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Le incursioni della BCE sul mercato del lavoro italiano. Contrattazione aziendale, salari e produttività in ambiente euro
1
Articolo pubblicato su
- Economia e Politica - http://www.economiaepolitica.it - ISSN 2281-5260
Titolo: Le incursioni della BCE sul mercato del lavoro italiano. Contrattazione azien-
dale, salari e produttività in ambiente euro
Autore: Massimo Resce
Testo chiuso il: 27/10/2016
Pubblicato il: 13/12/2016
Abstract (IT) Negli ultimi anni la BCE ha cercato di sollecitare riforme del mercato del lavoro in
Italia, tra queste anche un maggiore utilizzo della contrattazione a livello di impresa.
La finalità è contenere la crescita dei salari e permettere una maggiore crescita della
produttività. Non ha tenuto conto, però, dell’andamento delle variabili reali. Dopo
l’adozione dell’euro, infatti, la crescita dei salari reali è stata più bassa della crescita
della produttività. Inoltre, il sistema di incentivi attuale, che detassa i premi di produt-
tività tramite la contrattazione decentrata, sembra aver aumentato il dualismo territo-
riale Nord-Sud.
Abstract (EN) In the last years, the ECB has tried to encourage reforms of the Italy's labour market
including the increasing use of bargaining at the enterprise level. The aim is to con-
tain the growth of wages and to permit higher productivity growth. However, the
ECB did not take into consideration the changes in the real variables. In fact after the
euro's adoption, the growth of real wages was lower than the productivity growth.
Furthermore, the current incentives system for the decentralized bargaining, that
provides a tax benefit on productivity bonuses, seems to increase the territorial dua-
lism North-South.
Indice
LE INCURSIONI DELLA BCE SUL MERCATO DEL LAVORO ITALIANO. CONTRATTAZIONE AZIENDALE, SALARI E
PRODUTTIVITÀ IN AMBIENTE EURO ........................................................................................................................... 2
1.1 LE SOLLECITAZIONI DELLA BCE SULLA CONTRATTAZIONE A LIVELLO DI IMPRESA.......................................................................2
1.2 LE DINAMICHE DELLA PRODUTTIVITÀ E DEI SALARI NELL’EUROZONA .....................................................................................4
1.3 LE DINAMICHE IN ITALIA ED I PRIMI INTERVENTI PER LA CRESCITA DELLA PRODUTTIVITÀ: IL DUALISMO TERRITORIALE ......................6
BIBLIOGRAFIA............................................................................................................................................................. 9
Indice delle figure
FIGURA 1 ANDAMENTI DELLE RETRIBUZIONI E DELLA PRODUTTIVITÀ EVIDENZIATI DALLA BCE.............................................................3
FIGURA 2 PROBLEMI SULLA REDDITIVITÀ EVIDENZIATI DALLA BCE ................................................................................................4
FIGURA 3 GAP TRA TASSI MEDI DI CRESCITA DELLA PRODUTTIVITÀ E DEI SALARI IN AREA EURO (1998-2014) .......................................5
FIGURA 4 CRESCITA DELLA PRODUTTIVITÀ TOTALE DEI FATTORI IN ALCUNI PAESI DELL’EUROZONA.......................................................6
FIGURA 5 VARIAZIONI CUMULATE SALARIO NOMINALE E REALE E DELLA PRODUTTIVITÀ REALE IN ITALIA (1998-2014)...........................6
FIGURA 6 PREMI DI PRODUTTIVITÀ - I PRIMI CONTRATTI DEPOSITATI (CONTRATTI/OCCUPATI PER REGIONE)..........................................8
FIGURA 7 PRODUTTIVITÀ DEL LAVORO NEL SETTORE MANIFATTURIERO (2000-2013) .....................................................................9
Le incursioni della BCE sul mercato del lavoro italiano. Contrattazione aziendale, salari e produttività in ambiente euro
2
Le incursioni della BCE sul mercato del lavoro italiano. Contratta-
zione aziendale, salari e produttività in ambiente euro
1.1 Le sollecitazioni della BCE sulla contrattazione a livello di impresa
Il ruolo della Banca Centrale Europea è di fondamentale importanza poiché rappresenta l’autorità di ge-
stione della politica monetaria dell’area Euro. I 19 paesi che vi hanno aderito, infatti, hanno rinunciato alla
propria sovranità monetaria cedendo a livello centrale una importante leva di politica economica. L’Italia,
ad esempio, nelle fasi di crisi economica ha spesso utilizzato la svalutazione della lira per incrementare le
esportazioni e consolidare l’economia del Paese (per questo definita “svalutazione competitiva”). Con
l’introduzione dell’euro questo non è più possibile e, oggi, siamo accomunati in un'unica politica moneta-
ria, non differenziata per Stato, che prevede interventi rispondenti alle esigenze di area piuttosto che a
quelle di singolo Paese.
In questi anni di crisi uno dei principali problemi è la contenuta crescita dei PIL spesso accompagnata da
deflazione. La situazione dell’Italia, fotografata negli ultimi rapporti, mette in evidenza una ripresa che
stenta a decollare con molti indicatori ancora negativi. E’ una situazione di stallo dalla quale è difficile usci-
re, poiché i margini di intervento basati su un incremento della spesa pubblica sono risicati (considerati i
vincoli imposti per il contenimento del deficit pubblico) ed i pacchetti di politica monetaria sembrano in-
sufficienti a stimolare la ripresa nell’Eurozona.
Per questo motivo la BCE, pur conservando come obiettivo principale la stabilità dei prezzi nell’area
dell’euro e la difesa del potere di acquisto della moneta unica, ha iniziato ad indicare direttamente agli Stati
le riforme e gli interventi necessari da adottare, travalicando il dominio tradizionale delle politiche moneta-
rie, in una visione in cui il contenimento della spesa pubblica ed il recupero della competitività sembrano
rivestire una valenza sovraordinata rispetto alle problematiche socio-occupazionali.
Già nella lettera del 2011 la Banca Centrale segnalava all’Italia, oltre alla necessità di un mercato del lavoro
più flessibile in entrata e in uscita di cui si è ampiamente dibattuto , l’esigenza di “riformare ulteriormente il si-
stema di contrattazione salariale collettiva, permettendo accordi al livello d'impresa in modo da ritagliare i salari e le condi-
zioni di lavoro alle esigenze specifiche delle aziende e rendendo questi accordi più rilevanti rispetto ad altri livelli di negozia-
zione”. Più volte il Governatore ha ribadito la necessità di creare uno stretto legame ex-post tra dinamica
delle retribuzioni reali e produttività del lavoro da realizzare mediante una riforma della contrattazione per
agevolare soprattutto nel secondo livello la costruzione di quei meccanismi di aggiustamento.
Nelle comunicazioni, negli “speeches”, nelle diverse occasioni pubbliche sono continui i richiami sulla ne-
cessità di riformare le relazioni industriali sull’assunto che una contrattazione eccessivamente centralizzata
sia fonte di rigidità che, non tenendo conto delle diverse dinamiche territoriali nel Paese, non consente ra-
pidi adeguamenti dei salari ai prezzi e quindi al potere di acquisto. Pertanto il pushing istituzionale è verso
una maggiore rilevanza della negoziazione decentrata, caratterizzata da maggiore importanza degli accordi
aziendali rispetto ad altri livelli di contrattazione.
Nel DEF 2016 il Governo italiano ha assunto degli impegni di riforma in questa direzione: infatti, “(…) si
concentrerà su una riforma della contrattazione aziendale, con l'obiettivo di rendere esigibili ed efficaci i contratti aziendali e
di garantire la pace sindacale in costanza di contratto (…) e i contratti aziendali potranno altresì prevalere su quelli nazio-
nali in materie legate all'organizzazione del lavoro e della produzione” e nel corso dell’anno già è stato attivato un
primo regime di incentivazione per promuovere la contrattazione decentrata (aziendale e territoriale) e con
essa la produttività.
