XI Lezione - Arabo LAR Giath Rammo @ Libera Accademia Romana
Ettore Cozzani - Gabriele D'Annunzio. La preparazione e l'opera di guerra (1930)
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15. La milizia di Gabriele D’Annunzio co
mincia molto più presto dello scoppio
del conflitto delle nazioni. L’uomo che
la folla dei saputi si compiaceva di rap
presentarsi come un gaudente intento
solo a coglier della vita e a render nel
l’arte il piacere, con una sensualità avida
e instancabile, s’era fin dalla prima gio
vinezza preparato segretamente all’azione,
e tutta la sua opera letteraria e tutti i
suoi « gesti » ne sono una prova.
Quando a Giosuè Carducci la morte
ebbe interrotto il grido della rampogna
e dell’incitamento, ed’il poeta nuovo, at
tribuendosi con orgoglio consapevole una
eredità così grande e grave, squillò « la
fiaccola che viva Ei mi commette —
l’agiterò sulle più aspre vette », parve a
9
16. molti ch’egli esagerasse; ma il D’Annun
zio sentiva nettamente ciò che doveva es
sere compiuto da lui e da tutti; e la
forza di afferrare egli solo la torcia ac
cesa (dimenticando persino il grande
fratello romagnolo che aveva comin
ciato a serrare l’anima dentro la vor
ticosa strofe degli Inni) gli veniva special-
mente dal ricordo di ciò che egli aveva
già dato alla nostra lirica civile con po
tenza di ispirazione e chiarezza profe
tica.
Le « Odi Navali » sono d’un venten
nio anteriori alla guerra nazionale. Là il
mare ch’egli aveva esaltato con rude
schiettezza di sensi e di forme nel
« Canto Novo », — senza intenti poli
tici, — ma già sentendolo « gloria, forza
d’Italia », il mare sulle cui rive aveva ca
valcato febbrile, o s’era disteso a cuo
cersi al sole come per imbeversi di sale
e temprarsi all’ardore, — dopo essergli
IO
17. apparso come il mare di tutti gli uomini,
che regge la nave di tutte le glorie uma
ne, o « il dolce mar funesto », « il bel
mar natale », « il mar meraviglioso », che
amano e sfidano le paranze con le
« rosse latine vele » grandi come ar
chi di luna, — gli si rivela subitamente
un giorno (« io lo scorgo con un brivido
interrotto ») imputridente del sangue in
vendicato di Lissa: il movimento tutto
carducciano dell’apparire di Faà di Bruno
che, grande ombra sul deserto, chiede
senza risposta, « Sarà dunque eterna la
vergogna ?» — e del sorgere come in
morgana della visione di Trieste rivolta
a Roma (« sempre a te ! Sempre la stes
sa ») — annuncia in pieno il nascere
del motivo di guerra nella sinfonia che
il poeta viene spiegando in tutta la sua
vasta architettura: e la rappresentazione
rapida, palpitante, perfetta, della torpe
diniera, bella «come un’arme nuda»,
I|
11
18. dà all’inno un tono di originalità e di
giovinezza, che testimonia d’una invitta
sincerità (nel 1914 il D’Annunzio chie
derà al Governo, per prima domanda
di volontario, d’essere imbarcato sopra
un « Caccia » adriatico); — e il passo
« sotto la bufera cinereo là verso An
cona, l’Adriatico s’oscura » è già un ac
cenno profetico, poiché proprio « là,
verso Ancona» nel maggio del 1915
scoppiò il primo tuono d’artiglieria nella
grande guerra.
L’Ode per la festa navale nelle acque
di Genova (8 settembre 1902), quando
egli vide le Speranze della Patria erette
sulle prue taglienti, ha un secondo ac
cenno profetico : « - odon forse gli eroi
da le tombe profonde » l’inno del « di
ritto eterno» e della ¡« nuova']forza »
d’Italia; e invero quando, il 5 maggio
del 1915, gli eroi si desteranno nel bron
zo di Eugenio Baroni, egli sarà là, a
12
19. levar sul mare, nelle lasse dell’Orazione
per la Sagra dei Mille, il suo « inno » ri-
svegliatore.
Ma il senso augurale dell’impresa adria-
tica, l’immanenza d’un destino di guerra
e di gloria sul Golfo di Venezia, dilagano
in piena dalle liriche in cui si narra la
tragedia della morte dell’Ammiraglio di
Saint-Bon : eroe di Lissa, questi sognava
la riscossa navale: Trieste attendeva; ma
il 23 novembre 1892, il poeta getta il
grido angoscioso: « Dio salvi l’Ammira
glio ! Dio lo salvi ! La Morte.... » ; le
strofe di esametri paiono sostenute dal
quadrato ottonario che ne interrompe il
fluire fatale e le chiude, come da un
anelito di virile speranza; il 24, nella
dolcezza amorosa dell’ ode saffica, il
poeta si illude : « forse vivrà. Certo vi
vrà, se vale, — il fervore d’un popolo
ansioso — in un voto »; il 25, quattro
martelliani, rimati con rime oscure come
13
20. lembi funerei, preannunciano la sventura
nazionale: «Dio protegga l’Italia»; il
26, con un grido che ci fa ancora rab
brividire la sventura è annunciata: « Ar
mata d’Italia ! Nel nome d’Italia di Dio
- e del Re, della nostra cattolica fede, Si-
mone di Saint-Bon è morto. Il Grande
Ammiraglio oggi è morto. ». Gli esametri
si ridistendono con sussulti e ingorghi me
trici che paiono di singhiozzi e di pianto,
e nel cospetto della morte il sogno della
battaglia nautica vittoriosa si spiega in
tutta la sua eroica bellezza senza veli :
non più come presagio, ma come gesta
narrata: il vate che canterà la beffa di
Bùccari « si ricorda » - « dei giorni ancor
non nati » : Trieste leva sùbito il suo
consapevole lamento nella cadenza del
doppio settenario, annobilita di frequenti
ardimenti tecnici, — e sul ritmo d’un
canto oltre oceanico, con l’ampiezza se
rena d’un periodo musicale di Walt Whit-
14
21. manti, è sciolto il pianto funebre sulla
tomba : è pianto ormai disperato ; ma
suonano nell’aria di Roma le campane
della risurrezione di Cristo...
Quando Gabriele D ’Annunzio riassu
merà nella tragedia « La Nave » questo
suo smisurato amore dell’Adriatico, risca
vando nel macigno delle nostre glorie
medioevali l’immagine del sogno libera
tore — quando la tragedia sarà trionfal
mente rappresentata a Trieste, quando
egli battezzerà sdegnato « l’Amarissimo »,
— il suo affanno profetico sembrerà
crescere, come nel presentimento d’ una
imminenza di eventi, e nella certezza
che l’oracolo gli giunge proprio da
Dio.
Poi sorge nella sua anima, come una
costellazione nella fonda notte, 1’ Elettra.
Un senso di aspettazione consapevole è
in ogni strofe degli inni civili, anche di
quelli che paiono più lontani dal presente
15
22. e più vaghi : sembra che il poeta si sforzi
d’allargare il suo respiro per prepararlo
ad un canto epico, e di distendere l’oriz
zonte della speranza del popolo, perchè
vi sia spazio per tutte le apparizioni e-
roiche.
Dinanzi alle Montagne, «terribili dòmi
abitati da Dio », ascolta l’anima sua « se
non giunga un messaggio » e vede un
« puro spirito » « schiudere il Futuro »
oltre oscuri abissi di dolore; — al pen
siero di Dante egli sente che quel nome
solo «come il turbine agita i lembi —
d’un gran vessillo, scuote nei suoi mari e
nei suoi valchi — l’Italia inerme »: iner
me, sì ; « Ma il cuore della Nazione è co
me la forza delle sorgenti — meravi
glioso » : e ci sono in Italia, se pur l’alba
« ancor non sale », le forze ed i forti :
« pel rancore dei forti che patiscono la
vergogna, — pel tremito delle vergini
forze che opprime la menzogna»....
16
23. Cade ucciso Re Umberto, e nella sin
cerità e nella gravità che soltanto la morte
sa imporre così grandi, tutti i sogni in
certi e tentanti, prendono una forma pre
cisa e s’avviano: e l’inno diventa così net
tamente profetico, che oggi non si può
rileggere senza sentir quell’« orrore sa
cro » con cui gli antichi avvertivano la
presenza divina : la notte in cui il
convoglio funebre traversa la penisola
cercando Roma, è piena di baleni, di
febbri, di presagi: Genova e La Spezia
salutano, « le due madri delle navi » ;
principia il nuovo destino; l’Italia rifio
risce, l’Italia si sveglia ; « Or chi sarà
l’eroe che attendiamo?»; Non c’è dub
bio, sei tu, « Giovine, che assunto dalla
morte, fosti re sul mare >: « T’elesse il
destino all’alta impresa combattuta * (così
fu): «guai se gli manchi» (così fu: la
rivoluzione, due volte è stata alle porte:
nel maggio del 1915, nell’ottobre del
17
2
24. 1922; e scoppiava, se il Re fosse man
cato) : la fortuna d’Italia — prese l’ali sul
campo d’una battaglia perduta » (e
riavvenne nel 1917).
« Che vorrai tu sul tuo soglio ?» ; le
domande incalzano nel tumulto dell’anima
invasata « Quale altura è il tuo segno?...
Sai tu come sia bello il tuo regno ? ».
(Nessun Re d’ Italia ne ebbe uno così
bello: in verità): e la certezza tripudia,
lampeggia, minaccia nell’ultima strofe :
« T’elesse il Destino — all’alta impre
sa audace. — Tendi l’arco, accendi la
face, — colpisci, illumina, eroe latino!
— venera il lauro, esalta il forte ! —
Apri alla virtù le porte — dei dominii
futuri ! — Chè se il danno e la vergogna
duri — quando l’ora sia venuta — tra i
ribelli vedrai da vicino anche colui che
oggi ti saluta ».... (Ricordiamo il 5 mag
gio a Quarto e le parole « Maestà assente,
ma presente », — che avevano corrette
18
25. all’ultimo momento quelle già scritte e
dure, «Maestà assente»; — ricordiamo
la marcia di Ronchi).
E l’impresa, non più ormai lontana, si
accenna nel vaticinio, con particolari di
esattezza storica illuminati da un lampo
di preveggenza stupenda: Trento non
pianga, Trento attenda; tornerà Garibaldi,
a riprender la marcia : « Verrà verrà sul
suo cavallo, — con giovine chioma »
(Peppino Garibaldi). « Torrà il nero e
giallo — vessillo dal tuo sacro monte ».
— Ma più, più ancora certo, esatto :
« Non piangere, anima di Trento... Non
fare lamento. Perdona — Prepara in si
lenzio gli eroi ». C’è tutto Battisti: nel
silenzio e nella preparazione: egli allora
studiava in raccoglimento la geografia del
Trentino e pubblicava le sue opere di
geografia scientifica e di apostolato geo
grafico: il verso allude a lui e a Filzi,
come una mano addita con l’indice teso.
26. Tuttavia l’ignavia e la stanchezza, gra
vavano troppo la vita e l’anima: una
tristezza immane oscurava il destino:
l’azione non appariva nemmeno probabile:
la Potenza lasciava l’Italia, la Bellezza si
esiliava ; ma il poeta traeva dalla dispe
razione baleni : « E però leva su, vinci
l’ambascia; — anima mia: questa è la
tua vigilia ».
E nella notte di Caprera (e nel di
scorso ai giovani che la precedette, e che
fu della medesima sostanza infuocata di
quelli di Genova e di Roma nel 1915) egli
evocò gli eroi Garibaldini, nel momento
che trasumanavano, facendoli vivere d’im
peto sul confine tra la vita e la gloria;
e nelle «Città del silenzio», riscolpì in
strofe di vero bronzo gli eroi comunali
già assunti nei cieli del mito, mostran
do come tutta la nostra terra fermenti di
un seme di grandezza, e tramutando in
espressioni di potenza guerriera anche le
20
27. apparenze del lavoro quotidiano, come
quello delle cave di Carrara: « ...e il grido
del bovaro furibondo, — ed echeggiar la
buccina di morte — come squilla che
chiami alla battaglia » ... —.
Anche nei canti funebri la speranza
vampeggia, l’incitamento saetta: nell’inno
per la morte di Giuseppe Verdi il cuore
confida « oltre il destino » e il buon mes
saggio c’è «chi l’aspetta», poiché «la
forza del dolore » vendicherà forse l’onta.
Nell’inno per il centenario di Vincenzo
Bellini, l’ ansia del poeta che attende
si volge quasi in angoscia, cercando
l’eroe a tutte le contrade della patria:
« sveglia i dormenti e annunzia ai desti :
1 giorni — sono prossimi. Usciamo al
l’alta guerra ! »
E anche quando parve con l’ispirazione
varcare i confini d’Italia e cantare eroi d’al
tre genti, la sua anima era umiliata dalla
vergogna della nostra inerzia : l’Ode per il
28. ri
centenario di Vittorio Hugo non « ripete
°gg' *1 grido, ahi, vano » ? — « E il
cuore — anco spera ? E la fede non lan-
gue? Calpesta dal barbaro atroce, — o
Madre che dormi, ti chiama — una figlia
che gronda di sangue ». Era ancora Trie
ste, e i giovani giulii battuti in caccia
selvaggia.
