustizia interna dei sindacati: debole effettività e scarsa affidabilità degli organi giudicanti, la cui
autonomia rispetto agli organi giudicanti, e agli organi c.d. politici del sindacato non è assicurata dalle
scarne norme statutarie sull’incompatibilità. L’orientamento della giurisprudenza è rigorosamente
astensionistico. Altrettanto incerta è pure l’operatività all’interno delle associazioni di alcuni diritti e
garanzie costituzionali.


5. Controversie interne, ammissione al sindacato, rapporti tra associazioni di diverso livello: i rapporti
tra organismi sindacali di diverso livello rilevano sia per la qualificazione della struttura associativa come
tale, sia rispetto all’attività esterna del sindacato, per risolvere il delicato problema dei rapporti tra contratti
collettivi di diversa ampiezza. Sotto il primo profilo si sono avanzate due tesi: una che configura il sindacato
come associazione complessa in senso proprio, ossia come associazione di associazioni (inferiori), l’altra
che ritiene preferibile la configurazione come insieme di associazioni parallele, a cui il singolo socio
appartiene contemporaneamente.


                                            CAPITOLO QUINTO
                                LA RAPPRESENTATIVITA’ SINDACALE
1.IL   SOSTEGNO          DEL      SINDACATO          RAPPRESENTAVIVO:             IL    SIGNIFICATO
POLITICO,          GLI    AMBITI         OGGETTIVI,           LA    NOZIONE        DI     SINDACATO
RAPPRESENTATIVO
La politica di promozione del sindacato contiene in sé la necessità di una delimitazione selettiva dei
soggetti collettivi protetti,necessità questa che è stata a lungo soddisfatta dal richiamo alla figura del
“sindacato maggiormente rappresentativo”,quale unico destinatario del sostegno legislativo e
politico,in quanto capace di influenzare e governare vasti strati di lavoratori.”Maggiormente
rappresentativo” è quel sindacato che presenta in modo sicuro la capacità di esprimere
adeguatamente l’interesse del sottostante gruppo professionale,rispetto ad un ampia massa di
lavoratori.
Nel momento di massima ascesa del versante politico-legislativo,il s.m.r. comincia un lento ma
irreversibile declino,per la sua incapacità di esprimere adeguatamente l’universo sempre più ampio
e complesso degli interessi di lavoro.
Già il Protocollo del 1993 supera il criterio dell’art.19 st.lav. ,che vede però un notevole
cambiamento con il referendum del giugno 1995,con l’abrogazione parziale relativa al settore
privato,e con quella completa nel settore pubblico.Solo per la Corte Costituzionale non scompare
del tutto dal nostro ordinamento la maggiore rappresentatività,che conserva infatti rilevanza a fini
extra-aziendali.


2.IL   SINDACATO          RAPPRESENTATIVO                NEL       VECCHIO     ART.19,LETT.a):        LA
MAGGIORE RAPPRESENTATIVITA’ PRESUNTA E I SUOI INDICI DI RILEVAZIONE
L’ elevato numero di iscritti non poteva bastare per conferire una patente di “maggiore
rappresentatività”,senza la chiamata in causa di altri requisiti,che dottrina e giurisprudenza hanno
osì individuato:
    1) l’equilibrata presenza in un ampio arco di categorie professionali,non potendosi considerare
        m.r. una confederazione concentrata solo in alcuni settori o in una sola categoria;
    2) la diffusione su tutto il territorio nazionale;
    3) l’esercizio continuativo dell’azione di autotutela con riguardo a diversi livelli e a diversi
        interlocutori;
    4) la reale capacità di influenza sull’assetto economico e sociale del Paese.
In concreto,la giurisprudenza ha ritenuto maggiormente rappresentative le tre confederazioni
CGIL,CISL e UIL.
La lettera a) dell’art.19 St. lav. è stata quindi abrogata.
3.IL    SINDACATO          RAPPRESENTATIVO               NELL’ART.19          ST.LAV.      DOPO        IL
REFERENDUM: LA RAPPRESENTATIVITA’ “EFFETTIVA” E I DIRITTI SINDACALI
Dopo l’abrogazione della lettera a) la norma predilige il collegamento esclusivo delle r.s.a. con
associazioni sindacali firmatarie di contratti collettivi applicati nell’unità produttiva,ne emerge
quindi una rappresentatività originaria,empiricamente verificabile;ne usciranno favorite le
confederazioni storiche,poiché sono essenzialmente i grandi sindacati a stipulare contratti collettivi
applicati nelle unità produttive.


4.PROFILI DI LEGITTIMITA’ COSTITUZIONALE DELL’ART. 19 ST.LAV.
La Corte Costituzionale ha superato tutti i dubbi sull’incostituzionalità dell’art.19 con tre sentenze:
una del ’74,una del ’88 e una del ’90.
Nella sentenza n.54 del 1974,la Corte ha rilevato che l’art.19 e il titolo III St.lav. non interferiscono
con la libertà sindacale,ma aggiungono alle prerogative di libertà ulteriori privilegi e benefici.
Nella sentenza n.334 del 1988 i giudici hanno risolto i dubbi sulla rappresentatività a livello
confederale,confermando la legittimità della disposizione statutaria,e la non lesione del principio di
libertà sindacale.
In seguito alla formulazione da parte della Corte di altre sentenze in materia,nasce l’esigenza di
un’interpretazione rigorosa dell’art.19,tale da farlo coincidere con la capacità del sindacato di
imporsi al datore di lavoro,direttamente o attraverso la sua associazione,come controparte
contrattuale. Occorrerà quindi accertare la partecipazione attiva del sindacato al processo di
formazione del contratto collettivo che regoli in modo organico i rapporti di lavoro,almeno per un
settore o un istituto importante.


5.IL SINDACATO RAPPRESENTATIVO NELLA PIU’ RECENTE LEGISLAZIONE c.d.
DI RINVIO: LA RAPPRESENTATIVITA’ “COMPARATA”
Nella legislazione recente,la nozione di s.m.r. lascia il posto sovente ad una diversa formula,quella
di sindacato comparativamente più rappresentativo.La rappresentatività comparata tenta di
sopperire alla scarsa selettività della maggiore rappresentatività sindacale,ereditandone però le
stesse finalità.


6.LA RAPPRESENTATIVITA’ DEL SETTORE PUBBLICO
Il legislatore adotta una nozione di rappresentatività la cui unità di misura è la media tra dato
associativo e dato elettorale,che rappresentano gli indici quantitativi per eccellenza: testimonianza
della capacità di aggregare iscritti l’uno,e dell’idoneità a raccogliere consensi oltre alla cerchia degli
associati l’altro.
La rappresentatività appare quindi declinata sotto tre accezioni: sufficiente,comparata e
complessiva.


7.IL SINDACATO RAPPRESENTATIVO E LE PUBBLICHE ISTITUZIONI
Il sindacato magg. o comp. più rappresentativo appare presente anche in una serie di istituzioni o
sedi pubbliche,dove non interviene in rappresentanza del personale occupato.Bisogna distinguere a
riguardo:
   a) la presenza di organi di carattere prevalentemente consultivo o di collaborazione rispetto
       all’esercizio dei poteri tipici dello Stato;
   b) la partecipazione di tipo cogestivo in organi direttivi di enti pubblici destinati a svolgere
       attività in favore dei lavoratori;
   c) la partecipazione alle politiche di formazione professionale,mediante la costituzione di
       organismi paritetici bilaterali;
   d) la partecipazione informale del sindacato all’indirizzo politico generale nei due aspetti
       dell’attività legislativ e della politica economica e programmatoria.


8.IL SINDACATO RAPPRESENTATIVO E LA CONTRATTAZIONE
Il nostro ordinamento non riconosce al sindacato rappresentativo una posizione privilegiata in sede
di contrattazione collettiva nel settore privato.Va però chiarito che:
   a) le tre maggiori confederazioni CGIL,CISL,UIL, si trovano investite di un monopolio di
       fatto,delle trattive con le forze governative sui grandi temi che investono l’economia del
       paese,come gli Accordi Interconfederali;
   b) alcune leggi conferiscono al sindacato rappresentativo il potere di derogare, in via
       contrattuale,ad alcune norme di legge,rimettendo alla valutazione di quest’ultimo
       l’opportunità o meno di mantenere certi vincoli garantistici di tutela del singolo dipendente;
   c) nel settore pubblico il legislatore ha riconfermato il sindacato rappresentativo nel ruolo di
       interlocutore contrattuale esclusivo della p.a.


9.LA CRISI DELLA RAPPRESENTATIVITA’ SINDACALE E LE PROPOSTE DI
RIFORMA
Dalla metà degli anni ’80 il sindacalismo confederale registra una grave crisi di
rappresentatività.Tra le prime cause,che sono molteplici,vanno annoverate la rivoluzione
tecnologica,la terziarizzazione crescente dell’economia,l’accesa competitività nazionale.


                              CAPITOLO VI: I DIRITTI SINDACALI
1. Ratio storico-politica dei diritti sindacali nell’impresa: il titolo II dello Statuto dei lavoratori ribadisce
la poliedrica operatività del principio di libertà sindacale nei luoghi di lavoro, in polemica con concezioni
volte a negare cittadinanza alle libertà costituzionalmente garantite nei rapporti interprivati e segnatamente
nelle unità produttive; ovviamente la libertà di organizzazione sindacale non si esaurisce nel riconoscimento
del momento associativo, ma si espande fino a consentire l’attivazione di ulteriori situazioni strumentali in
grado di dinamicizzare l’azione sindacale.


2. Associazione e attività sindacale in azienda (art. 14): l’art. 14, che apre il titolo II della L. n°
300/1970, sancisce il diritto per tutti il lavoratori di costituire associazioni sindacali, di aderirvi e di svolgere
attività sindacale nei luoghi di lavoro; questo articolo, insieme alla disciplina relativa agli atti e ai
trattamenti economici collettivi discriminatori (artt. 15 e 16) e alla norma che pone il divieto di costituzione
di sindacati di comodo (art. 17), costituisce la concretizzazione a livello aziendale del principio di libertà di
organizzazione sindacale (art 39, 1° comma, Cost.). Comunque i diritti sindacali del tit. III rappresentano
un’aggiunta alla libertà sindacale in azienda: infatti l’art. 14 garantisce pure il diritto di costituire e far
operare in azienda, sia pur senza le garanzie previste dal titolo III, organizzazioni sindacali al di fuori
dell’art. 19, con esclusione, naturalmente, dei sindacati di comodo (v. § 4); inoltre l’art. 14 tutela lo stesso
pluralismo sindacale, garantisce protezione legislativa a forme di dissenso anche in momenti di
organizzazione collettiva spontanea di carattere transitorio (comitati di sciopero, di lotta), nel rispetto però
dei limiti posti dall’art. 18 (liceità dei fini, non segretezza).


3. Il principio di non discriminazione (artt. 15 e 16): l’art. 15 Stat. lav. costituisce la prima ampia
consacrazione legislativa del principio di non discriminazione nel rapporto di lavoro: esso si riferisce alle
discriminazioni per motivi sindacali, insieme a quelle per motivi politici e religiosi, e per ragioni di sesso,
razza e lingua; è opportuno comunque sottolineare la distinzione tra il principio di eguaglianza e il principio
di non discriminazione, poiché mentre il primo mira a realizzare una parificazione generale dei trattamenti
tra i soggetti appartenenti ad un gruppo, il secondo mira a reprimere ipotesi di disparità legate a specifici
motivi vietati. La fattispecie oggetto del divieto di discriminazione nell’art. 15 comprende atti diretti a: a)
subordinare l’occupazione di un lavoratore alla condizione che aderisca o non aderisca ad una associazione
sindacale ovvero cessi di farne parte; b) licenziare un lavoratore, discriminarlo nell’assegnazione di
qualifiche o mansioni, nei trasferimenti, nei provvedimenti disciplinari per le ragioni indicate, nonché ogni
altro atto o patto in grado di recare altrimenti pregiudizio al lavoratore per gli stessi motivi; sono esclusi solo
i meri comportamenti materiali e le semplici manifestazioni di intenzioni, oltretutto per lo più non idonee a
ledere gli interessi protetti.
L’art. 16 vieta la concessione da parte del datore di trattamenti economici collettivi a carattere
discriminatorio, ossia quei trattamenti più favorevoli corrisposti a gruppi di lavoratori in ragione del loro
comportamento sindacale (sono dunque vietati i “premi” corrisposti a lavoratori che non abbiano scioperato
o la maggiore retribuzione a coloro che non abbiano partecipato ad un’assemblea).
Nel divieto degli artt. 15 e 16 vanno ricompresi anche gli atti c.d. omissivi del datore di lavoro (es. rifiuto di
assumere, di promuovere, di concedere trattamenti economici).


4. Sindacati di comodo (art. 17): l’art 17 vieta a tutti i datori di lavoro, imprenditori e non (anche gli enti
pubblici) nonché alle loro associazioni (sindacali e di altro genere) “di costituire o sostenere, con mezzi
finanziari o altrimenti, associazioni sindacali di lavoratori”. Sono sindacati di comodo quelle
organizzazioni, promosse o sostenute dai datori di lavoro, per avere un interlocutore all’apparenza
antagonistico, ma in realtà addomesticato, con conseguente alterazione della dinamica sindacale. Per quanto
riguarda la sanzionabilità del comportamento antisindacale, è scontato il ricorso all’art. 28, ma è altresì
dubbio se il giudice possa spingersi sino ad una radicale eliminazione del gruppo costituitosi in violazione
dell’art. 17; la tesi contraria si fonda sul riconoscimento che il gruppo sindacalmente non genuino gode pur
sempre della tutela dell’art. 18 Cost., in quanto manifestazione di una più generale libertà di associazione.


5. Rappresentanze sindacali nei luoghi di lavoro (art. 19 St. lav; Protocollo 23 luglio 1993; Accordo
Interconfederale 20 dicembre 1993; D.Lgs. n° 626/1994).


5.1 Le RSA: il tit. III dello Statuto dei lavoratori presenta il riconoscimento alle organizzazioni con taluni
requisiti di rappresentatività di una serie di “diritti sindacali” ulteriori rispetto a quelli spettanti in via
generale ad individui e organizzazioni sindacali. L’art. 19 disciplina il soggetto sindacale beneficiario di tali
diritti – la RSA – che viene dotato di una legittimazione rafforzata ad operare nei luoghi di lavoro e cui
viene conferita una serie di poteri e diritti regolati prevalentemente nel tit. III dello Statuto.
Art. 19 pre-referendum abrogativo: diritto di costituire RSA “nell’ambito”: a) delle associazioni aderenti
alle confederazioni maggiormente rappresentative sul piano nazionale; b) delle associazioni sindacali, non
affiliate alle predette confederazioni, che siano firmatarie di contratti collettivi nazionali o provinciali di
lavoro applicati nell’unità produttiva.
Art. 19 post-referendum abrogativo (1995): “Rappresentanze sindacali aziendali possono essere costituite ad
iniziativa dei lavoratori in ogni unità produttiva, nell’ambito delle associazioni sindacali che siano firmatarie
di contratti collettivi di lavoro applicati all’unità produttiva”.
Questione dell’ iniziativa dei lavoratori e della costituzione “nell’ambito di”: per quanto riguarda la prima,
è importante notare che l’iniziativa costitutiva spetta ai lavoratori in quanto tali e non ai soli iscritti; in
merito alla seconda condizione, invece, essa delinea l’esigenza di un minimum di istituzionalizzazione delle
nuove realtà organizzative aziendali, esigenza connessa a due ordini di considerazioni: innanzitutto,
l’opportunità di evitare abusi da parte di organismi in ipotesi costituiti allo scopo esclusivo o prevalente di
usufruire di tutti i vantaggi statutari. In secondo luogo, l’esigenza di promuovere interlocutori stabili con i
quali il datore di lavoro possa proficuamente, e sia pur conflittualmente, dialogare:
Per poter godere dei benefici dello Statuto, la RSA deve venire innanzitutto:
A)“Costituita nell’ambito di una associazione sindacale”: esigenza di vincolare l’organismo aziendale ad
entità sindacali esterne all’azienda dalla struttura rigorosamente associativa.
B) Tale associazione sindacale deve essere “firmataria di contratti collettivi”; criterio di rappresentatività
tecnica ed effettiva; secondo la Corte Cost. deve trattarsi di un contratto normativo che “regoli in modo
organico i rapporti di lavoro, anche in via integrativa, a livello aziendale, di un contratto nazionale o
provinciale già applicato nell’unità produttiva”.
C) Questi contratti collettivi devono essere “applicati nell’unità produttiva” di riferimento.


5.2 Le RSU: diversamente dalle RSA dell’art. 19 St. lav., le RSU si configurano quali strutture organizzate
su base unitaria, elette dalla collettività aziendale. La loro costituzione è demandata infatti ad elezioni cui
partecipano tutti i lavoratori (iscritti e non iscritti), con ammissione alla competizione anche di liste
presentate da associazioni non rappresentative ex art. 19 St. lav., purché formalmente costituite con proprio
statuto, nonché aderenti all’AI (Accordo Interconfederale) e forti della firma di almeno il 5% dei lavoratori
dell’unità produttiva aventi diritto al voto. Le RSU sono costituite solo per 2/3 dei seggi da membri eletti a
suffragio universale ed a scrutinio segreto tra liste concorrenti. Il restante terzo viene assegnato alle liste
presentate dalle associazioni sindacali stipulanti il contratto collettivo nazionale di lavoro applicato
nell’unità produttiva, in proporzione ai voti ottenuti.
Il carattere unitario e almeno in parte elettivo della RSU rafforza il legame della medesima con la base dei
lavoratori: essa è organo dell’insieme dei lavoratori, e funge al tempo stesso da struttura comune di
rappresentanza e di sindacati nell’azienda, sostitutiva della RSA. La RSU è legittimata a negoziare per la
stipula del contratto collettivo aziendale di lavoro; essa subentra a tutte le funzioni ed i poteri conferiti alle
RSA per effetto delle disposizioni di legge, incluse quelle in tema di informazione e consultazione
sindacale.


5.3 Le rappresentanze dei lavoratori per la sicurezza: l’art. 9 St. lav. aveva per la prima volta attribuito a
tutti i dipendenti, in quanto parte della comunità di rischio, un generale diritto di promozione e controllo in
tema di salute e sicurezza. La svolta si è avuta con l’istituzione, obbligatoria e generalizzata, nei settori
privato e pubblico, del rappresentante dei lavoratori: si è stabilito che nelle aziende o unità produttive con
più di 15 dipendenti, esso (il rappresentante) venga eletto o designato dai lavoratori tra i componenti le
rappresentanze sindacali. Tra le prerogative e tutele di cui gode il rappresentante per la sicurezza vanno
annoverate il diritto di informazione e consultazione preventiva sui temi dell’insicurezza, nonché la facoltà
di ricorso alle autorità competenti in caso di inidoneità delle misure di sicurezza apprestate dal datore.
6. Il diritto di assemblea (art. 20): funzione dell’assemblea – come del referendum – è di permettere ai
lavoratori, anche non appartenenti al sindacato, di partecipare alla elaborazione e decisione delle politiche
contrattuali e sindacali. Ai sensi del 1° comma dell’art. 20 “i lavoratori hanno diritto di riunirsi nell’unità
produttiva”: il potere di convocare l’assemblea è riservato a ciascuna RSA, che così può filtrare le domande
provenienti dalla base, valutando quali di queste appaiano meritevoli di considerazione; anche le RSU
hanno pieno diritto di convocare l’assemblea, una volta però subentrate alle RSA dei sindacati partecipanti
all’elezione.
L’assemblea deve riguardare “materie di interesse sindacale e del lavoro” (può dunque concernere anche
tematiche di carattere non strettamente rivendicativo-aziendale, bensì politico in senso ampio, non invece
aspetti che afferiscono esclusivamente al campo della politica.
L’assemblea può svolgersi durante l’orario di lavoro nei limiti di 10 ore annue per ciascun lavoratore.