Il tema della concorrenza tra contrattazione centrale e decentrata è un tema ampio con finalità ed implica-
zioni molteplici ma l’impostazione della BCE nasce da alcune evidenze empiriche . Dall’analisi dei pro-
Nota della BCE a firma M. Draghi e J.C. Trichet del 5 agosto 2011al Primo Ministro italiano (pubblicata dal Corriere della Sera).
Al punto C della nota del 5 agosto si legge: “dovrebbe essere adottata una accurata revisione delle norme che regolano l'assunzione e il licenzia-
mento dei dipendenti, stabilendo un sistema di assicurazione dalla disoccupazione e un insieme di politiche attive per il mercato del lavoro che sia-
no in grado di facilitare la riallocazione delle risorse verso le aziende e verso i settori più competitivi”. Nelle riforme del mercato del lavoro che
sono seguite (Legge Fornero e Jobs Act) si è assunto che il mercato del lavoro italiano fosse iper-protetto. La questione è stata ampiamente dibat-
tuta poichè l’indicatore generale di protezione dei lavoratori misurato dall’OCSE non evidenzia questa caretteristica, si veda anche “La favola dei
superprotetti. Flessibilità del lavoro, dualismo e occupazione in Italia” di Riccardo Realfonzo su Economi&Politica del 26 settembre 2014.
Relazione M. Draghi alla Conferenza dei Capi di Stato e di Governo dei 27 Paesi dell’Unione Europea (14 e 15 marzo 2013).
ECB, “Euro area economic situation and the foundations for growth”, Presentation by Mario Draghi, President of the European Central Bank
at the Euro Summit, Brussels, 14 March 2013.
Le incursioni della BCE sul mercato del lavoro italiano. Contrattazione aziendale, salari e produttività in ambiente euro
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blemi della competitività, infatti, emergono profonde differenze strutturali tra i paesi che presentavano un
deficit già nella fase pre-crisi (2007) da quelli, invece, caratterizzati da un surplus di bilancio .
In particolare per l’Italia si osserva che la forbice tra l’andamento delle retribuzioni e quello della produtti-
vità del lavoro si è andato sempre più ampliando. In realtà, oltre al picco della crisi collocabile nel 2009, il
processo sembra iniziato dall’entrata in vigore dell’euro. Per la Germania, invece, il divario inizia a presen-
tarsi solo dopo la crisi (v. Figura 1).
Figura 1 Andamenti delle retribuzioni e della produttività evidenziati dalla BCE
Fonte: ECB, “Euro area economic situation and the foundations for growth” 2013
La rigidità dei salari viene considerata quale elemento alla base dei problemi della redditività. Come dimo-
strano le curve dei margini di profitto la crisi ha esasperato delle tendenze negative già in atto per i paesi
con deficit.
La stessa occupazione presenta andamenti diversificati tra i due gruppi di paesi (in surplus o in deficit), men-
tre la curva delle retribuzioni contrattuali invece presenta lo stesso andamento se non addirittura una di-
namica più sostenuta per i paesi in deficit (v. Figura 2).
Queste evidenze rappresentano alcuni degli elementi che hanno indotto la BCE ad intervenire più volte
nel sollecitare una maggiore flessibilità della contrattazione, privilegiando il secondo livello piuttosto che
quello centrale, al fine di garantire soluzioni più adeguate alle dinamiche aziendali.
Sostanzialmente si assume che la moderazione delle politiche salariali dovrebbe generare crescita tramite
l’abbattimento dei costi di produzione, perché garantirebbe una maggiore competitività dei prezzi nelle
esportazioni. Inoltre, il consequenziale contenimento dell’inflazione dovrebbe far crescere i consumi quin-
di la domanda interna. D’altro canto l’incremento della produttività dovrebbe incidere sul contenimento
dei prezzi e sull’incremento della competitività con il conseguente aumento delle esportazioni.
"External surplus/deficit" gruppo con bilancio corrente avanzo/disavanzo nel 2007 (l'ultimo anno pre-crisi). Paesi in blu – surplus; paesi in ros-
so - defict.
Le incursioni della BCE sul mercato del lavoro italiano. Contrattazione aziendale, salari e produttività in ambiente euro
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Figura 2 Problemi sulla redditività evidenziati dalla BCE
Fonte: ECB, “Euro area economic situation and the foundations for growth” 2013
1.2 Le dinamiche della produttività e dei salari nell’Eurozona
Le teorie economiche vogliono una crescita dei salari proporzionale alla crescita della produttività al fine di
garantire le condizioni di uno sviluppo equilibrato che non danneggi né i lavoratori né le imprese, quindi
né i consumi né i profitti. L’analisi della BCE nel misurare l’andamento delle due variabili si fonda, però,
sulle retribuzioni “nominali”. In realtà, per epurare i fenomeni economici dalle variazioni di prezzo nel
tempo si utilizzano le grandezze “reali” , definite in questo modo perché permettono di riconoscere
l’andamento effettivo di una variabile. L’analisi delle dinamiche di crescita delle due tipologie di variabili
potrebbero condurre a risultati dissimili.
Vari autori hanno già evidenziato il contrasto tra una regola definita “di piombo” seguita dalla BCE, che
prende in considerazione i salari nominali, rispetto alla “regola d’oro” che prende in considerazione i salari
reali e vuole che crescano nella stessa misura della produttività .
Se si considera il periodo che va dal 1998, anno antecedente all’introduzione dell’euro, al 201410
, le dina-
miche delle variabili nominali e reali risultano molto differenziate, soprattutto per l’Italia. Infatti, per quan-
to concerne le grandezze nominali l’Italia presenta una crescita leggermente più sostenuta del salario ri-
spetto a quella della produttività. In particolare i salari nominali sono cresciuti mediamente del 2,29%
mentre la produttività nominale è cresciuta del 2,22%. Solo la Finlandia presenta un andamento simile.
Tutti gli altri Stati evidenziano, viceversa, una crescita della produttività maggiore dei salari. Nel momento
in cui si considerano, invece, le variabili reali lo scenario muta significativamente. Infatti, nel nostro Paese
la produttività reale è cresciuta più del doppio dei salari reali (+0,25%; +0,13%), con gli andamenti più
contenuti di tutta l’area Euro. Per quanto riguarda i salari reali solo la Grecia e la Spagna presentano una
Una grandezza si dice nominale quando è misurata a prezzi correnti, cioè ai prezzi del periodo cui si riferisce, mentre si dice reale, invece, quan-
do è misurata a prezzi costanti, in questo caso sono stati presi in considerazione quelli del 2014.
Cfr. Andrew Watt sul Social Europe Journal (http://www.social-europe.eu/2013/03/more-on-wage-policy-a-la-draghi-share-and-share-alike/)
Si veda Paolo Pini in diversi articoli: “Salari, produttività e la regola di piombo della BCE” (Quaderno DEM 10/2013); “La regola di piombo sui
salari di Mario Draghi (Keynesblog, 4 aprile 2013), etc. .
In questo modo si determinerebbe la costanza delle quote distributive del lavoro e del capitale nel reddito (legge di Bowley) presupposto di una
crescita bilanciata, caratterizzata da miglioramento della produttività e crescita dei consumi.
Si tenga presente che l’entrata nell’area Euro è stata progressiva (prima come unità di conto virtuale e poi reale) e non è avvenuta per tutti i pae-
si contemporaneamente, per la maggior parte dei Paesi è avvenuta nel 1999 (Austria, Belgio, Finlandia, Francia, Germania, Irlanda, Italia, Lussem-
burgo, Paesi Bassi, Portogallo e Spagna).
Le incursioni della BCE sul mercato del lavoro italiano. Contrattazione aziendale, salari e produttività in ambiente euro
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crescita ancora più contenuta (rispettivamente +0,11% e +0,09%), addirittura il Portogallo presenta una
riduzione (-0.01%). Quindi nei Paesi PIGS, quelli considerati maggiormente deficitari dalla BCE, a discapi-
to delle evidenze nominali è chiara l’assenza di un’adeguata crescita dei salari reali. Si conferma, dunque,
quel dualismo segnalato anche per altre variabili economiche tra Eurozona continentale e quella mediter-
ranea.
