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schede monografiche
42 Note Informative n.34 - dicembre 2005
Comportamenti vessatori
e tutele del lavoratore logorato
Mobbing: responsabilità del datore, conseguenze e risarcimento delle diverse tipologie di danno
■■■■
Si parla ormai assai spesso di “mobbing” utilizzando un termine di origine inglese,
il cui significato letterario è “assalire tumultuosamente”. Tumultuosamente, ben
inteso, non in modo esclusivamente fisico, ma spesso in modo psicologico.
Quando un dipendente è oggetto ripetuto di soprusi da parte dei superiori o di
colleghi e, in particolare, quando vengono poste in essere pratiche dirette ad isolarlo
dall’ambiente di lavoro o ad espellerlo con la conseguenza di intaccarne gravemente
il suo equilibrio psichico, menomandone la capacità lavorativa e la fiducia in se
stesso e provocando catastrofe emotiva, depressione e talora persino il suicidio,
interviene il diritto del lavoro che individua una precisa responsabilità del datore di
lavoro. Anche il codice civile (art. 2087 c.c.) impone ai datori di adottare le misure
necessarie a tutelare l’integrità fisica, psichica e la personalità morale dei propri
dipendenti e collaboratori.
La scheda che segue, tenta di spiegare allo stato attuale della giurisprudenza e della
normativa, quali sono i presupposti perché si possa parlare di mobbing o di straining
e quali siano i diversi profili di danno, in cui incorrono i lavoratori vittime di situazioni
di “stress forzato” sul posto di lavoro e quando è possibile richiedere, per queste
patologie, il riconoscimento del “danno biologico”.
di Annalisa Rosiello Premessa e inquadramento generale
Il mobbing viene definito dallo psicologo svedese Heinz Leymann – uno dei mas-
simi esperti in materia – come “il terrore psicologico sul luogo di lavoro che
consiste in una comunicazione ostile e contraria ai principi etici, perpetrata in
modo sistematico da una o più persone principalmente contro un singolo indivi-
duo che viene per questo spinto in una posizione di impotenza e impossibilità di
difesa e qui costretto a restare da continue attività ostili. Queste azioni sono
effettuate con un’alta frequenza (almeno una volta alla settimana) e per un lungo
periodo di tempo (per almeno sei mesi).Acausa dell’alta frequenza e della lunga
durata, il comportamento ostile dà luogo a seri disagi psicologici, psicosomatici
e sociali”. Il termine mobbing (da “to mob” – assalire tumultuosamente) è mutua-
to non dall’etnologia, che osserva il comportamento umano, bensì dall’etologia,
che studia il comportamento animale, e sembra voler rimarcare la disumanità,
prima ancora che la contrarietà ai principi etici, di certe pratiche.
Le forme che questa azione può assumere vanno dalla dequalificazione dei compiti
assegnati alla persona oggetto della persecuzione alla sua emarginazione nel-
l’ambito lavorativo, dalla diffusione di notizie false ed offensive alle quotidiane
critiche sul suo operato, per arrivare all’attacco all’immagine sociale nei confron-
ti di colleghi e superiori.
Quale sia lo scopo principale del mobbing crediamo sia facilmente intuibile:
spingere una persona ritenuta “scomoda” a dare le dimissioni dall’azienda o a
commettere azioni che ne giustifichino il licenziamento.
schede monografiche
Note Informative n.34 - dicembre 2005 43
MOBBING E CGIL MILANO:
Sempre più spesso si rivolgono al sindacato lavoratori che affermano di essere vittime di mobbing.
La CGIL di Milano*, già da qualche anno, ha aperto un apposito sportello che fornisce assistenza sindacale,
psicologica e legale ad un numero sempre maggiore di lavoratrici e lavoratori che operano nell’area metropoli-
tana.
Dal punto di vista medico-scientifico, così come sul piano più strettamente giuridico, il fenomeno del mobbing
è stato oggetto di numerosi studi ed approfondimenti.
Tuttavia, forse anche a causa della perdurante lacuna sul piano normativo, spesso si creano fraintendimenti
nell’attività di individuazione e di qualificazione della fattispecie. Frequententemente infatti il fenomeno viene
confuso con le più “tradizionali” (ma non per questo meno odiose) azioni di dequalificazione o marginalizzazione
professionale. In realtà, perché si possa parlare di mobbing, è necessario che ricorrano condizioni e presuppo-
sti particolari, in cui la dequalificazione o la marginalizzazione lavorativa possono essere importanti elementi
indicatori di una fattispecie che tuttavia è più articolata e che, come vedremo, è connotata dalla sistematicità
e dalla regolarità di attacchi attivi alla persona.
In ogni caso è importante sempre far presente alla persona che si ritiene vittima di mobbing che non sempre è
corretto ed opportuno “scomodare” questo istituto (anche per non “inflazionarlo”) e che esistono già strumenti
normativi per contrastare la dequalificazione (art. 2103 c.c.), il trasferimento ritorsivo o illegittimo (art. 2103 e
art. 15 st. lavoratori), l’accanimento disciplinare (art. 2104, 2105, 2106 c.c. e art. 7 st. lavoratori) o altre
situazioni lavorative di disagio e conflitto quali lo stress occupazionale (per tutti art. 2087 c.c.). Infatti anche
queste situazioni, in cui, per la verità, la zona di contatto con il mobbing è spesso molto estesa, possono
portare a ricadute risarcitorie del tutto analoghe a quelle che vedremo applicate al mobbing nell’articolo che
pubblichiamo in queste pagine, sempreché, ovviamente, il lavoratore provi l’esistenza del danno ed il collega-
mento causale con la situazione lavorativa lesiva della propria dignità e della propria salute.
La Redazione
* L’Ufficio Politiche Sociali presso cui è attivo lo sportello mobbing si trova al secondo piano della Camera del Lavoro
Metropolitana di Milano, in corso di Porta Vittoria, 43. Gli orari di apertura al pubblico sono: dal Lunedì al Venerdì dalle
9.30 alle 12.00 e dalle 15.00 alle 17.00
Non sempre risulta altrettanto scontato chi siano gli autori dell’azione di mobbing:
infatti, se in buona parte dei casi l’artefice della persecuzione è il datore di lavo-
ro, spesso nelle azioni di mobbing sono coinvolti gli stessi colleghi che, per
compiacere il “capo”, si uniscono alla strategia di isolamento e di vessazioni.
