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IL GIOCO DELLE
MOTIVAZIONI

STUDIO SULLA PSICOLOGIA DI TUTTI I GIORNI
Sono come uno di quei venditori che girano per le case.
Vorrei farvi vedere un nuovo strumento:
il gioco delle motivazioni,
e poi semmai lasciarvelo in prova.
Nello stesso tempo posso mostrarvi
alcuni prodotti ottenuti.
P. S.

Paolo Sacchi – Via Panoramica, 18 – 80016 Marano di Napoli (NA) – tel. 320 2482025 – email sacchipaolo44@libero.it
Indice

L’E G O I S M O
■

BENESSERE FISICO

■

VALORE

■

PIACERE

■

FASTIDIO

_______________________________________________

F U O R I D A L L’ E G O I S M O
■

ALTRUISMO

■

SOCIALITA’ (ONESTÀ E GIUSTIZIA)

_______________________________________________

IL GIOCO DELLE MOTIVAZIONI
L’ E G O I S M O
4

■

QUALCOSA DI DIVERSO

Qui egoismo non ha il solito significato: con egoismo dovrà intendersi solamente: il pensare verso se
stessi.
Si sa bene che quando si dice egoismo c’è riprovazione ed accusa. Ed anche il vocabolario definisce
l’egoismo: “Eccessiva cura di se stessi”. Invece qui si parlerà di egoismo, semplicemente per intendere un
comportamento che sia nato per noi stessi, e non per gli altri.
Perciò qui è, egoismo: bere un bicchier d’acqua, scacciare una mosca, comprarsi una padella o prepararsi
ad un esame.
Si parlerà di egoismo, senza per forza dover giudicare in modo negativo una persona che abbia intenzioni
egoistiche.
Egoismo: solo per indicare una motivazione che abbia come destinatario noi stessi.

■

LE QUATTRO CATEGORIE DELL’EGOISMO
L’egoismo ha quattro radici.
Esse sono: il benessere fisico, il valore, il piacere ed il fastidio. E questi sono anche i nomi delle quattro

categorie motivazionali dell’egoismo.
In altre parole, dobbiamo ottenere per noi: mantenere la buona salute fisica, aumentare la valorizzazione
personale, gustare le cose piacevoli e annullare le cose fastidiose.
In particolare, nell’ambito del benessere fisico viene cercato un risultato
fisico. Nell’ambito del valore un risultato psicologico. Nell’ambito del piacere e del fastidio un risultato che
può essere sia fisico che psicologico.
Tutte le motivazioni egoistiche rientrano in una di queste quattro categorie.

■

UNA PREOCCUPAZIONE

Già solo sfogliando le pagine, si può notare una grande sproporzione fra le pagine dedicate alla categoria
del valore e quelle, più poche, dedicate alle altre tre categorie.
Le apparenze sembrerebbero qui voler suggerire che tale categoria sia più importante delle altre. Ma non
è così.
La ragione di questa disparità deriva solo dal fatto che un tenacissimo tabù incombe sulla realtà
psicologica del valore. Tutti siamo in grado di capire quanto sia grande il bisogno di stare bene fisicamente,
quanto sia grande il desiderio di procurarci i piaceri, quanto sia grande la necessità di fuggire dalle cose
5

fastidiose, mentre, per quanto riguarda il bisogno di avvalorare la nostra personalità, tutti capiamo di che
cosa si tratta, ma, a causa di quel tabù, quasi nessuno si accorge di come questa presenza sia, nell’animo,
una presenza continua e necessaria.
Il maggior numero di pagine non indica priorità di importanza.
Le pagine del valore sono in numero maggiore, ma il valore è solo, una, delle quattro categorie
dell’egoismo.
Tutte le categorie motivazionali vanno considerate, alla pari, e tutte ugualmente importanti.
6

IL BENESSERE FISICO
7

■

LO SAPPIAMO TUTTI

Le motivazioni che rientrano nella categoria del benessere fisico hanno lo scopo di ristabilire le buone
condizioni del nostro corpo.
Il benessere fisico è continuamente attaccato da nemici. I suoi nemici più
terribili sono il dolore fisico, la fame, la sete, tutte le malattie. Alla fine la morte è l’ultimo nemico.
Ma noi combattiamo anche contro un numero infinito di altri nemici che non ci consentono di stare bene
completamente.
Fino ad arrivare ai nemici più piccoli.
Non sarà difficile capire che sono, della stessa categoria motivazionale,
prendere una pillola per il fegato (benessere fisico) e volere farsi fare una operazione chirurgica senza
anestesia nel tentativo di salvarsi la vita (benessere fisico).
Un’intera categoria motivazionale in una sola pagina?
Non c’è bisogno di più pagine. Tutti conosciamo bene l’argomento.
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IL VALORE
9

CONFIGURAZIONE

■

IN GENERALE

Anche se spesso non ce ne accorgiamo, tutti sentiamo il bisogno di tener su il nostro valore: cercando
sempre di nutrirlo un po’, e cercando di evitargli anche il più piccolo neo.
Minuto per minuto, nessuno può sottrarsi.
Non è uno scherzo, non è un di più. La posta in palio è: sentirci meglio.
Non è una cosa superflua, è una necessità fondamentale che ci impegna fin dai primi mesi di vita e poi ci
accompagna per tutta la vita.
Sempre inconsciamente.
Continuo lavorio mentale.
Continue motivazioni di valore che ci spingono ad agire o a parlare.
E’ una presenza continua; e noi di continuo a badarci.
E’ come una fame; ma una fame speciale: per quanto nutrimento noi possiamo procurarci, non ci basta
mai; la sazietà non arriva mai.

■

C’E’ BISOGNO DI FARNE SALIRE IL LIVELLO
Ognuno di noi si porta nell’animo l’inconscia sensazione del proprio valore. Questa sensazione, bella o

brutta, deriva dal nostro attuale livello di valore alto o basso.
Questa sensazione non è frutto di valutazioni razionali. E’ impalpabile. Sfugge all’attenzione lucida del
soggetto. E’ qualcosa che si sente, e non qualcosa che si pensa.
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Senza saperlo distintamente, per ottenere di vivere la buona sensazione che viene da un buon livello di
valore, ammassiamo, giorno dopo giorno, l’uno sull’altro, tutti i materiali buoni per il nostro valore.
Sono pezzi grandi, pezzi piccoli e piccolissimi, e servono tutti. Cerchiamo di far salire il livello del nostro
valore per ottenere un migliore stato psicologico. Sempre, in qualunque momento, un lavoro per noi stessi,
non conosciuto.
Ed anche quando sentiamo di avere un’ottima sensazione del nostro valore, pur sentendoci già bene,
ugualmente non smettiamo di aggiungere contributi.
Il bisogno di valore diventa così, motore di pensieri, azioni e discorsi.

■

IN QUALUNQUE MODO

Valore è una sconfinata categoria motivazionale. Ma forse sentendo parlare di valore molti penseranno
soltanto a grandi cose e a grandi meriti. Ma qui non è così.
Per il valore, possiamo pensare: “Sono il più svelto”.
Ma possiamo anche pensare: “Sono svelto”.
Oppure: “Sono abbastanza svelto”.
Ma possiamo anche pensare: “Non sono svelto, ma sempre più di Carlo”.
Oppure ancora: “Sono il più lento di tutti, però ho dei capelli molto belli”.
Insomma, valore massimo, ma anche, valore minimo.
In tutti i piccoli momenti della vita, per alimentare il nostro valore,
possiamo trarre lo spunto da qualunque cosa.
Inconsciamente, in un modo o in un altro, dobbiamo accontentare questa fame. Ognuno come può:
secondo la propria personalità e secondo la validità delle proprie intelligenze.
Nei modi più vari acquisiamo qua e là pezzetti di valore, possibilmente di buona qualità: quello che, per
noi, è di buona qualità.
A questo scopo nella nostra mente anche il piombo può essere considerato oro. Potrà capitarci di
utilizzare anche cose di valore, che per gli altri sono nient’altro che immondizia, ma che per noi sono
materiale buono.
Tutto contribuisce o, almeno, tutto potrebbe contribuire.
La cosa è così importante che ognuno, fin da piccolo, durante la giornata cerca un po’ di valore per sé:
non sempre nei modi migliori, ma: dove può, e come può.
Per la necessità di tener su il nostro valore, a volte ci si deve arrangiare.
A volte poi nasciamo già in situazioni che ostacolano il nostro valore: uno non è nato in buona salute, un
altro ha sviluppato qualche grado non alto di alcune intelligenze, qualcun altro non è nato di bell’aspetto.
Tante umiliazioni al proprio valore, inevitabili.
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Per benessere fisico, piacere e fastidio, bisogna, per forza, muoversi o parlare; invece per il valore è un
po’ diverso: contributi ci arrivano anche solo dai nostri infaticabili pensieri.
Senza avvedercene.
Con i soli pensieri, il nostro valore si rende contento, oppure si difende validamente. Ci cuciniamo un po’
di valore, restando in casa, con quello che abbiamo nella dispensa.
Tutto ci può gratificare, già soltanto nella nostra mente.
Un conto unico
Il valore fa tutto un conto unico.
Perciò è sbagliato distinguere il valore che viene dal consenso degli altri, da quello che viene da noi
stessi; le lodi degli altri e la consapevolezza di sé aiutano lo stesso padrone: tutto digerito, tutto, confluisce
nel nostro unico valore. Molti, con una motivazione di valore, dicono: “A me che importa delle
approvazioni degli altri?”, senza volersi rendere conto che, dentro di sé, in una qualche misura, anche quel
consenso fa bene al loro valore.
Un conto unico: perciò è sbagliato distinguere il valore sociale, da qualche altro tipo di valore. La vanità e
l’orgoglio, giudicati oppostamente, servono lo stesso padrone. Il mascherare le nostre inferiorità viene più
accettato che non il mostrare le nostre superiorità, tuttavia queste operazioni cercano di ottenere il medesimo
scopo. Il difendere quel poco di valore che abbiamo e il volerlo far salire cooperano insieme. Tutto
confluisce.
Un conto unico: perciò è sbagliato distinguere il valore per gli occhi degli altri, dal valore per se stessi.
“Lo faccio per me, non per gli altri”: qualcuno dice, pensando di evitare di parlare di valore, senza sapere
che sta sempre parlando di valore. Infatti, se tu ti fai bella e mi dici: “Lo faccio solo per me stessa”, ebbene,
proprio il volerti vedere meglio allo specchio ti porta, alla fine, già a sentirti qualcosa di meglio: è questa è
la vera motivazione (valore). E, sì, può anche essere che tu lo faccia solo per te, ma, è lo stesso: è sempre
cercare di sentirsi più sicuri (valore).
Un conto unico: perciò è sbagliato distinguere il valore che cerchiamo continuamente di affermare solo
nei nostri pensieri, da quello che ci può venire da tutta la vita esterna: tutto contribuisce allo stesso scopo.
Un conto unico: perciò è sbagliato pensare che il valore sia formato da alcuni tronconi principali. Infatti
un buon livello di valore si costruisce, minuto per minuto, per miliardi di vie diverse, all’attacco o in difesa;
ed anche se fra queste cose vi sono cose più importanti delle altre, non bisogna considerare la costruzione
del valore, come compiuta solo con alcuni tronconi. Guardare i componenti del proprio valore è come
guardare dall’alto una grande città: sì , si vedono dei grattacieli più alti, si vedono delle zone più belle, ma
quella città è quello che è: per, tutto, quello che vediamo. Quindi, è chiaro, vogliamo rivolgere una critica ad
altre persone, ma non sarà mai completamente vero quando diciamo: “Quella si valorizza così”: volendo
dire: non ha altro. Né sarà mai completamente giustificata la critica che comunemente si pronuncia:
“Quello, qui, si compensa di tutto quello che subisce in casa”: come se quella persona potesse puntare
esclusivamente su due situazioni. L’idea che il valore si risolva fra due cose è inesatta. E ne sappiamo
pochissimo del valore quando, intuendo in un’altra persona una semplice piccola traccia di valore, subito
diciamo: “Fa così, è insicuro”: cosa che non potremmo mai affermare; non sapendo poi che, dentro di noi,
di modi come quello, ne possiamo trovare tanti e tanti. Tutte queste critiche sono inesatte perché quelle
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persone aiutano il proprio valore anche in miliardi di altri modi; o, meglio, esattamente come noi,
semplicemente cercano il valore dove possono, e come possono, in miliardi di modi diversi.
Potranno saltare agli occhi comportamenti dettati dal valore, rilevanti, che si ripetono, ma il valore fa tutto
un conto unico, con quelli, sì, ma anche con tanti altri comportamenti.

■

LE OPERAZIONI DEL VALORE

Minuto per minuto, il valore è impegnato in una complessità di operazioni.
Queste operazioni ci richiamano alla mente le operazioni di una guerra.
Attacchi, difese e contenimenti si alternano.
Anche se non ce ne accorgiamo.
Anche le difese e le attività di contenimento, e non solo gli attacchi, contribuiscono indirettamente a tener
su il valore. Tutto è importante e tutto contribuisce al risultato.
In questa guerra qui, le soddisfazioni, le soddisfazioni di valore, sono gli attacchi che sferriamo contro il
nemico della svalorizzazione. Ma ugualmente importanti sono le difese: i cambiamenti di atteggiamento, le
spiegazioni di sé, la proclamata involontarietà, il dirlo noi stessi prima che lo dicano gli altri, le difese che si
tramutano in attacchi, gli interventi precisativi, gli interventi confermativi, gli interventi informativi, le
divagazioni, gli alleggerimenti, le cortine fumogene, il controllo incessante di quello che stanno dicendo gli
altri, il controllo incessante di quello che ci accade intorno, ecc., ecc.: con queste operazioni contrastiamo
tutto ciò che minimamente possa toccare negativamente il nostro valore. Se insomma le soddisfazioni
appaiono come i sentimenti che maggiormente sostengono il nostro valore, non bisogna peraltro dimenticare
il complesso di tutti gli elementi che fanno parte della vicenda.
Nella sua casa, il valore è un padrone che ha molti servitori e le
soddisfazioni sono i suoi servitori prediletti. Ma se la casa va avanti bene, è sicuramente anche per merito di
tutti gli altri servitori che lavorano al proprio posto, in maniera continua e tenace.

■

SODDISFAZIONI E SUPERIORITA’

Le soddisfazioni sono quelle valutazioni positive su noi stessi, intimi e dolci compiacimenti, che giovano
al nostro valore.
Dentro di noi, spesso ci arriva un pensiero che ci porta una soddisfazione di valore: sia da una cosa o
cosettina accadutaci proprio allora, e sia da qualcosa che ci sia venuta in mente e che affiori
improvvisamente tra i nostri pensieri. Piccolissime soddisfazioni, fuggevoli, piccole, prese al volo,
possibilmente grandi, ancora più belle, durante la giornata, vengono, tra i nostri pensieri.
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Tutti sappiamo che cosa sono le soddisfazioni di valore, però non sappiamo precisamente: qual è il
rapporto che c’è fra le soddisfazioni e la superiorità.
Quale superiorità?
Una qualunque superiorità. Una qualunque superiorità, solo su qualcun altro. O su molti altri. Sia quando
questa superiorità sia oggetto di riflessione, e sia quando sia solo sentita.
Allora bisogna chiederci: può esserci una soddisfazione di valore senza superiorità? La superiorità è
proprio la condizione necessaria, senza la quale non ci sarebbe soddisfazione?
A questo punto si ha bisogno di qualche esempio, e ci dovrebbe essere la
signora Rossi. E’ una persona che si impegnò tempo fa a fornirci esempi, per le questioni particolari che le
furono allora indicate. Dovette promettere che avrebbe portato esempi di cose, veramente vissute da lei
stessa, e non inventate. Portatrice di esempi: un ruolo impegnativo, per una persona dotata di una buona
capacità introspettiva. Eccola all’appuntamento.
Inizia: “Io sono una persona che rispetta sempre gli impegni ed eccomi al luogo prefissato. Mi fu detto di
portare esempi di semplici soddisfazione di valore.
Allora: proprio stamattina, in automobile, ho risolto un piccolo blocco di traffico indietreggiando un poco
con la mia auto.
Secondo: ogni tanto parlo delle belle piante che ho davanti casa.
Terzo: spesso avverto la stima di una mia cara amica.
Quarto: in famiglia mi hanno chiesto se era meglio cambiare lattaio.
Quinto: ogni tanto, lo voglio dire: “Piaccio agli uomini”.
Sesto: tempo fa, ad un certo punto, ero sola e mi è capitato di essere sfiorata fuggevolmente da una
sensazione piacevole per aver capito il significato di una parola difficile.
Settimo: vedo le scarpe delle altre donne ma mi sembra un bel colore quello scelto da me.
Ottavo: oggi me ne vergogno, ma, tantissimo tempo fa, riuscii a costringere tutti i miei familiari a
conformarsi perfettamente alle antiche usanze della nostra terra. Questi sono gli esempi che ho portato.
Ora io stessa proverò a vedere se dentro ad ognuna di queste soddisfazioni si possano trovare i semi di
una qualunque superiorità.
Dunque vediamo: in alcuni dei casi che vi ho raccontato, ebbene, io non ho difficoltà ad ammettere che
mi sono sentita, diversa rispetto agli altri. Ma, certo, diversa, significa migliore; e, migliore, significa
superiore: lo capisco anch’io.
Per esempio, quando ho indietreggiato con la mia auto, in quel momento mi sono sentita superiore a
quegli altri che ottusamente restavano senza muoversi. Nell’altro esempio delle piante, la soddisfazione
consiste sicuramente in una superiorità sulle piante dei miei vicini. E così pure, in famiglia forse ritengono il
mio giudizio sul latte superiore al loro. E ancora nel caso in cui avevo capito il significato di quella parola,
effettivamente, sotto sotto, c’era il pensiero di una superiorità sui tanti altri che non l’avrebbero capita.
Nell’ultimo esempio, certo, mi ero sentita superiore ai miei familiari.
Quindi ho trovato queste superiorità. Invece, negli altri esempi che ho fatto non intravedo alcuna
superiorità. Almeno così mi sembra”.
La signora Rossi si allontana.
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Per vedere se la superiorità costituisca sempre il nocciolo delle
soddisfazioni di valore, è ovvio che dobbiamo riportarci su quegli esempi di soddisfazioni dentro i quali la
signora Rossi non ha trovato alcuna superiorità. Certo, in molti casi è difficile trovare confronti vincenti nei
riguardi degli altri. Sembra proprio che non ce ne siano.
Eppure, per tutte le soddisfazioni, proprio per tutte, alla fine, si potrà rispondere che la superiorità c’è
sempre.
Come?
Applicando sempre lo stesso interrogativo.
E questo interrogativo lo andiamo subito ad applicare proprio a quelle soddisfazioni in cui la signora
Rossi non ha trovato alcuna sensazione di superiorità.
Allora ci chiediamo: se tutte le persone del mondo avessero a disposizione un’amica che le stimi, la
signora Rossi avrebbe provato ugualmente quella soddisfazione?
Se si venisse a sapere che tutte le donne attraggono gli uomini nella stessa misura , la signora Rossi
avrebbe provato ugualmente quella soddisfazione?
Se tutti per legge dovessero portare scarpe di quello stesso colore, la signora Rossi avrebbe provato
ugualmente quella soddisfazione?
A tutte queste domande la signora Rossi, o chiunque altro, risponderebbe: “No”. E quindi applicando
questo tipo di interrogativo a qualunque esempio di soddisfazione si vedrà che la risposta sarà sempre:
“No”. E questi “No” sono subito la dimostrazione che, in ogni soddisfazione, c’è sempre una qualsivoglia
superiorità, derivata da un confronto con altri.
“Se tutti”, “Se tutti”: con queste strambe ipotesi scomparirebbero tutte le soddisfazioni di valore.
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IL TABU’ DEL
VALORE

■

NEGAZIONE – OCCULTAMENTO – NAUSEA

Mentre leggiamo, siamo a disagio?
Anche se quello che leggiamo lo consideriamo abbastanza vero, ugualmente siamo un po’ irritati?
Fin quasi a metà libro, ci mancherà l’aria? Solo là, finita la trattazione del valore, incominceremo a
respirare?
A disagio? Irritati? Serve l’aria?
E’ normale: viviamo un tabù.
Stai con una tua amica e le dici: “L’hai detto per apparire a tutti una persona colta, vero?” e lei risponde
subito: “No, assolutamente”.
Un’altra volta le dici: “L’hai detto perché vuoi avere ragione, vero?” e lei risponde: “No, l’ho detto per
lui”.
Un’altra volta le dici: “L’hai fatto per far risaltare la tua persona, vero?” e lei risponde subito: “Sei
matto?”.
Un’altra volta le dici: “L’hai fatto per distinguerti, vero?” e lei risponde subito: “Non ci ho pensato
nemmeno”. Sono state tutte risposte in buona fede.
Ma la tua amica avrà colto la verità dentro di sé? Oppure no?
Non lo possiamo sapere, ma è certo che, se incalzata, la tua amica presenterebbe sempre motivazioni,
altre, non di valore, di altro genere.
Resta il fatto che ha immediatamente negato senza pensare a nulla; e resta il fatto che le sue risposte sono
state, istintivamente, unidirezionali.
16

In più, lei ha sentito che sei stato sgradevole con lei; e pazzo.
Chi risponde, qui si sente come se fosse stato messo sotto accusa.
Ma perché sotto accusa? Perché? Eppure, son cose di tutti.
E noi?
Diciamo: “Mi dà noia”, frase incongruente, al posto di: “Se lo facessi, ci perderei in personalità”.
Diciamo: “In questa cosa mi diverto”, frase incompleta, al posto di: “In questa cosa ricavo divertimento e
soddisfazioni”.
Diciamo: “Così è più bello”, frase vaga, al posto di: “Questo mi valorizza di più”.
Diciamo: “Mi pare brutto”, frase sviante, al posto di: “Questa cosa mi svalorizzerebbe”.
Ma perché non ci esprimiamo in modo esatto? Perché usiamo tante cautele?
Agisce il tabù del valore.
Tutte le pagine del valore riguardano indistintamente tutti. Ma se apriamo una pagina a caso per
applicarla a noi stessi, pensiamo: “No, io no”. Se apriamo una pagina a caso per applicarla agli altri, questi
ci rispondono nello stesso modo, se non addirittura: “Mi vuoi offendere?”. E, parlando con gli altri, quando,
semmai involontariamente, si va a capitare sui tentativi di valorizzazione di qualcuno che sta parlando con
noi, ecco allora che il discorso subisce pause, va a saltelli; per poi riprendere da un’altra parte.
Imbarazzo, negazioni ed occultamenti: la stessa ripetitività di tutti questi
atteggiamenti ci fa capire che c’è un tabù.
Perfino se abbiamo tradito, rubato, ucciso, perfino sugli argomenti più scabrosi che ci possono riguardare,
qualche volta non lo nascondiamo; qua invece, sempre. Eppure si tratta del quotidiano e normalissimo
bisogno di valore di tutti, il quale è continuamente nei nostri pensieri e continuamente muove le nostre
parole e le nostre azioni.

Ma come si fa a parlare agli altri di questo argomento, se subito stanno a disagio? Come si fa ad
esaminare con loro queste cose, se subito ci guardano perplessi come se fossimo maleducati? Come si fa a
parlar loro di questo, se subito pensano: “Che c’entro, io, con la valorizzazione?”. Come si fa a ragionare
con loro, se subito dicono: “Sono cose meschine”?
Come si fa a spiegare loro le cose del valore se loro non le vedono mai dentro di sé?
Certo, se si trattasse d’altra cosa, non si affannerebbero a negare così agitatamente. Però, d’altra parte, è
pure comprensibile che reagiscano così: il tabù agisce per lo più, inavvertito.

Il bisogno di valore è addirittura ingombrante, eppure, quando si tratta di noi, abbiamo subito difficoltà a
parlarne, non vogliamo nemmeno nominare le parole che lo riguardano, non abbiamo voglia di andare a
fondo, inconsciamente ce lo spieghiamo con altre ragioni.
Solo a parlarne, solo a sentirne parlare, sentiamo nausea. Vogliamo smettere. Nausea lieve? Nausea forte?
Ed anche irritazione, se ci fanno restare per forza a parlarne.

Il valore: perché pensiamo che non ci riguardi? Perché inconsciamente lo nascondiamo? Perché ci viene
la nausea?
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La risposta è: perché il valore è tabù.
Ma perché il valore è tabù?
A questa risposta possiamo arrivarci.

■

IL BISOGNO DI COMUNICARE

Possiamo arrivarci: il valore porta con sé anche il desiderio di comunicare agli altri quello che sentiamo
come valorizzante per noi. Inconsciamente, con una motivazione di valore, vogliamo in qualche modo far
sapere, o far vedere, agli altri, le nostre cose buone: piccole o grandi, incerte o effettive, sognate o reali.
Giuriamo che per noi non é così, diciamo: “Io, no”, ma questo bisogno c’è. Se ci teniamo tutto dentro,
sentiamo che ci manca qualcosa.
E’ vero, nei nostri pensieri noi già finiamo per valorizzarci moltissimo, ma non sempre questo ci basta.
Tutte quelle cose che in quel momento sentiamo che sono un po’ valorizzanti per noi, per una motivazione
di valore, proviamo a dirle agli altri. Le devono sapere. Solo questo. Solo per questo. Le devono soltanto
sapere. E dopo che abbiamo detto quello che dovevamo dire, il più è fatto.
I risultati?
Che siano quel che siano. Infatti quasi sempre a noi non interessa conoscere quale sia stato il ricevimento
di quella cosa nell’animo degli altri: no, questo sarebbe un altro lavoro, un lavoro in più.
Per noi, quella, è la cosa importante: scaricare la merce.
Che ne faranno di quella merce?
Non ci mettiamo a pensarlo.