E perfino quando, incompreso e bef
fato come trapiantatore del mito del « su
peruomo » in Italia, egli esaltò Federico
Nietzche, (e non era forse in lui se non
la brama di sollevare, come in « Più che
l’amore », davanti alla gioventù smarrita,
immagini di schiettezza, di forza e di va
lore foss’anche dissennato), egli presen
tiva l’evento : « Io so come si danzi —
sopra gli abissi e come si rida — quan
do il periglio è innanzi... e come si com
batta con l’ugne — e col rostro, e come
si uccida, — e come si tessan le ghir
lande — dopo le pugne ». Un’altra volta
22
29. egli si ricordava « dei giorni ancor non
nati ».
Allora gli saliva dal cuore col rombo dei
dàttili ansanti la promessa : « verrà dal
silenzio, vincendo la morte — l’Eroe ne
cessario. Tu veglia alle porte, — ricor
dati e aspetta». E l’augurio gli squillava
alto sulla testa come un grido d’aquile:
« Così veda tu un giorno il mare latino
coprirsi — di strage alla tua guerra —
....Italia, Italia, — sacra alla nuova Au
rora — con l’aratro e la prora ».
Il grande evento sognato non nasceva;
ma qualche impresa scosse il sonno la
tino.
La spedizione in Cina non fu in tutto
esempio di potenza civile che s’espande e
s’impone : pure qualche eroe morì lassù
per l’Italia. Ed ecco l’Ode per i marinai
italiani morti in Cina, con quella trenodìa
superba (una delle più gigantesche pagine
della poesia moderna) nella quale sono
23
30. rappresentate le madri eroiche, e pur umili
e dolorose, che da tutte le campagne italiane
attendono il messaggio di resurrezione o
di morte : e il messaggio scoppia, uno per
tutte, nel silenzio oscuro : « morti sono i
figli, morti — sono i figli, morti sono —
i figli alla guerra lontana. — .... Ma ve
duto han la figura grande e sola della
Patria — risplendere sopra la morte ».
Pare una luce d’aurora boreale : subito
spenta. Ma ridivamperà più alta e ampia
e durevole, tra poco.
11 poeta è nel suo esilio oceanico di
Arcachon. S’accende la guerra Libica. Il
fratello romagnolo getta una voce di
gioia e d’angoscia, da Barga, nei periodi
affannosi de « La grande proletaria s’è
mossa » ; Gabriele D ’Annunzio libera al
volo come sparvieri le Canzoni d’oltre
mare.
Questo è proprio il preludio del poema
tragico che si inizierà nel 1915: la guerra
24
31. è questa volta una guerra grande : « ella
fa dell’Italia dai tre mari — la grande
Patria dalle quattro sponde».
Pare che tutta la materia delle « città
del silenzio » e del gran poema garibal
dino, riarda, s’ammorbidisca rovente, per
chè il poeta possa rifoggiarla in una
forma nuova : tutte le glorie seminate dai
secoli nella nostra terra e, su tutte, le
glorie marinare, di Genova, di Venezia,
di Pisa, d’Amalfi, e tutte le passioni che
egli stesso nella sua recente vita ha se
minate nel cuore dei giovani, grandeg
giano mature nella luce torrida delPAfrica,
ed egli le addita a testimonianza che la fede
non era vana: e, nel modo di Pindaro,
canta gli eroi d’oggi legando la loro sorte
alle memorie delle loro città; e segue lo
svolgersi della gesta con un movimento
così concitato di terzine, che pare si ser
rino addosso agli eventi e agli uomini
incalzandoli ingigantiti.
25
32. Governa le canzoni un senso d’ebrezza,
che solo a tratti è vinto dallo sconforto
dell’uomo, il quale, nato per essere eroe
con «la forza che sognar faceagli il fato
— e il pallore del giovin Bonaparte » —
patisce anche adesso « l’ignavia delle vane
carte »: ma il senso d’orgoglio che gli dà
il veder finalmente la sua profezia avve
rarsi, soverchia ogni tristezza e ogni dub
bio. Ciò che però fa anche più fremere
alla lettura di questi squilli guerrieri, è
il vaticinio che corre anche i nuovi inni :
la gesta d’oggi è cantata; ma con chia
rezza è sognata l’impresa di domani ; an
che qui, come in « Elettra >, c’è l’aspet
tazione e la speranza: più lucide, più pre
cise, come più vicine al loro compiersi
nella realtà : « Che l’Africa non è se non
la cote — ove affilammo il ferro, per
l’acquisto — supremo, contra le fortune
ignote — » ; — « e riluce per noi nell’in
travisto — futuro un bene che per rive
26
33. larsi — vale il martirio d’ un novello
Cristo » (il fante del Carso).
Egli sente che c’è un annuncio nuovo
da dare: e ode il Signore in cerca del
Messaggero : « chi mando, — o gridatore
e indovinatore — di cose sante ?» E vor
rebbe esser lui : « manda me, Signore » :
e vorrebbe essere di nuovo giovane ; e
sente in sè colui che sarà, tra poco, sul
cielo di Pola e di Vienna, sul mare di
Bùccari, sulle sassaie del Veliki e del Faiti:
« principe della gioventù, traendo — i
miei compagni a me duce e pilota —
meco giurati a un patto più tremendo ».
E, quando il poema delle dieci canzoni
si chiude perfetto con quell’« ultima », che
è forse la più bella per il profondo e
sincero dolore che ne trabocca, una sola
immagine permane in noi ; la schiera dei
ritornanti che s’avvia, come gente che
tende a un’altra mèta: «taciturna così per
la deserta — notte s’avanza la quadrata
27
34. schiera, — con i suoi segni, — verso
l’alba certa — simile al vóto d’una pri
mavera — sacra che salga verso un fato
augusto... » mentre nel cuore del poema
ondeggia, tra le figure degli eroi, la fi
gura monacale d’Elena di Francia, pre
parata dalla sua esperienza libica e da
questo canto alla missione che la farà,
nella grande guerra, maestra e signora
della carità; e già s’incupisce e attorva
nella Canzone dei Dardanelli la delu
sione che torcerà il cuore all’ Italia vit
toriosa per l’ingiustizia delle nazioni com
pagne, e si leva ostile e osteggiata la
la figura dell’uomo politico che il poeta
si troverà primo di traverso alla sua rotta,
quando nel maggio 1915 rientrerà in Ita
lia per la guerra di riscossa : « questa
Canzone della Patria delusa fu mutilata
da mano poliziesca, per ordine del Ca
valiere Giovanni Giolitti, capo del Go
verno d’Italia».
28
35. Il terribile luglio 1914 lo trova ancora
in Francia: la guerra scoppia, ed egli
prova quel primo senso d’irreale che tutti
provammo, come se d’improvviso, in una
vicenda che ci toglieva il respiro, ci av
volgesse un lontano passato, un futuro
anche più lontano : ma sùbito egli si
orienta : — la guerra prepara «gli spazii
mistici per le apparizioni ideali ». Egli
sente che metton foce nel gran mare della
realtà i fiumi canori delle sue predizioni :
« mi tornano nello spirito le melodie che
non furono udite e che perciò a taluno
devono oggi sembrare più belle ».
La sua « esule malinconia » lo trava
glia ; a quando a quando lo spirito si
smarrisce tra il desiderio dell’azione e il
sospetto che le forze sieno ormai fiaccate,
e la preparazione insufficiente: « ho per
duto il mio mondo e non so se ne tro-
29
36. vero un altro »; — « chi sono ? dove
vado? e che ho mai fatto? ».
Ma gli eventi lo avviano alla mèta,
come colpi di timone una barca potente :
il pontefice mite se ne va; un altro sale
la cattedra di S. Pietro ; il Poeta riassume
in poche linee preveggenti il tormento
italiano dei quattro anni prossimi; «si so
gna che in quest’ora sia vestito della tu
nica bianca e coperto »del camauro ver
miglio un papa giovine... capace di con
tenere nel suo petto il coraggio sovru
mano d’Ildebrando ». Quante volte non
ci rammaricammo, in quattro anni d’an
sia, ad ogni atto e gesto del Pastore,
con questo medesimo sogno che non ci
voleva morire ?
Il barbaro invade il suolo della Francia,
calpesta le memorie dell’ « Isola » bene
detta ; il poeta segue ogni fatto di guerra
con una crescente passione : e in tutti
gli aspetti della terra ospite, vede un
30
37. aspetto della patria lontana; e, con quel
l’amore che nei momenti decisivi parve
sempre unire Italia e Francia in uno stesso
sentimento latino di grandezza, di peri
colo, di volontà eroica, prepara l’anima
sua a quel ritorno in Patria, che qual
che coscienza invigliacchita nella politica
gli rinfacciò come un mercato !o
« Il mio cuore gridava d’angoscia verso
la mia patria prima, verso l’Italia inerme
e irresoluta ».
Percorre contrade in agonia all’appros-
simarsi dell’uragano germanico, vede Sois-
son e Reims nell’ora del martirio, e la
cattedrale unica al mondo, transustan-
ziarsi nel fuoco; e, nelle pause dell’an
goscia, quando in una villa solitaria ri
prende i giochi con i suoi levrieri, ogni
aspetto ed ogni atto della terra, delle
ammirate belve, delle creature umane gli
assume un atteggiamento guerriero.
«Nulla più valeva, fuorché l’azione, fuor-
31
38. chè il combattimento a oltranza, fuorché
il sangue inesausto. La furia della muta
si apprendeva alle nostre vene ». E le
verità eterne, le materiali e le ideali, della
vita gli si rivelano. « Sentivo dentro me
il mio scheletro prigioniero, involuto di
carne riconversa in argilla ».
«Ma questa guerra sembra interamente
rifondere tutte le stirpi nella materia ori
ginale affinchè i loro genii possano al
fine rifoggiarle nel fango sanguinoso e
risollevarle alla vita con un soffio più
vasto ».
« Occidente, splendore dello spirito
senza tramonto, nessun barbaro potè mai
spegnerti, nessuno mai ti spegnerà nei se
coli, finché l’uomo porti sui suoi soprac
cigli una fronte per rispecchiarti ».
Sono le chiavi di volta di tutto l’edi
ficio di parole e di pensiero che egli le
verà su tra un atto e l’altro durante la
guerra: ma una delle profezie batte le ali
32
39. lontano, supera la vittoria, guarda dall’alto
i giorni dell’armistizio torbido e della pace
acre: « E la vera legge marziale sarà su
noi instaurata dopo la guerra delle armi :
chè uccidere e distruggere sarà ben facile
compito in paragone di quel che i super
stiti troveranno dinanzi a loro ». Si pensi
che queste parole del secondo tomo della
« Licenza » fan parte della « Leda senza
cigno », pubblicata nel 1916, e che per
ciò si rivelano pensate nel 1915 o forse
nel 1914, — e che c’è lo schema del
l’Italia del 1923.
Egli è ormai pronto, spirito e corpo :
« Sono leggero e spedito per andare verso
l’avventura, verso il pericolo e verso la
morte. Forse mi sarà dato di sentire in
me la stupenda novità che si prepara,
prima di disciogliermi. Ma già la ricevo
in forma di annunciazione ».
«Egli è pronto; ma l’Italia non si
muove: la Francia ansa e si contorce sot
33
40. to la pesante mano che !e stringe la gola:
il poeta sente più di tutti questo sussulto
di agonia di cui freme la terra alla quale
poggia i piedi, e si volge con il cuore
alla patria, se oda la voce della deci
sione.
Silenzio.
Una specie di furore epico lo dilania.
Bisogna decidersi : egli compirà qualche
atto irreparabile che violenti il destino.
Un giorno della primavera del 1915,
nel suo studio remoto di Rue de Geof-
froy, a Parigi, con Peppino Garibaldi,
preso come in un’atmosfera di leggenda,
egli si artiglia il cervello per trovare un
modo di ritornare in Italia che valga un
ammonimento, e che tagli il nodo della
sorte, quand’ecco gli giunge un messag
gio: un giovane poeta gli annuncia dal
l’Italia che, nel prossimo anniversario della
partenza dei Mille da Quarto, si scoprirà
sullo scoglio un grande bronzo, a cui gli
34
41. eventi danno un significato, per la folla
improvviso, ma a lungo meditato e pre
parato nel cuore dello scultore: è la ri
surrezione dei morti: gli eroi di tutte le
cospirazioni e le guerre dell’indipendenza
ribalzano dalla terra, stracciando i loro
sudarii ; e Garibaldi è fra loro : li rac
coglie, li regge e li guida, simili a un
flutto che urti la sua persona come uno
scoglio. La vittoria giovane, perchè gari
baldina, scaturisce dal gruppo affannoso,
e incorona il Condottiere.
Si vuole che il poeta torni in patria,
sbarcando sul lido « fatale », e interpreti il
bronzo e compia il prodigio, davvero: la
risurrezione dei morti s’inizi per coman
damento di lui.
