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Dott.ssa
Vitalba
Bruno
Psicologa
–Psicoterapeuta
Sistem
ico
Relazionale
1
Alessia mi viene inviata, dalla Dott.ssa Lattarulo
C., neuropsichiatra infantile dell’U.O. ASM di
Matera. La ragazza ha una serie di fobie che le
impediscono di avere una vita sociale con i suoi
coetanei. Dopo un primo contatto telefonico e una
consultazione fatta con la famiglia, sento la
necessità di portare il caso in supervisione e vista
la distanza chilometrica, che separa Laterza (TA),
paese dove vedo la famiglia e Palermo, decidiamo
con il supervisore Dott. Lupoi S. di coinvolgere il
collega Dott. Bongiovanni M. per intraprendere una
terapia, avvalendoci di un nuovo setting, una
stanza di terapia virtuale: la stanza di skype.
2
Ipotizziamo che la Famiglia Skype è una famiglia a
transazione psicosomatica. In genere, in queste famiglie
le gerarchie generazionali sono evanescenti, i confini sono
diffusi, vi è la confusione dei ruoli e nelle funzioni.
Inoltre, in ogni componente della famiglia si nota una
tendenza all’intrusività nei confronti dei pensieri, dei
sentimenti, delle azioni e delle comunicazioni altrui. Tutti
i membri della famiglia manifestano un alto grado di
sollecitazione, premura ed interesse reciproco. Si tratta di
famiglie che manifestano una spiccata resistenza ad ogni
cambiamento, e che sono governate da regole alquanto
rigide. Tipicamente, non tollerano conflitti espliciti al
loro interno, ma tendono piuttosto a presentarsi, in
conformità con gli standard di accettabilità sociale, come
famiglie estremamente unite, armoniose, le quali
sarebbero assolutamente prive di problemi se non fosse
per il comportamento della paziente,(Bruch1973, Bruch
1988, Minuchin et al.1978, Selvini Palazzoli 1981).
3
Dalla lettura delle relazioni tra i membri della famiglia e dalla
comunicazione verbale e non verbale fatta nelle prime sedute, ipotizziamo
questo tipo di diagnosi di tipo relazionale.
Le gerarchie sono congrue, anche se si evidenzia un ipercoinvolgimento
reciproco, una scarsa differenziazione del sé, invasione dei pensieri, confini
deboli fra i sottosistemi, blocco della comunicazione diretta.
Iperprotettività: all’interno della famiglia skype c’è un alto grado di
preoccupazione per il benessere reciproco, appena c’è un segnale di
tensione Alessia si fa un sintomo. Alessia sente una grossa responsabilità nel
proteggere la famiglia. Difatti, ad ogni cambiamento del ciclo di vita e
all’inizio di un nuovo percorso scolastico si fa un nuovo sintomo.
All’età di tre e sei anni, quindi all’inizio del percorso della scuola
dell’infanzia e all’ingresso della scuola primaria, inizia a vomitare e a stare
male, la stessa cosa le succede all’inizio del percorso della scuola superiore.
Quindi c’è una resistenza al cambiamento. Poi non appena i genitori litigano
e quindi il conflitto di coppia viene fuori è proprio in questa fase che viene
fuori un sintomo, ed è qui il senso di responsabilità di proteggere la famiglia.
4
 Rigidità: Alessia ha un forte impegno a mantenere lo status quo,
tanto è vero che ogni quindici giorni si fa un sintomo nuovo.
Alessia appena percepisce che il conflitto dei genitori può essere
minaccioso a tal punto che ci possa essere una separazione li
unisce con il sintomo.
 Evitamento del conflitto: c’è una mancanza costante di
un’esplicita negoziazione di punti di vista differenti. Negazione
dell’esistenza di qualsiasi problema “noi andiamo sempre
d’accordo” “noi siamo perfetti” frasi che la famiglia skype
utilizza. L’evitamento del conflitto di coppia avviene secondo la
modalità di deviazione appoggio: i genitori si associano in un
comportamento protettivo verso Alessia che viene definita
“malata".
 Il mito della famiglia unita: “Tutti per uno, uno per tutti” Mandato
ereditato dalla famiglia d’origine della sig.ra Rosanna.