Del resto, se non gliela diciamo noi quella cosa, nessuno la saprà mai; se non gliela mostriamo noi quella
cosa, nessuno la conoscerà mai.
Gli altri hanno troppo da pensare alle loro cose. Che se ne importano di noi? Che se ne importano di
sapere di noi: come siamo o come non siamo? Loro non ne hanno alcun interesse perché vanno sempre di
corsa con in testa le loro cose e non hanno proprio né il tempo né la voglia di approfondire quello che ci
riguarda.
Chi le noterà le nostre tante piccole cose buone, che facciamo o che abbiamo nell’animo?
Ma, poi, che possono capire gli altri? Dopo anni, non sanno niente di noi, nemmeno gli aspetti più
evidenti. Non conoscono le nostre caratteristiche positive, i nostri piccoli pregi, le nostre buone intenzioni.
Perfino gli amici più vicini a noi, dopo anni ed anni di conoscenza, non apprezzano di noi che poche cose,
semmai solo quelle che balzano per forza agli occhi; e semmai proprio quelle cose che a noi non interessa
che siano apprezzate. Gli altri non sanno scrutare in noi quel poco di buono che c’è. Ed anzi, se noi abbiamo
fatto, o detto, una cosa buona, molti di loro tendono a pensare in male, più che a pensare in bene.
18

In famiglia? Anche là, può capitare che, se andiamo a dire quella, che è veramente una buona qualità che
abbiamo, questa qualità non ci venga riconosciuta. Ed allora diciamo: “Beh, se nemmeno qui questo mi
viene riconosciuto, figuriamoci dagli altri!”.
Quindi, a dire certe cose, ci siamo, come dire?, costretti.
Costretti? Si, costretti, e diciamo le cose, quasi sempre senza rendercene conto.
Per aiutare il valore è necessario. Nessuno ne può fare a meno. Nessuno ne può fare a meno: sempre. E
se ci saranno alcuni che in buona fede diranno: “Mai”, ciò sarà solo perché non se ne accorgono.

Certo, è vero, non tutti gli altri ci interessano: solo pochi, di volta in volta, sono gli altri a cui veramente
ci interessa di dire le nostre positività. Con loro, se capita, lo faremo.

■

LA REAZIONE DI ABBASSAMENTO
Allora noi siamo con questa voglia di dire certe cose, ma dall’altra parte c’è qualcosa che ci ostacola.
Che cosa ci ostacola?
Ci ostacola la reazione degli altri.
C’è un’esperienza che inconsciamente arriva a tutti, fin da ragazzi, attraverso la quale siamo avvertiti che,

quando vogliamo dire qualcosa di positivo di noi, può anche capitare che si producano, nell’ambiente
circostante, effetti palesemente negativi proprio per noi stessi. Possiamo produrre negli altri una reazione di
abbassamento. Questa esperienza ci avverte decisamente.
Quando qualcuno cerca di mostrare qualche sua positività, o prova a parlarne, alcune volte si può creare
negli altri una sensazione di insofferenza; altre volte un’atmosfera sospesa.
Ed, anche dentro di noi, alcune volte, senza saperlo, le tentate valorizzazioni
degli altri non sono di nostro gradimento. Qualcuno parla di una sua positività, e non c’è dubbio che qualche
volta noi possiamo trovarlo, non piacevole, senza alcun’altra ragione che averlo sentito.
Ma attenzione: nella stragrande maggioranza dei casi, questa reazione
opposta non nasce: non ci dispiace sentire qualcuno che si vanta, chiaramente o tra le righe. Non ci dispiace
vedere qualcuno che si vuole attribuire qualche punto a favore. Gli altri possono parlare e possono dire
quello che vogliono. In tanti casi non succede niente. Tutto fila liscio. Certe cose non ci toccano. Infatti, le
reazioni di abbassamento sono, come dire?, a nostra insaputa, molto selettive: solo in certi casi, ogni tanto,
in quei casi là.
Certe volte, è diverso se la stessa cosa ci venga detta, o mostrata, da una persona o da un’altra: contro la
prima sorge la nostra reazione di abbassamento, contro la seconda non abbiamo reazioni, non ce ne importa.
Tutta questa reazione sorge, perché in quel caso il nostro valore non
vorrebbe vedere che una cosa di un’altra persona: si sollevi davanti a lui. In quel momento quella cosa si
solleva, e i nostri occhi mentali non vogliono solo restare a guardare. Sia che si sollevi sopra di noi e sia che
si sollevi mettendosi alla pari di noi, il nostro valore in quel momento prova dispiacere e quindi
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automaticamente nasce la nostra reazione. Questa reazione, poi, può restare solo nel nostro animo
diventando automaticamente pensieri svalutatori, o venir fuori all’esterno diventando parole e frasi
svalutatrici di quella cosa che abbiamo sentito sollevarsi un po’. E sono svalutazioni che servono ad
abbassare.
Ma questo può capitare solo quando noi ne siamo in qualche modo, come dire?, sensibili. Possiamo venir
provocati solo quando ne siamo sensibili. Quando non ne siamo sensibili, le cose degli altri possono
sollevarsi quanto vogliano senza che ce ne importi nulla, e la reazione non nasce.
Dispiacere

reazione di abbassamento.

Nascono dentro di noi, in una nebbia fittissima. La critica di abbassamento viene fuori subito, ma quel
dispiacere del valore che l’ha causata sta in fondo in fondo all’animo.
Eppure, potrà capitare anche il caso che, dopo aver fatto chiarezza, noi protesteremo: “E’ vero, ho parlato
ridimensionando il successo del nipote di mio marito nella pittura, ma che c’entra la pittura con me?”:
eppure, un pur sottilissimo oscuro collegamento deve esserci stato se è scattata la reazione di abbassamento.

Qua sembrerebbe che voltiamo pagina, mentre assolutamente restiamo nella stessa pagina: ebbene,
sempre inconsciamente, le reazioni di abbassamento nascono in noi, non soltanto causate da quello che
dicono gli altri, ma, qualche volta, alcune di esse, nascono da qualcosa degli altri, senza che questi altri, in
alcun modo, lo abbiano detto.
Se uno legge un libro di psicologia potrebbe far nascere una reazione di abbassamento.
Anche se uno scrive poesie.
Se uno, molto anziano, si allena correndo per la strada potrebbe far nascere una reazione.
Oppure se uno spesso fa del bene ad altri.
Oppure ancora se uno si è fatto un vestito diverso.
O se uno è un animalista vegetariano. O se è conosciuto da tutti. O se dicono di lui che è un eroe. Oppure
se fa parte del Comitato Irrigazioni. Oppure se non vuole assolutamente farne parte. Insomma, da qualunque
cosa può nascere una reazione di abbassamento.
Ecco: quella persona che legge, quella che scrive, quella che corre, quella che aiuta, quella che ha il
vestito, quella vegetariana, quella che è conosciuta da tutti, quella che è un eroe, quella del Comitato, quella
che non vuole, ebbene, queste persone, mai avevano parlato di quelle loro cose. Quelle persone stavano per
conto loro. Eppure, eppure, senza volerlo, senza sospettarlo, hanno potuto suscitare in qualcuno una
reazione di abbassamento.
Ma se nessuno ne ha parlato? Sorge anche così?
E’ lo stesso.
E allora le reazioni in molti casi nascono anche senza che ci sia alcuna esternazione da parte degli altri.
Ma è come se l’avessero detto. Quello che conta è quello che abbiamo sentito noi: un’emanazione di valore
che ci proveniva da un altro. Il nostro valore ne viene toccato, non è contento, quella cosa si alza, nasce
inconsciamente una reazione di abbassamento.
E questo anche quando gli altri avevano semplicemente seguito i loro gusti. Anche quando erano
nell’ambito dei loro diritti. Anche quando erano restati all’interno di comportamenti consueti.
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Ma, sia che ne parlino o sia che non ne parlino, come vanno le cose?
Ovviamente, inconsciamente, si deve tirar giù quello che si è sollevato.
Come?
Si tira giù con la critica verbale, che svalutando abbassa. La critica, per tirar giù quello che si è alzato, è il
mezzo più immediato e facile da usare: subito semplice, universale. Certo, ci sono anche altri mezzi che noi
usiamo: cercare di ignorare, o cercare di non parlarne, o di non rispondere, o ironizzare, o fare l’uguale, ma,
fra questi tanti modi, è la critica a portare la svalutazione più evidente.
C’è bisogno di abbassare l’altezza di quella cosa che si è sollevata.
E quando, per tutte queste cose, qualcuno in buona fede dice al valore: “Tu sei meschino!”, il valore gli
risponde: “Tutto questo è in tutti, e quindi anche in te. Lo sai quale è la posta in palio?”

La reazione di abbassamento: perché non chiamarla direttamente, invidia?
Non sarebbe una buona cosa. Perché l’invidia e la reazione di abbassamento hanno parecchio in comune,
ma non coincidono perfettamente. Per esempio, se a me è antipatico un Cantante e dentro di me gli rivolgo
qualche critica, si chiamerebbe invidia, tutto questo, per me che non canto, non suono e non ballo? Allora si
direbbe: “Invidia? Invidia di che?”. In più, questa reazione di abbassamento è un dispiacere e una reazione,
sottilissimi, sentimenti inconsci, trascorrenti, innocenti già solo per la loro naturalità, non riflettuti, di tutti i
giorni, comuni a tutti. Invece, quello che intendiamo comunemente per invidia è solo un grosso peccato che
rimproveriamo ad altri.
D’altra parte, anche noi, senza saperlo, cerchiamo di non suscitare quella reazione negli altri ed a questo
scopo siamo costretti a stare attenti a moltissime cose. Vogliamo comportarci bene e non diventare antipatici
agli altri: quasi come se fosse un comportamento di buona educazione. Certo, non sempre rischiamo di
causare negli altri la reazione di abbassamento. Non sempre è così. A volte possiamo parlare a ruota libera, e
non succede niente. A volte possiamo accennare a qualcosa di valorizzante per noi senza suscitare reazioni.
Possiamo avere di fronte una persona che ci vuole bene e parlare liberamente senza conseguenze. Se quella
persona è a noi la più cara di tutte, può diventare: la nostra palestra di valore in libero orario continuo; da
quella persona non temiamo reazioni. Tranquilli come bambini scarichiamo tutto il valore che vogliamo.
Comunque abbiamo esperienza che anche con tanti altri spesso la reazione non nasce. Senza pensarlo, lo
sentiamo: “Ma sì, con lui questo posso dirlo”, “Ma sì, con questa persona queste cose posso mostrarle
tranquillamente”, “A lei sicuramente posso parlarne”.
Tutto inconsciamente: ma, con un altro, come facciamo a prevederlo? Certo, sono poche le reazioni degli
altri, ma il rischio c’è sempre. Sì, è vero, su quella cosa non dovrebbe avere reazioni, ma come esserne certi?
Non sempre possiamo sentire dove ci sia sensibilità di valore. Non sempre possiamo intuirne la presenza
negli altri.
Nel loro animo la reazione di abbassamento può sorgere ad ogni minimo accenno di valore nelle nostre
parole o nei nostri comportamenti. Certe volte, le persone, a questo proposito, hanno vista acutissima,
colgono ogni più piccola traccia di valore. Hanno orecchio fino, sentono qualunque fruscio di valore
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all’interno delle nostre parole. Subito entrano in allarme. Vedono ombre di valore dietro ai nostri
atteggiamenti. Credono anche di vedere quello che non c’è.
Caso estremo: noi stiamo così attenti a non indurre negli altri reazioni
opposte che perfino quando è un altro che ci rivolge una lode o un semplice complimento, ebbene, anche in
questi casi, noi siamo cauti e spesso rispondiamo attenuando la lode o smentendo in parte il complimento.
Nel cinquanta per cento dei casi, in molti casi, noi rispondiamo così; scatta dentro di noi questo impulso a
ridimensionare. Lo facciamo così, subito: in un certo modo, senza pensarci.
Ci dicono una cosa carina: chi risponde non si pone il problema di vedere se quello che gli è stato detto
sia vero o falso, come normalmente si fa. Qui, chi risponde non si interessa di verificarlo, essendo
immediatamente teso solamente a non accettare la lode completamente per non causare una reazione.
E pensare che le lodi degli altri sono per noi un regalo raro e prezioso; e pensare che arrivano alle nostre
orecchie, quasi tutte, come vere e fondate. Noi ne abbiamo bisogno, loro ce le danno: logico sarebbe che le
accettassimo interamente senza lasciare nemmeno una briciola nel piatto.
Invece noi, a volte, ne limitiamo la portata. Operiamo limature che sono dei tipi più vari, quello che al
momento ci viene in mente, con grande fantasia di contenuti. Spesso sono limature quasi impercettibili, una
piccola parolina quasi nascosta nella risposta. E se non ci sono parole, ci mettiamo una risatina, un verso
della bocca, un socchiudere gli occhi, un cambiare di discorso, ecc., ecc..
Proprio questa situazione così estrema è la migliore dimostrazione che noi inconsciamente abbiamo
sempre in testa la reazione di abbassamento degli altri. Ed a tal punto noi l’abbiamo sempre in testa, che
temiamo che una reazione si possa formare addirittura nello stesso animo di colui che ci ha lodato. Noi
dovremmo pensare: “E’ proprio lui che lo ha detto; io lo accetto interamente, non succederà niente”. Ed
invece limitiamo la lode, solo per evitare proprio il raro caso in cui tale reazione possa sorgere proprio in
colui che ci ha fatto quel complimento. Accettare completamente: potrebbe risultare a lui come se lo
avessimo detto noi.
Sediamoci in poltrona ed assistiamo a queste due scenette.
Prima scenetta
Leopoldo incontra Paolo e gli dice: “Paolo, hai fatto qualcosa di veramente buono” e Paolo
immediatamente risponde: “Non ho fatto niente di speciale”.
Seconda scenetta
Leopoldo incontra un’altra volta Paolo e gli dice, esattamente, quello che Paolo aveva detto nell’altra
scenetta: “Paolo, non hai fatto niente di speciale”. Ma a questo punto incredibilmente lo stesso Paolo
risponde: “Si, però, proprio niente di speciale: veramente, non è vero: io ho fatto …”.

■

LE DECISIONI DEL PONTE DI COMANDO
C’è, in tutti, il Ponte di comando: ecco ora, un’altra prova che tutti temiamo, sia pure non chiaramente, la

reazione di abbassamento degli altri.
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Anche se non ce ne accorgiamo, spesso viviamo quel dubbio: la diciamo, o la mostriamo, quella cosa
valorizzante, anche se questo ci può attirare addosso la reazione? Vale la pena di rischiare? E’ il momento
opportuno, questo? Il rapporto con alcune persone non vogliamo peggiorarlo.
Ma, nella nostra inconscietà, c’è il Ponte di comando, che lavora per noi e noi non ne sappiamo niente.
E’ lui che decide dentro di noi. E’ lui che decide di volta in volta.
Ci siamo noi che vorremmo dire certe cose; fuori di noi troviamo il rischio di certe reazioni: tra le due
forze, si pone dentro di noi il nostro Ponte di comando a decidere quello che a noi conviene fare. Questo
Ponte di comando decide, nella situazione particolare del momento, se debba prevalere la repressione o se
debba essere lasciata via libera al desiderio di comunicare: quindi prende decisioni negative o decisioni
positive.
Le decisioni negative danno ragione completamente al timore di una reazione di abbassamento e così
viene giù l’ordine: “Fermare le macchine”: la cosa non deve venir detta, né mostrata.
Le decisioni positive invece danno via libera al bisogno di comunicare e così viene giù l’ordine: “Avanti
tutta”: si può far conoscere agli altri quella cosa.

■

L’AGGANCIO IMPROVVISO

Il Ponte di comando lavora, certe volte, in modo tranquillo; altre volte, in modo rocambolesco. Lavora in
modo tranquillo quando, sapendolo prima e volendoci accontentare, trova il momento più adatto per darci
via libera: quando si rischia la minore reazione possibile.
Invece lavora in modo rocambolesco, quando, mentre stiamo parlando con gli altri, capitando
improvvisamente una buona occasione, deve prendere una decisione all’istante. Si o no? Qui è stupefacente
la sua prontezza. Il Ponte di comando non sembra mai soffrire di incertezze. Un preciso ordine ci arriva
immediatamente. Se la decisione è positiva, va sfruttato subito l’aggancio capitato nel discorso: va detta
immediatamente la cosa (motivazione di valore).
Il problema per lui è quello di intrufolare in qualche modo quello che
vogliamo dire, sembrando ugualmente di rispondere a tono e sembrando di continuare coerentemente il
discorso che si sta facendo.
Il Ponte di comando cerca di fare in modo che la persona con cui si sta parlando non ci venga a dire: “E’
questo che c’entra?”.
Uscendo un poco dalla coerenza dello scambio verbale, nello stesso tempo bisogna restare attaccati
all’argomento: senza strapparlo. Siccome saremo rimasti, come dire?, nelle vicinanze, le altre persone non ci
faranno caso perché non avvertiranno grosse deviazioni dal filo del discorso. Ed è questo il risultato che
spesso il Ponte di comando riesce ad ottenere: che appaia, naturale, l’aver detto in quel momento quella
certa cosa. Sembrerà all’altra persona un semplice arricchimento dell’argomento di cui si sta parlando, e non
una motivazione di valore.
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Insomma, c’è la possibilità di avere uno sconto sul prezzo. Se la cosa scivola nello scambio verbale senza
apparenti forzature, allora una eventuale reazione di abbassamento non sorgerà o, se sorgerà, resterà blanda.
E questo sarà un vero e proprio sconto sul prezzo per noi, che paghiamo spesso prezzi interi per esternare
quello che al nostro valore interessa che sia detto.

Spessissimo poi il Ponte di comando, accorgendosi di una nostra voglia di dire una certa cosa, crea un
aggancio, come dire?, artificiale. Introduciamo un argomento, a cui poter agganciare poi con naturalezza
quello che vogliamo dire. Oppure all’altra persona domandiamo una cosa che la riguarda, attinente a quello
che dobbiamo dire; così, dopo che la persona ha risposto parlando di sé, noi subito diciamo quello che
vogliamo farle sapere.

■

AVANTI CON ISTRUZIONI DETTAGLIATE
Con le decisioni positive il Ponte di comando ci dice: “Vai avanti, fai come vuoi”. Ha deciso che non c’è

pericolo, possiamo stare tranquilli. Il Ponte di comando è sicuro che non sorgeranno reazioni di
abbassamento.
In molti altri casi, invece, il Ponte di comando ci lascia via libera, sì: ma
non completamente.
In questi casi pensa che valga la pena di rischiare, ma solo andando avanti con cautela. La via libera che
ci ha dato potrà essere percorsa da noi: ma solo con le sue istruzioni dettagliate.
In alcuni casi ci fa premettere: “Io ho questo difetto: …”. Oppure: “Non so se è una cosa buona o
cattiva:…”. Oppure: “Forse sono fatto male: …”. Ecc., ecc..
Altre volte dobbiamo dire la cosa con toni di voce umili e modesti.
O dobbiamo dirlo mostrando nello stesso tempo di volerlo nascondere.
Oppure dobbiamo dirlo solo con un piccolo gesto, un’occhiata, un movimento.
Certe cose si possono dire col tono scherzoso, come se non dicessimo sul serio.
Si possono premettere frasi cautelative del tipo di: “Modestamente, …”. “Senza nulla togliere agli altri,
…”. “Non per vantarmi: …”. Ecc., ecc..
Altre volte il Ponte di comando ci fa dire la cosa che vogliamo dire ma ci fa sottolineare che noi sappiamo
benissimo di non doverlo dire e che tuttavia facciamo solamente una scusabile eccezione: “Sì, qua non
voglio fare il modesto:…”. Oppure: “ Veramente non lo dovrei dire, ma …”. “Ormai è passato molto tempo,
lo posso dire: …”. Ecc., ecc..
Ma non sempre le cose sono semplici.
Spesso il Ponte di comando ci fa sbandierare una falsa motivazione, mentre poi diciamo quello che
dobbiamo dire. “A te fa piacere sentire queste cose: …”. “Per farti capire come sono quelle persone:…”.
“Ho bisogno di un consiglio su questa cosa: …”. “Ve lo dico perché, saperlo, possa servire anche a voi: …”.
“Vedi se va bene: …”. Ecc., ecc..
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Altre volte ci fa dire quello che facciamo, ma lamentandocene come di una cosa noiosa o gravosa.
Infine, avvertendo una nostra grande impazienza , il Ponte di comando, non trovando altri modi, certe
volte opta addirittura per il metodo del: dire altro per dire quello: c’è la vera motivazione di valore per la
quale parliamo, ma diciamo tutt’altro.
Noi vogliamo far sapere A (motivazione di valore) ma diciamo R senza mai dire A. E così il messaggio
parte nascosto.
Il Ponte di comando è convinto che quella persona con cui stiamo parlando, anche se abbiamo detto altre
cose, ugualmente potrebbe arrivare a pensare le cose che facevano parte del messaggio nascosto. Dentro la
sua mente dovrebbe poter avvenire una spontanea congettura o anche un semplice passaggio mentale, da cui
possa venire in rilievo la cosa oggetto del messaggio nascosto. E quindi, quella cosa, l’avrà pensata, lei,
quella persona. E noi? Noi non c’entriamo. Lo avrà pensato lei, e non potrà mai associare quello che noi
abbiamo detto a quella cosa buona che ora nota in noi: da tutto ciò, niente reazione.
Si aprirà questo corridoio nella mente di quella persona?
Ebbene, se non si aprirà, pazienza; per il Ponte di comando sarà valsa la pena di aver tentato questo
metodo.
Adesso serve proprio qualche esempio della signora Rossi. Eccola.
Inizia: “Pur avendo ben capita la cosa, non sono riuscita a trovare dentro di me le operazioni del dire altro
per dire quello. Forse ci saranno pure state, ma comunque non ho esempi da darvi. Il patto era che gli
esempi dovevano essere cose, capitate veramente, e non inventate. Mi dispiace”.
Se ne va.
E allora?
Allora, esempi completamente inventati..
Io dico ad un amico: “Devi stare molto attento”.
Non mi importa nulla dell’amico e ho detto questo solo per fargli sapere che io mi ero accorto della
difficoltà di quella situazione (motivazione di valore). Ho portato avanti la cosa come se avessi parlato
affinché lui potesse stare più attento.
Siamo, in gruppo, tutte donne. Si sta parlando delle meraviglie dei nuovi
telefoni moderni. Dico: “Esiste un telefono di casa, fatto in modo che soltanto l’interessato possa rispondere
alle telefonate per lui?”. E ho detto questo solo per far loro intuire che io ho un rapporto d’amore segreto
con un uomo (motivazione di valore). Ho portato avanti la cosa come se avessi avuto la curiosità di scoprire
nuove capacità tecniche dei telefoni. Un’amica, allora, mi dice che per ora un telefono di casa simile non
esiste però forse un domani si potranno differenziare le suonerie, ma smette subito vedendomi
completamente disattenta.
Io sono un bambino di dieci anni. Dico al mio cuginetto più piccolo: “Ti
ricordi un mese fa, quando andammo giù al paese, come ci divertimmo?”. E ho detto questo solo per fargli
venire alla mente di quando, durante quella sera, io riuscii a far girare la ruota (motivazione di valore). Ho
portato avanti la cosa come se avessi cercato di rinnovare ancora col ricordo il piacere goduto insieme. Lui
dopo un po’ mi risponde: “Ma io, mi ci annoiai”.
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Eppure, invece, ci sono anche dei casi in cui lo ascoltiamo di meno, il Ponte di comando. Se lui trova il
modo di aiutarci subito, va bene, ma se poi dobbiamo aspettare sempre i suoi modi ed i suoi tempi, allora no.
In questi casi, assolutamente, di certe cose ne vogliamo parlare, non ce ne importa, lo vogliamo dire subito,
senza aspettare.
Quali sono questi casi in cui il Ponte di comando viene messo da parte?
Questo accade esattamente o quando ci troviamo su di un nostro, importante, punto di soddisfazione (non
ancora trattato) del quale ne vogliamo parlare; o quando abbiamo un livello di valore molto basso e
dobbiamo parlare per forza; oppure, quando abbiamo già incominciato ad avere dalla nostra mente qualche
disfunzione del comportamento e quindi andiamo, come dire?, a ruota libera a dire quello che vogliamo.

■

COME SI ARRIVA AL TABU’

Conclusione: perché il valore diventa tabù?

