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Sono gli amici il mezzo per accendere. La
luce della felicità
Bianca Maestrini
Ist. comprensivo
"P. A. Mattioli" Siena
E ad un certo punto tutti troviamo il nostro interruttore. Quello della stanza buia in cui siamo mentalmente
rinchiusi. Non sempre il buio è negativo, racchiude infatti una sfera di mistero e fantasia. Se ci pensiamo é
proprio mentre siamo avvolti dal buio della nostra camera che sognamo. Per me "buio" non é solo l'aggettivo
che descrive la stanza in cui mi rinchiudo nei momenti tristi ma anche quella in cui posso immaginare ciò che
voglio, senza che nessuno mi dica ciò che devo fare, e come lo devo fare. Nel buio non possiamo sapere ciò
che abbiamo intorno e questo spaventa, perché ciò che non si conosce ha sempre destato paura. Associo il
buio alla notte, la morte del giorno, della realtà, ma l'inizio del momento calmo, del sogno. Io però ho paura del
buio proprio perché non so orientarmi senza la luce; come riuscire ad uscire da una stanza, di notte, senza
sbattere di qua e di là. Nel buio mi sento distante dagli altri, come se quando spengo l'interruttore mi trasferissi
in un altro pianeta, in un altra dimensione dove non riesco ad interagire con ciò che ho intorno. Nonostante nel
mio mondo immaginario, del sogno, io mi trovi bene preferisco la luce.
É bello svegliarsi, aprire le finestre vedere il sole che ti acceca e ti fa capire che un altro giorno da vivere è
iniziato. Che vedrai le persone che ti vogliono bene, che si confidano con te e ti fanno ridere, che sono il motivo
del tuo sorriso. Tutto ciò semplicemente tirando su una serranda o premendo un interruttore. Io gli attimi felici
nei momenti bui, di tristezza, non sempre riesco a trovarli, sono più i miei amici, che spesso provano le mie
stesse emozioni o sono confusi come me, ad accendere il mio interruttore. Le lacrime si trasformano da lacrime
di tristezza in lacrime di gioia o di risate, grazie a coloro che mi consolano e mi distraggono facendomi ridere,
dalla consapevolezza di essere amata, di essere speciale per qualcuno. Spesso credo di essere incompresa ma
in realtà sono molte le persone che possono capire il mio stato d'animo. Credo siano rare le volte in cui ho
raggiunto da sola l'interruttore. Sono coloro che tengono a me ad aiutarmi. Gli amici sono speciali per questo,
perché riconoscono la porta della stanza buia in cui siamo rinchiusi e aprendola entrano nella nostra mente e
accendono la luce. Io preferisco farmi aiutare dalle persone che ho intorno, ma ci sono alcune che invece
preferiscono raggiungere l'interruttore da sole. Il momento più bello per me é quando si accorgono che sto male
e cercano la causa e il rimedio. Ma altri preferiscono non mostrare i loro sentimenti e nascondere la stanza buia
agli occhi degli altri.
La felicità di Benjamin
Elena Bifolchi
Liceo scientifico di
Montepulciano
Le più grandi fiabe insegnano che raggiungere la felicità, dopo un periodo buio, è difficile ma non
impossibile con un po’ di forza di volontà: Alice, cadendo accidentalmente in un tunnel, raggiunge
magicamente il paese delle meraviglie; Cenerentola, sguattera della Matrigna, diventa una
principessa . Decisivo risulta così ispirarsi ai racconti intramontabili che hanno incollato agli schermi
intere generazioni per trovare la soluzione ai periodi bui della vita.
E' il caso di Benjam, bambino senegalese. Il suo traghetto è approdato sulle coste di Lampedusa
questa notte alle ore 23:00. Ha combattuto a lungo per la sua sopravvivenza e per raggiungere la
terra dove si prospetta per lui un destino migliore. Nel difficile tragitto hanno perso la vita la madre
ed il fratello. Dice di averli lasciati sull' "etagè" del barcone pochi minuti prima che questo affondasse
mentre chiedevano aiuto con pianti e preghiere. E’ stato salvato dalla guardia costiera: è ancora
infreddolito e spaventato. I suoi occhi esprimono dolore mentre la voce rotta grida innocente alla
solitudine. Piange mentre fissa il mare in tempesta, come ad afferrare i suoi ultimi sogni di bambino,
le speranze di un avvenire migliore che le onde si sono portate via. Nessuno potrà mai cancellare
quelle immagini dalla sua mente. Le mani amorevoli di una volontaria si intrecciano tra i suoi capelli
ricci mentre le donne del paese aiutano portando coperte e qualcosa di caldo da mangiare. Come in
una caotica stazione ferroviaria c'e' chi va e chi viene ma per Benjam sono tutti volti sconosciuti.