7. Il referendum (art. 21): il diritto di referendum serve a far emergere l’opinione dei lavoratori (iscritti e
non) su determinate tematiche, con precise limitazioni: la facoltà di convocazione è riservata alle RSA
(come per l’assemblea), che possono però esercitarla soltanto congiuntamente. I limiti posti alla disciplina
di indizione dei referendum trovano giustificazione: a) nel garantire una qualche stabilità alle strategie ed
opzioni del sindacato, evitando una continua esposizione al rischio di contestazioni da parte di lavoratori
dissenzienti o di sindacati minoritari; b) nell’impedire una eccessiva proliferazione di consultazioni nei
luoghi di lavoro, nell’interesse della parte datoriale.
Oggetto: il referendum deve riguardare materie inerenti all’attività sindacale.
Modalità: l’art. 21 dispone che il referendum debba tenersi in ambito aziendale e fuori dall’orario di lavoro.
Efficacia: il rilievo del referendum è circoscritto al rapporto associativo tra lavoratore e sindacato.


8. Diritto di affissione (art. 25): il diritto di affissione compete alle RSA e si esercita “all’interno dell’unità
produttiva” dove il datore di lavoro ha l’obbligo di predisporre appositi spazi che rendano esercitabile il
diritto. La norma dispone che l’attività di affissione abbia ad oggetto pubblicazioni, testi e comunicati
“inerenti a materie di interesse sindacale e del lavoro”. Resta discussa l’inesistenza di qualsiasi forma di
autotutela da parte del datore di lavoro, soprattutto ove il documento ecceda i limiti stabiliti dalla legge,
ovvero risulti offensivo, diffamatorio per il datore o in generale integri gli estremi di un reato.


9. Proselitismo e collette sindacali nei luoghi di lavoro (art. 26): l’art. 26 riconosce ai singoli lavoratori il
diritto “di raccogliere contributi e di svolgere opera di proselitismo per le loro organizzazioni sindacali
all’interno dei luoghi di lavoro, senza pregiudizio del normale svolgimento dell’attività aziendale”.
L’attività di proselitismo non corrisponde ad una forma qualificata di propaganda, poiché comprende
momenti ed aspetti operativi, volti a concretamente promuovere l’ingresso di nuovi elementi
nell’organizzazione sindacale. Beneficiarie dell’attività di raccolta dei contributi e dell’opera di proselitismo
sono, infatti, tutte le associazioni sindacali dei lavoratori, con la differenza, rispetto ai diritti di assemblea e
di referendum, che la situazione attiva conferita al singolo non è subordinata all’esercizio di un potere da
parte dell’organizzazione sindacale. Il proselitismo, nonché la raccolta di contributi aziendali, incontrano il
limite “espresso” del rispetto del “normale svolgimento dell’attività aziendale”.


10. Locali per le RSA (art. 27): le rappresentanze sindacali hanno diritto ad utilizzare appositi locali per
l’esercizio dell’attività sindacale, messi a disposizione dall’azienda. Da notare tuttavia il fatto che la
disposizione di cui all’art. 27 distingue due ipotesi, la prima delle quali concernente le unità produttive con
almeno 200 dipendenti: in esse è fatto obbligo al datore di lavoro di mettere a disposizione delle RSA
permanentemente un idoneo locale comune all’interno dell’unità produttiva o nelle immediate vicinanze di
essa. La seconda ipotesi riguarda le unità produttive con meno di 200 dipendenti, nel cui caso viene meno il
requisito della permanente disponibilità, prevedendo invece la concessione di un idoneo locale per le
riunioni che di volta in volta le RSA decideranno di tenere.


11. Permessi per i dirigenti sindacali aziendali (artt. 23 e 24): gli artt. 23 e 24 sono norme che
beneficiano i dirigenti sindacali interni: in base a queste norme, la carica di dirigente sindacale aziendale dà
diritto a permessi retribuiti (art. 23) e a permessi non retribuiti (art. 24). I primi sono concessi ai dirigenti
delle RSA ovvero ai componenti della RSU, ove esistente, “per l’espletamento del loro mandato” (mandato
= complesso delle attività e delle funzioni inerenti alla sfera di competenza delle strutture sindacali
aziendali, quali organismi interni all’unità produttiva). I permessi non retribuiti dell’art. 24 sono, invece,
concessi ai dirigenti di RSA o ai componenti di RSU che vi subentrino, oltre che alle oo.ss. aderenti alle
associazioni stipulanti il CCNL “per la partecipazione a trattative sindacali o congressi e convegni di natura
sindacale”. Le norme prevedono limiti circa i soggetti beneficiari e il numero delle ore di permesso
usufruibili, che variano a seconda delle dimensioni dell’unità produttiva.


12. Permessi e aspettativa per i dirigenti sindacali esterni (artt. 30 e 31): a norma dell’art. 30 St. lav., i
componenti degli organi direttivi nazionali e provinciali dei sindacati di cui all’art 19 St. lav. hanno diritto a
permessi retribuiti, secondo le norme dei contratti di lavoro, per la partecipazione alle riunioni degli organi
suddetti. I lavoratori che ricoprono cariche sindacali provinciali e nazionali, a norma dell’art. 31 1° e 2°
comma, possono essere collocati, a richiesta, in aspettativa non retribuita, per tutta la durata del loro
mandato.


13. Guarentigie per i dirigenti sindacali aziendali: l’art. 22 e l’art.18 commi 7°, 8°, 9° e 10° prevedono
una tutela speciale a favore dei dirigenti sindacali in materia di licenziamenti e trasferimenti. In ordine al
licenziamento, il lavoratore che riveste qualifica di dirigente sindacale riceve una tutela privilegiata di tipo
processuale (venendo provvisoriamente reintegrato); inoltre, se il datore non ottempera all’ordinanza di
reintegrazione viene condannato, oltre che a versare la normale retribuzione a favore del lavoratore, “anche,
per ogni giorno di ritardo, al pagamento a favore del fondo adeguamento pensioni di una somma pari
all’importo della retribuzione dovuta al lavoratore (art. 18, 10° comma). Il trasferimento, invece, dell’unità
produttiva dei dirigenti delle RSA, dei candidati e dei membri di commissioni interne, ai sensi del 1° comma
dell’art. 22, può essere disposto solo previo nulla-osta delle associazioni sindacali di appartenenza; la
mancanza del nulla-osta rende inefficace (o meglio nullo) il provvedimento.


14. Campo d’applicazione del titolo III dello Statuto (art. 35): per l’art. 35, comma 1°, le disposizioni
del titolo III, rispetto alle imprese industriali e commerciali, “si applicano a ciascuna sede, stabilimento,
filiale, ufficio o reparto autonomo che occupa più di 15 dipendenti”; dette disposizioni si applicano anche
alle imprese agricole che occupano più di 15 dipendenti. Il 2° comma dell’art. 35 precisa che al fine del
raggiungimento della consistenza occupazionale indicata è sufficiente che l’impresa occupi più di 15
dipendenti nello stesso comune “anche se ciascuna unità produttiva, singolarmente considerata, non
raggiunge tali limiti”.


15. Rappresentanza, diritti sindacali e partecipazione nel lavoro pubblico: sul versante del lavoro
pubblico, il problema della rappresentanza e delle prerogative sindacali nei luoghi di lavoro ha avuto
un’evoluzione storica tormentata e differente rispetto alla disciplina del settore privato; l’art. 42 D.Lgs. n°
165/2001 instaura un inedito sistema di verifica effettiva e democratica del consenso nei luoghi di lavoro. Il
modello poggia su una duplicazione delle strutture base: le rappresentanze sindacali aziendali, da una parte,
e gli organismi di rappresentanza unitaria personale, dall’altra. Per quanto riguarda le RSA del settore
pubblico, esse non nascono ad iniziativa dei lavoratori, ma sono immediata e diretta espressione dei
sindacati in possesso della rappresentatività minima del 5%; in merito ai nuovi organismi di rappresentanza
unitaria del personale, l’art. 42, 3° comma consente la loro istituzione ad iniziativa anche disgiunta dei
sindacati nel medesimo ambito costitutivo delle RSA, mediante elezioni aperte a tutti i lavoratori. Le RSU
sono elette a suffragio universale e voto segreto con apertura del meccanismo elettorale anche ad
organizzazioni sindacali non rappresentative; la ripartizione dei seggi deve avvenire secondo il “metodo
proporzionale”; sul piano delle tutele statutarie, i componenti della RSU sono pienamente equiparati ai
dirigenti di RSA, mentre su quello dei diritti e delle prerogative collettive, tutto è rinviato agli accordi sulla
costituzione ed il funzionamento delle RSU, chiamati altresì a trasferire ai componenti eletti della
rappresentanza unitaria le garanzie spettanti alle rappresentanze aziendali delle organizzazioni stipulanti o
aderenti ai succitati accordi.


16. Diritti di informazione e controllo: al di fuori dello Statuto, uno degli sviluppi più significativi in tema
di diritti sindacali riguarda i c.d. diritti di informazione, di consultazione e di controllo rispetto a scelte
organizzative o a politiche economiche e industriali dell’impresa. Essi possono avere origine diversa e si
legano alla tematica generale della partecipazione del sindacato alle scelte imprenditoriali. Lo sviluppo
maggiore dei diritti in questione si ha nella contrattazione collettiva.
Il diritto sindacale di informazione, consistente nella semplice comunicazione di conoscenze al sindacato; in
taluni contratti collettivi, detto diritto sfocia poi nell’obbligo dell’imprenditore di sottoporre la materia ad
esame congiunto con la controparte, soprattutto in relazione alle conseguenze delle scelte aziendali sulle
condizioni di lavoro e sull’occupazione. L’informazione si articola a diversi livelli – nazionale, regionale,
provinciale, d’impresa o di gruppo di impresa – e coinvolge diversi soggetti: i sindacati nazionali di
categoria che hanno sottoscritto il contratto, le loro articolazioni regionali o provinciali, le RSA o RSU;
oggetto delle informazioni sono, generalmente, le questioni riguardanti l’organizzazione produttiva, il
decentramento, le strategie aziendali.




                                           CAPITOLO SETTIMO


   1.L’IMPORTANZA DELL’ART. 28
   La protezione legislativa della libertà,dell’attività sindacale in azienda e del diritto di sciopero
   si realizza nel modo più ampio,e con la massima effettività,nell’art.28 St.lav.,vera norma di
   chiusura della legge,che prevede uno speciale procedimento giurisdizionale repressivo della
   condotta antisindacale del datore di lavoro.


   2.LA FATTISPECIE E IL SOGGETTO ATTIVO
   La condotta antisindacale è identificata dall’art.28 nei “comportamenti del datore di lavoro
   diretti a impedire o limitare l’esercizio della libertà e dell’attività sindacale nonché del diritto
   di sciopero”.Soggetto attivo della condotta vietata è quindi il datore di lavoro,a prescindere
   che sia o non sia imprenditore,privato o pubblico e indipendentemente dal numero di
   lavoratori alle sue dipendenze.La condotta antisindacale è rilevante ex art.28 anche se posta in
   essere non personalmente dal datore,ma dai soggetti che secondo l’organizzazione
   dell’azienda svolgono attività ad esso imputabile. L’illecito è imputabile solo e direttamente al
   datore.


   3.IL COMPORTAMENTO
   Il comportamento illegittimo è individuato nell’art.28 solo per l’idoneità a ledere i beni protetti:
   libertà,attività sindacale,diritto di sciopero,è quindi strutturalmente aperto;infatti i beni protetti
   possono essere lesi nella pratica da comportamenti diversi,non tipizzabili a priori.Il termine
   comportamento esclude ogni qualificazione giuridica dell’atto,e comprende quindi anche i meri
   comportamenti materiali del datore (intimidazioni,minacce,ecc.),a conferma della maggior
ampiezza      dell’art.28    rispetto    all’art.15.Nel    divieto    rientrano   anche   comportamenti
antisindacali,come la serrata,riduzioni o sospensioni di orario,presi nei confronti della generalità dei
dipendenti.


4.I BENI PROTETTI
L’elemento centrale della fattispecie è la lesione della “libertà,attività sindacale e diritto di
sciopero”.
La dottrina e la giurisprudenza hanno rifiutato le prime teorie restrittive secondo cui la norma
tutelerebbe solo i diritti collettivi esplicitamente riconosciuti dalla Legge 300,a causa proprio
dell’ampiezza della formula normativa che si riferisce ai diritti sindacali elementari nella loro forma
più estesa.
Quindi si ha condotta antisindacale non solo quando sono violati diritti sindacali formalmente
riconosciuti dallo Statuto,ma anche quando si colpiscono uno o più lavoratori singoli per l’esercizio
dei diritti della libertà sindacale,e diritto di sciopero di cui sono titolari.


5.I LIMITI DELL’ANTISINDACALITA’. ANTISINDACALITA’ GIURIDICA E DI FATTO
Non tutti i comportamenti antagonistici del sindacato sono antisindacali dal punto di vista
giuridico.
In genere,sono illeciti i comportamenti del datore ostativi di attività sindacale e di scioperi svolti
con modalità riconosciute dall’ordinamento,o di comportamenti che si muovono nella sfera generica
della libertà sindacale,e come tali protetti.
Sono invece esenti da censura i comportamenti motivati da reazioni a comportamenti illeciti o non
protetti dei lavoratori
    a) Antisindacalità ed interesse dell’impresa
Nascono delle controversie sui comportamenti del datore attinenti alla gestione dell’impresa,ma
bisogna escludere che basti qualsiasi interesse aziendale a giustificare il comportamento del datore e
ad escludere l’applicabilità dell’art.28.Perché sia così,il comportamento oltre a dover essere
giustificato i n modo conclusivo,si deve escludere che sia diretto a contrastare l’esercizio dei diritti
protetti dalla norma.
    b) Reazioni allo sciopero
L’art.28 protegge il diritto di sciopero da ogni comportamento ostativo,ma senza entrare nel merito
dei limiti del suo esercizio.Limiti che sono quelli posti dalla giurisprudenza,sia quanto alle
modalità,sia quanto agli obiettivi.
    c) Comportamenti nelle trattative
Si ritiene che il rifiuto di trattare o il comportamento ostruzionistico non costituisce in sé condotta
antisindacale,perché non esiste nel nostro ordinamento un obbligo legale di trattare in capo
all’imprenditore.La condotta del datore è reprimibile ex art.28,solo quando un obbligo a trattare si
desume da specifiche disposizioni di legge,o anche di contratto collettivo.
   d) Violazione dei diritti sindacali contrattuali
Una serie di problemi si verifica quando il datore viola diritti riconosciuti al sindacato dalla stessa
contrattazione collettiva,non dalla legge.La norma protegge l’esercizio dei diritti sindacali quali si
configurano e sono riconosciuti dall’ordinamento,in questi rientrano quelli che fanno parte dell’area
protetta di attività sindacale attraverso il tramite di autonomia collettiva,che è riconosciuta dal
nostro sistema costituzionale come fonte di disciplina dei rapporti di lavoro.
La violazione della parte normativa del contratto riguardante la disciplina dei rapporti individuali
non è reprimibile ex art.28.


6.LA IRRILEVANZA DI ELEMENTI SOGGETTIVI
L’art.28 dispone che i comportamenti antisindacali del datore di lavoro devono essere “diretti
a impedire o limitare” l’esercizio dei diritti sindacali protetti;si deve quindi ritenere che sia
sufficiente accertare la obiettiva portata lesiva del comportamento,cioè la sua idoneità a
ostacolare l’esercizio dei diritti,a prescindere dall’esistenza di dolo o colpa.


7.LEGITTIMAZIONE AD AGIRE E INTERESSI PROTETTI DALL’ART.28
   a) I soggetti legittimati
Innovazione fondamentale dell’art.28 è il riconoscimento della legittimazione a un soggetto
collettivo,precisamente agli “organismi locali delle associazioni sindacali nazionali,che vi abbiano
interesse”.La specificazione di quali siano gli organismi locali delle associazioni nazionali sembra
doversi desumere dagli statuti interni di queste.In principio si tratterà degli organi territoriali di
categoria e non di quelli orizzontali;inoltre si dovrà decidere quale sia il livello sindacale
legittimato.
   b) Questioni di costituzionalità
Il limite della legittimazione attiva agli organismi locali dei sindacati nazionali ha sollevato
problemi di costituzionalità;le obiezioni si sono fondate in vario modo sugli articoli 24; 2; 3 e 39
della Cost.Il nucleo argomentativi comune è che la scelta del legislatore non limita in alcun modo i
diritti individuali e collettivi di libertà sindacale,ma attribuisce a soggetti qualificati uno strumento
di azione giudiziaria di particolare efficacia.


8.IL PROCEDIMENTO
Il procedimento previsto dall’art.28 ha carattere d’urgenza,fondato su un’istruttoria minima
(audizione delle parti) da concludersi in tempi brevi,anche se il termine dei due giorni è
ordinatorio e di fatto è largamente superato.L’ azione si propone con ricorso al Tribunale del
luogo ove è posto in essere il comportamento denunciato;l’ordine del giudice (decreto
   motivato) che sanziona l’eventuale condotta antisindacale,è immediatamente esecutivo,e
   comporta la “cessazione del comportamento illegittimo” lesivo dei beni protetti e “rimozione
   degli effetti” lesivi già realizzati,ripristinando il libero godimento degli stessi beni.Il giudice
   però non ha per il nostro ordinamento il potere di creare norme astratte.


   9.LE SANZIONI
   La sanzione penale posta a carico del datore di lavoro,per l’inosservanza dell’ordine del
   giudice,ai sensi dell’art.650 (arresto fino a 3 mesi o ammenda fino a L.400000) è un altro
   fattore decisivo di effettività della norma.
   La sanzione si può infliggere solo se il giudice penale,riesaminando se il comportamento sia
   davvero antisindacale,lo condanna sulla base del provvedimento del giudice civile.


   10.L’ART.28 E IL PUBBLICO IMPIEGO
   E’ stato a lungo controverso se ed in quali limiti l’art.28 St.lav. sia applicabile nel pubblico
   impiego.
   Alle soglie del decennio ’90 è intervenuto in materia il legislatore con l’intento di fornire un sistema
   certo e razionale in tema di tutela giurisdizionale dei diritti sindacali.




                       CAPITOLO VIII: LA CONTRATTAZIONE COLLETTIVA




1. La contrattazione collettiva in         generale: la contrattazione collettiva consiste nel processo di
regolamentazione congiunta (sindacati-padronato) dei rapporti d lavoro; la struttura e i contenuti della
contrattazione collettiva sono strettamente correlati e dipendono largamente da altri aspetti del sistema di
relazioni industriali, quali la struttura del sistema produttivo, la struttura del mercato del lavoro, il ritmo
dello sviluppo economico, i caratteri dell’intervento statale. Si è diffusa nel tempo la tendenza ad adottare
una nozione lata di contrattazione collettiva, fino a ricomprendervi tutto l’insieme dei rapporti, anche non
strettamente negoziali, e più o meno formali, che intercorrono fra i diversi agenti del sistema di relazioni
industriali, in ordine alla regolamentazione dei rapporti di lavoro.
Modalità e procedure della contrattazione sono in Italia scarsamente formalizzate; gli attori sono, per parte
dei lavoratori, le organizzazioni maggiormente (o comparativamente più) rappresentative ai vari livelli; le
trattative vedono frequentemente l’intervento mediatore di organi pubblici. L’accordo raggiunto è
condizionato alla ratifica dei lavoratori nelle aziende. È inoltre diffusa la pratica del referendum per
l’approvazione sia delle piattaforme sia degli accordi.
2. Evoluzione della struttura e dei contenuti della contrattazione: la ricostruzione e gli anni ’50: la
prima fase è caratterizzata da un sistema di relazioni industriali “centralizzato e a predominanza politica”,
cui corrisponde un modello di contrattazione analogamente centralizzata, debole e statica. In seguito
all’accordo interconfederale cosiddetto sul conglobamento dei vari elementi retributivi, viene riconosciuto
alle federazioni di categoria il potere di negoziare autonomamente i livelli retributivi.