Le ricerche condotte ed i casi conclamati sul piano medico-legale e giudiziario
hanno dimostrato che il mobbing può portare all’invalidità psico-fisica; in questo
senso è corretto inquadrare le patologie da mobbing tra le malattie professionali
e, non a caso, l’INAIL riconosce queste patologie (qualora ne risulti dimostrata
l’origine professionale) tra quelle che danno diritto al riconoscimento “danno bio-
logico” (danno all’integrità psico-fisica della persona) (per questo vedi anche, più
diffusamente, l’articolo di commento alla sentenza TAR Lazio).
Gli effetti del mobbing sulla persona possono essere devastanti: una recente
ricerca ha dimostrato ad esempio che in Svezia oltre il 10% del totale dei suicidi
ha avuto come causa scatenante fenomeni di mobbing. Ma non va neppure sot-
tovalutata la portata sociale che il fenomeno produce: basti pensare agli innume-
revoli casi di lunghi periodi di malattia o ai pensionamenti anticipati (si calcola
che in Germania siano diverse decine di migliaia) che producono aggravi di costi
i quali vanno ad incidere direttamente sulla spesa sociale e, quindi, sulla collet-
schede monografiche
44 Note Informative n.34 - dicembre 2005
tività. L’intervento su questo problema, pertanto, è avvertito ormai come neces-
sario non solo per ragioni morali e di giustizia, ma anche di opportunità economi-
ca e sociale.
Il dilagare del fenomeno ha indotto già da tempo dei paesi europei (Svezia, Nor-
vegia, Francia) a dotarsi di specifiche leggi per contrastarlo. Inoltre gran parte dei
paesi europei, specialmente dopo gli interventi del Parlamento europeo e del
Consiglio, hanno approfondito lo studio e messo in cantiere progetti di legge per
disciplinare in maniera organica l’istituto (tra cui Spagna, Belgio, Germania,Au-
stria).
Anche in Italia si calcola che, secondo le ricerche condotte, il fenomeno del
mobbing e in generale delle violenze psicologiche nei luoghi di lavoro interessi in
tutti i settori produttivi circa 1,5 milioni di lavoratori, cifra che, tenendo conto dei
familiari delle vittime, porta a circa 3 milioni di persone coinvolte dal mobbing; per
tale motivo da più parti si è ravvisata l’esigenza di regolamentare compiutamente
l’istituto e svariate sono le proposte di legge già presentate in Parlamento 2
.
Tuttavia ancora molti sono gli esperti del campo medico ed anche di quello
giuridico a ritenere non opportuna e necessaria una regolamentazione organica,
reputando da un lato controproducenti definizioni legislative che potrebbero por-
tare ad eccessiva rigidità qualificatoria e dall’altro già sussistenti nel nostro si-
stema tutti gli strumenti per contrastare e punire il fenomeno.
La definizione di mobbing
Nel contesto italiano non esiste, come si accennava, una organica definizione
normativa di mobbing.
La nozione di molestie sul lavoro è stata per la prima volta inserita nei decreti
legislativi sulle discriminazioni 3
(n° 215 e 216 del 9 luglio 2003 e n° 145 del 30
maggio 2005), i quali assimilano alle discriminazioni anche le molestie, ovvero quei
comportamenti indesiderati posti in essere per ragioni di razza, etnia, handicap,
sesso, ecc, aventi lo scopo o l’effetto di violare la dignità di una persona e di creare
un clima intimidatorio, ostile, degradante, umiliante ed offensivo. In base ai decreti
è altresì considerato discriminazione l’ordine di discriminare persone in ragione
della razza, dell’origine etnica, dell’handicap, del sesso ecc.. Si tratta di una prima
definizione di molestie (o mobbing) sul lavoro, ma essa non può considerarsi
esaustiva, dal momento che non sempre il mobbing è inquadrabile nelle condotte
discriminatorie contemplate dalle disposizioni richiamate.
Nell’ambito degli studi della psicologia del lavoro presenti nel panorama italiano,
la definizione più completa è indubbiamente quella proposta da Harald Ege (psi-
cologo del lavoro esperto di mobbing) che definisce il mobbing “una situazione
lavorativa di conflittualità sistematica, persistente ed in costante progresso, in
cui una o più persone vengono fatte oggetto di azioni ad alto contenuto persecutorio
da parte di uno o più aggressori in posizione superiore, inferiore o di parità, con
lo scopo di causare alla vittima danni di vario tipo e gravità. Il mobbizzato si trova
nell’impossibilità di reagire adeguatamente a tali attacchi e a lungo andare accu-
sa disturbi psicosomatici, relazionali e dell’umore che possono portare anche a
invalidità psicofisiche permanenti di vario genere e percentualizzazione” (Ege,
La valutazione peritale del danno da mobbing, Giuffré, 2002, pag. 39).
Tale definizione, accompagnata dai parametri per l’individuazione del mobbing
individuati dallo stesso Ege, in totale sette, è quella recepita con maggior fre-
quenza dai Giudici (ed anche dalle proposte legislative parlamentari4
). Tali para-
metri, secondo l’autore, debbono essere tutti presenti affinché si possa parlare
di mobbing (salvo i casi di “sasso nello stagno” o di “quick mobbing”).
note
2
V. da ultimo Proposta di Legge 15
dicembre 2004, n° 5493 della Ca-
mera dei Deputati.
3
V. commento di Giasanti, Decreti legi-
slativi n° 215 e 216 del 2003. Novi-
tà in materia di discriminazioni e
parità di trattamento, in q. rivista,
luglio-dicembre 2003, n: 27/28, pag.
99.
4
L’art. 2 della Proposta di Legge 5493
C, cit., prevede: “(Definizioni). 1.
Ai fini della presente legge, per «
mobbing » si intende una situazio-
ne lavorativa caratterizzata da con-
dotte vessatorie sistematiche, du-
rature e intense, da parte del dato-
re di lavoro, denominata « mobbing
verticale » o di colleghi, denomina-
ta « mobbing orizzontale », nei con-
fronti di una o piu` persone che
vengono fatte oggetto di maltratta-
menti morali o di pressione psicolo-
gica, con la conseguenza di una
esplicita o implicita minaccia sotto i
profili della professionalita‘ , del-
l’immagine sociale, della sicurezza
e della salute.”
segue a pag 46
schede monografiche
Note Informative n.34 - dicembre 2005 45
I SETTE PARAMETRI A CUI RICOLLEGARE IL MOBBING
SECONDO HERALD EGE
1. Ambiente lavorativo: il mobbing deve svolgersi sul posto di lavoro, pur
essendo un disagio che potrà poi ripercuotersi nella sfera privata del
mobbizzato (in questo caso viene denominato doppio mobbing).