Una accensione sùbita prende l’esule
e lo travaglia. In pochi giorni egli pensa,
scrive, e trascrive, in forma d’una can
zone di gesta a larghe lasse di prosa,
d’un ritmo d’onda temporalesca, la sua
«Orazione perla Sagra dei Mille».
35
42. Quello stesso giovane poeta ha gettato
frattanto in Italia l’invito a tutte le anime
perchè si purifichino, si accordino, si rac
colgano a Quarto per un rito augurale,
che, appunto, egli ha chiamato Sagra.
Gabriele D’Annunzio ritorna.
Giorni di febbre: l’ansia diventa ango
sciosa: si annuncia che il Re sarà pre
sente allo Scoglio : è la guerra ! poiché il
poeta ha serrato nelle lasse della Orazione
parole decisive.
Ma d’un tratto egli legge nei giornali,
mentre si stacca da Parigi, salutato dai tre
pidi amici dell’Italia che sperano nell’inter
vento imminente, che il Re non verrà più:
allora è la neutralità, perpetua! Ebbene:
egli scenderà lo stesso in mezzo alla folla:
colui che ha salutato il giovane Re assunto,
adempirà la minaccia : « Che se il danno
e la vergogna duri — quando l’ora sia
venuta — tra i ribelli vedrai da vicino —
anche colui che oggi ti saluta ». « Maestà
36
43. assente » comincerà il suo discorso : que
sta chiamata sarà una condanna.
Egli rientra in patria; ma prima di
partire, il 25 e il 27 aprile, in due prose
« L’amarissimo Adriatico » e « Il cemento
romano » fa pubbliche in Francia, con la
solita nettezza, le dichiarazioni che « de
terminano — come egli stesso affermò poi
in Roma, il 24 maggio del ’19 — i no
stri confini e i nostri diritti, tutti i nostri
diritti, specialmente quelli che non consi
dera il magro patto di Londra e la rat
toppatura di Moriana ».
Ma, passato appena il confine, egli
incontra il giovane poeta il quale lo ras
sicura che il Re è 'trattenuto a Roma
dal precipitare degli eventi : si saprà solo
più tardi che il Re non poteva interve
nire perchè la notte del 4 maggio il trat
tato d’alleanza con l’Austria era stato
denunciato.
L’arrivo a Genova, a sera inoltrata, la
37
44. vigilia, gli dovette dare il senso dell’ab
braccio quasi fisico della Patria: quanta
aspettazione, quanta fede, quanta speran
za !
Nessun annuncio ufficiale, nessun in
vito ; ma l’atrio e le scalèe della stazione
Principe, sono un solo gorgo di folla, al
fondo del quale, come dentro la punta
d’un imbuto, splende la testa nuda del
poeta: la moltitudine gli si stringe ad
dosso fino a soffocarlo: lo vediamo im
pallidire: a stento una catena di brac
cia e di spalle maschie lo isola e lo
salva.
Un’automobile lo afferra e lo porta,
prima a stento entro la calca, poi di volo
per strade deserte, all’Albergo Eden. Ma
lassù già un turbine di gente lo attende,
pone l’assedio a l’edificio in cui egli è
scomparso, lo chiama. Egli si affaccia :
nel buio del giardino, rotto qua e là dai
raggianti globi elettrici tra gli alberi, sulla
38
45. moltitudine fluttuante dei visi pallidi di
commozione, e delle bandiere (è il fiore
dell’ « interventismo » ligure — i giovani
mischiati con i veterani garibaldini) egli
getta il primo dei suoi discorsi: poche
frasi, bellissime, nella nudità muscolosa e
palpitante che un poco s’indebolì amplian
dosi nella trascrizione pubblicata poi. La
linea del pensiero v’è segnata con una
sicurezza sovrana, dalla preghiera alla
decisione, dalla meditazione all’azione: si
pensa che finalmente il sordo rimescolìo
delle coscienze, il fermento degli affanni
anelanti della patria, abbiano trovato una
voce chiara, libera: si sente che l’Italia
si rivela a se stessa nel suo poeta. E il
bronzo fasciato di stoffa purpurea là sullo
scoglio, era da lui raffigurato come vigi
lante sul Tirreno oscuro, nella notte senza
luna, tutto rosso d’un ardore che lo ar
roventava.
Il mattino dopo, sotto il cielo raggiante
39
46. percorso dai velivoli che ancora stupivano
col loro volo sicuro, su un mare azzur
rissimo e fiottante alle prode, in mezzo
a un popolo che continuava a fluire da
Genova, per la strada litoranea, come
una fiumana perenne, Gabriele D’Annun
zio scandì con la sua voce metallica e
ferma l’Orazione: cominciava: «Maestà
assente ma presente » : il drappo sangui
gno che aveva coperto la mole, la quale
in realtà pareva un rogo come il poeta
aveva divinato, scivolò giù dalle forme
bronzee, e l’opera sembrò davvero come
il D’Annunzio la definì, « un comanda
mento alzato sul mare ».
L’orazione pubblicata la mattina stessa
dal « Corriere della Sera», percorse con
uno squillo di diana tutta l’Italia : e recò
la certezza.
Ma la bocca del poeta fu proprio da
quel momento come la bocca della for
nace percossa dall’asta di ferro: non si
40
47. chiuse più, fino a che l’annunciatore non
divenne combattente : e ne sgorgava una
lava furibonda.
In Genova stessa, il 5 maggio, il 6, il
7, i discorsi s’incalzarono, sempre più
affocati di passione, sempre più affannati
d’amore, ma sempre sorretti da una soli
dità di pensiero politico e da una anti
veggenza mirabili.
Al banchetto dei Mille, tra i superstiti
bianchi e curvi che lo covavano cogli
occhi riaccesi dal fuoco di giovinezza eroi
ca, egli riassunse la realtà di quell’ora
in parole esatte : « sembra che da stamani
noi respiriamo non so che odor di mi
racolo, dove s’avvicendano in una sorte
di balenìo la verità e il sogno, la vita
attuale e la più lontana favola »; e già
mirava a Roma: « A Roma io bevo » —
Nei giardini del palagio di Andrea D ’Oria,
ricevendo in dono il gesso del leone di
Trieste, che è murato in una casa dei
41
48. Giustiniani, egli richiama le glorie ma
rinare della Superba, per avventarle sul
la costa del « Golfo di Venezia » a riaf
fermare il diritto d’Italia; nella sala di
palazzo San Giorgio, dopo lo scabro
ardente saluto dell’apuano Ceccardo, rie
voca i vanti civili di Genova, e chiude
la breve orazione con un’ « immagine
di fiamma »; ai Dalmati che gli offrono
un libro di testimonianza della loro ita
lianità, giura « nello stile di Roma » la
salvazione.
Ma la sua eloquenza sale ai vertici della
potenza, quando nell’ateneo genovese,
gli studenti convenuti da tutta l’Italia lo
prendono nell’uragano del loro entusiasmo.
Parve allora che tutta la sua anima di
vampasse, come vampe fischiavano e rug
givano nell’anima dei giovani: l’aria stessa
ardeva! E c’era, presente ed ignoto, Vit
torio Locchi : « Se è vero, come è vero,
come io giuro esser vero che gli Italiani
42
49. hanno riacceso il fuoco su l’ara d’Italia,
prendete i tizzi con le vostre mani, sof
fiate sopra essi, teneteli in pugno, scuo
teteli, squassateli ovunque possiate, ovun
que voi andiate. E appiccate il fuoco,
miei giovani compagni, appiccate il fuoco
pugnace ! Siate gli incendiari intrepidi del
la grande Patria! »
Furono ! Non erano trascorse molte ore
e già un po’ dappertutto la polizia do
veva accorrere ad ogni momento a spe
gnere qualcuno di questi incendi che cre
pitavano nel vento. E lo seppe il Giolitti,
fischiato e per poco non percosso, alla
stazione di Torino.
Ma il poeta, che non si placa, e tra
discorso e discorso, visita le grandi ac
ciaierie liguri, le fucine che vampeggiano
notte e giorno senza tregua approntando
i cannoni, tendeva ormai a Roma: la
preparazione delle anime era compiuta:
l’aspettazione aveva messo la febbre in
43
50. tutta la nazione: ora bisognava andare a
battere il nemico nella sua fortezza !
Chi scrive, lo vide passare, raggiante
di fede, sicuro, dalla Spezia : ne udì pa
role in cui era la più lucida certezza.
Durante il viaggio e nelle prime ore
romane raggiungono il poeta le notizie
delle frodi tentate, dei baratti, del tradi
mento.
La febbre della lotta lo investe: è il 12
maggio ; egli getta la sua « arringa al po
polo accalcato nelle vie e acclamante »: an
cora l’orazione per la Sagra gli si dibatte
nel cuore, ma si tramuta: « lo vi porto il
messaggio di Quarto, che non è se non
un messaggio romano alla Roma di Villa
Spada e del Vascello » ; il senso profe
tico dà alle sue parole un’audacia crudele:
« Che la forza e lo sdegno di Roma ro
vescino alfine i banchi dei barattieri e
dei falsari »; le immagini sobbalzano dal
la sua bocca con una potenza carnale :
44
51. « gettato è il dado su la rossa tavola
della terra ». E i ricordi s’ingorgano nella
sua anima dalla storia, dalla poesia, dalla
sua stessa vita lontana, ed egli comincia
quella rievocazione del mito dei Mille, che
accompagna, data per data, di visioni
eroiche la nuova orazione più vasta, che
egli poi intitolò « La legge di Roma »
e di cui ogni discorso è un lassa.
Nella giornata del 13 maggio, con
uno sforzo di allargare la sua azione a
tutta l’Italia, e di tenere i contatti, getta
un messaggio ai Genovesi, che pare un
foglio d’ordini : « ogni giorno adunatevi
in gran numero... e manifestate il vostro
sdegno, gridate la vostra minaccia... Alla
riscossa, popolo di Genova! Italiani, alla
riscossa ! »
Ma la minaccia illividisce il cielo come
un temporale imminente, e Roma si agita,
lo spirito del poeta è entrato nella mol
titudine come un lievito, l’ha resa sensi
45
52. bile come carne ferita: l’uomo che un
giorno aveva tracciata con stile duro la
vita di Cola di Rienzo, dovette sentir ri
vivere in sè la potenza e l’autorità tribu
nizia del veto. Quello stesso 13 maggio
il governo di Antonio Salandra si di
mette : passa per l’Italia un’ondata di sgo
mento : è la neutralità insuperabile ? è
l’ignominia? Tutta Roma ribolle: le vie
sono percorse non più da folle, ma da
bande risolute : qua e là si levano le pri
me barricate. Quella medesima sera il
poeta arringa di nuovo « il popolo in tu
multo ». Il dubbio del tradimento che era
soltanto come « un orribile odore» è di
ventato una certezza che stronca l’anima
con tuttto il suo « peso obbrobrioso »: il
poeta stesso ora incalza il popolo all’a
zione, lo guida, gli segna le mète ; e as
sume su di sè la responsabilità della ri
bellione aperta, armata: « se considerato
è come crimine incitare alla violenza i
46
53. cittadini, io mi vanterò di questo crimine,
10 lo prenderò sopra me solo ». Il suo
discorso è guerresco : ha lo stridere aqui
lino di quelle brevi parole che il Duca
D’Aosta soleva poi in piena campagna
gridare, come strappandosi il fegato a
brano a brano, alle sue chiuse falangi di
elmetti grigio-verdi; e c’è già l’ansia di
sperata della marcia di Ronchi, che ge
nerò poi la marcia su Roma : ogni pe
riodo è per chi ascolta come un col
po di maglio; e tra l’una e l’altra romba
s’ode l’ansito della folla ebbra di quel-
l’ incitamento : « Ascoltatemi. Intendete
mi ».... - « Udite ! ».... - « Udite? ».... -
« Intendete ? Avete inteso ? » : pare che
11 poeta abbranchi il popolo con due pu
gni artigliati e lo scuota : « Nella Roma
vostra si tenta di strangolare la Patria
con un capestro prussiano maneggiato da
quel vecchio boia labbrone le cui calca
gna di fuggiasco sanno la via di Berlino ».
47
54. E’ il sarcasmo tragico che si vedrà ri
balenare sulla moltitudine a Fiume negli
originali dialoghi del poeta e della folla.
Come gli rispondesse il popolo di
Roma, il D’Annunzio stesso ha raccon
tato in una tra le più belle pagine del « Not
turno» con una commossa sincerità umana.
La sera del 14 maggio al Teatro Co-
stanzi, gremito, egli appare d’improvviso,
sale sul palcoscenico.
Davanti alla moltitudine che ascoltò
in un silenzio impressionante, con una
sola faccia di mille facce sbiancate dalla
sofferenza, e che poi scattò in un urlo
di sdegno, egli pronunciò l’accusa pub
blica.
La sua voce metallica disegnava le
parole spietate con la nitidezza d’un
ferro di chirurgo: «Udite. Udite. Gra
vissime cose io vi dirò, da voi non co
nosciute. State in silenzio. Ascoltatemi.
Poi balzerete in piedi, tutti ».