Parla solo francese e spiega all'interprete che con lui c'era anche il padre, un uomo alto e
dall'instabile andatura per via di una caduta sul lavoro. In una cornice così profondamente
suggestiva, un urlo di gioia scalda i cuori dei soccorritori e di coloro che si sono salvati .
"Mon pere" e' il grido del bambino. Il padre con le ultime forze corre ad abbracciare il figlio che
credeva aver perso per sempre. Insieme troveranno la forza per affrontare una nuova vita .
La Luce della SperanzaTania Monti
Ist. comprensivo
Poggibonsi 1
Questa è la storia di un ragazzo che ha lasciato la sua casa, nella sperduta Etiopia, ed è partito con la sua famiglia
verso una vita migliore. Questo ragazzo ha 13 anni è scalzo e con un vestiario misero. Si è trovato davanti il
Sahara, l’immenso deserto che si estende per tutta l’Africa Settentrionale, con poco cibo e poca acqua e con la
paura che saliva dai meandri più profondi del suo essere, l’ha attraversato. Dice: “Non vi potete neanche sognare
quante volte mi sono fermato a pensare: perché? Che cosa sto facendo? Quante volte sono finito in lacrime
dalla paura che mi assaliva! Ma, quando poi ripensavo a come vivevo nel mio villaggio e a come venivo
sfruttato nelle piantagioni, riprendevo lo zaino e ripartivo”. Per il passaggio nel deserto hanno dovuto pagare un
prezzo altissimo: la madre. Alcuni esseri immondi hanno preteso un dazio per passare, ma poiché non potevano
pagare in soldi, hanno dovuto lasciare la madre, che si è offerta per amore dei figli e sapendo a che vita andava
incontro. “Quanto ho pianto quando le ho dovuto dire addio per sempre. Le ho urlato che sarei rimasto con
lei, ma lei mi ha lanciato a mio padre e se n’è andata. Ho pensato: a cosa serve andare avanti senza colei che
mi aveva cresciuto? Ma proprio per lei dovevo andare avanti e così ho fatto”, ci racconta il ragazzo. Arrivati in
Libia, furono segregati. “ Non capivo, - ci spiega, - cosa avevamo fatto e ancora una volta pensai a mia madre
con quei brutti ceffi”. Restarono in quella cella per un mese o più. Purtroppo sua sorella morì a causa degli abusi
sessuali. “In quella cella pensai che fosse, veramente finita. Fummo imbarcati, io e a mio padre, come se
fossimo degli animali, su un gommone sovraffollato e partimmo”. Viaggiarono per mesi mangiando pane secco e
ciò che avevano. Le malattie si diffusero rapidamente ad anche il padre ne fu colpito. “Pensai che oramai era tutto
assolutamente finito”. Sbarcati in Italia dei medici, curarono suo padre che si riprese molto velocemente, riuscì a
trovare un lavoro anche lontano dalla malavita. “Grazie a lui ho ritrovato la speranza! A breve dovrò affrontare
il mio primo esame nella scuola, dove mio padre mi ha mandato. Se adesso sono dove sono è grazie a lui e alla
mia famiglia che mi ha aiutato e incoraggiato a riaccendere il Focolare della Speranza”
Basta ricordarsi di accendere la luce?
Teresa R.M.Massone
Liceo classico Piccolommini
Siena
“Accendi e spengi, accendi e spengi, accendi e spengi…la lampadina si fulmina, la compri nuova, c’è anche
in offerta!” Siamo sicuri che una ragazza della mia età possa prendere una decisione tra una lampadina ad
incandescenza, una fluorescente tubolare, una fluorescente compatta ed una a risparmio energetico? La
risposta è che io, nella mia illuminata cameretta, ho ancora le lucine di Natale di due anni fa.