5
 In una prima fase ipotizziamo la presenza di un
conflitto coperto all’interno della coppia
genitoriale, con una deviazione appoggio rispetto
al sintomo di Alessia, dunque, coltivando questa
ipotesi, supponiamo che l’aspetto morfostatico
del sintomo sia legato a mantenere l’evitamento
del conflitto padre-madre, essendo anche
presente il mito dell’unione familiare. Questa
lettura considera l’aspetto morfogenetico del
sintomo come il tentativo, attraverso la
patologia, da parte della figlia di restituire al
padre una funzione centrale, difatti il padre si
avvicina nella misura in cui Alessia porta il padre
in terapia. Alessia con il suo sintomo fa si che la
famiglia chieda aiuto, di fatto non riesce a farlo
per cui rimane bloccata nel sintomo. L’aspetto
morfostatico indica che di fatto tutto resta
immutato, il padre sempre più periferico e la
madre sempre più ipercoinvolta.
6
 In terza seduta, allarghiamo la lettura della
struttura e delle relazioni familiari
disfunzionali, cosicchè possiamo connettere
il sintomo di Alessia a tutto ciò e rileggerlo in
un ottica diversa. Immesso nella circolarità e
non più nella linearità il sintomo diventa
funzionale al mantenimento dell’equilibrio/
e del disequilibrio del suddetto sistema.
 Tanto è vero che quando Alessia sta meglio e
quindi una volta raggiunti gli obiettivi
prefissati all’inizio della terapia, la coppia
coniugale entra in crisi.
7
8
L’esperienza nuova e alternativa della terapia utilizzando un
nuovo strumento che è il computer e la modalità skype si è
rivelata esperienza nuova, mai sperimentata, tenendo conto
degli strumenti terapeutici utilizzati fino ad oggi. All’inizio,
io stessa, nello sperimentarmi con questa nuova modalità ho
provato un forte disagio, e imbarazzo nei confronti della
famiglia non sapendo come la famiglia potesse accogliere
questa novità alternativa. Superate le difficoltà con il
benestare della famiglia, però, all’interno della seduta mi
mancava il contatto fisico, la presenza, il sentire, il vedere il
mio coterapeuta, elementi essenziale e forse scontati
quando si è insieme nella stessa stanza di terapia. Queste
difficoltà erano rese evidenti anche dai problemi tecnici
(tipo assenza di segnale, connessione che a volte si
perdevano, ritardi di connessione). Andando avanti con le
sedute i problemi tecnici andavano sempre di più
diminuendo, ma quello che mi mancava era la relazione con
il coterapeuta.
9
Essere in una stanza, in un setting, già tutto
confezionato, ti senti protetto in qualche
modo, ma confezionarti un setting nuovo e
non sapendo cosa possa succedere è davvero
emozionante visto che io ero nella stanza con
i pazienti, aspettando che Matteo desse
qualche segnale. Se dovessi riflettere sulle
risorse di questo nuova stanza, direi, ti
permette di collaborare a distanza e quindi
di accorciare le distanze con un collega che
vive lontano da te, ti permette di
sperimentarti in una modalità più bizzarra, a
passo con i tempi.
10
Nonostante io fossi lì nella stanza di terapia con
la famiglia, Matteo era visto come il “Grande
Professore” che nonostante la distanza, era lì
per loro, soprattutto, il sig. Michele appena
vedeva Matteo gli faceva l’inchino, in segno di
saluto e gratitudine. A me questa cosa mi
rassicurava molto, tanto che ero in una posizione
passiva rispetto a Matteo che era attiva, in
questa situazione mi sentivo molto comoda,
alleggerita. Ma l’opinione e la sensazione del
collega non era uguale alla mia, lui aveva la
sensazione che io stessi perdendo il “potere”
della gestione della seduta. Ma grazie alla
supervisione abbiamo definito che il mio non era
una paura di perdere il potere, ma che stavo
vivendo in maniera comoda quella posizione
passiva e che quando ho ritenuto il momento
favorevole, ho ripreso il mio spazio. Il nostro era
un gioco di volerci affermare.
11
Un aspetto importante per me è intersecato con
la relazione coterapeutica, e ha a che fare con la
capacità di esprimere le proprie divergenze in un
conflitto che sia costruttivo e non ostruttivo,
senza evitarlo. Mi ha permesso di sperimentare
su me stessa cosa significa lavorare al sicuro, su
una sedia a volte scomoda. La complessità in cui
spesso ci muoviamo e la stessa complessità che
mi ha dato questo “viaggio virtuale terapeutico”
chiedendo a tutti i sotto sistemi di aiutarmi, di
ascoltarmi e di accogliermi restituendomi
tranquillità.
12
13
 Mi piace immaginare un insieme di sistemi
dove sia il paziente e ancor di più il
terapeuta trova attraverso una condivisione
di sistemi, una rete capace di aiutare e
spingere fino ad attivare il cambiamento e di
recuperare le parti sane di ognuno.