48
55. Egli rivela che il 4 maggio, la vigilia
di Quarto, la Triplice era stata dichiarata
« decaduta e nulla » e che s’erano già
presi « impegni gravi » con le nazioni al
leate; e che Giovanni Giolitti, pure in
formato di tutto questo, aveva tentato di
sostituirsi al Governo responsabile, trat
tando l’abdicazione della volontà nazio
nale con Bulow : « Egli dunque tradisce
il Re, tradisce la Patria ; contro il Re,
contro la Patria, serve lo straniero. Egli
è colpevole di tradimento, non per un
modo di dire ingiurioso, non per eccesso
di frase polemica, ma in realtà, ma in
verità, secondo la figura nota di esso
delitto ». E impone di « armarsi di tut
te le armi » — e non rifugge nem
meno dal pensiero della insurrezione
sanguinosa : « Perciò, ripeto, ogni buon
cittadino è soldato contro il nemico
interno, senza tregua, senza quartiere.
Se anche il sangue corra, tal sangue
49
4
56. sia benedetto come quello versato nella
trincea ».
E’ l’uomo di Fiume : esatto : ognuno 1°
giudichi come può e vuole, e sa; ma
nessuno potrà dire che egli si sia smen
tito o tradito.
11 15 maggio sa che gli studenti del-
l’Ateneo sono « adunati per deliberare la
violenza»; non può intervenire; manda
un messaggio: lancia tra loro l’ombra di
Oberdan, rievoca loro la « battaglia su
blime di Calatafimi », congiunge i loro
cuori, con i cuori degli studenti Geno
vesi : « appiccate il fuoco ! Siate gli in
cendiarli intrepidi della Grande Patria ! »
Ancora una volta tenta di allacciare con
le loro stesse arterie le due città che ha
inebbriate della sua febbre.
Passano le ore negli «estenuanti indugi»;
la politica tentacolare si travaglia a cercare
con palpamenti e avvinghiamenti vischiosi
la risoluzione della crisi parlamentare.
50
57. Il 16 maggio il poeta (è l’anniversario
della marcia garibaldina da Calatafimi a
Palermo) parla agli artisti: forse la folla
è altra da quella dei giovani e del po
polo, forse lo umiliano i troppo lunghi e
anguillosi tentativi politici; è meno ispi
rato, meno fremente: una sola verità gran
dissima balena sopra la sua breve ora
zione : la gente latina « è l’artefice chiara
delle stirpi confuse. In lei soltanto la ma
teria immensa e incandescente della nova
vita troverà i grandi conii perfetti ».
Anche oggi ci specchiamo in queste
parole e sentiamo che si avvereranno nei
secoli.
Un corteo tumultuante ha traversata
Roma.
Il 17 maggio è la giornata epica: la
sua eloquenza diventa una colata di bronzo:
il popolo l’ascolta in una esaltazione pro
fetica. Egli richiama ancora una volta le
glorie di Roma e le glorie garibaldine ;
51
58. definisce l’atteggiamento del Re, prepara
gli spiriti all’adunata imminente della Ca
mera, da cui vuole esclusi i traditori ; a
ogni suo grido che saluta una virtù della
Patria « il popolo unanime risponde con
una immensa acclamazione, dalle scalina
te, dalla piazza, dalle vie »; e quando
qualcuno reca al poeta la spada di Nino
Bixio ed egli, con parole di gloria, la snu-
ba e la bacia, « una nuova immensa ac
clamazione sale nell’aria accesa dal tra
monto. Il grido : « Guerra ! Guerra ! »
supera ogni altro clamore » e mentre il
poeta, ormai duce di un popolo, esclama:
« O Romani, è questo il vero parlamento.
Qui oggi da voi si delibera e si bandisce
la guerra. Sonate la Campana», davvero,
come mossa dal vento di quella ebbrezza,
la campana del Campidoglio si mette a
sonare a stormo : « tutto il popolo, sotto
il rombo, acclama la guerra ».
Il 20 maggio egli conforta ancora e
52
59. ammonisce il popolo che s’accalca intor
no a Montecitorio, in un’ansia fosca; e
quando esce dall’aula dove il parlamento
ha ritrovato se stesso, e la sorte è stata
affrontata, egli ancora arringa la moltitu
dine: rievoca un anniversario miracoloso :
la battaglia di Montebello in cui gli Ita
liani, 5.000 contro 20.000, attaccano a
ferro freddo gli Austriaci e li fugano ; e
getta il grido ancora una volta profetico :
« La vittoria è di coloro che nella vitto
ria credono, che nella vittoria giurano.
Noi crediamo, noi giuriamo di vincere».
11 23, il duca d’Avarna comunica al
Governo austriaco la dichiarazione di
guerra dell'Italia.
Nell’alba del 25, Gabriele D’Annunzio
chiude con un fermo sigillo la sua vigilia,
parlando ai compagni: è l’addio prima
dell’azione ! Egli celebra il silenzio di
Roma che significa duro proposito, si
vota con sincerità commossa alla morte;
53
60. si libera per l’azione : « Ecco l’alba, o
compagni, ecco la diana; e fra poco sarà
l’aurora. Abbracciamoci e prendiamo com
miato. Quel che abbiamo fatto è fatto.
Ora bisogna che ci separiamo e che poi
ci ritroviamo. 11 nostro Dio ci conceda
di ritrovarci o vivi o morti, in un luogo
di luce ».
54
63. Le parole di congedo sono state pro
nunciate il 25 maggio : sono un taglio ri
soluto, netto — fra la preparazione e
Tazione. Ora non c’è nell’anima del Poeta
che una volontà e una necessità: essere
il primo nel sacrificio come è stato il
primo nell’incitamento : da questa fine di
maggio al novembre 1918, e poi ancora,
fino alla Marcia di Ronchi, la sua vita
è dominata da questa legge : avvalorare la
parola con l’atto; trasformare il verbo in
carne.
Ci potrà essere stato il desiderio della
gloria, la voluttà del rischio, il sapore
dell’avventura : tutteT quel che si vuole ;
ma c’era sopra ogni cosa questa fonda-
mentale espressione di onestà civile, che
resterà nella storia del nostro popolo co
57
64. me un esempio raro a tutti gli apostoli e
a tutti i profeti : adempiere per primo e
con più rigorosa obbedienza, il dovere
esaltato nell’inno ed imposto nell’orazione:
essere veramente un Capo; il quale sa
che i gradi d’una gerarchia poggiano non
tanto sopra un crescere di potere, quanto
sopra un giganteggiare di responsabilità.
Ma l’atmosfera ardente della guerra
non è riuscita a liquefare le croste dei
sistemi intorno all’intelligenza negli «abi
tuali » : e i ministeri sono ancora, come
in tempo di pace, diffidenti, prolissi, ca
sisti : il poeta deve consumare gli ultimi
5 giorni di maggio e la prima quindicina
di giugno ad ottenere l’arruolamento re
golare nell’esercito.
Luigi Cadorna, che ha compreso l’im
portanza di questa volontà d’azione pronta
ad ogni scatto, e di questo fermento ca
pace di far lievitare le moltitudini ar
mate, come già ha sommosse le folle,
58
65. consente, in una lettera del 25 maggio, col
desiderio del poeta di essere diretto par
tecipe dell’impresa « alla cui preparazione
Ella ha portato un alto contributo ideale »;
ma bisogna riconoscere che nessuno,
nemmeno i più illuminati, hanno ancora
compreso di che cosa sarà capace l’uomo:
il Cadorna stesso, nella medesima lettera,
disponendo che il D ’Annunzio «sia desti
nato al Comando dell’Armata che opera
agli ordini di S. A. R. il Duca D’Aosta >,
parla, sì, d’un « contributo d’opera e di
pensiero, ch’io reputo prezioso », ma crede
che il poeta si recherà via via « presso i
comandi delle varie Armate, per assistere
agli atti che si verranno svolgendo sul
l’intera fronte dell’esercito», — e ha
« la certezza che la vita così vissuta
a contatto con la parte operante dell’E-
sercito suggerirà al poeta, a guerra ulti
mata, il proposito di narrarla ».
Ma gli impiegati del Ministero non
59
66. condividono nè le maggiori nè le minori
speranze, e s’attardano in ricerche di do
cumenti regolari e di convenienze legali,
tanto che il D’Annunzio, dall’ansia all’im
pazienza alla collera, irrompe in lettere
amare a S. E. Antonio Salandra, una delle
quali — del 18 giugno — accenna già
velatamente a quel lavorìo di nemici in
terni che il poeta ha già intuito, e che
porterà al Paese tanto disonore e tanta
rovina: « E’ la prima volta che iò chiedo
qualcosa al Governo del mio paese, e
non chiedo se non di servire » (par di
cogliere il gesto iroso della mano che sot
tolinea la frase !) « Alla mia offerta si op
pongono piccole formalità che, nel mio
caso riconosciuto « particolare » dal Co
mandante Supremo, non hanno alcuna
importanza ».
« I giorni passano, e io sono qui nel
l’inerzia, mentre tutti mi attendono là dove
io debbo essere». « Forse i burocrati del
60
67. Regno d’Italia desiderano che io ritorni
nella Landa remota. Ritornerò alla soli
tudine dopo la guerra. Ma penso che la
lotta anche quella ideale, sia da prose
guire ; e in proposito Le rivelerò qualcosa
di molto grave, quando Ella potrà rice
vermi ».
Finalmente, il 19 giugno, nello stesso
bollettino che nomina Guglielmo Marconi
tenente di complemento in un battaglione
ciclisti, Gabriele D’Annunzio è nominato
tenente di complemento dei Lancieri No
vara, e assegnato al quartier generale di
Filiberto di Savoia.
La sua fede « apostolica » dà ancora
qualche sprazzo: il 24 giugno, alla folla
di sei mila persone che s’aduna a Parigi
nel Trocadero, per celebrare l’anniversario
di Solferino, rammentando in un bellis
simo telegramma che in quella battaglia
dei popoli fratelli « nella rotta austriaca
ebbe parte un fierissimo temporale che
61
68. lottò dal cielo con i nostri », sentenzia
con gioia : « il sole è sempre con i La
tini ».
Ma ormai le espressioni di oratore di
ventano secondarie; egli parte incontro
alla guerra e alla morte e per questo,
come ogni fante italiano, come il Fante
di Eugenio Baroni, nel monumento del
San Michele, anche lui va a prendere il
commiato dalla sua madre mortale: il
« Notturno » rievoca quel momento con
schietta commozione: accolto in trionfo
a Pescara, cerca d’isolarsi, — risale con
devota umiltà le scale della sua vec
chia casa, traversa le stanze piene dei
ricordi della sua infanzia, va a prostrarsi
davanti alla santa che lo benedice nella ca
mera nuziale, presso il talamo in cui egli
è nato: è l’il luglio.
Il 12 riparte in automobile per Roma;
il 15 ha l’ultimo contatto con la folla del
vecchio mondo, la quale l’ha riconosciuto,
62
69. mentre egli, alle porte dell’albergo, s’im
barca per Mestre, e gli leva intorno un
rumore d’applausi che forse infastidiscono
l’uomo ormai liberato da ogni ricordo
della vita « di prima » e armato spirito e
corpo per la battaglia: il 20 luglio dona
a Ferrara il manoscritto della Parisina :
altra separazione dalle memorie, e altro
gesto per accendere altari di fede ita
liana: ma il dono è già datato dalla
fronte.
Le prime prodezze sono sul mare :
l’Amarissimo da lui tante volte agitato, il
mare delle « Odi Navali » e della « Nave »
non è più finalmente un mare imbelle :
ed egli vi accorre come per sciogliere
un voto : nell’anniversario di Lissa (sarà
sempre del suo stile di guerra legare i
suoi atti più prodi alle date più grandi,
fauste ed infauste, della storia d’Italia) sul
cacciatorpediniere Impavido, col capitano
63
70. di fregata Pietro Orsini — posa uno
sbarramento di torpedini contro la costa
nemica : e ripeterà l’azione pericolosa ¡1
19 agosto. La sua vita s’immedesima sù
bito con quella del popolo combattente:
egli non si accrocca agli alti comandi :
scende tra i fanti della terra e del mare:
convive con loro: piega per loro in ar
ringhe soldatesche la sua armoniosa elo
quenza: il 22 saluta un reparto di mari
nai che parte da Venezia per la linea ;
li invita a vendicare con un’azione pru
dente e audace l’Amalfi e la Garibaldi
pugnalate a tradimento ; e già fin d’allora
si sente che la sua figura, giganteggiando
nell’opera civica e poi in queste prime
mosse di guerra, assume caratteri leggen
darii: l’Austria lo vede come un incubo
sopra il suo cielo; con un bando eroi
comico proibisce in tutto l’impero la rap
presentazione di qualsiasi « pellicola girata
in Italia dopo il 23 maggio» perchè tutte...
64
71. sono opera « d’un nemico accanitissimo»:
Gabriele D ’Annunzio.