Come schema di sintesi riepilogativo sulle velocità di crescita delle variabili nominali e reali (v. Figura 3) si
può considerare il gap calcolato quale differenza tra la crescita della produttività (π) e la crescita dei salari
(w). In Italia è chiaro che la dinamica reale è a favore della produttività mentre quella nominale è a favore
dei salari. Dunque, la BCE spinge per una contrattazione a livello di impresa per rendere più flessibile la
determinazione dei salari ed un loro contenimento in fase di crisi perché il suo punto di osservazione è
quello del salario nominale. In realtà il salario reale non è cresciuto così tanto, anzi è cresciuto meno della
produttività, per cui se si vuole sostenere l’opzione della contrattazione di secondo livello per una modera-
zione della crescita salariale occorrono altre motivazioni.
Figura 3 Gap tra tassi medi di crescita della produttività e dei salari in area Euro (1998-2014)
Fonte: Elaborazioni ISFOL su dati OCSE
La crescita della produttività dipende da vari fattori. Una recente relazione della Commissione Europea
ne evidenzia diversi. In primo luogo la produttività totale dei fattori è diminuita in Italia mentre è aumen-
tata o è rimasta sostanzialmente stabile negli altri grandi paesi della zona Euro. Quella del lavoro ha regi-
strato dinamiche settoriali diverse con una decrescita della produttività nel “commercio ingrosso e detta-
glio” e nelle “attività professionali”; per gli altri comparti la crescita comunque è stata inferiore a quella
degli altri paesi dell’Eurozona, tra i comparti più colpiti il “manifatturiero”.
Diversi sono i fattori tradizionalmente presi in considerazione per motivare la crescita della produttività
(come le variabili sulla dimensione di impresa, quelle tecnologiche, demografiche, istituzionali, etc.). In
realtà, anche l’adozione di una moneta unica e la cessione di sovranità sulla politica monetaria sembra aver
avuto un impatto sulla dinamica della produttività negli ultimi anni. Osservando la Figura 4 è evidente una
convergenza delle crescite delle produttività di alcuni paesi prima dell’adozione dell’euro, avvenuto per step
dal 1999 (blocco dei cambi) al 2002 (introduzione della moneta fisica). Successivamente si assiste a percor-
si divergenti tra Paesi continentali (Germania –DE e Francia – FR) e alcuni Paesi mediterranei
dell’Eurozona (Spagna – SP e Italia – IT).
L’introduzione dell’euro sembra costituire per l’Italia un punto di inversione della crescita della produttivi-
tà. Nella fase pre-euro il processo di convergenza è stato garantito, piuttosto che dai parametri di Maastri-
cht, dall’ultima svalutazione competitiva della lira che ha permesso alle imprese esportatrici di essere più
Bruxelles, 26.2.2016 “SWD(2016) 81 final” - Documento di lavoro dei servizi della Commissione - Relazione per paese relativa all'Italia 2016
comprensiva dell'esame approfondito sulla prevenzione e la correzione degli squilibri macroeconomici (§ 2.1).
Le incursioni della BCE sul mercato del lavoro italiano. Contrattazione aziendale, salari e produttività in ambiente euro
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competitive sui mercati internazionali e raggiungere adeguati margini di profitto. Con l’euro, in assenza di
una siffatta politica, uno dei settori che sembra aver maggiormente sofferto è quello manifatturiero.
L’arretramento degli altri settori come il commercio e le professioni può essere spiegato da una caduta del-
la domanda interna non sostenuta da dinamiche salariali reali adeguate.
Figura 4 Crescita della produttività totale dei fattori in alcuni paesi dell’Eurozona
Fonte: Commissione Europea (AMECO)
1.3 Le dinamiche in Italia ed i primi interventi per la crescita della produtti-
vità: il dualismo territoriale
Come si è visto le indicazioni della BCE, che spingono verso una maggiore flessibilità contrattuale a livello
decentrato, nascono da un’osservazione delle curve della produttività e dei salari nominali (v. Figura 1) che
fanno presupporre un pesante scollamento tra le due variabili.
L’analisi delle dinamiche reali mette in evidenza un’evoluzione differente (v. Figura 5).
Figura 5 Variazioni cumulate salario nominale e reale e della produttività reale in Italia (1998-2014)
Fonte: Elaborazioni su dati OCSE
Certamente, dall’entrata in vigore dell’euro i salari nominali sono cresciuti dal ’99 al 2014 del 36,57% men-
tre la produttività è cresciuta solo del 4%. I salari reali, però, hanno registrato una crescita ancora più con-
tenuta rispetto a quella della produttività attestandosi a circa il 2%.
L’andamento delle due curve reali presenta degli scostamenti leggeri con la curva della produttività che ha
sempre dominato quella dei salari tranne nel periodo intorno alla crisi che ha visto un crollo della produt-
tività proprio nel 2009 (con un picco della distanza tra le due curve di 3,85 punti percentuali). La circo-
stanza è riconducibile al così detto fenomeno del “labour hoarding” ovvero la tendenza da parte delle impre-
Le incursioni della BCE sul mercato del lavoro italiano. Contrattazione aziendale, salari e produttività in ambiente euro
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se a trattenere manodopera inutilizzata in tempo di crisi, con una diminuzione della produzione più veloce
della riduzione dell’occupazione.
A partire poi dal 2012 la produttività è tornata ad essere superiore ai salari e nel 2014 segna una distanza
positiva di 2 punti percentuali.
La lettura del grafico ci suggerisce che con l’adozione della moneta unica sembrerebbe che le imprese, per
mantenere la competitività non più garantita dalla svalutazione della lira, abbiano contenuto la crescita dei
salari reali all’interno della crescita della produttività reale.
Lo schema delle relazioni industriali italiano presenta comunque degli aspetti problematici come è stato
ampiamente sostenuto da Tronti che critica il modello negoziale a due livelli istituito con il Protocollo
del 1993 e parla di “legame perverso tra salari e produttività”. In sostanza i contratti collettivi nazionali non re-
munerano gli aumenti di produttività ma si limitano a prevenire la perdita di potere d’acquisto del salario
fondamentale, tramite un ancoraggio all’inflazione programmata. Questa funzione, invece, viene delegata
alla contrattazione decentrata (aziendale e territoriale), che può remunerare incrementi di produttività in
funzione del raggiungimento di risultati di produzione (c.d. salario di risultato). Il problema di fatto, risiede
nella scarsa diffusione della contrattazione di secondo livello: un censimento su questa tipologia di contrat-
ti non esiste e le diverse indagini campionarie condotte indicano una diffusione tra le aziende che si aggira
intorno al 30% . Queste condizioni hanno determinato degli squilibri, per cui si è passati
dall’insostenibilità del modello “scala mobile” ad un'altra condizione insostenibile che tutela eccessivamen-
te i profitti delle imprese. Anche se, in quest’ultimo caso, l’introduzione dell’euro ha attenuato notevol-
mente la capacità di cumulare degli extraprofitti impliciti .
Dal punto di vista delle teorie economiche quello che è mancato nella contrattazione è una previsione di
quote stabili di distribuzione salari-produttività, in modo da consentire all’impresa, in caso di crescita della
produttività, di preservare l’invarianza del costo per unità di prodotto, e di conseguenza la quota del pro-
fitto. Di recente, i nuovi schemi retributivi della contrattazione collettiva stanno ponendo una maggiore
enfasi sul salario di risultato.
Secondo molti, dunque, la negoziazione di secondo livello può esercitare un ruolo determinante nel creare
quegli ambienti aziendali fertili per una crescita della produttività tramite un sistema di premi di risultato e
investimenti sul capitale umano ritenuto alla base della crescita della competitività aziendale. La compo-
nente salariale non assorbe i guadagni di efficienza mentre i premi sono strettamente correlati alla produt-
tività, favorendo maggiormente il processo di ampliamento dei margini di profitto aziendale.