“Teresa accendi la testa!” Una vera e propria allegoria. Ma siamo sicuri che per una ragazza della mia età
sia facile trovare la lampadina giusta? La differenza tra me e un adulto è che quest’ultimo ha già acceso
tanti interruttori e tante candele per arrivare al punto in cui si trova. Vedo una strada ancora piena di
lampioni spenti da percorrere davanti a me: persone diverse da affrontare, diventare una donna sicura,
nuove esperienze da vivere e lì, seduta su una panchina, la mia paura. Quanto sarei felice se potessi
correre lontano ad occhi chiusi e senza inciampare in quel buio futuro, saltare tanti interruttori ed arrivare in
un campo di grano con tanti papaveri rossi “che mi fan veglia all’ombra dei fossi”. Quanto sarei felice se mi
bastasse un “basta ricordarsi di accendere la luce!”. In questo mondo però non posso scegliere di essere un
Peter Pan che non ha voglia di crescere, voglio essere una Wendy che va avanti e mantiene vivo il ricordo
della sua voglia di libertà nel cuore. Non è che non stia vivendo un momento di felicità, ho acceso vari
interruttori per ora; qualche volta, però, desidererei una lampadina che si accenda battendo le mani, senza
sforzi, una lampadina infinita, ma so che non è possibile. Tutto deve essere conquistato. Magari riuscirò ad
accendere quei lampioni come sono riuscita ad accendere i primi quindici, ma chi mi dice che accendendoli
prenderò una buona decisione?
Sono attaccata all’idea di una vita che mi permetta di “scegliere quello che mi piace” ma spesso mi sento
bloccata da una “organizzazione” quotidiana che mi impedisce di trovare l’interruttore da accendere.
Vorrei andare veloce come la luce ma per il momento la bussola deve trovare il suo orientamento: ” Prendo
questa lampadina, per ora, grazie, domani siete aperti?”.
La "sostenibile" leggerezza dell''essere.Roberta Recano
Istituto comprensivo
Poggibonsi 1
Che l'umorismo ebraico sia un fatto certo basta ascoltare i vari aneddoti di grandi scrittori,
registi alla Woody Allen, perfino grandi uomini di finanza hanno un rapporto con la vita
condito da una sottile ironia. E forse questa attitudine è stata fortificata in uno dei momenti
più bui della storia dell'umanità. Ma la frase di Rowling può essere concepita come una
verità universale? Questa verità universale sfiora la banalità oppure ha una sua profondità?
Forse ne’ l'una ne' l'altra, ma non dipende forse dal nostro stato d'animo l'una o l'altra
verità? Sicuro è che quando siamo sorretti dalla nostra ironia, la felicità la troviamo anche
nelle cose più semplici come: ritrovare una cosa che ci ha fatto ammattire e che avevamo
sotto il naso, inciampare in modo maldestro ma poi accorgersi con sollievo che nessuno ci
ha fatto caso, arrivare all'ultimo momento sulla tazza del bagno per un'esigenza impellente,
ed ecco che una frase da Baci Perugina, suvvia... acquista la sua universalità,
quell'universalità nella quale ci riconosciamo tutti nella banalità del quotidiano. Forse è
troppo ampio lo spettro in cui si può applicare questa frase, dall'olocausto al WC, lo dico
con il massimo rispetto, perché ci colpisca nel profondo e forse questa leggerezza ci allevia
nelle piccole difficoltà quotidiane e ci consola nei grandi drammi della vita acquisendo una
sua dignità.
Uno strumento per la salvezza.Beatrice Pia D'Amico
Liceo classico
Piccolomini Siena
Incontro Gustavo Dudamel nella vecchia casa di famiglia di Barquisimeto, capitale dello stato venezuelano
del Lara. Dudamel, trentasettenne con una faccia simpatica incorniciata da ricci nerissimi, è un violinista e
direttore dell’orchestra nazionale del Venezuela e della Los Angeles Philarmonic. Egli è uno dei migliori
prodotti de “El Sistema”, programma di educazione musicale ideato dal musicista ed ex economista
venezuelano Josè Antonio Abreu che è riuscito a creare nel paese un sistema di cui fanno parte 15.000
insegnanti e 300 orchestre e cori giovanili. I ragazzi e bambini coinvolti sono oltre duecentoquarantamila, il
novanta per cento dei quali di estrazione poverissima, raccolti dalla strada dove all'ordine del giorno vivono
situazioni di droga e delinquenza.
Avevo conosciuto Dudamel a Roma durante un concerto dell’orchestra “Simon Bolivar”, da lui diretta: un
miracolo musicale composto da 200 giovani artisti. Per capire la vera natura de “El Sistema”, mi aveva
invitato a Barquisimeto che al tempo della sua infanzia era un luogo oppresso dalla stagnazione economica
e dove la violenza e la povertà erano le uniche basi dell’esistenza. Il futuro di Gustavo e dei suoi amici
pareva segnato, ma suo padre, trombonista per diletto, lo iscrisse a “El Sistema”: fu per lui un raggio di sole
che illuminò improvvisamente il suo futuro, esattamente come lo è oggi per migliaia di ragazzi venezuelani
che sono stati letteralmente salvati dalla musica, trovandovi una possibilità di riscatto.