3. (Segue): Gli anni ’60: la prima modernizzazione del sistema contrattuale: la fine degli anni ’50 dà
avvio ad un processo di modernizzazione delle relazioni industriali italiane, di cui è parte significativa la
modifica del sistema contrattuale. La dinamica generale della contrattazione cresce ai due livelli di categoria
e aziendale; si realizza di conseguenza un primo decentramento della struttura contrattuale. Il
decentramento è completo rispetto ai contratti nazionali di categoria, che diventano l’asse portante della
struttura, fonte della disciplina di base del rapporto di lavoro.
Sul finire del decennio ’50 la contrattazione aziendale viene riconosciuta ed istituzionalizzata nel sistema di
contrattazione articolata; in base a tale sistema, alla contrattazione aziendale è riservata la competenza a
trattare le materie determinate dallo stesso contratto nazionale.
Il decentramento è parziale sia per le materie che sono delegate, sia per gli agenti contrattuali competenti a
trattare, che sono i sindacati provinciali di categoria di entrambe le parti; al contratto nazionale spetta
dunque di predeterminare, attraverso clausole di rinvio, sia le materie e gli agenti della contrattazione
aziendale, sia le procedure di svolgimento, i tempi e, in qualche caso, i margini contrattuali, e fornire
garanzia di tregua sindacale nelle pause temporali intercorrenti tra un accordo e l’altro, tramite clausole di
tregua.


4. (Segue): Il ciclo 1968-1975: sviluppo e decentramento della contrattazione: la contrattazione
raggiunge il massimo del decentramento, poiché l’elemento trainante nel settore industriale è questa volta la
contrattazione aziendale, che rompe il limiti quantitativi e qualitativi definiti nel ’62, e il minimo di
istituzionalizzazione, in quanto, cadute le norme di coordinamento giuridico tra i livelli contrattuali, ognuno
di questi è formalmente autonomo, non vincolato per oggetti, per procedure né per agenti di contrattazione.


5. (Segue): La centralizzazione e gli accordi triangolari: la seconda metà degli anni ’70 è caratterizzata
dal peso crescente della crisi economica sull’azione sindacale; questa situazione sfavorevole non comporta
un crollo del potere sindacale, ma altera gli equilibri contrattuali. Prevalgono tendenze all’assestamento di
istituti già regolati, nell’area dei diritti sindacali, mentre si ricercano contenuti contrattuali nuovi di controllo
sulle scelte economiche e di impresa, diretti a risolvere i problemi dell’occupazione e della produttività.
Sempre più marcata la pressione da parte degli imprenditori e poi anche del governo per il contenimento del
costo del lavoro e la riduzione della dinamica della scala mobile.
Vi è una tendenza alla ricentralizzazione della struttura contrattuale, tendenza alla quale se ne ricollega
un’altra, quella dell’intervento diretto del potere pubblico nella contrattazione centralizzata, che arriva ad
assumere carattere triangolare e che si collega a tematiche di diretto rilievo politico-economico.


6. (Segue): Gli anni ’80: nuovo decentramento o riequilibrio?: dall’inizio degli anni ’80 anche la struttura
e i contenuti della contrattazione collettiva hanno subito forti sollecitazioni al cambiamento per le seguenti
ragioni: la rinnovata, ancorché fragile, ripresa economica, dopo la ristrutturazione, e soprattutto la
rapidissima innovazione tecnologica.
La spinta più netta in tutti i paesi industrializzati è verso il decentramento della contrattazione, che trova le
proprie motivazioni nelle: 1) crescenti difficoltà della contrattazione interconfederale; 2) perdita di rilievo e
di contenuti innovativi della contrattazione di categoria, con blocchi o gravi ostacoli nei rinnovi contrattuali;
3) (ri)emersione di una contrattazione aziendale o infra-aziendale non coordinata dal centro.
Variazioni nelle altre dimensioni della struttura contrattuale: estensione (= grado di copertura della
contrattazione) – incisività – grado di innovazione dei contenuti contrattuali.


7. Gli anni ’90: riaccentramento e razionalizzazione del sistema contrattuale: negli anni ’90 (periodo
della c.d. “riregolazione del rapporto di lavoro”) il sistema contrattuale è investito dall’urgenza del
risanamento e della stabilizzazione economica: le pressanti esigenze del risanamento convivono peraltro con
le richieste di competitività e flessibilità emerse e tutt’altro che esaurite nel periodo precedente: da qui le
persistenti spinte al decentramento. Lo Stato interviene sul conflitto in modo sempre più massiccio, anche se
ben attento a non espropriare il sindacato delle funzioni protette ai sensi dell’art. 39 Cost., 1° comma. Si
afferma un nuovo ruolo della contrattazione interconfederale: quello di strumento politico di soluzione di
problemi, a cominciare dalla lotta all’inflazione e al controllo del costo del lavoro, che riguardano l’intero
mondo del lavoro ed i suoi rapporti con il mondo dell’economia e della finanza. Il nuovo processo di
riaccentramento, abbandonate le finalità difensive promosse dall’art. 19 St. lav., trova la propria ragion
d’essere nel Protocollo del 23 luglio 1993, ispirato dalla consapevolezza che solo un controllo centrale sulla
contrattazione collettiva congiunto ad un analogo controllo sulla politica salariale è in grado di rendere un
sistema di relazioni industriali responsabile e al tempo stesso efficiente. Soprattutto, questo accordo è il
primo serio tentativo di razionalizzazione del sistema di contrattazione collettiva; nel dettaglio:
A) Sono previsti 2 livelli di contrattazione, quello nazionale di categoria e quello aziendale, tra loro
collegarti in modo tale che gli ambiti, i tempi, le modalità di articolazione, le materie e gli istituti del
secondo sono predeterminati dal primo.
B) Durata dei contratti predeterminata: 4 anni per la parte normativa del CCNL e per il contratto aziendale;
2 anni per la parte retributiva del CCNL.
C) Introduzione di scansioni temporali per l’apertura delle trattative ai fini dei rinnovi dei contratti.
D) Le RSU sono        riconosciute come “rappresentanza sindacale aziendale unitaria nelle singole unità
produttive”, e investite della “legittimazione a negoziare al secondo livello le materie oggetto di rinvio da
parte del contratto nazionale di categoria”.


                                               CAPITOLO NONO
                     IL CONTRATTO COLLETTIVO NEL LAVORO PRIVATO


   1.LA PROBLEMATICA GIURIDICA DEL CONTRATTO COLLETTIVO DI DIRITTO
   COMUNE
   Il capitolo si concentra sul prodotto della contrattazione collettiva,cioè sul contratto
   collettivo,inteso come il contratto con cui i soggetti collettivi (organizzazioni dei lavoratori e
   degli imprenditori) predeterminano la disciplina dei rapporti individuali di lavoro (parte
   normativa) e regolano anche taluni tratti dei loro rapporti reciproci (parte obbligatoria).
   Sono rinvenibili almeno quattro tipi di contratto collettivo: quello corporativo, quello c.d. di diritto
   comune, quello prefigurato dal legislatore costituente e quello recepito in decreto legislativo ai sensi
   della legge 741/1959.L’unico che continua ad essere prodotto è il contratto collettivo di diritto
   comune,a questo quindi va dedicata maggiore attenzione,anche se i suoi problemi giuridici si
   colgono in contrapposizione con il contratto corporativo.Il contratto corporativo è un contratto
   tipico,elevato a fonte del diritto in senso proprio,anche se subordinata a leggi e regolamenti.La
   soppressione dell’ordinamento corporativo e delle organizzazioni sindacali fasciste hanno coinvolto
   i contratti corporativi e la loro disciplina legale.
   La giurisprudenza si assume il compito di ricostruire man mano le linee fondamentali della sua
   disciplina,in parte ricavandola da quella codicistica dei contratti in generale (ed è per questo che si
   parla di contratto collettivo di diritto comune) in parte recuperando tratti della disciplina codicistica
   del contratto corporativo.Il contratto collettivo di diritto comune finisce così per apparire un istituto
   di origine largamente giurisprudenziale.
   Le problematiche del contratto collettivo di diritto comune si incentrano sulla efficacia della parte
   normativa nei confronti dei rapporti individuali di lavoro,e possono essere accorpate attorno a due
   temi di fondo: ambito e tipo dell’efficacia stessa.


   2.L’AMBITO DI EFFICACIA DEL CONTRATTO COLLETTIVO
   Con la caduta del sistema corporativo le associazioni sindacali divengono libere di individuare
   l’ambito delle categorie di cui intendono farsi espressione e, correlativamente, l’ambito di
   efficacia del contratto collettivo.
   Solo il datore di lavoro iscritto all’organizzazione sindacale dei datori di lavoro è tenuto
   all’applicazione del contratto collettivo nei confronti dei soli lavoratori sindacalmente associati.
3.OPERAZIONI GIURISPRUDENZIALI SULL’AMBITO DI EFFICACIA
La giurisprudenza si è sforzata di dilatare l’ambito di applicazione del contratto collettivo.
   a) Il contratto collettivo è così ritenuto applicabile quando le parti individuale vi abbiano preso
       esplicita o implicita adesione.Il primo caso si verifica normalmente quando il contratto
       individuale rinvia alla disciplina collettiva;avendo accetto il contratto collettivo come fonte
       regolatrice,il datore non si può più liberare unilateralmente dal vincolo.Il secondo caso si
       verifica quando il contratto collettivo è spontaneamente applicato,e avviene quando vengono
       applicate numerose e significative clausole:il datore di lavoro è allora tenuto ad applicare il
       contratto nella sua integralità.
   b) La giurisprudenza ritiene inoltre che il datore di lavoro iscritto è tenuto ad applicare il
       contratto collettivo anche ai lavoratori non iscritti,non potendo impedire che essi
       manifestino la volontà di conformare ad esso il contratto di lavoro individuale.
       L’imprenditore che si associa infatti       è consapevole del fatto che i contratti collettivi
       rivelano la chiara intenzione delle parti contraenti di considerarli come norma generale di
       disciplina dei rapporti di lavoro,e in quanto tali aperti alla generalità dei dipendenti.
   c) Nell’operazione di recupero dell’art.2070 cod.civ. il datore di lavoro deve applicare il
       contratto corrispondente alla propria attività,e se svolge più attività distinti contratti qualora
       queste siano autonome tra loro,o il contratto corrispondente all’attività principale se le altre
       sono accessorie.L’art.2070 non è vincolato all’ordinamento corporativo,ma risponde a
       esigenze dell’azione sindacale e della disciplina di categoria.Agli inizi degli anni ’90 però la
       Cassazione dichiarò l’incompatibilità tra il principio di libertà sindacale di cui all’art.39
       1°comma Cost. ed il criterio di appartenenza alla categoria imprenditoriale fissato
       dall’art.2070 cod.civ.
   d) A partire dalla metà degli anni ’50,la giurisprudenza è andata applicando,sia pure
       indirettamente i minimi tariffari del contratto collettivo anche ai rapporti di lavoro con
       imprenditori non iscritti alle organizzazioni stipulanti. L’orientamento è stato fondato
       sull’art.36 Cost. che garantisce al lavoratore il diritto ad una retribuzione proporzionata alla
       qualità e alla quantità del suo lavoro e in ogni caso sufficiente ad assicurare a sé e alla sua
       famiglia un’esistenza libera e dignitosa.


4.INTERVENTI LEGISLATIVI SULL’AMBITO DI EFFICACIA
Dalla fine degli anni ’40 si sono succeduti vari interventi legislativi,ad operare una dilatazione
dell’ambito di applicazione dei contratti collettivi di diritto comune.
   a) La consacrazione dell’efficacia generalizzata dei contratti collettivi è stata in un primo
       momento ravvisata in quelle disposizioni che sanciscono l’obbligo del datore di lavoro di
osservare le norme dei contratti collettivi e di retribuire il prestatore in conformità alle tariffe
        in essi contenute.
    b) L’intervento più importante è verso la fine degli anni ’50,quando il legislatore,acquisita
        l’impraticabilità di una norma attuativa dell’art.39 Cost., tentò di condurre diversamente a
        soluzione definitiva il problema dell’efficacia generale dei contratti collettivi.
    c) Il legislatore tornò così a sperimentare nuove soluzioni,per pervenire in via diretta alla
        dilatazione dell’ambito di efficacia dei contratti collettivi (per es. l’art.36 St.lav.).
    d) Tra gli interventi volti a favorire l’estensione dell’ambito di applicazione dei contratti
        collettivi,vanno annoverati quelli in materia di fiscalizzazione degli oneri sociali,che
        condizionano la fruizione del relativo beneficio alla circostanza che l’impresa assicuri ai
        propri dipendenti trattamenti non inferiori ai minimi previsti dai contratti collettivi nazionali
        di categoria,stipulati dalle organizzazioni sindacali maggiormente rappresentative.


5.L’AMBITO DI EFFICACIA DEL CONTRATTO COLLETTIVO DI LIVELLO
AZIENDALE. IL CONTRATTO COLLETTIVO GESTIONALE E LA TEORIA DELLA
PROCEDIMENTALIZZAZIONE

E’ sul piano della contrattazione aziendale che negli ultimi anni si è registrata una serie di interventi
legislativi,diretti ad attribuire efficacia generale agli atti di autonomia collettiva.Non sembra
comunque fino ad oggi possibile registrare interventi legislativi che abbiano attribuito in modo
diretto efficacia normativa generale ai contrati aziendali,anche se più di una volta ne hanno favorito
l’espansione a tutti i lavoratori dell’azienda.
Vi sono inoltre i contratti di solidarietà,stipulati al fine di evitare,in tutto o in parte,la riduzione o la
dichiarazione di esuberanza del personale anche attraverso un suo più razionale impiego (del primo
tipo);o diretti a incrementare gli organici (del secondo tipo).
Il contratto aziendale non ha sempre una funzione normativa,anzi spesso assume una funzione
gestionale,nel senso che si occupa di gestire situazioni di crisi in occasione delle quali può farsi
veicolo di distribuzione di sacrifici.
L’effetto erga omnes,quindi, discende pur sempre dall’atto del datore di lavoro che esercita i suoi
poteri imprenditoriali,e non dall’accordo sindacale gestionale che è solo un tramite per l’esercizio di
quei poteri.
La pretesa del datore di lavoro di applicare il contratto collettivo stipulato con alcuni sindacati a
lavoratori iscritti ai sindacati dissenzienti costituisce secondo la giurisprudenza,condotta
antisindacale ai sensi dell’art.28 St.lav.
6.IL TIPO DI EFFICACIA DEL CONTRATTO COLLETTIVO:LA PROBLEMATICA
DELL’INDEROGABILITA’

Posto che il contratto collettivo sia applicabile,resta da stabilire quale efficacia esplichi nei
confronti del contratto individuale.Resta da stabilire se il singolo datore di lavoro e il singolo
lavoratore possano o meno pattuire una disciplina del rapporto individuale difforme da quella
predeterminata nel contratto collettivo.
Per diritto comune i rappresentanti,in quanto titolari degli interessi in giuoco,possono sempre di
comune accordo modificare la regolamentazione di quegli interessi disposta in loro nome e per loro
conto dai rappresentanti.
L’art.2077 cod.civ. stabilisce che i contratti individuali devono uniformasi alle disposizioni del
contratto collettivo e le clausole eventualmente difformi sono sostituite di diritto da quelle del
contratto collettivo,salvo che contengano speciali condizioni più favorevoli ai prestatori di lavoro.


7.L’EFFICACIA           NORMATIVA           DEL       CONTRATTO            COLLETTIVO            E     LA
DEROGABILITA’ IN MELIUS
La consacrazione nell’ordinamento dell’autonomo potere sindacale di regolazione dei
rapporti di lavoro ha favorito l’assimilazione,quanto al tipo di efficacia,del contratto collettivo
alla legge e il riconoscimento che,al pari della legge,esso opera nei confronti del contratto
individuale dall’esterno quale fonte eteronoma.
Bisogna fermare l’attenzione sui caratteri dell’inderogabilità,cioè sulle modalità del raffronto
tra disciplina collettiva ed individuale.Anzitutto va precisato che l’inderogabilità non è
assoluta giacchè opera a solo vantaggio,e non a danno,del lavoratore.
Le norme della legislazione in materia di lavoro sono considerate dagli interpreti inderogabili in
peius,perché rivolte a porre una disciplina minimale di protezione del lavoratore,ma per ciò stesso
derogabili in melius.
La medesima funzione di tutela minimale,viene riconosciuta anche al contratto collettivo.La
giurisprudenza del resto ha potuto vedere la regola della derogabilità in melius codificata
nell’art.2077.
Il raffronto tra legge ed autonomia privata è correntemente operato con riferimento a singole
clausole. Le clausole del contratto individuale di contenuto peggiorativo sono sostituite dalla
disciplina legale,e non trovano compensazione con il contenuto eventualmente migliorativo di altre
clausole dello stesso contratto.
Non hanno avuto fortuna i tentativi di operare il raffronto tra l’intera disciplina del contratto
collettivo e l’intera disciplina del contratto individuale;tuttavia la giurisprudenza si è orientata nel
senso di ricondurre ad un unico istituto l’intero trattamento economico.
8.LEGGE E AUTONOMIA COLLETTIVA
Il contratto collettivo,al pari di quello individuale,deve ritenersi gerarchicamente subordinato alla
legge. L’opinione prevalente è però nel senso che il legislatore costituzionale,pur valorizzando
l’autonomia sindacale, ha affidato anzitutto al legislatore ordinario il compito di provvedere alla
tutela (minima) del lavoratore.La legge costituisce per l’autonomia collettiva un limite invalicabile
a sfavore del lavoratore,e valicabile invece a suo vantaggio.

Di regola la norma di legge è inderogabile in peius e derogabile in melius dal contratto collettivo
(come da quello individuale).Questo modello di rapporto tra legge e contrattazione collettiva ha
però subito un’alterazione.Sono oggi numerose le ipotesi in cui il legislatore utilizza la
contrattazione collettiva come veicolo di attenuazione della propria stessa rigidità,attribuendole il
poter di derogare in peius o, forse più propriamente,affidandole il compito di individuare o
modificare il precetto legale.
Con la legislazione sul costo del lavoro è stata sancita l’inderogabilità in melius ad opera
dell’autonomia collettiva di una normativa legale.Il legislatore ha cioè qualificato il proprio
intervento come diretto non già a fissare un minimo ma un massimo di disciplina del rapporto di
lavoro.
Tra interventi deregolativi e interventi limitativi,l’intreccio legge-contratto collettivo si presenta ora
assai complesso ed articolato rispetto al classico schema,che però continua ad essere l’archetipo del
diritto del lavoro,e che vede la legge dettare una disciplina minimale,sempre derogabile in meglio
ma non in peggio dell’autonomia collettiva.