Risposta: il valore diventa tabù a causa delle reazioni di abbassamento.
Certo, quando i bambini sono tanto piccoli da non conoscere queste reazioni, si può allora vedere quanto
sia sfrenato e senza riguardi il bisogno di comunicare il proprio valore; ancora di più, quando si trovino in
gruppo; ancora di più, in gruppo, alla presenza di un adulto significativo. Poi, prima o poi, arriverà
quell’esperienza, la quale diminuirà almeno un po’ l’irruenza di quelle acque tumultuose.
Fin da piccoli registriamo ed accettiamo, come regola ammonitrice, il fatto che, certe cose un po’
valorizzanti, se vogliamo essere sicuri, le possiamo dire, o mostrare, solo ai genitori. Spesso, non ai
coetanei, e , perfino, non ai fratelli. Da costoro a noi, qualche volta viene l’avvertimento che la cosa può non
essere gradita. La reazione opposta che ci viene da loro è come se ci dicesse: “E’ vietato”. Nello stesso
tempo a noi stessi qualche volta non è gradito sentire certe cose dai coetanei e quindi anche dall’interno del
nostro animo viene fuori la voce: “Non si fa”.
Risultato: è vietato.
Per il tabù, nessuno ci spiega la cosa. Per gli altri comportamenti che
dobbiamo evitare riceviamo un continuo insegnamento. Per questo, nulla. Ed anche se qualche genitore più
preoccupato ci dice: “Non ci si vanta con gli altri”, poi non potrebbe avventurarsi a spiegare bene la cosa. E
si sa che tutte le cose di cui non si conosce la provenienza fanno più impressione.
Risultato: mistero.
Risultato: vietato e mistero.
Vietato e mistero quindi avvolgono le nostre piccole esternazioni di valore. Ma la nostra mente farà presto
ad applicare, vietato e mistero, non più solamente alle esternazioni di valore, ma anche direttamente
all’intero discorso del valore. Vietato e mistero, silenzio imbarazzato.
Questa trasposizione mentale è l’ovvia naturale conseguenza.
Sarebbe stato ben prevedibile che finiva così: tutto via.
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Tutta la sentita necessità di valore diventa, vietato e mistero, ed anche tutto quello che ne parla.
Da queste impressioni, da quello che abbiamo visto e sentito, il risultato non poteva che essere quello: il
valore diventa un tabù.
Il valore è tabù.
Finiamo per associare mentalmente il concetto di valore a qualcosa, come di brutto, di odioso, di sporco.
E crescendo, le cose non mutano. Il tabù ormai si è radicato in noi e può continuare indisturbato, perché
niente e nessuno intorno a noi contribuisce più a diradarlo.
Da adulti, col nostro allontanarci dai genitori, il principale porto franco che avevamo ci viene precluso. E
poi le cose sono cambiate: siamo diventati grandi, ed anche con essi ormai quasi sempre usiamo le stesse
cautele che usiamo con gli altri.

■

LO SAPPIAMO – SEMINCONSCIETA’ – INCONSCIETA’
Certe volte ne siamo coscienti. Pensiamo: “Non ho voluto parlare per difendere il mio onore” (valore).

Oppure: “Ci tengo molto a questa cosa perché mi dà molte soddisfazioni” (valore).
Ma sono pochissimi questi casi in cui riusciamo ad intuire che si tratta del bisogno di valorizzazione. In
realtà, di questo non vediamo quasi niente nella nostra mente. Vediamo, come vedremmo in un laghetto
dall’acqua torbida, dentro cui nuotino tantissimi pesci. Di tutti questi pesci, che pure nuotano in quel
laghetto, noi ne vediamo solo qualcuno, appariscente, quando salti sopra il pelo dell’acqua e, semmai, altri
due che vengano quasi in superficie. Ma non vediamo null’altro.
Ora, su tutti gli altri diecimila pesci del laghetto, cioè per tutto il valore inconscio che è nel nostro animo,
il tabù agisce indisturbato.
Quindi, da una parte, di quasi tutto il nostro bisogno di valorizzazione personale che gira nei nostri
pensieri, noi non ne sappiamo niente, e, dall’altra, ancora senza che noi lo sappiamo, vi agisce il tabù.
Alla fine, è una cosa, difficile a credersi: mentre, noi, non siamo abituati a tradurre, e quindi non
sappiamo che una nostra motivazione è di valore, ebbene, invece, il tabù, lui, lo sa, lui ha già fatto la sua
traduzione, e quindi noi ci troviamo a nascondere e a mitigare. E così, noi non ne sappiamo nulla, mentre lui
lo sa.
Inconsciamente, a contatto con gli altri, spesso nascondiamo il valore, lo
intrufoliamo, lo presentiamo devitalizzato, lo spieghiamo in altri modi. Poi: da fuori a dentro, nella nostra
mente, il passo è breve: a furia di nasconderlo agli altri, finisce che resta nascosto anche a noi. A furia di
intrufolarlo o presentarlo devitalizzato, finisce che sembra anche a noi una cosa evanescente. A furia di farlo
uscire travestito, finisce che ci resta travestito anche in casa, ed anche noi stessi finiamo per considerarlo
qualcosa d’altro.
Risultato: il valore diventa spesso inconscio.
Certe volte può anche accaderci che, cercando il perché di un nostro comportamento, escluse tutte le altre
spiegazioni possibili, ci fermiamo pensando: “E allora? Una ragione non la trovo?”. Quella motivazione di
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valore, per il tabù, è qualcosa che non si vede come esistente. Eppure, era semplice, l’avevamo fatto per
quello (motivazione di valore).
Il valore, noi lo viviamo ma non ci riflettiamo.
Lo sappiamo e non lo sappiamo. Lo sappiamo e non ci interessa saperlo. Se ce lo vengono a spiegare,
sembra che già lo sapevamo. Ne parliamo, ma spesso non ce ne chiediamo il perché. Sorvoliamo. Siamo
sonnambuli. Seguiamo motivazioni di valore e dopo non sappiamo bene tutto quello che c’è stato dentro la
nostra mente. In molti casi la spiegazione di valore si trova appena sotto un leggerissimo strato di cipria:
basta soffiarci sopra e si può vedere tutto. Ma non vi soffiamo.
Alcuni guerrieri del valore, all’aperto o solo nei nostri pensieri, escono a
combattere per conquistare altro bottino. Le sentinelle dell’accampamento, ventiquattro ore su ventiquattro,
senza mai riposare, vegliano alla difesa del valore. Migliaia e migliaia di piccoli operai lavorano giorno e
notte. I guerrieri combattono qualunque nemico, le sentinelle urlano al solo avvistamento di eventuali
assalitori, i piccoli operai lavorano assiduamente: e di tutta questa situazione, proprio noi, non ne siamo
pienamente consapevoli. Questa cosa incredibile diventa possibile perché il tabù del valore fa scendere la
nebbia su tutto lo scenario. Una delle tendenze più forti del nostro animo ci risulta un debole fantasma.
Per la prima volta, si scopre il tabù che grava sul valore. E’ stato il gioco delle motivazioni (non ancora
trattato) che, avendo visto tutto questo nostro imbarazzo e tutto questo nostro rifiuto, è andato a vedere.

Ma imbarazzo e rifiuto, di fronte a che?
Di fronte a qualcosa, il valore, che è nascosto e poco chiaro. Allora, per prima cosa, bisogna passare ad
intravederlo, un poco, il valore. Bisogna capire quante cose vanno tradotte in esso. Poi ancora, bisogna
incominciare a pensare che la cosa è così tanto importante, dai nostri pensieri, da riversarsi dai nostri
pensieri prepotentemente fuori, attraverso le manifestazioni esteriori. Ma come si fa a fare tre salti, così
difficili, uno dietro l’altro?
Ebbene, il gioco delle motivazioni (non ancora trattato) ci prenderà per mano, e ci farà fare tutti e tre
questi salti.
Noi avremo discorsi ed azioni da esaminare. Allora, fra le varie risposte, la risposta: “Valore” ricorrerà
spessissimo, minuto per minuto. Spessissimo? Nessuno ci crederebbe.
Sforzo di traduzioni, all’inizio, e poi vedremo che dovremo considerare, di valore, minuto per minuto,
tanta parte di quello che diciamo e facciamo.
A tradurre ci sentiremo spaesati, non l’abbiamo mai fatto, non ci siamo abituati, ma senza traduzioni tutto
resterebbe così come è.
Il gioco delle motivazioni (non ancora trattato) ci richiede traduzioni.
Il valore? Solo il gioco delle motivazioni può scoprirlo completamente. Solo il gioco delle motivazioni
può scoprire quanto continua sia la presenza del valore dentro di noi. Il valore balla continuamente nei nostri
pensieri e quindi si riversa nelle azioni e nelle parole.
C’è qui un interlocutore?
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INTERLOCUTORE – Ma dove sta questo valore ogni minuto, come dite voi? Io non lo vedo. Sì, ogni
tanto, certo, ma poi basta.
AUTORE – Lei lo troverebbe continuamente dentro di sé, se volesse usare il gioco delle motivazioni.
INTERLOCUTORE – Ci vorrebbe anche questo, adesso!
AUTORE – Allora è naturale che Lei non possa vederlo.
Quando, all’inizio, si incomincerà ad usare il gioco delle motivazioni, non capiremo subito la
collocazione, nel valore, di tantissime manifestazioni, anche di quelle più chiaramente di valore. Allora, uno
che sia già esperto nel gioco sicuramente se ne meraviglierebbe. Se potesse entrare nella mente di colui che
appena allora incominciasse ad usarlo, direbbe: “Ma tu, nemmeno questo, vedi che é, di valore? Nemmeno
la cosa più semplice?”. Inoltre, quell’esperto vedrebbe che il novizio capirebbe che le sue manifestazioni
sono, di valore, solo quando é valore che lo tocca fortemente, per le cose più importanti: non invece quando
si trattasse del valore nelle cose piccole, piccolissime, motivazioni di piccolissimi movimenti e piccolissime
frasi, nei momenti insignificanti, sciocchezzuole, bazzecole. E direbbe al novizio: “Devi rifletterci: anche
alcune, di quelle piccolissime cose, che tu fai o dici: non sono, niente; anch’esse, in quel momento,
difendono, proteggono o accrescono il tuo valore. Insomma, nella vicenda del valore, tutto conta e tutto
serve”.
E, se qualcuno ci volesse impegnare a vedere come una nostra piccola cosa sia stata causata dal bisogno
di valore, noi allora, irritati, risponderemmo: ”Il valore? In una cosa così piccola? Sono ben altre le cose…”.

Spreco di energie per mancate traduzioni.
Normalmente non si pensa che tante cose che facciamo abbiano la stessa motivazione, che confluiscano
nello stesso alveo, e siano, come dire?, la stessa cosa. Delineare le proprie sopracciglia con la pinzetta per
apparire meglio, e ristudiare la geografia solo per migliorarsi: sono la stessa cosa. Dire: “Siamo in pochi ad
aver capito questo” per fare notare la differenza, e picchiare spesso la moglie per avere la sensazione di
tenerla sotto: sono la stessa cosa. Dire: “Ho avuto ragione io” solo per ricordarlo agli altri, e mettersi, per
uscire, un vestito migliore di quello di casa: sono la stessa cosa. Dire: “Cinque o sei volte” invece che: “Una
o due” per fare migliore figura, e dire: “Io sono una persona leale” per far notare questa buona qualità: sono
la stessa cosa. Riprendere il discorso per precisare le proprie intenzioni affinché non si pensi che si sia
sciocchi, e impedirsi di fare una cosa, se passa qualcuno, per non fare brutta figura: sono la stessa cosa.
Ecc., ecc..
E normalmente tu non pensi che tante cose che senti nel tuo animo abbiano la stessa causa, che siano
reazioni alla stessa esigenza, e siano, come dire?, la stessa cosa. Sono la stessa cosa: se ti senti fiero della tua
macchina nuova, se non ti fa un buon effetto vedere un tuo coetaneo dimostrare meno anni di te, se critichi,
come avversario, l’altro Settore dell’Ufficio, se, dentro di te, non fai il tifo per tuo fratello durante la sua
gara perché non sta seguendo un tuo consiglio, se in un discorso ometti di dire una cosa solo per non fare
brutta figura, se pensi: “Ben gli sta” di un alpinista che è precipitato, se stai bene perché hai risolto un
cruciverba difficile, se pensi di sparare alla tua fidanzata che non ti ama più e ti vuole lasciare: “O mia, o di
nessuno!”, se ti soddisfa il fatto che ti stai distinguendo dagli altri, se non sei contento se ti dicono che non
hai saputo educare tuo figlio.
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Ecc., ecc..
E ci siamo messi su una cattiva strada: a nulla servirebbero anche diecimila pagine di esempi di tutto
quello che rientra nel valore. Diecimila pagine di esempi non servirebbero ad altro che a dare l’impressione
di aver circoscritto un terreno che invece è infinito.
Il valore va in giro portando con sé una valigia grandissima.
Innumerevoli nostri atteggiamenti, mille volte più di quelli che pensiamo, si trovano, tutti, in quella
valigia. Tantissime, non abbiamo mai pensato che si trovino in quella stessa valigia.
Dal bisogno di elevare e di non far scendere il livello di valore, vengono moltissimi tipi di
comportamenti, parole, sentimenti, reazioni, impulsi, ecc., ecc..
Il valore è in giro dovunque; permea la vita delle persone come la panna con il caffè, solo che, di esso, si
fanno tanti discorsi, ognuno diverso dall’altro.
Si danno tante spiegazioni diverse al posto di un’unica spiegazione.
Dei comportamenti di valore, si danno tante spiegazioni apparentemente diverse, che, tutte, rientrano
nell’unica spiegazione di valore: quella persona ha cercato un po’ di valorizzazione per sé, o, in altri casi,
sta cercando di evitarsi svalorizzazioni.
Si tratta di mattoni dello stesso edificio ed invece: si parla d’altro, di altro, e d’altro ancora.
Mille spiegazioni distinte, mille discorsi distinti: un enorme spreco di energie, per quello che è un
discorso unico. Discorsi e studi: quanto spreco di energie, quanto lavoro inutile, senza capire che, in molti di
quei casi, tutto è solo un effetto della stessa cosa.
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RAPPORTI
COMPLICATI

■

LE SCELTE ED IL VALORE

Ad ogni attimo noi facciamo delle scelte.
Tra le tante scelte possibili, noi facciamo una scelta precisa: quella.
Usiamo un certo tipo di spazzola. Dopo molti ripensamenti compriamo una certa casa. Preferiamo un
certo tipo di vino. Fra le tante cose a disposizione abbiamo scelto quella cosa.
Però le scelte che noi facciamo non sono soltanto le scelte che conducono ad una cosa materiale: la
spazzola, la casa, il vino; ma noi facciamo anche scelte che sono solo nella nostra mente. Usiamo un certo
tipo di comportamento. Dopo molti ripensamenti la pensiamo in un certo modo. Preferiamo in quei casi un
certo tipo di convinzione.
Insieme alla scelte di cose materiali, anche queste, sono, scelte. Infatti fra i tanti modi di pensare possibili
abbiamo scelto proprio quello, in particolare.
Non in altro modo: noi la pensiamo così.
Oggetto delle scelte: dalle cose importantissime, a quelle infime, ridicole.
Le scelte fanno parte della nostra personalità, le danno struttura e colori.
Stanno dentro di noi. Sono, noi. Ci caratterizzano quanto ci caratterizza il nostro viso.
Ora, le scelte sono, noi, perché queste propensioni mentali possono anche interessare il nostro valore.
Infatti alcune di esse, il valore, lo trasportano dietro le spalle: il valore sta nascosto, fino a quando sente di
dover venir fuori al fianco della sua scelta.

Ma attenzione a non generalizzare: in numero maggiore, sono le scelte leggere, le scelte che non portano
dietro le spalle alcun valore. Le scelte leggere sono quelle che non ci caratterizzano in alcun modo. Non
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abbiamo pensato con attenzione ad esse. Potremmo anche cambiarle con altre. Sempre, scelte, sono, ma non
sono, noi. Di esse non ce ne importa.

Invece per le scelte che portano dietro di sé il valore, può sempre capitare che in un determinato momento
possiamo sentircene coinvolti: e questo può sempre capitare, sia con le scelte che trasportano molto valore e
sia con quelle che ne trasportano poco: alcune ne portano dieci chili, altre cinque, altre pochi grammi, altre
un solo grammo. Noi non ne sappiamo niente di niente, ma ciò accade nei nostri animi. Se capita
l’occasione, con motivazione di valore, diciamo agli altri queste cose che pensiamo: noi la pensiamo così.
Inconsciamente, siamo affezionati a queste nostre scelte. Con motivazione di valore, le esprimiamo agli
altri: spesso contrastiamo le critiche che sono rivolte loro; a volte le diciamo come aspetti qualificanti della
nostra personalità; semmai solo in momenti particolari, con certe persone, sì; con altre, no. C’è momento e
momento.
Quando il valore, che è dietro le spalle di una scelta, è pesante, spesso deve
mettere i piedi a terra e noi diciamo come la pensiamo. Quando è poco pesante, spesso può rimanere dietro
le spalle della sua scelta e noi non lo diciamo mai.

■

IL GRANDE ATTRITO FRA LE SCELTE

I modi di pensare, che si mostrano divergenti tra di loro, non provocano alcun attrito, se le due persone
che si stanno guardando, o che si stanno parlando, hanno, in quegli oggetti, una scelta leggera. Non succede
niente. Che importanza potrebbe avere questa diversità di preferenze? Anche se la diversità viene notata: è
una pistola scarica.
Invece basta che uno solo dei due vi abbia una scelta trasportante valore, che subito si crea attrito fra le
scelte. Se noi abbiamo in quell’oggetto una nostra scelta pesante di valore e l’altra persona no, quell’altra
persona non sempre arriverà ad intuire che nel nostro animo è avvenuta subito l’automatica verifica di
comparazione fra la scelta da noi espressa e la sua.
Le scintille causate da questi attriti non mancheranno mai, cadendo sul
rapporto che abbiamo con l’altra persona: almeno per un attimo, sulla trama delicatissima del rapporto,
subito appare un piccolo segno di abrasione. Ciò porta, non c’è niente da fare, una risonanza non buona nel
nostro animo, una piccolissima contrarietà.
Ciò per il fatto che quando incontriamo scelte che sono completamente
opposte a nostre scelte che portano valore, allora le altre persone portatrici di queste loro scelte: è come se
contraddicessero il nostro valore, è come se lo deridessero. E questo anche quando in quel momento nessuno
voglia farsi valere attraverso le proprie scelte: solo a sentire, o a guardare. Ora, siccome fra le persone gli
attriti di questo genere sono frequenti, andando in giro si vedono sollevarsi scintille continuamente da ogni
parte.
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Se poi, con le scelte divergenti, quell’oggetto rappresenta una scelta pesante di valore per ambedue: ne
scaturisce un forte attrito.
Qualcuno potrebbe dire: “Ma che c’è di male a pensarla diversamente? Che fa?”. Ed infatti non ci sarebbe
niente di male, se dietro le spalle di alcune scelte non ci fosse il valore.

Freddo e distanza
In un rapporto, quando i modi di pensare sono troppo spesso divergenti, la conseguenza di questi continui
attriti sarà: freddo e distanza.
Quindi, due persone che la pensano diversamente su troppe cose importanti: non potranno mai stare
completamente bene insieme.
Le distanze psicologiche si allargano a poco a poco, e con le distanze più larghe il raffreddamento del
rapporto arriva prima. Ci sono, certo, altri fattori di unione, ma questo fattore resta della massima
importanza e non va mai sottovalutato.
Calore ed avvicinamento
Se c’è una persona che espone spesso i nostri stessi modi di vedere la conseguenza sarà: calore ed
avvicinamento.
Scoprire che le scelte di un’altra persona sono spesso uguali alle nostre: ci farà sentire simpatica questa
persona, perché confermativa del nostro valore.
Se poi una scelta, che ci sta molto a cuore, per qualche ragione non è condivisa da nessuno, ebbene, allora
incontrare un piccolo omino che la pensi come noi: ce lo farà sentire come un fratello, un fratello
temporaneo.

■

ALCUNE SIMPATIE ED ANTIPATIE

Simpatie ed antipatie: non hanno poca importanza. Sappiamo bene come le simpatie e le antipatie,
sovrastando irresistibilmente la razionalità, possano, da sole, orientare in bene, o in male, alcuni casi della
vita delle persone, e perfino dei popoli. Chi scegli, tu, fra una persona saggia ed onesta che ti é antipatica, ed
una persona di poche qualità che ti é simpatica?
Di molte di esse, simpatie ed antipatie, noi sappiamo benissimo quali sono le cause. “E’ stata onesta. Non
è cosa di tutti i giorni. Mi è simpatica”. “ E’ stato l’unico che abbia capito di che cosa io avessi bisogno. Mi
è simpatico”. “Non vuole in alcun modo farmi passare. Mi è antipatico”. “Mi ha sbagliato la camicia e vuole
farsela pagare. Mi è antipatica”.
E’ semplice: può nascere simpatia per chi, in qualche modo, è stato a nostro favore e, viceversa, antipatia
per chi, in qualche modo, ci è stato contro.
Anche delle simpatie e delle antipatie, quelle causate dal valore, noi ne sappiamo bene le cause. “Proprio
in questo vuole per forza apparire migliore di me. Mi è antipatico”. “Vorrebbe sempre che facessi tutto
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quello che vuole lei. Mi è antipatica”. “Mi ha detto che sono molto generoso. Mi è simpatica”. “Lo tratto
alla pari. Gli sono diventato simpatico”. “Non mi piaceva il posto dove lei stava. Le sono diventato
antipatico”.
Ma alcune altre, delle simpatie ed antipatie, invece, certe volte non ce le spieghiamo. “Perché ti è
antipatico quello?”, rispondiamo: “Boh, non lo so, eppure non mi ha fatto niente”. “Perché ti è simpatica
quella?”, “E chi lo sa? Non la conosco nemmeno”.
Ora, per le simpatie e le antipatie che non ci spieghiamo, possiamo star sicuri, ancor prima di cercare, che
queste, tutte, vengono dal valore. Infatti, se non venissero di là, perché non dovremmo capirne le ragioni?
Così, finalmente, potremo far luce anche su questi sentimenti.

Le simpatie che certe volte non ci spieghiamo (valore) derivano da:
1) Concordanza di scelte trasportanti valore (già trattata)
Ci viene la simpatia verso la persona con cui spesso la pensiamo allo stesso modo.

2) Atmosfera di valorizzazione
Sentiamo di star bene con quella persona. Ci sentiamo a nostro agio con lei. Non calpesta mai la
nostra sensibilità. Ci ascolta mentre parliamo. Non ha fretta con noi. Si mostra con noi, quale è.
Sente il nostro parere. Ha il viso attento ed interessato. E questi modi usati verso di noi sono proprio
quelli che noi gradiamo.
Ci sentiamo bene con quella persona, rilassati e sciolti, e diamo tutto il meglio di noi stessi.
Non ci critica, se non per motivazioni altruistiche.
Se tutti avessero sempre avvilito il nostro valore, con quella persona il nostro valore sentiamo che si
riposa e si ritempra. Infatti in compagnia di quella persona ci troviamo in un’atmosfera di
valorizzazione. E così ci viene la simpatia verso quella persona. Senza conoscerne le ragioni.
Così, nei rapporti continuativi. Ma atmosfera di valorizzazione si può avere anche in rapporti solo
temporanei: quando potevano anche non rispettarci; quando inaspettatamente ci hanno trattato bene.

Le antipatie che certe volte non ci spieghiamo (valore) derivano da:
1) Diversità di scelte trasportanti valore (già trattata)
Moltissime volte sentiamo antipatia verso la persona con cui spesso non pensiamo, non ci
comportiamo, allo stesso modo. E si può arrivare anche al caso estremo in cui noi vediamo per la
prima volta una persona, ed essa subito ci ispira antipatia. “Perché mi deve essere antipatica?”, ci
chiediamo dentro di noi: e, addirittura, semmai, solamente dal viso di quella persona ci viene
suggerita l’inconscia intuizione di qualche modo di essere opposto a qualcuno dei nostri.

2) Reazione di abbassamento (già trattata)
Ci viene l’antipatia verso la persona che ci ha generato una reazione di abbassamento.

3) Non stanno al loro posto
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Ci viene l’antipatia verso quelle persone che, come dire?, non stanno al loro posto. Non stanno al
loro posto: riguardo ad una posizione, ad un ruolo, ad una fiducia, ad un’attività, ad una situazione,
o semplicemente riguardo a qualcosa che casualmente capiti loro. Questo però: solo quando,
contemporaneamente, dalla estimazione di alcuni, queste situazioni vengano giustificate e
considerate consone a quelle persone.
Per noi quella persona sicuramente non vale la situazione in cui è. Eppure alcuni la pensano
diversamente.
Non stanno al loro posto: è una causa di antipatia così forte, da meritare un discorso a parte, anche
se un discorso a parte non dovrebbe averlo: infatti questa causa di antipatia non ha alcuna sostanza
propria. Non è altro che un amalgama fra la diversità di scelte: “Alcuni evidentemente la pensano
diversamente da me” e la reazione di abbassamento: “Dovrebbe stare più giù, al suo livello”. E sono
cose che si saldano fortemente, finendo per appuntarsi, tutti e due, su quella persona. Qua succedono
procedimenti mentali, tutti sballati. Infatti, invece di diventarci antipatiche quelle persone che
apprezzano quell’uomo (discordanza di scelte), a noi, con trasposizione ancora inconscia, succede
che ci diventa antipatico direttamente quell’uomo. E non basta: quell’uomo, stando, come dire?, in
quel posto, per noi ancora inconsciamente, è come se lui stesso se lo giustificasse, causando in noi la
reazione di abbassamento. Così, attraverso questi procedimenti si saldano discordanza di scelte e
reazione di abbassamento. Ci diventa antipatica quella persona. Senza conoscerne le ragioni. Per noi
è poca cosa, mentre per altri non è così. Le danno considerazione. Oppure, proprio loro, l’hanno
messa in quella posizione. Oppure non notano la sua inadeguatezza. Oppure le stanno intorno, la
cercano e la blandiscono. E poi anche lei, quella persona, sicuramente ritiene di essere adatta,
all’altezza, e meritevole.
Noi pensiamo: “E’ troppo insignificante per …”. Oppure: “E’ troppo ignorante per …”. “E’ troppo
cretino per …”. “E’ troppo brutta per …”. “E’ troppo vecchio per …”. “E’ troppo comune per …”.
Ecc., ecc..