 Io, trovandomi all’interno degli stessi
sottosistemi in cui è contemplato il paziente,
ho inoltre la possibilità di appartenere ad
altri sottosistemi: il sottosistema
supervisione, gruppo di lavoro e sottosistema
coterapeutico e sottosistema personale.
14
15

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  • 2. Alessia mi viene inviata, dalla Dott.ssa Lattarulo C., neuropsichiatra infantile dell’U.O. ASM di Matera. La ragazza ha una serie di fobie che le impediscono di avere una vita sociale con i suoi coetanei. Dopo un primo contatto telefonico e una consultazione fatta con la famiglia, sento la necessità di portare il caso in supervisione e vista la distanza chilometrica, che separa Laterza (TA), paese dove vedo la famiglia e Palermo, decidiamo con il supervisore Dott. Lupoi S. di coinvolgere il collega Dott. Bongiovanni M. per intraprendere una terapia, avvalendoci di un nuovo setting, una stanza di terapia virtuale: la stanza di skype. 2
  • 3. Ipotizziamo che la Famiglia Skype è una famiglia a transazione psicosomatica. In genere, in queste famiglie le gerarchie generazionali sono evanescenti, i confini sono diffusi, vi è la confusione dei ruoli e nelle funzioni. Inoltre, in ogni componente della famiglia si nota una tendenza all’intrusività nei confronti dei pensieri, dei sentimenti, delle azioni e delle comunicazioni altrui. Tutti i membri della famiglia manifestano un alto grado di sollecitazione, premura ed interesse reciproco. Si tratta di famiglie che manifestano una spiccata resistenza ad ogni cambiamento, e che sono governate da regole alquanto rigide. Tipicamente, non tollerano conflitti espliciti al loro interno, ma tendono piuttosto a presentarsi, in conformità con gli standard di accettabilità sociale, come famiglie estremamente unite, armoniose, le quali sarebbero assolutamente prive di problemi se non fosse per il comportamento della paziente,(Bruch1973, Bruch 1988, Minuchin et al.1978, Selvini Palazzoli 1981). 3
  • 4. Dalla lettura delle relazioni tra i membri della famiglia e dalla comunicazione verbale e non verbale fatta nelle prime sedute, ipotizziamo questo tipo di diagnosi di tipo relazionale. Le gerarchie sono congrue, anche se si evidenzia un ipercoinvolgimento reciproco, una scarsa differenziazione del sé, invasione dei pensieri, confini deboli fra i sottosistemi, blocco della comunicazione diretta. Iperprotettività: all’interno della famiglia skype c’è un alto grado di preoccupazione per il benessere reciproco, appena c’è un segnale di tensione Alessia si fa un sintomo. Alessia sente una grossa responsabilità nel proteggere la famiglia. Difatti, ad ogni cambiamento del ciclo di vita e all’inizio di un nuovo percorso scolastico si fa un nuovo sintomo. All’età di tre e sei anni, quindi all’inizio del percorso della scuola dell’infanzia e all’ingresso della scuola primaria, inizia a vomitare e a stare male, la stessa cosa le succede all’inizio del percorso della scuola superiore. Quindi c’è una resistenza al cambiamento. Poi non appena i genitori litigano e quindi il conflitto di coppia viene fuori è proprio in questa fase che viene fuori un sintomo, ed è qui il senso di responsabilità di proteggere la famiglia. 4
  • 5.  Rigidità: Alessia ha un forte impegno a mantenere lo status quo, tanto è vero che ogni quindici giorni si fa un sintomo nuovo. Alessia appena percepisce che il conflitto dei genitori può essere minaccioso a tal punto che ci possa essere una separazione li unisce con il sintomo.  Evitamento del conflitto: c’è una mancanza costante di un’esplicita negoziazione di punti di vista differenti. Negazione dell’esistenza di qualsiasi problema “noi andiamo sempre d’accordo” “noi siamo perfetti” frasi che la famiglia skype utilizza. L’evitamento del conflitto di coppia avviene secondo la modalità di deviazione appoggio: i genitori si associano in un comportamento protettivo verso Alessia che viene definita “malata".  Il mito della famiglia unita: “Tutti per uno, uno per tutti” Mandato ereditato dalla famiglia d’origine della sig.ra Rosanna. 5
  • 6.  In una prima fase ipotizziamo la presenza di un conflitto coperto all’interno della coppia genitoriale, con una deviazione appoggio rispetto al sintomo di Alessia, dunque, coltivando questa ipotesi, supponiamo che l’aspetto morfostatico del sintomo sia legato a mantenere l’evitamento del conflitto padre-madre, essendo anche presente il mito dell’unione familiare. Questa lettura considera l’aspetto morfogenetico del sintomo come il tentativo, attraverso la patologia, da parte della figlia di restituire al padre una funzione centrale, difatti il padre si avvicina nella misura in cui Alessia porta il padre in terapia. Alessia con il suo sintomo fa si che la famiglia chieda aiuto, di fatto non riesce a farlo per cui rimane bloccata nel sintomo. L’aspetto morfostatico indica che di fatto tutto resta immutato, il padre sempre più periferico e la madre sempre più ipercoinvolta. 6