Gustavo mi conduce nel barrio in cui ha vissuto la sua infanzia e mentre mi racconta la sua storia, osservo i
bambini suonare per le strade: resto colpito dai loro sguardi vivaci e incuriositi. Ognuno di loro ha il sorriso di
chi è dovuto crescere troppo in fretta, di chi è vissuto per strada; una galleria di volti coloratissima che
sprigiona energia ed entusiasmo contagiosi e che alla fine ce la potrà fare a farsi spazio nella vita, salvato
dalla musica.
La serenità è la mia luceCarolina Morini
Liceo Classico
Piccolomini Siena
La felicità può essere trovata anche negli attimi più lui: basta ricordarsi di accendere la luce.
Osservando ciò che hanno vissuto o stanno vivendo in questo periodo alcuni dei miei amici, mi
ritengo una persona fortunata, perché non credo di aver mai attraversato un momento davvero
buio della mia vita fino ad ora . Ho molti ricordi felici della mia infanzia: le risate e i giochi creativi
con degli amici, affetto dei miei parenti. L'unico contatto con dei periodi più difficili di altri, loro
probabilmente avuto proprio tramite i miei coetanei, attraverso le loro confessioni riguardo ad
avvenimenti accaduti in famiglia, o anche a problemi personali di cui non volevano parlare con
degli adulti. Tornando a me, gli unici momenti di tristezza o meglio di malinconia, perché la
tristezza non è un'emozione che mi aggredisce spesso, sono quelli in cui, ad esempio, i miei zii
venuti a trovare la mia famiglia per qualche giorno, ripartono per la città in cui vivono.
Effettivamente sono giù di morale quando prendono il treno, ma poi penso che li rivedrò presto
e che comunque posso telefonare loro ogni volta che voglio. In questi momenti di nostalgia, che
sono sicuramente banali rispetto ad altri, ma che pur sempre sono dei "piccoli momenti bui",
sento il bisogno di fuggire, di allontanarmi dalla città e di rifugiarmi in mezzo alla natura.
Ed è proprio questa la mia "luce". La campagna è in grado di trasmettermi un senso di libertà e
spensieratezza che nessun altro luogo può infondermi; il silenzio , le orme degli animali sulla
terra e il profumo dei fiori, riescono a distrarmi dalla realtà. Faccio un giro in bici, spero che
compaia dal bosco un capriolo e mi basta anche solo l'attesa per sentirmi bene! La mia luce e il
bosco, è il sentiero, l'albero che muore in inverno e rinasce adesso.
S'i fosse foco illuminerei 'l mondoCostanza Valacchi
Liceo classico
Piccolomini Siena
Tese una mano al buio e sentì il freddo del metallo, continuò a far scivolare la mano verso destra, a
tratti sentiva vuoto: non c’era dubbio, era stato imprigionato. Si sedette a terra e aspettò, aspettò
finché quell’illuminazione non arrivò come un forte colpo alla testa.... Alla testa ... era proprio lì, infatti,
che, sotto il cappello, nascondeva il nuovissimo pacchetto di fiammiferi che aveva comprato la stessa
mattina. Tastò il pavimento: pietra. Bene. Strappò la manica sinistra della camicia ed estrasse un
primo fiammifero dalla scatola, ma questo non si accese, allora provò una seconda volta avendo
successo, così diede fuoco al pezzo di stoffa. Diversamente da come ci si poteva aspettare in una
cella di prigione, il fuoco non dirigeva le sue fiamme verso l’alto, bensì esse sputavano verso destra,
come mosse da una forza invisibile. Un dubbio varcò la mente dell'uomo, che, dopo svariati tentativi,
finalmente riuscì a mettere la stoffa infuocata nel ciottolino di pietra non più pieno d'acqua che stava in
terra. Si alzò in piedi e, munito della torcia appena costruita, inizio a camminare e a esplorare l'interno
della cella. Vuota, molto più grande delle aspettative. Il piede sinistro si trovò a un certo punto su un
gradino: il tallone continuava a toccare la dura pietra, la punta invece stava affondando in qualcosa di
morbido, la fiammella mostrava erba. Solo allora un piccolo raggio di luce uscita quello che doveva
essere l'Est, l'alba rivelò una scena piuttosto strana agli occhi dell'uomo: il pavimento in pietra
delimitato solo da un lato, il più lontano, da delle alte sbarre di acciaio, il tutto circondato da un bosco.
Il sorriso gli apparve sul volto. Apri gli occhi e vide che si trovava ancora su quella panchina dopo il
litigio della sera prima, sì, ricordava di essersi arrabbiato molto. Aveva sognato qualcosa. ... c'era
buio... e poi c'era la luce, lui aveva acceso la luce... e lo avrebbe rifatto, ma stavolta nella vita reale.