La Corte Costituzionale ha stabilito che al legislatore deve essere riconosciuta la potestà di porre
limiti inderogabili alla contrattazione collettiva nel perseguimento di finalità di carattere
pubblico,trascendenti l’ambito nel quale si colloca per la Costituzione la libertà di organizzazione
sindacale e la corrispondente autonomia negoziale,tutelate dall’art.39 Cost.
Questo potere deve essere riconosciuto al legislatore nel caso di accordi a tre,che vedono il Governo
assumere una serie di impegni politici,spesso rilevanti,e che pur non contrastando la Costituzione
non rientrano nel quadro tipizzato dall’art.39,dal momento che le organizzazioni sindacali non sono
staccate dagli organi del governo ma cooperanti con esso.


9.L’EFFICACIA NEL TEMPO DEL CONTRATTO COLLETTIVO: ULTRATTIVITA’,
RETROATTIVITA’, DIRITTI QUESITI
Le procedure dei contratti collettivi sono state formalizzate solo dal Protocollo del 23 luglio
1993,che prevede relativamente al contratto nazionale di categoria,una durata di quattro anni per la
parte normativa,e di due anni per la parte economica.Tre mesi prima della scadenza,le
organizzazioni dei datori e dei lavoratori si incontrano per avviare le trattative per il rinnovo.
Diritto sindacale carinci -treu
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  • 1. INTRODUZIONE 1.DIRITTO DEL LAVORO E DIRITTO SINDACALE Il diritto del lavoro, in senso ampio, si caratterizza e presenta una propria autonomia, come disciplina giuridica del lavoro subordinato.Tradizionalmente si distinguono al suo interno la disciplina del rapporto individuale di lavoro (diritto del lavoro in senso stretto), che regola diritti e obblighi del singolo lavoratore contrapposto al singolo datore; il diritto sindacale, che riflette vicende ed interessi collettivi o di gruppo; il diritto della previdenza sociale (o della sicurezza),che disciplina l’erogazione di beni e servizi in favore di coloro che ne hanno bisogno.Tutte queste discipline hanno una comune origine,quella della diffusione del lavoro subordinato in conseguenza della Rivoluzione Industriale.Il processo espansivo del diritto sindacale è però più lento e incompleto rispetto a quello del diritto del lavoro,e della previdenza sociale. L’elemento fondamentale che distingue il diritto sindacale dal resto della disciplina del lavoro,è il riferimento ad aspetti e momenti collettivi dei rapporti di lavoro,infatti gli oggetti della disciplina sono l’organizzazione collettiva dei lavoratori e dei datori di lavoro,il contratto collettivo di lavoro,il conflitto collettivo (sciopero,serrata).Anche i protagonisti sono collettivi: le organizzazioni dei lavoratori e degli imprenditori nelle loro varie forme,e lo Stato con le istituzioni pubbliche,la cui presenza è diventata sempre più rilevante. 2.ORDINAMENTO STATALE E AUTONOMIA COLLETTIVA Il diritto sindacale si presenta come un sistema di norme di diversa matrice: a quelle di origine statale si intrecciano regole prodotte dalle stesse parti collettive, sindacati ed imprenditori,soprattutto attraverso la contrattazione ma anche su base unilaterale (statuti,regolamenti,ecc.).Di queste regole collettive alcune disciplinano situazioni finali (diritti e doveri tra le parti),altre regolano l’attività di produzione di altre norme,hanno quindi carattere strumentale. I processi di osmosi tra ordinamento sindacale e statale sono intesi in entrambe le direzioni: il primo ha esercitato una funzione di stimolo e innovazione rispetto al diritto statale che a sua volta ha svolto compiti di sostegno dell’autonomia collettiva e talora di correzione o integrazione delle norme prodotte da questa. 4.LE FONTI DEL DIRITTO SINDACALE Le fonti del diritto sindacale sono quelle proprie del diritto generale. 4.1.LE FONTI INTERNAZIONALI
  • 2. Fanno capo all’Organizzazione Internazionale del Lavoro (OIL),la cui più nota attività consiste nell’adozione dei testi di convenzioni internazionali e di raccomandazioni in materia di lavoro. Le convenzioni sono trattati destinati ad essere ratificati dagli stati membri,così da diventare vincolanti nel diritto interno. L’interpretazione è affidata alla Corte Internazionale di giustizia che ha sede all’Aja. Le raccomandazioni non sono destinate alla ratifica ed hanno valore non normativo,ma di modello o indirizzo rispetto alle politiche nazionali del lavoro. 4.2.LE FONTI COMUNITARIE L’attività degli organi comunitari appare più incisiva.Infatti l’attività normativa dell’Unione Europea si attua in due forme prevalenti,ad opera del Consiglio e della Commissione. I regolamenti sono atti generali obbligatori,di applicazione diretta nel diritto dei paesi membri;le direttive sono fonti giuridiche che vincolano gli stati membri ad adeguarsi nei risultati,queste godono di un’efficacia normativa indiretta,cioè condizionata all’emanazione di un apposito atto di recepimento interno.Le direttive hanno efficacia direttamente nei confronti dello Stato quando hanno un contenuto chiaro,preciso ed incondizionato;su questo si pronuncia la Corte di giustizia. 4.3.LE FONTI INTERNE Il primo richiamo va alla Costituzione,i cui articoli direttamente rilevanti in tema di diritto sindacale sono il 39, sull’organizzazione sindacale e la contrattazione collettiva, il 40, sullo sciopero, il 46 sulla partecipazione dei lavoratori nell’impresa. All’insegna del principio della libertà di organizzazione sindacale si è affermata l’elaborazione dottrinale e giurisprudenziale sul sindacato come associazione non riconosciuta e sul contratto collettivo c.d. di diritto comune. Il ruolo della legislazione nel diritto sindacale del secondo dopo-guerra è stato a lungo marginale.La prima tappa legislativa di rilievo è costituita dalla legge 20 Maggio 1970, numero 300,lo Statuto dei lavoratori,si tratta di una disciplina di sostegno dell’attività sindacale in azienda. Una seconda tappa significativa l’ha segnata la legge n.146 del 1990 (vd,l.83/2000),intervenuta a disciplinare lo sciopero nei servizi pubblici essenziali. Una terza tappa è rappresentata dal D.Lgs. n.29 del 1993 (ora D.Lgs. n.165 del 2001,Testo Unico del pubblico impiego). La contrattazione collettiva riveste un ruolo centrale in ambito lavoristico,in quanto come fonte sindacale rileva per la parte obbligatoria dei contratti collettivi. La giurisprudenza riveste in ogni paese occidentale un’importanza decisiva nella fomazione ed applicazione del diritto sindacale. CAPITOLO PRIMO
  • 3. IL DIRITTO SINDACALE: ATTORI ED EVOLUZIONE STORICA A)L’EVOLUZIONE STORICA DEI RAPPORTI TRA GLI ATTORI 1.GLI ATTORI DELL’ORDINAMENTO SINDACALE E I LORO RAPPORTI In ogni ordinamento sindacale operano tre attori: le organizzazioni sindacali dei lavoratori,le organizzazioni sindacali imprenditoriali (e gli stessi singoli imprenditori), lo Stato (e più in generale le istituzioni pubbliche).I rapporti tra questi tre attori variano nel tempo e a seconda degli ordinamenti. 2.LE ORIGINI: LA REPRESSIONE DEL FENOMENO SINDACALE In Italia,come in gran parte dei paesi occidentali, i rapporti collettivi sono stati caratterizzati all’origine da forti tensioni conflittuali e da interventi repressivi da parte dello Stato nei confronti dell’organizzazione sindacale e a maggior ragione dello sciopero. Quasi tutti i paesi occidentali hanno attraversato una prima fase storica in cui l’ordinamento giuridico,generalmente il legislatore,negava ai lavoratori e agli imprenditori la possibilità di organizzarsi collettivamente per motivi di autotutela. 3.IL PERIODO DELLA TOLLERANZA PENALE Nella fase successiva lo Stato provvide a rimuovere i divieti penali al conflitto e all’organizzazione sindacale,sancendo la libertà di coalizione. Il codice Zanardelli del 1889 inaugurò un periodo di tregua che durò fino al fascismo,non puniva lo sciopero e la serrata ma i comportamenti in contrasto con la libertà di lavoro. All’inizio del ventesimo secolo in Europa nacquero una serie di istituzioni pubbliche competenti per le materie di rapporti di lavoro e relazioni industriali.Al consiglio dei probiviri spettava la competenza sia sulle controversie individuali,sia in seguito su quelle collettive;fu il primo esempio in Italia di intervento in materia di contrattazione collettiva. 4.IL PERIODO CORPORATIVO In Italia l’avvento del fascismo interruppe lo sviluppo delle relazioni industriali.Si creò un sistema sindacale e contrattuale pubblicistico,completamente controllato dallo Stato.La legge 3 Aprile 1926 n.563 ammetteva formalmente la libertà sindacale,ma solo un sindacato di lavoratori e datori per ogni categoria poteva ottenere il riconoscimento legale dal Governo con attribuzione della personalità giurdica;era quindi tutto controllato dallo Stato.
  • 4. Una volta riconosciuti i sindacati avevano ex lege la rappresentanza di tutti i componenti della categoria,quindi i contratti collettivi da questi conclusi avevano efficacia erga omnes.Il conflitto era represso penalmente come reato contro l’economia nazionale. 5.LA FASE TRANSITORIA (1943-1947) E LA COSTITUZIONE Dopo la caduta del fascismo (25 Luglio 1943) uno dei primi atti del Governo Badoglio fu quello di abrogare le corporazioni e le istituzioni tipiche della fase corporativa. Il modello costituzionale si fonda sulla valorizzazione del lavoro come criterio ordinatore generale dei rapporti tra Stato e società,e come fondamento di una partecipazione dei lavoratori alla vita produttiva e sociale;questo spiega la serie di diritti riservati esclusivamente ai lavoratori subordinati. L’articolo 39 sancisce tre principi fondamentali: a) la libertà sindacale come fondamento delle relazioni industriali (comma 1); b) la registrazione del sindacato come presupposto per acquisire la capacità di stipulare contratti collettivi efficaci per tutti gli appartenenti alla categoria cui si riferiscono; c) l’attribuzione di tale capacità contrattuale a rappresentanze unitarie dei sindacati registrati,in proporzione dei loro iscritti. La valorizzazione del sindacato è rafforzata dal riconoscimento dello sciopero (art.40),privilegiato rispetto alla serrata. 6.LA CRISI DEL MODELLO COSTITUZIONALE La crisi del modello dell’art. 39 si ha già con la rottura dell’unità sindacale (1948).Comune a tutti i sindacati è la paura di un controllo pubblico sulla propria organizzazione e sullo sciopero,la disciplina dell’ordinamento sindacale si sposta così nel diritto privato;il sindacato è quindi un’associazione non riconosciuta,sottratta a disciplina legislativa. 7.LO STATUTO DEI LAVORATORI L’impulso decisivo al superamento della prospettiva costituzionale del riconoscimento giuridico avviene nel 1970 con lo Statuto dei lavoratori.Il campo di intervento stavolta è l’azienda,all’interno della quale il sindacato è il centro di contropotere.La legge è limitata alla realtà industriale della fabbrica,e non si riferisce alle piccole realtà produttive. 8.CONCERTAZIONE SOCIALE E INTERVENTO PUBBLICO.A)LO SCAMBIO POLITICO NELL’EMERGENZA DEGLI ANNI ‘70 Nel corso degli anni ’70 matura un profondo cambiamento nel ruolo dello stato rispetto alle relazioni industriali,che diventa infatti elemento fondamentale delle dinamiche delle relazioni industriali.
  • 5. 9.B)LE AMBIVALENZE DEGLI ANNI ‘80 La rottura del 1984 (Protocollo di San Valentino) è solo un segnale delle difficoltà di praticare in Italia lo scambio politico.Si sviluppano tendenze liberiste,superati gli anni delle grosse crisi. 10.C)CONCERTAZIONE SOCIALE E STABILIZZAZIONE ECONOMICA NEGLI ANNI ‘90 Gli anni ’90 sono dominati,anche per i rapporti sindacali, dai problemi del risanamento e della stabilizzazione economica,aggravati dal peso del debito pubblico ereditato dal passato,e dall’inflazione. Con l’accordo del 31 Luglio 1992 i sindacati accettano l’abolizione di un istituto storico come la scala mobile,che aveva retto per tutto il dopoguerra;ma la tappa più significativa è segnata dall’accordo del 23 LUGLIO 1993,considerato la prima costituzione delle relazioni industriali italiane,che sancisce la partecipazione dei sindacati confederali alle decisioni macroeconomiche dell’esecutivo,e sostituisce il meccanismo automatico della scala mobile con quello della politica dei redditi. B) FUNZIONI E ISTITUZIONI PUBBLICHE NEL DIRITTO SINDACALE 1.L’INTERVENTO PUBBLICO NELLE RELAZIONI INDUSTRIALI L’intervento dello Stato e dei pubblici poteri nelle relazioni industriali ha avuto storicamente un’importanza sempre rilevante.Attualmente vi sono varie funzioni dello Stato rilevanti per le relazioni industriali: la funzione programmatoria e di governo; la funzione legislativa; la funzione decisoria, che si esplica attraverso la giurisprudenza ordinaria; la funzione conciliativa e mediatoria; le funzioni assistenziali o di welfare; le funzioni di gestione diretta dei rapporti di lavoro.Analogamente sono molteplici gli organi di intervento: oltre a governo, parlamento, magistratura ed enti locali, operano altri organi di rilevanza costituzionale (il CNEL),e organi del ministero del lavoro 2.LE FUNZIONI DELLO STATO NELLE RELAZIONI INDUSTRIALI: LA FUNZIONE MEDIATORIA E CONCILIATIVA L’esercizio di tale funzione può limitarsi a mettere in contatto le parti,a favorire il chiarimento delle posizioni reciproche, a esplorare punti di convergenza.Rientra nelle competenze del Ministero del lavoro e degli organi periferici 3.LA FUNZIONE ASSISTENZIALE (O DI “WELFARE”) Si esprime in una vasta serie di interventi legislativi,amministrativi e finanziari,relativi all’intera gamma dei rapporti sociali e impegna una consistente fetta delle risorse nazionali.Sono da segnalare
  • 6. tre tipi di intervento: quelli di previdenza, di sicurezza e assistenza sociale in senso stretto: gli aiuti alle imprese; gli interventi di politica fiscale. 4.LA FUNZIONE DI DATORE DI LAVORO Tale funzione è svolta direttamente nel pubblico impiego,che a causa dei risultati insoddisfacenti del settore pubblico ha portato alla privatizzazione,sia nelle aziende pubbliche,sia nel rapporto di impiego. 5.LA FUNZIONE PROGRAMMATORIA La programmazione è considerata lo strumento per eccellenza di guida pubblica delle politiche economiche e sociali: un rilievo particolare lo ha assunto l’intervento dello stato nella dinamica dei redditi, diretto cioè a predeterminare gli aumenti dei redditi da lavoro e anche dei prezzi,soprattutto a fini di contenimento dell’inflazione. 6.GLI ORGANI E LE ISTITUZIONI NAZIONALI a) Il CNEL (Consiglio nazionale dell’ economia e del lavoro),previsto dall’art.99 Cost. e tutelato da diverse leggi,ha compito di consulenza nei confronti delle camere e del governo,di iniziativa legislativa e di contributo all’elaborazione della legislazione economica e sociale. b) Il Ministero del lavoro ha avuto tradizionalmente competenza amministrativa generale in materia di lavoro e di sicurezza sociale.Operano diverse commissioni,composte di rappresentanti dei lavoratori e dei datori.Al ministero restano compiti di indirizzo,di controllo e vigilanza,esercitati attraverso l’Ispettorato del lavoro. c) Organismi a composizione tripartita. d) Il governo,coinvolto nelle relazioni industriali con forme diverse. 8.L’INTERNAZIONALIZZAZIONE DELL’ECONOMIA E GLI ORGANISMI INTERNAZIONALI L’internazionalizzazione dell’economia riduca progressivamente il ruolo dello Stato nelle relazioni industriali;sono state fondate quindi forme di autorità sopranazionale per regolare questi rapporti: a) L’Organizzazione Internazionale del Lavoro (OIL),del 1919 con sede a Ginevra, è l’organismo con competenze generali,soprattutto normative e di assistenza in materia di lavoro,svolte per migliorare le condizioni sociali e del lavoro. b) Il Consiglio d’Europa,del 1949, che ha elaborato la Convenzione europea dei diritti dell’ uomo e delle libertà fondamentali.Ha elaborato anche la Carta sociale europea che sancisce diversi principi fondamentali in materia di lavoro: diritto al lavoro,alla retribuzione,ecc.
  • 7. 9.IL DIRITTO DEL LAVORO E LE ISTITUZIONI EUROPEE L’Europa è la prima area del mondo sviluppato che si è data organismi e progressivamente un vero ordinamento sopranazionale,competente anche per i rapporti di lavoro.La Commissione ha il compito di promuovere la consultazione delle parti sociali a livello comunitario. CAPITOLO II: L’ORGANIZZAZIONE DEI LAVORATORI E DEGLI IMPRENDITORI 1. Linee generali: le caratteristiche organizzative dei sindacati dei lavoratori e degli imprenditori risultano strettamente influenzate dalle vicende storiche e dal contesto generale dei rapporti di lavoro che si realizza in ciascun sistema. Un dato tipico della situazione italiana è lo sviluppo tardivo dell’organizzazione sindacale, a causa del ritardo del processo di industrializzazione nel nostro paese, oltre che per la generale fragilità del nostro sistema economico e la debolezza del mercato del lavoro; un altro carattere è la forte politicizzazione, intesa sia come connotazione ideologica sia come connessione con gli stessi partiti politici. Da notare che, nel caso italiano, la struttura delle organizzazioni imprenditoriali si è modellata su quella dei sindacati dei lavoratori. 2. I modelli organizzativi: esiste una duplice linea organizzativa in ogni centrale sindacale: verticale e orizzontale. La prima ha quale elemento di aggregazione l’appartenenza dei lavoratori, e delle imprese da cui dipendono, allo stesso settore o categoria produttiva (es. sindacato dei tessili, dei metalmeccanici, ecc…); la seconda, invece, comprende tutti i lavoratori e le imprese (nonché gli organismi verticali) dei vari settori merceologici presenti in un determinato ambito geografico. Entrambe le linee organizzative non solo coesistono e s’intersecano entro ogni sindacato, ma consistono ciascuna di varie strutture o istanze, di diversa dimensione, dal luogo di lavoro, alla zona territoriale circoscritta fino all’ambito nazionale. Le confederazioni rappresentano il vertice sia delle strutture orizzontali (s.o.) che di quelle verticali (s.v.); le tre maggiori sono: la CGIL, la CISL, la UIL. Eguale importanza le strutture orizzontali hanno nell’organizzazione degli imprenditori. 3. L’organizzazione sindacale: evoluzione storica: l’evoluzione sindacale nel secondo dopoguerra segue fasi significative per l’intero assetto delle nostre relazioni industriali: 1)Periodo ’48-58: per oltre un decennio le condizioni socio-politiche (tensioni sociali, politiche pubbliche di controllo e repressione sindacale) ed economiche (forte disoccupazione) contribuiscono a mantenere il sindacato in situazione di debolezza organizzativa e di divisione politica. 2) Anni della crescita: con il boom economico, la crescita comporta un rafforzamento della posizione dei lavoratori sul mercato del lavoro, in particolar modo nei settori dell’industria di massa; a ciò contribuisce il mutato quadro politico, l’atteggiamento dei pubblici