  • 7.  In terza seduta, allarghiamo la lettura della struttura e delle relazioni familiari disfunzionali, cosicchè possiamo connettere il sintomo di Alessia a tutto ciò e rileggerlo in un ottica diversa. Immesso nella circolarità e non più nella linearità il sintomo diventa funzionale al mantenimento dell’equilibrio/ e del disequilibrio del suddetto sistema.  Tanto è vero che quando Alessia sta meglio e quindi una volta raggiunti gli obiettivi prefissati all’inizio della terapia, la coppia coniugale entra in crisi. 7
  • 8. 8
  • 9. L’esperienza nuova e alternativa della terapia utilizzando un nuovo strumento che è il computer e la modalità skype si è rivelata esperienza nuova, mai sperimentata, tenendo conto degli strumenti terapeutici utilizzati fino ad oggi. All’inizio, io stessa, nello sperimentarmi con questa nuova modalità ho provato un forte disagio, e imbarazzo nei confronti della famiglia non sapendo come la famiglia potesse accogliere questa novità alternativa. Superate le difficoltà con il benestare della famiglia, però, all’interno della seduta mi mancava il contatto fisico, la presenza, il sentire, il vedere il mio coterapeuta, elementi essenziale e forse scontati quando si è insieme nella stessa stanza di terapia. Queste difficoltà erano rese evidenti anche dai problemi tecnici (tipo assenza di segnale, connessione che a volte si perdevano, ritardi di connessione). Andando avanti con le sedute i problemi tecnici andavano sempre di più diminuendo, ma quello che mi mancava era la relazione con il coterapeuta. 9
  • 10. Essere in una stanza, in un setting, già tutto confezionato, ti senti protetto in qualche modo, ma confezionarti un setting nuovo e non sapendo cosa possa succedere è davvero emozionante visto che io ero nella stanza con i pazienti, aspettando che Matteo desse qualche segnale. Se dovessi riflettere sulle risorse di questo nuova stanza, direi, ti permette di collaborare a distanza e quindi di accorciare le distanze con un collega che vive lontano da te, ti permette di sperimentarti in una modalità più bizzarra, a passo con i tempi. 10
  • 11. Nonostante io fossi lì nella stanza di terapia con la famiglia, Matteo era visto come il “Grande Professore” che nonostante la distanza, era lì per loro, soprattutto, il sig. Michele appena vedeva Matteo gli faceva l’inchino, in segno di saluto e gratitudine. A me questa cosa mi rassicurava molto, tanto che ero in una posizione passiva rispetto a Matteo che era attiva, in questa situazione mi sentivo molto comoda, alleggerita. Ma l’opinione e la sensazione del collega non era uguale alla mia, lui aveva la sensazione che io stessi perdendo il “potere” della gestione della seduta. Ma grazie alla supervisione abbiamo definito che il mio non era una paura di perdere il potere, ma che stavo vivendo in maniera comoda quella posizione passiva e che quando ho ritenuto il momento favorevole, ho ripreso il mio spazio. Il nostro era un gioco di volerci affermare. 11
  • 12. Un aspetto importante per me è intersecato con la relazione coterapeutica, e ha a che fare con la capacità di esprimere le proprie divergenze in un conflitto che sia costruttivo e non ostruttivo, senza evitarlo. Mi ha permesso di sperimentare su me stessa cosa significa lavorare al sicuro, su una sedia a volte scomoda. La complessità in cui spesso ci muoviamo e la stessa complessità che mi ha dato questo “viaggio virtuale terapeutico” chiedendo a tutti i sotto sistemi di aiutarmi, di ascoltarmi e di accogliermi restituendomi tranquillità. 12
  • 13. 13
  • 14.  Mi piace immaginare un insieme di sistemi dove sia il paziente e ancor di più il terapeuta trova attraverso una condivisione di sistemi, una rete capace di aiutare e spingere fino ad attivare il cambiamento e di recuperare le parti sane di ognuno.  Io, trovandomi all’interno degli stessi sottosistemi in cui è contemplato il paziente, ho inoltre la possibilità di appartenere ad altri sottosistemi: il sottosistema supervisione, gruppo di lavoro e sottosistema coterapeutico e sottosistema personale. 14
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