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Steve and I
di Mauro Cuomo
Sulla strada dei ricordi
  
Sto guidando sulla strada che da Sarzana porta a Fosdinovo, in Lunigiana. La strada è piena di curve, ma la conosco bene. In più è una bella giornata, è domenica mattina e non c’è
traffico: guido volentieri, un po’ sostenuto ed intanto penso.
Penso alla serata di ieri. Particolare. Col mio amico Antonio ci siamo visti il film su Steve Jobs. Entrambi abbiamo lavorato in Apple ed abbiamo deciso di vederlo in modo intimo,
solo per noi. Ci siamo organizzati con videoproiettore, schermo grande e dolby sound, oltre alla necessaria americanata consistente in una non banale quantità di birre, chips, noc-
cioline, ed altri snack. Un bel film. Abbastanza vero. E l’attore che fa Steve a volte sembra proprio lui.
Onde evitare l’arresto per guida in stato di ebrezza, ho dormito da lui, e adesso, mentre guido verso casa, cominciano a tornarmi alla mente un po’ di cose di quel tempo, quando
anch’io ero in Apple a Cupertino.
Cupertino, California. La mitica Sylicon Valley. È la seconda volta che mi trasferisco qui. La prima è stata nel 1981 con l’Olivetti, grazie alla mia fortuna e alla mia laurea in informati-
ca. Ne ero rimasto affascinato! Nell’ambito dei computer era lì che stava succedendo tutto. Per la prima volta nel melting pot tecnologico del mondo e ne facevo parte. Pur avendo
vissuto il 68 da studente liceale, con tutti i risvolti che ne conseguono, è stato nella Sylicon Valley che mi sono sentito davvero parte di una rivoluzione; una rivoluzione in fin dei
conti pacifica e che a mio parere ha cambiato il mondo in meglio.
Mi ero subito trasferito come abitazione a San Francisco, mi sembrava di vivere in un bel sogno: un appartamento proprio sopra il Vista Point che c’è in alto su Portola Drive, quella
che poi entrando in San Francisco diventa Market Street. Un piccolo appartamento, ma con una vista strepitosa: dalla grande vetrata esposta ad est vedevo tutta la baia, il Bay Brid-
ge e, in lontananza a destra Oackland ed a sinistra Berkley.
La mattina, anche presto, il sole entrava con una forza tale da svegliarmi, anche se la camera dove dormivo era dall’altra parte dell’appartamento. Unico cruccio, mia moglie era
rimasta in Italia; anche se il rovescio della medaglia era piuttosto positivo: single e etero a San Francisco nel 1981. Qualcuno sa cosa vuol dire, gli altri non importa.
Poi ero tornato in Italia, per provare a riaggiustare il mio matrimonio, ma senza successo. Avevo lavorato un altro po’ come software engineer, mi ero separato e la fortuna mi ave-
va fatto incontrare Alison, quella che si sarebbe rivelata la mia compagna per la vita, … e poi di nuovo la fortuna: sono entrato in Apple in Italia come product manager del Lisa (il
primo computer commerciale con interfaccia grafica), e poi product manager anche del Macintosh non ancora nato.
Un giorno a Parigi, al meeting dei product manager europei, ognuno ha presentato la propria proposta per il posizionamento del Mac in Italia, e la mia è stata un successone. La
fortuna continua e mi viene offerto il ruolo di international product manager a Cupertino. Non ringrazierò mai abbastanza l’amico e collega Umberto V. che mi diede gli spunti per
quella presentazione.
Beh, in Apple non bastava che qualcuno, anche in alto, ti proponesse per una posizione; dovevi comunque fare un bel po’ di strada, in salita e con le curve, per meritartela. Dopo
qualche giorno sono stato invitato alla sede Apple per una serie di colloqui: mi hanno rivoltato come un calzino. Sono stato intervistato, e giudicato, da tutte le persone che avreb-
bero avuto a che fare con me: il mio capo e sponsor, Johanna Hoffman, tutti i miei pari livello nell’area marketing e prodotto, tutti quelli che sarebbero stati i miei collaboratori, la HR
partner e, alla fine Steve Jobs.
Avevo incontrato Steve una sola volta, quando ci è stato presentato il prototipo del Mac, e ci avevo scambiato poche parole. Non mi aspettavo quelle domande, molte veramente
personali; ma ricordo bene quella che mi mise più in difficoltà:
“conosci qualcuno che potrebbe fare questo lavoro meglio di te?”
non male la domanda e dopo qualche secondo risposi
“si, è Bruno R. il product manager francese”
E lui “e perché dovremmo assumere te, invece che lui?”
E io “perché io voglio farlo, lui no!”
E lui, dopo avermi guardato dritto negli occhi per qualche secondo, “ok”.
E così fu che tornai qui, in California, di nuovo a San Francisco, ma questa volta con Alison. Appartamento in Alamo Square. Quella piazza dove ci sono le quattro case vittoriane di
una tipica cartolina di San Francisco, con il Golden Gate Park raggiungibile in 15 minuti a piedi percorrendo Fells St. verso ovest.
Ancora 70 Km la mattina e la sera per andare al lavoro e tornare. Però è una bella guidata sulla 280, un’oretta su una strada bellissima. Mica tutti fanno un commuting piacevole.
Il futuro, qui, lo si inventa
Il primo impatto con il lavoro è, a dir poco, particolare: Johanna mi informa che ha dato le dimissioni, che ha proposto che io prendessi il suo posto, che la proposta è stata accetta-
ta e che abbiamo una settimana per il passaggio di consegne. Quindi senza aver fatto ancora nulla, mi trovo già promosso al gradino sopra. Bene !?!
Il lavoro è impegnativo, ma entusiasmante, mi sento ancora più rivoluzionario. Non solo sono in Sylicon Valley, ma addirittura in Apple; di più, nella divisione Macintosh, dove il futu-
ro lo si immagina, lo si progetta, lo si costruisce, lo si tocca.
Abbiamo una palazzina tutta per noi, ha un nome: Bandley 3. Una palazzina di un solo piano; un grande quadrato, dove siamo organizzati in diversi open space, con una grande hall
che ospita nei lati salette per le riunioni e da cui si dipartono due corridoi, uno a destra e l’altro a sinistra, che portano nelle zone operative. La nostra hall è bellissima, molto lumino-
sa. Una specie di grande trapezio isoscele in pianta, con la base minore (lontana per chi entra) occupata da un grande palco.
Sopra il palco l’attenzione viene subito catturata da una vecchia ma lucidissima moto BMW, un pianoforte a coda e un tavolo da ping-pong, anche se ci sono altri strumenti musicali
e diversi videogiochi. E poi sotto poltroncine e divanetti con alcuni tavolini bassi. Un luogo di ritrovo dove incontrare un collega e fare una chiacchierata, che alla fine tratta sempre
di lavoro.
Gli uffici sono ben organizzati in grandi open space, dove ognuno ha il suo boot – scusatemi ma preferisco boot a loculo – e i boot sono tutti uguali; molto democratico, e anche
comodo: se ti devi spostare d’ufficio – e succede abbastanza spesso, il cambiamento si limita a spostare le tue cose e rimetterle esattamente negli stessi posti.
Ho un team di otto persone, di nazionalità diverse: sei europei, un giapponese ed una messicana. Siamo responsabili del controllo qualità per il rilascio delle versioni internazionali
del sistema operativo. Teniamo aggiornati i vari paesi sugli sviluppi di prodotto e di marketing e forniamo loro raccomandazioni, mentre al contempo cerchiamo di far implementa-
re le richieste che ne provengono.
Siamo anche responsabili di quello che esce dalla fabbrica di Cork in Irlanda, dove si producono/assemblano i prodotti destinati al mercato europeo. La nostra responsabilità non
è tanto sul prodotto, quanto sul packaging. Abbiamo già diverse versioni di Mac con tastiera, software, alimentazione e manualistica personalizzata: Francese, Tedesco, Italiano,
Spagnolo e Inglese (diverso dall’americano per tastiera ed alimentazione) e dobbiamo assicurarci che nelle scatole ci vadano le cose giuste. Sembra facile ma non lo è!
A Cork si fanno i breakfast meeting in fabbrica alle 7 del mattino; allucinante! e alle 5 di pomeriggio siamo tutti al pub, dove si riesce a conversare per circa un’ora, dopodiché la
maggior parte degli interlocutori non è più abbastanza lucida da ragionare su cose serie - ma neanche su cose frivole da tanto che sono ubriachi.
Dall’altra parte ci sono le succursali Apple in Europa, con i relativi General Manager e responsabili di prodotto; ognuno con le sue esigenze, ovviamente non negoziabili, sul prodot-
to.
È un po’ il concetto tra l’incudine e il martello: non abbiamo potere su alcuna delle parti in gioco, ma siamo responsabili dei risultati della collaborazione.
Il capo della divisione Macintosh è Steve, che di stipendio prende meno di me; fantastico!