2. Frequenza: le azioni ostili devono accadere almeno alcune volte al mese
(salvo il caso di “sasso nello stagno” 5
).
3. Durata: il conflitto deve essere in corso da almeno sei mesi, salvo i casi
cosiddetti di “quick mobbing” (cioè di frequenza quotidiana quindi particolar-
mente devastante delle azioni ostili) la cui durata può essere abbassata a
tre mesi.
4. Tipologia di azioni: le azioni devono rientrare in almeno due parametri tra
i seguenti: a)Attacchi ai contatti umani: ad es. attraverso critiche e rimpro-
veri ingiustificati, gesti e insinuazioni con significato negativo, minacce, li-
mitazioni delle capacità espressive e della libertà di pensiero; b) Isolamento
sistematico: ad es. deliberata negazione di informazioni relative al lavoro o
manipolazione delle stesse o divieto per i dipendenti di parlare con il lavora-
tore o, ancora, collocazione del lavoratore in luogo isolato; c) Cambiamenti
delle mansioni: ad es. attribuzione di mansioni dequalificanti, sensa senso,
umilianti, ecc.; d) Attacchi alla reputazione: ad es. calunnie, offese, abusi,
espressioni maliziose, insultanti; e) Violenza e minacce di violenza; ad es.
molestie sessuali, minacce di violenza fisica, adibizione a mansioni nocive
per la salute, anche in relazione ad eventuali condizioni di invalidità 6
.
5. Dislivello tra gli antagonisti: nel mobbing i “protagonisti” sono sostanzial-
mente due: la vittima (o mobbizzato) e l’aggressore (o mobber). Non si
tratta però necessariamente di due persone, bensì di due ruoli in conflitto.
La vittima è comunque in una posizione costante di inferiorità.
6. Andamento secondo fasi successive: perché una situazione possa es-
sere definita mobbing, devono essere ben identificabili al suo interno non
solo il senso di progresso, ma anche delle fasi successive. In questo senso
il modello Ege prevede una fase preparatoria (condizione zero) e sei fasi
successive (fase 1 conflitto mirato; fase 2 inizio del mobbing; fase 3 primi
sintomi psico-somatici; fase 4 errori ed abusi dell’Amministrazione del per-
sonale; fase 5 serio aggravamento della salute psico-fisica della vittima;
fase 6 esclusione dal mondo del lavoro). E’ a partire dalla seconda fase che
la vittima si “cristallizza” e comincia a percepire disagio e tensione, mentre
la vicenda incomincia ad incanalarsi in una direzione ben precisa.
7. Intento persecutorio: perché si possa parlare di mobbing si deve riscon-
trare da parte dell’aggressore un chiaro scopo negativo nei confronti della
vittima. Nella vicenda cioè devono essere riscontrabili scopo, obiettivo con-
flittuale e carica emotiva e soggettiva.
note
5
Il “sasso nello stagno”, una volta lan-
ciato, produce cerchi concentrici
sempre più ampi ed effetti duraturi
nel tempo. Allo stesso modo, nel
caso in cui sussista anche una sin-
gola azione ostile portante, i cui
effetti si ripercuotono sulla perso-
na quotidianamente, Ege afferma
che possa comunque parlarsi di
mobbing (che in tal caso sembra
quasi coincidere con la definizione
di Straining data dalo stesso A:);
v. diffusamente Ege, Oltre il
mobbing, Straining, Stalking e altre
forme di conflittualità sul posto di
lavoro, Franco Angeli ed., 2005,
pag. 44.
6
Le tipologie di azione qui descritte
vengono tutte riportate nella pro-
posta di legge 5493 C, più volte
citata, all ’art. 4.
schede monografiche
46 Note Informative n.34 - dicembre 2005
Il fondamento normativo della responsabilità del datore
di lavoro nelle vicende di mobbing
In termini civilistici l’incidenza del mobbing sul contratto di lavoro deriva essen-
zialmente dalla violazione dell’art. 2087 c.c. (combinata con altre norme a se-
conda della fattispecie; ad es., in caso di dequalificazione, con l’art. 2103 c.c.;
in caso di discriminazioni con le norme antidiscriminatorie; in caso di accani-
mento disciplinare con le disposizioni dello statuto e del codice civile
regolamentano il potere disciplinare del datore di lavoro).
Tale norma, da cui discendono una serie di obblighi per il datore di lavoro, così
recita: “L’imprenditore è tenuto ad adottare nell’esercizio dell’impresa le misure
che secondo la particolarità del lavoro, l’esperienza e la tecnica, sono necessa-
rie a tutelare l’integrità fisica e la personalità morale dei prestatori di lavoro”.
Secondo la giurisprudenza l’obbligo contemplato dalla norma non è circoscritto
al rispetto della legislazione tipica della prevenzione, implicando altresì il dovere
dell’azienda di astenersi da comportamenti lesivi dell’integrità psico-fisica del
lavoratore.
La disposizione richiamata, nella interpretazione comunemente accolta, si ispi-
ra al principio del diritto alla salute, inteso nel senso più ampio, bene giuridico
primario garantito dall’art. 32 della Costituzione e correlato al principio di corret-
tezza e buona fede di cui agli artt. 1175 e 1375 c.c.
Da tale disposizione sorge il divieto per il datore di lavoro non solo di compiere
direttamente qualsiasi comportamento lesivo della integrità psico-fisica del
prestatore di lavoro, ma anche l’obbligo di prevenire, scoraggiare e neutralizzare
qualsiasi comportamento di tal fatta posto in essere dai superiori gerarchici,
preposti o di altri dipendenti nell’ambito dello svolgimento dell’attività lavorativa.
Dal punto di vista dell’onere della prova si ritiene comunemente applicabile quel-
lo derivante dalla responsabilità contrattuale ovvero quello previsto dall’art. 1218
c.c., con la conseguenza che grava sul lavoratore l’onere di provare la lesione
dell’integrità psicofisica ed il nesso di causalità fra tale evento e il comportamen-
to datoriale mentre grava sul datore di lavoro l’onere di provare di aver ottempera-
to all’obbligo di tutela dell’integrità psicofisica dei lavoratori.Al riguardo il datore
di lavoro dovrà rigorosamente dedurre e provare di aver espletato adeguata sorve-
glianza e, più in generale, di aver preso tutte le misure e precauzioni per evitare
il pericolo d’insorgenza della situazione dannosa 7
.