  • 8. poteri, più favorevole all’organizzazione sindacale, e la modernizzazione sociale. La CGIL, la CISL e la UIL si avvicinano; vi è più interesse ai temi dell’impresa e della contrattazione aziendale. 3) Decennio ’80: a causa di una diffusa crisi economica a livello internazionale, che determina fenomeni di ristrutturazione e innovazione produttiva, questa fase presenta tendenze contrastanti. 4) Decennio ’90: il decennio ’90 eredita dal passato i fattori di crisi di rappresentatività del sindacato specie confederale, e questo rende più urgente la modifica delle regole del gioco prevedendo criteri di rappresentatività effettivi dell’organizzazione sindacale; il tutto è reso ancor più complesso dalla concorrenzialità tra sigle sindacali, sviluppatasi sia all’esterno delle grandi centrali confederali, sia all’interno delle stesse. 4. L’attuale struttura organizzativa del sindacato: l’attuale struttura organizzativa risulta basata su quattro livelli: 1)Alla base stanno le strutture presenti nei luoghi di lavoro (delegati nel settore privato, sezioni sindacali o simili nel settore pubblico). 2) Il secondo livello è quello provinciale o comprensoriale. Qui sono presenti le s.v., i sindacati provinciali delle varie categorie e le strutture orizzontali, variamente denominate: Camere del Lavoro per la CGIL, Camera sindacale per la UIL, Unioni sindacali per la CISL. 3) Il livello regionale, sia orizzontale, sia di categoria, di più recente costituzione, è provvisto di poteri crescenti anche in corrispondenza del decentramento amministrativo e regionale. 4) In ambito nazionale operano le strutture di vertice dell’intera organizzazione, le federazioni nazionali di categoria e la confederazione. La distinzione tra s.o. e s.v. si basa su una fondamentale divisione di compiti nel sindacato: alle s.o. spetta di fissare gli indirizzi essenziali di politica sindacale, economica, contrattuale per tutta l’organizzazione, di cui rappresentano tendenzialmente l’istanza di direzione politica e di rappresentanza nei confronti dei poteri pubblici. Le s.v. sono competenti per la conduzione dell’attività contrattuale e delle iniziative di rilievo settoriale. Per quanto riguarda la tipologia degli organi delle varie strutture, essa riproduce quella usuale delle associazioni. Le principali fonti di finanziamento dei sindacati sono: la quota tessera, principale introito delle centrali confederali, i contributi associativi, e la quota di servizio. L’elemento distintivo del sindacalismo italiano è la sua organizzazione su basi pluralistiche, vale a dire in organizzazioni distinte a seconda di concezioni culturali, ideologiche e ascendenze politiche. CGIL = componenti/ispirazioni legate ai partiti della sinistra italiana (socialista e comunista) CISL = ispirazione cattolica e a lungo collaterale alla DC, anche lavoratori di aree diverse UIL = componenti socialiste, repubblicane e socialdemocratiche Il luglio 1972 vede la nascita della federazione CGIL-CISL-UIL attraverso un Patto federativo, momento culminante di avvio all’unità organica, da sempre un traguardo di difficile raggiungimento a causa delle divisioni sul ruolo del sindacato e sui rapporti con i partiti politici; nonostante questo, i contrasti degli anni
  • 9. ’80, culminanti nella rottura dell’84 fra CGIL, CISL e UIL sull’accordo antinflazione, hanno portato allo scioglimento della federazione. 5. L’organizzazione dei lavoratori nei luoghi di lavoro: sviluppo storico: l’espressione degli interessi collettivi dei lavoratori in azienda è stata, dalle origini fino agli anni ’60, affidata ad una rappresentanza, la commissione interna (CI), strutturalmente diversa dal sindacato, in quanto costituita non su base associativa come questo, ma elettivamente da tutti i lavoratori dell’azienda; la CI è una forma rappresentativa unitaria e necessaria: compito generale di questo organismo era di “mantenere normali rapporti tra i lavoratori e la direzione dell’azienda per il regolare svolgimento dell’attività produttiva, in uno spirito di collaborazione”. In risposta all’esigenza di avere una diretta presenza organizzata in azienda, senza il tramite delle CI, arrivano le sezioni sindacali aziendali; tuttavia queste non riuscirono a diffondersi al di fuori di poche aziende industriali, anche perché non erano riconosciute come strutture con pieni poteri sindacali. Vi sono poi i delegati di fabbrica, i cui caratteri principali sono di essere eletti in modo unitario da un gruppo ristretto di lavoratori collocato nella stessa condizione produttiva; l’insieme dei delegati forma il Consiglio di fabbrica (CdF). 6. L’attuale organizzazione dei lavoratori nei luoghi di lavoro: il Protocollo del luglio 1993 definisce i compiti e le modalità costitutive delle nuove strutture di base, le c.d. Rappresentanze sindacali unitarie (RSU). Le RSU hanno competenze generali di tutela collettiva dei lavoratori in azienda, compresa la titolarità contrattuale, nei limiti delle competenze attribuite dal contratto collettivo nazionale a quello decentrato. Le RSU sono composte da delegati in numero proporzionale ai voti ricevuti da ciascuna lista; tuttavia, le organizzazioni stipulanti il contratto nazionale si assicurano la designazione di un terzo dei delegati, in modo da garantirsi il controllo della struttura. La RSU è organo dell’insieme dei lavoratori e funge al tempo stesso da struttura comune di rappresentanza dei sindacati in azienda; resta tuttavia confermata la tradizione del c.d. “canale unico” sindacale di rappresentanza, per cui gli organismi rappresentativi sono controllati dal sindacato ed hanno la totalità delle competenze di autotutela collettiva in azienda, a differenza della maggioranza dei paesi europei che predilige il canale “doppio” o “plurimo” di rappresentanza, ove si distingue fra rappresentanze sindacali in senso stretto e organismi eletti da tutti i lavoratori. 7. L’organizzazione degli imprenditori in generale: l’organizzazione degli imprenditori è un fenomeno storicamente indotto, o di risposta, rispetto al sindacato dei lavoratori e ne riproduce i tratti organizzativi generali: doppia linea organizzativa, prevalenza delle strutture orizzontali, tradizionale accentramento. CONFINDUSTRIA = organizzazione imprenditori industriali CONFCOMMERCIO = organizzazione imprenditori del commercio CONFAGRICOLTURA = organizzazione imprenditori dell’agricoltura
  • 10. Organizzazioni delle imprese a partecipazione statale = Intersind (imprese del gruppo IRI) – Asap (imprese del gruppo ENI). L’Aran (Agenzia per la rappresentanza negoziale) ha due scopi: a) sostituire le varie delegazioni di parte pubblica, politicizzate e precarie, con un’unica controparte, tecnica e stabile; b) contribuire a dare piena efficacia alla contrattazione collettiva ormai di diritto comune. 8. La Confindustria: la Confindustria è l’organizzazione imprenditoriale più consistente: le imprese associate operano nell’industria e nel c.d. terziario avanzato (trasporti, comunicazioni, turismo). Più della metà delle imprese rappresentate impiegano meno di 10 dipendenti. Le strutture portanti (orizzontali) sono le associazioni territoriali (più o meno una provincia); a queste fanno capo tutte le imprese della provincia, che spesso non aderiscono alla loro organizzazione (verticale) di categoria. La principale attività svolta dalle associazioni territoriali è l’assistenza fornita alle aziende in materia di contrattazione, applicazione dei contratti e delle leggi sul lavoro e composizione delle controversie relative. Le federazioni di categoria (di cui la Federmeccanica è la più importante) svolgono un ruolo significativo nella preparazione e conduzione delle tornate contrattuali nazionali, nonché nell’indirizzo della contrattazione decentrata. La struttura organizzativa della Confindustria (assemblea, giunta, consiglio direttivo e presidente) la rende simile ad una associazione; sono previsti tre comitati particolari, con funzioni consultive (comitato per le piccole imprese; comitato per il mezzogiorno; comitato dei giovani industriali). Decisivo è il ruolo della presidenza. 9. Organizzazioni sindacali a livello internazionale e comunitario: la CISL (Confederazione Internazionale dei Sindacati Liberi) è l’organizzazione sindacale internazionale più rappresentativa dei lavoratori. A livello verticale si sono sviluppate federazioni internazionali di categoria, con compiti di coordinamento dell’azione sindacale. La CES (Confederazione Europea dei Sindacati) rappresenta oltre trenta organizzazioni. Non esistono centrali internazionale degli imprenditori paragonabili a quelle dei lavoratori: gli imprenditori sono rappresentati all’OIL. L’UNICE (Unione delle Industrie della Comunità europea) raggruppa le organizzazioni padronali dei paesi membri per settori di attività. CAPITOLO III: LA LIBERTÀ SINDACALE 1. Norme nazionali ed internazionali: nel nostro ordinamento il riconoscimento della libertà sindacale si incentra sul sintetico disposto dell’art. 39 Cost, 1° comma (“l’organizzazione sindacale è libera”); a questo si aggiungono diverse fonti internazionali, tra cui le Convenzioni dell’Organizzazione Internazionale del Lavoro, n° 87 (libertà sindacale e protezione dei fenomeni sindacali in genere) e n° 98 (principio del diritto di organizzazione e di negoziazione collettiva nei rapporti interprivati e nei confronti dei datori di lavoro); inoltre la libertà di associazione e di attività sindacale trova spazio nella Convenzione europea per la
  • 11. salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali del 1950 e nella Carta sociale europea del 1961. Di fondamentale importanza sono pure le disposizioni dettate dallo Statuto dei lavoratori in materia sindacale; in modo particolare il titolo II della legge 300 costituisce una concreta articolazione del principio costituzionale con riguardo all’ambito endoaziendale [diritto di associazione e di attività sindacale nei luoghi di lavoro (art. 14), divieto di trattamenti discriminatori in ragione di affiliazione o attività sindacale (artt. 15 e 16), ecc…]. La libertà garantita a livello costituzionale all’organizzazione sindacale va oltre quella sancita in linea generale per il fenomeno associativo di cui all’art. 18 Cost. (infatti l’art 39 non considera il sindacato quale “associazione”, bensì quale “organizzazione”, allargando quindi la sfera d’azione anche a forme organizzatorie non necessariamente a carattere associativo, come ad esempio le CI e i CdF). 2. I contenuti dell’art. 39, 1° comma, Cost.: il profilo individuale e quello collettivo: l’art. 39, 1° comma , Cost. garantisce la libertà sindacale tanto ai singoli individui che ai gruppi organizzati. Profilo individuale: distinzione tra libertà sindacale positiva e libertà sindacale negativa; la prima consiste nella libertà per il singolo di costituire un sindacato, di aderirvi, di fare opera di proselitismo, di raccogliere contributi sindacali, di riunirsi in assemblea (Convenzione OIL n° 87 e art. 14 legge 300 1970 per garantirne l’attuazione nei luoghi di lavoro; a questo si lega l’art. 15 che decreta la nullità dei (p)atti discriminatori rivolti a colpire un lavoratore in ragione della sua adesione ad un’associazione sindacale). Alla lettera a dell’art. 15 è rinvenibile l’unico riferimento presente nella legislazione italiana alla libertà sindacale negativa, ossia la libertà del lavoratore di non aderire o di recedere dal sindacato; questo tipo di libertà non trova invece spazio nelle fonti internazionali, a causa dell’esistenza, specie su suolo anglosassone, di pratiche restrittive di tale libertà negativa (v. closed shop). Profilo collettivo: A) libertà di organizzazione del sindacato garantita sia a livello nazionale che internazionale, con conseguente libertà di scelta delle forme organizzative e delle regole che disciplinano l’assetto interno, oltre alla libertà di definire gli obiettivi e gli strumenti dell’attività sindacale, senza alcuna interferenza esterna; allo stesso modo è garantita la facoltà del sindacato di aderire ad organizzazioni complesse, sia a livello nazionale che internazionale; B) Libertà di privilegiare, all’interno dell’organizzazione sindacale, il ruolo e i poteri del vertice o della base, secondo le contingenti valutazioni di strategia e di opportunità; C) possibilità di valorizzare il ruolo di rappresentanza degli associati o piuttosto di rappresentanza dell’intera classe dei lavoratori; D) possibilità di privilegiare il confronto o con la controparte datoriale o con le pubbliche istituzioni, valorizzando all’interno del confronto un modello conflittuale o invece un modello cooperativo; E) libertà di azione sindacale e, in particolare, dell’azione contrattuale, come affermato nelle fonti internazionali (Convenzione OIL n° 98). La libertà sindacale, oltre che come libertà di organizzazione e di azione specie contrattuale, va intesa anche come libertà di lotta.
  • 12. 3. Il carattere “sindacale” dell’organizzazione protetta: è opportuno ora considerare quali organizzazioni e attività rientrino nella fattispecie “sindacale” prevista dal 1° comma dell’art. 39, e possano quindi godere di tutte le garanzie connesse a tale norma, dalla quale può solo desumersi un rinvio alla realtà sociale; un’attenta analisi del fenomeno sindacale mette in luce, innanzitutto, il c.d. profilo teleologico (o oggettivo), vale a dire il fine perseguito dalla fattispecie sindacale, che può essere individuato nella funzione di “autotutela di interessi connessi a relazioni giuridiche in cui sia dedotta l’attività di lavoro”: sotto questo aspetto la convergenza tra fenomeno sindacale e momento politico-partitico è più che netta, visto e considerato che entrambe le realtà insistono sugli stessi temi (gli interessi dei lavoratori); ed è qui che interviene un valido criterio discriminante, ossia le attività e gli strumenti impiegati dal fenomeno sindacale per il raggiungimento dell’obbiettivo preposto (profilo strumentale = organizzazione, contrattazione, sciopero). Per quanto riguarda il profilo soggettivo, basta dire che il concetto di “autotutela” implica pur sempre una gestione degli interessi collettivi posta in essere dagli stessi lavoratori o da espressioni immediate di loro rappresentanza. 4. La titolarità della libertà sindacale: questione della titolarità della libertà sindacale da parte degli imprenditori, in merito al fatto se tale attività debba ritenersi riconducibile, come quella dei lavoratori, alla tutela costituzionale dell’art. 39, 1° comma, o piuttosto se rimanga nell’ambito della libertà di associazione e di iniziativa economica (artt. 18 e 41 Cost.), con i limiti del caso. È opportuno considerare anzitutto le diversità tra l’attività sindacale dei lavoratori e degli imprenditori: 1) Sul versante dei lavoratori, l’attività sindacale è un fenomeno “collettivo”, mentre il datore di lavoro è soggetto sindacale anche come singolo. 2) Il contratto collettivo è inderogabile in peius dai singoli lavoratori, a conferma di una peculiare solidarietà di classe; è invece derogabile dal singolo datore di lavoro, a conferma di una maggiore autonomia del singolo rispetto al collettivo. Libertà sindacale dei lavoratori parasubordinati e autonomi: i primi trovano spiegazione nel processo espansivo del diritto del lavoro proteso ad estendere le proprie garanzie in direzione di ogni ipotesi di dipendenza sociale ed economica; per i secondi (i lavoratori autonomi), le istanze di tutela “sindacale” dei gruppi professionali, prima confluite all’interno degli organismi professionali, hanno successivamente indotto lo sviluppo collaterale di forme associative di natura privatistici con struttura e finalità peculiarmente sindacali. Libertà sindacale dei pubblici dipendenti: il riconoscimento della libertà sindacale ai pubblici dipendenti non è mai stato messo in discussione, visto che alla incondizionata portata precettiva della norma costituzionale ha subito fatto riscontro nella pratica il diffuso ingresso del sindacalismo nelle amministrazioni pubbliche; a completare l’opera è intervenuto il D. Lgs. n° 29/1993 che, nel privatizzare il rapporto di pubblico impiego, ha sancito la piena tutela della libertà e dell’attività sindacale nel settore pubblico.
  • 13. 5. La multidirezionalità della tutela dell’art. 39, 1° comma, Cost.: il riconoscimento costituzionale della libertà sindacale esplica i suoi effetti sia sul piano del diritto pubblico – garantendo l’immunità dell’organizzazione sindacale nei confronti dello Stato e dei pubblici poteri – sia su quello dei rapporti privati e soprattutto nei confronti del datore di lavoro. Per quanto riguarda i pubblici poteri, ad essi è quindi preclusa ogni possibilità di controllo o ingerenza nella sfera organizzativa e nella identità politico-ideologica dei sindacati; è altresì vietato ogni condizionamento autoritativo, che possa irreggimentare il sindacato e la sua azione secondo le linee della politica governativa. Il problema della garanzia nei confronti di interventi dei pubblici poteri si presenta riguardo alla libertà di contrattazione collettiva, ossia riguardo alla possibilità che iniziative di carattere legislativo o amministrativo modifichino o pongano limiti inderogabili agli accordi intervenuti tra le parti collettive. Oltre che nei confronti dei pubblici poteri, la libertà sindacale viene riconosciuta nei confronti dei datori di lavoro, i quali, in quanto detentori del potere economico e alcune prerogative in tema di organizzazione e controllo del lavoro, sono in grado di condizionare la presenza e le iniziative del sindacato, specie nel luogo di lavoro; sotto questo profilo, le manifestazioni della libertà sindacale incontrano un limite nelle esigenze organizzative dell’impresa: dunque, le istanze dell’imprenditore, antagonistiche rispetto a quelle sindacali, vengono salvaguardate, nel senso che queste non sono subordinate di diritto all’esercizio delle libertà sindacali. Non è quindi possibile parlare di lesione dei diritti sindacali da parte dell’imprenditore quando questi abbia agito nel rispetto di obiettive e razionali esigenze organizzative. CAPITOLO IV: I SINDACATI E LE ORGANIZZAZIONI IMPRENDITORIALI COME ASSOCIAZIONI NON RICONOSCIUTE 1. Fattispecie sindacale e associazione: la mancata attuazione dell’art. 39, 2ª parte, Cost. ha avuto due conseguenze sulla disciplina delle organizzazioni sindacali sia dei lavoratori che dei datori di lavoro: a) una accentuazione del loro carattere privatistici; b) la loro appartenenza al genere “associazioni non riconosciute”. Pur essendo proprio del sindacato, il carattere associativo non è necessario della fattispecie sindacale, il cui unico elemento qualificante è l’esercizio in forma organizzata di autotutela collettiva, attività questa che può essere svolta da coalizioni o gruppi occasionali, privi dei caratteri di stabilità e della strumentazione propri dell’associazione, oppure da organismi elettivi. 2. La disciplina codicistica delle associazioni: in quanto associazioni non riconosciute, sindacati e organizzazioni imprenditoriali sono assoggettati alla disciplina degli artt. 36, 37 e 38 del codice civile. Il principio base è sancito dal 1° comma dell’art. 36, secondo cui l’ordinamento interno e l’amministrazione