Lo incontro tutti i lunedì allo staff meeting, un’ora in tutto, ed ogni tanto ci scambio qualche parola in corridoio. Poi ci sono quei momenti in cui ti si avvicina, ti chiede i progressi del
tuo lavoro – sa perfettamente quello che stai facendo, ed è così per tutti, dal manager al programmatore – a volte ti elogia pubblicamente, altre ti tratta male o ti sfida. Non succe-
de mai che ti si sieda di fianco e vada via senza averti fatto cambiare la giornata; spesso in meglio, qualche volta in peggio.
Steve
Steve è famoso per le riunioni in cui non si esce senza aver ottenuto un risultato. Io partecipo a quella sul packaging del Mac. Cominciamo alle 3 di pomeriggio e finiamo dopo
mezzanotte! Il processo di autoconvincimento di Steve guida la riunione. Lui ripassa tutte le volte tutti i punti toccati, con uguale attenzione per quelli appena modificati e quelli su
cui siamo già passati diverse volte. Una roba maniacale! (capirò dopo un po’ che quella maniacalità caratteristica di Steve, era necessaria allo spirito di Apple)
Dopo il lancio del Macintosh ed il famoso video pubblicitario diretto da Ridley Scott, nella divisione Macintosh siamo intontiti dal successo. We made it! Siamo tutti orgogliosi, orgo-
gliosissimi.
Il Mac non va male, ma neanche benissimo. Il limite maggiore sono i 128K di memoria. Troppo poco per quello che poi gli utenti vogliono farci.
Nel settembre 1984 lanciamo il Mac 512 (512K di memoria) e all’inizio del 1985 la LaserWriter con la rete AppleTalk, che insieme al linguaggio di descrizione della pagina “post-
script” rivoluziona il mercato dell’editoria - uno dei tanti mercati che sono cambiati per l’intervento di Apple e di Steve - con il concetto di Desktop Publishing
Steve è davvero particolare. Fa domande puntute, che richiedono sempre un qualche sforzo per rispondere; non genera risposte automatiche. Un po’ mette in soggezione, ma non
lo fa con cattiveria; gli viene spontaneo. Il trucco è non farsi mettere in soggezione, ma l’interazione va calibrata. Lui continua a premere. Sul lavoro non tollera l’approssimazione e
la superficialità: lo vedo licenziare una persona in tronco per questi motivi.
Eravamo in piedi in un corridoio laterale della palazzina, quello che porta alla stanza del caffè. Stavamo discutendo di alcuni problemi seri incontrati dai clienti con le LaserWriter e
questa persona, chiamiamolo Ralph, ha fatto due battute scherzose sul malfunzionamento della macchina. Dopo la prima battuta Steve lo ha guardato, come fa lui e gli ha chiesto
“are you serious ?”. Ma Ralph non ha raccolto il non verbale e ha sparato la seconda battuta, al che Steve “Ralph ?!? How long have you been working for Apple not counting tomor-
row?” e Ralph “what do you mean ?” e Steve “ I mean you’re out!” si è girato e se n’è andato via. Cosa che abbiamo subito fatto anche tutti noi a parte Ralph che ci è rimasto basito.
Lealtà e appartenenza
Ma è anche protagonista di comportamenti formidabili in difesa della Apple, del Mac e delle persone della Mac Division.
Mi raccontano che durante il dealer blitz del febbraio 1985 (il consueto giro di presentazioni ai rivenditori Apple dei nuovi prodotti) dove per la prima volta si parlava di desktop pu-
blishing, una nostra collega, chiamiamola Sue, è stata male mentre erano a Chicago, all’Intercontinental Hotel. Ma il tour doveva continuare, l’appuntamento successivo era Toron-
to, per cui lasciano in hotel la persona malata, raccomandandosi di accudirla; paga Apple.
Si deve sapere che questi dealer blitz erano organizzati in task force che si muovevano su itinerari differenti e Steve era nella stessa task force di Sue. Quando è in hotel a Toronto,
Steve riceve la telefonata di Sue che si lamenta di stare ancora parecchio male e che all’hotel l’hanno proprio trascurata. Nessun dottore, pasto in camera tardi e freddo; scortesia
generale. Al che Steve chiede di poter parlare al telefono con il Presidente della Intercontinental Hotels e quando ci riesce lo minaccia di comprare due pagine del WSJ per raccon-
tare agli americani come trattano i clienti nei suoi hotel. Cosa che guadagna un’ospitalità gratuita a vita per Sue in quell’hotel, per periodi di due giorni, con l’unico vincolo di preno-
tare almeno due settimane prima.
Però nella divisione Mac siamo dei privilegiati. Viaggiamo in prima classe, abbiamo ottime bibite e spremute fresche gratis, possiamo avere un massaggio Thay in ufficio tutti i
mercoledì.
Tutti i venerdì alle 4 di pomeriggio arriva un cathering - gratuito per tutti noi - e porta tartine, patatine, stuzzichini vari, vino e birre; la hall si riempie ed inizia l’happy hours! Fonda-
mentale esserci; si vengono a sapere un sacco di cose, di lavoro e non, e comunque fanno comunità.
Ma siamo un po’ chiusi. E poi ci sentiamo superiori e chiamiamo gli altri “Bozo”. Siamo sicuramente arroganti e stiamo diventando antipatici, anche se forse non ce ne rendiamo
conto appieno.
Le cose non stanno andando bene. Le tensioni tra la divisione Mac e il resto di Apple sono palpabili: l’Apple II sta smettendo di tirare e il Mac non vende abbastanza, non riesce a
sfondare oltre la curva degli innovatori. Costa troppo, non c’è abbastanza software, è troppo lento o TFS (too fucking slow) come amava ripetere Jean Louis Gassée, capo della
Francia.
Il Mac ha un costo di produzione ancora alto, per ammortizzare la fabbrica automatica di Freemont dovremmo vendere ben più del doppio. Siamo sotto. Perdiamo soldi.
C’è un malessere generalizzato, fuori dalla nostra divisione l’antipatia per Steve è palpabile. Gira qualche battutina velenosa.
Shock
Nella seconda metà di maggio la notizia è comunque improvvisa e scioccante: non esiste più la divisione Macintosh. Di conseguenza Steve non ha più alcun ruolo manageriale e
noi siamo tutti senza lavoro.
Siamo tutti chiamati in riunione plenaria, communication meeting, nella nostra hall.
La star e lo speaker sono la stessa persona: Jean Louis Gassée, che annuncia la sparizione delle sette, la riunificazione di Apple, la nascita della divisione international a Cupertino
e, dulcis in fundo, la sua guida della unificata divisione di Ricerca e Sviluppo - JL Gassée a capo della Ricerca e Sviluppo porterà Apple, dopo il Mac plus e i vari SE già in avanzata
fase di sviluppo, alla produzione delle peggiori macchine (si macchine non Mac!) della sua storia, fino a quando non decideranno nel 1995 di richiamare Steve.
Parla tanto, con proprietà di linguaggio ed accento parigino, molto irritante. Dice cose brutte e le dice male … l’arroganza non scompare, semplicemente si sposta.
Steve è presente, non parla. Molti chiedono di Steve a JLG che risponde con arroganza di chiedere a Steve. Qualcuno chiede a Steve e lui risponde a fatica che rimane Chairman of
the board di Apple e che il Mac andrà avanti. Sarà perché sto guardando la scena da dietro, ma quello che mi colpisce di più sono le continue contrazioni a scatti delle natiche di
Gassée.
Però è finita. Lo pensiamo tutti. Qualcuno ha possibilità di scelta tra pacchetto di uscita e nuovo posizionamento; altri no.
Da alcune settimane sono impegnato nell’organizzazione di un viaggio importante: un giro di conferenze che Steve Jobs avrebbe tenuto in Europa a giugno; una dozzina di persone
in giro per l’Europa in private jet: Roma, Stoccolma, Parigi, Londra e Monaco di Baviera.; Dopo la “caduta” di Steve, le persone che avrebbero dovuto partecipare fanno tutte “un pas-
so indietro”, a parte me che nel frattempo declino una posizione nella nuova divisione international e accetto il package di uscita che prevede il mio licenziamento e la conseguente
relocation in Italia, ma non prima di aver adempiuto al mio dovere di accompagnare Steve nel tour.
Mi concentro nella preparazione delle tappe e nell’avere il massimo di certezze sulle organizzazioni locali delle conferenze. E intanto molte persone cercano di prepararmi all’avven-
tura del viaggio con Steve; qualcuno cerca addirittura di dissuadermi - per il mio bene.
L’approccio di più basso profilo è “ti farà impazzire; è ingestibile, …” e via a salire. Devo dire che l’unica raccomandazione diversa arriva inaspettatamente da JLG, che mi dice che
vale la pena andare in viaggio con Steve, perché sicuramente c’è molto da imparare.
Non do retta a nessuno, a parte JLG, non ho nessuna intenzione di farmi rovinare un viaggio con Steve; neanche da Steve! Per cui partiamo e scopro che le cose sono molto più
semplici. Steve è una persona che ama essere trattata alla pari, è diretta e gli piacciono le persone dirette. Io lo sono, per cui in qualche modo ci rispettiamo.