Le conseguenze ripristinatorie
e risarcitorie nelle vicende di mobbing
Il lavoratore che lamenta di essere vittima di mobbing può trovarsi in condizioni
diverse al momento della proposizione della causa. In particolare può trovarsi
fuori dal mondo del lavoro, ovvero nella “fase sei” del mobbing (a seguito di dimis-
sioni o di licenziamento dettato da motivazioni varie, tra cui il superamento del
periodo di comporto) oppure essere ancora in forza nell’azienda che ha posto in
essere ai suoi danni pratiche di mobbing.
Nell’ipotesi di dimissioni (che possono a ragion ben veduta rassegnarsi e quali-
ficarsi come dimissioni per giusta causa) il lavoratore potrà chiedere il risarci-
mento del danno patrimoniale da dimissioni per giusta causa derivanti da fatto e
colpa dell’azienda (in misura superiore ai parametri indicati dall’art. 2119 c.c. e
equitativamente determinabile in base ai riferimenti economici dettati dalla disci-
plina in materia di licenziamento o tenuto conto del periodo intercorso fino al
reperimento di nuova occupazione, trattandosi di danno da lucro cessante o
mancato guadagno 8
). Nel caso in cui abbia invece rassegnato le dimissioni in
note
7
Cass 5 dicembre 2001, n° 15350; Trib.
La Spezia, 13 maggio 2005, in
www.mobbing-prima.it; in dottrina
v. diffusamente Meucci, Il danno
esistenziale nel rapporto di lavoro,
in Riv. It. Dir. Lav., n° 3/2004, I,
pag. 421.
8
V. Fezzi, La riforma delle dimissioni per
giusta causa, in www.di-elle.it/ap-
profondimenti.
9
V. su un caso di incapacità naturale
indotto da patologia reattiva da
mobbing v. Cass. 15 gennaio 2004,
n° 515,
10
Per tutte vedi Cassazione civile, sez.
lav., 25 novembre 2004, n. 22248,
che esclude la computabilità delle
assenze “dovute a infermità
imputabili a responsabilità del da-
tore di lavoro, in dipendenza della
nocività delle mansioni o dell’am-
biente di lavoro, che lo stesso da-
tore - in violazione dell’obbligo di
sicurezza (art. 2087 c.c.) o di nor-
me specifiche - abbia omesso di
prevenire o eliminare”
11
Dopo due significative pronunce sia
della Cassazione (n° 8827 e 8828
del 31 maggio 2003) e della Corte
Costituzionale (n° 233 dell’11 lu-
glio 2003) la bipartizione danno bio-
logico-danno esistenziale appare
definitivamente acquisita.
schede monografiche
Note Informative n.34 - dicembre 2005 47
condizioni di incapacità naturale, errore, violenza o dolo ricorrono gli strumenti di
annullamento previsti dal codice civile 9
.
Nell’ipotesi in cui il lavoratore sia stato invece licenziato (per asserita giusta
causa o giustificato motivo o, ancora per superamento del periodo di comporto)
potrà chiedere la reintegrazione e/o il risarcimento del danno così come previsti
dalla vigente legislazione sul tema, tenuto conto che il superamento del periodo
di comporto per fatto e colpa dell’azienda, come nei casi di conclamato mobbing,
non costituisce valido presupposto per il licenziamento 10
.
Nel caso in cui, diversamente, il lavoratore sia ancora dipendente del datore di
lavoro potrà chiedere, anche nelle forme dell’urgenza, la condanna del datore di
lavoro a cessare gli atti, gli atteggiamenti o i comportamenti pregiudizievoli non-
ché la rimozione degli effetti già prodottisi (anche tramite il ripristino delle condi-
zioni di lavoro precedenti all’azione di mobbing in base all’art. 2103 c.c. ed all’art.
2087) e la condanna del datore di lavoro al risarcimento dei danni prodottisi.
Proprio con riguardo agli aspetti risarcitori, recenti studi inerenti alla psicologia
del lavoro hanno dimostrato che il mobbing procura all’individuo-medio che ne è
vittima tre particolari tipologie di conseguenze lesive, ognuna delle quali, per il
proprio verso (lavoro, esistenza, salute), influisce negativamente sull’andamento
della vita interiore e personale della vittima.
La nozione del danno derivante dal mobbing ha quindi la sua incidenza negativa
sul complesso dei rapporti facenti capo alla persona ed è suscettibile di ripercuo-
tersi in maniera consistente, e talvolta permanente, sulla sua esistenza.
A partire da questa ottica, gli studiosi e
la giurisprudenza hanno messo in rilie-
vo come anche in tema di mobbing la
bipartizione danno patrimoniale - dan-
no biologico appare angusta e poco
esaustiva, laddove esclude a priori la
frustrazione prodotta dall’evento, il ca-
rico di speranze ed aspettative
vanificate, gli effetti e le relazioni uma-
ne messi in discussione, che si river-
berano sulla quotidiana esistenza del-
l’individuo e sulla sua autostima, ovve-
ro il così detto danno esistenziale.
Dopo vari interventi normativi (L. 57/
2001; D.Lgs. 38/2000) che hanno forni-
to una definizione del danno biologico
come “lesione all’integrità psicofisica
suscettibile di valutazione medico lega-
le della persona”, si è andata sempre
più consolidando in giurisprudenza la de-
finizione di una autonoma tipologia di
danno, il così detto danno esistenziale, proprio per coprire quel settore che
innaturalmente era stato tutelato dal danno biologico ed al quale non appartene-
va 11
.
Allo stato, pertanto, i danni risarcibili e normalmente riconosciuti nelle cause di
Tipologie di Dano
a) Il danno biologico, che richiama esplicitamente ed esclu-
sivamente la lesione suscettibile di valutazione medico legale;
b) Il danno esistenziale, che va a ristorare i pregiudizi a
quelle situazioni soggettive, comunque riconosciute dalla Costitu-
zione come meritevoli di tutela, a prescindere dalla sussistenza di
danni alla salute;
c) Il danno morale, che si identifica con la c.d. pecunia
doloris, e va ad indennizzare le sofferenze ed i perturbamenti da
cui è afflitta la persona in seguito ad un fatto che le è stato ingiu-
stamente cagionato;
d) Il danno patrimoniale, nella sua componente sia di danno
emergente (le spese mediche e di sostegno psicologico sostenu-
te al fine di provvedere alla cura della patologia insorta conseguen-
temente alle vessazioni lavorative) o del lucro cessante (derivato
dalla perdita del posto di lavoro – v. supra - e/o nel caso di
dequalificazione, nella perdita di chances).
schede monografiche
48 Note Informative n.34 - dicembre 2005
mobbing ricomprendono il danno non patrimoniale (biologico, esistenziale e mo-
rale) ed il danno patrimoniale (nella forma del danno emergente e del lucro ces-
sante).