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Vincitori Concorso Romaldo. 2017 power point

  • 1.
  • 2. Sono gli amici il mezzo per accendere. La luce della felicità Bianca Maestrini Ist. comprensivo "P. A. Mattioli" Siena E ad un certo punto tutti troviamo il nostro interruttore. Quello della stanza buia in cui siamo mentalmente rinchiusi. Non sempre il buio è negativo, racchiude infatti una sfera di mistero e fantasia. Se ci pensiamo é proprio mentre siamo avvolti dal buio della nostra camera che sognamo. Per me "buio" non é solo l'aggettivo che descrive la stanza in cui mi rinchiudo nei momenti tristi ma anche quella in cui posso immaginare ciò che voglio, senza che nessuno mi dica ciò che devo fare, e come lo devo fare. Nel buio non possiamo sapere ciò che abbiamo intorno e questo spaventa, perché ciò che non si conosce ha sempre destato paura. Associo il buio alla notte, la morte del giorno, della realtà, ma l'inizio del momento calmo, del sogno. Io però ho paura del buio proprio perché non so orientarmi senza la luce; come riuscire ad uscire da una stanza, di notte, senza sbattere di qua e di là. Nel buio mi sento distante dagli altri, come se quando spengo l'interruttore mi trasferissi in un altro pianeta, in un altra dimensione dove non riesco ad interagire con ciò che ho intorno. Nonostante nel mio mondo immaginario, del sogno, io mi trovi bene preferisco la luce. É bello svegliarsi, aprire le finestre vedere il sole che ti acceca e ti fa capire che un altro giorno da vivere è iniziato. Che vedrai le persone che ti vogliono bene, che si confidano con te e ti fanno ridere, che sono il motivo del tuo sorriso. Tutto ciò semplicemente tirando su una serranda o premendo un interruttore. Io gli attimi felici nei momenti bui, di tristezza, non sempre riesco a trovarli, sono più i miei amici, che spesso provano le mie stesse emozioni o sono confusi come me, ad accendere il mio interruttore. Le lacrime si trasformano da lacrime di tristezza in lacrime di gioia o di risate, grazie a coloro che mi consolano e mi distraggono facendomi ridere, dalla consapevolezza di essere amata, di essere speciale per qualcuno. Spesso credo di essere incompresa ma in realtà sono molte le persone che possono capire il mio stato d'animo. Credo siano rare le volte in cui ho raggiunto da sola l'interruttore. Sono coloro che tengono a me ad aiutarmi. Gli amici sono speciali per questo, perché riconoscono la porta della stanza buia in cui siamo rinchiusi e aprendola entrano nella nostra mente e accendono la luce. Io preferisco farmi aiutare dalle persone che ho intorno, ma ci sono alcune che invece preferiscono raggiungere l'interruttore da sole. Il momento più bello per me é quando si accorgono che sto male e cercano la causa e il rimedio. Ma altri preferiscono non mostrare i loro sentimenti e nascondere la stanza buia agli occhi degli altri.
  • 3.
  • 4. La felicità di Benjamin Elena Bifolchi Liceo scientifico di Montepulciano Le più grandi fiabe insegnano che raggiungere la felicità, dopo un periodo buio, è difficile ma non impossibile con un po’ di forza di volontà: Alice, cadendo accidentalmente in un tunnel, raggiunge magicamente il paese delle meraviglie; Cenerentola, sguattera della Matrigna, diventa una principessa . Decisivo risulta così ispirarsi ai racconti intramontabili che hanno incollato agli schermi intere generazioni per trovare la soluzione ai periodi bui della vita. E' il caso di Benjam, bambino senegalese. Il suo traghetto è approdato sulle coste di Lampedusa questa notte alle ore 23:00. Ha combattuto a lungo per la sua sopravvivenza e per raggiungere la terra dove si prospetta per lui un destino migliore. Nel difficile tragitto hanno perso la vita la madre ed il fratello. Dice di averli lasciati sull' "etagè" del barcone pochi minuti prima che questo affondasse mentre chiedevano aiuto con pianti e preghiere. E’ stato salvato dalla guardia costiera: è ancora infreddolito e spaventato. I suoi occhi esprimono dolore mentre la voce rotta grida innocente alla solitudine. Piange mentre fissa il mare in tempesta, come ad afferrare i suoi ultimi sogni di bambino, le speranze di un avvenire migliore che le onde si sono portate via. Nessuno potrà mai cancellare quelle immagini dalla sua mente. Le mani amorevoli di una volontaria si intrecciano tra i suoi capelli ricci mentre le donne del paese aiutano portando coperte e qualcosa di caldo da mangiare. Come in una caotica stazione ferroviaria c'e' chi va e chi viene ma per Benjam sono tutti volti sconosciuti. Parla solo francese e spiega all'interprete che con lui c'era anche il padre, un uomo alto e dall'instabile andatura per via di una caduta sul lavoro. In una cornice così profondamente suggestiva, un urlo di gioia scalda i cuori dei soccorritori e di coloro che si sono salvati . "Mon pere" e' il grido del bambino. Il padre con le ultime forze corre ad abbracciare il figlio che credeva aver perso per sempre. Insieme troveranno la forza per affrontare una nuova vita .