E in vero egli si prepara ad essere
un’ala sul cielo nemico. Mentre la con
vivenza con gli ufficiali di marina e i ma
rinai gli si salda in una fraternità che lo
onora, ed egli si accinge, in mezzo a
questi fratelli, alle prodezze dell’ottobre,
comincia — altro segno di coerenza —
a delinearsi in lui poeta, la visione d’una
necessità più alta: egli deve essere sulle
battaglie, non più per una immagine d’inno,
ma in una realtà storica, l’arcangelo che
annuncia e stermina: già forse prende
linee sicure nel suo pensiero quel pro
getto di battaglia concorde della terra e
del cielo, di cui un giorno detterà le nor
me strategiche e tattiche, e che effettuerà
con una così geniale larghezza di prepa
razione.
Ma intanto egli vuol portare a Trieste
un primo messaggio per le vie dell’aria.
5
65
72. E senz’altro inizia l’allenamento con
quel Tenente di vascello Giuseppe Mira-
glia, comandante della stazione degli idro
volanti di Venezia, il quale sarà per troppo
breve tempo il suo compagno perfetto,
e diventerà uno dei più caldi rimpianti
della sua vita, e avrà monumento perenne
d’amore e di gloria nel «Notturno ».
Ma all’ultimo momento, sulla fine di
luglio, la pigra Roma dei Ministeri tenta
di tarpargli le ali : forse non hanno fede
nell’aviazione marittima, che è alle prime
prove ; forse temono di lasciarlo troppo
esporsi e di perderlo, dando al nemico
soddisfazione e sollievo : il fatto è che
l’autorità militare gli proibisce i voli.
Fu come sfrugonare un ceppo ardente ;
l’ira divampa magnanima in una lettera
ad Antonio Salandra (30 luglio) in cui il
poeta scatta: « Come è dunque possi
bile, a proposito di me, parlare seria
mente di « vita preziosa », del dovere
66
73. «di non esporsi », e di simili «luoghi co
muni » ?... « Ma io non ho vissuto, mio
caro e grande amico, non ho vissuto se
non per questo momento. Togliermelo è
menomarmi, mutilarmi, annientarmi »...
11 divieto è tolto : e il volo si compie
il 7 agosto. Partono alle 3,30 pomeri
diane : alle 4,40 sono su Trieste : il poeta
ha lavorato tutto il giorno a scrivere di
suo pugno il messaggio, a preparare i
sacchetti sventolanti di fiamme tricolori :
i sacchetti son gettati con una nube d’al
tre bandiere italiane appesantite di piombi,
tra Piazza Grande e San Giusto : il mes
saggio annunzia agli irredenti — che non
sanno se non quanto dice al loro cuore
ansioso il rombo della battaglia che or
s’avvicina or s’allontana — le prime pic
cole vittorie su tutta la fronte dal Tren
tino all’Isonzo — e giura prossima la fine
del martirio : « l’alba della nostra alle
grezza è imminente »! Un velivolo au-
67
74. siriaco sorge in faccia dal vallone di Mug-
gia : proiettili esplosivi si schiacciano a
poppa della macchina italiana : i piloti
rientrano incolumi, le bombe lasciate ca
dere sui bersagli militari, i messaggi sulle
case pacifiche.
Le azioni dal mare e dall’aria conti
nuano .intersecandosi, e i discorsi guer
reschi precedono e seguono le azioni : il
poeta discende in sommergibile e resta som
merso sei ore all’agguato, risalendo esau
sto, ma fiero e ilare ; in presenza di Um
berto Cagni, a un equipaggio pronto per
l’incursione, parla : « E’ necessario scol
pire la statua della più grande Italia nella
più dura pietra del Carso, in vista del
l’Adriatico » ; rivola su Trieste per una
ricognizione (28 agosto), e, al ritorno, sof
fermatosi a Grado, si impiglia nella folla
che lo riconosce e gli si assiepa intorno :
egli la investe con una breve orazione
gioiosa.
68
75. Trieste non lo rende immemore di
Trento.
Per Trento, come per Trieste, parte un
pomeriggio : del 20 settembre : ma il volo
è aspro : nuvolaglie impressionanti sbar
rano la rotta ; foschìa compatta : il veli
volo è squassato dal vento che ne ab
branca ogni momento la prua ; ma proce
dono ; finalmente, in fondo a un vortice
di nubi, si scopre la città : in memoria
dei 21 fucilati del Castello nel ’48, sono
gettate 21 copie del messaggio, che è
ampio, rievocatore, promettitore ; fa una
cronistoria fedele e provata dei progressi
italiani sulla fronte ; giura : « Non torne
remo indietro se dalla Chiusa di Verona
l’Adige non refluisca verso la sorgente ».
La via per il campo è più rischiosa an
cora, ma più facile : il vento in poppa si
aggiunge al motore ; l’apparecchio è sol
levato via a 130 chilometri l’ora: pare
una foglia mulinata : shrapnels lo inse
69
76. guono il capitano Ermanno Beltramo,
giovine pilota, ma già esperto d’ogni ar
dimento, confesserà poi di non aver mai
fatto un volo così drammatico sull’orlo
del pericolo.
Nel messaggio a Trento una frase ci im
pressiona : alludendo all’« obbedisco » di
Garibaldi, prelude a Fiume. « Quella paro
la, non scritta, ma vivente, sta su ciascuno
di noi non come segno di divieto o di ri
nuncia ma sì d’incitamento a operare e a pa
tire cose più grandi che le nostre forze stes
se. Noi non obbediamo, non possiamo ob
bedire se non al genio inesorabile che ci
spinge sempre più oltre ». La sera stessa
dell’incursione il poeta parte in automo
bile e passa metà della notte in trincea :
inizia così una sua lunga visita che egli
compie come osservatore e incitatore, se
condo le già superate previsioni del Ca
dorna, lungo tutto il fronte Trentino.
E come l’incitamento valga, dimostra
70
77. la lettera d’un ufficiale pubblicata T ll ot
tobre dal « Corriere » : vi si parla d’un
discorso tenuto a un reggimento vittorioso,
nella cerimonia della consegna d’una meda
glia d’argento al Generale Zanchi e del gran
de effetto prodotto sulle milizie ascoltanti.
La visita al fronte si stende via via a
tutte le linee della Carnia, del Goriziano,
del Carso ; ma non cessano i voli : il
21 ottobre, con una squadriglia da bom
bardamento, superando vento e nebbia
avversi, il D ’Annunzio si abbassa audace
e lancia le sue bombe sul campo d’avia
zione di Aisovizza. Ma farà di più: l’a
zione è la sua vera espressione: la sua
prosa s’è rinnovata, s’è fatta quasi metal
lica; ma non può eguagliarsi alla musica
delle armi.
Mescolatosi ancora più con i marinai,
li accompagna ed assiste nel tumulto della
battaglia, con una cooperazione che pare
l’allenamento alle gesta del Faiti e del
Timavo.
71
78. Parlando di Umberto Cagni nel « Not
turno » il poeta stesso si lascia sfuggire
un grido di orgoglio : « Egli sa quel che
io feci, coi marinai, nell’ottobre del 1915 » ;
e a Milano, nel teatro alla Scala, il 19
gennaio 1916, esclamerà: « Nelle gior
nate sanguinose di ottobre ero in quella
mite Isola Morosina tutta dorata e tre
mula di pioppi, divenuta un inferno di
fragore, divenuta la più grande e potente
nave d’Italia, munita di cannoni navali
serviti dai nostri marinai che compiono
ogni giorno gesta sublimi ».
Infatti il Cagni, che era a Venezia con
la sua divisione, smantellava dei cannoni
di grosso calibro, momentaneamente inu
tili, certe navi e l’arsenale e, come egli
narra in una lettera, mandava i suoi
uomini a portare e piazzare i pesantis
simi pezzi, nei pantani e nei canneti
della laguna, più vicino che fosse pos
sibile al nemico : era un disegno ge
72
79. niale ed eroico : avveniva come se si fos
sero ancorate navi insommergibili a tiro
della costa nemica ; ma bisognava scavare
a braccia i canali per il passaggio dei grossi
pontoni che portavano gli affusti e le boc
che. L’orlo della laguna e gli isolotti diven
tavano un’ossessione per i nemici che con
centravano su quella terra bassa il loro
fuoco più rabbioso. Le prodezze dei no
stri uomini si succedevano superandosi
d’ardimento : il poeta era sempre tra uffi
ciali e marinai, presente dove, sulle artiglie
rie scatenate, infieriva di più il bombar
damento nemico, a consolare, a incitare,
a sospingere con la parola i reparti, a
raccogliere con le braccia i feriti, a sor
reggerli durante le medicazioni in una
commovente dedizione.
Ma la sua vena di poeta non ri
stagna : nelle pause della battaglia egli
evoca le grandi Ombre, gli Dei e i De
stini, e canta al cuore della Nazione il can
to della fede e del sacrificio.
73
80. Il 2 novembre pubblica sul « Cor
riere » : « Tre salmi per i nostri morti » :
il modo metrico è un suo modo di guerra,'
che riadoprerà sovente, perchè molto a-
datto a contenere senza necessità d’ar
tificio i getti improvvisi : sono versetti
biblici liberi da ogni costrizione di rima,
di verso e di strofe ; ma la libertà è
solo apparente : fermenta nei disuguali
periodi una voglia di canto che pare abbia
vergogna di mostrarsi : in effetto non si
capisce come questa forma si sia creata :
gli endecasillabi di tanto in tanto ondeg
giano colmi innalzandosi, e poi si rove
sciano in se stessi come cavalloni marini
dentro un mareggiare di prosa musicale ;
ma sono essi interrotti dalla fretta che
non permette troppo lunghi indugi all’ar
tefice, e si hanno quindi ondate di canto,
tra le quali il poeta ha lasciata fluire la
prosa, — oppure il poeta ha voluto espri
mersi in prosa, per bisogno di farsi umile
74
81. e disadorno, ma contro la sua stessa vo
lontà, la prosa s’è innalzata, per il pre
potente impeto dell’ispirazione, in sonori
versi, e ne sono balzate inconsciamente
le strofe compiute, per riatterrare in per
fette cadenze ritmiche ?
I Morti sono glorificati e santificati con
una certezza impressionante della vittoria
(siamo nel 1915), pur nella consapevolezza
ormai piena delle crescenti difficoltà e della
vastità del sacrificio inevitabile ; e note
profetiche audacissime, come l’ accenno
alla spartizione delle terre e dei mari dopo
la guerra, e la grandezza e il peso del
l’ossame del S. Michele, si legano a mo
tivi musicali e poetici, come le carezzanti
parole d’amore per Zara, che ritroveremo
in una musica più spiegata e raggiante
nel cantico per l’Ottava della vittoria.
I Salmi sono compresi dal popolo e
ammirati ; Genova li vorrebbe ascoltare
detti alla moltitudine ; ma il D’Annunzio,
75
82. che non vuole nè dimenticare nè sciupare
i giorni di Quarto, promette che scriverà
per Genova un canto nuovo: e il 10,
nella Superba, aristocrazia e popolo, cir
condano la prima volta con un abbraccio
d’amore i feriti e i convalescenti e, al
Carlo Felice — nello stesso luogo in cui
un giorno Goffredo Mameli aveva lanciato
alla moltitudine il suo Inno « Fratelli d’I
talia » ancor caldo dell’incudine — ascol
tano la prima delle « Preghiere dell’Av-
vento », pronunciata, dopo i « Tre Sal
mi », dalla voce di pianto e di canto
d’Italia Vitaliani : « Per i morti del mare » !
In maschie strofe saffiche si evocano i
morti colati a picco dal tradimento, e par
che singhiozzi lo stesso dolore virile e si
incupisca la stessa nostalgia della battaglia
navale non combattuta, che agita i carmi
per l’Ammiraglio di Saint-Bon delle Odi
Navali : dai fondi marini gli eroi atten
dono che Roma li chiami al resurressi.
76
83. Indimenticabile giornata : la voce del
poeta ha ancora la virtù suscitatrice del
maggio.
E non resta.
Per il palazzo comunale di Cervignano,
la prima città liberata, detta una epi
grafe; per Zara prepara un disegno con la
pianta della città e l’autografo di un passo
dei « Salmi » ; per la Serbia scrive la sca
bra ode « imbevuta di sangue » che egli
sa intonare così bene all’epica popolare
di quel popolo primitivo — e che la cen
sura gli mutila cautamente ; ma egli se la
stampa per conto suo, integra, e la dona
agli amici.
Una febbre improvvisa lo obbliga all’i
nerzia, gli fa pregustare i lunghi martirii
morali e fisici del Notturno ; ma una feb
bre più maligna gli è inoculata dagli av
versari della guerra.
Un deputato socialista, in pieno parla
mento, e proprio mentre il poeta dà prove
77
84. così chiare della sincerità della sua fede,
gli lancia in viso l’accusa che egli ha
mercanteggiato il suo ritorno dalla Fran
cia, ed è venuto a Quarto accompagnato
da donne, facendo mantenere sè e le a-
miche dall’ospitale Comune.