Veniamo dunque ad esaminare partitamente, seppure in estrema sintesi, tali
tipologie di danno, il loro fondamento normativo e gli orientamenti giurisprudenziali
che si stanno affermando sul punto.
Danno biologico da mobbing
Come sopra accennato, due sono le voci di danno attraverso le quali si realizza
la piena tutela del diritto alla salute: il danno biologico ed il danno esistenziale.
Qualora la condotta molesta provochi una lesione all’integrità psico-fisica su-
scettibile di valutazione medico legale della persona inevitabilmente il danno da
prendere in considerazione sarà quello biologico. L’uno non esclude l’altro. Si
potrà quindi parlare di danno biologico da mobbing qualora le condizioni di salute
del lavoratore configurino patologie psichiche o psico-somatiche che determina-
no una menomazione del funzionamento sociale, con sintomatologia che impli-
ca un sentimento di perdita della speranza, irritabilità, irrequietezza, preoccupa-
zione, ecc. (debitamente documentati da perizia medico-legale) 12
.
Come più diffusamente segnalato nel contributo di commento alla sentenza TAR
Lazio, dopo la riforma Inail il danno biologico è di competenza dell’Inail se pari o
superiore al 6%; rimane invece integralmente a carico del datore di lavoro il
danno permanente inferiore alla predetta percentuale.
In ogni caso il lavoratore dovrà sempre convenire in giudizio l’azienda per tale
voce di danno e, in caso di sussistenza di un danno permanente che si deduce
essere (in base ad accurata perizia psichiatrica di parte) pari o superiore al 6%,
anche l’Inail (nell’ipotesi di rigetto della domanda in sede amministrativa). In tale
ultimo caso (e sempreché la perizia confermi la percentuale) l’azienda sarà chia-
mata a rispondere del danno biologico c.d. differenziale 13
(oltreché delle even-
tuali ulteriori voci di danno).
Per la liquidazione del danno biologico sarà possibile fare riferimento alle tabelle
elaborate dai vari Tribunali, compreso quello milanese, con l’intento di individua-
re “criteri tendenzialmente uniformi per la liquidazione del danno, superando la
diversità dei parametri usati nei vari uffici, ed eliminando le conseguenti incertez-
ze fra gli operatori e le possibili disparità di trattamento” 14
.
Danno esistenziale da mobbing
L’analisi empirica e lo studio psico-sociologico del fenomeno hanno indotto gli
studiosi ad individuare alcuni tratti comuni che definiscono la condizione del
mobbizzato nella non partecipazione ai ritmi collettivi, nella privazione di riferi-
menti spaziali della loro esistenza, nella messa in discussione della propria
identità sociale e personale.
Le difficoltà vissute dal mobbizzato provocano innanzitutto un immiserimento
professionale che ha conseguenze negative che si ripercuotono su tutto il suo
avvenire lavorativo, provocando in primis un danno al patrimonio professionale di
severa entità. La stretta dipendenza esistente fra il danno da mobbing e la pro-
fessionalità del soggetto- vittima, fa sì che venga a configurarsi un danno in re
ipsa di natura spiccatamente “patrimoniale”, ossia in grado di colpire direttamen-
te il patrimonio attraverso la perdita della professionalità acquisita e/o acquisibile
a causa e per effetto del mobbing subito (v. infra).
Il danno esistenziale tuttavia va oltre il concetto di riduzione della c.d. capacità
note
12
Per un esame delle patologie da
mobbing dal punto di vista medico
si rinvia al contributo di Guerreri,
Mobbing e disagio lavorativo. La
valutazione medico-legale, in q. ri-
vista, luglo-dicembre 2005, n° 27/
28, pag. 133.
13
Sul danno differenziale v. il contributo
di Eleonora De Carlo, Infortuni sul
lavoro: il calcolo del danno diffe-
renziale dopo la riforma Inail, in q.
rivista, luglio-dicembre 2005, pag.
137.
14
V. per richiamare solo alcune recenti
sentenze che hanno liquidato il
danno biologico da mobbing Tribu-
nale di Agrigento, 1/2/2005; Tribu-
nale Forlì, 28/1/2005; Corte d’Ap-
pello di Torino, 25 ottobre 2004,
tutte reperibili in www.mobbing-
prima.it;
schede monografiche
Note Informative n.34 - dicembre 2005 49
lavorativa e comprende come sopra già accennato qualsiasi evento che abbia
un’incidenza negativa sull’esistenza del danneggiato in termini considerevoli ed
evidenti. Il danno esistenziale viene quindi a comprendere tutte le attività inerenti
alla vita di relazione, alla serenità familiare, alla sfera sessuale ed a tutte le altre
espressioni di vita pregiudicate o limitate da ciò che l’ha originato.
La giurisprudenza ingloba sotto tale tipologia di danno le lesioni ingiustamente
subite alla sfera della personalità in ambito lavorativo ed extra-lavorativo, inclu-
dendovi il danno all’immagine, alla vita di relazione, alla dignità del lavoratore,
alla personalità, alla vita professionale (nella componente non patrimoniale), al
suo modo di atteggiarsi mentalmente, di comportarsi e relazionarsi con il mondo
esterno, addivenendo ad una valutazione di tipo equitativo. Tale valutazione tiene
normalmente conto della durata dei comportamenti, dell’età del lavoratore, della
loro potenzialità lesiva, della frequenza degli stessi e la quantificazione è nor-
malmente effettuata utilizzando il parametro retributivo mensile (in misura piena
o ridotta percentualmente, per ogni mese in cui è stata perpetrata azione di
mobbing) o criteri di quantificazione analoghi a quelli utilizzati per il calcolo del
danno biologico temporaneo 15
.
Si segnala tuttavia che per la valutazione del danno esistenziale da mobbing si
potrebbero ottenere quantificazioni sempre più omogeee laddove si applicassero
i parametri messi a punto dal dott. Harald Ege nella monografia “La valutazione
peritale del danno da mobbing” edito da Giuffré, 2002.