4) Atmosfera di svalorizzazione
Accade tutto il contrario che nell’atmosfera di valorizzazione.
Comportamenti, opposti a quelli, creano nel nostro animo sentimenti, del pari opposti. Ci viene
l’antipatia verso quella persona.
Forse c’è una simpatia in noi, o una antipatia, che in nessun modo riusciamo a spiegarci?
Ebbene, la risposta non potrà che essere in una di queste cause numerate.
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■

SGOMBRARE IL CAMPO
Il criticare gli altri, il disapprovarli, il trovare in loro cose non buone, l’avere qualcosa da ridire su

qualcosa che non va, il vedere in loro qualcosa che non ci piace: sono cose molto presenti in noi. Nel
nostro parlare, o nei nostri pensieri, la frequenza è notevole.
Ma, per prima cosa, dobbiamo sgombrare il campo da quelle critiche che non hanno motivazione di
valore. Qui si parla di valore ed allora dobbiamo sgombrare il campo da quelle critiche che hanno altre
motivazioni. Una critica rivolta agli altri può avere qualunque tipo di motivazione.
Ci vengono subito in mente le critiche e le disapprovazioni aventi motivazioni altruistiche: certe volte è
necessario disapprovare gli altri per far loro del bene. Ma ci sono anche le critiche che possono derivare da
un nostro dovere di onestà o di giustizia. E poi ci sono tutte le critiche derivanti dalle motivazioni
egoistiche: le critiche derivanti da motivazioni di benessere fisico, o di piacere, o di fastidio, o derivanti da
un intreccio indistinto di motivazioni.

■

LE CRITICHE DI VALORE

Ora, sgombrato il campo dagli altri casi provenienti da motivazioni di altre categorie, ecco restata la
maggior parte delle critiche, quelle che hanno motivazione di valore.
INTERLOCUTORE – State parlando delle critiche delle persone maligne che dicono delle cose inventate
per fare del male alla gente?
AUTORE – Sì, certo, c’è anche questo. Ma il trovare qualche cosa che non ci piace negli altri non è solo
delle persone maligne.
Le critiche sono, in maggior numero, quelle su cose poco importanti di tutti i giorni, sciocchine,
soggettive, di nessun peso, là per là. Molte sono solo nei nostri pensieri.
Poi, tra le critiche che vengono espresse, possono essere critiche anche le ironie, le allusioni, i commenti,
le semplici considerazioni, un alzare le sopracciglia, un piccolo movimento della bocca, ecc., ecc..
Che si insulti o si parli piano è lo stesso. Sono allo stesso modo, critiche, una furiosa invettiva, come una
distaccata constatazione. Parlando di futili argomenti; chiacchierando tranquilli; facendo qualche
pettegolezzo. Poi, semmai, certe volte usiamo la critica sintetica di una sola parola volgare per definire
negativamente un’altra persona. Molte volte, le critiche, sono dentro i nostri pensieri.
Ecco perché non è che non ci siano i casi colpevoli esposti dal nostro interlocutore, ma nella critica vanno
soprattutto compresi i casi, come dire?, quotidiani.
INTERLOCUTORE – Come quando uno dice le cose sui vicini di casa?
Ma allora si parla insomma di quando uno fa la critica, solo per criticare?
AUTORE – Dovremmo fare qualche esempio.
INTERLOCUTORE – Qualche esempio? Ci penso io. Vediamo. Cerco di ricordarmi di qualcosa, di più
quotidiano, come dite voi. Vediamo, vediamo; ecco: stamattina, ad un certo punto, ho pensato che mio
fratello è troppo igienista, al punto di dare sempre fastidio agli altri.
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Poi, vediamo, un altro esempio: appunto, giorni fa, ho detto ad una persona che conosco: “Non sembra
mai che hai fatto certi studi: leggi sempre giornaletti da niente”.
AUTORE – Ci interessa conoscerne le motivazioni.
INTERLOCUTORE – Ehi, un momento: sugli esempi che ho fatto prima, adesso io vi dico subito perché.
Quando ho pensato all’igienismo di mio fratello, l’ho pensato perché è vero, e lo sanno tutti.
E quando ho criticato le letture di quell’altro gliel’ho detto per lui, per il suo bene; così vede di leggere
qualcosa di meglio: ecco perché l’ho detto.
AUTORE – Se cerchiamo le vere motivazioni, solo “L’ho detto per lui” potrebbe essere una risposta
valida: motivazione di altruismo.
Invece: “L’ho pensato perché è vero” è una risposta che non serve. Ed è il tipo di risposta che danno tutti,
se interrogati, perché non sanno che è una risposta che non riesce ad indicare una motivazione. Lei ha
criticato suo fratello, e, sì, quella cosa era anche vera, ma ciò è solo una caratteristica interna di quello che
Lei ha pensato: non è, e non può essere, la spinta motivazionale. Se ci domandiamo: “Perché ho fatto
questo?” subito siamo abituati a risponderci non con il perché c’è venuto di farlo, ma con le più varie
valutazioni su quello che abbiamo fatto. Ma tutti questi sono solo i commenti del dopo, mentre qui interessa:
il prima. Non è la verità che spinge a criticare. Come facciamo a saperlo? Basta che Lei guardi dentro di sé.
INTERLOCUTORE – Ho capito: se non lo mettiamo in una vostra categoria, allora non si va avanti. Ma
chi l’ha detto questo?
AUTORE – Tutti noi spesso diamo risposte di quel genere: risposte che non rispondono. Non siamo
abituati ad andare a cercare veramente quale sia stata la spinta interiore. Siamo invece subito attratti
dall’aggancio di valore che si presenta a portata di mano per affermarci (valore), o per giustificarci (valore),
o per spiegare le nostre ragioni (valore). Siamo bravi, siamo intelligenti sia pure, ma che c’entra questo con
la motivazione? Che c’entra la motivazione con questi apprezzamenti del dopo? La motivazione è tutt’altro.
La motivazione è la spinta interiore che ci ha fatto fare, o dire, quella certa cosa; ed anche questo ci è stato
sempre ignoto.
Per conoscere quella spinta bisogna ritornare nel nostro animo di prima, e non rovistare per terra in mezzo
ai contenuti manifestati.
INTERLOCUTORE – Io non rovisto.
AUTORE – Per quanto riguarda l’esempio della lettura Lei ha detto: “Per lui”: altruismo. Ma ne è
sicuro?
INTERLOCUTORE – Beh, in fondo, se ci penso bene, non l’ho detta, quella cosa, per altruismo. In
fondo, ero arrabbiato, l’ho visto leggere quella roba, e gliel’ho detto. Allora perché glielo avrei detto?
AUTORE – Per una motivazione di valore forse?
INTERLOCUTORE – Ma che c’entra il valore? Comunque in che consiste insomma questa motivazione
di valore?
AUTORE – Trovare negli altri qualcosa che non va, non ci costa nulla. Critichiamo a ragione?
Critichiamo a torto? E’ una strada comoda per valorizzare noi stessi.
INTERLOCUTORE – Ma è proprio questo che è assurdo: io critico una persona, e va bene, lo capisco
che nella mia mente quella persona viene abbassata, va bene; ma quello che non posso capire è: io abbasso
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gli altri, ma io poi che c’entro? Abbasso pure il valore degli altri, sì, però il mio valore non si alza. C’è una
contraddizione. Vi siete confusi. Non fa niente. E’ il valore degli altri che scende: non il nostro che sale.
Che c’entra il, nostro, valore con l’abbassamento degli altri?
AUTORE – Invece è proprio così: anche il nostro valore sale con la sua visione panoramica (non ancora
trattata).

Le critiche con motivazione di valore sono di due tipi: le critiche
personalizzate e le critiche a pioggia.

Il primo tipo di critica con motivazione di valore sono le critiche personalizzate con le quali
disapproviamo in modo specificamente mirato una determinata persona: quella, e non altri.
La svalutazione di quella persona è la motivazione assoluta.
Per esempio, ci può essere stata una persona, in qualche modo per noi importante, che ieri ci ha fatto fare
una brutta figura. Ci ha fatto sentire molto giù. Semmai incominciamo a criticarla su quello, e su altro.
Per esempio, usciti dall’infanzia, attraverso le nostre soggettive impressioni, ci può essere una persona
che sentiamo, come una persona che ha, fin da lontani tempi, contribuito a sotterrare il nostro valore. Ed
allora continueremo a disapprovare questa persona, anche per lunghi periodi della nostra vita. Questa
persona ha in qualche modo compresso il nostro valore; ci ha messo il piede sopra. Noi dobbiamo
assolutamente togliere quel piede di là, e solo così una parte del nostro valore potrà regolarmente respirare.
Allora in questi casi tiriamo giù proprio quelle persone, quella di ieri o quella dell’infanzia: criticandole
su qualunque cosa. E questa operazione inconscia mira a convincere il nostro valore di questo: quelle
persone non sono, poi, così tanto autorevoli. Se perderanno ai nostri occhi la loro autorevolezza, le loro
nefaste influenze svaniranno nel nulla. Che c’entra il, nostro, valore? E’ evidente che c’entra.
E, poi, a qualcuno sarà pur capitato di essere sempre criticato, una volta sì una volta no, da sua sorella o
dal suo amico. Senza ragioni apparenti, questo accade, e raffredda il rapporto con quelle persone; senza
ragioni apparenti, anche se la ragione c’è ed è la visone panoramica (non ancora trattata) di quelle persone.
Le critiche per piccole vendette?
Ebbene, mentre le cose che diciamo o facciamo, anche se sembrino avere motivazioni di valore possono
avere altra motivazione, invece, in questo caso qui, non te lo chiedere, perché la cosa è uguale per tutti:
motivazione di valore.
Tutte le vendette hanno, senza alcuna eccezione, motivazione di valore.
Di qualunque tipo e qualità esse siano, anche le piccolissime.
Quando una certa persona ci ha fatto qualcosa che non ci doveva fare, quando non ci ha considerato come
doveva, noi sentiamo che siamo rimasti svalutati nei suoi confronti. Inconsciamente, per una motivazione di
valore, vogliamo allora procurare un qualche risarcimento al nostro valore, in modo da riportarci alla pari.
Non é vero forse che noi poi, spesso, diciamo loro cose con l’intento in qualche modo di abbassarli a loro
volta?
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Le nostre parole vengono fuori e sono una piccola vendetta. Ecco: un attimo fa; ma lo negheremmo
rabbiosamente. A sentirne parlare in generale, già scuotevamo la testa, ma se poi sul momento venissero a
noi, allora diventeremmo furiosi.
Oppure, ancora di più, lo raccontiamo; eh, sì, ci vendichiamo parlando agli altri di loro, ecco fatto, ci
vuole. Va fatto vedere agli altri com’è quello là. Lo raccontiamo qua e là e, se qualcuno già ne parla male,
noi subito rincariamo la dose.
Nella nostra giornata c’è chi ci causa incomodo. C’è chi ostacola. Chi in un qualunque modo ci causa
danno. Chi non ha troppi riguardi per noi. Ecc., ecc.. Ebbene, spesso usiamo, come vendetta: disapprovarli.
Certo, è vero, vendetta: quando comunemente si pensa alle vendette si pensa immediatamente a ben altro, a
qualcosa di grosso; ma, al di fuori di cronaca nera e film, noi non ci rendiamo conto che, in realtà, la
maggior parte delle vendette sono eseguite col criticare gli altri, dire una piccola cosa che non va o, semmai,
col definirli con una parola volgare.
Ma non sono, vendette, anche queste?
Non hanno forse le stesse esigenze e le stesse dinamiche di quelle a cui siamo abituati a pensare?
L’altra persona ci ha fatto scocciare un po’, ha detto questo, ha detto quello, ha detto quell’altro, non ha
pensato a chiudere il balcone, ci ha voluto dare troppe spiegazioni, non ci ha restituito una piccola moneta,
ha detto una parolina che forse non doveva dire, ha protestato senza ragione col clacson della sua auto dietro
di noi, ecc., ecc.: con una certa frase, rimettiamo subito le cose in pari.
Le altre vendette?
Chi le conosce?
Non ci interessa, le lasciamo agli altri. Noi le otteniamo, subito subito, con le critiche. Non ci serve altro.
Allora, anche una vendetta con una piccola critica inconsciamente ci dà un risarcimento di valore. Che
c’entra il, nostro, valore? È evidente che c’entra.
E le persone antipatiche?
In presenza di una forte antipatia, solo guardando quella persona, subito le troviamo delle cose che non
vanno: arrivano diffuse critiche mentali. Critiche contro queste persone: perché il nostro valore le sente,
giustamente, dal suo punto di vista, in un modo o nell’altro, contrarie a lui (già trattato).
Le critichiamo continuamente per ottenere di abbassare, dentro di noi, tutta la loro persona. Che c’entra il,
nostro, valore? E’ evidente che c’entra.
Nel secondo tipo di critica di valore, quelle a pioggia, non ce l’abbiamo con una certa persona, come nel
primo tipo di critica. In questo secondo tipo, disapproviamo: chi capita. Ora qua, ora là, toccata e fuga,
gocce di pioggia.
A casa muoviamo una critica a qualcuno e subito pensiamo ad altro. Oppure all’angolo di una strada
notiamo in qualcuno qualcosa che forse non ci piace e subito pensiamo ad altro. Per le più varie ragioni,
disapproviamo; tante cose negli altri non sono come dovrebbero. Facciamo del sarcasmo o tranquillamente
notiamo delle cose negative. Così, nel breve tratto che facciamo in Metropolitana, mentalmente, nei
confronti di qualche altro passeggero. Per strada, a casa davanti al televisore, al Bar, con i familiari, con gli
amici, dappertutto, continuamente. Le critiche così fanno parte della vita.
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Critichiamo quando stiamo bene e siamo sereni. Ancor più quando siamo irritati o in tensione; allora
sembra che ci sia bisogno di uno sfogo: ed, infatti, dopo di esso ci sentiamo meglio. Raramente urliamo al
vento, rompiamo le tazze o ci rotoliamo per terra, invece molto più spesso ce la prendiamo con gli altri,
come dire?, col primo che capita; e prendersela con gli altri consiste nel criticarli per una qualsiasi cosa
negativa: ci calmiamo un po’ con una caramella di valore in bocca.
Critichiamo mentre stiamo con molti altri o con una persona sola. In modo eclatante o sommesso. Perché
semmai lo fanno tutti verso una persona e non vogliamo restare indietro, o perché semmai nessuno lo fa.
Con la persona criticata che sia assente o presente. Di giorno o di notte. Semmai anche senza parole,
muovendo un braccio, con un movimento del capo, mimando movimenti, ecc., ecc..
Già solo nei nostri pensieri: tutti i giorni, spessissimo, che ne parliamo a fare?
Delle cento critiche agli altri che ci vengono in mente, solo una o due poi si esternano. Le altre restano
dentro i nostri pensieri.
Le critiche con motivazione di valore sono in tutti. Ma, se sentiamo qualcuno che dice: “Io non critico
mai nessuno” e vogliamo poi anche credergli, ebbene, le cose, comunque, non cambiano, perché quella
persona lo fa nei suoi pensieri. Quindi, non ci sono eccezioni per alcuno. Nei nostri pensieri: dire cinque
volte in una giornata, può anche non essere molto. Contro singole persone, contro certa gente, contro
l’Umanità intera per come è fatta.
INTERLOCUTORE – Tutto quello che avete detto fino ad ora non mi riguarda proprio. Io non critico
nessuno. Al massimo, prendo in giro qualcuno per ridere.
AUTORE – Anche certe prese in giro fatte col tono di chi vuole solo scherzare, con le lievi punture che
portano, spesso hanno la stessa motivazione. Ma attenzione: alcune prese in giro: solo alcune.
INTERLOCUTORE – Allora non si può nemmeno scherzare più? Allora tappiamoci la bocca e non se ne
parla più. Ma comunque io non faccio queste critiche alle persone care. Su questo non ci sono dubbi. Se dico
certe cose è certo per il loro bene.
AUTORE – Certo, più difficilmente verso le persone a noi care: ma pure ci sono anche nei confronti di
queste persone i casi di critica con motivazione di valore.
Va considerato che qualunque rapporto, anche il migliore della nostra vita, è pur sempre un grande fiume,
dentro cui scorre e galleggia di tutto: altruismo ed egoismo, collaborazione ed aggressività.
INTERLOCUTORE – Ma non è così per me.

■

COME UNA VISIONE PANORAMICA

Ma da dove nasce la necessità di tutte queste critiche con motivazione di valore?
Ora, il valore usa infiniti modi per rinforzarsi. E usa tante, diverse, come dire?, piccole strategie per
vivere bene: diverse tra persona e persona. Ma qui, invece, questo modo di valore è assolutamente in tutti,
senza eccezione: cercare di procurarsi anche la buona sensazione di sentirsi più in alto.
Più in alto, come?
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Più in alto di quante più persone è possibile.
Una buona visione panoramica intorno a sé.
E’ una cosa che ci dipinge in modo ridicolo ed assurdo?
Volete pensare così?
Invece il nostro valore: è come se volesse avere sempre, come dire?, una visione panoramica con noi
stessi più in alto di altri; o di molti altri; o di tutti gli altri. E’ come se nessuno volesse avere una visione
panoramica in cui si veda in una posizione di valore, alla pari con tutti gli altri. E’ come se ognuno volesse
avere una visione panoramica in cui si veda, in posizione di valore più elevata di molti altri.
La cosa va così: il nostro valore resta dov’è: ma, se abbassiamo il valore degli altri, il nostro valore ci
sembrerà subito, più alto.
Proviamo a vedere un panorama a perdita d’occhio, su cui ci siano, assieme al nostro, migliaia di altri
valori di altre persone e, oltre la vista, altri innumerevoli; ebbene, su questo estesissimo territorio il nostro
valore cerca di vedersi in posizione elevata.
Ignoto l’enorme numero di critiche che rivolgiamo agli altri, ignota la necessità di tutti di avere una buona
visione panoramica, noi diremmo: “Io ho criticato il portiere? Ho criticato quell’amica di mia madre? Ma
che me ne importava del portiere o dell’amica?”.
Si capisce bene che ci sarà una spinta molto maggiore all’abbassamento di quelle persone che vivono
intorno a noi, nella famiglia, nella vita sociale, a fianco a noi. Vorremmo vedere in questa visione gli altri
che sono vicino a noi, un po’ più giù. Semmai, più in alto, gli altri lontani da noi. Ma questo non vuol dire
che siano pochi i ridimensionamenti che rivolgiamo anche alle persone che conosciamo poco, o che
vediamo solo per la prima volta, o che sono di un’altra parte del mondo.
Ed ecco, quindi, a che serve il secondo tipo di critica con motivazione di valore: ad ottenere, abbassando
gli altri, una visione panoramica, la migliore che sia possibile. Che c’entra il, nostro, valore? E’ evidente
che c’entra.
Per una buona visione panoramica, ognuno di noi, senza saperlo, ha già, in
verità, un prezioso patrimonio di altre persone, delle quali, se dovesse pensarci, penserebbe che in qualche
modo non sono alla sua altezza. E che noi abbiamo questo patrimonio, ce ne possiamo accorgere quando ci
può capitare di sentire dentro di noi, laggiù in fondo, che ci dispiace un po’ se, qualche volta, qualcuna di
quelle persone che compongono quel patrimonio incominci improvvisamente ad avere nuovi meriti o virtù.
Questo patrimonio è importantissimo ma dobbiamo anche cercare di incrementarlo ulteriormente. Allora
non ci sfuggono facilmente, quelle che, per noi, sono, svalorizzazioni degli altri: difetti di personalità, difetti
fisici, modi di pensare, modi di agire, parole, discorsi, abitudini, comportamenti, atteggiamenti, opere,
risultati, ecc., ecc.: tutte queste cose non vanno bene e da noi vengono placidamente registrate come
abbassamenti degli altri.
Da tantissime cose, un aiuto continuo alla visione panoramica.
Ascoltiamo cose che per noi sono svalorizzanti per gli altri. Vediamo cose che per noi sono svalorizzanti
per gli altri. Leggiamo cose che per noi sono svalorizzanti per gli altri. In persone che stimiamo vediamo
qualcosa che non va. In persone che non stimiamo, altre cose. Nella vita che abbiamo davanti, o in quella
che si mostra qua e là, andiamo a vedere, quando, come dire?, un pochino, fiutiamo nell’aria odore di
41

sangue di valore di qualche persona; anche su piccole cose. E infatti riscuotono molto successo quegli
spettacoli, quelle narrazioni, quei resoconti in cui si preveda che in qualche modo ci sarà qualcuno che ci
vinca e qualcuno che ci perda, e dove noi faremo considerazioni e commenti critici sulle persone; anche se
queste motivazioni di valore non sono da sole, perché si uniscono a quella motivazione di piacere che gode a
seguire lo svolgersi di vicende reali o rappresentate: “Com’è il fatto?”, “Cosa succede dopo?”, “Come va a
finire?”. Per queste due motivazioni (piacere e valore), spesso questi spettacoli, anche se sono deteriori,
possono attirare irresistibilmente molte persone.
E quando, per tutte queste cose, qualcuno in buona fede dice al valore: “Tu
sei morboso!”, il valore gli risponde: ”Tutto questo è in tutti, e quindi anche in te. Lo sai quale è la posta in
palio?”.
E’ chiaro che il valore può compiacersi a vedere certe cose; ma, attenzione a
non generalizzare: alcune, solo alcune, svalorizzazioni degli altri vengono accolte; tantissime, non le guarda
nemmeno. Il valore non sta sempre là a guardare. Specialmente quando altri sentimenti se ne
dispiacerebbero.
A questo punto qualcuno potrebbe dire: “Assolutamente non si spiega come noi lavoreremmo tanto per
ottenere risultati così minimi. Sì, critichiamo, critichiamo, ma, con questo, la visione panoramica non può
cambiare di molto. Non si spiega questo accanimento se poi i risultati saranno tanto miseri da non valerne
assolutamente la pena. Infatti non si spiega, riguardo alla persona criticata, come mai ciò potrebbe
soddisfarci: con una nostra critica, noi abbiamo abbassato, solo, una cosa, ma, di cose, quella persona ne
possiede altre migliaia che noi avremo lasciate integre, e, semmai, più in alto delle nostre. Che ci
importerebbe allora di un risultato così parziale? A che serve? Ed in secondo luogo, se noi per avere una
buona visione panoramica dobbiamo abbassare nella nostra mente moltissime persone, allora cosa volete
che possa contare l’abbassamento solo di alcune di queste persone? Come potremo mai vederci più in alto,
se avremo abbassato solo alcune poche persone? Sarebbe come essere soddisfatti di aver strappato trenta
fogli da un grande vocabolario, noi che avremmo dovuto strapparne una migliaia”.
Ma a queste obiezioni si può rispondere.
Infatti, riguardo alla persona criticata, quando bocciamo qualche cosa che la riguarda, in quel momento,
in molti casi noi non sentiamo di aver abbassato solo una cosa come dovrebbe essere, ma sentiamo
decisamente di aver abbassato quella

persona, tutta intera. Con una efficacissima inconscia errata

trasposizione mentale, il risultato raggiunto è un risultato, in molti casi totale: un’intera persona abbassata;
forse definitivamente: non è poco.
In secondo luogo, quando disapproviamo una persona, ebbene, in molti casi noi sentiamo decisamente di
aver abbassato, sì, quella persona, ma sentiamo anche contemporaneamente di aver abbassato tutte le altre
persone che si comportano come lei: dietro a quella, sullo sfondo, tutte quelle che sono come lei. Altra
inconscia trasposizione mentale, ed il risultato raggiunto nella nostra mente è un risultato grandioso:
migliaia e migliaia di persone abbassate in un sol colpo e basta: non è poco.
Abbassate quindi alcune persone che vivono più vicino a noi e abbassate
grandi fette di popolazione, il valore può anche avere la sensazione di stare in posizione più elevata.
42

Ora, la reazione di abbassamento (trattata prima) viene fuori, anch’essa, a causa dello stesso progetto del
valore: una buona visione panoramica.
Quando sentiamo in quel momento un dispiacere per qualcosa del valore di un altro che si sta sollevando
davanti ai nostri occhi mentali, reagiamo quasi sempre con una critica, intima o espressa, che deve tirare giù
ciò che si stava sollevando. La verità è che stiamo cercando di curare, anche così, la nostra visione
panoramica.
La reazione di abbassamento è stata utilizzata, da sola, più sopra, per chiarire perché nasca il tabù del
valore; ma, aldilà di questa utilizzazione iniziale, rientra, in tutto e per tutto, nel discorso della visione
panoramica sfociando anch’essa nelle critiche che devono abbassare. Quindi, il secondo tipo di critiche, e le
critiche che vengono dalle reazioni di abbassamento, tutte, servono specificatamente proprio per una nostra
migliore visione panoramica. La reazione di abbassamento, prima solo guardata in azione con le sue
dinamiche per spiegarci il tabù del valore, ora, invece trova anch’essa la sua spiegazione nel quadro della
visione panoramica.