In questa direzione vanno gli incentivi previsti dal Governo nell’ultima legge di stabilità del 2016 ed oggi
esecutivi , che prevedono una tassazione agevolata dei premi di produttività e delle somme erogate sotto
forma di partecipazione agli utili di impresa. La direzione è quella di una valorizzazione della contrattazio-
ne di secondo livello e la previsione di un regime fiscale premiale per un paniere sempre più ampio di ser-
vizi (borse di studio per i figli dei dipendenti, servizi di assistenza ai famigliari anziani, voucher per baby-sitting
o palestra, etc). Tutto ciò è possibile grazie alla stesura di accordi di secondo livello che in questo modo
possono determinare un migliore clima aziendale ed una maggiore fidelizzazione del dipendente.
La procedura di adesione agli incentivi prevede la comunicazione al Ministero del Lavoro degli elementi
della contrattazione decentrata e disciplina i criteri di misurazione degli incrementi di produttività, redditi-
vità, qualità, efficienza ed innovazione ai quali i contratti aziendali o territoriali legano la corresponsione di
premi di risultato. Secondo questa procedura a metà settembre 2016 sono state depositate 15.078 dichiara-
zioni di conformità sui contratti aziendali di secondo livello (v. Figura 6), di cui la gran parte sottoscritti
nel corso del 2015 (11.003) e la rimanete parte nel 2016 (4.075).
Tronti Leonello., Produttività e distribuzione del reddito, in L’italia possibile, Ed. Brioschi (2010) - Produttività del lavoro e crescita: Il ruolo
della distribuzione del reddito e del sistema contrattuale (2008) - A mo’ di conclusione: riforma della contrattazione in tre punti. Economia & La-
voro, XLVII, n.3 (2013) - Produttività, crescita e riforma della contrattazione (2014) – Elementi di analisi macroeconomica delle relazioni indu-
striali. Modello contrattuale, produttività del lavoro e crescita economica (2015).
Diverse fonti: CNEL-ISTAT, Banca d’Italia, ADAPT, OCSEL, Fondazione Di Vittorio.
Già nelle analisi dello stesso Tronti “Produttività del lavoro e crescita. Il ruolo della distribuzione del reddito e del sistema contrattuale”, seppu-
re la motivazione dell’Euro non viene esplicitata, sono evidenti alcune dinamiche: 1) la caduta della quota del reddito da lavoro (rapporto tra la re-
tribuzione del lavoro e la produttività del lavoro) marcata negli anni ’90 si arresta e si stabilizza negli anni 2000 dopo l’entrata nell’Euro e durante
la crisi aumenta per l’effetto del labour hoarding; 2) la crescita delle rendite reali e dell’incidenza delle rendite sul PIL trova un punto di inversione
negli anni 2000.
Art. 1 co. 182-190 della L. 208/2015 (Legge di Stabilità 2016) disciplinati dal Decreto Interministeriale 25 marzo 2016 (pubblicato sulla Gazzet-
ta Ufficiale del 14 maggio 2016) e dalla Circolare 28/E del 15/06/2016 dell’Agenzia delle Entrate.
Le incursioni della BCE sul mercato del lavoro italiano. Contrattazione aziendale, salari e produttività in ambiente euro
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Tra gli obiettivi indicati il 78,3% riguarda la produttività, il 57,7% la redditività, il 41,6% la qualità (è possi-
bile indicare più obiettivi). Il dato, però, più allarmante è la distribuzione territoriale poichè i contratti de-
positati risultano così dislocati: 39,3% Nord-Ovest; 36,9% Nord-Est; 16,5% Centro; Sud 5,6%; Isole
1,7%. Da questa distribuzione è evidente un forte squilibrio geografico: basti pensare che la Lombardia ha
registrato 4.249 contratti mentre la Campania solo 321. Uno dei motivi principali di questo divario risiede
nel fatto che la contrattazione decentrata (aziendale e territoriale) è scarsamente radicata presso le piccole
aziende e più diffusa presso le aziende con più di 500 dipendenti e nel Mezzogiorno il 90% delle aziende
sono appunto di piccole dimensioni. Inoltre, non bisogna sottovalutare la componente di economia som-
mersa che per definizione non intercetta la contrattazione in generale.
Figura 6 Premi di produttività - i primi contratti depositati (contratti/occupati per Regione)
Fonte: Elaborazioni su dati Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali (settembre 2016)
Da questi primi dati forniti dal Ministero del Lavoro, è chiaro che il sistema di incentivi non fa altro che
accentuare un dualismo territoriale già marcato e che caratterizza la crescita delle produttività nelle regioni
italiane. Infatti, se si considera la produttività del settore manifatturiero, nel periodo 2000-2013, è presente
una netta spaccatura territoriale delle performance di crescita (v. Figura 7).
Comparando le dinamiche della crescita del valore aggiunto per ora lavorata e le adesioni al sistema di in-
centivi per la produttività tramite contrattazione decentrata è evidente il processo di divergenza delle re-
gioni del Mezzogiorno, che risulta maggiormente marcato per Calabria, Puglia, Campania, Sardegna e Sici-
lia. Continua, dunque, l’allocazione inefficiente della distribuzione territoriale degli incrementi della pro-
duttività.
Una riforma spinta del sistema delle relazioni industriali a favore di quella decentrata, riconoscendole an-
che la possibilità di fissare salari più bassi, potrebbe generare effetti perversi su queste regioni. Da un lato,
la scarsa copertura della contrattazione aziendale escluderebbe gran parte dei lavoratori dagli incrementi
salariali; dall’altro, in caso di copertura, l’abbassamento dei livelli salariali potrebbe abbattere i consumi del-
le famiglie con un avvitamento al ribasso della crescita economica di questi territori già sofferenti.
Nella generalità dei casi le politiche vengono concepite in maniera unitaria sul territorio nazionale senza
tener conto della dicotomia presente nel Paese per cui rischiano di innescare ulteriori divergenze. La rispo-
sta andrebbe ricercata non solo nelle politiche per il lavoro ma nelle più ampie politiche industriali e di svi-
luppo territoriale. Queste ultime sembrerebbero ormai totalmente delegate ai fondi strutturali e prevalen-
temente realizzate con programmi operativi regionali. Scontano, dunque, problematiche di attuazione pro-
cedurale tipica delle risorse europee e assenza di coordinamento e raccordo con le risorse nazionali come
evidenziato in diverse relazioni della Commissione Europea. Pertanto, le politiche di intervento andrebbe-
Le incursioni della BCE sul mercato del lavoro italiano. Contrattazione aziendale, salari e produttività in ambiente euro
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ro ri-congeniate, partendo dalla consapevolezza di un’economia duale, con una strategia di Paese ed una
dedicata alle aree in ritardo di sviluppo, puntando su di una maggiore integrazione tra le politiche (di svi-
luppo, del mercato del lavoro e del capitale umano) e migliore sinergia tra le diverse autorità di gestione
(europee, nazionali e regionali).