  • 5.
  • 6. La Luce della SperanzaTania Monti Ist. comprensivo Poggibonsi 1 Questa è la storia di un ragazzo che ha lasciato la sua casa, nella sperduta Etiopia, ed è partito con la sua famiglia verso una vita migliore. Questo ragazzo ha 13 anni è scalzo e con un vestiario misero. Si è trovato davanti il Sahara, l’immenso deserto che si estende per tutta l’Africa Settentrionale, con poco cibo e poca acqua e con la paura che saliva dai meandri più profondi del suo essere, l’ha attraversato. Dice: “Non vi potete neanche sognare quante volte mi sono fermato a pensare: perché? Che cosa sto facendo? Quante volte sono finito in lacrime dalla paura che mi assaliva! Ma, quando poi ripensavo a come vivevo nel mio villaggio e a come venivo sfruttato nelle piantagioni, riprendevo lo zaino e ripartivo”. Per il passaggio nel deserto hanno dovuto pagare un prezzo altissimo: la madre. Alcuni esseri immondi hanno preteso un dazio per passare, ma poiché non potevano pagare in soldi, hanno dovuto lasciare la madre, che si è offerta per amore dei figli e sapendo a che vita andava incontro. “Quanto ho pianto quando le ho dovuto dire addio per sempre. Le ho urlato che sarei rimasto con lei, ma lei mi ha lanciato a mio padre e se n’è andata. Ho pensato: a cosa serve andare avanti senza colei che mi aveva cresciuto? Ma proprio per lei dovevo andare avanti e così ho fatto”, ci racconta il ragazzo. Arrivati in Libia, furono segregati. “ Non capivo, - ci spiega, - cosa avevamo fatto e ancora una volta pensai a mia madre con quei brutti ceffi”. Restarono in quella cella per un mese o più. Purtroppo sua sorella morì a causa degli abusi sessuali. “In quella cella pensai che fosse, veramente finita. Fummo imbarcati, io e a mio padre, come se fossimo degli animali, su un gommone sovraffollato e partimmo”. Viaggiarono per mesi mangiando pane secco e ciò che avevano. Le malattie si diffusero rapidamente ad anche il padre ne fu colpito. “Pensai che oramai era tutto assolutamente finito”. Sbarcati in Italia dei medici, curarono suo padre che si riprese molto velocemente, riuscì a trovare un lavoro anche lontano dalla malavita. “Grazie a lui ho ritrovato la speranza! A breve dovrò affrontare il mio primo esame nella scuola, dove mio padre mi ha mandato. Se adesso sono dove sono è grazie a lui e alla mia famiglia che mi ha aiutato e incoraggiato a riaccendere il Focolare della Speranza”
  • 7.
  • 8. Basta ricordarsi di accendere la luce? Teresa R.M.Massone Liceo classico Piccolommini Siena “Accendi e spengi, accendi e spengi, accendi e spengi…la lampadina si fulmina, la compri nuova, c’è anche in offerta!” Siamo sicuri che una ragazza della mia età possa prendere una decisione tra una lampadina ad incandescenza, una fluorescente tubolare, una fluorescente compatta ed una a risparmio energetico? La risposta è che io, nella mia illuminata cameretta, ho ancora le lucine di Natale di due anni fa. “Teresa accendi la testa!” Una vera e propria allegoria. Ma siamo sicuri che per una ragazza della mia età sia facile trovare la lampadina giusta? La differenza tra me e un adulto è che quest’ultimo ha già acceso tanti interruttori e tante candele per arrivare al punto in cui si trova. Vedo una strada ancora piena di lampioni spenti da percorrere davanti a me: persone diverse da affrontare, diventare una donna sicura, nuove esperienze da vivere e lì, seduta su una panchina, la mia paura. Quanto sarei felice se potessi correre lontano ad occhi chiusi e senza inciampare in quel buio futuro, saltare tanti interruttori ed arrivare in un campo di grano con tanti papaveri rossi “che mi fan veglia all’ombra dei fossi”. Quanto sarei felice se mi bastasse un “basta ricordarsi di accendere la luce!”. In questo mondo però non posso scegliere di essere un Peter Pan che non ha voglia di crescere, voglio essere una Wendy che va avanti e mantiene vivo il ricordo della sua voglia di libertà nel cuore. Non è che non stia vivendo un momento di felicità, ho acceso vari interruttori per ora; qualche volta, però, desidererei una lampadina che si accenda battendo le mani, senza sforzi, una lampadina infinita, ma so che non è possibile. Tutto deve essere conquistato. Magari riuscirò ad accendere quei lampioni come sono riuscita ad accendere i primi quindici, ma chi mi dice che accendendoli prenderò una buona decisione? Sono attaccata all’idea di una vita che mi permetta di “scegliere quello che mi piace” ma spesso mi sento bloccata da una “organizzazione” quotidiana che mi impedisce di trovare l’interruttore da accendere. Vorrei andare veloce come la luce ma per il momento la bussola deve trovare il suo orientamento: ” Prendo questa lampadina, per ora, grazie, domani siete aperti?”.