Il volo Lufthansa fino a Francoforte lo passiamo in Fisrt Class, dove ho imparato che con il formaggio si deve bere il porto e con il caviale la vodka, ma in silenzio. Steve un po’ dor-
me, un po’ rimugina. Lo lascio stare. Cominciamo a parlare un po’ nel Jet privato. Una roba veramente lussuosa, con sedili spaziosi in vera pelle e totalmente reclinabili. Tavolinetti
veri e due piloti di cui uno dedicato ai passeggeri che dovevano essere 12 e invece sono 2! Possiamo chiedere da mangiare o da bere in qualsiasi momento. Possiamo chiedere di
inclinare un po’ l’aereo (senza esagerare) per vedere il panorama. Questo è lusso!
Appunti di viaggio – Roma e Stoccolma
Si alternano lunghi silenzi con interessanti conversazioni: parliamo abbastanza, imparo moltissimo! La sua visione straripa dai suoi discorsi. Il prodotto deve essere qualcosa che
ami, e se lo ami non accetti di farlo “male” per farlo in fretta. Non c’è motivo di fare un Mac a colori se poi non posso stampare a colori e così perdo il WYSIWYG. Sculley sta sba-
gliando, non bisogna puntare alle aziende ma alle persone, alle scuole, alle università. Il target sono le persone a cui si può rendere la vita molto più semplice. Mi dice che lui ha
sbagliato ad assumere Sculley, che forse si darà alla politica, ma forse no.
Non parla di getto. Prima pensa, poi ti guarda negli occhi e finalmente parla. Si prende tutto il tempo che gli serve per rispondere seriamente. Devo dire che a dispetto dei vari gufi
dei giorni precedenti, Steve è impeccabile sia in pubblico che in privato, cioè con me.
Roma, la prima tappa, siamo all’Hassler Villa Medici proprio sopra la scalinata di Piazza di Spagna. Stupendo, anche se un po’ caro (io sono quello che paga e la sosta nell’hotel
romano sarà la più cara del tour), ma la vista è mozzafiato. Siamo a giugno e Roma è particolarmente bella e soleggiata, con la solita brezza che consente di godersi il caldo.
Ci prendiamo il tempo di un giro in centro, purtroppo accompagnati da uno stuolo di persone tra Apple Italia e società di PR, per approdare in serata all’Eur per l’intervento di Steve
ai giovani imprenditori: sala piena, traduzione simultanea, grande palco con grande tavolo e diverse persone. Inizia il presidente dei giovani imprenditori per presentare Steve; e
parla, parla, parla.
Io sono in platea. Vedo Steve che fatica a seguire tutti quei discorsi, e ogni tanto ridacchia. Quando finalmente, dopo 40 minuti, il discorso finisce, non sapendo di avere già il micro-
fono acceso si fa scappare un rassegnato “so many words …”; si accorge del microfono acceso e se la gioca “… just to introduce myself “ seguito da un largo sorriso: sembra fun-
zionare … Steve è magnetico, parla a braccio, di quello in cui crede, di quello che sogna. La platea è affascinata. La gente applaude in piedi.
Ma come fa. Ma come fa, dopo la batosta che ha preso, ad essere così? Così profondamente convinto di quello che dice; così appassionato. Ma come fa, magari dopo glielo chie-
do.
E poi la cena con il Ministro del lavoro Gianni De Michelis che a Steve piace molto. “I like the Minister, he has vision.” Mi dice. Poi il Ministro ci porta a ballare in una delle discoteche
dove soleva passare le nottate. Si sto vedendo Steve Jobs e Gianni de Michelis che ballano!
Mattina difficile. Abbiamo fatto un po’ tardi e io ho anche bevuto troppo. Ma ci aspetta il Jet per andare a Stoccolma, che non è proprio lì: quasi 4 ore di volo da Roma.
Durante il volo non gli chiedo come fa, ma piuttosto perché stava ridacchiando sul palco. Lui sorride e mi risponde che il tanto parlare dello speaker lo aveva messo in una specie di
trance dove gli era emersa una fantasia erotica con la traduttrice simultanea.
Stoccolma inizia male; una perdita di olio nel portabagagli della Limusine che ci traferisce dall’aeroporto al Grand Hotel, imbratta le belle valige di pelle di Steve, che fatica a mante-
nere il suo disappunto a livelli accettabili. Gli piacciono le cose belle, curate nella manifattura; ne compra poche e le sceglie con cura e poi ci si affeziona.
È uno che non spreca, è tutt’altro che uno spendaccione. In qualche modo non ama apparire, anzi ama apparire ma come vuole lui e basta. Forse è per questo che non gradisce il
trasferimento in elicottero alla Lund University. Troppo appariscente e troppo rumoroso, in tutti i sensi. Siamo accolti in pompa magna: un sacco di persone, la stampa, i fotografi e
la banda locale. http://www.youtube.com/watch?v=33byKIZztSI
Steve è inverso, ma dopo essersi cambiato d’abito fa uno degli interventi più appassionati ed avvincenti. Sempre a braccio fornisce la sua visione del futuro della tecnologia, della
società e del mondo. In qualche modo riesce ad elogiare e supportare Gorbaciov nel suo sforzo di riformare l’Unione Sovietica e nel contempo preannuncia convinto che i Macinto-
sh futuri avranno kernel Unix - ci ha messo un po’ ma poi ci è riuscito!.
Anche a Stoccolma la serata finisce in discoteca. Sembra incredibile, siamo entrati in discoteca poco prima di mezzanotte ed era ancora giorno; ne usciamo verso le 2 ed è già
giorno!
Appunti di viaggio – Parigi e Londra
Stiamo volando verso Parigi. Ho smesso di considerare il Jet Privato un lusso: è parecchio più lento e molto più rumoroso di un aereo di linea, ed è estremamente più sensibile alle
turbolenze cosa di cui ci stiamo accorgendo.
Steve è silenzioso, un po’ giù di corda. Provo a fargli notare le cose che è già riuscito a fare e di cui dovrebbe andare orgoglioso. Gli ricordo che i lavoratori della fabbrica di Dallas,
che è stata appena chiusa, e che quindi hanno perso il lavoro, hanno pubblicamente ringraziato Apple per avergli dato l’opportunità di lavorare in un’azienda veramente speciale e
che continueranno a ricordare con piacere l’esperienza. Steve mi gela: “devo essere orgoglioso di aver licenziato 1200 persone ?!?”. Non rispondo. Ho detto una cazzata e mi merito
la risposta. Taccio fino a Parigi e imparo che se Steve non ha voglia di chiacchierare lo devo lasciare tranquillo.
Parigi ci accoglie con meno sfarzo e tutto sommano la tappa non è estremamente interessante, un giro negli uffici di Apple France, ma evitiamo di visitare Apple Europe. Poi il
discorso anche qui ai giovani imprenditori, molto ben accolto e poi la cena con il ministro francese delle poste e telecomunicazioni, dove Steve usa tutte le sue risorse seduttive
per cercare di convincere il ministro a “buttare via” i minitel, che allora spopolavano in Francia, ed adottare i Mac per dare il meglio ai i cittadini … ma non riesce a fare breccia. Si
immagina al volo un Mac che costa meno in produzione - oggi i Mac costano in produzione 506 dollari l’uno, se tolgo il floppy, cambio questi componenti, levo questo e levo quello,
possiamo produrli a 290/300 dollari che vuol dire venderli alla Francia a circa 600 dollari l’uno. Ma il ministro lo gela rispondendo che i minitel al cambio corrente costano poco più
di 300 dollari.
Steve si arrende e la cena diventa noiosa, però siamo al ristorante che Angelo Paracucchi ha aperto da non molto nell’hotel Le Royal Monceau, e mi concentro volentieri sull’ottimo
cibo.
In volo verso Londra Steve è inverso. Ce l’ha su con il ministro che non capisce la differenza, ce l’ha anche con se stesso che non è riuscito a fargliela capire. Non si spiega perché
la gente non corre a comprare i Mac che sono così ovviamente meglio dei PC IBM. Manca qualcosa, e non capisce cosa. Questo lo fa arrabbiare. In effetti troverà poi cosa manca-
va, visto che non solo riuscirà a far “correre” le persone a comprare Mac, iPod, IPhone, iPad, anche a farle fare file di ore per avere il privilegio di essere uno dei primi a mettere le
mani sul nuovo prodotto Apple.
Atterriamo a Londra Heathrow. Anche qui un certo numero di persone ci accolgono poi la solita limusine e il Brown Hotel. Qui ci danno una strana chiave. Una specie di carta di
credito come dimensioni, di cartone rigido e con alcuni buchi. Steve la prende, la guarda, la smonta aprendola, la guarda bene e poi ne chiede un’altra all’allibito impiegato della
reception.
Lui è così, è curioso. Vuole sapere come funzionano le cose.