Figura 7 Produttività del lavoro nel settore manifatturiero (2000-2013)
Fonte: Commissione Europea (EUROSTAT)
Bibliografia
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bourg, 2016
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D’Amuri F. e Giorgiantonio C., Difusionne e prospettive della contrattazione aziendale in Italia, Occasional Papers – Que-
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pean Central Bank at the Euro Summit, Brussels, 14 March 2013
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Le incursioni della BCE sul mercato del lavoro italiano

  • 1. Le incursioni della BCE sul mercato del lavoro italiano. Contrattazione aziendale, salari e produttività in ambiente euro 1 Articolo pubblicato su - Economia e Politica - http://www.economiaepolitica.it - ISSN 2281-5260 Titolo: Le incursioni della BCE sul mercato del lavoro italiano. Contrattazione azien- dale, salari e produttività in ambiente euro Autore: Massimo Resce Testo chiuso il: 27/10/2016 Pubblicato il: 13/12/2016 Abstract (IT) Negli ultimi anni la BCE ha cercato di sollecitare riforme del mercato del lavoro in Italia, tra queste anche un maggiore utilizzo della contrattazione a livello di impresa. La finalità è contenere la crescita dei salari e permettere una maggiore crescita della produttività. Non ha tenuto conto, però, dell’andamento delle variabili reali. Dopo l’adozione dell’euro, infatti, la crescita dei salari reali è stata più bassa della crescita della produttività. Inoltre, il sistema di incentivi attuale, che detassa i premi di produt- tività tramite la contrattazione decentrata, sembra aver aumentato il dualismo territo- riale Nord-Sud. Abstract (EN) In the last years, the ECB has tried to encourage reforms of the Italy's labour market including the increasing use of bargaining at the enterprise level. The aim is to con- tain the growth of wages and to permit higher productivity growth. However, the ECB did not take into consideration the changes in the real variables. In fact after the euro's adoption, the growth of real wages was lower than the productivity growth. Furthermore, the current incentives system for the decentralized bargaining, that provides a tax benefit on productivity bonuses, seems to increase the territorial dua- lism North-South. Indice LE INCURSIONI DELLA BCE SUL MERCATO DEL LAVORO ITALIANO. CONTRATTAZIONE AZIENDALE, SALARI E PRODUTTIVITÀ IN AMBIENTE EURO ........................................................................................................................... 2 1.1 LE SOLLECITAZIONI DELLA BCE SULLA CONTRATTAZIONE A LIVELLO DI IMPRESA.......................................................................2 1.2 LE DINAMICHE DELLA PRODUTTIVITÀ E DEI SALARI NELL’EUROZONA .....................................................................................4 1.3 LE DINAMICHE IN ITALIA ED I PRIMI INTERVENTI PER LA CRESCITA DELLA PRODUTTIVITÀ: IL DUALISMO TERRITORIALE ......................6 BIBLIOGRAFIA............................................................................................................................................................. 9 Indice delle figure FIGURA 1 ANDAMENTI DELLE RETRIBUZIONI E DELLA PRODUTTIVITÀ EVIDENZIATI DALLA BCE.............................................................3 FIGURA 2 PROBLEMI SULLA REDDITIVITÀ EVIDENZIATI DALLA BCE ................................................................................................4 FIGURA 3 GAP TRA TASSI MEDI DI CRESCITA DELLA PRODUTTIVITÀ E DEI SALARI IN AREA EURO (1998-2014) .......................................5 FIGURA 4 CRESCITA DELLA PRODUTTIVITÀ TOTALE DEI FATTORI IN ALCUNI PAESI DELL’EUROZONA.......................................................6 FIGURA 5 VARIAZIONI CUMULATE SALARIO NOMINALE E REALE E DELLA PRODUTTIVITÀ REALE IN ITALIA (1998-2014)...........................6 FIGURA 6 PREMI DI PRODUTTIVITÀ - I PRIMI CONTRATTI DEPOSITATI (CONTRATTI/OCCUPATI PER REGIONE)..........................................8 FIGURA 7 PRODUTTIVITÀ DEL LAVORO NEL SETTORE MANIFATTURIERO (2000-2013) .....................................................................9
  • 2. Le incursioni della BCE sul mercato del lavoro italiano. Contrattazione aziendale, salari e produttività in ambiente euro 2 Le incursioni della BCE sul mercato del lavoro italiano. Contratta- zione aziendale, salari e produttività in ambiente euro 1.1 Le sollecitazioni della BCE sulla contrattazione a livello di impresa Il ruolo della Banca Centrale Europea è di fondamentale importanza poiché rappresenta l’autorità di ge- stione della politica monetaria dell’area Euro. I 19 paesi che vi hanno aderito, infatti, hanno rinunciato alla propria sovranità monetaria cedendo a livello centrale una importante leva di politica economica. L’Italia, ad esempio, nelle fasi di crisi economica ha spesso utilizzato la svalutazione della lira per incrementare le esportazioni e consolidare l’economia del Paese (per questo definita “svalutazione competitiva”). Con l’introduzione dell’euro questo non è più possibile e, oggi, siamo accomunati in un'unica politica moneta- ria, non differenziata per Stato, che prevede interventi rispondenti alle esigenze di area piuttosto che a quelle di singolo Paese. In questi anni di crisi uno dei principali problemi è la contenuta crescita dei PIL spesso accompagnata da deflazione. La situazione dell’Italia, fotografata negli ultimi rapporti, mette in evidenza una ripresa che stenta a decollare con molti indicatori ancora negativi. E’ una situazione di stallo dalla quale è difficile usci- re, poiché i margini di intervento basati su un incremento della spesa pubblica sono risicati (considerati i vincoli imposti per il contenimento del deficit pubblico) ed i pacchetti di politica monetaria sembrano in- sufficienti a stimolare la ripresa nell’Eurozona. Per questo motivo la BCE, pur conservando come obiettivo principale la stabilità dei prezzi nell’area dell’euro e la difesa del potere di acquisto della moneta unica, ha iniziato ad indicare direttamente agli Stati le riforme e gli interventi necessari da adottare, travalicando il dominio tradizionale delle politiche moneta- rie, in una visione in cui il contenimento della spesa pubblica ed il recupero della competitività sembrano rivestire una valenza sovraordinata rispetto alle problematiche socio-occupazionali. Già nella lettera del 2011 la Banca Centrale segnalava all’Italia, oltre alla necessità di un mercato del lavoro più flessibile in entrata e in uscita di cui si è ampiamente dibattuto , l’esigenza di “riformare ulteriormente il si- stema di contrattazione salariale collettiva, permettendo accordi al livello d'impresa in modo da ritagliare i salari e le condi- zioni di lavoro alle esigenze specifiche delle aziende e rendendo questi accordi più rilevanti rispetto ad altri livelli di negozia- zione”. Più volte il Governatore ha ribadito la necessità di creare uno stretto legame ex-post tra dinamica delle retribuzioni reali e produttività del lavoro da realizzare mediante una riforma della contrattazione per agevolare soprattutto nel secondo livello la costruzione di quei meccanismi di aggiustamento. Nelle comunicazioni, negli “speeches”, nelle diverse occasioni pubbliche sono continui i richiami sulla ne- cessità di riformare le relazioni industriali sull’assunto che una contrattazione eccessivamente centralizzata sia fonte di rigidità che, non tenendo conto delle diverse dinamiche territoriali nel Paese, non consente ra- pidi adeguamenti dei salari ai prezzi e quindi al potere di acquisto. Pertanto il pushing istituzionale è verso una maggiore rilevanza della negoziazione decentrata, caratterizzata da maggiore importanza degli accordi aziendali rispetto ad altri livelli di contrattazione. Nel DEF 2016 il Governo italiano ha assunto degli impegni di riforma in questa direzione: infatti, “(…) si concentrerà su una riforma della contrattazione aziendale, con l'obiettivo di rendere esigibili ed efficaci i contratti aziendali e di garantire la pace sindacale in costanza di contratto (…) e i contratti aziendali potranno altresì prevalere su quelli nazio- nali in materie legate all'organizzazione del lavoro e della produzione” e nel corso dell’anno già è stato attivato un primo regime di incentivazione per promuovere la contrattazione decentrata (aziendale e territoriale) e con essa la produttività. Il tema della concorrenza tra contrattazione centrale e decentrata è un tema ampio con finalità ed implica- zioni molteplici ma l’impostazione della BCE nasce da alcune evidenze empiriche . Dall’analisi dei pro- Nota della BCE a firma M. Draghi e J.C. Trichet del 5 agosto 2011al Primo Ministro italiano (pubblicata dal Corriere della Sera). Al punto C della nota del 5 agosto si legge: “dovrebbe essere adottata una accurata revisione delle norme che regolano l'assunzione e il licenzia- mento dei dipendenti, stabilendo un sistema di assicurazione dalla disoccupazione e un insieme di politiche attive per il mercato del lavoro che sia- no in grado di facilitare la riallocazione delle risorse verso le aziende e verso i settori più competitivi”. Nelle riforme del mercato del lavoro che sono seguite (Legge Fornero e Jobs Act) si è assunto che il mercato del lavoro italiano fosse iper-protetto. La questione è stata ampiamente dibat- tuta poichè l’indicatore generale di protezione dei lavoratori misurato dall’OCSE non evidenzia questa caretteristica, si veda anche “La favola dei superprotetti. Flessibilità del lavoro, dualismo e occupazione in Italia” di Riccardo Realfonzo su Economi&Politica del 26 settembre 2014. Relazione M. Draghi alla Conferenza dei Capi di Stato e di Governo dei 27 Paesi dell’Unione Europea (14 e 15 marzo 2013). ECB, “Euro area economic situation and the foundations for growth”, Presentation by Mario Draghi, President of the European Central Bank at the Euro Summit, Brussels, 14 March 2013.