Ne nasce un’incresciosa polemica, che,
secondo il nostro costume di frugatori
delle nostre ferite, si trascina per i gior
nali : per quasi un mese il tanfo del pet
tegolezzo ci ammorba : il poeta è obbli
gato a intervenire un paio di volte con
scudisciate : l’8 dicembre egli afferma (e
si nota, perchè questa è un’altra testimo
nianza della sua preveggente fede) : « Io
non ho mai pensato di lasciare l’italia
dopo la guerra. Ritornai nell’ora del pe
ricolo per dare alla mia patria tutto me
stesso. Resterò nella mia patria per lottare
con tutte le mie forze contro il nemico
interno, che, come l’esterno, deve essere
perseguitato e annientato. Io ho nell’una
e nell’altra vittoria una fede ¡robusta^».
78
85. Finalmente chi scrive queste note potè
recare una prova che troncò la polemica
di colpo, dimostrando la falsità e la mala
fede dell’accusa.
11 12 dicembre esce la seconda delle
Preghiere dell’Avvento : « Per la gloria ».
E’ d’una quasi rabbiosa violenza pro
fetica : rappresenta in sintesi epica il pe
riodo della neutralità : da una parte gli
incitamenti quasi ostili dei futuri alleati,
dall’altra gli sconci blandimenti senili degli
alleati d’allora e del servidorame romano :
l’Italia che attende in ambascia, meditando
la sorte, pare nel canto una statua di
bronzo ; quando si slancia, come leo
nessa nella lotta, la strofa si dilata e ac
cende : e il grido profetico affiorato già
nei « Tre Salmi >, sfugge al poeta che
già (1915 !) ha noverati i morti e presen
tita la dimenticanza dei popoli camerati :
« Di poi verranno i savii partitori —
e distribuitori della terra ; — sicché cia
79
86. scuno, giusta la sua guerra, — godrà la
parte e succerà gli onori. — Ma tu fa,
Dio d’Italia, che al tuo cenno — gettiam
nelle bilancie lor cortesi — un ferro ancor
temibile, che pesi — più della spada bar
bara di Brenno ».
Non è ancora il poeta della « Canzone
dei Dardanelli » e dell’« Ode alla Na
zione Serba » ? non è già il poeta della
Marcia di Ronchi e di « Contro uno e
contro tutti » — sebbene permanga in
lui così serena la fede nella rinascita e
nella missione latina nel mondo ?
E l’avvenire, costantemente aperto da
vanti ai suoi occhi, illumina le strofe ;
dopo avere scritte altre « Preghiere »,
« Per il Re », « Per la Regina », getta
giù la più maschia : quella « Per il Ge
neralissimo » il quale gli pare, in figura
e in spirito, più grande del Colleoni, e
fin d’allora, gli si mostra, come poi tutti
lo vedemmo, ritornante alla sua Pallanza,
« sol di silenzio pago ».
80
87. La frase non poteva ancora significare
l’amarezza che traboccò nella lettera scritta
dal Cadorna l’8 ottobre del 1923 : ma i
poeti hanno infallibili presentimenti.
Il 21 dicembre è una delle più tristi
date della sua vita.
Giuseppe Miraglia, in un volo di prova
nel cielo di Venezia, precipita, e muore
insieme con Giorgio Fracassini. Egli era
l’eletto dal destino a compagno di pro
dezze del Poeta : colui che poteva dire :
« Se proponessi a Gabriele D’Annunzio
di volare su Vienna, risponderebbe sem
plicemente : « Andiamo » ; si siederebbe
sul seggiolino e non si volterebbe più in
dietro ».
Formavano « la coppia virile, la coppia
da battaglia, conduttore e feritore », vo
tati com’erano con eguale serenità e de
cisione alla morte : « la necessità eroica
della coppia alata, quando sia sopraffatta,
è l’arsione totale ; — sapevamo che la
81
88. nostra impresa era disperata — e non
desideravamo di sfuggire alla bella sorte ».
Si preparavano : il poeta vuol gettare,
in una incursione su Zara, un appello agli
Italiani della Dalmazia : è un desiderio di
consolarli, ed è il bisogno di un’ideale
presa di possesso di fronte ai nemici e
agli alleati : è già preparato il sacco dei
messaggi « come quelli di Trieste » ; su
perate le solite limitazioni odiose degli
uffici, i due fratelli hanno già allenato
anima e corpo in parecchie incursioni ae
ree sulla costa nemica dall’agosto al di
cembre : hanno infine scelta la data : il
23 ; ma il 21 il sogno si spezza.
La prima parte del « Notturno » è tutta
premuta dal dolore del poeta per quella
morte.
Egli vorrebbe tuttavia eseguire l’incur
sione ; gli pare che, se non compirà l’atto,
sconsacrerà la fede : e la sua ira è sopra
tutto contro la morte che gioca a rispar
82
89. miarlo : già una volta Alfredo Barbieri è
stato mitragliato nel capo, sedendo al po
sto esatto che avrebbe dovuto occupare
Gabriele D ’Annunzio, se un incidente non
gli avesse impedito di partire : egli re
spira l’atmosfera delle morti sublimi e delle
resurrezioni, e vorrebbe essere nel nu
mero di questi consacrati : Luigi Bailo,
Oreste Salomone.
Ma il volo su Zara gli è vietato.
Egli non si disanima, e continua a
prodigarsi nei voli alterni dell’ala e del
l’ispirazione : col tenente di vascello Bo
logna compie una lunga serie di fruttifere
ricognizioni sulla costa istriana, e pubblica
frattanto a celebrazione della Notte di
Natale una lirica nuova : « Il Rinato » :
Gesù nasce in trincea, è fasciato nelle
fasce da piedi ; soffre tutti i disagi, ma
« colui che è il più forte era il suo nome ».
La sua poesia frattanto s’espande e mo
stra d’essere veramente seme eroico : L’O
83
90. de alla Nazione Serba è tradotta dai pri
gionieri serbi del Castello di Cavi in Li
guria, i quali una strofe v’aggiungono per
fraterno compenso : l’ultima : « Iddio con
servi il poeta latino — e ne diffonda la
gloria nel mondo — fin che il bosco s’a-
dorni d’alloro, fin che vi saran canti ed
eroi » : e promettono al cantore, nei modi
della loro lirica barbara, due focacce per
il suo pane di gloria... Chi se le divorò
nei giorni delle trattative di pace ?
Trieste è sempre la prediletta delle sue
incursioni : il poeta rivola su San Giu
sto il 17 gennaio 1916: in un caldo
messaggio annuncia la morte di Timeus,
Venezian, Slataper, Pitteri : ripromette più
saldo la liberazione ; al ritorno lascia ca
dere sulla piazza San Marco di Venezia,
alla folla, un messaggio di risposta della
sorella schiava.
Potranno parere « gesti », se pure com
piuti nel rischio e con valore ; ma il sor
84
91. riso degli scettici si spegnerà quando essi
sapranno che a Trieste, nella stessa sera
in cui era stato gettato, il messaggio, non
ostante gli occhi irrequieti ed aguzzi di
poliziotti e di spie, correva segretamente
la città in un’edizione poligrafata di 10.000
copie, letto avidamente, si vorrebbe dire
mangiato avidamente, come pane dell’a-
nima affamata.
Ma il pensiero dei fratelli insidiati dal
l’Austria non faceva dimenticare al poeta
quelli che insidiava il disfattismo. Il 19
gennaio viene a Milano in automobile da
Venezia, invitato a leggere alla Scala le
due nuove « Preghiere per i Combattenti
e per i Cittadini ».
Si può immaginare la folla : il teatro è
un vortice umano.
Egli parla : ancora una volta profeta, af
ferma : « Anzi io dico che da oggi le sorti
della guerra, non tanto dipendono dalla
prodezza dei soldati, indubitabile, quanto
85
92. dalla pertinacia dei cittadini » ; — «ogni
cittadino sia un combattente » ; l’entusia
smo dei Milanesi rammenta quello dei
Romani nel maggio al Costanzi : si ven
dono suoi manoscritti per gli orfani di
guerra ; il popolo si riversa in città ri
temprato alla resistenza ; il poeta riparte
il 20, per andar a inaugurare un ricordo
marmoreo al Miraglia.
Ed ecco che, nel mezzo della sua ope
rosità più febbrile ed efficace, il destino
gli ritraversa la strada.
In un periodo di fervore grandissimo,
durante il quale si prepara al volo su Lu
biana, e dopo che ha assistito alla ceri
monia della consegna della medaglia d’oro
al capitano Salomone — durante una delle
tante rischiose ricognizioni su Trieste e
l’Istria, è costretto ad atterrare, con l’i-
drovolante pilotato dal tenente di vascello
86
93. Bologna, in vicinanza del nemico : nel
l’ammarraggio l’apparecchio ha un urto
d’estrema violenza : il poeta è ferito al
l’occhio destro : gli si produce un ampio
distacco di rètina con una pericolosa e-
morragia retinica. Egli non se ne pre
occupa, e vuol compiere la sua mis
sione : tornato, non soltanto non si lascia
nè curare nè visitare, ma riprende due o
tre volte i voli, fin che non s’accorge che
l’occhio gli s’è spento del tutto. Allora si
concede ai dottori.
La sua prima sosta è in un ospedaletto
da campo, « su la riva dell’Ausa, nericcia
come una gora di gualchiere » : i ciechi
e i feriti agli occhi, tutti bendati, gli si
accalcano intorno : mormorano : lo chia
mano per nome, lo palpano : uno dice
con una indefinibile voce di dolore e stu
pore : « Questo è quell’uomo ».
Nel «Notturno » la rievocazione di quel
l’ora è una delle pagine più belle, pure.
87
94. 11 poeta è trasportato a Mestre il 25
febbraio, poi a Venezia : lo assistono il
prof. Orlandino e il medico d’ Ago
stino.
La ferita appare subito grave e di gravi
conseguenze, sopra tutto perchè fu tra
scurata : c’è il pericolo della cecità totale,
specie se il poeta tenterà di rivolare a
grandi altezze.
Pare che il sogno eroico si sfasci e pre
cipiti, come un velivolo dentro una palude.
Ma Gabriele D’Annunzio ha fede nella
sua volontà di ferro : sa che supererà
anche questo frangente.
E comincia allora il sottile martirio.
Egli s’è raccolto a curarsi a Venezia
nella « Casetta Rossa » del Principe Fe
derico Hohenlohe — già presa in fitto,
da quando l’Austriaco, sebbene nato a
Venezia e innamorato dell’Italia, ha do
vuto migrare in Svizzera : è un gingillo
caduto a qualche giovinetta Morgana pe
88
95. regrinante a volo sul canale : piccola, ricca,
fragile come una scatoletta di porcellana,
e preziosamente settecentesca « dal cam
panello della porta, alla gabbia del cana
rino placcata e dorata ».
Mesi di pazienza eroica, scossa da im
provvisi desideri d’azione come sopras
salti della volontà guerriera, tormentata
dalla costrizione all’immobilità e dal de
lirio lucido, — vita di morto che medita,
e anela alla resurrezione : il poeta l’ha
rappresentata nel « Notturno » con po
tenza drammatica e con così sagaci a-
nalisi del suo stato fisico e psichico, che
qualche studioso ha potuto considerare
le sue pagine come documento di espe
rienze scientifiche. « Il capo più basso dei
piedi, i piedi congiunti, i gomiti contro i
fianchi, la bocca aperta e arida, il cuore
ambasciato, avvolto nel torpore, nel su
dore, nel patimento, nel tedio, nella di
sperazione », egli subisce i giorni, le ore,
89
96. i minuti come un peso che Io soffoca ;
ma vuol guarire, e resiste : e non perchè
gli premano salute e bellezza : vuol ri
prendere le armi : il senso della guerra la
quale è intorno a lui senza ch’egli vi par
tecipi è la sua vera tortura : qualcuno parla
nella camera attigua alla sua : « Odo il
nome di Patria, e un gran brivido mi at
traversa ».
Appena la notizia della sua ferita si
diffonde, una pioggia di telegrammi si
rovescia sulla « Casetta Rossa », a pro
vare quale posto egli abbia occupato nel-
l’anima della nazione combattente: ci
sono i potenti e gli umili, i grandi e gli
ignoti, gli Italiani e gli stranieri: il Ca
dorna, il Duca D’Aosta, il Salandra, il
Marconi, il Salomone. Il suo stato d’a
nimo è riassunto nella risposta a Filiberto
di Savoia: « perchè io possa presto ria
vere l’onore di servire sotto gli ordini del
Capo che deve condurci al di là del
90
97. Carso a Trieste » : la mente è vigile, il
cuore la scalda; al Salomone risponde
fraterno che si curi anche lui, che ricon
quisti le forze, e si prepari ; al Presidente
della Lega Aerea Nazionale, che tutti gli
Italiani si iscrivano « accomunati nella vo
lontà di rendere sempre più vasta e po
tente l’ala d’Italia»; e, in un poetico
dispaccio al Barrès, dopo avere espressa
la sua ansia per la battaglia di Douamont:
« non impensieritevi dei miei occhi, fra
tello, ma salvate la bellezza del mondo
per gli occhi novelli ». Trento, Trieste,
Zara gli rivolgono commoventi parole per
bocca dei loro fuorusciti; i marinai del
l’isola Morosina gli rendono il conforto
che ebbero da lui nei giorni dell’otto
bre; e, mentre i giornali italiani seguono
ansiosi le vicende della sua cura, quelli
di Francia esaltano l’opera del poeta, ri
conoscendo schiettamente che egli è stato
anche per il loro Paese un risvegliatore
91
98. e un incitatore : il « Figaro » gli telegrafa
provocando una risposta in cui il D’An
nunzio rammenta e documenta la veridi
cità di sue predizioni che il « Figaro »
stesso ha pubblicate in primavera «in Arie
te » ; e il Rostand, con movimento di
grazia artificiosa, gli chiede d’oltre le Alpi:
« Sento che siete curato da vostra figlia :
si tratta della vittoria italiana? »
In queste condizioni di corpo e di spi
rito il poeta riceve l’annuncio della me
daglia d’argento per le sue imprese tra
il maggio e il febbraio: al Ministro che
lo ha informato il 23 marzo, risponde :
« Trenta anni di amore alla marina hanno
ora il loro suggello »: c’è la gioia ma
schia dell’uomo che ha attuato eroica
mente il suo sogno!