In estrema sintesi ciò che Ege ha elaborato (e che utilizza nei casi in cui è stato
nominato CTU 16
) è una tabella abbastanza simile a quelle esistenti nei Tribunali
per il calcolo del danno biologico, ma che nello specifico è utile per il calcolo del
danno (esistenziale) da mobbing.
A differenza delle tabelle per il calcolo del danno biologico, la tabella approntata
da Ege non ha, ovviamente, valore legale, ma può rivestire – se correttamente
utilizzata – valore orientativo al fine di addivenire a quantificazioni giudiziali sem-
pre più uniformi del danno da mobbing nella sua componente esistenziale.
La tabella prevede la percentuale di LAM (lesione accertata da mobbing) da zero
a cento, messa in relazione con colonne relative all’età del soggetto (esistono
due diverse tabelle, a seconda del sesso del soggetto vittima di mobbing).
Il punteggio di mobbing è determinato dal CTU (psicologo del lavoro esperto di
mobbing o psichiatra) nominato dal tribunale in base al numero delle categorie
ostili, all’indice di frequenza e di sistematicità cui tali azioni ostili sono state
perpetrate nel tempo, al dato cronologico relativo alla durata del mobbing e,
infine, alla fascia di reddito del soggetto.
Una volta determinato il punteggio lo si pone in corrispondenza della fase di
mobbing denunciata (servendosi sempre delle tabelle specifiche redatte dallo
studioso) e si ottiene così la percentuale di L.A.M. parziale.
A questa si aggiunge infine la eventuale maggiorazione che il caso specifico
presenta: la maggiorazione relativa alla perdita dell’autostima e/o quella relativa
al cd. doppio mobbing.
Danno morale da mobbing
L’area non patrimoniale del danno va altresì identificata con il dolore, le sofferen-
ze dell’animo e spirituali ed i perturbamenti da cui è afflitta la persona in seguito
ad un fatto che le è stato ingiustamente cagionato. Anche se distinto dal danno
biologico, il danno morale beneficia della tutela di cui all’art. 32 Cost. in quanto
ogni qual volta viene inflitto un danno morale si produce un danno allo sviluppo
della persona umana.
note
15
V. casistica riportata nel sito
www.mobbing-prima.it.
16
Ad esempio dal Tribunale di Bergamo,
nella sentenza annotata in q. rivi-
sta; Trib. Forlì, 15 marzo 2001, in Il
lavoro nella giurisprudenza, n° 6/
2002, pag. 552.
schede monografiche
50 Note Informative n.34 - dicembre 2005
Il più recente orientamento della giurisprudenza di Cassazione nonché della giu-
risprudenza costituzionale 17
, nel richiamare l’art. 2059 c.c. in presenza di danno
non patrimoniale, ha sganciato il risarcimento del danno morale dal riscontro di
un fatto di reato, correlandolo invece alla sofferenza casualmente conseguente
alla lesione di interessi costituzionalmente protetti.
La prassi assicurativa e giurisprudenziale, procedendo equitativamente nella
quantificazione di tale voce di danno (v. art. 2056 c.c.), normalmente riconosce
una quota del danno morale di pari grado rispetto al danno biologico solo in caso
di elevatissima invalidità permanente; generalmente, invece, si attiene ad una
liquidazione del danno morale pari alla metà, ad 1/3 e ad 1/4 rispetto alla
quantificazione del danno biologico.
Danno patrimoniale da mobbing
Con riguardo al danno patrimoniale da mobbing potrà essere richiesto dal lavora-
tore il pagamento delle spese mediche sostenute al fine di provvedere alla cura
della patologia insorta conseguentemente alle vessazioni lavorative. In aggiunta
a ciò si può preventivare un risarcimento del danno patrimoniale per rimborso
spese di psicoterapia (danno patrimoniale c.d. emergente).
Strumenti
Il mobbing e il danno alla persona: alcuni titoli per saperne di più
Il Mobbing, a cura di Paolo Tosi, G. Giappichelli Editore, 2004
Bellantoni D., Lesioni dei diritti della persona, Cedam, 2000
Bona M., Danno alla persona e nuove prospettive di riforma, in Giurisprudenza italiana, 2000, II, pag. 437 ss.
Capelli V., In tema di Mobbing. Il punto di vista del medico del lavoro, 1992, Giuffrè Editore
Ege H., La valutazione peritale del danno da mobbing, Giuffrè Editore, 2002
Gilioli A. e Gilioli R., Cattivi capi, cattivi colleghi, Milano, 2000, pag. 27
Hyrogoyen M. F., Molestie morali. La violenza perversa nella famiglia e nel lavoro, Einaudi, Torino, 2000
Matto V., Il mobbing fra danno alla persona e lesione del patrimonio professionale, in Diritto delle relazioni
industriali, IV, 1999, pag. 491 ss.
Mazzamuto S., Una rilettura del mobbing: obbligo di protezione e condotte plurime di inadempimento, in
Europa e diritto privato, 2003, pag. 628
Monateri P. G. - Bona M. - Oliva U., Il nuovo danno alla persona, Giuffrè Editore, 1999
Monateri P. G. – Oliva U., La responsabilità civile nel mobbing, Milano, Ipsoa, 2002
Occhipinti A., Sull’utilità giuridica del concetto di mobbing, in D&L - Rivista critica di diritto del lavoro, I,
2004, pag. 7
Oricchio M., Il Mobbing nel pubblico impiego, in Giustizia Italiana, VI, 2001
Panzeri P., Criteri per il riconoscimento dall’INAIL dei disturbi psichici da costrittività organizzativa sul
lavoro (mobbing), in Lavoro e previdenza oggi, III, 2004, pag. 543
Pedrazzoli M., Il danno biologico ed oltre, Giuffrè Editore, 1995
Pera G., Angherie e inurbanità negli ambienti di lavoro, in Rivista italiana del diritto del lavoro, I, 2001, pag.
291
Tullini P., Mobbing e rapporto di lavoro. Una fattispecie emergente di danno alla persona, in Rivista italiana
delle leggi, 2000, I, pag. 54
Ziviz P., La tutela risarcitoria della persona, Giuffrè Editore, 1999
schede monografiche
Note Informative n.34 - dicembre 2005 51
Il mobbing, tuttavia, procura (specie quando è associato alla marginalizzazione
lavorativa) anche un immiserimento professionale che ha conseguenze negative
sull’avvenire lavorativo del lavoratore, provocando un danno al patrimonio profes-
sionale estremamente grave. Tale danno è classificabile nella forma del c.d.
lucro cessante, dato che produce la perdita di chances all’interno dell’azienda o
anche una ricollocazione nel mercato esterno.