In tarda mattinata, andiamo da, in Jermyn Street, il più rinomato camiciaio del Regno Unito dove Steve cerca di acquistare 6 camice su misura. una scena stupenda. Steve che
vuole ordinare le camicie a qualsiasi prezzo e il commesso che si rifiuta di prendere l’ordine – non possiamo Sir, non riusciremmo a fare le sue camicie prima di 6/8 mesi; in questo
periodo le sue misure potrebbero cambiare e lei potrebbe poi non essere soddisfatto … – e Steve che insiste. Dice che non avrebbe cambiato le misure, non sarebbe ingrassato e
che anche nel caso il problema sarebbe stato suo e non loro. – non possiamo Sir, e comunque noi saremo a settembre prima a New York e poi a Los Angeles, e se lei ci raggiunge
lì possiamo prenderle le misure a dare seguito al suo graditissmo ordine … – Steve accetta la sconfitta ed usciamo dal negozio con lui che borbotta che il Mac forse a te non lo
vendo perché se poi non ti trovi bene con il mouse magari non sei soddisfatto e mi ritieni responsabile responsabile e comunque mumble mumble … insomma, fa fatica a crederci.
Gli sembra impossibile che questi rifiutino di vendere il loro prodotto.
Dopo un pranzo leggerissimo, quasi nulla, andiamo alla sede londinese del Rotary Club in Charles Street, dove è previsto l’intervento di Steve. La cosa più elegante che si possa
immaginare dal punto di vista di un inglese. È incredibile come in certi ambienti inglesi gremiti di persone si riesca a parlare a voce bassa e riuscire a sentirsi. Un ambiente molto
formale. Bello, ma in fondo un po’ freddo e molto poco naturale. Sembra che ci sia nell’ambiente un filtro emozionale che non consente gesti sopra le righe; e le righe sono basse.
E poi la cena. Sono a cena con tre delle persone più interessanti del pianeta: Steve Jobs, Richard Branson patron di Virgin e Douglas Adams (quello della guida galattica per auto-
stoppisti). Fatico a seguire i discorsi, ma sono ugualmente estasiato. Le ipotesi di futuro a breve e a lungo termine si intrecciano. Steve e Richard più allegri e positivi, Douglas più
estremo direi, ma sempre molto divertente. Morirà nel 2001.
Appunti di viaggio – Monaco, Firenze, Cupertino
Di nuovo in volo, questa volta verso Monaco di Baviera. Chiedo a Steve, quasi per scherzo, se ha intenzione di andare a Los Angeles a settembre per farsi le camici e sorprendente-
mente mi sento rispondere “of course!”. Sono un po’ stupito e gli domando perché. E di nuovo la risposta mi spiazza: “perché se lo meritano. Sono più interessati alla mia soddisfa-
zione che a me come cliente!”
Arriviamo a Monaco di Baviera, andiamo in Hotel per lasciare i bagagli e subito alla Biblioteca Nazionale dove ci aspettavano per la cerimonia di donazione di un Mac, alla Biblio-
teca per l’appunto. Ci era stata preannunciata un’audience di livello, la stampa, un po’ di spettatori spontanei e a Steve era richiesto un discorso e il gesto fisico della donazione. La
Germania è uno dei paesi europei dove il Mac va peggio, e Steve non è ben disposto. Arriviamo alla biblioteca e troviamo lì la direttrice dell’istituzione, 5 o 6 persone di Apple Ger-
many più un fotografo assoldato da loro e … e basta.
L’edificio è bellissimo sia dentro che fuori. Costruito nella prima metà del 1800, anche se la fondazione della si ispira allo stile rinascimentale italiano. Non a caso questa è consi-
derata una delle più belle biblioteche del mondo, con grandi volte affrescate e le statue di Aristotele, Ippocrate, Omero e Tucidide che decorano la balaustra dell’ingresso.
Steve è sempre più teso. Chiede al General Manager locale “that’s all?” … al che questi si consulta con la responsabile PR, questa fa due telefonate … insomma passa qualche minu-
to e la risposta è che si, non sarebbe arrivato nessun altro e dovevamo procedere perché la direttrice aveva altri impegni dopo.
Bene; Steve sale sul podio che è stato posto al centro del grande ingresso. “Grazie per essere qui; in questa circostanza credo che un discorso di 3 minuti sia adeguato … “ poi parla
davvero per 3 minuti. Punta sul fatto che non riesce a spiegarsi come mai proprio in Germania con la cultura della concretezza il Mac, che attraverso le icone concretizza dei con-
cetti informatici, non ha un’entusiastica accoglienza.
Poi dona il Mac. Salutiamo ed andiamo negli uffici della sede tedesca. A questo punto la pressione accumulata da Steve viene rilasciata in pochi minuti. L’incipit è illuminante: “well,
it’ going quite shity here, ah?!?”.
Finito di lisciare il pelo ai componenti di Apple Germany, Steve si rivolge a me e mi dice “Non voglio stare qui. Voglio andare a Firenze. Cerca il pilota e diglielo”.
Ecco questa non è esattamente una easy task. I telefoni cellulari arriveranno tra dieci anni e non è facile trovare il pilota, inoltre Firenze non è prevista nel viaggio e quindi nei piani
di volo.
Trovo il pilota e gli comunico la decisione e lui mi risponde di si, ma l’aeroporto fiorentino non è attrezzato per gli atterraggi in notturna, e quindi se davvero dobbiamo andare a
Firenze bisogna muoversi in fretta e decollare entro massimo un’ora. OK!
Di corsa all’hotel – siamo di fretta, pagherà Apple Germany – e poi di corsa all’aeroporto e via a Firenze.
In Aereo ci cambiamo e ci mettiamo comodi. Finalmente un posto dove non ci aspetta nessuno e non abbiamo obblighi di etichetta.
A Firenze Steve sta bene, l’ha sempre amata. E poi siamo in jeans, maglietta e scarpe da ginnastica, nessuno ad accoglierci: finalmente liberi! In taxi ci facciamo portare dove abita
una amica di Steve, ma non c’è nessuno e decidiamo di andare in centro, Steve spaventa un bimbetto che indossa un pin con la melina colorata. Lo acchiappa all’improvviso per il
bavero della giacchettina per farmelo vedere “look at this !!!”. Tento di spiegare al bimbetto, dopo che Steve lo molla, ma lui è scettico; il suo sguardo sta dando dello scemo sia a
me che a Steve. Desisto e lui se ne va.
Di nuovo in taxi, a casa dell’amica. Mentre arriviamo noi, arriva anche lei con un’altra amica. Ottimo!
Andiamo a cena nel ristorante in Piazzale Michelangelo. Non abbiamo prenotato e il posto è pieno, ma io metto in mano al cameriere una banconota da 100 dollari e gli chiedo se
ci trova un tavolo per quattro in una buona posizione. Funziona: mentre ceniamo ci godiamo anche la vista strepitosa su Firenze. Facciamo tardi al ristorante, riaccompagnamo a
piedi le due ragazze fino a casa e le salutiamo.
È tardi, siamo in periferia e non abbiamo voglia di cercare un albergo tanto alle 7 del mattino dopo dobbiamo partire per Francoforte da dove poi prendere il volo commerciale per
San Francisco. Per cui ci incamminiamo verso l’aeroporto - a Steve piace camminare, a me decisamente meno - dove arriviamo a notte tarda: chiuso! Però dentro c’è della luce e
busso. Dopo un po’ arriva il custode in canottiera, crede a quello che gli dico – dobbiamo partire alle 7 di domani mattina con quel Jet li fuori – e non solo ci fa entrare, ma ci dà
anche due brandine da campeggio su cui dormire!
E infatti dormiamo. Nella lounge dell’aeroporto di Firenze, su due brandine. Mi sveglia il movimento delle persone che ci passano accanto da tutte le parti e mi rendo conto che
siamo proprio nel mezzo dei percorsi utili ai passeggeri per muoversi nell’aeroporto. Rimango lì, facendo finta di dormire fino all’arrivo del pilota.
Lui è impeccabile nella sua uniforme con i bottoni dorati tutti lucidi, fresco, sbarbato, disteso e sorridente. Noi di contro sembriamo due barboni: ci muoviamo lentamente, con gli
occhi ancora appiccicati dal sonno e faticosamente raggiungiamo insieme l’areo. E poi a Francoforte e poi a San Francisco.
Siamo tornati a casa. Beh io mica tanto, visto che tra 15 giorni lascerò la California per tornare con mia moglie in Italia.
Il viaggio in queste strane circostanze ha creato un legame; prima di partire Steve ci invita a pranzo nella sua casa a Redwood: veramente notevole! A parte la piscina, i 7 acri, l’orto
biologico tenuto impeccabilmente da una coppia di giovani italiani – lui è anche il cuoco che giornalmente prepara piatti strettamente vegetariani – quello che ci stupisce è l’inter-
no; praticamente spoglio. E poi una stanza, anch’essa spoglia con delle strane fessure rettangolari nei quattro muri in alto, che corrono parallele al soffitto, e una tastiera che esce
da uno dei muri, all’altezza giusta. La stanza è tutta un grande organo con le canne nascoste dentro le pareti.
Mangiamo ravioli vegetali con salsa di pomodoro e un secondo di baby ortaggi cotti al vapore; buoni, anche se preferisco le melanzane alla parmigiana.