Insomma, per una buona visione panoramica ci vogliono soprattutto, mentali o espresse, le critiche.
Come le api si posano sui fiori per succhiarne il nettare, così noi ci posiamo sulle altre persone con le
nostre critiche per succhiarne il valore.
Tra persona e persona, ci sono moltissimi voli. E’ un continuo svolazzare da un fiore ad un altro.
A volte si è ape; a volte si è fiore.
43

DA STRADE
OPPOSTE

■

CON QUALUNQUE COSA
INTERLOCUTORE – Che significa, da strade opposte?
AUTORE – Significa che due persone, con comportamenti opposti, tutti e due possono acquisire

materiale buono per il proprio valore.
INTERLOCUTORE – Ma quando mai? Le vere soddisfazioni sono quando uno comanda.
AUTORE – Ed invece anche dal contrario possiamo ricavare delle soddisfazioni: essere dominati, essere
percossi, essere vittime, anche queste cose, a volte, possono essere sentite come valorizzanti.
INTERLOCUTORE – E che razza di soddisfazioni sono?
AUTORE – C’è chi si sente valorizzato dalla violenza e chi dai fiori.
Qualsiasi comportamento può essere sentito come valorizzante, o svalorizzante, a seconda di chi lo
espone, a seconda del momento, a seconda dell’ambiente in cui ci si trova. Qualsiasi idea, qualsiasi
sentimento, qualsiasi moda, può essere sentito come valorizzante o svalorizzante.
Può essere valorizzante il rosso, e può essere valorizzante il verde.
Con la stessa frase, puoi offendere uno, e farti amico un altro.
I modi di valorizzazione sono infiniti, insieme, come dire?, ai loro contrari. Si tratta solo di constatare
quante strade ci sono a disposizione.
Quella vecchina modesta ed insignificante? Quel ragazzo sbiadito e dimesso? Dovrebbero avere un livello
di valore basso?
Ebbene, non è escluso che abbiano tesori di valore che tu non hai.
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Il gioco delle_motivazioni