E poiché la decorazione fa raffittire i te
legrammi di saluto e di augurio, egli, a
quanti può, risponde, variando con fresca
fantasia l’espressione d’una medesima osti
92
99. nata fede, che è più nettamente incisa
in un dispaccio al « Gazzettino » : «Scrivo
a occhi chiusi, spero di ricombattere a
occhi aperti ».
Da principio il limìo del non poter ado-
prar la penna era stato per il poeta un
insopportabile tormento : « Quando la du
ra sentenza del medico mi rovesciò nel
buio, m’assegnò nel buio lo stretto spa
zio che il mio corpo occuperà nel sepol
cro... dalla prima ansia confusa risorse il
bisogno d’esprimere, di significare ». Gli
era vietato il discorrere ; non poteva vin
cere con la dettatura « il pudore segreto
dell’arte che non vuole intermediarii fra
la materia e colui che la tratta »; l’espe
rienza lo dissuadeva « dal tentare a oc
chi chiusi la pagina». Ma il mito delle
Sibille « che scrivevano la sentenza breve
sulle foglie disperse al vento del fato »,
gli suggerisce d’improvviso la maniera.
E comincia a riempire della sua scrit
93
100. tura robusta i cartigli che Renata gli
taglia « in liste... stese sul tappeto della
stanza attigua, al lume d’una lampada
bassa », mentre « il fruscio regolare della
carta » evoca al poeta « quello della ri
sacca a piè delle tamerici e dei ginepri
riarsi dal libeccio ». «Sollevo leggermente
le ginocchia per dare inclinazione alla ta
voletta che v’è posata. — Scrivo sopra
una stretta lista.... che contiene una riga.
Ho tra le dita un lapis scorrevole. Il pol
lice e il medio della mano destra, pog
giati sugli orli della lista, la fanno scor
rere via via che la parola è scritta. Sento
con l’ultima falange del mignolo destro
l’orlo di sotto e me ne servo come d’una
guida per conservare la dirittura ».
Così finalmente può liberare il suo
pensiero che si torturava nella clausura,
ed esprimere le visioni che gli s’accendono
nel fondo dell’occhio ferito, con un’eccita
zione nervosa a cui concorre la ferita stessa.
94
101. La cura sopportata con la pazienza di
uno stilita par che giovi all’occhio ; ma
appena egli — che a volte ha impeti
di ribellione in cui vorrebbe strapparsi
le bende e saltare a terra — tenta
di alleggerirne i divieti, sul principio di
aprile, il regime deve essere rincrudelito;
le forze non sono più adeguate alla sop
portazione: l’esaurimento nervoso minac
cia la vita del poeta. Allora, dopo il cin
que maggio (l’anniversario dei Mille inon
da di nuovo di rimpianti e d’auguri la
« Casetta Rossa ») si chiama per un nuo
vo consulto il Cirincione dell’Università
di Roma : la diagnosi conferma la gravità
della ferita (« inferto ematico sottocoroi-
dale sollevante insieme corolla e rètina »)
e la scienza rimprovera al malato le brevi
fughe dei giorni trascorsi, quando egli si
faceva condurre di soppiatto per qualche
ora in uno dei più bei giardini della Giu-
decca, a respirare se non a contemplare il
95
102. verde e l’azzurro : tuttavia i medici gli con
sentono che si rimetta in piedi: soltanto
dovrà camminare lento, cauto, con la fac
cia sollevata come i ciechi : e soltanto di
sera potrà tentare i primi passi all’aperto.
In queste contingenze gli viene offerta
una seconda volta la consegna della sua
medaglia d’argento: ostinato egli rifiuta
ancora: non la vuol ricevere se non in
arsenale, appena guarito, e pronto ai voli
nuovi : da vivo, non da morto : par che
si sforzi di porsi davanti una mèta.
E continuano le visite, i telegrammi :
gli amici di Francia gli mandano in aprile
lo scienzato Laudolt, che rechi notizie
dirette : quegli non sa se stupirsi più della
gravità dello « scollamento della rètina »
o della pazienza delle otto settimane di
immobilità, ammirevole per un tempera
mento così irrequieto e avido. E il D ’An
nunzio può annunciare questa visita al
Capus con una lettera di suo pugno.
96
103. Nel maggio, l’anniversario della guerra
riaccende intorno al poeta l’attenzione
e la speranza degli spiriti più colti :
innumerevoli i messaggi : caratteristiche
alcune ambascerie come quella dei rap
presentanti della Scuola Italiana : egli
approfitta d’ogni occasione per svolgere
almeno il suo apostolato di fede e di
forza: ridimostra l’inevitabilità dell’inter
vento, rievoca la battaglia civile da Ge
nova a Roma, chiama quei giorni, i più
belli della sua vita: — i giornali diffon
dono il seme della sua parola.
Ma ecco, scoppia l’offensiva austriaca
nel Trentino: i Tedeschi irrompono oltre le
nostre linee; l’esercito s’accavalla in on
date contro la minaccia : il Cadorna fa in
poche ore balzare in piedi un esercito im
provviso, manovra per la controffensiva, ri
caccia su per le gole l’Austriaco: — la
marea degli elmetti grigi, fiottando di
baionette, refluisce sulle linee del Carso,
7
97
104. e, come in una vasta ondata di risuc
chio, passa l’Isonzo, circonda Gorizia, la
scrolla: Gorizia è presa.
Dalla fine di maggio ai primi d’agosto
il patimento del poeta per la sua immobi
lità diventa insopportabile : le nostre trin
cee finalmente avanzano: l’esercito cam
mina: avvenimenti forse decisivi, sono
prossimi ; ed egli non può che aspettare
le notizie : è un escluso : « Le giornate di
Santa Gorizia mutarono ogni ansia ed ogni
impazienza in una disperazione risoluta».
— « Seppi allora quel che significassero
le parole di Michelangelo: « Non nasce
in me pensiero che non vi sia dentro
scolpita la morte ».
Certo l’Italia ha perduto in quei mesi
molta luce di bellezza eroica per l’assenza
del poeta dalla fronte.
Sarà la prima e l’ultima volta.
Ormai tutto fa sperare che la condanna
sia scontata. Sulla fine di giugno, Mau
98
105. rice Barrés pubblica a Parigi la narra
zione d’una visita al D’Annunzio, che
rincora: ha assistito col poeta ai con
certi della «Casetta Rossa », tenuti da ar
tisti in grigio-verde; l’ha accompagnato
in una passeggiata romantica nel cuore
notturno di Venezia, fra le tenebre e
i lumini azzurri: i grossi occhiali neri,
il corpo perduto nel largo mantello d’uf
ficiale, il volto e le mani smagrite dalla
sofferenza, ma la parola sempre più fiera
e vigorosa e colorita: egli è ancora, pur
così logorato, l’animatore della nazione,
colui che « ha precipitato » il destino, «a
grandi colpi di discorsi-odi»; colui che ha
battuto il partito dello straniero, incalzan
dolo da Genova a Roma.
A questi riconoscimenti s’aggiunge una
gioia intima: la Renata del «Notturno»
che gli agitava l’anima di dolcezza quando
il mattino leggeva a lui cieco i cartigli
che egli aveva scritti nella notte, quella
99
106. che riempie le pagine del martirio d’una
commozione pura e umana quale il D ’An
nunzio non rivelò mai così semplice, si
sposa con il Tenente di Vascello Silvio
Montanarella.
E’ il segno della liberazione ? La cu
stode ferrea e delicata dei divieti si ritira,
perchè i divieti non han più valore?
Il 18 d’agosto infatti Gabriele D’An
nunzio, in piedi, all’aperto, parla: il suo
occhio può resistere al tremito metallico
della sua parola scandita : egli porge il sa
luto dei camerati superstiti a un caduto:
all’aviatore francese Jean Ronher: è il
canto della bella morte, cantato da lui
che la morte non volle prendere ; l’inno
al sorriso latino della Francia, che san
guina sotto il furore tedesco.
E allora tutte le città d’Italia gli chie
dono la parola che è alimento : egli
promette; promette a Roma l’orazione
inaugurale dell’ esposizione garibaldina :
100
107. « mostrare al popolo le sublimi reli
quie è accendere nel paese un focolare
di eroismo » ; promette a Genova l’ora
zione per Nazario Sauro, che ha cono
sciuto ed amato e per cui ha tanto tre
mato d’angoscia.
Ma non manterrà: l’azione lo ripren
derà tutto fra poco.
Egli si riavvicina alla fronte: a Venezia si
incontra col ministro Scialoia, rievoca le glo
rie aviatorie dell’Italia e s’accende: a Capo
d’istria visita la vedova del martire, rie
voca l’Eroe profondamente amico e si
sublima nella aspirazione ad eguagliarlo...
E’ alle soglie della vita nuova.
Le varca.
101
111. « La data della mia rinascita è il 13
settembre 1916 ».
Egli era guarito, di certo ; ma non
ostante sette mesi di crucciosa inerzia il
« visus » dell’occhio destro era abolito,
« in modo assoluto e permanente >.
E di più una predizione infausta : se vo
lerà a grande altezza, o gli sbalzi di pres
sione, o i sussulti e i tremiti della mac
china gli riapriranno la ferita : e questa
volta soffrirà e poi se n’andrà anche roc
chio sano : sarà la cecità totale.
Egli assume sopra di sè la responsabi
lità, e rivola.
In un’azione in grande stile, un’incur
sione di idrovolanti su Parenzo, riprova
il suo sangue freddo ; ma per fortuna non
105
112. risente nè delle vibrazioni del motore, nè
del sobbalzar del velivolo in acqua.
« O giornate di Parenzo, pomeriggio
di settembre torbo e chiaro, con qual
segno ti segnerò nella mia tavola votiva?
Conducevo il secondo gruppo dei bom
bardieri navali: Luigi Bologna, che era
di nuovo il mio pilota, conosceva la mia
prova, e la secondava maschiamente, con
un cuore senza fenditure. Il bordo della
carlinga sulla mia destra, era libero a di
segno. Avevo preso tra le mie gambe
una giunta di quattro bombe in gabbia,
da lanciare a mano ; e avevo messo con
tro l’altimetro il pronostico della cecità
subitànea.
« A partire dai duemila metri di quota
feci alternativamente l’osservazione oftal
mica e la fumata per tenere il gruppo
riunito dietro la mia fiamma blu.
« A tremila metri il monòcolo vedeva.
A tremila e duecento metri vedeva. A
106
113. tremila e quattrocento vedeva, « pur con
l’uno ».
« Il pilota si voltava a un tratto verso
di me con un cenno; con un cenno gli
davo il risultato dell’osservazione. Dialogo
indimenticabile dell’amicizia guerriera nella
grande altezza »...
Giunto al punto d’attacco « Luigi Bo
logna calò a milleseicento metri... Nel
brusco cangiamento di pressione, vedevo
ancora». Il poeta si sentiva così lieto,
che lassù « avrebbe potuto cogliere una
stella dell’empireo » e giù al ritorno, gli
parve che i compagni aspettanti, nel sol
levarlo sopra le loro spalle, lo « esaltas
sero alla cima della loro gioventù ».
Riaperta la strada al suo ardimento,
sùbito lo riprese la foga dell’animatore,
l’avidità del combattente: come può an
dare all’inaugurazione della mostra gari
baldina, che egli vorrebbe tenuta nel ri
scattato Palazzo Venezia ? Si prepara
107
114. l’offensiva del Carso : meglio oprare che
parlare : manda il manoscritto de « La
notte di Caprera » chiuso nel fermo di
sicurezza di una delle bombe di Parenzo :
ricorda, come per incitamento a se stesso,
la sua invitta ostinatezza contro l’Austriaco,
e la spada senza elsa donata da Trieste
a quel Menotti che un giorno egli ha por
tato morto sulla sua spalla : quella spada
vorrebbe recare al Cadorna egli stesso.
Ogni suo gesto, ogni sua parola ha
una vibrazione bellica.