  • 9.
  • 10. La "sostenibile" leggerezza dell''essere.Roberta Recano Istituto comprensivo Poggibonsi 1 Che l'umorismo ebraico sia un fatto certo basta ascoltare i vari aneddoti di grandi scrittori, registi alla Woody Allen, perfino grandi uomini di finanza hanno un rapporto con la vita condito da una sottile ironia. E forse questa attitudine è stata fortificata in uno dei momenti più bui della storia dell'umanità. Ma la frase di Rowling può essere concepita come una verità universale? Questa verità universale sfiora la banalità oppure ha una sua profondità? Forse ne’ l'una ne' l'altra, ma non dipende forse dal nostro stato d'animo l'una o l'altra verità? Sicuro è che quando siamo sorretti dalla nostra ironia, la felicità la troviamo anche nelle cose più semplici come: ritrovare una cosa che ci ha fatto ammattire e che avevamo sotto il naso, inciampare in modo maldestro ma poi accorgersi con sollievo che nessuno ci ha fatto caso, arrivare all'ultimo momento sulla tazza del bagno per un'esigenza impellente, ed ecco che una frase da Baci Perugina, suvvia... acquista la sua universalità, quell'universalità nella quale ci riconosciamo tutti nella banalità del quotidiano. Forse è troppo ampio lo spettro in cui si può applicare questa frase, dall'olocausto al WC, lo dico con il massimo rispetto, perché ci colpisca nel profondo e forse questa leggerezza ci allevia nelle piccole difficoltà quotidiane e ci consola nei grandi drammi della vita acquisendo una sua dignità.
  • 11.
  • 12. Uno strumento per la salvezza.Beatrice Pia D'Amico Liceo classico Piccolomini Siena Incontro Gustavo Dudamel nella vecchia casa di famiglia di Barquisimeto, capitale dello stato venezuelano del Lara. Dudamel, trentasettenne con una faccia simpatica incorniciata da ricci nerissimi, è un violinista e direttore dell’orchestra nazionale del Venezuela e della Los Angeles Philarmonic. Egli è uno dei migliori prodotti de “El Sistema”, programma di educazione musicale ideato dal musicista ed ex economista venezuelano Josè Antonio Abreu che è riuscito a creare nel paese un sistema di cui fanno parte 15.000 insegnanti e 300 orchestre e cori giovanili. I ragazzi e bambini coinvolti sono oltre duecentoquarantamila, il novanta per cento dei quali di estrazione poverissima, raccolti dalla strada dove all'ordine del giorno vivono situazioni di droga e delinquenza. Avevo conosciuto Dudamel a Roma durante un concerto dell’orchestra “Simon Bolivar”, da lui diretta: un miracolo musicale composto da 200 giovani artisti. Per capire la vera natura de “El Sistema”, mi aveva invitato a Barquisimeto che al tempo della sua infanzia era un luogo oppresso dalla stagnazione economica e dove la violenza e la povertà erano le uniche basi dell’esistenza. Il futuro di Gustavo e dei suoi amici pareva segnato, ma suo padre, trombonista per diletto, lo iscrisse a “El Sistema”: fu per lui un raggio di sole che illuminò improvvisamente il suo futuro, esattamente come lo è oggi per migliaia di ragazzi venezuelani che sono stati letteralmente salvati dalla musica, trovandovi una possibilità di riscatto. Gustavo mi conduce nel barrio in cui ha vissuto la sua infanzia e mentre mi racconta la sua storia, osservo i bambini suonare per le strade: resto colpito dai loro sguardi vivaci e incuriositi. Ognuno di loro ha il sorriso di chi è dovuto crescere troppo in fretta, di chi è vissuto per strada; una galleria di volti coloratissima che sprigiona energia ed entusiasmo contagiosi e che alla fine ce la potrà fare a farsi spazio nella vita, salvato dalla musica.