  • 1. IL GIOCO DELLE MOTIVAZIONI STUDIO SULLA PSICOLOGIA DI TUTTI I GIORNI
  • 2. Sono come uno di quei venditori che girano per le case. Vorrei farvi vedere un nuovo strumento: il gioco delle motivazioni, e poi semmai lasciarvelo in prova. Nello stesso tempo posso mostrarvi alcuni prodotti ottenuti. P. S. Paolo Sacchi – Via Panoramica, 18 – 80016 Marano di Napoli (NA) – tel. 320 2482025 – email sacchipaolo44@libero.it
  • 3. Indice L’E G O I S M O ■ BENESSERE FISICO ■ VALORE ■ PIACERE ■ FASTIDIO _______________________________________________ F U O R I D A L L’ E G O I S M O ■ ALTRUISMO ■ SOCIALITA’ (ONESTÀ E GIUSTIZIA) _______________________________________________ IL GIOCO DELLE MOTIVAZIONI
  • 4. L’ E G O I S M O
  • 5. 4 ■ QUALCOSA DI DIVERSO Qui egoismo non ha il solito significato: con egoismo dovrà intendersi solamente: il pensare verso se stessi. Si sa bene che quando si dice egoismo c’è riprovazione ed accusa. Ed anche il vocabolario definisce l’egoismo: “Eccessiva cura di se stessi”. Invece qui si parlerà di egoismo, semplicemente per intendere un comportamento che sia nato per noi stessi, e non per gli altri. Perciò qui è, egoismo: bere un bicchier d’acqua, scacciare una mosca, comprarsi una padella o prepararsi ad un esame. Si parlerà di egoismo, senza per forza dover giudicare in modo negativo una persona che abbia intenzioni egoistiche. Egoismo: solo per indicare una motivazione che abbia come destinatario noi stessi. ■ LE QUATTRO CATEGORIE DELL’EGOISMO L’egoismo ha quattro radici. Esse sono: il benessere fisico, il valore, il piacere ed il fastidio. E questi sono anche i nomi delle quattro categorie motivazionali dell’egoismo. In altre parole, dobbiamo ottenere per noi: mantenere la buona salute fisica, aumentare la valorizzazione personale, gustare le cose piacevoli e annullare le cose fastidiose. In particolare, nell’ambito del benessere fisico viene cercato un risultato fisico. Nell’ambito del valore un risultato psicologico. Nell’ambito del piacere e del fastidio un risultato che può essere sia fisico che psicologico. Tutte le motivazioni egoistiche rientrano in una di queste quattro categorie. ■ UNA PREOCCUPAZIONE Già solo sfogliando le pagine, si può notare una grande sproporzione fra le pagine dedicate alla categoria del valore e quelle, più poche, dedicate alle altre tre categorie. Le apparenze sembrerebbero qui voler suggerire che tale categoria sia più importante delle altre. Ma non è così. La ragione di questa disparità deriva solo dal fatto che un tenacissimo tabù incombe sulla realtà psicologica del valore. Tutti siamo in grado di capire quanto sia grande il bisogno di stare bene fisicamente, quanto sia grande il desiderio di procurarci i piaceri, quanto sia grande la necessità di fuggire dalle cose
  • 6. 5 fastidiose, mentre, per quanto riguarda il bisogno di avvalorare la nostra personalità, tutti capiamo di che cosa si tratta, ma, a causa di quel tabù, quasi nessuno si accorge di come questa presenza sia, nell’animo, una presenza continua e necessaria. Il maggior numero di pagine non indica priorità di importanza. Le pagine del valore sono in numero maggiore, ma il valore è solo, una, delle quattro categorie dell’egoismo. Tutte le categorie motivazionali vanno considerate, alla pari, e tutte ugualmente importanti.
  • 8. 7 ■ LO SAPPIAMO TUTTI Le motivazioni che rientrano nella categoria del benessere fisico hanno lo scopo di ristabilire le buone condizioni del nostro corpo. Il benessere fisico è continuamente attaccato da nemici. I suoi nemici più terribili sono il dolore fisico, la fame, la sete, tutte le malattie. Alla fine la morte è l’ultimo nemico. Ma noi combattiamo anche contro un numero infinito di altri nemici che non ci consentono di stare bene completamente. Fino ad arrivare ai nemici più piccoli. Non sarà difficile capire che sono, della stessa categoria motivazionale, prendere una pillola per il fegato (benessere fisico) e volere farsi fare una operazione chirurgica senza anestesia nel tentativo di salvarsi la vita (benessere fisico). Un’intera categoria motivazionale in una sola pagina? Non c’è bisogno di più pagine. Tutti conosciamo bene l’argomento.
  • 10. 9 CONFIGURAZIONE ■ IN GENERALE Anche se spesso non ce ne accorgiamo, tutti sentiamo il bisogno di tener su il nostro valore: cercando sempre di nutrirlo un po’, e cercando di evitargli anche il più piccolo neo. Minuto per minuto, nessuno può sottrarsi. Non è uno scherzo, non è un di più. La posta in palio è: sentirci meglio. Non è una cosa superflua, è una necessità fondamentale che ci impegna fin dai primi mesi di vita e poi ci accompagna per tutta la vita. Sempre inconsciamente. Continuo lavorio mentale. Continue motivazioni di valore che ci spingono ad agire o a parlare. E’ una presenza continua; e noi di continuo a badarci. E’ come una fame; ma una fame speciale: per quanto nutrimento noi possiamo procurarci, non ci basta mai; la sazietà non arriva mai. ■ C’E’ BISOGNO DI FARNE SALIRE IL LIVELLO Ognuno di noi si porta nell’animo l’inconscia sensazione del proprio valore. Questa sensazione, bella o brutta, deriva dal nostro attuale livello di valore alto o basso. Questa sensazione non è frutto di valutazioni razionali. E’ impalpabile. Sfugge all’attenzione lucida del soggetto. E’ qualcosa che si sente, e non qualcosa che si pensa.
  • 11. 10 Senza saperlo distintamente, per ottenere di vivere la buona sensazione che viene da un buon livello di valore, ammassiamo, giorno dopo giorno, l’uno sull’altro, tutti i materiali buoni per il nostro valore. Sono pezzi grandi, pezzi piccoli e piccolissimi, e servono tutti. Cerchiamo di far salire il livello del nostro valore per ottenere un migliore stato psicologico. Sempre, in qualunque momento, un lavoro per noi stessi, non conosciuto. Ed anche quando sentiamo di avere un’ottima sensazione del nostro valore, pur sentendoci già bene, ugualmente non smettiamo di aggiungere contributi. Il bisogno di valore diventa così, motore di pensieri, azioni e discorsi. ■ IN QUALUNQUE MODO Valore è una sconfinata categoria motivazionale. Ma forse sentendo parlare di valore molti penseranno soltanto a grandi cose e a grandi meriti. Ma qui non è così. Per il valore, possiamo pensare: “Sono il più svelto”. Ma possiamo anche pensare: “Sono svelto”. Oppure: “Sono abbastanza svelto”. Ma possiamo anche pensare: “Non sono svelto, ma sempre più di Carlo”. Oppure ancora: “Sono il più lento di tutti, però ho dei capelli molto belli”. Insomma, valore massimo, ma anche, valore minimo. In tutti i piccoli momenti della vita, per alimentare il nostro valore, possiamo trarre lo spunto da qualunque cosa. Inconsciamente, in un modo o in un altro, dobbiamo accontentare questa fame. Ognuno come può: secondo la propria personalità e secondo la validità delle proprie intelligenze. Nei modi più vari acquisiamo qua e là pezzetti di valore, possibilmente di buona qualità: quello che, per noi, è di buona qualità. A questo scopo nella nostra mente anche il piombo può essere considerato oro. Potrà capitarci di utilizzare anche cose di valore, che per gli altri sono nient’altro che immondizia, ma che per noi sono materiale buono. Tutto contribuisce o, almeno, tutto potrebbe contribuire. La cosa è così importante che ognuno, fin da piccolo, durante la giornata cerca un po’ di valore per sé: non sempre nei modi migliori, ma: dove può, e come può. Per la necessità di tener su il nostro valore, a volte ci si deve arrangiare. A volte poi nasciamo già in situazioni che ostacolano il nostro valore: uno non è nato in buona salute, un altro ha sviluppato qualche grado non alto di alcune intelligenze, qualcun altro non è nato di bell’aspetto. Tante umiliazioni al proprio valore, inevitabili.
  • 12. 11 Per benessere fisico, piacere e fastidio, bisogna, per forza, muoversi o parlare; invece per il valore è un po’ diverso: contributi ci arrivano anche solo dai nostri infaticabili pensieri. Senza avvedercene. Con i soli pensieri, il nostro valore si rende contento, oppure si difende validamente. Ci cuciniamo un po’ di valore, restando in casa, con quello che abbiamo nella dispensa. Tutto ci può gratificare, già soltanto nella nostra mente. Un conto unico Il valore fa tutto un conto unico. Perciò è sbagliato distinguere il valore che viene dal consenso degli altri, da quello che viene da noi stessi; le lodi degli altri e la consapevolezza di sé aiutano lo stesso padrone: tutto digerito, tutto, confluisce nel nostro unico valore. Molti, con una motivazione di valore, dicono: “A me che importa delle approvazioni degli altri?”, senza volersi rendere conto che, dentro di sé, in una qualche misura, anche quel consenso fa bene al loro valore. Un conto unico: perciò è sbagliato distinguere il valore sociale, da qualche altro tipo di valore. La vanità e l’orgoglio, giudicati oppostamente, servono lo stesso padrone. Il mascherare le nostre inferiorità viene più accettato che non il mostrare le nostre superiorità, tuttavia queste operazioni cercano di ottenere il medesimo scopo. Il difendere quel poco di valore che abbiamo e il volerlo far salire cooperano insieme. Tutto confluisce. Un conto unico: perciò è sbagliato distinguere il valore per gli occhi degli altri, dal valore per se stessi. “Lo faccio per me, non per gli altri”: qualcuno dice, pensando di evitare di parlare di valore, senza sapere che sta sempre parlando di valore. Infatti, se tu ti fai bella e mi dici: “Lo faccio solo per me stessa”, ebbene, proprio il volerti vedere meglio allo specchio ti porta, alla fine, già a sentirti qualcosa di meglio: è questa è la vera motivazione (valore). E, sì, può anche essere che tu lo faccia solo per te, ma, è lo stesso: è sempre cercare di sentirsi più sicuri (valore). Un conto unico: perciò è sbagliato distinguere il valore che cerchiamo continuamente di affermare solo nei nostri pensieri, da quello che ci può venire da tutta la vita esterna: tutto contribuisce allo stesso scopo. Un conto unico: perciò è sbagliato pensare che il valore sia formato da alcuni tronconi principali. Infatti un buon livello di valore si costruisce, minuto per minuto, per miliardi di vie diverse, all’attacco o in difesa; ed anche se fra queste cose vi sono cose più importanti delle altre, non bisogna considerare la costruzione del valore, come compiuta solo con alcuni tronconi. Guardare i componenti del proprio valore è come guardare dall’alto una grande città: sì , si vedono dei grattacieli più alti, si vedono delle zone più belle, ma quella città è quello che è: per, tutto, quello che vediamo. Quindi, è chiaro, vogliamo rivolgere una critica ad altre persone, ma non sarà mai completamente vero quando diciamo: “Quella si valorizza così”: volendo dire: non ha altro. Né sarà mai completamente giustificata la critica che comunemente si pronuncia: “Quello, qui, si compensa di tutto quello che subisce in casa”: come se quella persona potesse puntare esclusivamente su due situazioni. L’idea che il valore si risolva fra due cose è inesatta. E ne sappiamo pochissimo del valore quando, intuendo in un’altra persona una semplice piccola traccia di valore, subito diciamo: “Fa così, è insicuro”: cosa che non potremmo mai affermare; non sapendo poi che, dentro di noi, di modi come quello, ne possiamo trovare tanti e tanti. Tutte queste critiche sono inesatte perché quelle
  • 13. 12 persone aiutano il proprio valore anche in miliardi di altri modi; o, meglio, esattamente come noi, semplicemente cercano il valore dove possono, e come possono, in miliardi di modi diversi. Potranno saltare agli occhi comportamenti dettati dal valore, rilevanti, che si ripetono, ma il valore fa tutto un conto unico, con quelli, sì, ma anche con tanti altri comportamenti. ■ LE OPERAZIONI DEL VALORE Minuto per minuto, il valore è impegnato in una complessità di operazioni. Queste operazioni ci richiamano alla mente le operazioni di una guerra. Attacchi, difese e contenimenti si alternano. Anche se non ce ne accorgiamo. Anche le difese e le attività di contenimento, e non solo gli attacchi, contribuiscono indirettamente a tener su il valore. Tutto è importante e tutto contribuisce al risultato. In questa guerra qui, le soddisfazioni, le soddisfazioni di valore, sono gli attacchi che sferriamo contro il nemico della svalorizzazione. Ma ugualmente importanti sono le difese: i cambiamenti di atteggiamento, le spiegazioni di sé, la proclamata involontarietà, il dirlo noi stessi prima che lo dicano gli altri, le difese che si tramutano in attacchi, gli interventi precisativi, gli interventi confermativi, gli interventi informativi, le divagazioni, gli alleggerimenti, le cortine fumogene, il controllo incessante di quello che stanno dicendo gli altri, il controllo incessante di quello che ci accade intorno, ecc., ecc.: con queste operazioni contrastiamo tutto ciò che minimamente possa toccare negativamente il nostro valore. Se insomma le soddisfazioni appaiono come i sentimenti che maggiormente sostengono il nostro valore, non bisogna peraltro dimenticare il complesso di tutti gli elementi che fanno parte della vicenda. Nella sua casa, il valore è un padrone che ha molti servitori e le soddisfazioni sono i suoi servitori prediletti. Ma se la casa va avanti bene, è sicuramente anche per merito di tutti gli altri servitori che lavorano al proprio posto, in maniera continua e tenace. ■ SODDISFAZIONI E SUPERIORITA’ Le soddisfazioni sono quelle valutazioni positive su noi stessi, intimi e dolci compiacimenti, che giovano al nostro valore. Dentro di noi, spesso ci arriva un pensiero che ci porta una soddisfazione di valore: sia da una cosa o cosettina accadutaci proprio allora, e sia da qualcosa che ci sia venuta in mente e che affiori improvvisamente tra i nostri pensieri. Piccolissime soddisfazioni, fuggevoli, piccole, prese al volo, possibilmente grandi, ancora più belle, durante la giornata, vengono, tra i nostri pensieri.
  • 14. 13 Tutti sappiamo che cosa sono le soddisfazioni di valore, però non sappiamo precisamente: qual è il rapporto che c’è fra le soddisfazioni e la superiorità. Quale superiorità? Una qualunque superiorità. Una qualunque superiorità, solo su qualcun altro. O su molti altri. Sia quando questa superiorità sia oggetto di riflessione, e sia quando sia solo sentita. Allora bisogna chiederci: può esserci una soddisfazione di valore senza superiorità? La superiorità è proprio la condizione necessaria, senza la quale non ci sarebbe soddisfazione? A questo punto si ha bisogno di qualche esempio, e ci dovrebbe essere la signora Rossi. E’ una persona che si impegnò tempo fa a fornirci esempi, per le questioni particolari che le furono allora indicate. Dovette promettere che avrebbe portato esempi di cose, veramente vissute da lei stessa, e non inventate. Portatrice di esempi: un ruolo impegnativo, per una persona dotata di una buona capacità introspettiva. Eccola all’appuntamento. Inizia: “Io sono una persona che rispetta sempre gli impegni ed eccomi al luogo prefissato. Mi fu detto di portare esempi di semplici soddisfazione di valore. Allora: proprio stamattina, in automobile, ho risolto un piccolo blocco di traffico indietreggiando un poco con la mia auto. Secondo: ogni tanto parlo delle belle piante che ho davanti casa. Terzo: spesso avverto la stima di una mia cara amica. Quarto: in famiglia mi hanno chiesto se era meglio cambiare lattaio. Quinto: ogni tanto, lo voglio dire: “Piaccio agli uomini”. Sesto: tempo fa, ad un certo punto, ero sola e mi è capitato di essere sfiorata fuggevolmente da una sensazione piacevole per aver capito il significato di una parola difficile. Settimo: vedo le scarpe delle altre donne ma mi sembra un bel colore quello scelto da me. Ottavo: oggi me ne vergogno, ma, tantissimo tempo fa, riuscii a costringere tutti i miei familiari a conformarsi perfettamente alle antiche usanze della nostra terra. Questi sono gli esempi che ho portato. Ora io stessa proverò a vedere se dentro ad ognuna di queste soddisfazioni si possano trovare i semi di una qualunque superiorità. Dunque vediamo: in alcuni dei casi che vi ho raccontato, ebbene, io non ho difficoltà ad ammettere che mi sono sentita, diversa rispetto agli altri. Ma, certo, diversa, significa migliore; e, migliore, significa superiore: lo capisco anch’io. Per esempio, quando ho indietreggiato con la mia auto, in quel momento mi sono sentita superiore a quegli altri che ottusamente restavano senza muoversi. Nell’altro esempio delle piante, la soddisfazione consiste sicuramente in una superiorità sulle piante dei miei vicini. E così pure, in famiglia forse ritengono il mio giudizio sul latte superiore al loro. E ancora nel caso in cui avevo capito il significato di quella parola, effettivamente, sotto sotto, c’era il pensiero di una superiorità sui tanti altri che non l’avrebbero capita. Nell’ultimo esempio, certo, mi ero sentita superiore ai miei familiari. Quindi ho trovato queste superiorità. Invece, negli altri esempi che ho fatto non intravedo alcuna superiorità. Almeno così mi sembra”. La signora Rossi si allontana.
  • 15. 14 Per vedere se la superiorità costituisca sempre il nocciolo delle soddisfazioni di valore, è ovvio che dobbiamo riportarci su quegli esempi di soddisfazioni dentro i quali la signora Rossi non ha trovato alcuna superiorità. Certo, in molti casi è difficile trovare confronti vincenti nei riguardi degli altri. Sembra proprio che non ce ne siano. Eppure, per tutte le soddisfazioni, proprio per tutte, alla fine, si potrà rispondere che la superiorità c’è sempre. Come? Applicando sempre lo stesso interrogativo. E questo interrogativo lo andiamo subito ad applicare proprio a quelle soddisfazioni in cui la signora Rossi non ha trovato alcuna sensazione di superiorità. Allora ci chiediamo: se tutte le persone del mondo avessero a disposizione un’amica che le stimi, la signora Rossi avrebbe provato ugualmente quella soddisfazione? Se si venisse a sapere che tutte le donne attraggono gli uomini nella stessa misura , la signora Rossi avrebbe provato ugualmente quella soddisfazione? Se tutti per legge dovessero portare scarpe di quello stesso colore, la signora Rossi avrebbe provato ugualmente quella soddisfazione? A tutte queste domande la signora Rossi, o chiunque altro, risponderebbe: “No”. E quindi applicando questo tipo di interrogativo a qualunque esempio di soddisfazione si vedrà che la risposta sarà sempre: “No”. E questi “No” sono subito la dimostrazione che, in ogni soddisfazione, c’è sempre una qualsivoglia superiorità, derivata da un confronto con altri. “Se tutti”, “Se tutti”: con queste strambe ipotesi scomparirebbero tutte le soddisfazioni di valore.
  • 16. 15 IL TABU’ DEL VALORE ■ NEGAZIONE – OCCULTAMENTO – NAUSEA Mentre leggiamo, siamo a disagio? Anche se quello che leggiamo lo consideriamo abbastanza vero, ugualmente siamo un po’ irritati? Fin quasi a metà libro, ci mancherà l’aria? Solo là, finita la trattazione del valore, incominceremo a respirare? A disagio? Irritati? Serve l’aria? E’ normale: viviamo un tabù. Stai con una tua amica e le dici: “L’hai detto per apparire a tutti una persona colta, vero?” e lei risponde subito: “No, assolutamente”. Un’altra volta le dici: “L’hai detto perché vuoi avere ragione, vero?” e lei risponde: “No, l’ho detto per lui”. Un’altra volta le dici: “L’hai fatto per far risaltare la tua persona, vero?” e lei risponde subito: “Sei matto?”. Un’altra volta le dici: “L’hai fatto per distinguerti, vero?” e lei risponde subito: “Non ci ho pensato nemmeno”. Sono state tutte risposte in buona fede. Ma la tua amica avrà colto la verità dentro di sé? Oppure no? Non lo possiamo sapere, ma è certo che, se incalzata, la tua amica presenterebbe sempre motivazioni, altre, non di valore, di altro genere. Resta il fatto che ha immediatamente negato senza pensare a nulla; e resta il fatto che le sue risposte sono state, istintivamente, unidirezionali.
  • 17. 16 In più, lei ha sentito che sei stato sgradevole con lei; e pazzo. Chi risponde, qui si sente come se fosse stato messo sotto accusa. Ma perché sotto accusa? Perché? Eppure, son cose di tutti. E noi? Diciamo: “Mi dà noia”, frase incongruente, al posto di: “Se lo facessi, ci perderei in personalità”. Diciamo: “In questa cosa mi diverto”, frase incompleta, al posto di: “In questa cosa ricavo divertimento e soddisfazioni”. Diciamo: “Così è più bello”, frase vaga, al posto di: “Questo mi valorizza di più”. Diciamo: “Mi pare brutto”, frase sviante, al posto di: “Questa cosa mi svalorizzerebbe”. Ma perché non ci esprimiamo in modo esatto? Perché usiamo tante cautele? Agisce il tabù del valore. Tutte le pagine del valore riguardano indistintamente tutti. Ma se apriamo una pagina a caso per applicarla a noi stessi, pensiamo: “No, io no”. Se apriamo una pagina a caso per applicarla agli altri, questi ci rispondono nello stesso modo, se non addirittura: “Mi vuoi offendere?”. E, parlando con gli altri, quando, semmai involontariamente, si va a capitare sui tentativi di valorizzazione di qualcuno che sta parlando con noi, ecco allora che il discorso subisce pause, va a saltelli; per poi riprendere da un’altra parte. Imbarazzo, negazioni ed occultamenti: la stessa ripetitività di tutti questi atteggiamenti ci fa capire che c’è un tabù. Perfino se abbiamo tradito, rubato, ucciso, perfino sugli argomenti più scabrosi che ci possono riguardare, qualche volta non lo nascondiamo; qua invece, sempre. Eppure si tratta del quotidiano e normalissimo bisogno di valore di tutti, il quale è continuamente nei nostri pensieri e continuamente muove le nostre parole e le nostre azioni. Ma come si fa a parlare agli altri di questo argomento, se subito stanno a disagio? Come si fa ad esaminare con loro queste cose, se subito ci guardano perplessi come se fossimo maleducati? Come si fa a parlar loro di questo, se subito pensano: “Che c’entro, io, con la valorizzazione?”. Come si fa a ragionare con loro, se subito dicono: “Sono cose meschine”? Come si fa a spiegare loro le cose del valore se loro non le vedono mai dentro di sé? Certo, se si trattasse d’altra cosa, non si affannerebbero a negare così agitatamente. Però, d’altra parte, è pure comprensibile che reagiscano così: il tabù agisce per lo più, inavvertito. Il bisogno di valore è addirittura ingombrante, eppure, quando si tratta di noi, abbiamo subito difficoltà a parlarne, non vogliamo nemmeno nominare le parole che lo riguardano, non abbiamo voglia di andare a fondo, inconsciamente ce lo spieghiamo con altre ragioni. Solo a parlarne, solo a sentirne parlare, sentiamo nausea. Vogliamo smettere. Nausea lieve? Nausea forte? Ed anche irritazione, se ci fanno restare per forza a parlarne. Il valore: perché pensiamo che non ci riguardi? Perché inconsciamente lo nascondiamo? Perché ci viene la nausea?
  • 18. 17 La risposta è: perché il valore è tabù. Ma perché il valore è tabù? A questa risposta possiamo arrivarci. ■ IL BISOGNO DI COMUNICARE Possiamo arrivarci: il valore porta con sé anche il desiderio di comunicare agli altri quello che sentiamo come valorizzante per noi. Inconsciamente, con una motivazione di valore, vogliamo in qualche modo far sapere, o far vedere, agli altri, le nostre cose buone: piccole o grandi, incerte o effettive, sognate o reali. Giuriamo che per noi non é così, diciamo: “Io, no”, ma questo bisogno c’è. Se ci teniamo tutto dentro, sentiamo che ci manca qualcosa. E’ vero, nei nostri pensieri noi già finiamo per valorizzarci moltissimo, ma non sempre questo ci basta. Tutte quelle cose che in quel momento sentiamo che sono un po’ valorizzanti per noi, per una motivazione di valore, proviamo a dirle agli altri. Le devono sapere. Solo questo. Solo per questo. Le devono soltanto sapere. E dopo che abbiamo detto quello che dovevamo dire, il più è fatto. I risultati? Che siano quel che siano. Infatti quasi sempre a noi non interessa conoscere quale sia stato il ricevimento di quella cosa nell’animo degli altri: no, questo sarebbe un altro lavoro, un lavoro in più. Per noi, quella, è la cosa importante: scaricare la merce. Che ne faranno di quella merce? Non ci mettiamo a pensarlo. Del resto, se non gliela diciamo noi quella cosa, nessuno la saprà mai; se non gliela mostriamo noi quella cosa, nessuno la conoscerà mai. Gli altri hanno troppo da pensare alle loro cose. Che se ne importano di noi? Che se ne importano di sapere di noi: come siamo o come non siamo? Loro non ne hanno alcun interesse perché vanno sempre di corsa con in testa le loro cose e non hanno proprio né il tempo né la voglia di approfondire quello che ci riguarda. Chi le noterà le nostre tante piccole cose buone, che facciamo o che abbiamo nell’animo? Ma, poi, che possono capire gli altri? Dopo anni, non sanno niente di noi, nemmeno gli aspetti più evidenti. Non conoscono le nostre caratteristiche positive, i nostri piccoli pregi, le nostre buone intenzioni. Perfino gli amici più vicini a noi, dopo anni ed anni di conoscenza, non apprezzano di noi che poche cose, semmai solo quelle che balzano per forza agli occhi; e semmai proprio quelle cose che a noi non interessa che siano apprezzate. Gli altri non sanno scrutare in noi quel poco di buono che c’è. Ed anzi, se noi abbiamo fatto, o detto, una cosa buona, molti di loro tendono a pensare in male, più che a pensare in bene.
  • 19. 18 In famiglia? Anche là, può capitare che, se andiamo a dire quella, che è veramente una buona qualità che abbiamo, questa qualità non ci venga riconosciuta. Ed allora diciamo: “Beh, se nemmeno qui questo mi viene riconosciuto, figuriamoci dagli altri!”. Quindi, a dire certe cose, ci siamo, come dire?, costretti. Costretti? Si, costretti, e diciamo le cose, quasi sempre senza rendercene conto. Per aiutare il valore è necessario. Nessuno ne può fare a meno. Nessuno ne può fare a meno: sempre. E se ci saranno alcuni che in buona fede diranno: “Mai”, ciò sarà solo perché non se ne accorgono. Certo, è vero, non tutti gli altri ci interessano: solo pochi, di volta in volta, sono gli altri a cui veramente ci interessa di dire le nostre positività. Con loro, se capita, lo faremo. ■ LA REAZIONE DI ABBASSAMENTO Allora noi siamo con questa voglia di dire certe cose, ma dall’altra parte c’è qualcosa che ci ostacola. Che cosa ci ostacola? Ci ostacola la reazione degli altri. C’è un’esperienza che inconsciamente arriva a tutti, fin da ragazzi, attraverso la quale siamo avvertiti che, quando vogliamo dire qualcosa di positivo di noi, può anche capitare che si producano, nell’ambiente circostante, effetti palesemente negativi proprio per noi stessi. Possiamo produrre negli altri una reazione di abbassamento. Questa esperienza ci avverte decisamente. Quando qualcuno cerca di mostrare qualche sua positività, o prova a parlarne, alcune volte si può creare negli altri una sensazione di insofferenza; altre volte un’atmosfera sospesa. Ed, anche dentro di noi, alcune volte, senza saperlo, le tentate valorizzazioni degli altri non sono di nostro gradimento. Qualcuno parla di una sua positività, e non c’è dubbio che qualche volta noi possiamo trovarlo, non piacevole, senza alcun’altra ragione che averlo sentito. Ma attenzione: nella stragrande maggioranza dei casi, questa reazione opposta non nasce: non ci dispiace sentire qualcuno che si vanta, chiaramente o tra le righe. Non ci dispiace vedere qualcuno che si vuole attribuire qualche punto a favore. Gli altri possono parlare e possono dire quello che vogliono. In tanti casi non succede niente. Tutto fila liscio. Certe cose non ci toccano. Infatti, le reazioni di abbassamento sono, come dire?, a nostra insaputa, molto selettive: solo in certi casi, ogni tanto, in quei casi là. Certe volte, è diverso se la stessa cosa ci venga detta, o mostrata, da una persona o da un’altra: contro la prima sorge la nostra reazione di abbassamento, contro la seconda non abbiamo reazioni, non ce ne importa. Tutta questa reazione sorge, perché in quel caso il nostro valore non vorrebbe vedere che una cosa di un’altra persona: si sollevi davanti a lui. In quel momento quella cosa si solleva, e i nostri occhi mentali non vogliono solo restare a guardare. Sia che si sollevi sopra di noi e sia che si sollevi mettendosi alla pari di noi, il nostro valore in quel momento prova dispiacere e quindi
  • 20. 19 automaticamente nasce la nostra reazione. Questa reazione, poi, può restare solo nel nostro animo diventando automaticamente pensieri svalutatori, o venir fuori all’esterno diventando parole e frasi svalutatrici di quella cosa che abbiamo sentito sollevarsi un po’. E sono svalutazioni che servono ad abbassare. Ma questo può capitare solo quando noi ne siamo in qualche modo, come dire?, sensibili. Possiamo venir provocati solo quando ne siamo sensibili. Quando non ne siamo sensibili, le cose degli altri possono sollevarsi quanto vogliano senza che ce ne importi nulla, e la reazione non nasce. Dispiacere reazione di abbassamento. Nascono dentro di noi, in una nebbia fittissima. La critica di abbassamento viene fuori subito, ma quel dispiacere del valore che l’ha causata sta in fondo in fondo all’animo. Eppure, potrà capitare anche il caso che, dopo aver fatto chiarezza, noi protesteremo: “E’ vero, ho parlato ridimensionando il successo del nipote di mio marito nella pittura, ma che c’entra la pittura con me?”: eppure, un pur sottilissimo oscuro collegamento deve esserci stato se è scattata la reazione di abbassamento. Qua sembrerebbe che voltiamo pagina, mentre assolutamente restiamo nella stessa pagina: ebbene, sempre inconsciamente, le reazioni di abbassamento nascono in noi, non soltanto causate da quello che dicono gli altri, ma, qualche volta, alcune di esse, nascono da qualcosa degli altri, senza che questi altri, in alcun modo, lo abbiano detto. Se uno legge un libro di psicologia potrebbe far nascere una reazione di abbassamento. Anche se uno scrive poesie. Se uno, molto anziano, si allena correndo per la strada potrebbe far nascere una reazione. Oppure se uno spesso fa del bene ad altri. Oppure ancora se uno si è fatto un vestito diverso. O se uno è un animalista vegetariano. O se è conosciuto da tutti. O se dicono di lui che è un eroe. Oppure se fa parte del Comitato Irrigazioni. Oppure se non vuole assolutamente farne parte. Insomma, da qualunque cosa può nascere una reazione di abbassamento. Ecco: quella persona che legge, quella che scrive, quella che corre, quella che aiuta, quella che ha il vestito, quella vegetariana, quella che è conosciuta da tutti, quella che è un eroe, quella del Comitato, quella che non vuole, ebbene, queste persone, mai avevano parlato di quelle loro cose. Quelle persone stavano per conto loro. Eppure, eppure, senza volerlo, senza sospettarlo, hanno potuto suscitare in qualcuno una reazione di abbassamento. Ma se nessuno ne ha parlato? Sorge anche così? E’ lo stesso. E allora le reazioni in molti casi nascono anche senza che ci sia alcuna esternazione da parte degli altri. Ma è come se l’avessero detto. Quello che conta è quello che abbiamo sentito noi: un’emanazione di valore che ci proveniva da un altro. Il nostro valore ne viene toccato, non è contento, quella cosa si alza, nasce inconsciamente una reazione di abbassamento. E questo anche quando gli altri avevano semplicemente seguito i loro gusti. Anche quando erano nell’ambito dei loro diritti. Anche quando erano restati all’interno di comportamenti consueti.