Si segnala che con riguardo a tale ultimo aspetto prevale la tesi giurisprudenziale18
che tali perdite debbano essere rigorosamente dimostrate nella loro causalità
dal demansionamento o dal mobbing e successivamente quantificate in via
equitativa. Una condivisibile dottrina, tuttavia, esprime l’avviso che sarebbe suf-
ficiente il ricorso a presunzioni, “giacché è intuitivo che chi mobbizza
demansionando certamente nega la promozione all’inviso quando solitamente
la conferisce invece ai di lui colleggi di pari anzianità o svolgenti le stesse o
similari mansioni” 19
.
Nei casi in cui, come si è già visto, il mobbing procuri altresì la fuoriuscita del
lavoratore dall’azienda, il danno patrimoniale seguirà i criteri legali e
giurisprudenziali di quantificazione previsti per le ipotesi di licenziamento o di
dimissioni.
■■■
note
17
V. sent. Cass. 8827 e 8828/2003, cit.
nonché Corte Cost. 233/2003, cit..
18
v. per tutte Cass. 28 maggio 2004, n°
10361.
19
Meucci, Il danno esistenziale nel rap-
porto di lavoro, cit.
Il demansionamento, la marginalizzazione lavorativa e l’isolamento personale, pur
non integrando la fattispecie di mobbing (mancando del requisito della frequenza e
ripetitività nel tempo delle aggressioni) vengono classificate – con un termine mutuato
dalla psicologia del lavoro – come straining, con ricadute risarcitorie in tutto
analoghe a quelle già ampiamente commentate nel contributo che precede
La questione sottoposta al vaglio del magistrato riguarda un caso di
dequalificazione e marginalizzazione grave; in particolare una lavoratrice prossi-
ma alla pensione, inquadrata al massimo livello impiegatizio del terziario (primo
livello), ha lamentato di aver subito, in epoca immediatamente successiva al
trasferimento dell’azienda ad altro proprietario, la totale privazione delle prece-
denti mansioni, il trasferimento in “una sorta di ripostiglio, con mobili in disuso,
senza PC e telefono” nonchè la privazione totale di contatti con altro personale
e con l’esterno per espressa disposizione della direzione.
Dall’istruttoria è emerso che il racconto della lavoratrice fosse sostanzialmente
veritiero, che – peraltro - la condizione della ricorrente veniva percepita dai colle-
ghi come “monito” e che gli stessi temevano di poter fare la stessa fine, tant’è
che avevano, per timore di ritorsioni, interrotto qualsiasi tipo di comunicazione
con la stessa.
La sentenza del Tribunale Bergamo, del 21 aprile 2005, est. Bertoncini
Mobbing e straining: similitudini e differenze■■■■

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Comportamenti vessatori e tutele del lavoratore logorato

  • 1. schede monografiche 42 Note Informative n.34 - dicembre 2005 Comportamenti vessatori e tutele del lavoratore logorato Mobbing: responsabilità del datore, conseguenze e risarcimento delle diverse tipologie di danno ■■■■ Si parla ormai assai spesso di “mobbing” utilizzando un termine di origine inglese, il cui significato letterario è “assalire tumultuosamente”. Tumultuosamente, ben inteso, non in modo esclusivamente fisico, ma spesso in modo psicologico. Quando un dipendente è oggetto ripetuto di soprusi da parte dei superiori o di colleghi e, in particolare, quando vengono poste in essere pratiche dirette ad isolarlo dall’ambiente di lavoro o ad espellerlo con la conseguenza di intaccarne gravemente il suo equilibrio psichico, menomandone la capacità lavorativa e la fiducia in se stesso e provocando catastrofe emotiva, depressione e talora persino il suicidio, interviene il diritto del lavoro che individua una precisa responsabilità del datore di lavoro. Anche il codice civile (art. 2087 c.c.) impone ai datori di adottare le misure necessarie a tutelare l’integrità fisica, psichica e la personalità morale dei propri dipendenti e collaboratori. La scheda che segue, tenta di spiegare allo stato attuale della giurisprudenza e della normativa, quali sono i presupposti perché si possa parlare di mobbing o di straining e quali siano i diversi profili di danno, in cui incorrono i lavoratori vittime di situazioni di “stress forzato” sul posto di lavoro e quando è possibile richiedere, per queste patologie, il riconoscimento del “danno biologico”. di Annalisa Rosiello Premessa e inquadramento generale Il mobbing viene definito dallo psicologo svedese Heinz Leymann – uno dei mas- simi esperti in materia – come “il terrore psicologico sul luogo di lavoro che consiste in una comunicazione ostile e contraria ai principi etici, perpetrata in modo sistematico da una o più persone principalmente contro un singolo indivi- duo che viene per questo spinto in una posizione di impotenza e impossibilità di difesa e qui costretto a restare da continue attività ostili. Queste azioni sono effettuate con un’alta frequenza (almeno una volta alla settimana) e per un lungo periodo di tempo (per almeno sei mesi).Acausa dell’alta frequenza e della lunga durata, il comportamento ostile dà luogo a seri disagi psicologici, psicosomatici e sociali”. Il termine mobbing (da “to mob” – assalire tumultuosamente) è mutua- to non dall’etnologia, che osserva il comportamento umano, bensì dall’etologia, che studia il comportamento animale, e sembra voler rimarcare la disumanità, prima ancora che la contrarietà ai principi etici, di certe pratiche. Le forme che questa azione può assumere vanno dalla dequalificazione dei compiti assegnati alla persona oggetto della persecuzione alla sua emarginazione nel- l’ambito lavorativo, dalla diffusione di notizie false ed offensive alle quotidiane critiche sul suo operato, per arrivare all’attacco all’immagine sociale nei confron- ti di colleghi e superiori. Quale sia lo scopo principale del mobbing crediamo sia facilmente intuibile: spingere una persona ritenuta “scomoda” a dare le dimissioni dall’azienda o a commettere azioni che ne giustifichino il licenziamento.