  • 14. delle associazioni non riconosciute sono regolati dagli accordi tra gli associati, ossia dalle regole interne dell’associazione, statuti e regolamenti che si ritengono riconducibili al consenso dei soci; le altre norme, invece, riguardano gli aspetti patrimoniali. Per quanto riguarda la questione del carattere di associazione non riconosciuta, si è giunti alla conclusione che, anche in assenza di questa, è possibile godere di soggettività giuridica, come capacità sia pur limitata e relativa di essere centro di imputazione di rapporti giuridici (l’unica differenza di spicco tra un’associazione riconosciuta ed una non riconosciuta è ravvisabile nella c.d. autonomia patrimoniale perfetta, propria solo della prima). L’art. 28 dello Statuto dei lavoratori riconosce al sindacato la legittimità ad agire in giudizio per la difesa dei propri interessi. 3. Rapporti interni e democrazia sindacale: l’assenza di una disciplina tipica dell’associazione sindacale ha un rilievo particolare in ordine ai rapporti interni del sindacato. Scarso rilievo giuridico dei problemi della tutela dei soci verso l’organizzazione. Il principio della democraticità interna del sindacato richiesto dall’art. 39 Cost., come condizione per la registrazione, deve ritenersi vigente anche per i sindacati di fatto, come condizione di qualificazione in quanto tali; in assenza di questo requisito, l’organizzazione non beneficerebbe della disciplina (in termini di diritti e poteri) riservata dall’ordinamento al sindacato. Tra le regole democratiche accettate dal sindacalismo, di fondamentale importanza sono: il carattere elettivo delle cariche sociali, il principio di maggioranza, la necessità che le decisioni generali per la vita dell’associazione siano di competenza di un organo assembleare, comprendente tutti i soci. 4. La giustizia interna dei sindacati: debole effettività e scarsa affidabilità degli organi giudicanti, la cui autonomia rispetto agli organi giudicanti, e agli organi c.d. politici del sindacato non è assicurata dalle scarne norme statutarie sull’incompatibilità. L’orientamento della giurisprudenza è rigorosamente astensionistico. Altrettanto incerta è pure l’operatività all’interno delle associazioni di alcuni diritti e garanzie costituzionali. 5. Controversie interne, ammissione al sindacato, rapporti tra associazioni di diverso livello: i rapporti tra organismi sindacali di diverso livello rilevano sia per la qualificazione della struttura associativa come tale, sia rispetto all’attività esterna del sindacato, per risolvere il delicato problema dei rapporti tra contratti collettivi di diversa ampiezza. Sotto il primo profilo si sono avanzate due tesi: una che configura il sindacato come associazione complessa in senso proprio, ossia come associazione di associazioni (inferiori), l’altra che ritiene preferibile la configurazione come insieme di associazioni parallele, a cui il singolo socio appartiene contemporaneamente. CAPITOLO QUINTO LA RAPPRESENTATIVITA’ SINDACALE
  • 15. 1.IL SOSTEGNO DEL SINDACATO RAPPRESENTAVIVO: IL SIGNIFICATO POLITICO, GLI AMBITI OGGETTIVI, LA NOZIONE DI SINDACATO RAPPRESENTATIVO La politica di promozione del sindacato contiene in sé la necessità di una delimitazione selettiva dei soggetti collettivi protetti,necessità questa che è stata a lungo soddisfatta dal richiamo alla figura del “sindacato maggiormente rappresentativo”,quale unico destinatario del sostegno legislativo e politico,in quanto capace di influenzare e governare vasti strati di lavoratori.”Maggiormente rappresentativo” è quel sindacato che presenta in modo sicuro la capacità di esprimere adeguatamente l’interesse del sottostante gruppo professionale,rispetto ad un ampia massa di lavoratori. Nel momento di massima ascesa del versante politico-legislativo,il s.m.r. comincia un lento ma irreversibile declino,per la sua incapacità di esprimere adeguatamente l’universo sempre più ampio e complesso degli interessi di lavoro. Già il Protocollo del 1993 supera il criterio dell’art.19 st.lav. ,che vede però un notevole cambiamento con il referendum del giugno 1995,con l’abrogazione parziale relativa al settore privato,e con quella completa nel settore pubblico.Solo per la Corte Costituzionale non scompare del tutto dal nostro ordinamento la maggiore rappresentatività,che conserva infatti rilevanza a fini extra-aziendali. 2.IL SINDACATO RAPPRESENTATIVO NEL VECCHIO ART.19,LETT.a): LA MAGGIORE RAPPRESENTATIVITA’ PRESUNTA E I SUOI INDICI DI RILEVAZIONE L’ elevato numero di iscritti non poteva bastare per conferire una patente di “maggiore rappresentatività”,senza la chiamata in causa di altri requisiti,che dottrina e giurisprudenza hanno osì individuato: 1) l’equilibrata presenza in un ampio arco di categorie professionali,non potendosi considerare m.r. una confederazione concentrata solo in alcuni settori o in una sola categoria; 2) la diffusione su tutto il territorio nazionale; 3) l’esercizio continuativo dell’azione di autotutela con riguardo a diversi livelli e a diversi interlocutori; 4) la reale capacità di influenza sull’assetto economico e sociale del Paese. In concreto,la giurisprudenza ha ritenuto maggiormente rappresentative le tre confederazioni CGIL,CISL e UIL. La lettera a) dell’art.19 St. lav. è stata quindi abrogata.
  • 16. 3.IL SINDACATO RAPPRESENTATIVO NELL’ART.19 ST.LAV. DOPO IL REFERENDUM: LA RAPPRESENTATIVITA’ “EFFETTIVA” E I DIRITTI SINDACALI Dopo l’abrogazione della lettera a) la norma predilige il collegamento esclusivo delle r.s.a. con associazioni sindacali firmatarie di contratti collettivi applicati nell’unità produttiva,ne emerge quindi una rappresentatività originaria,empiricamente verificabile;ne usciranno favorite le confederazioni storiche,poiché sono essenzialmente i grandi sindacati a stipulare contratti collettivi applicati nelle unità produttive. 4.PROFILI DI LEGITTIMITA’ COSTITUZIONALE DELL’ART. 19 ST.LAV. La Corte Costituzionale ha superato tutti i dubbi sull’incostituzionalità dell’art.19 con tre sentenze: una del ’74,una del ’88 e una del ’90. Nella sentenza n.54 del 1974,la Corte ha rilevato che l’art.19 e il titolo III St.lav. non interferiscono con la libertà sindacale,ma aggiungono alle prerogative di libertà ulteriori privilegi e benefici. Nella sentenza n.334 del 1988 i giudici hanno risolto i dubbi sulla rappresentatività a livello confederale,confermando la legittimità della disposizione statutaria,e la non lesione del principio di libertà sindacale. In seguito alla formulazione da parte della Corte di altre sentenze in materia,nasce l’esigenza di un’interpretazione rigorosa dell’art.19,tale da farlo coincidere con la capacità del sindacato di imporsi al datore di lavoro,direttamente o attraverso la sua associazione,come controparte contrattuale. Occorrerà quindi accertare la partecipazione attiva del sindacato al processo di formazione del contratto collettivo che regoli in modo organico i rapporti di lavoro,almeno per un settore o un istituto importante. 5.IL SINDACATO RAPPRESENTATIVO NELLA PIU’ RECENTE LEGISLAZIONE c.d. DI RINVIO: LA RAPPRESENTATIVITA’ “COMPARATA” Nella legislazione recente,la nozione di s.m.r. lascia il posto sovente ad una diversa formula,quella di sindacato comparativamente più rappresentativo.La rappresentatività comparata tenta di sopperire alla scarsa selettività della maggiore rappresentatività sindacale,ereditandone però le stesse finalità. 6.LA RAPPRESENTATIVITA’ DEL SETTORE PUBBLICO Il legislatore adotta una nozione di rappresentatività la cui unità di misura è la media tra dato associativo e dato elettorale,che rappresentano gli indici quantitativi per eccellenza: testimonianza della capacità di aggregare iscritti l’uno,e dell’idoneità a raccogliere consensi oltre alla cerchia degli associati l’altro.
  • 17. La rappresentatività appare quindi declinata sotto tre accezioni: sufficiente,comparata e complessiva. 7.IL SINDACATO RAPPRESENTATIVO E LE PUBBLICHE ISTITUZIONI Il sindacato magg. o comp. più rappresentativo appare presente anche in una serie di istituzioni o sedi pubbliche,dove non interviene in rappresentanza del personale occupato.Bisogna distinguere a riguardo: a) la presenza di organi di carattere prevalentemente consultivo o di collaborazione rispetto all’esercizio dei poteri tipici dello Stato; b) la partecipazione di tipo cogestivo in organi direttivi di enti pubblici destinati a svolgere attività in favore dei lavoratori; c) la partecipazione alle politiche di formazione professionale,mediante la costituzione di organismi paritetici bilaterali; d) la partecipazione informale del sindacato all’indirizzo politico generale nei due aspetti dell’attività legislativ e della politica economica e programmatoria. 8.IL SINDACATO RAPPRESENTATIVO E LA CONTRATTAZIONE Il nostro ordinamento non riconosce al sindacato rappresentativo una posizione privilegiata in sede di contrattazione collettiva nel settore privato.Va però chiarito che: a) le tre maggiori confederazioni CGIL,CISL,UIL, si trovano investite di un monopolio di fatto,delle trattive con le forze governative sui grandi temi che investono l’economia del paese,come gli Accordi Interconfederali; b) alcune leggi conferiscono al sindacato rappresentativo il potere di derogare, in via contrattuale,ad alcune norme di legge,rimettendo alla valutazione di quest’ultimo l’opportunità o meno di mantenere certi vincoli garantistici di tutela del singolo dipendente; c) nel settore pubblico il legislatore ha riconfermato il sindacato rappresentativo nel ruolo di interlocutore contrattuale esclusivo della p.a. 9.LA CRISI DELLA RAPPRESENTATIVITA’ SINDACALE E LE PROPOSTE DI RIFORMA Dalla metà degli anni ’80 il sindacalismo confederale registra una grave crisi di rappresentatività.Tra le prime cause,che sono molteplici,vanno annoverate la rivoluzione tecnologica,la terziarizzazione crescente dell’economia,l’accesa competitività nazionale. CAPITOLO VI: I DIRITTI SINDACALI
  • 18. 1. Ratio storico-politica dei diritti sindacali nell’impresa: il titolo II dello Statuto dei lavoratori ribadisce la poliedrica operatività del principio di libertà sindacale nei luoghi di lavoro, in polemica con concezioni volte a negare cittadinanza alle libertà costituzionalmente garantite nei rapporti interprivati e segnatamente nelle unità produttive; ovviamente la libertà di organizzazione sindacale non si esaurisce nel riconoscimento del momento associativo, ma si espande fino a consentire l’attivazione di ulteriori situazioni strumentali in grado di dinamicizzare l’azione sindacale. 2. Associazione e attività sindacale in azienda (art. 14): l’art. 14, che apre il titolo II della L. n° 300/1970, sancisce il diritto per tutti il lavoratori di costituire associazioni sindacali, di aderirvi e di svolgere attività sindacale nei luoghi di lavoro; questo articolo, insieme alla disciplina relativa agli atti e ai trattamenti economici collettivi discriminatori (artt. 15 e 16) e alla norma che pone il divieto di costituzione di sindacati di comodo (art. 17), costituisce la concretizzazione a livello aziendale del principio di libertà di organizzazione sindacale (art 39, 1° comma, Cost.). Comunque i diritti sindacali del tit. III rappresentano un’aggiunta alla libertà sindacale in azienda: infatti l’art. 14 garantisce pure il diritto di costituire e far operare in azienda, sia pur senza le garanzie previste dal titolo III, organizzazioni sindacali al di fuori dell’art. 19, con esclusione, naturalmente, dei sindacati di comodo (v. § 4); inoltre l’art. 14 tutela lo stesso pluralismo sindacale, garantisce protezione legislativa a forme di dissenso anche in momenti di organizzazione collettiva spontanea di carattere transitorio (comitati di sciopero, di lotta), nel rispetto però dei limiti posti dall’art. 18 (liceità dei fini, non segretezza). 3. Il principio di non discriminazione (artt. 15 e 16): l’art. 15 Stat. lav. costituisce la prima ampia consacrazione legislativa del principio di non discriminazione nel rapporto di lavoro: esso si riferisce alle discriminazioni per motivi sindacali, insieme a quelle per motivi politici e religiosi, e per ragioni di sesso, razza e lingua; è opportuno comunque sottolineare la distinzione tra il principio di eguaglianza e il principio di non discriminazione, poiché mentre il primo mira a realizzare una parificazione generale dei trattamenti tra i soggetti appartenenti ad un gruppo, il secondo mira a reprimere ipotesi di disparità legate a specifici motivi vietati. La fattispecie oggetto del divieto di discriminazione nell’art. 15 comprende atti diretti a: a) subordinare l’occupazione di un lavoratore alla condizione che aderisca o non aderisca ad una associazione sindacale ovvero cessi di farne parte; b) licenziare un lavoratore, discriminarlo nell’assegnazione di qualifiche o mansioni, nei trasferimenti, nei provvedimenti disciplinari per le ragioni indicate, nonché ogni altro atto o patto in grado di recare altrimenti pregiudizio al lavoratore per gli stessi motivi; sono esclusi solo i meri comportamenti materiali e le semplici manifestazioni di intenzioni, oltretutto per lo più non idonee a ledere gli interessi protetti. L’art. 16 vieta la concessione da parte del datore di trattamenti economici collettivi a carattere discriminatorio, ossia quei trattamenti più favorevoli corrisposti a gruppi di lavoratori in ragione del loro
  • 19. comportamento sindacale (sono dunque vietati i “premi” corrisposti a lavoratori che non abbiano scioperato o la maggiore retribuzione a coloro che non abbiano partecipato ad un’assemblea). Nel divieto degli artt. 15 e 16 vanno ricompresi anche gli atti c.d. omissivi del datore di lavoro (es. rifiuto di assumere, di promuovere, di concedere trattamenti economici). 4. Sindacati di comodo (art. 17): l’art 17 vieta a tutti i datori di lavoro, imprenditori e non (anche gli enti pubblici) nonché alle loro associazioni (sindacali e di altro genere) “di costituire o sostenere, con mezzi finanziari o altrimenti, associazioni sindacali di lavoratori”. Sono sindacati di comodo quelle organizzazioni, promosse o sostenute dai datori di lavoro, per avere un interlocutore all’apparenza antagonistico, ma in realtà addomesticato, con conseguente alterazione della dinamica sindacale. Per quanto riguarda la sanzionabilità del comportamento antisindacale, è scontato il ricorso all’art. 28, ma è altresì dubbio se il giudice possa spingersi sino ad una radicale eliminazione del gruppo costituitosi in violazione dell’art. 17; la tesi contraria si fonda sul riconoscimento che il gruppo sindacalmente non genuino gode pur sempre della tutela dell’art. 18 Cost., in quanto manifestazione di una più generale libertà di associazione. 5. Rappresentanze sindacali nei luoghi di lavoro (art. 19 St. lav; Protocollo 23 luglio 1993; Accordo Interconfederale 20 dicembre 1993; D.Lgs. n° 626/1994). 5.1 Le RSA: il tit. III dello Statuto dei lavoratori presenta il riconoscimento alle organizzazioni con taluni requisiti di rappresentatività di una serie di “diritti sindacali” ulteriori rispetto a quelli spettanti in via generale ad individui e organizzazioni sindacali. L’art. 19 disciplina il soggetto sindacale beneficiario di tali diritti – la RSA – che viene dotato di una legittimazione rafforzata ad operare nei luoghi di lavoro e cui viene conferita una serie di poteri e diritti regolati prevalentemente nel tit. III dello Statuto. Art. 19 pre-referendum abrogativo: diritto di costituire RSA “nell’ambito”: a) delle associazioni aderenti alle confederazioni maggiormente rappresentative sul piano nazionale; b) delle associazioni sindacali, non affiliate alle predette confederazioni, che siano firmatarie di contratti collettivi nazionali o provinciali di lavoro applicati nell’unità produttiva. Art. 19 post-referendum abrogativo (1995): “Rappresentanze sindacali aziendali possono essere costituite ad iniziativa dei lavoratori in ogni unità produttiva, nell’ambito delle associazioni sindacali che siano firmatarie di contratti collettivi di lavoro applicati all’unità produttiva”. Questione dell’ iniziativa dei lavoratori e della costituzione “nell’ambito di”: per quanto riguarda la prima, è importante notare che l’iniziativa costitutiva spetta ai lavoratori in quanto tali e non ai soli iscritti; in merito alla seconda condizione, invece, essa delinea l’esigenza di un minimum di istituzionalizzazione delle nuove realtà organizzative aziendali, esigenza connessa a due ordini di considerazioni: innanzitutto, l’opportunità di evitare abusi da parte di organismi in ipotesi costituiti allo scopo esclusivo o prevalente di
  • 20. usufruire di tutti i vantaggi statutari. In secondo luogo, l’esigenza di promuovere interlocutori stabili con i quali il datore di lavoro possa proficuamente, e sia pur conflittualmente, dialogare: Per poter godere dei benefici dello Statuto, la RSA deve venire innanzitutto: A)“Costituita nell’ambito di una associazione sindacale”: esigenza di vincolare l’organismo aziendale ad entità sindacali esterne all’azienda dalla struttura rigorosamente associativa. B) Tale associazione sindacale deve essere “firmataria di contratti collettivi”; criterio di rappresentatività tecnica ed effettiva; secondo la Corte Cost. deve trattarsi di un contratto normativo che “regoli in modo organico i rapporti di lavoro, anche in via integrativa, a livello aziendale, di un contratto nazionale o provinciale già applicato nell’unità produttiva”. C) Questi contratti collettivi devono essere “applicati nell’unità produttiva” di riferimento. 5.2 Le RSU: diversamente dalle RSA dell’art. 19 St. lav., le RSU si configurano quali strutture organizzate su base unitaria, elette dalla collettività aziendale. La loro costituzione è demandata infatti ad elezioni cui partecipano tutti i lavoratori (iscritti e non iscritti), con ammissione alla competizione anche di liste presentate da associazioni non rappresentative ex art. 19 St. lav., purché formalmente costituite con proprio statuto, nonché aderenti all’AI (Accordo Interconfederale) e forti della firma di almeno il 5% dei lavoratori dell’unità produttiva aventi diritto al voto. Le RSU sono costituite solo per 2/3 dei seggi da membri eletti a suffragio universale ed a scrutinio segreto tra liste concorrenti. Il restante terzo viene assegnato alle liste presentate dalle associazioni sindacali stipulanti il contratto collettivo nazionale di lavoro applicato nell’unità produttiva, in proporzione ai voti ottenuti. Il carattere unitario e almeno in parte elettivo della RSU rafforza il legame della medesima con la base dei lavoratori: essa è organo dell’insieme dei lavoratori, e funge al tempo stesso da struttura comune di rappresentanza e di sindacati nell’azienda, sostitutiva della RSA. La RSU è legittimata a negoziare per la stipula del contratto collettivo aziendale di lavoro; essa subentra a tutte le funzioni ed i poteri conferiti alle RSA per effetto delle disposizioni di legge, incluse quelle in tema di informazione e consultazione sindacale. 5.3 Le rappresentanze dei lavoratori per la sicurezza: l’art. 9 St. lav. aveva per la prima volta attribuito a tutti i dipendenti, in quanto parte della comunità di rischio, un generale diritto di promozione e controllo in tema di salute e sicurezza. La svolta si è avuta con l’istituzione, obbligatoria e generalizzata, nei settori privato e pubblico, del rappresentante dei lavoratori: si è stabilito che nelle aziende o unità produttive con più di 15 dipendenti, esso (il rappresentante) venga eletto o designato dai lavoratori tra i componenti le rappresentanze sindacali. Tra le prerogative e tutele di cui gode il rappresentante per la sicurezza vanno annoverate il diritto di informazione e consultazione preventiva sui temi dell’insicurezza, nonché la facoltà di ricorso alle autorità competenti in caso di inidoneità delle misure di sicurezza apprestate dal datore.