  • 21. 20 Ma, sia che ne parlino o sia che non ne parlino, come vanno le cose? Ovviamente, inconsciamente, si deve tirar giù quello che si è sollevato. Come? Si tira giù con la critica verbale, che svalutando abbassa. La critica, per tirar giù quello che si è alzato, è il mezzo più immediato e facile da usare: subito semplice, universale. Certo, ci sono anche altri mezzi che noi usiamo: cercare di ignorare, o cercare di non parlarne, o di non rispondere, o ironizzare, o fare l’uguale, ma, fra questi tanti modi, è la critica a portare la svalutazione più evidente. C’è bisogno di abbassare l’altezza di quella cosa che si è sollevata. E quando, per tutte queste cose, qualcuno in buona fede dice al valore: “Tu sei meschino!”, il valore gli risponde: “Tutto questo è in tutti, e quindi anche in te. Lo sai quale è la posta in palio?” La reazione di abbassamento: perché non chiamarla direttamente, invidia? Non sarebbe una buona cosa. Perché l’invidia e la reazione di abbassamento hanno parecchio in comune, ma non coincidono perfettamente. Per esempio, se a me è antipatico un Cantante e dentro di me gli rivolgo qualche critica, si chiamerebbe invidia, tutto questo, per me che non canto, non suono e non ballo? Allora si direbbe: “Invidia? Invidia di che?”. In più, questa reazione di abbassamento è un dispiacere e una reazione, sottilissimi, sentimenti inconsci, trascorrenti, innocenti già solo per la loro naturalità, non riflettuti, di tutti i giorni, comuni a tutti. Invece, quello che intendiamo comunemente per invidia è solo un grosso peccato che rimproveriamo ad altri. D’altra parte, anche noi, senza saperlo, cerchiamo di non suscitare quella reazione negli altri ed a questo scopo siamo costretti a stare attenti a moltissime cose. Vogliamo comportarci bene e non diventare antipatici agli altri: quasi come se fosse un comportamento di buona educazione. Certo, non sempre rischiamo di causare negli altri la reazione di abbassamento. Non sempre è così. A volte possiamo parlare a ruota libera, e non succede niente. A volte possiamo accennare a qualcosa di valorizzante per noi senza suscitare reazioni. Possiamo avere di fronte una persona che ci vuole bene e parlare liberamente senza conseguenze. Se quella persona è a noi la più cara di tutte, può diventare: la nostra palestra di valore in libero orario continuo; da quella persona non temiamo reazioni. Tranquilli come bambini scarichiamo tutto il valore che vogliamo. Comunque abbiamo esperienza che anche con tanti altri spesso la reazione non nasce. Senza pensarlo, lo sentiamo: “Ma sì, con lui questo posso dirlo”, “Ma sì, con questa persona queste cose posso mostrarle tranquillamente”, “A lei sicuramente posso parlarne”. Tutto inconsciamente: ma, con un altro, come facciamo a prevederlo? Certo, sono poche le reazioni degli altri, ma il rischio c’è sempre. Sì, è vero, su quella cosa non dovrebbe avere reazioni, ma come esserne certi? Non sempre possiamo sentire dove ci sia sensibilità di valore. Non sempre possiamo intuirne la presenza negli altri. Nel loro animo la reazione di abbassamento può sorgere ad ogni minimo accenno di valore nelle nostre parole o nei nostri comportamenti. Certe volte, le persone, a questo proposito, hanno vista acutissima, colgono ogni più piccola traccia di valore. Hanno orecchio fino, sentono qualunque fruscio di valore
  • 22. 21 all’interno delle nostre parole. Subito entrano in allarme. Vedono ombre di valore dietro ai nostri atteggiamenti. Credono anche di vedere quello che non c’è. Caso estremo: noi stiamo così attenti a non indurre negli altri reazioni opposte che perfino quando è un altro che ci rivolge una lode o un semplice complimento, ebbene, anche in questi casi, noi siamo cauti e spesso rispondiamo attenuando la lode o smentendo in parte il complimento. Nel cinquanta per cento dei casi, in molti casi, noi rispondiamo così; scatta dentro di noi questo impulso a ridimensionare. Lo facciamo così, subito: in un certo modo, senza pensarci. Ci dicono una cosa carina: chi risponde non si pone il problema di vedere se quello che gli è stato detto sia vero o falso, come normalmente si fa. Qui, chi risponde non si interessa di verificarlo, essendo immediatamente teso solamente a non accettare la lode completamente per non causare una reazione. E pensare che le lodi degli altri sono per noi un regalo raro e prezioso; e pensare che arrivano alle nostre orecchie, quasi tutte, come vere e fondate. Noi ne abbiamo bisogno, loro ce le danno: logico sarebbe che le accettassimo interamente senza lasciare nemmeno una briciola nel piatto. Invece noi, a volte, ne limitiamo la portata. Operiamo limature che sono dei tipi più vari, quello che al momento ci viene in mente, con grande fantasia di contenuti. Spesso sono limature quasi impercettibili, una piccola parolina quasi nascosta nella risposta. E se non ci sono parole, ci mettiamo una risatina, un verso della bocca, un socchiudere gli occhi, un cambiare di discorso, ecc., ecc.. Proprio questa situazione così estrema è la migliore dimostrazione che noi inconsciamente abbiamo sempre in testa la reazione di abbassamento degli altri. Ed a tal punto noi l’abbiamo sempre in testa, che temiamo che una reazione si possa formare addirittura nello stesso animo di colui che ci ha lodato. Noi dovremmo pensare: “E’ proprio lui che lo ha detto; io lo accetto interamente, non succederà niente”. Ed invece limitiamo la lode, solo per evitare proprio il raro caso in cui tale reazione possa sorgere proprio in colui che ci ha fatto quel complimento. Accettare completamente: potrebbe risultare a lui come se lo avessimo detto noi. Sediamoci in poltrona ed assistiamo a queste due scenette. Prima scenetta Leopoldo incontra Paolo e gli dice: “Paolo, hai fatto qualcosa di veramente buono” e Paolo immediatamente risponde: “Non ho fatto niente di speciale”. Seconda scenetta Leopoldo incontra un’altra volta Paolo e gli dice, esattamente, quello che Paolo aveva detto nell’altra scenetta: “Paolo, non hai fatto niente di speciale”. Ma a questo punto incredibilmente lo stesso Paolo risponde: “Si, però, proprio niente di speciale: veramente, non è vero: io ho fatto …”. ■ LE DECISIONI DEL PONTE DI COMANDO C’è, in tutti, il Ponte di comando: ecco ora, un’altra prova che tutti temiamo, sia pure non chiaramente, la reazione di abbassamento degli altri.
  • 23. 22 Anche se non ce ne accorgiamo, spesso viviamo quel dubbio: la diciamo, o la mostriamo, quella cosa valorizzante, anche se questo ci può attirare addosso la reazione? Vale la pena di rischiare? E’ il momento opportuno, questo? Il rapporto con alcune persone non vogliamo peggiorarlo. Ma, nella nostra inconscietà, c’è il Ponte di comando, che lavora per noi e noi non ne sappiamo niente. E’ lui che decide dentro di noi. E’ lui che decide di volta in volta. Ci siamo noi che vorremmo dire certe cose; fuori di noi troviamo il rischio di certe reazioni: tra le due forze, si pone dentro di noi il nostro Ponte di comando a decidere quello che a noi conviene fare. Questo Ponte di comando decide, nella situazione particolare del momento, se debba prevalere la repressione o se debba essere lasciata via libera al desiderio di comunicare: quindi prende decisioni negative o decisioni positive. Le decisioni negative danno ragione completamente al timore di una reazione di abbassamento e così viene giù l’ordine: “Fermare le macchine”: la cosa non deve venir detta, né mostrata. Le decisioni positive invece danno via libera al bisogno di comunicare e così viene giù l’ordine: “Avanti tutta”: si può far conoscere agli altri quella cosa. ■ L’AGGANCIO IMPROVVISO Il Ponte di comando lavora, certe volte, in modo tranquillo; altre volte, in modo rocambolesco. Lavora in modo tranquillo quando, sapendolo prima e volendoci accontentare, trova il momento più adatto per darci via libera: quando si rischia la minore reazione possibile. Invece lavora in modo rocambolesco, quando, mentre stiamo parlando con gli altri, capitando improvvisamente una buona occasione, deve prendere una decisione all’istante. Si o no? Qui è stupefacente la sua prontezza. Il Ponte di comando non sembra mai soffrire di incertezze. Un preciso ordine ci arriva immediatamente. Se la decisione è positiva, va sfruttato subito l’aggancio capitato nel discorso: va detta immediatamente la cosa (motivazione di valore). Il problema per lui è quello di intrufolare in qualche modo quello che vogliamo dire, sembrando ugualmente di rispondere a tono e sembrando di continuare coerentemente il discorso che si sta facendo. Il Ponte di comando cerca di fare in modo che la persona con cui si sta parlando non ci venga a dire: “E’ questo che c’entra?”. Uscendo un poco dalla coerenza dello scambio verbale, nello stesso tempo bisogna restare attaccati all’argomento: senza strapparlo. Siccome saremo rimasti, come dire?, nelle vicinanze, le altre persone non ci faranno caso perché non avvertiranno grosse deviazioni dal filo del discorso. Ed è questo il risultato che spesso il Ponte di comando riesce ad ottenere: che appaia, naturale, l’aver detto in quel momento quella certa cosa. Sembrerà all’altra persona un semplice arricchimento dell’argomento di cui si sta parlando, e non una motivazione di valore.
  • 24. 23 Insomma, c’è la possibilità di avere uno sconto sul prezzo. Se la cosa scivola nello scambio verbale senza apparenti forzature, allora una eventuale reazione di abbassamento non sorgerà o, se sorgerà, resterà blanda. E questo sarà un vero e proprio sconto sul prezzo per noi, che paghiamo spesso prezzi interi per esternare quello che al nostro valore interessa che sia detto. Spessissimo poi il Ponte di comando, accorgendosi di una nostra voglia di dire una certa cosa, crea un aggancio, come dire?, artificiale. Introduciamo un argomento, a cui poter agganciare poi con naturalezza quello che vogliamo dire. Oppure all’altra persona domandiamo una cosa che la riguarda, attinente a quello che dobbiamo dire; così, dopo che la persona ha risposto parlando di sé, noi subito diciamo quello che vogliamo farle sapere. ■ AVANTI CON ISTRUZIONI DETTAGLIATE Con le decisioni positive il Ponte di comando ci dice: “Vai avanti, fai come vuoi”. Ha deciso che non c’è pericolo, possiamo stare tranquilli. Il Ponte di comando è sicuro che non sorgeranno reazioni di abbassamento. In molti altri casi, invece, il Ponte di comando ci lascia via libera, sì: ma non completamente. In questi casi pensa che valga la pena di rischiare, ma solo andando avanti con cautela. La via libera che ci ha dato potrà essere percorsa da noi: ma solo con le sue istruzioni dettagliate. In alcuni casi ci fa premettere: “Io ho questo difetto: …”. Oppure: “Non so se è una cosa buona o cattiva:…”. Oppure: “Forse sono fatto male: …”. Ecc., ecc.. Altre volte dobbiamo dire la cosa con toni di voce umili e modesti. O dobbiamo dirlo mostrando nello stesso tempo di volerlo nascondere. Oppure dobbiamo dirlo solo con un piccolo gesto, un’occhiata, un movimento. Certe cose si possono dire col tono scherzoso, come se non dicessimo sul serio. Si possono premettere frasi cautelative del tipo di: “Modestamente, …”. “Senza nulla togliere agli altri, …”. “Non per vantarmi: …”. Ecc., ecc.. Altre volte il Ponte di comando ci fa dire la cosa che vogliamo dire ma ci fa sottolineare che noi sappiamo benissimo di non doverlo dire e che tuttavia facciamo solamente una scusabile eccezione: “Sì, qua non voglio fare il modesto:…”. Oppure: “ Veramente non lo dovrei dire, ma …”. “Ormai è passato molto tempo, lo posso dire: …”. Ecc., ecc.. Ma non sempre le cose sono semplici. Spesso il Ponte di comando ci fa sbandierare una falsa motivazione, mentre poi diciamo quello che dobbiamo dire. “A te fa piacere sentire queste cose: …”. “Per farti capire come sono quelle persone:…”. “Ho bisogno di un consiglio su questa cosa: …”. “Ve lo dico perché, saperlo, possa servire anche a voi: …”. “Vedi se va bene: …”. Ecc., ecc..
  • 25. 24 Altre volte ci fa dire quello che facciamo, ma lamentandocene come di una cosa noiosa o gravosa. Infine, avvertendo una nostra grande impazienza , il Ponte di comando, non trovando altri modi, certe volte opta addirittura per il metodo del: dire altro per dire quello: c’è la vera motivazione di valore per la quale parliamo, ma diciamo tutt’altro. Noi vogliamo far sapere A (motivazione di valore) ma diciamo R senza mai dire A. E così il messaggio parte nascosto. Il Ponte di comando è convinto che quella persona con cui stiamo parlando, anche se abbiamo detto altre cose, ugualmente potrebbe arrivare a pensare le cose che facevano parte del messaggio nascosto. Dentro la sua mente dovrebbe poter avvenire una spontanea congettura o anche un semplice passaggio mentale, da cui possa venire in rilievo la cosa oggetto del messaggio nascosto. E quindi, quella cosa, l’avrà pensata, lei, quella persona. E noi? Noi non c’entriamo. Lo avrà pensato lei, e non potrà mai associare quello che noi abbiamo detto a quella cosa buona che ora nota in noi: da tutto ciò, niente reazione. Si aprirà questo corridoio nella mente di quella persona? Ebbene, se non si aprirà, pazienza; per il Ponte di comando sarà valsa la pena di aver tentato questo metodo. Adesso serve proprio qualche esempio della signora Rossi. Eccola. Inizia: “Pur avendo ben capita la cosa, non sono riuscita a trovare dentro di me le operazioni del dire altro per dire quello. Forse ci saranno pure state, ma comunque non ho esempi da darvi. Il patto era che gli esempi dovevano essere cose, capitate veramente, e non inventate. Mi dispiace”. Se ne va. E allora? Allora, esempi completamente inventati.. Io dico ad un amico: “Devi stare molto attento”. Non mi importa nulla dell’amico e ho detto questo solo per fargli sapere che io mi ero accorto della difficoltà di quella situazione (motivazione di valore). Ho portato avanti la cosa come se avessi parlato affinché lui potesse stare più attento. Siamo, in gruppo, tutte donne. Si sta parlando delle meraviglie dei nuovi telefoni moderni. Dico: “Esiste un telefono di casa, fatto in modo che soltanto l’interessato possa rispondere alle telefonate per lui?”. E ho detto questo solo per far loro intuire che io ho un rapporto d’amore segreto con un uomo (motivazione di valore). Ho portato avanti la cosa come se avessi avuto la curiosità di scoprire nuove capacità tecniche dei telefoni. Un’amica, allora, mi dice che per ora un telefono di casa simile non esiste però forse un domani si potranno differenziare le suonerie, ma smette subito vedendomi completamente disattenta. Io sono un bambino di dieci anni. Dico al mio cuginetto più piccolo: “Ti ricordi un mese fa, quando andammo giù al paese, come ci divertimmo?”. E ho detto questo solo per fargli venire alla mente di quando, durante quella sera, io riuscii a far girare la ruota (motivazione di valore). Ho portato avanti la cosa come se avessi cercato di rinnovare ancora col ricordo il piacere goduto insieme. Lui dopo un po’ mi risponde: “Ma io, mi ci annoiai”.
  • 26. 25 Eppure, invece, ci sono anche dei casi in cui lo ascoltiamo di meno, il Ponte di comando. Se lui trova il modo di aiutarci subito, va bene, ma se poi dobbiamo aspettare sempre i suoi modi ed i suoi tempi, allora no. In questi casi, assolutamente, di certe cose ne vogliamo parlare, non ce ne importa, lo vogliamo dire subito, senza aspettare. Quali sono questi casi in cui il Ponte di comando viene messo da parte? Questo accade esattamente o quando ci troviamo su di un nostro, importante, punto di soddisfazione (non ancora trattato) del quale ne vogliamo parlare; o quando abbiamo un livello di valore molto basso e dobbiamo parlare per forza; oppure, quando abbiamo già incominciato ad avere dalla nostra mente qualche disfunzione del comportamento e quindi andiamo, come dire?, a ruota libera a dire quello che vogliamo. ■ COME SI ARRIVA AL TABU’ Conclusione: perché il valore diventa tabù? Risposta: il valore diventa tabù a causa delle reazioni di abbassamento. Certo, quando i bambini sono tanto piccoli da non conoscere queste reazioni, si può allora vedere quanto sia sfrenato e senza riguardi il bisogno di comunicare il proprio valore; ancora di più, quando si trovino in gruppo; ancora di più, in gruppo, alla presenza di un adulto significativo. Poi, prima o poi, arriverà quell’esperienza, la quale diminuirà almeno un po’ l’irruenza di quelle acque tumultuose. Fin da piccoli registriamo ed accettiamo, come regola ammonitrice, il fatto che, certe cose un po’ valorizzanti, se vogliamo essere sicuri, le possiamo dire, o mostrare, solo ai genitori. Spesso, non ai coetanei, e , perfino, non ai fratelli. Da costoro a noi, qualche volta viene l’avvertimento che la cosa può non essere gradita. La reazione opposta che ci viene da loro è come se ci dicesse: “E’ vietato”. Nello stesso tempo a noi stessi qualche volta non è gradito sentire certe cose dai coetanei e quindi anche dall’interno del nostro animo viene fuori la voce: “Non si fa”. Risultato: è vietato. Per il tabù, nessuno ci spiega la cosa. Per gli altri comportamenti che dobbiamo evitare riceviamo un continuo insegnamento. Per questo, nulla. Ed anche se qualche genitore più preoccupato ci dice: “Non ci si vanta con gli altri”, poi non potrebbe avventurarsi a spiegare bene la cosa. E si sa che tutte le cose di cui non si conosce la provenienza fanno più impressione. Risultato: mistero. Risultato: vietato e mistero. Vietato e mistero quindi avvolgono le nostre piccole esternazioni di valore. Ma la nostra mente farà presto ad applicare, vietato e mistero, non più solamente alle esternazioni di valore, ma anche direttamente all’intero discorso del valore. Vietato e mistero, silenzio imbarazzato. Questa trasposizione mentale è l’ovvia naturale conseguenza. Sarebbe stato ben prevedibile che finiva così: tutto via.
  • 27. 26 Tutta la sentita necessità di valore diventa, vietato e mistero, ed anche tutto quello che ne parla. Da queste impressioni, da quello che abbiamo visto e sentito, il risultato non poteva che essere quello: il valore diventa un tabù. Il valore è tabù. Finiamo per associare mentalmente il concetto di valore a qualcosa, come di brutto, di odioso, di sporco. E crescendo, le cose non mutano. Il tabù ormai si è radicato in noi e può continuare indisturbato, perché niente e nessuno intorno a noi contribuisce più a diradarlo. Da adulti, col nostro allontanarci dai genitori, il principale porto franco che avevamo ci viene precluso. E poi le cose sono cambiate: siamo diventati grandi, ed anche con essi ormai quasi sempre usiamo le stesse cautele che usiamo con gli altri. ■ LO SAPPIAMO – SEMINCONSCIETA’ – INCONSCIETA’ Certe volte ne siamo coscienti. Pensiamo: “Non ho voluto parlare per difendere il mio onore” (valore). Oppure: “Ci tengo molto a questa cosa perché mi dà molte soddisfazioni” (valore). Ma sono pochissimi questi casi in cui riusciamo ad intuire che si tratta del bisogno di valorizzazione. In realtà, di questo non vediamo quasi niente nella nostra mente. Vediamo, come vedremmo in un laghetto dall’acqua torbida, dentro cui nuotino tantissimi pesci. Di tutti questi pesci, che pure nuotano in quel laghetto, noi ne vediamo solo qualcuno, appariscente, quando salti sopra il pelo dell’acqua e, semmai, altri due che vengano quasi in superficie. Ma non vediamo null’altro. Ora, su tutti gli altri diecimila pesci del laghetto, cioè per tutto il valore inconscio che è nel nostro animo, il tabù agisce indisturbato. Quindi, da una parte, di quasi tutto il nostro bisogno di valorizzazione personale che gira nei nostri pensieri, noi non ne sappiamo niente, e, dall’altra, ancora senza che noi lo sappiamo, vi agisce il tabù. Alla fine, è una cosa, difficile a credersi: mentre, noi, non siamo abituati a tradurre, e quindi non sappiamo che una nostra motivazione è di valore, ebbene, invece, il tabù, lui, lo sa, lui ha già fatto la sua traduzione, e quindi noi ci troviamo a nascondere e a mitigare. E così, noi non ne sappiamo nulla, mentre lui lo sa. Inconsciamente, a contatto con gli altri, spesso nascondiamo il valore, lo intrufoliamo, lo presentiamo devitalizzato, lo spieghiamo in altri modi. Poi: da fuori a dentro, nella nostra mente, il passo è breve: a furia di nasconderlo agli altri, finisce che resta nascosto anche a noi. A furia di intrufolarlo o presentarlo devitalizzato, finisce che sembra anche a noi una cosa evanescente. A furia di farlo uscire travestito, finisce che ci resta travestito anche in casa, ed anche noi stessi finiamo per considerarlo qualcosa d’altro. Risultato: il valore diventa spesso inconscio. Certe volte può anche accaderci che, cercando il perché di un nostro comportamento, escluse tutte le altre spiegazioni possibili, ci fermiamo pensando: “E allora? Una ragione non la trovo?”. Quella motivazione di
  • 28. 27 valore, per il tabù, è qualcosa che non si vede come esistente. Eppure, era semplice, l’avevamo fatto per quello (motivazione di valore). Il valore, noi lo viviamo ma non ci riflettiamo. Lo sappiamo e non lo sappiamo. Lo sappiamo e non ci interessa saperlo. Se ce lo vengono a spiegare, sembra che già lo sapevamo. Ne parliamo, ma spesso non ce ne chiediamo il perché. Sorvoliamo. Siamo sonnambuli. Seguiamo motivazioni di valore e dopo non sappiamo bene tutto quello che c’è stato dentro la nostra mente. In molti casi la spiegazione di valore si trova appena sotto un leggerissimo strato di cipria: basta soffiarci sopra e si può vedere tutto. Ma non vi soffiamo. Alcuni guerrieri del valore, all’aperto o solo nei nostri pensieri, escono a combattere per conquistare altro bottino. Le sentinelle dell’accampamento, ventiquattro ore su ventiquattro, senza mai riposare, vegliano alla difesa del valore. Migliaia e migliaia di piccoli operai lavorano giorno e notte. I guerrieri combattono qualunque nemico, le sentinelle urlano al solo avvistamento di eventuali assalitori, i piccoli operai lavorano assiduamente: e di tutta questa situazione, proprio noi, non ne siamo pienamente consapevoli. Questa cosa incredibile diventa possibile perché il tabù del valore fa scendere la nebbia su tutto lo scenario. Una delle tendenze più forti del nostro animo ci risulta un debole fantasma. Per la prima volta, si scopre il tabù che grava sul valore. E’ stato il gioco delle motivazioni (non ancora trattato) che, avendo visto tutto questo nostro imbarazzo e tutto questo nostro rifiuto, è andato a vedere. Ma imbarazzo e rifiuto, di fronte a che? Di fronte a qualcosa, il valore, che è nascosto e poco chiaro. Allora, per prima cosa, bisogna passare ad intravederlo, un poco, il valore. Bisogna capire quante cose vanno tradotte in esso. Poi ancora, bisogna incominciare a pensare che la cosa è così tanto importante, dai nostri pensieri, da riversarsi dai nostri pensieri prepotentemente fuori, attraverso le manifestazioni esteriori. Ma come si fa a fare tre salti, così difficili, uno dietro l’altro? Ebbene, il gioco delle motivazioni (non ancora trattato) ci prenderà per mano, e ci farà fare tutti e tre questi salti. Noi avremo discorsi ed azioni da esaminare. Allora, fra le varie risposte, la risposta: “Valore” ricorrerà spessissimo, minuto per minuto. Spessissimo? Nessuno ci crederebbe. Sforzo di traduzioni, all’inizio, e poi vedremo che dovremo considerare, di valore, minuto per minuto, tanta parte di quello che diciamo e facciamo. A tradurre ci sentiremo spaesati, non l’abbiamo mai fatto, non ci siamo abituati, ma senza traduzioni tutto resterebbe così come è. Il gioco delle motivazioni (non ancora trattato) ci richiede traduzioni. Il valore? Solo il gioco delle motivazioni può scoprirlo completamente. Solo il gioco delle motivazioni può scoprire quanto continua sia la presenza del valore dentro di noi. Il valore balla continuamente nei nostri pensieri e quindi si riversa nelle azioni e nelle parole. C’è qui un interlocutore?
  • 29. 28 INTERLOCUTORE – Ma dove sta questo valore ogni minuto, come dite voi? Io non lo vedo. Sì, ogni tanto, certo, ma poi basta. AUTORE – Lei lo troverebbe continuamente dentro di sé, se volesse usare il gioco delle motivazioni. INTERLOCUTORE – Ci vorrebbe anche questo, adesso! AUTORE – Allora è naturale che Lei non possa vederlo. Quando, all’inizio, si incomincerà ad usare il gioco delle motivazioni, non capiremo subito la collocazione, nel valore, di tantissime manifestazioni, anche di quelle più chiaramente di valore. Allora, uno che sia già esperto nel gioco sicuramente se ne meraviglierebbe. Se potesse entrare nella mente di colui che appena allora incominciasse ad usarlo, direbbe: “Ma tu, nemmeno questo, vedi che é, di valore? Nemmeno la cosa più semplice?”. Inoltre, quell’esperto vedrebbe che il novizio capirebbe che le sue manifestazioni sono, di valore, solo quando é valore che lo tocca fortemente, per le cose più importanti: non invece quando si trattasse del valore nelle cose piccole, piccolissime, motivazioni di piccolissimi movimenti e piccolissime frasi, nei momenti insignificanti, sciocchezzuole, bazzecole. E direbbe al novizio: “Devi rifletterci: anche alcune, di quelle piccolissime cose, che tu fai o dici: non sono, niente; anch’esse, in quel momento, difendono, proteggono o accrescono il tuo valore. Insomma, nella vicenda del valore, tutto conta e tutto serve”. E, se qualcuno ci volesse impegnare a vedere come una nostra piccola cosa sia stata causata dal bisogno di valore, noi allora, irritati, risponderemmo: ”Il valore? In una cosa così piccola? Sono ben altre le cose…”. Spreco di energie per mancate traduzioni. Normalmente non si pensa che tante cose che facciamo abbiano la stessa motivazione, che confluiscano nello stesso alveo, e siano, come dire?, la stessa cosa. Delineare le proprie sopracciglia con la pinzetta per apparire meglio, e ristudiare la geografia solo per migliorarsi: sono la stessa cosa. Dire: “Siamo in pochi ad aver capito questo” per fare notare la differenza, e picchiare spesso la moglie per avere la sensazione di tenerla sotto: sono la stessa cosa. Dire: “Ho avuto ragione io” solo per ricordarlo agli altri, e mettersi, per uscire, un vestito migliore di quello di casa: sono la stessa cosa. Dire: “Cinque o sei volte” invece che: “Una o due” per fare migliore figura, e dire: “Io sono una persona leale” per far notare questa buona qualità: sono la stessa cosa. Riprendere il discorso per precisare le proprie intenzioni affinché non si pensi che si sia sciocchi, e impedirsi di fare una cosa, se passa qualcuno, per non fare brutta figura: sono la stessa cosa. Ecc., ecc.. E normalmente tu non pensi che tante cose che senti nel tuo animo abbiano la stessa causa, che siano reazioni alla stessa esigenza, e siano, come dire?, la stessa cosa. Sono la stessa cosa: se ti senti fiero della tua macchina nuova, se non ti fa un buon effetto vedere un tuo coetaneo dimostrare meno anni di te, se critichi, come avversario, l’altro Settore dell’Ufficio, se, dentro di te, non fai il tifo per tuo fratello durante la sua gara perché non sta seguendo un tuo consiglio, se in un discorso ometti di dire una cosa solo per non fare brutta figura, se pensi: “Ben gli sta” di un alpinista che è precipitato, se stai bene perché hai risolto un cruciverba difficile, se pensi di sparare alla tua fidanzata che non ti ama più e ti vuole lasciare: “O mia, o di nessuno!”, se ti soddisfa il fatto che ti stai distinguendo dagli altri, se non sei contento se ti dicono che non hai saputo educare tuo figlio.
  • 30. 29 Ecc., ecc.. E ci siamo messi su una cattiva strada: a nulla servirebbero anche diecimila pagine di esempi di tutto quello che rientra nel valore. Diecimila pagine di esempi non servirebbero ad altro che a dare l’impressione di aver circoscritto un terreno che invece è infinito. Il valore va in giro portando con sé una valigia grandissima. Innumerevoli nostri atteggiamenti, mille volte più di quelli che pensiamo, si trovano, tutti, in quella valigia. Tantissime, non abbiamo mai pensato che si trovino in quella stessa valigia. Dal bisogno di elevare e di non far scendere il livello di valore, vengono moltissimi tipi di comportamenti, parole, sentimenti, reazioni, impulsi, ecc., ecc.. Il valore è in giro dovunque; permea la vita delle persone come la panna con il caffè, solo che, di esso, si fanno tanti discorsi, ognuno diverso dall’altro. Si danno tante spiegazioni diverse al posto di un’unica spiegazione. Dei comportamenti di valore, si danno tante spiegazioni apparentemente diverse, che, tutte, rientrano nell’unica spiegazione di valore: quella persona ha cercato un po’ di valorizzazione per sé, o, in altri casi, sta cercando di evitarsi svalorizzazioni. Si tratta di mattoni dello stesso edificio ed invece: si parla d’altro, di altro, e d’altro ancora. Mille spiegazioni distinte, mille discorsi distinti: un enorme spreco di energie, per quello che è un discorso unico. Discorsi e studi: quanto spreco di energie, quanto lavoro inutile, senza capire che, in molti di quei casi, tutto è solo un effetto della stessa cosa.
  • 31. 30 RAPPORTI COMPLICATI ■ LE SCELTE ED IL VALORE Ad ogni attimo noi facciamo delle scelte. Tra le tante scelte possibili, noi facciamo una scelta precisa: quella. Usiamo un certo tipo di spazzola. Dopo molti ripensamenti compriamo una certa casa. Preferiamo un certo tipo di vino. Fra le tante cose a disposizione abbiamo scelto quella cosa. Però le scelte che noi facciamo non sono soltanto le scelte che conducono ad una cosa materiale: la spazzola, la casa, il vino; ma noi facciamo anche scelte che sono solo nella nostra mente. Usiamo un certo tipo di comportamento. Dopo molti ripensamenti la pensiamo in un certo modo. Preferiamo in quei casi un certo tipo di convinzione. Insieme alla scelte di cose materiali, anche queste, sono, scelte. Infatti fra i tanti modi di pensare possibili abbiamo scelto proprio quello, in particolare. Non in altro modo: noi la pensiamo così. Oggetto delle scelte: dalle cose importantissime, a quelle infime, ridicole. Le scelte fanno parte della nostra personalità, le danno struttura e colori. Stanno dentro di noi. Sono, noi. Ci caratterizzano quanto ci caratterizza il nostro viso. Ora, le scelte sono, noi, perché queste propensioni mentali possono anche interessare il nostro valore. Infatti alcune di esse, il valore, lo trasportano dietro le spalle: il valore sta nascosto, fino a quando sente di dover venir fuori al fianco della sua scelta. Ma attenzione a non generalizzare: in numero maggiore, sono le scelte leggere, le scelte che non portano dietro le spalle alcun valore. Le scelte leggere sono quelle che non ci caratterizzano in alcun modo. Non
  • 32. 31 abbiamo pensato con attenzione ad esse. Potremmo anche cambiarle con altre. Sempre, scelte, sono, ma non sono, noi. Di esse non ce ne importa. Invece per le scelte che portano dietro di sé il valore, può sempre capitare che in un determinato momento possiamo sentircene coinvolti: e questo può sempre capitare, sia con le scelte che trasportano molto valore e sia con quelle che ne trasportano poco: alcune ne portano dieci chili, altre cinque, altre pochi grammi, altre un solo grammo. Noi non ne sappiamo niente di niente, ma ciò accade nei nostri animi. Se capita l’occasione, con motivazione di valore, diciamo agli altri queste cose che pensiamo: noi la pensiamo così. Inconsciamente, siamo affezionati a queste nostre scelte. Con motivazione di valore, le esprimiamo agli altri: spesso contrastiamo le critiche che sono rivolte loro; a volte le diciamo come aspetti qualificanti della nostra personalità; semmai solo in momenti particolari, con certe persone, sì; con altre, no. C’è momento e momento. Quando il valore, che è dietro le spalle di una scelta, è pesante, spesso deve mettere i piedi a terra e noi diciamo come la pensiamo. Quando è poco pesante, spesso può rimanere dietro le spalle della sua scelta e noi non lo diciamo mai. ■ IL GRANDE ATTRITO FRA LE SCELTE I modi di pensare, che si mostrano divergenti tra di loro, non provocano alcun attrito, se le due persone che si stanno guardando, o che si stanno parlando, hanno, in quegli oggetti, una scelta leggera. Non succede niente. Che importanza potrebbe avere questa diversità di preferenze? Anche se la diversità viene notata: è una pistola scarica. Invece basta che uno solo dei due vi abbia una scelta trasportante valore, che subito si crea attrito fra le scelte. Se noi abbiamo in quell’oggetto una nostra scelta pesante di valore e l’altra persona no, quell’altra persona non sempre arriverà ad intuire che nel nostro animo è avvenuta subito l’automatica verifica di comparazione fra la scelta da noi espressa e la sua. Le scintille causate da questi attriti non mancheranno mai, cadendo sul rapporto che abbiamo con l’altra persona: almeno per un attimo, sulla trama delicatissima del rapporto, subito appare un piccolo segno di abrasione. Ciò porta, non c’è niente da fare, una risonanza non buona nel nostro animo, una piccolissima contrarietà. Ciò per il fatto che quando incontriamo scelte che sono completamente opposte a nostre scelte che portano valore, allora le altre persone portatrici di queste loro scelte: è come se contraddicessero il nostro valore, è come se lo deridessero. E questo anche quando in quel momento nessuno voglia farsi valere attraverso le proprie scelte: solo a sentire, o a guardare. Ora, siccome fra le persone gli attriti di questo genere sono frequenti, andando in giro si vedono sollevarsi scintille continuamente da ogni parte.