  • 13.
  • 14. La serenità è la mia luceCarolina Morini Liceo Classico Piccolomini Siena La felicità può essere trovata anche negli attimi più lui: basta ricordarsi di accendere la luce. Osservando ciò che hanno vissuto o stanno vivendo in questo periodo alcuni dei miei amici, mi ritengo una persona fortunata, perché non credo di aver mai attraversato un momento davvero buio della mia vita fino ad ora . Ho molti ricordi felici della mia infanzia: le risate e i giochi creativi con degli amici, affetto dei miei parenti. L'unico contatto con dei periodi più difficili di altri, loro probabilmente avuto proprio tramite i miei coetanei, attraverso le loro confessioni riguardo ad avvenimenti accaduti in famiglia, o anche a problemi personali di cui non volevano parlare con degli adulti. Tornando a me, gli unici momenti di tristezza o meglio di malinconia, perché la tristezza non è un'emozione che mi aggredisce spesso, sono quelli in cui, ad esempio, i miei zii venuti a trovare la mia famiglia per qualche giorno, ripartono per la città in cui vivono. Effettivamente sono giù di morale quando prendono il treno, ma poi penso che li rivedrò presto e che comunque posso telefonare loro ogni volta che voglio. In questi momenti di nostalgia, che sono sicuramente banali rispetto ad altri, ma che pur sempre sono dei "piccoli momenti bui", sento il bisogno di fuggire, di allontanarmi dalla città e di rifugiarmi in mezzo alla natura. Ed è proprio questa la mia "luce". La campagna è in grado di trasmettermi un senso di libertà e spensieratezza che nessun altro luogo può infondermi; il silenzio , le orme degli animali sulla terra e il profumo dei fiori, riescono a distrarmi dalla realtà. Faccio un giro in bici, spero che compaia dal bosco un capriolo e mi basta anche solo l'attesa per sentirmi bene! La mia luce e il bosco, è il sentiero, l'albero che muore in inverno e rinasce adesso.
  • 15.
  • 16. S'i fosse foco illuminerei 'l mondoCostanza Valacchi Liceo classico Piccolomini Siena Tese una mano al buio e sentì il freddo del metallo, continuò a far scivolare la mano verso destra, a tratti sentiva vuoto: non c’era dubbio, era stato imprigionato. Si sedette a terra e aspettò, aspettò finché quell’illuminazione non arrivò come un forte colpo alla testa.... Alla testa ... era proprio lì, infatti, che, sotto il cappello, nascondeva il nuovissimo pacchetto di fiammiferi che aveva comprato la stessa mattina. Tastò il pavimento: pietra. Bene. Strappò la manica sinistra della camicia ed estrasse un primo fiammifero dalla scatola, ma questo non si accese, allora provò una seconda volta avendo successo, così diede fuoco al pezzo di stoffa. Diversamente da come ci si poteva aspettare in una cella di prigione, il fuoco non dirigeva le sue fiamme verso l’alto, bensì esse sputavano verso destra, come mosse da una forza invisibile. Un dubbio varcò la mente dell'uomo, che, dopo svariati tentativi, finalmente riuscì a mettere la stoffa infuocata nel ciottolino di pietra non più pieno d'acqua che stava in terra. Si alzò in piedi e, munito della torcia appena costruita, inizio a camminare e a esplorare l'interno della cella. Vuota, molto più grande delle aspettative. Il piede sinistro si trovò a un certo punto su un gradino: il tallone continuava a toccare la dura pietra, la punta invece stava affondando in qualcosa di morbido, la fiammella mostrava erba. Solo allora un piccolo raggio di luce uscita quello che doveva essere l'Est, l'alba rivelò una scena piuttosto strana agli occhi dell'uomo: il pavimento in pietra delimitato solo da un lato, il più lontano, da delle alte sbarre di acciaio, il tutto circondato da un bosco. Il sorriso gli apparve sul volto. Apri gli occhi e vide che si trovava ancora su quella panchina dopo il litigio della sera prima, sì, ricordava di essersi arrabbiato molto. Aveva sognato qualcosa. ... c'era buio... e poi c'era la luce, lui aveva acceso la luce... e lo avrebbe rifatto, ma stavolta nella vita reale.