  • 3. Le incursioni della BCE sul mercato del lavoro italiano. Contrattazione aziendale, salari e produttività in ambiente euro 3 blemi della competitività, infatti, emergono profonde differenze strutturali tra i paesi che presentavano un deficit già nella fase pre-crisi (2007) da quelli, invece, caratterizzati da un surplus di bilancio . In particolare per l’Italia si osserva che la forbice tra l’andamento delle retribuzioni e quello della produtti- vità del lavoro si è andato sempre più ampliando. In realtà, oltre al picco della crisi collocabile nel 2009, il processo sembra iniziato dall’entrata in vigore dell’euro. Per la Germania, invece, il divario inizia a presen- tarsi solo dopo la crisi (v. Figura 1). Figura 1 Andamenti delle retribuzioni e della produttività evidenziati dalla BCE Fonte: ECB, “Euro area economic situation and the foundations for growth” 2013 La rigidità dei salari viene considerata quale elemento alla base dei problemi della redditività. Come dimo- strano le curve dei margini di profitto la crisi ha esasperato delle tendenze negative già in atto per i paesi con deficit. La stessa occupazione presenta andamenti diversificati tra i due gruppi di paesi (in surplus o in deficit), men- tre la curva delle retribuzioni contrattuali invece presenta lo stesso andamento se non addirittura una di- namica più sostenuta per i paesi in deficit (v. Figura 2). Queste evidenze rappresentano alcuni degli elementi che hanno indotto la BCE ad intervenire più volte nel sollecitare una maggiore flessibilità della contrattazione, privilegiando il secondo livello piuttosto che quello centrale, al fine di garantire soluzioni più adeguate alle dinamiche aziendali. Sostanzialmente si assume che la moderazione delle politiche salariali dovrebbe generare crescita tramite l’abbattimento dei costi di produzione, perché garantirebbe una maggiore competitività dei prezzi nelle esportazioni. Inoltre, il consequenziale contenimento dell’inflazione dovrebbe far crescere i consumi quin- di la domanda interna. D’altro canto l’incremento della produttività dovrebbe incidere sul contenimento dei prezzi e sull’incremento della competitività con il conseguente aumento delle esportazioni. "External surplus/deficit" gruppo con bilancio corrente avanzo/disavanzo nel 2007 (l'ultimo anno pre-crisi). Paesi in blu – surplus; paesi in ros- so - defict.
  • 4. Le incursioni della BCE sul mercato del lavoro italiano. Contrattazione aziendale, salari e produttività in ambiente euro 4 Figura 2 Problemi sulla redditività evidenziati dalla BCE Fonte: ECB, “Euro area economic situation and the foundations for growth” 2013 1.2 Le dinamiche della produttività e dei salari nell’Eurozona Le teorie economiche vogliono una crescita dei salari proporzionale alla crescita della produttività al fine di garantire le condizioni di uno sviluppo equilibrato che non danneggi né i lavoratori né le imprese, quindi né i consumi né i profitti. L’analisi della BCE nel misurare l’andamento delle due variabili si fonda, però, sulle retribuzioni “nominali”. In realtà, per epurare i fenomeni economici dalle variazioni di prezzo nel tempo si utilizzano le grandezze “reali” , definite in questo modo perché permettono di riconoscere l’andamento effettivo di una variabile. L’analisi delle dinamiche di crescita delle due tipologie di variabili potrebbero condurre a risultati dissimili. Vari autori hanno già evidenziato il contrasto tra una regola definita “di piombo” seguita dalla BCE, che prende in considerazione i salari nominali, rispetto alla “regola d’oro” che prende in considerazione i salari reali e vuole che crescano nella stessa misura della produttività . Se si considera il periodo che va dal 1998, anno antecedente all’introduzione dell’euro, al 201410 , le dina- miche delle variabili nominali e reali risultano molto differenziate, soprattutto per l’Italia. Infatti, per quan- to concerne le grandezze nominali l’Italia presenta una crescita leggermente più sostenuta del salario ri- spetto a quella della produttività. In particolare i salari nominali sono cresciuti mediamente del 2,29% mentre la produttività nominale è cresciuta del 2,22%. Solo la Finlandia presenta un andamento simile. Tutti gli altri Stati evidenziano, viceversa, una crescita della produttività maggiore dei salari. Nel momento in cui si considerano, invece, le variabili reali lo scenario muta significativamente. Infatti, nel nostro Paese la produttività reale è cresciuta più del doppio dei salari reali (+0,25%; +0,13%), con gli andamenti più contenuti di tutta l’area Euro. Per quanto riguarda i salari reali solo la Grecia e la Spagna presentano una Una grandezza si dice nominale quando è misurata a prezzi correnti, cioè ai prezzi del periodo cui si riferisce, mentre si dice reale, invece, quan- do è misurata a prezzi costanti, in questo caso sono stati presi in considerazione quelli del 2014. Cfr. Andrew Watt sul Social Europe Journal (http://www.social-europe.eu/2013/03/more-on-wage-policy-a-la-draghi-share-and-share-alike/) Si veda Paolo Pini in diversi articoli: “Salari, produttività e la regola di piombo della BCE” (Quaderno DEM 10/2013); “La regola di piombo sui salari di Mario Draghi (Keynesblog, 4 aprile 2013), etc. . In questo modo si determinerebbe la costanza delle quote distributive del lavoro e del capitale nel reddito (legge di Bowley) presupposto di una crescita bilanciata, caratterizzata da miglioramento della produttività e crescita dei consumi. Si tenga presente che l’entrata nell’area Euro è stata progressiva (prima come unità di conto virtuale e poi reale) e non è avvenuta per tutti i pae- si contemporaneamente, per la maggior parte dei Paesi è avvenuta nel 1999 (Austria, Belgio, Finlandia, Francia, Germania, Irlanda, Italia, Lussem- burgo, Paesi Bassi, Portogallo e Spagna).