Al padre del Miraglia, celebrato a Na
poli in memoria dell’eroe, telegrafa: « Egli
è qui con me al suo posto di combat
tente » ; al Generale Gandolfo, promosso
per le prove del San Michele, manda una
copia delle orazioni « Per la più grande
Italia » ; agli studenti di Busto Arsizio,
che gli chiedono di intitolare a lui il loro
Convitto, risponde che ha gioia dell’atto
sol perchè l’annuncio gli giunge in trincea.
108
115. Par proprio ch’egli voglia riscattare i
suoi mesi di inerzia.
E siamo giunti infatti al periodo delle
sue prodezze più belle, tra la fine d’ot
tobre e il principio di novembre : « le
giornate del Vallone, di Doberdò, Quota
265, del Veliki, del Faiti ».
Per evitare il disagio della benda « fa
stidiosissima nel servizio aereo », si era
voluto per qualche mese tenere alla terra :
accolto come tenente di complemento in
servizio di collegamento nella 111 Armata,
era stato assegnato alla 45a divisione :
l’esercito preparava l’azione : egli prepa
rava se stesso : e non era facile ! la
virtù visiva sregolata, non misurava più
le distanze : le ineguaglianze ed asprez
ze del terreno carsico moltiplicavano
la gravità del difetto : quando correva
erano continui inciampiconi e cadute da
cui si rialzava sanguinante, rimpiangendo
le ali : « senz’ali non può ».
109
116. Nacque allora, dal suo tormento e dalla
costrizione del suo pensiero, quel « me
moriale » a Luigi Cadorna, nel quale, con
entusiasmo di poeta fecondato da una si
cura preveggenza pratica, egli, primo, det
tava le norme per la tattica di azioni com
binate tra squadriglie di aerei e battaglioni
di fanti : azioni che poi vennero in realtà
condotte con straordinari effetti ; egli non
soltanto seppe allora immaginare una bat
taglia che a un poeta poteva rammentare
la lotta degli arcangeli che nei poemi
classici sorvola,, incitando e aiutando, la
battaglia degli uomini, — ma precisò di
simile sforzo i piani, e contribuì poi ad
attuarli con sorprendenti doti di soldato.
In quei giorni di preparazione conobbe
il suo ardimento la punta del saliente o-
rientale della 111 armata (San Giovanni,
Quota 28). Ma il suo eroismo si affermò
nelle giornate del Veliki Kribach e del
Faiti Krib.
HO
117. Nella prima fase in cui l’esercito pal
pava il terreno dell’azione, egli, acuendo
la vista con uno sforzo della volontà,
si cacciava sempre in prima linea, per o-
rientarsi sulla natura dei luoghi e sugli
scopi del combattimento ; riportava dati
precisi, vedute tattiche geniali ; e frattanto
incuorava i soldati che erano orgogliosi
e rassicurati di quel vederselo sempre ac
canto operoso, scoperto, intrepido : in una
dolina avanzata parlò ai difensori sotto il
tiro, a pochi passi dal nemico : e i sol
dati ne furono tanto commossi, che bat
tezzarono la dolina col suo nome.
Ma quando l’assalto scoppiò con il ro
vinoso impeto d’una bordata di proiettili,
egli fu tra i soldati a gomito a gomito,
con calma, con sprezzo del pericolo, li
incitò, li sospinse : distribuiva, ritto in
mezzo a loro, parole che mordevano il
cuore, e bandiere che subito sventolavano
sopra la rapina dell’assalto.
i l i
118. Furono le giornate del 10-13 ottobre;
poi del 1-3 novembre : indescrivibili ; egli
ne uscì promosso capitano per merito di
guerra, e proposto per una nuova me
daglia d’argento ; ma ne ebbe premio più
grande : tre prose eroiche composte in
esaltazione del suo valore da quel Gio
vanni Randaccio che fu maestro di ardi
mento ai più prodi : il fante dei fanti. Fe
rito al Faiti e portato all’ospedale da cam
po 031, il Randaccio, il 7 novembre, chiese
un foglio : non c’era : trasse dalle tasche
della sua giubba la carta topografica che
gli era servita per dirigere la battaglia, e
scrisse sul rovescio i tre inni in prosa che
piacquero al poeta più d’ogni altro onore.
11 D ’Annunzio stesso ha dipinta quella
battaglia come in un affresco nell’orazione
« La corona del Fante » rivolta nel 1917
ai suoi compagni superstiti : Ai lupi della
Brigata Toscana: 70° Reggimento, se
condo Battaglione.
112
119. « Era la ferie d’Ognissanti... Una bat
taglia d’oro in una luce d’Oriente... certo,
tutti i santi della Patria avevano gettato
le loro aureole in quel punto dell’aria dove
i soldati balzavano all’assalto. Non s’era
mai veduto tanto rilucere gli uomini, tanto
le cose rilucere. 11 sole s’avanzava come
una trasfigurazione... la dolina... la bocca
della caverna... lo zaino di tela sulla schiena
dei fanti... le croci d’abete splendevano,
le barèlle splendevano, e i dischi della
conquista splendevano come ostensorii. E
più di tutto splendeva il sangue... Le gra
nate talvolta avevano un suono chiaro di
grandi cimbali percossi. Pareva che anche
gli scoppi si dorassero. Erano talvolta co
me potenti battute di timpano nell’oro...
Gli assalitori cantavano... I Fanti morde
vano l’azzurro. La luce moltiplicava d’at
timo in attimo l’impeto. L’impeto era una
ascensione celeste. La forza rimbalzava
dalla morte... Bastarono cinquanta minuti
113
120. di ebbrezza. A mezzogiorno il Veliki era
nostro. I prigionieri balbettavano : « Co-
m’è possibile »...
« Si rinnovava il portento del Sabo
tino... Come la gran lena della nostra vit
toria superò la groppa feroce precipitan
dosi giù per i rovesci, così abbandonò
essa dietro di sè il Veliki ignudo e deserto
per correre più oltre ».
Il D ’Annunzio ch’è rimasto sempre in
piedi tra i fanti, seguendo l’assalto nel
suo vortice progressivo, ha data una ben
chiara prova di giovinezza.
Con i compagni ufficiali partecipa al
consiglio di guerra, tenuto dopo il primo
assalto vittorioso in una caverna : « acco
sciati sul sasso nella cripta selvaggia, la
bandiera spiegata sulle nostre ginocchia...
un solo mozzicone di candela ardeva a
terra... Coi guizzi e colle ombre serviva
a rendere piò crudo, fra mento e fronte,
l’intaglio del proposito in quei volti os
suti. Quando si spense, ciascuno ebbe la
114
121. sua luce in sè. Tutti balzammo in piedi,
primo Giovanni Randaccio ».
E mossero alla conquista del Faiti.
Una granata scoppia presso il poeta e
lo ricopre di schegge ricadenti : il Ran
daccio ordina a un fante che ne stacchi
con la baionetta l’armilla di rame : « ne
faremo una corona per il nostro compa
gno ».
« Di quella baionetta fu irto l’estremo
saliente del nostro sforzo orientale tra Ca
stagnevizza e il Vipacco ».
Il 3 novembre il Comandante detta alle
truppe il suo Ordine del giorno conclu
sivo dell’azione : « Ufficiali, graduati e sol
dati del secondo battaglione, siete tutti
eroi ».
Si può ben dire che mai come questa
volta la Poesia s’è tramutata in prodezza
in chi l’ha creata e in chi l’ha ricevuta.
La medaglia d’argento è consegnata al
D ’Annunzio il 5 dicembre ; la motivazione
115
122. dice : « Entusiasta e ardito in ogni suo
atto, l’esempio dato fu pari alla parola e
gli effetti efficaci e completi » : nella rozza
sintassi soldatesca, l’eroismo raggia più
schietto.
Una pausa : non un vuoto.
Il 21 dicembre il poeta è a Venezia,
per le onoranze al Miraglia ; a metà gen
naio, nei giorni in cui Milano si riesalta
a udire la sua « Preghiera per i cittadini »,
— il colonnello De Gròndrecourt conse
gna al capitano D ’Annunzio, decorato e
mutilato, la croce di guerra francese, e il
Generale Lyautey accompagna l’offerta
con una lettera da Roma « al grande I-
taliano che predicò una guerra santa dal
l’alto del Campidoglio... incitò l’eroica le
vata degli scudi latini... scelse per l’inces
sante battaglia l’arma più audace e più
rischiosa ».
Il poeta risponde in una concisa ora
zione, che l’onorificenza gli è il segno più
116
123. ambito da un combattente, perchè « è
quello medesimo del quale si fregiano i
petti che sulla Marna miracolosa e nei
carnai sublimi di Verdun hanno salvato il
volto del mondo ».
Ma ecco un dolore.
Il 27 gennaio 1917 la madre del poeta
si diparte da lui : a 77 anni muore tra le
braccia delle figlie e della vecchia ancella,
in quella Pescara dov’era venuta sposa a
18 anni, in quella casa dove i Pescaresi
l’avevan veduta per anni ogni mattina,
starsi un poco affacciata al balcone tra i
garofani e i gerani e rispondere dalla rin
ghiera di ferro ai saluti dei paesani che
le chiedevano notizie del lontano : il tran
sito di Luisa De Benedictis è come il
transito d’una santa : essa raccoglie nella
pace il premio dell’umiltà con cui ha ri
cevute tante gioie, della fermezza con cui
ha resistito al fendersi della sua casa e
del suo cuore.
117
124. Il poeta che ha dal Cadorna stesso l’an
nuncio, parte per la terra natale ; rivede
la « piccola patria » come l’ha riveduta
nei giorni del commiato : « le mura di
Pescara, l’arco di mattone ; la chiesa scre
polata, la piazza coi suoi alberi patiti,
l’angolo della mia casa negletta » ; entra
come allora : sale le scale in mezzo a un
silenzio che « è pietà e pudore ». Varca
le stanze di soglia in soglia rivivendo
« terribilmente » le cose della sua infanzia.
S’inginocchia davanti alla Morta composta
ormai nel talamo.
I funerali si svolgono tra il compianto
d’un popolo, il primo di febbraio : il poeta
se ne accora e turba : lo prende la febbre ;
migliora : riparte per il fronte.
Grandi eventi incalzano : l’America s’a
gita : basta forse di note alla Germania :
il lievito degli ideali gonfia e tende quella
volontà, che pare così lenta a muoversi:
si avvicina anche per gli Stati Uniti l’ora
dell’azione ?
118
125. 11 tre di aprile il poeta, unica voce
che sappia levarsi, in Europa, non già
nel nome della politica gretta, o di una
rettorica inerte, ma per il sentimento
profondo delle più alte verità, getta il
suo Messaggio agli Americani per l’in
tervento :
« Oggi per l’anima d’Italia il Campi
doglio di Washington è divenuto un luogo
eccelso di luce come l’arce romana... E
sembra che in questo aprile di passione
e di tempesta riecheggi il grido di un A-
prile già torbido di allegrezza e di cor
doglio nella storia degli stati : « O capi
tano ! O mio capitano ! Sorgi ed ascolta
il rombo dei bronzi. Lèvati ! Per te la
bandiera sventola ».
« L’Associated Press » diffonde il mes
saggio tradotto in tutta l’America : « Ora
la bellezza precipita e trabocca sul mondo
come un torrente di maggio. Non abbiamo
petti abbastanza capaci per raccoglierla e
119
126. contenerla ». « 11 gran popolo della ban
diera stellata, alzandosi in piedi per di
fendere lo spirito eterno dell’uomo, oggi
aumenta a dismisura questa somma di
bellezza opposta al furore e al fragore
della barbarie ». Il 6 aprile, Woodrow
Wilson dichiara formalmente lo stato di
guerra e mobilita la flotta : « Eravate una
massa enorme e ottusa di ricchezza e di
potenza. Ed ecco vi trasfigurate in spiri
tualità ardente e operante ».
La fatica dell’animatore non ostacola
quella del combattente.
E’ del 13 aprile l’incursione navale su
Pola alla quale egli partecipa, con i pic
coli motoscafi costruiti apposta per sca
valcare le ostruzioni senza far scoppiare
gli ordegni in agguato.
Alla fine dello stesso mese riprende i
suoi voli, ed è assegnato a una squa
driglia di bombardamento. Intanto in Paese
i suoi versi sono ancora dovunque ripe
120
127. tuti a incitare e incuorare : a Milano li
legge, in una memorabile sera, Senatore
Borletti, colui che affiancherà così gene
rosamente il poeta nell’impresa di Fiume.
E si avvicina il secondo anniversario
della guerra : non trova come il primo il
poeta riverso in un letto come in una
bara : lo trova in piedi, armato di ardi
menti nuovi e di antica costanza.
Già il 23 maggio egli prende parte al
bombardamento dall’alto in appoggio alle
truppe della Terza Armata.
L’azione aerea è stata da lui propu
gnata, egli stesso l’ha preparata con lun
ghe e numerose incursioni di osservazione :
appena si scatena la potente offensiva da
Castagnevizza al mare, che sbalordì il
nemico, prendendogli nel primo solo sbalzo
novemila prigionieri, è lui ad animare la
pertinacia dei 130 velivoli che rovesciano
sugli Austriaci 10.000 chilogrammi di
bombe.
121