  • 21. 6. Il diritto di assemblea (art. 20): funzione dell’assemblea – come del referendum – è di permettere ai lavoratori, anche non appartenenti al sindacato, di partecipare alla elaborazione e decisione delle politiche contrattuali e sindacali. Ai sensi del 1° comma dell’art. 20 “i lavoratori hanno diritto di riunirsi nell’unità produttiva”: il potere di convocare l’assemblea è riservato a ciascuna RSA, che così può filtrare le domande provenienti dalla base, valutando quali di queste appaiano meritevoli di considerazione; anche le RSU hanno pieno diritto di convocare l’assemblea, una volta però subentrate alle RSA dei sindacati partecipanti all’elezione. L’assemblea deve riguardare “materie di interesse sindacale e del lavoro” (può dunque concernere anche tematiche di carattere non strettamente rivendicativo-aziendale, bensì politico in senso ampio, non invece aspetti che afferiscono esclusivamente al campo della politica. L’assemblea può svolgersi durante l’orario di lavoro nei limiti di 10 ore annue per ciascun lavoratore. 7. Il referendum (art. 21): il diritto di referendum serve a far emergere l’opinione dei lavoratori (iscritti e non) su determinate tematiche, con precise limitazioni: la facoltà di convocazione è riservata alle RSA (come per l’assemblea), che possono però esercitarla soltanto congiuntamente. I limiti posti alla disciplina di indizione dei referendum trovano giustificazione: a) nel garantire una qualche stabilità alle strategie ed opzioni del sindacato, evitando una continua esposizione al rischio di contestazioni da parte di lavoratori dissenzienti o di sindacati minoritari; b) nell’impedire una eccessiva proliferazione di consultazioni nei luoghi di lavoro, nell’interesse della parte datoriale. Oggetto: il referendum deve riguardare materie inerenti all’attività sindacale. Modalità: l’art. 21 dispone che il referendum debba tenersi in ambito aziendale e fuori dall’orario di lavoro. Efficacia: il rilievo del referendum è circoscritto al rapporto associativo tra lavoratore e sindacato. 8. Diritto di affissione (art. 25): il diritto di affissione compete alle RSA e si esercita “all’interno dell’unità produttiva” dove il datore di lavoro ha l’obbligo di predisporre appositi spazi che rendano esercitabile il diritto. La norma dispone che l’attività di affissione abbia ad oggetto pubblicazioni, testi e comunicati “inerenti a materie di interesse sindacale e del lavoro”. Resta discussa l’inesistenza di qualsiasi forma di autotutela da parte del datore di lavoro, soprattutto ove il documento ecceda i limiti stabiliti dalla legge, ovvero risulti offensivo, diffamatorio per il datore o in generale integri gli estremi di un reato. 9. Proselitismo e collette sindacali nei luoghi di lavoro (art. 26): l’art. 26 riconosce ai singoli lavoratori il diritto “di raccogliere contributi e di svolgere opera di proselitismo per le loro organizzazioni sindacali all’interno dei luoghi di lavoro, senza pregiudizio del normale svolgimento dell’attività aziendale”. L’attività di proselitismo non corrisponde ad una forma qualificata di propaganda, poiché comprende momenti ed aspetti operativi, volti a concretamente promuovere l’ingresso di nuovi elementi nell’organizzazione sindacale. Beneficiarie dell’attività di raccolta dei contributi e dell’opera di proselitismo
  • 22. sono, infatti, tutte le associazioni sindacali dei lavoratori, con la differenza, rispetto ai diritti di assemblea e di referendum, che la situazione attiva conferita al singolo non è subordinata all’esercizio di un potere da parte dell’organizzazione sindacale. Il proselitismo, nonché la raccolta di contributi aziendali, incontrano il limite “espresso” del rispetto del “normale svolgimento dell’attività aziendale”. 10. Locali per le RSA (art. 27): le rappresentanze sindacali hanno diritto ad utilizzare appositi locali per l’esercizio dell’attività sindacale, messi a disposizione dall’azienda. Da notare tuttavia il fatto che la disposizione di cui all’art. 27 distingue due ipotesi, la prima delle quali concernente le unità produttive con almeno 200 dipendenti: in esse è fatto obbligo al datore di lavoro di mettere a disposizione delle RSA permanentemente un idoneo locale comune all’interno dell’unità produttiva o nelle immediate vicinanze di essa. La seconda ipotesi riguarda le unità produttive con meno di 200 dipendenti, nel cui caso viene meno il requisito della permanente disponibilità, prevedendo invece la concessione di un idoneo locale per le riunioni che di volta in volta le RSA decideranno di tenere. 11. Permessi per i dirigenti sindacali aziendali (artt. 23 e 24): gli artt. 23 e 24 sono norme che beneficiano i dirigenti sindacali interni: in base a queste norme, la carica di dirigente sindacale aziendale dà diritto a permessi retribuiti (art. 23) e a permessi non retribuiti (art. 24). I primi sono concessi ai dirigenti delle RSA ovvero ai componenti della RSU, ove esistente, “per l’espletamento del loro mandato” (mandato = complesso delle attività e delle funzioni inerenti alla sfera di competenza delle strutture sindacali aziendali, quali organismi interni all’unità produttiva). I permessi non retribuiti dell’art. 24 sono, invece, concessi ai dirigenti di RSA o ai componenti di RSU che vi subentrino, oltre che alle oo.ss. aderenti alle associazioni stipulanti il CCNL “per la partecipazione a trattative sindacali o congressi e convegni di natura sindacale”. Le norme prevedono limiti circa i soggetti beneficiari e il numero delle ore di permesso usufruibili, che variano a seconda delle dimensioni dell’unità produttiva. 12. Permessi e aspettativa per i dirigenti sindacali esterni (artt. 30 e 31): a norma dell’art. 30 St. lav., i componenti degli organi direttivi nazionali e provinciali dei sindacati di cui all’art 19 St. lav. hanno diritto a permessi retribuiti, secondo le norme dei contratti di lavoro, per la partecipazione alle riunioni degli organi suddetti. I lavoratori che ricoprono cariche sindacali provinciali e nazionali, a norma dell’art. 31 1° e 2° comma, possono essere collocati, a richiesta, in aspettativa non retribuita, per tutta la durata del loro mandato. 13. Guarentigie per i dirigenti sindacali aziendali: l’art. 22 e l’art.18 commi 7°, 8°, 9° e 10° prevedono una tutela speciale a favore dei dirigenti sindacali in materia di licenziamenti e trasferimenti. In ordine al licenziamento, il lavoratore che riveste qualifica di dirigente sindacale riceve una tutela privilegiata di tipo processuale (venendo provvisoriamente reintegrato); inoltre, se il datore non ottempera all’ordinanza di
  • 23. reintegrazione viene condannato, oltre che a versare la normale retribuzione a favore del lavoratore, “anche, per ogni giorno di ritardo, al pagamento a favore del fondo adeguamento pensioni di una somma pari all’importo della retribuzione dovuta al lavoratore (art. 18, 10° comma). Il trasferimento, invece, dell’unità produttiva dei dirigenti delle RSA, dei candidati e dei membri di commissioni interne, ai sensi del 1° comma dell’art. 22, può essere disposto solo previo nulla-osta delle associazioni sindacali di appartenenza; la mancanza del nulla-osta rende inefficace (o meglio nullo) il provvedimento. 14. Campo d’applicazione del titolo III dello Statuto (art. 35): per l’art. 35, comma 1°, le disposizioni del titolo III, rispetto alle imprese industriali e commerciali, “si applicano a ciascuna sede, stabilimento, filiale, ufficio o reparto autonomo che occupa più di 15 dipendenti”; dette disposizioni si applicano anche alle imprese agricole che occupano più di 15 dipendenti. Il 2° comma dell’art. 35 precisa che al fine del raggiungimento della consistenza occupazionale indicata è sufficiente che l’impresa occupi più di 15 dipendenti nello stesso comune “anche se ciascuna unità produttiva, singolarmente considerata, non raggiunge tali limiti”. 15. Rappresentanza, diritti sindacali e partecipazione nel lavoro pubblico: sul versante del lavoro pubblico, il problema della rappresentanza e delle prerogative sindacali nei luoghi di lavoro ha avuto un’evoluzione storica tormentata e differente rispetto alla disciplina del settore privato; l’art. 42 D.Lgs. n° 165/2001 instaura un inedito sistema di verifica effettiva e democratica del consenso nei luoghi di lavoro. Il modello poggia su una duplicazione delle strutture base: le rappresentanze sindacali aziendali, da una parte, e gli organismi di rappresentanza unitaria personale, dall’altra. Per quanto riguarda le RSA del settore pubblico, esse non nascono ad iniziativa dei lavoratori, ma sono immediata e diretta espressione dei sindacati in possesso della rappresentatività minima del 5%; in merito ai nuovi organismi di rappresentanza unitaria del personale, l’art. 42, 3° comma consente la loro istituzione ad iniziativa anche disgiunta dei sindacati nel medesimo ambito costitutivo delle RSA, mediante elezioni aperte a tutti i lavoratori. Le RSU sono elette a suffragio universale e voto segreto con apertura del meccanismo elettorale anche ad organizzazioni sindacali non rappresentative; la ripartizione dei seggi deve avvenire secondo il “metodo proporzionale”; sul piano delle tutele statutarie, i componenti della RSU sono pienamente equiparati ai dirigenti di RSA, mentre su quello dei diritti e delle prerogative collettive, tutto è rinviato agli accordi sulla costituzione ed il funzionamento delle RSU, chiamati altresì a trasferire ai componenti eletti della rappresentanza unitaria le garanzie spettanti alle rappresentanze aziendali delle organizzazioni stipulanti o aderenti ai succitati accordi. 16. Diritti di informazione e controllo: al di fuori dello Statuto, uno degli sviluppi più significativi in tema di diritti sindacali riguarda i c.d. diritti di informazione, di consultazione e di controllo rispetto a scelte organizzative o a politiche economiche e industriali dell’impresa. Essi possono avere origine diversa e si
  • 24. legano alla tematica generale della partecipazione del sindacato alle scelte imprenditoriali. Lo sviluppo maggiore dei diritti in questione si ha nella contrattazione collettiva. Il diritto sindacale di informazione, consistente nella semplice comunicazione di conoscenze al sindacato; in taluni contratti collettivi, detto diritto sfocia poi nell’obbligo dell’imprenditore di sottoporre la materia ad esame congiunto con la controparte, soprattutto in relazione alle conseguenze delle scelte aziendali sulle condizioni di lavoro e sull’occupazione. L’informazione si articola a diversi livelli – nazionale, regionale, provinciale, d’impresa o di gruppo di impresa – e coinvolge diversi soggetti: i sindacati nazionali di categoria che hanno sottoscritto il contratto, le loro articolazioni regionali o provinciali, le RSA o RSU; oggetto delle informazioni sono, generalmente, le questioni riguardanti l’organizzazione produttiva, il decentramento, le strategie aziendali. CAPITOLO SETTIMO 1.L’IMPORTANZA DELL’ART. 28 La protezione legislativa della libertà,dell’attività sindacale in azienda e del diritto di sciopero si realizza nel modo più ampio,e con la massima effettività,nell’art.28 St.lav.,vera norma di chiusura della legge,che prevede uno speciale procedimento giurisdizionale repressivo della condotta antisindacale del datore di lavoro. 2.LA FATTISPECIE E IL SOGGETTO ATTIVO La condotta antisindacale è identificata dall’art.28 nei “comportamenti del datore di lavoro diretti a impedire o limitare l’esercizio della libertà e dell’attività sindacale nonché del diritto di sciopero”.Soggetto attivo della condotta vietata è quindi il datore di lavoro,a prescindere che sia o non sia imprenditore,privato o pubblico e indipendentemente dal numero di lavoratori alle sue dipendenze.La condotta antisindacale è rilevante ex art.28 anche se posta in essere non personalmente dal datore,ma dai soggetti che secondo l’organizzazione dell’azienda svolgono attività ad esso imputabile. L’illecito è imputabile solo e direttamente al datore. 3.IL COMPORTAMENTO Il comportamento illegittimo è individuato nell’art.28 solo per l’idoneità a ledere i beni protetti: libertà,attività sindacale,diritto di sciopero,è quindi strutturalmente aperto;infatti i beni protetti possono essere lesi nella pratica da comportamenti diversi,non tipizzabili a priori.Il termine comportamento esclude ogni qualificazione giuridica dell’atto,e comprende quindi anche i meri comportamenti materiali del datore (intimidazioni,minacce,ecc.),a conferma della maggior
  • 25. ampiezza dell’art.28 rispetto all’art.15.Nel divieto rientrano anche comportamenti antisindacali,come la serrata,riduzioni o sospensioni di orario,presi nei confronti della generalità dei dipendenti. 4.I BENI PROTETTI L’elemento centrale della fattispecie è la lesione della “libertà,attività sindacale e diritto di sciopero”. La dottrina e la giurisprudenza hanno rifiutato le prime teorie restrittive secondo cui la norma tutelerebbe solo i diritti collettivi esplicitamente riconosciuti dalla Legge 300,a causa proprio dell’ampiezza della formula normativa che si riferisce ai diritti sindacali elementari nella loro forma più estesa. Quindi si ha condotta antisindacale non solo quando sono violati diritti sindacali formalmente riconosciuti dallo Statuto,ma anche quando si colpiscono uno o più lavoratori singoli per l’esercizio dei diritti della libertà sindacale,e diritto di sciopero di cui sono titolari. 5.I LIMITI DELL’ANTISINDACALITA’. ANTISINDACALITA’ GIURIDICA E DI FATTO Non tutti i comportamenti antagonistici del sindacato sono antisindacali dal punto di vista giuridico. In genere,sono illeciti i comportamenti del datore ostativi di attività sindacale e di scioperi svolti con modalità riconosciute dall’ordinamento,o di comportamenti che si muovono nella sfera generica della libertà sindacale,e come tali protetti. Sono invece esenti da censura i comportamenti motivati da reazioni a comportamenti illeciti o non protetti dei lavoratori a) Antisindacalità ed interesse dell’impresa Nascono delle controversie sui comportamenti del datore attinenti alla gestione dell’impresa,ma bisogna escludere che basti qualsiasi interesse aziendale a giustificare il comportamento del datore e ad escludere l’applicabilità dell’art.28.Perché sia così,il comportamento oltre a dover essere giustificato i n modo conclusivo,si deve escludere che sia diretto a contrastare l’esercizio dei diritti protetti dalla norma. b) Reazioni allo sciopero L’art.28 protegge il diritto di sciopero da ogni comportamento ostativo,ma senza entrare nel merito dei limiti del suo esercizio.Limiti che sono quelli posti dalla giurisprudenza,sia quanto alle modalità,sia quanto agli obiettivi. c) Comportamenti nelle trattative Si ritiene che il rifiuto di trattare o il comportamento ostruzionistico non costituisce in sé condotta antisindacale,perché non esiste nel nostro ordinamento un obbligo legale di trattare in capo
  • 26. all’imprenditore.La condotta del datore è reprimibile ex art.28,solo quando un obbligo a trattare si desume da specifiche disposizioni di legge,o anche di contratto collettivo. d) Violazione dei diritti sindacali contrattuali Una serie di problemi si verifica quando il datore viola diritti riconosciuti al sindacato dalla stessa contrattazione collettiva,non dalla legge.La norma protegge l’esercizio dei diritti sindacali quali si configurano e sono riconosciuti dall’ordinamento,in questi rientrano quelli che fanno parte dell’area protetta di attività sindacale attraverso il tramite di autonomia collettiva,che è riconosciuta dal nostro sistema costituzionale come fonte di disciplina dei rapporti di lavoro. La violazione della parte normativa del contratto riguardante la disciplina dei rapporti individuali non è reprimibile ex art.28. 6.LA IRRILEVANZA DI ELEMENTI SOGGETTIVI L’art.28 dispone che i comportamenti antisindacali del datore di lavoro devono essere “diretti a impedire o limitare” l’esercizio dei diritti sindacali protetti;si deve quindi ritenere che sia sufficiente accertare la obiettiva portata lesiva del comportamento,cioè la sua idoneità a ostacolare l’esercizio dei diritti,a prescindere dall’esistenza di dolo o colpa. 7.LEGITTIMAZIONE AD AGIRE E INTERESSI PROTETTI DALL’ART.28 a) I soggetti legittimati Innovazione fondamentale dell’art.28 è il riconoscimento della legittimazione a un soggetto collettivo,precisamente agli “organismi locali delle associazioni sindacali nazionali,che vi abbiano interesse”.La specificazione di quali siano gli organismi locali delle associazioni nazionali sembra doversi desumere dagli statuti interni di queste.In principio si tratterà degli organi territoriali di categoria e non di quelli orizzontali;inoltre si dovrà decidere quale sia il livello sindacale legittimato. b) Questioni di costituzionalità Il limite della legittimazione attiva agli organismi locali dei sindacati nazionali ha sollevato problemi di costituzionalità;le obiezioni si sono fondate in vario modo sugli articoli 24; 2; 3 e 39 della Cost.Il nucleo argomentativi comune è che la scelta del legislatore non limita in alcun modo i diritti individuali e collettivi di libertà sindacale,ma attribuisce a soggetti qualificati uno strumento di azione giudiziaria di particolare efficacia. 8.IL PROCEDIMENTO Il procedimento previsto dall’art.28 ha carattere d’urgenza,fondato su un’istruttoria minima (audizione delle parti) da concludersi in tempi brevi,anche se il termine dei due giorni è ordinatorio e di fatto è largamente superato.L’ azione si propone con ricorso al Tribunale del
  • 27. luogo ove è posto in essere il comportamento denunciato;l’ordine del giudice (decreto motivato) che sanziona l’eventuale condotta antisindacale,è immediatamente esecutivo,e comporta la “cessazione del comportamento illegittimo” lesivo dei beni protetti e “rimozione degli effetti” lesivi già realizzati,ripristinando il libero godimento degli stessi beni.Il giudice però non ha per il nostro ordinamento il potere di creare norme astratte. 9.LE SANZIONI La sanzione penale posta a carico del datore di lavoro,per l’inosservanza dell’ordine del giudice,ai sensi dell’art.650 (arresto fino a 3 mesi o ammenda fino a L.400000) è un altro fattore decisivo di effettività della norma. La sanzione si può infliggere solo se il giudice penale,riesaminando se il comportamento sia davvero antisindacale,lo condanna sulla base del provvedimento del giudice civile. 10.L’ART.28 E IL PUBBLICO IMPIEGO E’ stato a lungo controverso se ed in quali limiti l’art.28 St.lav. sia applicabile nel pubblico impiego. Alle soglie del decennio ’90 è intervenuto in materia il legislatore con l’intento di fornire un sistema certo e razionale in tema di tutela giurisdizionale dei diritti sindacali. CAPITOLO VIII: LA CONTRATTAZIONE COLLETTIVA 1. La contrattazione collettiva in generale: la contrattazione collettiva consiste nel processo di regolamentazione congiunta (sindacati-padronato) dei rapporti d lavoro; la struttura e i contenuti della contrattazione collettiva sono strettamente correlati e dipendono largamente da altri aspetti del sistema di relazioni industriali, quali la struttura del sistema produttivo, la struttura del mercato del lavoro, il ritmo dello sviluppo economico, i caratteri dell’intervento statale. Si è diffusa nel tempo la tendenza ad adottare una nozione lata di contrattazione collettiva, fino a ricomprendervi tutto l’insieme dei rapporti, anche non strettamente negoziali, e più o meno formali, che intercorrono fra i diversi agenti del sistema di relazioni industriali, in ordine alla regolamentazione dei rapporti di lavoro. Modalità e procedure della contrattazione sono in Italia scarsamente formalizzate; gli attori sono, per parte dei lavoratori, le organizzazioni maggiormente (o comparativamente più) rappresentative ai vari livelli; le trattative vedono frequentemente l’intervento mediatore di organi pubblici. L’accordo raggiunto è condizionato alla ratifica dei lavoratori nelle aziende. È inoltre diffusa la pratica del referendum per l’approvazione sia delle piattaforme sia degli accordi.