Ci vediamo diverse volte a Milano, in occasione delle sue visite in Italia. Lo incontro tutte le volte che io vado a Cupertino fino al 90, quando esco definitivamente da Apple. Poi con-
tinuiamo a scriverci rare email, fino alla sua malattia, quando smette di di rispondermi.
Quando è morto ho pianto più per l’amico che per il genio.

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Steve and I

  • 1.
  • 2. Steve and I di Mauro Cuomo
  • 3. Sulla strada dei ricordi    Sto guidando sulla strada che da Sarzana porta a Fosdinovo, in Lunigiana. La strada è piena di curve, ma la conosco bene. In più è una bella giornata, è domenica mattina e non c’è traffico: guido volentieri, un po’ sostenuto ed intanto penso. Penso alla serata di ieri. Particolare. Col mio amico Antonio ci siamo visti il film su Steve Jobs. Entrambi abbiamo lavorato in Apple ed abbiamo deciso di vederlo in modo intimo, solo per noi. Ci siamo organizzati con videoproiettore, schermo grande e dolby sound, oltre alla necessaria americanata consistente in una non banale quantità di birre, chips, noc- cioline, ed altri snack. Un bel film. Abbastanza vero. E l’attore che fa Steve a volte sembra proprio lui. Onde evitare l’arresto per guida in stato di ebrezza, ho dormito da lui, e adesso, mentre guido verso casa, cominciano a tornarmi alla mente un po’ di cose di quel tempo, quando anch’io ero in Apple a Cupertino. Cupertino, California. La mitica Sylicon Valley. È la seconda volta che mi trasferisco qui. La prima è stata nel 1981 con l’Olivetti, grazie alla mia fortuna e alla mia laurea in informati- ca. Ne ero rimasto affascinato! Nell’ambito dei computer era lì che stava succedendo tutto. Per la prima volta nel melting pot tecnologico del mondo e ne facevo parte. Pur avendo vissuto il 68 da studente liceale, con tutti i risvolti che ne conseguono, è stato nella Sylicon Valley che mi sono sentito davvero parte di una rivoluzione; una rivoluzione in fin dei conti pacifica e che a mio parere ha cambiato il mondo in meglio. Mi ero subito trasferito come abitazione a San Francisco, mi sembrava di vivere in un bel sogno: un appartamento proprio sopra il Vista Point che c’è in alto su Portola Drive, quella che poi entrando in San Francisco diventa Market Street. Un piccolo appartamento, ma con una vista strepitosa: dalla grande vetrata esposta ad est vedevo tutta la baia, il Bay Brid- ge e, in lontananza a destra Oackland ed a sinistra Berkley. La mattina, anche presto, il sole entrava con una forza tale da svegliarmi, anche se la camera dove dormivo era dall’altra parte dell’appartamento. Unico cruccio, mia moglie era rimasta in Italia; anche se il rovescio della medaglia era piuttosto positivo: single e etero a San Francisco nel 1981. Qualcuno sa cosa vuol dire, gli altri non importa. Poi ero tornato in Italia, per provare a riaggiustare il mio matrimonio, ma senza successo. Avevo lavorato un altro po’ come software engineer, mi ero separato e la fortuna mi ave- va fatto incontrare Alison, quella che si sarebbe rivelata la mia compagna per la vita, … e poi di nuovo la fortuna: sono entrato in Apple in Italia come product manager del Lisa (il primo computer commerciale con interfaccia grafica), e poi product manager anche del Macintosh non ancora nato. Un giorno a Parigi, al meeting dei product manager europei, ognuno ha presentato la propria proposta per il posizionamento del Mac in Italia, e la mia è stata un successone. La fortuna continua e mi viene offerto il ruolo di international product manager a Cupertino. Non ringrazierò mai abbastanza l’amico e collega Umberto V. che mi diede gli spunti per quella presentazione. Beh, in Apple non bastava che qualcuno, anche in alto, ti proponesse per una posizione; dovevi comunque fare un bel po’ di strada, in salita e con le curve, per meritartela. Dopo qualche giorno sono stato invitato alla sede Apple per una serie di colloqui: mi hanno rivoltato come un calzino. Sono stato intervistato, e giudicato, da tutte le persone che avreb- bero avuto a che fare con me: il mio capo e sponsor, Johanna Hoffman, tutti i miei pari livello nell’area marketing e prodotto, tutti quelli che sarebbero stati i miei collaboratori, la HR partner e, alla fine Steve Jobs. Avevo incontrato Steve una sola volta, quando ci è stato presentato il prototipo del Mac, e ci avevo scambiato poche parole. Non mi aspettavo quelle domande, molte veramente personali; ma ricordo bene quella che mi mise più in difficoltà: “conosci qualcuno che potrebbe fare questo lavoro meglio di te?” non male la domanda e dopo qualche secondo risposi “si, è Bruno R. il product manager francese” E lui “e perché dovremmo assumere te, invece che lui?” E io “perché io voglio farlo, lui no!” E lui, dopo avermi guardato dritto negli occhi per qualche secondo, “ok”. E così fu che tornai qui, in California, di nuovo a San Francisco, ma questa volta con Alison. Appartamento in Alamo Square. Quella piazza dove ci sono le quattro case vittoriane di una tipica cartolina di San Francisco, con il Golden Gate Park raggiungibile in 15 minuti a piedi percorrendo Fells St. verso ovest. Ancora 70 Km la mattina e la sera per andare al lavoro e tornare. Però è una bella guidata sulla 280, un’oretta su una strada bellissima. Mica tutti fanno un commuting piacevole.
  • 4. Il futuro, qui, lo si inventa Il primo impatto con il lavoro è, a dir poco, particolare: Johanna mi informa che ha dato le dimissioni, che ha proposto che io prendessi il suo posto, che la proposta è stata accetta- ta e che abbiamo una settimana per il passaggio di consegne. Quindi senza aver fatto ancora nulla, mi trovo già promosso al gradino sopra. Bene !?! Il lavoro è impegnativo, ma entusiasmante, mi sento ancora più rivoluzionario. Non solo sono in Sylicon Valley, ma addirittura in Apple; di più, nella divisione Macintosh, dove il futu- ro lo si immagina, lo si progetta, lo si costruisce, lo si tocca. Abbiamo una palazzina tutta per noi, ha un nome: Bandley 3. Una palazzina di un solo piano; un grande quadrato, dove siamo organizzati in diversi open space, con una grande hall che ospita nei lati salette per le riunioni e da cui si dipartono due corridoi, uno a destra e l’altro a sinistra, che portano nelle zone operative. La nostra hall è bellissima, molto lumino- sa. Una specie di grande trapezio isoscele in pianta, con la base minore (lontana per chi entra) occupata da un grande palco. Sopra il palco l’attenzione viene subito catturata da una vecchia ma lucidissima moto BMW, un pianoforte a coda e un tavolo da ping-pong, anche se ci sono altri strumenti musicali e diversi videogiochi. E poi sotto poltroncine e divanetti con alcuni tavolini bassi. Un luogo di ritrovo dove incontrare un collega e fare una chiacchierata, che alla fine tratta sempre di lavoro. Gli uffici sono ben organizzati in grandi open space, dove ognuno ha il suo boot – scusatemi ma preferisco boot a loculo – e i boot sono tutti uguali; molto democratico, e anche comodo: se ti devi spostare d’ufficio – e succede abbastanza spesso, il cambiamento si limita a spostare le tue cose e rimetterle esattamente negli stessi posti. Ho un team di otto persone, di nazionalità diverse: sei europei, un giapponese ed una messicana. Siamo responsabili del controllo qualità per il rilascio delle versioni internazionali del sistema operativo. Teniamo aggiornati i vari paesi sugli sviluppi di prodotto e di marketing e forniamo loro raccomandazioni, mentre al contempo cerchiamo di far implementa- re le richieste che ne provengono. Siamo anche responsabili di quello che esce dalla fabbrica di Cork in Irlanda, dove si producono/assemblano i prodotti destinati al mercato europeo. La nostra responsabilità non è tanto sul prodotto, quanto sul packaging. Abbiamo già diverse versioni di Mac con tastiera, software, alimentazione e manualistica personalizzata: Francese, Tedesco, Italiano, Spagnolo e Inglese (diverso dall’americano per tastiera ed alimentazione) e dobbiamo assicurarci che nelle scatole ci vadano le cose giuste. Sembra facile ma non lo è! A Cork si fanno i breakfast meeting in fabbrica alle 7 del mattino; allucinante! e alle 5 di pomeriggio siamo tutti al pub, dove si riesce a conversare per circa un’ora, dopodiché la maggior parte degli interlocutori non è più abbastanza lucida da ragionare su cose serie - ma neanche su cose frivole da tanto che sono ubriachi. Dall’altra parte ci sono le succursali Apple in Europa, con i relativi General Manager e responsabili di prodotto; ognuno con le sue esigenze, ovviamente non negoziabili, sul prodot- to. È un po’ il concetto tra l’incudine e il martello: non abbiamo potere su alcuna delle parti in gioco, ma siamo responsabili dei risultati della collaborazione. Il capo della divisione Macintosh è Steve, che di stipendio prende meno di me; fantastico! Lo incontro tutti i lunedì allo staff meeting, un’ora in tutto, ed ogni tanto ci scambio qualche parola in corridoio. Poi ci sono quei momenti in cui ti si avvicina, ti chiede i progressi del tuo lavoro – sa perfettamente quello che stai facendo, ed è così per tutti, dal manager al programmatore – a volte ti elogia pubblicamente, altre ti tratta male o ti sfida. Non succe- de mai che ti si sieda di fianco e vada via senza averti fatto cambiare la giornata; spesso in meglio, qualche volta in peggio.