  • 5. Le incursioni della BCE sul mercato del lavoro italiano. Contrattazione aziendale, salari e produttività in ambiente euro 5 crescita ancora più contenuta (rispettivamente +0,11% e +0,09%), addirittura il Portogallo presenta una riduzione (-0.01%). Quindi nei Paesi PIGS, quelli considerati maggiormente deficitari dalla BCE, a discapi- to delle evidenze nominali è chiara l’assenza di un’adeguata crescita dei salari reali. Si conferma, dunque, quel dualismo segnalato anche per altre variabili economiche tra Eurozona continentale e quella mediter- ranea. Come schema di sintesi riepilogativo sulle velocità di crescita delle variabili nominali e reali (v. Figura 3) si può considerare il gap calcolato quale differenza tra la crescita della produttività (π) e la crescita dei salari (w). In Italia è chiaro che la dinamica reale è a favore della produttività mentre quella nominale è a favore dei salari. Dunque, la BCE spinge per una contrattazione a livello di impresa per rendere più flessibile la determinazione dei salari ed un loro contenimento in fase di crisi perché il suo punto di osservazione è quello del salario nominale. In realtà il salario reale non è cresciuto così tanto, anzi è cresciuto meno della produttività, per cui se si vuole sostenere l’opzione della contrattazione di secondo livello per una modera- zione della crescita salariale occorrono altre motivazioni. Figura 3 Gap tra tassi medi di crescita della produttività e dei salari in area Euro (1998-2014) Fonte: Elaborazioni ISFOL su dati OCSE La crescita della produttività dipende da vari fattori. Una recente relazione della Commissione Europea ne evidenzia diversi. In primo luogo la produttività totale dei fattori è diminuita in Italia mentre è aumen- tata o è rimasta sostanzialmente stabile negli altri grandi paesi della zona Euro. Quella del lavoro ha regi- strato dinamiche settoriali diverse con una decrescita della produttività nel “commercio ingrosso e detta- glio” e nelle “attività professionali”; per gli altri comparti la crescita comunque è stata inferiore a quella degli altri paesi dell’Eurozona, tra i comparti più colpiti il “manifatturiero”. Diversi sono i fattori tradizionalmente presi in considerazione per motivare la crescita della produttività (come le variabili sulla dimensione di impresa, quelle tecnologiche, demografiche, istituzionali, etc.). In realtà, anche l’adozione di una moneta unica e la cessione di sovranità sulla politica monetaria sembra aver avuto un impatto sulla dinamica della produttività negli ultimi anni. Osservando la Figura 4 è evidente una convergenza delle crescite delle produttività di alcuni paesi prima dell’adozione dell’euro, avvenuto per step dal 1999 (blocco dei cambi) al 2002 (introduzione della moneta fisica). Successivamente si assiste a percor- si divergenti tra Paesi continentali (Germania –DE e Francia – FR) e alcuni Paesi mediterranei dell’Eurozona (Spagna – SP e Italia – IT). L’introduzione dell’euro sembra costituire per l’Italia un punto di inversione della crescita della produttivi- tà. Nella fase pre-euro il processo di convergenza è stato garantito, piuttosto che dai parametri di Maastri- cht, dall’ultima svalutazione competitiva della lira che ha permesso alle imprese esportatrici di essere più Bruxelles, 26.2.2016 “SWD(2016) 81 final” - Documento di lavoro dei servizi della Commissione - Relazione per paese relativa all'Italia 2016 comprensiva dell'esame approfondito sulla prevenzione e la correzione degli squilibri macroeconomici (§ 2.1).
  • 6. Le incursioni della BCE sul mercato del lavoro italiano. Contrattazione aziendale, salari e produttività in ambiente euro 6 competitive sui mercati internazionali e raggiungere adeguati margini di profitto. Con l’euro, in assenza di una siffatta politica, uno dei settori che sembra aver maggiormente sofferto è quello manifatturiero. L’arretramento degli altri settori come il commercio e le professioni può essere spiegato da una caduta del- la domanda interna non sostenuta da dinamiche salariali reali adeguate. Figura 4 Crescita della produttività totale dei fattori in alcuni paesi dell’Eurozona Fonte: Commissione Europea (AMECO) 1.3 Le dinamiche in Italia ed i primi interventi per la crescita della produtti- vità: il dualismo territoriale Come si è visto le indicazioni della BCE, che spingono verso una maggiore flessibilità contrattuale a livello decentrato, nascono da un’osservazione delle curve della produttività e dei salari nominali (v. Figura 1) che fanno presupporre un pesante scollamento tra le due variabili. L’analisi delle dinamiche reali mette in evidenza un’evoluzione differente (v. Figura 5). Figura 5 Variazioni cumulate salario nominale e reale e della produttività reale in Italia (1998-2014) Fonte: Elaborazioni su dati OCSE Certamente, dall’entrata in vigore dell’euro i salari nominali sono cresciuti dal ’99 al 2014 del 36,57% men- tre la produttività è cresciuta solo del 4%. I salari reali, però, hanno registrato una crescita ancora più con- tenuta rispetto a quella della produttività attestandosi a circa il 2%. L’andamento delle due curve reali presenta degli scostamenti leggeri con la curva della produttività che ha sempre dominato quella dei salari tranne nel periodo intorno alla crisi che ha visto un crollo della produt- tività proprio nel 2009 (con un picco della distanza tra le due curve di 3,85 punti percentuali). La circo- stanza è riconducibile al così detto fenomeno del “labour hoarding” ovvero la tendenza da parte delle impre-
  • 7. Le incursioni della BCE sul mercato del lavoro italiano. Contrattazione aziendale, salari e produttività in ambiente euro 7 se a trattenere manodopera inutilizzata in tempo di crisi, con una diminuzione della produzione più veloce della riduzione dell’occupazione. A partire poi dal 2012 la produttività è tornata ad essere superiore ai salari e nel 2014 segna una distanza positiva di 2 punti percentuali. La lettura del grafico ci suggerisce che con l’adozione della moneta unica sembrerebbe che le imprese, per mantenere la competitività non più garantita dalla svalutazione della lira, abbiano contenuto la crescita dei salari reali all’interno della crescita della produttività reale. Lo schema delle relazioni industriali italiano presenta comunque degli aspetti problematici come è stato ampiamente sostenuto da Tronti che critica il modello negoziale a due livelli istituito con il Protocollo del 1993 e parla di “legame perverso tra salari e produttività”. In sostanza i contratti collettivi nazionali non re- munerano gli aumenti di produttività ma si limitano a prevenire la perdita di potere d’acquisto del salario fondamentale, tramite un ancoraggio all’inflazione programmata. Questa funzione, invece, viene delegata alla contrattazione decentrata (aziendale e territoriale), che può remunerare incrementi di produttività in funzione del raggiungimento di risultati di produzione (c.d. salario di risultato). Il problema di fatto, risiede nella scarsa diffusione della contrattazione di secondo livello: un censimento su questa tipologia di contrat- ti non esiste e le diverse indagini campionarie condotte indicano una diffusione tra le aziende che si aggira intorno al 30% . Queste condizioni hanno determinato degli squilibri, per cui si è passati dall’insostenibilità del modello “scala mobile” ad un'altra condizione insostenibile che tutela eccessivamen- te i profitti delle imprese. Anche se, in quest’ultimo caso, l’introduzione dell’euro ha attenuato notevol- mente la capacità di cumulare degli extraprofitti impliciti . Dal punto di vista delle teorie economiche quello che è mancato nella contrattazione è una previsione di quote stabili di distribuzione salari-produttività, in modo da consentire all’impresa, in caso di crescita della produttività, di preservare l’invarianza del costo per unità di prodotto, e di conseguenza la quota del pro- fitto. Di recente, i nuovi schemi retributivi della contrattazione collettiva stanno ponendo una maggiore enfasi sul salario di risultato. Secondo molti, dunque, la negoziazione di secondo livello può esercitare un ruolo determinante nel creare quegli ambienti aziendali fertili per una crescita della produttività tramite un sistema di premi di risultato e investimenti sul capitale umano ritenuto alla base della crescita della competitività aziendale. La compo- nente salariale non assorbe i guadagni di efficienza mentre i premi sono strettamente correlati alla produt- tività, favorendo maggiormente il processo di ampliamento dei margini di profitto aziendale. In questa direzione vanno gli incentivi previsti dal Governo nell’ultima legge di stabilità del 2016 ed oggi esecutivi , che prevedono una tassazione agevolata dei premi di produttività e delle somme erogate sotto forma di partecipazione agli utili di impresa. La direzione è quella di una valorizzazione della contrattazio- ne di secondo livello e la previsione di un regime fiscale premiale per un paniere sempre più ampio di ser- vizi (borse di studio per i figli dei dipendenti, servizi di assistenza ai famigliari anziani, voucher per baby-sitting o palestra, etc). Tutto ciò è possibile grazie alla stesura di accordi di secondo livello che in questo modo possono determinare un migliore clima aziendale ed una maggiore fidelizzazione del dipendente. La procedura di adesione agli incentivi prevede la comunicazione al Ministero del Lavoro degli elementi della contrattazione decentrata e disciplina i criteri di misurazione degli incrementi di produttività, redditi- vità, qualità, efficienza ed innovazione ai quali i contratti aziendali o territoriali legano la corresponsione di premi di risultato. Secondo questa procedura a metà settembre 2016 sono state depositate 15.078 dichiara- zioni di conformità sui contratti aziendali di secondo livello (v. Figura 6), di cui la gran parte sottoscritti nel corso del 2015 (11.003) e la rimanete parte nel 2016 (4.075). Tronti Leonello., Produttività e distribuzione del reddito, in L’italia possibile, Ed. Brioschi (2010) - Produttività del lavoro e crescita: Il ruolo della distribuzione del reddito e del sistema contrattuale (2008) - A mo’ di conclusione: riforma della contrattazione in tre punti. Economia & La- voro, XLVII, n.3 (2013) - Produttività, crescita e riforma della contrattazione (2014) – Elementi di analisi macroeconomica delle relazioni indu- striali. Modello contrattuale, produttività del lavoro e crescita economica (2015). Diverse fonti: CNEL-ISTAT, Banca d’Italia, ADAPT, OCSEL, Fondazione Di Vittorio. Già nelle analisi dello stesso Tronti “Produttività del lavoro e crescita. Il ruolo della distribuzione del reddito e del sistema contrattuale”, seppu- re la motivazione dell’Euro non viene esplicitata, sono evidenti alcune dinamiche: 1) la caduta della quota del reddito da lavoro (rapporto tra la re- tribuzione del lavoro e la produttività del lavoro) marcata negli anni ’90 si arresta e si stabilizza negli anni 2000 dopo l’entrata nell’Euro e durante la crisi aumenta per l’effetto del labour hoarding; 2) la crescita delle rendite reali e dell’incidenza delle rendite sul PIL trova un punto di inversione negli anni 2000. Art. 1 co. 182-190 della L. 208/2015 (Legge di Stabilità 2016) disciplinati dal Decreto Interministeriale 25 marzo 2016 (pubblicato sulla Gazzet- ta Ufficiale del 14 maggio 2016) e dalla Circolare 28/E del 15/06/2016 dell’Agenzia delle Entrate.