  • 28. 2. Evoluzione della struttura e dei contenuti della contrattazione: la ricostruzione e gli anni ’50: la prima fase è caratterizzata da un sistema di relazioni industriali “centralizzato e a predominanza politica”, cui corrisponde un modello di contrattazione analogamente centralizzata, debole e statica. In seguito all’accordo interconfederale cosiddetto sul conglobamento dei vari elementi retributivi, viene riconosciuto alle federazioni di categoria il potere di negoziare autonomamente i livelli retributivi. 3. (Segue): Gli anni ’60: la prima modernizzazione del sistema contrattuale: la fine degli anni ’50 dà avvio ad un processo di modernizzazione delle relazioni industriali italiane, di cui è parte significativa la modifica del sistema contrattuale. La dinamica generale della contrattazione cresce ai due livelli di categoria e aziendale; si realizza di conseguenza un primo decentramento della struttura contrattuale. Il decentramento è completo rispetto ai contratti nazionali di categoria, che diventano l’asse portante della struttura, fonte della disciplina di base del rapporto di lavoro. Sul finire del decennio ’50 la contrattazione aziendale viene riconosciuta ed istituzionalizzata nel sistema di contrattazione articolata; in base a tale sistema, alla contrattazione aziendale è riservata la competenza a trattare le materie determinate dallo stesso contratto nazionale. Il decentramento è parziale sia per le materie che sono delegate, sia per gli agenti contrattuali competenti a trattare, che sono i sindacati provinciali di categoria di entrambe le parti; al contratto nazionale spetta dunque di predeterminare, attraverso clausole di rinvio, sia le materie e gli agenti della contrattazione aziendale, sia le procedure di svolgimento, i tempi e, in qualche caso, i margini contrattuali, e fornire garanzia di tregua sindacale nelle pause temporali intercorrenti tra un accordo e l’altro, tramite clausole di tregua. 4. (Segue): Il ciclo 1968-1975: sviluppo e decentramento della contrattazione: la contrattazione raggiunge il massimo del decentramento, poiché l’elemento trainante nel settore industriale è questa volta la contrattazione aziendale, che rompe il limiti quantitativi e qualitativi definiti nel ’62, e il minimo di istituzionalizzazione, in quanto, cadute le norme di coordinamento giuridico tra i livelli contrattuali, ognuno di questi è formalmente autonomo, non vincolato per oggetti, per procedure né per agenti di contrattazione. 5. (Segue): La centralizzazione e gli accordi triangolari: la seconda metà degli anni ’70 è caratterizzata dal peso crescente della crisi economica sull’azione sindacale; questa situazione sfavorevole non comporta un crollo del potere sindacale, ma altera gli equilibri contrattuali. Prevalgono tendenze all’assestamento di istituti già regolati, nell’area dei diritti sindacali, mentre si ricercano contenuti contrattuali nuovi di controllo sulle scelte economiche e di impresa, diretti a risolvere i problemi dell’occupazione e della produttività. Sempre più marcata la pressione da parte degli imprenditori e poi anche del governo per il contenimento del costo del lavoro e la riduzione della dinamica della scala mobile.
  • 29. Vi è una tendenza alla ricentralizzazione della struttura contrattuale, tendenza alla quale se ne ricollega un’altra, quella dell’intervento diretto del potere pubblico nella contrattazione centralizzata, che arriva ad assumere carattere triangolare e che si collega a tematiche di diretto rilievo politico-economico. 6. (Segue): Gli anni ’80: nuovo decentramento o riequilibrio?: dall’inizio degli anni ’80 anche la struttura e i contenuti della contrattazione collettiva hanno subito forti sollecitazioni al cambiamento per le seguenti ragioni: la rinnovata, ancorché fragile, ripresa economica, dopo la ristrutturazione, e soprattutto la rapidissima innovazione tecnologica. La spinta più netta in tutti i paesi industrializzati è verso il decentramento della contrattazione, che trova le proprie motivazioni nelle: 1) crescenti difficoltà della contrattazione interconfederale; 2) perdita di rilievo e di contenuti innovativi della contrattazione di categoria, con blocchi o gravi ostacoli nei rinnovi contrattuali; 3) (ri)emersione di una contrattazione aziendale o infra-aziendale non coordinata dal centro. Variazioni nelle altre dimensioni della struttura contrattuale: estensione (= grado di copertura della contrattazione) – incisività – grado di innovazione dei contenuti contrattuali. 7. Gli anni ’90: riaccentramento e razionalizzazione del sistema contrattuale: negli anni ’90 (periodo della c.d. “riregolazione del rapporto di lavoro”) il sistema contrattuale è investito dall’urgenza del risanamento e della stabilizzazione economica: le pressanti esigenze del risanamento convivono peraltro con le richieste di competitività e flessibilità emerse e tutt’altro che esaurite nel periodo precedente: da qui le persistenti spinte al decentramento. Lo Stato interviene sul conflitto in modo sempre più massiccio, anche se ben attento a non espropriare il sindacato delle funzioni protette ai sensi dell’art. 39 Cost., 1° comma. Si afferma un nuovo ruolo della contrattazione interconfederale: quello di strumento politico di soluzione di problemi, a cominciare dalla lotta all’inflazione e al controllo del costo del lavoro, che riguardano l’intero mondo del lavoro ed i suoi rapporti con il mondo dell’economia e della finanza. Il nuovo processo di riaccentramento, abbandonate le finalità difensive promosse dall’art. 19 St. lav., trova la propria ragion d’essere nel Protocollo del 23 luglio 1993, ispirato dalla consapevolezza che solo un controllo centrale sulla contrattazione collettiva congiunto ad un analogo controllo sulla politica salariale è in grado di rendere un sistema di relazioni industriali responsabile e al tempo stesso efficiente. Soprattutto, questo accordo è il primo serio tentativo di razionalizzazione del sistema di contrattazione collettiva; nel dettaglio: A) Sono previsti 2 livelli di contrattazione, quello nazionale di categoria e quello aziendale, tra loro collegarti in modo tale che gli ambiti, i tempi, le modalità di articolazione, le materie e gli istituti del secondo sono predeterminati dal primo. B) Durata dei contratti predeterminata: 4 anni per la parte normativa del CCNL e per il contratto aziendale; 2 anni per la parte retributiva del CCNL. C) Introduzione di scansioni temporali per l’apertura delle trattative ai fini dei rinnovi dei contratti.
  • 30. D) Le RSU sono riconosciute come “rappresentanza sindacale aziendale unitaria nelle singole unità produttive”, e investite della “legittimazione a negoziare al secondo livello le materie oggetto di rinvio da parte del contratto nazionale di categoria”. CAPITOLO NONO IL CONTRATTO COLLETTIVO NEL LAVORO PRIVATO 1.LA PROBLEMATICA GIURIDICA DEL CONTRATTO COLLETTIVO DI DIRITTO COMUNE Il capitolo si concentra sul prodotto della contrattazione collettiva,cioè sul contratto collettivo,inteso come il contratto con cui i soggetti collettivi (organizzazioni dei lavoratori e degli imprenditori) predeterminano la disciplina dei rapporti individuali di lavoro (parte normativa) e regolano anche taluni tratti dei loro rapporti reciproci (parte obbligatoria). Sono rinvenibili almeno quattro tipi di contratto collettivo: quello corporativo, quello c.d. di diritto comune, quello prefigurato dal legislatore costituente e quello recepito in decreto legislativo ai sensi della legge 741/1959.L’unico che continua ad essere prodotto è il contratto collettivo di diritto comune,a questo quindi va dedicata maggiore attenzione,anche se i suoi problemi giuridici si colgono in contrapposizione con il contratto corporativo.Il contratto corporativo è un contratto tipico,elevato a fonte del diritto in senso proprio,anche se subordinata a leggi e regolamenti.La soppressione dell’ordinamento corporativo e delle organizzazioni sindacali fasciste hanno coinvolto i contratti corporativi e la loro disciplina legale. La giurisprudenza si assume il compito di ricostruire man mano le linee fondamentali della sua disciplina,in parte ricavandola da quella codicistica dei contratti in generale (ed è per questo che si parla di contratto collettivo di diritto comune) in parte recuperando tratti della disciplina codicistica del contratto corporativo.Il contratto collettivo di diritto comune finisce così per apparire un istituto di origine largamente giurisprudenziale. Le problematiche del contratto collettivo di diritto comune si incentrano sulla efficacia della parte normativa nei confronti dei rapporti individuali di lavoro,e possono essere accorpate attorno a due temi di fondo: ambito e tipo dell’efficacia stessa. 2.L’AMBITO DI EFFICACIA DEL CONTRATTO COLLETTIVO Con la caduta del sistema corporativo le associazioni sindacali divengono libere di individuare l’ambito delle categorie di cui intendono farsi espressione e, correlativamente, l’ambito di efficacia del contratto collettivo. Solo il datore di lavoro iscritto all’organizzazione sindacale dei datori di lavoro è tenuto all’applicazione del contratto collettivo nei confronti dei soli lavoratori sindacalmente associati.
  • 31. 3.OPERAZIONI GIURISPRUDENZIALI SULL’AMBITO DI EFFICACIA La giurisprudenza si è sforzata di dilatare l’ambito di applicazione del contratto collettivo. a) Il contratto collettivo è così ritenuto applicabile quando le parti individuale vi abbiano preso esplicita o implicita adesione.Il primo caso si verifica normalmente quando il contratto individuale rinvia alla disciplina collettiva;avendo accetto il contratto collettivo come fonte regolatrice,il datore non si può più liberare unilateralmente dal vincolo.Il secondo caso si verifica quando il contratto collettivo è spontaneamente applicato,e avviene quando vengono applicate numerose e significative clausole:il datore di lavoro è allora tenuto ad applicare il contratto nella sua integralità. b) La giurisprudenza ritiene inoltre che il datore di lavoro iscritto è tenuto ad applicare il contratto collettivo anche ai lavoratori non iscritti,non potendo impedire che essi manifestino la volontà di conformare ad esso il contratto di lavoro individuale. L’imprenditore che si associa infatti è consapevole del fatto che i contratti collettivi rivelano la chiara intenzione delle parti contraenti di considerarli come norma generale di disciplina dei rapporti di lavoro,e in quanto tali aperti alla generalità dei dipendenti. c) Nell’operazione di recupero dell’art.2070 cod.civ. il datore di lavoro deve applicare il contratto corrispondente alla propria attività,e se svolge più attività distinti contratti qualora queste siano autonome tra loro,o il contratto corrispondente all’attività principale se le altre sono accessorie.L’art.2070 non è vincolato all’ordinamento corporativo,ma risponde a esigenze dell’azione sindacale e della disciplina di categoria.Agli inizi degli anni ’90 però la Cassazione dichiarò l’incompatibilità tra il principio di libertà sindacale di cui all’art.39 1°comma Cost. ed il criterio di appartenenza alla categoria imprenditoriale fissato dall’art.2070 cod.civ. d) A partire dalla metà degli anni ’50,la giurisprudenza è andata applicando,sia pure indirettamente i minimi tariffari del contratto collettivo anche ai rapporti di lavoro con imprenditori non iscritti alle organizzazioni stipulanti. L’orientamento è stato fondato sull’art.36 Cost. che garantisce al lavoratore il diritto ad una retribuzione proporzionata alla qualità e alla quantità del suo lavoro e in ogni caso sufficiente ad assicurare a sé e alla sua famiglia un’esistenza libera e dignitosa. 4.INTERVENTI LEGISLATIVI SULL’AMBITO DI EFFICACIA Dalla fine degli anni ’40 si sono succeduti vari interventi legislativi,ad operare una dilatazione dell’ambito di applicazione dei contratti collettivi di diritto comune. a) La consacrazione dell’efficacia generalizzata dei contratti collettivi è stata in un primo momento ravvisata in quelle disposizioni che sanciscono l’obbligo del datore di lavoro di
  • 32. osservare le norme dei contratti collettivi e di retribuire il prestatore in conformità alle tariffe in essi contenute. b) L’intervento più importante è verso la fine degli anni ’50,quando il legislatore,acquisita l’impraticabilità di una norma attuativa dell’art.39 Cost., tentò di condurre diversamente a soluzione definitiva il problema dell’efficacia generale dei contratti collettivi. c) Il legislatore tornò così a sperimentare nuove soluzioni,per pervenire in via diretta alla dilatazione dell’ambito di efficacia dei contratti collettivi (per es. l’art.36 St.lav.). d) Tra gli interventi volti a favorire l’estensione dell’ambito di applicazione dei contratti collettivi,vanno annoverati quelli in materia di fiscalizzazione degli oneri sociali,che condizionano la fruizione del relativo beneficio alla circostanza che l’impresa assicuri ai propri dipendenti trattamenti non inferiori ai minimi previsti dai contratti collettivi nazionali di categoria,stipulati dalle organizzazioni sindacali maggiormente rappresentative. 5.L’AMBITO DI EFFICACIA DEL CONTRATTO COLLETTIVO DI LIVELLO AZIENDALE. IL CONTRATTO COLLETTIVO GESTIONALE E LA TEORIA DELLA PROCEDIMENTALIZZAZIONE E’ sul piano della contrattazione aziendale che negli ultimi anni si è registrata una serie di interventi legislativi,diretti ad attribuire efficacia generale agli atti di autonomia collettiva.Non sembra comunque fino ad oggi possibile registrare interventi legislativi che abbiano attribuito in modo diretto efficacia normativa generale ai contrati aziendali,anche se più di una volta ne hanno favorito l’espansione a tutti i lavoratori dell’azienda. Vi sono inoltre i contratti di solidarietà,stipulati al fine di evitare,in tutto o in parte,la riduzione o la dichiarazione di esuberanza del personale anche attraverso un suo più razionale impiego (del primo tipo);o diretti a incrementare gli organici (del secondo tipo). Il contratto aziendale non ha sempre una funzione normativa,anzi spesso assume una funzione gestionale,nel senso che si occupa di gestire situazioni di crisi in occasione delle quali può farsi veicolo di distribuzione di sacrifici. L’effetto erga omnes,quindi, discende pur sempre dall’atto del datore di lavoro che esercita i suoi poteri imprenditoriali,e non dall’accordo sindacale gestionale che è solo un tramite per l’esercizio di quei poteri. La pretesa del datore di lavoro di applicare il contratto collettivo stipulato con alcuni sindacati a lavoratori iscritti ai sindacati dissenzienti costituisce secondo la giurisprudenza,condotta antisindacale ai sensi dell’art.28 St.lav.
  • 33. 6.IL TIPO DI EFFICACIA DEL CONTRATTO COLLETTIVO:LA PROBLEMATICA DELL’INDEROGABILITA’ Posto che il contratto collettivo sia applicabile,resta da stabilire quale efficacia esplichi nei confronti del contratto individuale.Resta da stabilire se il singolo datore di lavoro e il singolo lavoratore possano o meno pattuire una disciplina del rapporto individuale difforme da quella predeterminata nel contratto collettivo. Per diritto comune i rappresentanti,in quanto titolari degli interessi in giuoco,possono sempre di comune accordo modificare la regolamentazione di quegli interessi disposta in loro nome e per loro conto dai rappresentanti. L’art.2077 cod.civ. stabilisce che i contratti individuali devono uniformasi alle disposizioni del contratto collettivo e le clausole eventualmente difformi sono sostituite di diritto da quelle del contratto collettivo,salvo che contengano speciali condizioni più favorevoli ai prestatori di lavoro. 7.L’EFFICACIA NORMATIVA DEL CONTRATTO COLLETTIVO E LA DEROGABILITA’ IN MELIUS La consacrazione nell’ordinamento dell’autonomo potere sindacale di regolazione dei rapporti di lavoro ha favorito l’assimilazione,quanto al tipo di efficacia,del contratto collettivo alla legge e il riconoscimento che,al pari della legge,esso opera nei confronti del contratto individuale dall’esterno quale fonte eteronoma. Bisogna fermare l’attenzione sui caratteri dell’inderogabilità,cioè sulle modalità del raffronto tra disciplina collettiva ed individuale.Anzitutto va precisato che l’inderogabilità non è assoluta giacchè opera a solo vantaggio,e non a danno,del lavoratore. Le norme della legislazione in materia di lavoro sono considerate dagli interpreti inderogabili in peius,perché rivolte a porre una disciplina minimale di protezione del lavoratore,ma per ciò stesso derogabili in melius. La medesima funzione di tutela minimale,viene riconosciuta anche al contratto collettivo.La giurisprudenza del resto ha potuto vedere la regola della derogabilità in melius codificata nell’art.2077. Il raffronto tra legge ed autonomia privata è correntemente operato con riferimento a singole clausole. Le clausole del contratto individuale di contenuto peggiorativo sono sostituite dalla disciplina legale,e non trovano compensazione con il contenuto eventualmente migliorativo di altre clausole dello stesso contratto. Non hanno avuto fortuna i tentativi di operare il raffronto tra l’intera disciplina del contratto collettivo e l’intera disciplina del contratto individuale;tuttavia la giurisprudenza si è orientata nel senso di ricondurre ad un unico istituto l’intero trattamento economico.
  • 34. 8.LEGGE E AUTONOMIA COLLETTIVA Il contratto collettivo,al pari di quello individuale,deve ritenersi gerarchicamente subordinato alla legge. L’opinione prevalente è però nel senso che il legislatore costituzionale,pur valorizzando l’autonomia sindacale, ha affidato anzitutto al legislatore ordinario il compito di provvedere alla tutela (minima) del lavoratore.La legge costituisce per l’autonomia collettiva un limite invalicabile a sfavore del lavoratore,e valicabile invece a suo vantaggio. Di regola la norma di legge è inderogabile in peius e derogabile in melius dal contratto collettivo (come da quello individuale).Questo modello di rapporto tra legge e contrattazione collettiva ha però subito un’alterazione.Sono oggi numerose le ipotesi in cui il legislatore utilizza la contrattazione collettiva come veicolo di attenuazione della propria stessa rigidità,attribuendole il poter di derogare in peius o, forse più propriamente,affidandole il compito di individuare o modificare il precetto legale. Con la legislazione sul costo del lavoro è stata sancita l’inderogabilità in melius ad opera dell’autonomia collettiva di una normativa legale.Il legislatore ha cioè qualificato il proprio intervento come diretto non già a fissare un minimo ma un massimo di disciplina del rapporto di lavoro. Tra interventi deregolativi e interventi limitativi,l’intreccio legge-contratto collettivo si presenta ora assai complesso ed articolato rispetto al classico schema,che però continua ad essere l’archetipo del diritto del lavoro,e che vede la legge dettare una disciplina minimale,sempre derogabile in meglio ma non in peggio dell’autonomia collettiva. La Corte Costituzionale ha stabilito che al legislatore deve essere riconosciuta la potestà di porre limiti inderogabili alla contrattazione collettiva nel perseguimento di finalità di carattere pubblico,trascendenti l’ambito nel quale si colloca per la Costituzione la libertà di organizzazione sindacale e la corrispondente autonomia negoziale,tutelate dall’art.39 Cost. Questo potere deve essere riconosciuto al legislatore nel caso di accordi a tre,che vedono il Governo assumere una serie di impegni politici,spesso rilevanti,e che pur non contrastando la Costituzione non rientrano nel quadro tipizzato dall’art.39,dal momento che le organizzazioni sindacali non sono staccate dagli organi del governo ma cooperanti con esso. 9.L’EFFICACIA NEL TEMPO DEL CONTRATTO COLLETTIVO: ULTRATTIVITA’, RETROATTIVITA’, DIRITTI QUESITI Le procedure dei contratti collettivi sono state formalizzate solo dal Protocollo del 23 luglio 1993,che prevede relativamente al contratto nazionale di categoria,una durata di quattro anni per la parte normativa,e di due anni per la parte economica.Tre mesi prima della scadenza,le organizzazioni dei datori e dei lavoratori si incontrano per avviare le trattative per il rinnovo.