  • 5. Steve Steve è famoso per le riunioni in cui non si esce senza aver ottenuto un risultato. Io partecipo a quella sul packaging del Mac. Cominciamo alle 3 di pomeriggio e finiamo dopo mezzanotte! Il processo di autoconvincimento di Steve guida la riunione. Lui ripassa tutte le volte tutti i punti toccati, con uguale attenzione per quelli appena modificati e quelli su cui siamo già passati diverse volte. Una roba maniacale! (capirò dopo un po’ che quella maniacalità caratteristica di Steve, era necessaria allo spirito di Apple) Dopo il lancio del Macintosh ed il famoso video pubblicitario diretto da Ridley Scott, nella divisione Macintosh siamo intontiti dal successo. We made it! Siamo tutti orgogliosi, orgo- gliosissimi. Il Mac non va male, ma neanche benissimo. Il limite maggiore sono i 128K di memoria. Troppo poco per quello che poi gli utenti vogliono farci. Nel settembre 1984 lanciamo il Mac 512 (512K di memoria) e all’inizio del 1985 la LaserWriter con la rete AppleTalk, che insieme al linguaggio di descrizione della pagina “post- script” rivoluziona il mercato dell’editoria - uno dei tanti mercati che sono cambiati per l’intervento di Apple e di Steve - con il concetto di Desktop Publishing Steve è davvero particolare. Fa domande puntute, che richiedono sempre un qualche sforzo per rispondere; non genera risposte automatiche. Un po’ mette in soggezione, ma non lo fa con cattiveria; gli viene spontaneo. Il trucco è non farsi mettere in soggezione, ma l’interazione va calibrata. Lui continua a premere. Sul lavoro non tollera l’approssimazione e la superficialità: lo vedo licenziare una persona in tronco per questi motivi. Eravamo in piedi in un corridoio laterale della palazzina, quello che porta alla stanza del caffè. Stavamo discutendo di alcuni problemi seri incontrati dai clienti con le LaserWriter e questa persona, chiamiamolo Ralph, ha fatto due battute scherzose sul malfunzionamento della macchina. Dopo la prima battuta Steve lo ha guardato, come fa lui e gli ha chiesto “are you serious ?”. Ma Ralph non ha raccolto il non verbale e ha sparato la seconda battuta, al che Steve “Ralph ?!? How long have you been working for Apple not counting tomor- row?” e Ralph “what do you mean ?” e Steve “ I mean you’re out!” si è girato e se n’è andato via. Cosa che abbiamo subito fatto anche tutti noi a parte Ralph che ci è rimasto basito. Lealtà e appartenenza Ma è anche protagonista di comportamenti formidabili in difesa della Apple, del Mac e delle persone della Mac Division. Mi raccontano che durante il dealer blitz del febbraio 1985 (il consueto giro di presentazioni ai rivenditori Apple dei nuovi prodotti) dove per la prima volta si parlava di desktop pu- blishing, una nostra collega, chiamiamola Sue, è stata male mentre erano a Chicago, all’Intercontinental Hotel. Ma il tour doveva continuare, l’appuntamento successivo era Toron- to, per cui lasciano in hotel la persona malata, raccomandandosi di accudirla; paga Apple. Si deve sapere che questi dealer blitz erano organizzati in task force che si muovevano su itinerari differenti e Steve era nella stessa task force di Sue. Quando è in hotel a Toronto, Steve riceve la telefonata di Sue che si lamenta di stare ancora parecchio male e che all’hotel l’hanno proprio trascurata. Nessun dottore, pasto in camera tardi e freddo; scortesia generale. Al che Steve chiede di poter parlare al telefono con il Presidente della Intercontinental Hotels e quando ci riesce lo minaccia di comprare due pagine del WSJ per raccon- tare agli americani come trattano i clienti nei suoi hotel. Cosa che guadagna un’ospitalità gratuita a vita per Sue in quell’hotel, per periodi di due giorni, con l’unico vincolo di preno- tare almeno due settimane prima. Però nella divisione Mac siamo dei privilegiati. Viaggiamo in prima classe, abbiamo ottime bibite e spremute fresche gratis, possiamo avere un massaggio Thay in ufficio tutti i mercoledì. Tutti i venerdì alle 4 di pomeriggio arriva un cathering - gratuito per tutti noi - e porta tartine, patatine, stuzzichini vari, vino e birre; la hall si riempie ed inizia l’happy hours! Fonda- mentale esserci; si vengono a sapere un sacco di cose, di lavoro e non, e comunque fanno comunità. Ma siamo un po’ chiusi. E poi ci sentiamo superiori e chiamiamo gli altri “Bozo”. Siamo sicuramente arroganti e stiamo diventando antipatici, anche se forse non ce ne rendiamo conto appieno. Le cose non stanno andando bene. Le tensioni tra la divisione Mac e il resto di Apple sono palpabili: l’Apple II sta smettendo di tirare e il Mac non vende abbastanza, non riesce a sfondare oltre la curva degli innovatori. Costa troppo, non c’è abbastanza software, è troppo lento o TFS (too fucking slow) come amava ripetere Jean Louis Gassée, capo della Francia. Il Mac ha un costo di produzione ancora alto, per ammortizzare la fabbrica automatica di Freemont dovremmo vendere ben più del doppio. Siamo sotto. Perdiamo soldi. C’è un malessere generalizzato, fuori dalla nostra divisione l’antipatia per Steve è palpabile. Gira qualche battutina velenosa.
  • 6. Shock Nella seconda metà di maggio la notizia è comunque improvvisa e scioccante: non esiste più la divisione Macintosh. Di conseguenza Steve non ha più alcun ruolo manageriale e noi siamo tutti senza lavoro. Siamo tutti chiamati in riunione plenaria, communication meeting, nella nostra hall. La star e lo speaker sono la stessa persona: Jean Louis Gassée, che annuncia la sparizione delle sette, la riunificazione di Apple, la nascita della divisione international a Cupertino e, dulcis in fundo, la sua guida della unificata divisione di Ricerca e Sviluppo - JL Gassée a capo della Ricerca e Sviluppo porterà Apple, dopo il Mac plus e i vari SE già in avanzata fase di sviluppo, alla produzione delle peggiori macchine (si macchine non Mac!) della sua storia, fino a quando non decideranno nel 1995 di richiamare Steve. Parla tanto, con proprietà di linguaggio ed accento parigino, molto irritante. Dice cose brutte e le dice male … l’arroganza non scompare, semplicemente si sposta. Steve è presente, non parla. Molti chiedono di Steve a JLG che risponde con arroganza di chiedere a Steve. Qualcuno chiede a Steve e lui risponde a fatica che rimane Chairman of the board di Apple e che il Mac andrà avanti. Sarà perché sto guardando la scena da dietro, ma quello che mi colpisce di più sono le continue contrazioni a scatti delle natiche di Gassée. Però è finita. Lo pensiamo tutti. Qualcuno ha possibilità di scelta tra pacchetto di uscita e nuovo posizionamento; altri no. Da alcune settimane sono impegnato nell’organizzazione di un viaggio importante: un giro di conferenze che Steve Jobs avrebbe tenuto in Europa a giugno; una dozzina di persone in giro per l’Europa in private jet: Roma, Stoccolma, Parigi, Londra e Monaco di Baviera.; Dopo la “caduta” di Steve, le persone che avrebbero dovuto partecipare fanno tutte “un pas- so indietro”, a parte me che nel frattempo declino una posizione nella nuova divisione international e accetto il package di uscita che prevede il mio licenziamento e la conseguente relocation in Italia, ma non prima di aver adempiuto al mio dovere di accompagnare Steve nel tour. Mi concentro nella preparazione delle tappe e nell’avere il massimo di certezze sulle organizzazioni locali delle conferenze. E intanto molte persone cercano di prepararmi all’avven- tura del viaggio con Steve; qualcuno cerca addirittura di dissuadermi - per il mio bene. L’approccio di più basso profilo è “ti farà impazzire; è ingestibile, …” e via a salire. Devo dire che l’unica raccomandazione diversa arriva inaspettatamente da JLG, che mi dice che vale la pena andare in viaggio con Steve, perché sicuramente c’è molto da imparare. Non do retta a nessuno, a parte JLG, non ho nessuna intenzione di farmi rovinare un viaggio con Steve; neanche da Steve! Per cui partiamo e scopro che le cose sono molto più semplici. Steve è una persona che ama essere trattata alla pari, è diretta e gli piacciono le persone dirette. Io lo sono, per cui in qualche modo ci rispettiamo. Il volo Lufthansa fino a Francoforte lo passiamo in Fisrt Class, dove ho imparato che con il formaggio si deve bere il porto e con il caviale la vodka, ma in silenzio. Steve un po’ dor- me, un po’ rimugina. Lo lascio stare. Cominciamo a parlare un po’ nel Jet privato. Una roba veramente lussuosa, con sedili spaziosi in vera pelle e totalmente reclinabili. Tavolinetti veri e due piloti di cui uno dedicato ai passeggeri che dovevano essere 12 e invece sono 2! Possiamo chiedere da mangiare o da bere in qualsiasi momento. Possiamo chiedere di inclinare un po’ l’aereo (senza esagerare) per vedere il panorama. Questo è lusso! Appunti di viaggio – Roma e Stoccolma Si alternano lunghi silenzi con interessanti conversazioni: parliamo abbastanza, imparo moltissimo! La sua visione straripa dai suoi discorsi. Il prodotto deve essere qualcosa che ami, e se lo ami non accetti di farlo “male” per farlo in fretta. Non c’è motivo di fare un Mac a colori se poi non posso stampare a colori e così perdo il WYSIWYG. Sculley sta sba- gliando, non bisogna puntare alle aziende ma alle persone, alle scuole, alle università. Il target sono le persone a cui si può rendere la vita molto più semplice. Mi dice che lui ha sbagliato ad assumere Sculley, che forse si darà alla politica, ma forse no. Non parla di getto. Prima pensa, poi ti guarda negli occhi e finalmente parla. Si prende tutto il tempo che gli serve per rispondere seriamente. Devo dire che a dispetto dei vari gufi dei giorni precedenti, Steve è impeccabile sia in pubblico che in privato, cioè con me. Roma, la prima tappa, siamo all’Hassler Villa Medici proprio sopra la scalinata di Piazza di Spagna. Stupendo, anche se un po’ caro (io sono quello che paga e la sosta nell’hotel romano sarà la più cara del tour), ma la vista è mozzafiato. Siamo a giugno e Roma è particolarmente bella e soleggiata, con la solita brezza che consente di godersi il caldo. Ci prendiamo il tempo di un giro in centro, purtroppo accompagnati da uno stuolo di persone tra Apple Italia e società di PR, per approdare in serata all’Eur per l’intervento di Steve ai giovani imprenditori: sala piena, traduzione simultanea, grande palco con grande tavolo e diverse persone. Inizia il presidente dei giovani imprenditori per presentare Steve; e parla, parla, parla.