  • 33. 32 Se poi, con le scelte divergenti, quell’oggetto rappresenta una scelta pesante di valore per ambedue: ne scaturisce un forte attrito. Qualcuno potrebbe dire: “Ma che c’è di male a pensarla diversamente? Che fa?”. Ed infatti non ci sarebbe niente di male, se dietro le spalle di alcune scelte non ci fosse il valore. Freddo e distanza In un rapporto, quando i modi di pensare sono troppo spesso divergenti, la conseguenza di questi continui attriti sarà: freddo e distanza. Quindi, due persone che la pensano diversamente su troppe cose importanti: non potranno mai stare completamente bene insieme. Le distanze psicologiche si allargano a poco a poco, e con le distanze più larghe il raffreddamento del rapporto arriva prima. Ci sono, certo, altri fattori di unione, ma questo fattore resta della massima importanza e non va mai sottovalutato. Calore ed avvicinamento Se c’è una persona che espone spesso i nostri stessi modi di vedere la conseguenza sarà: calore ed avvicinamento. Scoprire che le scelte di un’altra persona sono spesso uguali alle nostre: ci farà sentire simpatica questa persona, perché confermativa del nostro valore. Se poi una scelta, che ci sta molto a cuore, per qualche ragione non è condivisa da nessuno, ebbene, allora incontrare un piccolo omino che la pensi come noi: ce lo farà sentire come un fratello, un fratello temporaneo. ■ ALCUNE SIMPATIE ED ANTIPATIE Simpatie ed antipatie: non hanno poca importanza. Sappiamo bene come le simpatie e le antipatie, sovrastando irresistibilmente la razionalità, possano, da sole, orientare in bene, o in male, alcuni casi della vita delle persone, e perfino dei popoli. Chi scegli, tu, fra una persona saggia ed onesta che ti é antipatica, ed una persona di poche qualità che ti é simpatica? Di molte di esse, simpatie ed antipatie, noi sappiamo benissimo quali sono le cause. “E’ stata onesta. Non è cosa di tutti i giorni. Mi è simpatica”. “ E’ stato l’unico che abbia capito di che cosa io avessi bisogno. Mi è simpatico”. “Non vuole in alcun modo farmi passare. Mi è antipatico”. “Mi ha sbagliato la camicia e vuole farsela pagare. Mi è antipatica”. E’ semplice: può nascere simpatia per chi, in qualche modo, è stato a nostro favore e, viceversa, antipatia per chi, in qualche modo, ci è stato contro. Anche delle simpatie e delle antipatie, quelle causate dal valore, noi ne sappiamo bene le cause. “Proprio in questo vuole per forza apparire migliore di me. Mi è antipatico”. “Vorrebbe sempre che facessi tutto
  • 34. 33 quello che vuole lei. Mi è antipatica”. “Mi ha detto che sono molto generoso. Mi è simpatica”. “Lo tratto alla pari. Gli sono diventato simpatico”. “Non mi piaceva il posto dove lei stava. Le sono diventato antipatico”. Ma alcune altre, delle simpatie ed antipatie, invece, certe volte non ce le spieghiamo. “Perché ti è antipatico quello?”, rispondiamo: “Boh, non lo so, eppure non mi ha fatto niente”. “Perché ti è simpatica quella?”, “E chi lo sa? Non la conosco nemmeno”. Ora, per le simpatie e le antipatie che non ci spieghiamo, possiamo star sicuri, ancor prima di cercare, che queste, tutte, vengono dal valore. Infatti, se non venissero di là, perché non dovremmo capirne le ragioni? Così, finalmente, potremo far luce anche su questi sentimenti. Le simpatie che certe volte non ci spieghiamo (valore) derivano da: 1) Concordanza di scelte trasportanti valore (già trattata) Ci viene la simpatia verso la persona con cui spesso la pensiamo allo stesso modo. 2) Atmosfera di valorizzazione Sentiamo di star bene con quella persona. Ci sentiamo a nostro agio con lei. Non calpesta mai la nostra sensibilità. Ci ascolta mentre parliamo. Non ha fretta con noi. Si mostra con noi, quale è. Sente il nostro parere. Ha il viso attento ed interessato. E questi modi usati verso di noi sono proprio quelli che noi gradiamo. Ci sentiamo bene con quella persona, rilassati e sciolti, e diamo tutto il meglio di noi stessi. Non ci critica, se non per motivazioni altruistiche. Se tutti avessero sempre avvilito il nostro valore, con quella persona il nostro valore sentiamo che si riposa e si ritempra. Infatti in compagnia di quella persona ci troviamo in un’atmosfera di valorizzazione. E così ci viene la simpatia verso quella persona. Senza conoscerne le ragioni. Così, nei rapporti continuativi. Ma atmosfera di valorizzazione si può avere anche in rapporti solo temporanei: quando potevano anche non rispettarci; quando inaspettatamente ci hanno trattato bene. Le antipatie che certe volte non ci spieghiamo (valore) derivano da: 1) Diversità di scelte trasportanti valore (già trattata) Moltissime volte sentiamo antipatia verso la persona con cui spesso non pensiamo, non ci comportiamo, allo stesso modo. E si può arrivare anche al caso estremo in cui noi vediamo per la prima volta una persona, ed essa subito ci ispira antipatia. “Perché mi deve essere antipatica?”, ci chiediamo dentro di noi: e, addirittura, semmai, solamente dal viso di quella persona ci viene suggerita l’inconscia intuizione di qualche modo di essere opposto a qualcuno dei nostri. 2) Reazione di abbassamento (già trattata) Ci viene l’antipatia verso la persona che ci ha generato una reazione di abbassamento. 3) Non stanno al loro posto
  • 35. 34 Ci viene l’antipatia verso quelle persone che, come dire?, non stanno al loro posto. Non stanno al loro posto: riguardo ad una posizione, ad un ruolo, ad una fiducia, ad un’attività, ad una situazione, o semplicemente riguardo a qualcosa che casualmente capiti loro. Questo però: solo quando, contemporaneamente, dalla estimazione di alcuni, queste situazioni vengano giustificate e considerate consone a quelle persone. Per noi quella persona sicuramente non vale la situazione in cui è. Eppure alcuni la pensano diversamente. Non stanno al loro posto: è una causa di antipatia così forte, da meritare un discorso a parte, anche se un discorso a parte non dovrebbe averlo: infatti questa causa di antipatia non ha alcuna sostanza propria. Non è altro che un amalgama fra la diversità di scelte: “Alcuni evidentemente la pensano diversamente da me” e la reazione di abbassamento: “Dovrebbe stare più giù, al suo livello”. E sono cose che si saldano fortemente, finendo per appuntarsi, tutti e due, su quella persona. Qua succedono procedimenti mentali, tutti sballati. Infatti, invece di diventarci antipatiche quelle persone che apprezzano quell’uomo (discordanza di scelte), a noi, con trasposizione ancora inconscia, succede che ci diventa antipatico direttamente quell’uomo. E non basta: quell’uomo, stando, come dire?, in quel posto, per noi ancora inconsciamente, è come se lui stesso se lo giustificasse, causando in noi la reazione di abbassamento. Così, attraverso questi procedimenti si saldano discordanza di scelte e reazione di abbassamento. Ci diventa antipatica quella persona. Senza conoscerne le ragioni. Per noi è poca cosa, mentre per altri non è così. Le danno considerazione. Oppure, proprio loro, l’hanno messa in quella posizione. Oppure non notano la sua inadeguatezza. Oppure le stanno intorno, la cercano e la blandiscono. E poi anche lei, quella persona, sicuramente ritiene di essere adatta, all’altezza, e meritevole. Noi pensiamo: “E’ troppo insignificante per …”. Oppure: “E’ troppo ignorante per …”. “E’ troppo cretino per …”. “E’ troppo brutta per …”. “E’ troppo vecchio per …”. “E’ troppo comune per …”. Ecc., ecc.. 4) Atmosfera di svalorizzazione Accade tutto il contrario che nell’atmosfera di valorizzazione. Comportamenti, opposti a quelli, creano nel nostro animo sentimenti, del pari opposti. Ci viene l’antipatia verso quella persona. Forse c’è una simpatia in noi, o una antipatia, che in nessun modo riusciamo a spiegarci? Ebbene, la risposta non potrà che essere in una di queste cause numerate.
  • 36. 35 ■ SGOMBRARE IL CAMPO Il criticare gli altri, il disapprovarli, il trovare in loro cose non buone, l’avere qualcosa da ridire su qualcosa che non va, il vedere in loro qualcosa che non ci piace: sono cose molto presenti in noi. Nel nostro parlare, o nei nostri pensieri, la frequenza è notevole. Ma, per prima cosa, dobbiamo sgombrare il campo da quelle critiche che non hanno motivazione di valore. Qui si parla di valore ed allora dobbiamo sgombrare il campo da quelle critiche che hanno altre motivazioni. Una critica rivolta agli altri può avere qualunque tipo di motivazione. Ci vengono subito in mente le critiche e le disapprovazioni aventi motivazioni altruistiche: certe volte è necessario disapprovare gli altri per far loro del bene. Ma ci sono anche le critiche che possono derivare da un nostro dovere di onestà o di giustizia. E poi ci sono tutte le critiche derivanti dalle motivazioni egoistiche: le critiche derivanti da motivazioni di benessere fisico, o di piacere, o di fastidio, o derivanti da un intreccio indistinto di motivazioni. ■ LE CRITICHE DI VALORE Ora, sgombrato il campo dagli altri casi provenienti da motivazioni di altre categorie, ecco restata la maggior parte delle critiche, quelle che hanno motivazione di valore. INTERLOCUTORE – State parlando delle critiche delle persone maligne che dicono delle cose inventate per fare del male alla gente? AUTORE – Sì, certo, c’è anche questo. Ma il trovare qualche cosa che non ci piace negli altri non è solo delle persone maligne. Le critiche sono, in maggior numero, quelle su cose poco importanti di tutti i giorni, sciocchine, soggettive, di nessun peso, là per là. Molte sono solo nei nostri pensieri. Poi, tra le critiche che vengono espresse, possono essere critiche anche le ironie, le allusioni, i commenti, le semplici considerazioni, un alzare le sopracciglia, un piccolo movimento della bocca, ecc., ecc.. Che si insulti o si parli piano è lo stesso. Sono allo stesso modo, critiche, una furiosa invettiva, come una distaccata constatazione. Parlando di futili argomenti; chiacchierando tranquilli; facendo qualche pettegolezzo. Poi, semmai, certe volte usiamo la critica sintetica di una sola parola volgare per definire negativamente un’altra persona. Molte volte, le critiche, sono dentro i nostri pensieri. Ecco perché non è che non ci siano i casi colpevoli esposti dal nostro interlocutore, ma nella critica vanno soprattutto compresi i casi, come dire?, quotidiani. INTERLOCUTORE – Come quando uno dice le cose sui vicini di casa? Ma allora si parla insomma di quando uno fa la critica, solo per criticare? AUTORE – Dovremmo fare qualche esempio. INTERLOCUTORE – Qualche esempio? Ci penso io. Vediamo. Cerco di ricordarmi di qualcosa, di più quotidiano, come dite voi. Vediamo, vediamo; ecco: stamattina, ad un certo punto, ho pensato che mio fratello è troppo igienista, al punto di dare sempre fastidio agli altri.
  • 37. 36 Poi, vediamo, un altro esempio: appunto, giorni fa, ho detto ad una persona che conosco: “Non sembra mai che hai fatto certi studi: leggi sempre giornaletti da niente”. AUTORE – Ci interessa conoscerne le motivazioni. INTERLOCUTORE – Ehi, un momento: sugli esempi che ho fatto prima, adesso io vi dico subito perché. Quando ho pensato all’igienismo di mio fratello, l’ho pensato perché è vero, e lo sanno tutti. E quando ho criticato le letture di quell’altro gliel’ho detto per lui, per il suo bene; così vede di leggere qualcosa di meglio: ecco perché l’ho detto. AUTORE – Se cerchiamo le vere motivazioni, solo “L’ho detto per lui” potrebbe essere una risposta valida: motivazione di altruismo. Invece: “L’ho pensato perché è vero” è una risposta che non serve. Ed è il tipo di risposta che danno tutti, se interrogati, perché non sanno che è una risposta che non riesce ad indicare una motivazione. Lei ha criticato suo fratello, e, sì, quella cosa era anche vera, ma ciò è solo una caratteristica interna di quello che Lei ha pensato: non è, e non può essere, la spinta motivazionale. Se ci domandiamo: “Perché ho fatto questo?” subito siamo abituati a risponderci non con il perché c’è venuto di farlo, ma con le più varie valutazioni su quello che abbiamo fatto. Ma tutti questi sono solo i commenti del dopo, mentre qui interessa: il prima. Non è la verità che spinge a criticare. Come facciamo a saperlo? Basta che Lei guardi dentro di sé. INTERLOCUTORE – Ho capito: se non lo mettiamo in una vostra categoria, allora non si va avanti. Ma chi l’ha detto questo? AUTORE – Tutti noi spesso diamo risposte di quel genere: risposte che non rispondono. Non siamo abituati ad andare a cercare veramente quale sia stata la spinta interiore. Siamo invece subito attratti dall’aggancio di valore che si presenta a portata di mano per affermarci (valore), o per giustificarci (valore), o per spiegare le nostre ragioni (valore). Siamo bravi, siamo intelligenti sia pure, ma che c’entra questo con la motivazione? Che c’entra la motivazione con questi apprezzamenti del dopo? La motivazione è tutt’altro. La motivazione è la spinta interiore che ci ha fatto fare, o dire, quella certa cosa; ed anche questo ci è stato sempre ignoto. Per conoscere quella spinta bisogna ritornare nel nostro animo di prima, e non rovistare per terra in mezzo ai contenuti manifestati. INTERLOCUTORE – Io non rovisto. AUTORE – Per quanto riguarda l’esempio della lettura Lei ha detto: “Per lui”: altruismo. Ma ne è sicuro? INTERLOCUTORE – Beh, in fondo, se ci penso bene, non l’ho detta, quella cosa, per altruismo. In fondo, ero arrabbiato, l’ho visto leggere quella roba, e gliel’ho detto. Allora perché glielo avrei detto? AUTORE – Per una motivazione di valore forse? INTERLOCUTORE – Ma che c’entra il valore? Comunque in che consiste insomma questa motivazione di valore? AUTORE – Trovare negli altri qualcosa che non va, non ci costa nulla. Critichiamo a ragione? Critichiamo a torto? E’ una strada comoda per valorizzare noi stessi. INTERLOCUTORE – Ma è proprio questo che è assurdo: io critico una persona, e va bene, lo capisco che nella mia mente quella persona viene abbassata, va bene; ma quello che non posso capire è: io abbasso
  • 38. 37 gli altri, ma io poi che c’entro? Abbasso pure il valore degli altri, sì, però il mio valore non si alza. C’è una contraddizione. Vi siete confusi. Non fa niente. E’ il valore degli altri che scende: non il nostro che sale. Che c’entra il, nostro, valore con l’abbassamento degli altri? AUTORE – Invece è proprio così: anche il nostro valore sale con la sua visione panoramica (non ancora trattata). Le critiche con motivazione di valore sono di due tipi: le critiche personalizzate e le critiche a pioggia. Il primo tipo di critica con motivazione di valore sono le critiche personalizzate con le quali disapproviamo in modo specificamente mirato una determinata persona: quella, e non altri. La svalutazione di quella persona è la motivazione assoluta. Per esempio, ci può essere stata una persona, in qualche modo per noi importante, che ieri ci ha fatto fare una brutta figura. Ci ha fatto sentire molto giù. Semmai incominciamo a criticarla su quello, e su altro. Per esempio, usciti dall’infanzia, attraverso le nostre soggettive impressioni, ci può essere una persona che sentiamo, come una persona che ha, fin da lontani tempi, contribuito a sotterrare il nostro valore. Ed allora continueremo a disapprovare questa persona, anche per lunghi periodi della nostra vita. Questa persona ha in qualche modo compresso il nostro valore; ci ha messo il piede sopra. Noi dobbiamo assolutamente togliere quel piede di là, e solo così una parte del nostro valore potrà regolarmente respirare. Allora in questi casi tiriamo giù proprio quelle persone, quella di ieri o quella dell’infanzia: criticandole su qualunque cosa. E questa operazione inconscia mira a convincere il nostro valore di questo: quelle persone non sono, poi, così tanto autorevoli. Se perderanno ai nostri occhi la loro autorevolezza, le loro nefaste influenze svaniranno nel nulla. Che c’entra il, nostro, valore? E’ evidente che c’entra. E, poi, a qualcuno sarà pur capitato di essere sempre criticato, una volta sì una volta no, da sua sorella o dal suo amico. Senza ragioni apparenti, questo accade, e raffredda il rapporto con quelle persone; senza ragioni apparenti, anche se la ragione c’è ed è la visone panoramica (non ancora trattata) di quelle persone. Le critiche per piccole vendette? Ebbene, mentre le cose che diciamo o facciamo, anche se sembrino avere motivazioni di valore possono avere altra motivazione, invece, in questo caso qui, non te lo chiedere, perché la cosa è uguale per tutti: motivazione di valore. Tutte le vendette hanno, senza alcuna eccezione, motivazione di valore. Di qualunque tipo e qualità esse siano, anche le piccolissime. Quando una certa persona ci ha fatto qualcosa che non ci doveva fare, quando non ci ha considerato come doveva, noi sentiamo che siamo rimasti svalutati nei suoi confronti. Inconsciamente, per una motivazione di valore, vogliamo allora procurare un qualche risarcimento al nostro valore, in modo da riportarci alla pari. Non é vero forse che noi poi, spesso, diciamo loro cose con l’intento in qualche modo di abbassarli a loro volta?
  • 39. 38 Le nostre parole vengono fuori e sono una piccola vendetta. Ecco: un attimo fa; ma lo negheremmo rabbiosamente. A sentirne parlare in generale, già scuotevamo la testa, ma se poi sul momento venissero a noi, allora diventeremmo furiosi. Oppure, ancora di più, lo raccontiamo; eh, sì, ci vendichiamo parlando agli altri di loro, ecco fatto, ci vuole. Va fatto vedere agli altri com’è quello là. Lo raccontiamo qua e là e, se qualcuno già ne parla male, noi subito rincariamo la dose. Nella nostra giornata c’è chi ci causa incomodo. C’è chi ostacola. Chi in un qualunque modo ci causa danno. Chi non ha troppi riguardi per noi. Ecc., ecc.. Ebbene, spesso usiamo, come vendetta: disapprovarli. Certo, è vero, vendetta: quando comunemente si pensa alle vendette si pensa immediatamente a ben altro, a qualcosa di grosso; ma, al di fuori di cronaca nera e film, noi non ci rendiamo conto che, in realtà, la maggior parte delle vendette sono eseguite col criticare gli altri, dire una piccola cosa che non va o, semmai, col definirli con una parola volgare. Ma non sono, vendette, anche queste? Non hanno forse le stesse esigenze e le stesse dinamiche di quelle a cui siamo abituati a pensare? L’altra persona ci ha fatto scocciare un po’, ha detto questo, ha detto quello, ha detto quell’altro, non ha pensato a chiudere il balcone, ci ha voluto dare troppe spiegazioni, non ci ha restituito una piccola moneta, ha detto una parolina che forse non doveva dire, ha protestato senza ragione col clacson della sua auto dietro di noi, ecc., ecc.: con una certa frase, rimettiamo subito le cose in pari. Le altre vendette? Chi le conosce? Non ci interessa, le lasciamo agli altri. Noi le otteniamo, subito subito, con le critiche. Non ci serve altro. Allora, anche una vendetta con una piccola critica inconsciamente ci dà un risarcimento di valore. Che c’entra il, nostro, valore? È evidente che c’entra. E le persone antipatiche? In presenza di una forte antipatia, solo guardando quella persona, subito le troviamo delle cose che non vanno: arrivano diffuse critiche mentali. Critiche contro queste persone: perché il nostro valore le sente, giustamente, dal suo punto di vista, in un modo o nell’altro, contrarie a lui (già trattato). Le critichiamo continuamente per ottenere di abbassare, dentro di noi, tutta la loro persona. Che c’entra il, nostro, valore? E’ evidente che c’entra. Nel secondo tipo di critica di valore, quelle a pioggia, non ce l’abbiamo con una certa persona, come nel primo tipo di critica. In questo secondo tipo, disapproviamo: chi capita. Ora qua, ora là, toccata e fuga, gocce di pioggia. A casa muoviamo una critica a qualcuno e subito pensiamo ad altro. Oppure all’angolo di una strada notiamo in qualcuno qualcosa che forse non ci piace e subito pensiamo ad altro. Per le più varie ragioni, disapproviamo; tante cose negli altri non sono come dovrebbero. Facciamo del sarcasmo o tranquillamente notiamo delle cose negative. Così, nel breve tratto che facciamo in Metropolitana, mentalmente, nei confronti di qualche altro passeggero. Per strada, a casa davanti al televisore, al Bar, con i familiari, con gli amici, dappertutto, continuamente. Le critiche così fanno parte della vita.
  • 40. 39 Critichiamo quando stiamo bene e siamo sereni. Ancor più quando siamo irritati o in tensione; allora sembra che ci sia bisogno di uno sfogo: ed, infatti, dopo di esso ci sentiamo meglio. Raramente urliamo al vento, rompiamo le tazze o ci rotoliamo per terra, invece molto più spesso ce la prendiamo con gli altri, come dire?, col primo che capita; e prendersela con gli altri consiste nel criticarli per una qualsiasi cosa negativa: ci calmiamo un po’ con una caramella di valore in bocca. Critichiamo mentre stiamo con molti altri o con una persona sola. In modo eclatante o sommesso. Perché semmai lo fanno tutti verso una persona e non vogliamo restare indietro, o perché semmai nessuno lo fa. Con la persona criticata che sia assente o presente. Di giorno o di notte. Semmai anche senza parole, muovendo un braccio, con un movimento del capo, mimando movimenti, ecc., ecc.. Già solo nei nostri pensieri: tutti i giorni, spessissimo, che ne parliamo a fare? Delle cento critiche agli altri che ci vengono in mente, solo una o due poi si esternano. Le altre restano dentro i nostri pensieri. Le critiche con motivazione di valore sono in tutti. Ma, se sentiamo qualcuno che dice: “Io non critico mai nessuno” e vogliamo poi anche credergli, ebbene, le cose, comunque, non cambiano, perché quella persona lo fa nei suoi pensieri. Quindi, non ci sono eccezioni per alcuno. Nei nostri pensieri: dire cinque volte in una giornata, può anche non essere molto. Contro singole persone, contro certa gente, contro l’Umanità intera per come è fatta. INTERLOCUTORE – Tutto quello che avete detto fino ad ora non mi riguarda proprio. Io non critico nessuno. Al massimo, prendo in giro qualcuno per ridere. AUTORE – Anche certe prese in giro fatte col tono di chi vuole solo scherzare, con le lievi punture che portano, spesso hanno la stessa motivazione. Ma attenzione: alcune prese in giro: solo alcune. INTERLOCUTORE – Allora non si può nemmeno scherzare più? Allora tappiamoci la bocca e non se ne parla più. Ma comunque io non faccio queste critiche alle persone care. Su questo non ci sono dubbi. Se dico certe cose è certo per il loro bene. AUTORE – Certo, più difficilmente verso le persone a noi care: ma pure ci sono anche nei confronti di queste persone i casi di critica con motivazione di valore. Va considerato che qualunque rapporto, anche il migliore della nostra vita, è pur sempre un grande fiume, dentro cui scorre e galleggia di tutto: altruismo ed egoismo, collaborazione ed aggressività. INTERLOCUTORE – Ma non è così per me. ■ COME UNA VISIONE PANORAMICA Ma da dove nasce la necessità di tutte queste critiche con motivazione di valore? Ora, il valore usa infiniti modi per rinforzarsi. E usa tante, diverse, come dire?, piccole strategie per vivere bene: diverse tra persona e persona. Ma qui, invece, questo modo di valore è assolutamente in tutti, senza eccezione: cercare di procurarsi anche la buona sensazione di sentirsi più in alto. Più in alto, come?
  • 41. 40 Più in alto di quante più persone è possibile. Una buona visione panoramica intorno a sé. E’ una cosa che ci dipinge in modo ridicolo ed assurdo? Volete pensare così? Invece il nostro valore: è come se volesse avere sempre, come dire?, una visione panoramica con noi stessi più in alto di altri; o di molti altri; o di tutti gli altri. E’ come se nessuno volesse avere una visione panoramica in cui si veda in una posizione di valore, alla pari con tutti gli altri. E’ come se ognuno volesse avere una visione panoramica in cui si veda, in posizione di valore più elevata di molti altri. La cosa va così: il nostro valore resta dov’è: ma, se abbassiamo il valore degli altri, il nostro valore ci sembrerà subito, più alto. Proviamo a vedere un panorama a perdita d’occhio, su cui ci siano, assieme al nostro, migliaia di altri valori di altre persone e, oltre la vista, altri innumerevoli; ebbene, su questo estesissimo territorio il nostro valore cerca di vedersi in posizione elevata. Ignoto l’enorme numero di critiche che rivolgiamo agli altri, ignota la necessità di tutti di avere una buona visione panoramica, noi diremmo: “Io ho criticato il portiere? Ho criticato quell’amica di mia madre? Ma che me ne importava del portiere o dell’amica?”. Si capisce bene che ci sarà una spinta molto maggiore all’abbassamento di quelle persone che vivono intorno a noi, nella famiglia, nella vita sociale, a fianco a noi. Vorremmo vedere in questa visione gli altri che sono vicino a noi, un po’ più giù. Semmai, più in alto, gli altri lontani da noi. Ma questo non vuol dire che siano pochi i ridimensionamenti che rivolgiamo anche alle persone che conosciamo poco, o che vediamo solo per la prima volta, o che sono di un’altra parte del mondo. Ed ecco, quindi, a che serve il secondo tipo di critica con motivazione di valore: ad ottenere, abbassando gli altri, una visione panoramica, la migliore che sia possibile. Che c’entra il, nostro, valore? E’ evidente che c’entra. Per una buona visione panoramica, ognuno di noi, senza saperlo, ha già, in verità, un prezioso patrimonio di altre persone, delle quali, se dovesse pensarci, penserebbe che in qualche modo non sono alla sua altezza. E che noi abbiamo questo patrimonio, ce ne possiamo accorgere quando ci può capitare di sentire dentro di noi, laggiù in fondo, che ci dispiace un po’ se, qualche volta, qualcuna di quelle persone che compongono quel patrimonio incominci improvvisamente ad avere nuovi meriti o virtù. Questo patrimonio è importantissimo ma dobbiamo anche cercare di incrementarlo ulteriormente. Allora non ci sfuggono facilmente, quelle che, per noi, sono, svalorizzazioni degli altri: difetti di personalità, difetti fisici, modi di pensare, modi di agire, parole, discorsi, abitudini, comportamenti, atteggiamenti, opere, risultati, ecc., ecc.: tutte queste cose non vanno bene e da noi vengono placidamente registrate come abbassamenti degli altri. Da tantissime cose, un aiuto continuo alla visione panoramica. Ascoltiamo cose che per noi sono svalorizzanti per gli altri. Vediamo cose che per noi sono svalorizzanti per gli altri. Leggiamo cose che per noi sono svalorizzanti per gli altri. In persone che stimiamo vediamo qualcosa che non va. In persone che non stimiamo, altre cose. Nella vita che abbiamo davanti, o in quella che si mostra qua e là, andiamo a vedere, quando, come dire?, un pochino, fiutiamo nell’aria odore di
  • 42. 41 sangue di valore di qualche persona; anche su piccole cose. E infatti riscuotono molto successo quegli spettacoli, quelle narrazioni, quei resoconti in cui si preveda che in qualche modo ci sarà qualcuno che ci vinca e qualcuno che ci perda, e dove noi faremo considerazioni e commenti critici sulle persone; anche se queste motivazioni di valore non sono da sole, perché si uniscono a quella motivazione di piacere che gode a seguire lo svolgersi di vicende reali o rappresentate: “Com’è il fatto?”, “Cosa succede dopo?”, “Come va a finire?”. Per queste due motivazioni (piacere e valore), spesso questi spettacoli, anche se sono deteriori, possono attirare irresistibilmente molte persone. E quando, per tutte queste cose, qualcuno in buona fede dice al valore: “Tu sei morboso!”, il valore gli risponde: ”Tutto questo è in tutti, e quindi anche in te. Lo sai quale è la posta in palio?”. E’ chiaro che il valore può compiacersi a vedere certe cose; ma, attenzione a non generalizzare: alcune, solo alcune, svalorizzazioni degli altri vengono accolte; tantissime, non le guarda nemmeno. Il valore non sta sempre là a guardare. Specialmente quando altri sentimenti se ne dispiacerebbero. A questo punto qualcuno potrebbe dire: “Assolutamente non si spiega come noi lavoreremmo tanto per ottenere risultati così minimi. Sì, critichiamo, critichiamo, ma, con questo, la visione panoramica non può cambiare di molto. Non si spiega questo accanimento se poi i risultati saranno tanto miseri da non valerne assolutamente la pena. Infatti non si spiega, riguardo alla persona criticata, come mai ciò potrebbe soddisfarci: con una nostra critica, noi abbiamo abbassato, solo, una cosa, ma, di cose, quella persona ne possiede altre migliaia che noi avremo lasciate integre, e, semmai, più in alto delle nostre. Che ci importerebbe allora di un risultato così parziale? A che serve? Ed in secondo luogo, se noi per avere una buona visione panoramica dobbiamo abbassare nella nostra mente moltissime persone, allora cosa volete che possa contare l’abbassamento solo di alcune di queste persone? Come potremo mai vederci più in alto, se avremo abbassato solo alcune poche persone? Sarebbe come essere soddisfatti di aver strappato trenta fogli da un grande vocabolario, noi che avremmo dovuto strapparne una migliaia”. Ma a queste obiezioni si può rispondere. Infatti, riguardo alla persona criticata, quando bocciamo qualche cosa che la riguarda, in quel momento, in molti casi noi non sentiamo di aver abbassato solo una cosa come dovrebbe essere, ma sentiamo decisamente di aver abbassato quella persona, tutta intera. Con una efficacissima inconscia errata trasposizione mentale, il risultato raggiunto è un risultato, in molti casi totale: un’intera persona abbassata; forse definitivamente: non è poco. In secondo luogo, quando disapproviamo una persona, ebbene, in molti casi noi sentiamo decisamente di aver abbassato, sì, quella persona, ma sentiamo anche contemporaneamente di aver abbassato tutte le altre persone che si comportano come lei: dietro a quella, sullo sfondo, tutte quelle che sono come lei. Altra inconscia trasposizione mentale, ed il risultato raggiunto nella nostra mente è un risultato grandioso: migliaia e migliaia di persone abbassate in un sol colpo e basta: non è poco. Abbassate quindi alcune persone che vivono più vicino a noi e abbassate grandi fette di popolazione, il valore può anche avere la sensazione di stare in posizione più elevata.
  • 43. 42 Ora, la reazione di abbassamento (trattata prima) viene fuori, anch’essa, a causa dello stesso progetto del valore: una buona visione panoramica. Quando sentiamo in quel momento un dispiacere per qualcosa del valore di un altro che si sta sollevando davanti ai nostri occhi mentali, reagiamo quasi sempre con una critica, intima o espressa, che deve tirare giù ciò che si stava sollevando. La verità è che stiamo cercando di curare, anche così, la nostra visione panoramica. La reazione di abbassamento è stata utilizzata, da sola, più sopra, per chiarire perché nasca il tabù del valore; ma, aldilà di questa utilizzazione iniziale, rientra, in tutto e per tutto, nel discorso della visione panoramica sfociando anch’essa nelle critiche che devono abbassare. Quindi, il secondo tipo di critiche, e le critiche che vengono dalle reazioni di abbassamento, tutte, servono specificatamente proprio per una nostra migliore visione panoramica. La reazione di abbassamento, prima solo guardata in azione con le sue dinamiche per spiegarci il tabù del valore, ora, invece trova anch’essa la sua spiegazione nel quadro della visione panoramica. Insomma, per una buona visione panoramica ci vogliono soprattutto, mentali o espresse, le critiche. Come le api si posano sui fiori per succhiarne il nettare, così noi ci posiamo sulle altre persone con le nostre critiche per succhiarne il valore. Tra persona e persona, ci sono moltissimi voli. E’ un continuo svolazzare da un fiore ad un altro. A volte si è ape; a volte si è fiore.
  • 44. 43 DA STRADE OPPOSTE ■ CON QUALUNQUE COSA INTERLOCUTORE – Che significa, da strade opposte? AUTORE – Significa che due persone, con comportamenti opposti, tutti e due possono acquisire materiale buono per il proprio valore. INTERLOCUTORE – Ma quando mai? Le vere soddisfazioni sono quando uno comanda. AUTORE – Ed invece anche dal contrario possiamo ricavare delle soddisfazioni: essere dominati, essere percossi, essere vittime, anche queste cose, a volte, possono essere sentite come valorizzanti. INTERLOCUTORE – E che razza di soddisfazioni sono? AUTORE – C’è chi si sente valorizzato dalla violenza e chi dai fiori. Qualsiasi comportamento può essere sentito come valorizzante, o svalorizzante, a seconda di chi lo espone, a seconda del momento, a seconda dell’ambiente in cui ci si trova. Qualsiasi idea, qualsiasi sentimento, qualsiasi moda, può essere sentito come valorizzante o svalorizzante. Può essere valorizzante il rosso, e può essere valorizzante il verde. Con la stessa frase, puoi offendere uno, e farti amico un altro. I modi di valorizzazione sono infiniti, insieme, come dire?, ai loro contrari. Si tratta solo di constatare quante strade ci sono a disposizione. Quella vecchina modesta ed insignificante? Quel ragazzo sbiadito e dimesso? Dovrebbero avere un livello di valore basso? Ebbene, non è escluso che abbiano tesori di valore che tu non hai.