  • 8. Le incursioni della BCE sul mercato del lavoro italiano. Contrattazione aziendale, salari e produttività in ambiente euro 8 Tra gli obiettivi indicati il 78,3% riguarda la produttività, il 57,7% la redditività, il 41,6% la qualità (è possi- bile indicare più obiettivi). Il dato, però, più allarmante è la distribuzione territoriale poichè i contratti de- positati risultano così dislocati: 39,3% Nord-Ovest; 36,9% Nord-Est; 16,5% Centro; Sud 5,6%; Isole 1,7%. Da questa distribuzione è evidente un forte squilibrio geografico: basti pensare che la Lombardia ha registrato 4.249 contratti mentre la Campania solo 321. Uno dei motivi principali di questo divario risiede nel fatto che la contrattazione decentrata (aziendale e territoriale) è scarsamente radicata presso le piccole aziende e più diffusa presso le aziende con più di 500 dipendenti e nel Mezzogiorno il 90% delle aziende sono appunto di piccole dimensioni. Inoltre, non bisogna sottovalutare la componente di economia som- mersa che per definizione non intercetta la contrattazione in generale. Figura 6 Premi di produttività - i primi contratti depositati (contratti/occupati per Regione) Fonte: Elaborazioni su dati Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali (settembre 2016) Da questi primi dati forniti dal Ministero del Lavoro, è chiaro che il sistema di incentivi non fa altro che accentuare un dualismo territoriale già marcato e che caratterizza la crescita delle produttività nelle regioni italiane. Infatti, se si considera la produttività del settore manifatturiero, nel periodo 2000-2013, è presente una netta spaccatura territoriale delle performance di crescita (v. Figura 7). Comparando le dinamiche della crescita del valore aggiunto per ora lavorata e le adesioni al sistema di in- centivi per la produttività tramite contrattazione decentrata è evidente il processo di divergenza delle re- gioni del Mezzogiorno, che risulta maggiormente marcato per Calabria, Puglia, Campania, Sardegna e Sici- lia. Continua, dunque, l’allocazione inefficiente della distribuzione territoriale degli incrementi della pro- duttività. Una riforma spinta del sistema delle relazioni industriali a favore di quella decentrata, riconoscendole an- che la possibilità di fissare salari più bassi, potrebbe generare effetti perversi su queste regioni. Da un lato, la scarsa copertura della contrattazione aziendale escluderebbe gran parte dei lavoratori dagli incrementi salariali; dall’altro, in caso di copertura, l’abbassamento dei livelli salariali potrebbe abbattere i consumi del- le famiglie con un avvitamento al ribasso della crescita economica di questi territori già sofferenti. Nella generalità dei casi le politiche vengono concepite in maniera unitaria sul territorio nazionale senza tener conto della dicotomia presente nel Paese per cui rischiano di innescare ulteriori divergenze. La rispo- sta andrebbe ricercata non solo nelle politiche per il lavoro ma nelle più ampie politiche industriali e di svi- luppo territoriale. Queste ultime sembrerebbero ormai totalmente delegate ai fondi strutturali e prevalen- temente realizzate con programmi operativi regionali. Scontano, dunque, problematiche di attuazione pro- cedurale tipica delle risorse europee e assenza di coordinamento e raccordo con le risorse nazionali come evidenziato in diverse relazioni della Commissione Europea. Pertanto, le politiche di intervento andrebbe-
  • 9. Le incursioni della BCE sul mercato del lavoro italiano. Contrattazione aziendale, salari e produttività in ambiente euro 9 ro ri-congeniate, partendo dalla consapevolezza di un’economia duale, con una strategia di Paese ed una dedicata alle aree in ritardo di sviluppo, puntando su di una maggiore integrazione tra le politiche (di svi- luppo, del mercato del lavoro e del capitale umano) e migliore sinergia tra le diverse autorità di gestione (europee, nazionali e regionali). Figura 7 Produttività del lavoro nel settore manifatturiero (2000-2013) Fonte: Commissione Europea (EUROSTAT) Bibliografia Calligaris S., Del Gatto M., Hassan F., Ottaviano G.I.P. , Schivardi F., Italy’s Productivity Conundrum, A Study on Resource Misallocation in Italy, Discussion Paper n. 30, maggio 2016, Publications Office of the European Union, Luxem- bourg, 2016 Commissione Europea, Documento di lavoro dei servizi della commissione, Relazione per paese relativa all'Italia 2016 comprensiva dell'esame approfondito sulla prevenzione e la correzione degli squilibri macroeconomici, Bruxelles, 26.2.2016 SWD(2016) 81 final D’Amuri F. e Giorgiantonio C., Difusionne e prospettive della contrattazione aziendale in Italia, Occasional Papers – Que- stioni di Economia e finanza n. 211, banca d’Italia, luglio 2014 ECB, “Euro area economic situation and the foundations for growth”, Presentation by Mario Draghi, President of the Euro- pean Central Bank at the Euro Summit, Brussels, 14 March 2013 Forges Davanzati G., Gli effetti perversi della moderazione salariale, MicroMega 11 maggio 2016 Ministero del lavoro e delle politiche sociali, Premi di produttività: sono 15.078 i contratti aziendali e territoriali depositati, co- municato del 15 settembre 2016 Perri S., Quota salari e investimenti: alcuni effetti delle riforme, su Economi&Politica del 16 luglio 2015 Pini P., Salari, produttività e la “regola di piombo” della BCE, in Quaderno DEM 10/2013, Università degli Studi di Ferra- ra, Ferrara, 2013 Realfonzo R., La favola dei superprotetti. Flessibilità del lavoro, dualismo e occupazione in Italia, su Economi&Politica del 26 settembre 2014 Tronti L., Elementi di analisi macroeconomica delle relazioni industriali. Modello contrattuale, produttività del lavoro e crescita econo- mica, Scuola nazionale dell’amministrazione - Presidenza del Consiglio dei Ministri, Università di Roma Tre, A.a. 2014-15 Visser J, What happened to collective bargaining during the great recession?, su SpringerOpen Journal, IZA Journal of Labor Policy (2016) Watt A., More On Wage Policy A La Draghi: Share And Share Alike?, Social Europe Journal – 28 marzo 2013