  • 7. Io sono in platea. Vedo Steve che fatica a seguire tutti quei discorsi, e ogni tanto ridacchia. Quando finalmente, dopo 40 minuti, il discorso finisce, non sapendo di avere già il micro- fono acceso si fa scappare un rassegnato “so many words …”; si accorge del microfono acceso e se la gioca “… just to introduce myself “ seguito da un largo sorriso: sembra fun- zionare … Steve è magnetico, parla a braccio, di quello in cui crede, di quello che sogna. La platea è affascinata. La gente applaude in piedi. Ma come fa. Ma come fa, dopo la batosta che ha preso, ad essere così? Così profondamente convinto di quello che dice; così appassionato. Ma come fa, magari dopo glielo chie- do. E poi la cena con il Ministro del lavoro Gianni De Michelis che a Steve piace molto. “I like the Minister, he has vision.” Mi dice. Poi il Ministro ci porta a ballare in una delle discoteche dove soleva passare le nottate. Si sto vedendo Steve Jobs e Gianni de Michelis che ballano! Mattina difficile. Abbiamo fatto un po’ tardi e io ho anche bevuto troppo. Ma ci aspetta il Jet per andare a Stoccolma, che non è proprio lì: quasi 4 ore di volo da Roma. Durante il volo non gli chiedo come fa, ma piuttosto perché stava ridacchiando sul palco. Lui sorride e mi risponde che il tanto parlare dello speaker lo aveva messo in una specie di trance dove gli era emersa una fantasia erotica con la traduttrice simultanea. Stoccolma inizia male; una perdita di olio nel portabagagli della Limusine che ci traferisce dall’aeroporto al Grand Hotel, imbratta le belle valige di pelle di Steve, che fatica a mante- nere il suo disappunto a livelli accettabili. Gli piacciono le cose belle, curate nella manifattura; ne compra poche e le sceglie con cura e poi ci si affeziona. È uno che non spreca, è tutt’altro che uno spendaccione. In qualche modo non ama apparire, anzi ama apparire ma come vuole lui e basta. Forse è per questo che non gradisce il trasferimento in elicottero alla Lund University. Troppo appariscente e troppo rumoroso, in tutti i sensi. Siamo accolti in pompa magna: un sacco di persone, la stampa, i fotografi e la banda locale. http://www.youtube.com/watch?v=33byKIZztSI Steve è inverso, ma dopo essersi cambiato d’abito fa uno degli interventi più appassionati ed avvincenti. Sempre a braccio fornisce la sua visione del futuro della tecnologia, della società e del mondo. In qualche modo riesce ad elogiare e supportare Gorbaciov nel suo sforzo di riformare l’Unione Sovietica e nel contempo preannuncia convinto che i Macinto- sh futuri avranno kernel Unix - ci ha messo un po’ ma poi ci è riuscito!. Anche a Stoccolma la serata finisce in discoteca. Sembra incredibile, siamo entrati in discoteca poco prima di mezzanotte ed era ancora giorno; ne usciamo verso le 2 ed è già giorno! Appunti di viaggio – Parigi e Londra Stiamo volando verso Parigi. Ho smesso di considerare il Jet Privato un lusso: è parecchio più lento e molto più rumoroso di un aereo di linea, ed è estremamente più sensibile alle turbolenze cosa di cui ci stiamo accorgendo. Steve è silenzioso, un po’ giù di corda. Provo a fargli notare le cose che è già riuscito a fare e di cui dovrebbe andare orgoglioso. Gli ricordo che i lavoratori della fabbrica di Dallas, che è stata appena chiusa, e che quindi hanno perso il lavoro, hanno pubblicamente ringraziato Apple per avergli dato l’opportunità di lavorare in un’azienda veramente speciale e che continueranno a ricordare con piacere l’esperienza. Steve mi gela: “devo essere orgoglioso di aver licenziato 1200 persone ?!?”. Non rispondo. Ho detto una cazzata e mi merito la risposta. Taccio fino a Parigi e imparo che se Steve non ha voglia di chiacchierare lo devo lasciare tranquillo. Parigi ci accoglie con meno sfarzo e tutto sommano la tappa non è estremamente interessante, un giro negli uffici di Apple France, ma evitiamo di visitare Apple Europe. Poi il discorso anche qui ai giovani imprenditori, molto ben accolto e poi la cena con il ministro francese delle poste e telecomunicazioni, dove Steve usa tutte le sue risorse seduttive per cercare di convincere il ministro a “buttare via” i minitel, che allora spopolavano in Francia, ed adottare i Mac per dare il meglio ai i cittadini … ma non riesce a fare breccia. Si immagina al volo un Mac che costa meno in produzione - oggi i Mac costano in produzione 506 dollari l’uno, se tolgo il floppy, cambio questi componenti, levo questo e levo quello, possiamo produrli a 290/300 dollari che vuol dire venderli alla Francia a circa 600 dollari l’uno. Ma il ministro lo gela rispondendo che i minitel al cambio corrente costano poco più di 300 dollari. Steve si arrende e la cena diventa noiosa, però siamo al ristorante che Angelo Paracucchi ha aperto da non molto nell’hotel Le Royal Monceau, e mi concentro volentieri sull’ottimo cibo. In volo verso Londra Steve è inverso. Ce l’ha su con il ministro che non capisce la differenza, ce l’ha anche con se stesso che non è riuscito a fargliela capire. Non si spiega perché la gente non corre a comprare i Mac che sono così ovviamente meglio dei PC IBM. Manca qualcosa, e non capisce cosa. Questo lo fa arrabbiare. In effetti troverà poi cosa manca- va, visto che non solo riuscirà a far “correre” le persone a comprare Mac, iPod, IPhone, iPad, anche a farle fare file di ore per avere il privilegio di essere uno dei primi a mettere le mani sul nuovo prodotto Apple. Atterriamo a Londra Heathrow. Anche qui un certo numero di persone ci accolgono poi la solita limusine e il Brown Hotel. Qui ci danno una strana chiave. Una specie di carta di credito come dimensioni, di cartone rigido e con alcuni buchi. Steve la prende, la guarda, la smonta aprendola, la guarda bene e poi ne chiede un’altra all’allibito impiegato della reception.
  • 8. Lui è così, è curioso. Vuole sapere come funzionano le cose. In tarda mattinata, andiamo da, in Jermyn Street, il più rinomato camiciaio del Regno Unito dove Steve cerca di acquistare 6 camice su misura. una scena stupenda. Steve che vuole ordinare le camicie a qualsiasi prezzo e il commesso che si rifiuta di prendere l’ordine – non possiamo Sir, non riusciremmo a fare le sue camicie prima di 6/8 mesi; in questo periodo le sue misure potrebbero cambiare e lei potrebbe poi non essere soddisfatto … – e Steve che insiste. Dice che non avrebbe cambiato le misure, non sarebbe ingrassato e che anche nel caso il problema sarebbe stato suo e non loro. – non possiamo Sir, e comunque noi saremo a settembre prima a New York e poi a Los Angeles, e se lei ci raggiunge lì possiamo prenderle le misure a dare seguito al suo graditissmo ordine … – Steve accetta la sconfitta ed usciamo dal negozio con lui che borbotta che il Mac forse a te non lo vendo perché se poi non ti trovi bene con il mouse magari non sei soddisfatto e mi ritieni responsabile responsabile e comunque mumble mumble … insomma, fa fatica a crederci. Gli sembra impossibile che questi rifiutino di vendere il loro prodotto. Dopo un pranzo leggerissimo, quasi nulla, andiamo alla sede londinese del Rotary Club in Charles Street, dove è previsto l’intervento di Steve. La cosa più elegante che si possa immaginare dal punto di vista di un inglese. È incredibile come in certi ambienti inglesi gremiti di persone si riesca a parlare a voce bassa e riuscire a sentirsi. Un ambiente molto formale. Bello, ma in fondo un po’ freddo e molto poco naturale. Sembra che ci sia nell’ambiente un filtro emozionale che non consente gesti sopra le righe; e le righe sono basse. E poi la cena. Sono a cena con tre delle persone più interessanti del pianeta: Steve Jobs, Richard Branson patron di Virgin e Douglas Adams (quello della guida galattica per auto- stoppisti). Fatico a seguire i discorsi, ma sono ugualmente estasiato. Le ipotesi di futuro a breve e a lungo termine si intrecciano. Steve e Richard più allegri e positivi, Douglas più estremo direi, ma sempre molto divertente. Morirà nel 2001. Appunti di viaggio – Monaco, Firenze, Cupertino Di nuovo in volo, questa volta verso Monaco di Baviera. Chiedo a Steve, quasi per scherzo, se ha intenzione di andare a Los Angeles a settembre per farsi le camici e sorprendente- mente mi sento rispondere “of course!”. Sono un po’ stupito e gli domando perché. E di nuovo la risposta mi spiazza: “perché se lo meritano. Sono più interessati alla mia soddisfa- zione che a me come cliente!” Arriviamo a Monaco di Baviera, andiamo in Hotel per lasciare i bagagli e subito alla Biblioteca Nazionale dove ci aspettavano per la cerimonia di donazione di un Mac, alla Biblio- teca per l’appunto. Ci era stata preannunciata un’audience di livello, la stampa, un po’ di spettatori spontanei e a Steve era richiesto un discorso e il gesto fisico della donazione. La Germania è uno dei paesi europei dove il Mac va peggio, e Steve non è ben disposto. Arriviamo alla biblioteca e troviamo lì la direttrice dell’istituzione, 5 o 6 persone di Apple Ger- many più un fotografo assoldato da loro e … e basta. L’edificio è bellissimo sia dentro che fuori. Costruito nella prima metà del 1800, anche se la fondazione della si ispira allo stile rinascimentale italiano. Non a caso questa è consi- derata una delle più belle biblioteche del mondo, con grandi volte affrescate e le statue di Aristotele, Ippocrate, Omero e Tucidide che decorano la balaustra dell’ingresso. Steve è sempre più teso. Chiede al General Manager locale “that’s all?” … al che questi si consulta con la responsabile PR, questa fa due telefonate … insomma passa qualche minu- to e la risposta è che si, non sarebbe arrivato nessun altro e dovevamo procedere perché la direttrice aveva altri impegni dopo. Bene; Steve sale sul podio che è stato posto al centro del grande ingresso. “Grazie per essere qui; in questa circostanza credo che un discorso di 3 minuti sia adeguato … “ poi parla davvero per 3 minuti. Punta sul fatto che non riesce a spiegarsi come mai proprio in Germania con la cultura della concretezza il Mac, che attraverso le icone concretizza dei con- cetti informatici, non ha un’entusiastica accoglienza. Poi dona il Mac. Salutiamo ed andiamo negli uffici della sede tedesca. A questo punto la pressione accumulata da Steve viene rilasciata in pochi minuti. L’incipit è illuminante: “well, it’ going quite shity here, ah?!?”. Finito di lisciare il pelo ai componenti di Apple Germany, Steve si rivolge a me e mi dice “Non voglio stare qui. Voglio andare a Firenze. Cerca il pilota e diglielo”. Ecco questa non è esattamente una easy task. I telefoni cellulari arriveranno tra dieci anni e non è facile trovare il pilota, inoltre Firenze non è prevista nel viaggio e quindi nei piani di volo. Trovo il pilota e gli comunico la decisione e lui mi risponde di si, ma l’aeroporto fiorentino non è attrezzato per gli atterraggi in notturna, e quindi se davvero dobbiamo andare a Firenze bisogna muoversi in fretta e decollare entro massimo un’ora. OK! Di corsa all’hotel – siamo di fretta, pagherà Apple Germany – e poi di corsa all’aeroporto e via a Firenze. In Aereo ci cambiamo e ci mettiamo comodi. Finalmente un posto dove non ci aspetta nessuno e non abbiamo obblighi di etichetta. A Firenze Steve sta bene, l’ha sempre amata. E poi siamo in jeans, maglietta e scarpe da ginnastica, nessuno ad accoglierci: finalmente liberi! In taxi ci facciamo portare dove abita una amica di Steve, ma non c’è nessuno e decidiamo di andare in centro, Steve spaventa un bimbetto che indossa un pin con la melina colorata. Lo acchiappa all’improvviso per il bavero della giacchettina per farmelo vedere “look at this !!!”. Tento di spiegare al bimbetto, dopo che Steve lo molla, ma lui è scettico; il suo sguardo sta dando dello scemo sia a me che a Steve. Desisto e lui se ne va.
  • 9. Di nuovo in taxi, a casa dell’amica. Mentre arriviamo noi, arriva anche lei con un’altra amica. Ottimo! Andiamo a cena nel ristorante in Piazzale Michelangelo. Non abbiamo prenotato e il posto è pieno, ma io metto in mano al cameriere una banconota da 100 dollari e gli chiedo se ci trova un tavolo per quattro in una buona posizione. Funziona: mentre ceniamo ci godiamo anche la vista strepitosa su Firenze. Facciamo tardi al ristorante, riaccompagnamo a piedi le due ragazze fino a casa e le salutiamo. È tardi, siamo in periferia e non abbiamo voglia di cercare un albergo tanto alle 7 del mattino dopo dobbiamo partire per Francoforte da dove poi prendere il volo commerciale per San Francisco. Per cui ci incamminiamo verso l’aeroporto - a Steve piace camminare, a me decisamente meno - dove arriviamo a notte tarda: chiuso! Però dentro c’è della luce e busso. Dopo un po’ arriva il custode in canottiera, crede a quello che gli dico – dobbiamo partire alle 7 di domani mattina con quel Jet li fuori – e non solo ci fa entrare, ma ci dà anche due brandine da campeggio su cui dormire! E infatti dormiamo. Nella lounge dell’aeroporto di Firenze, su due brandine. Mi sveglia il movimento delle persone che ci passano accanto da tutte le parti e mi rendo conto che siamo proprio nel mezzo dei percorsi utili ai passeggeri per muoversi nell’aeroporto. Rimango lì, facendo finta di dormire fino all’arrivo del pilota. Lui è impeccabile nella sua uniforme con i bottoni dorati tutti lucidi, fresco, sbarbato, disteso e sorridente. Noi di contro sembriamo due barboni: ci muoviamo lentamente, con gli occhi ancora appiccicati dal sonno e faticosamente raggiungiamo insieme l’areo. E poi a Francoforte e poi a San Francisco. Siamo tornati a casa. Beh io mica tanto, visto che tra 15 giorni lascerò la California per tornare con mia moglie in Italia. Il viaggio in queste strane circostanze ha creato un legame; prima di partire Steve ci invita a pranzo nella sua casa a Redwood: veramente notevole! A parte la piscina, i 7 acri, l’orto biologico tenuto impeccabilmente da una coppia di giovani italiani – lui è anche il cuoco che giornalmente prepara piatti strettamente vegetariani – quello che ci stupisce è l’inter- no; praticamente spoglio. E poi una stanza, anch’essa spoglia con delle strane fessure rettangolari nei quattro muri in alto, che corrono parallele al soffitto, e una tastiera che esce da uno dei muri, all’altezza giusta. La stanza è tutta un grande organo con le canne nascoste dentro le pareti. Mangiamo ravioli vegetali con salsa di pomodoro e un secondo di baby ortaggi cotti al vapore; buoni, anche se preferisco le melanzane alla parmigiana. Ci vediamo diverse volte a Milano, in occasione delle sue visite in Italia. Lo incontro tutte le volte che io vado a Cupertino fino al 90, quando esco definitivamente da Apple. Poi con- tinuiamo a scriverci rare email, fino alla sua malattia, quando smette di di rispondermi. Quando è morto ho pianto più per l’amico che per il genio.