  • 2. schede monografiche Note Informative n.34 - dicembre 2005 43 MOBBING E CGIL MILANO: Sempre più spesso si rivolgono al sindacato lavoratori che affermano di essere vittime di mobbing. La CGIL di Milano*, già da qualche anno, ha aperto un apposito sportello che fornisce assistenza sindacale, psicologica e legale ad un numero sempre maggiore di lavoratrici e lavoratori che operano nell’area metropoli- tana. Dal punto di vista medico-scientifico, così come sul piano più strettamente giuridico, il fenomeno del mobbing è stato oggetto di numerosi studi ed approfondimenti. Tuttavia, forse anche a causa della perdurante lacuna sul piano normativo, spesso si creano fraintendimenti nell’attività di individuazione e di qualificazione della fattispecie. Frequententemente infatti il fenomeno viene confuso con le più “tradizionali” (ma non per questo meno odiose) azioni di dequalificazione o marginalizzazione professionale. In realtà, perché si possa parlare di mobbing, è necessario che ricorrano condizioni e presuppo- sti particolari, in cui la dequalificazione o la marginalizzazione lavorativa possono essere importanti elementi indicatori di una fattispecie che tuttavia è più articolata e che, come vedremo, è connotata dalla sistematicità e dalla regolarità di attacchi attivi alla persona. In ogni caso è importante sempre far presente alla persona che si ritiene vittima di mobbing che non sempre è corretto ed opportuno “scomodare” questo istituto (anche per non “inflazionarlo”) e che esistono già strumenti normativi per contrastare la dequalificazione (art. 2103 c.c.), il trasferimento ritorsivo o illegittimo (art. 2103 e art. 15 st. lavoratori), l’accanimento disciplinare (art. 2104, 2105, 2106 c.c. e art. 7 st. lavoratori) o altre situazioni lavorative di disagio e conflitto quali lo stress occupazionale (per tutti art. 2087 c.c.). Infatti anche queste situazioni, in cui, per la verità, la zona di contatto con il mobbing è spesso molto estesa, possono portare a ricadute risarcitorie del tutto analoghe a quelle che vedremo applicate al mobbing nell’articolo che pubblichiamo in queste pagine, sempreché, ovviamente, il lavoratore provi l’esistenza del danno ed il collega- mento causale con la situazione lavorativa lesiva della propria dignità e della propria salute. La Redazione * L’Ufficio Politiche Sociali presso cui è attivo lo sportello mobbing si trova al secondo piano della Camera del Lavoro Metropolitana di Milano, in corso di Porta Vittoria, 43. Gli orari di apertura al pubblico sono: dal Lunedì al Venerdì dalle 9.30 alle 12.00 e dalle 15.00 alle 17.00 Non sempre risulta altrettanto scontato chi siano gli autori dell’azione di mobbing: infatti, se in buona parte dei casi l’artefice della persecuzione è il datore di lavo- ro, spesso nelle azioni di mobbing sono coinvolti gli stessi colleghi che, per compiacere il “capo”, si uniscono alla strategia di isolamento e di vessazioni. Le ricerche condotte ed i casi conclamati sul piano medico-legale e giudiziario hanno dimostrato che il mobbing può portare all’invalidità psico-fisica; in questo senso è corretto inquadrare le patologie da mobbing tra le malattie professionali e, non a caso, l’INAIL riconosce queste patologie (qualora ne risulti dimostrata l’origine professionale) tra quelle che danno diritto al riconoscimento “danno bio- logico” (danno all’integrità psico-fisica della persona) (per questo vedi anche, più diffusamente, l’articolo di commento alla sentenza TAR Lazio). Gli effetti del mobbing sulla persona possono essere devastanti: una recente ricerca ha dimostrato ad esempio che in Svezia oltre il 10% del totale dei suicidi ha avuto come causa scatenante fenomeni di mobbing. Ma non va neppure sot- tovalutata la portata sociale che il fenomeno produce: basti pensare agli innume- revoli casi di lunghi periodi di malattia o ai pensionamenti anticipati (si calcola che in Germania siano diverse decine di migliaia) che producono aggravi di costi i quali vanno ad incidere direttamente sulla spesa sociale e, quindi, sulla collet-
  • 3. schede monografiche 44 Note Informative n.34 - dicembre 2005 tività. L’intervento su questo problema, pertanto, è avvertito ormai come neces- sario non solo per ragioni morali e di giustizia, ma anche di opportunità economi- ca e sociale. Il dilagare del fenomeno ha indotto già da tempo dei paesi europei (Svezia, Nor- vegia, Francia) a dotarsi di specifiche leggi per contrastarlo. Inoltre gran parte dei paesi europei, specialmente dopo gli interventi del Parlamento europeo e del Consiglio, hanno approfondito lo studio e messo in cantiere progetti di legge per disciplinare in maniera organica l’istituto (tra cui Spagna, Belgio, Germania,Au- stria). Anche in Italia si calcola che, secondo le ricerche condotte, il fenomeno del mobbing e in generale delle violenze psicologiche nei luoghi di lavoro interessi in tutti i settori produttivi circa 1,5 milioni di lavoratori, cifra che, tenendo conto dei familiari delle vittime, porta a circa 3 milioni di persone coinvolte dal mobbing; per tale motivo da più parti si è ravvisata l’esigenza di regolamentare compiutamente l’istituto e svariate sono le proposte di legge già presentate in Parlamento 2 . Tuttavia ancora molti sono gli esperti del campo medico ed anche di quello giuridico a ritenere non opportuna e necessaria una regolamentazione organica, reputando da un lato controproducenti definizioni legislative che potrebbero por- tare ad eccessiva rigidità qualificatoria e dall’altro già sussistenti nel nostro si- stema tutti gli strumenti per contrastare e punire il fenomeno. La definizione di mobbing Nel contesto italiano non esiste, come si accennava, una organica definizione normativa di mobbing. La nozione di molestie sul lavoro è stata per la prima volta inserita nei decreti legislativi sulle discriminazioni 3 (n° 215 e 216 del 9 luglio 2003 e n° 145 del 30 maggio 2005), i quali assimilano alle discriminazioni anche le molestie, ovvero quei comportamenti indesiderati posti in essere per ragioni di razza, etnia, handicap, sesso, ecc, aventi lo scopo o l’effetto di violare la dignità di una persona e di creare un clima intimidatorio, ostile, degradante, umiliante ed offensivo. In base ai decreti è altresì considerato discriminazione l’ordine di discriminare persone in ragione della razza, dell’origine etnica, dell’handicap, del sesso ecc.. Si tratta di una prima definizione di molestie (o mobbing) sul lavoro, ma essa non può considerarsi esaustiva, dal momento che non sempre il mobbing è inquadrabile nelle condotte discriminatorie contemplate dalle disposizioni richiamate. Nell’ambito degli studi della psicologia del lavoro presenti nel panorama italiano, la definizione più completa è indubbiamente quella proposta da Harald Ege (psi- cologo del lavoro esperto di mobbing) che definisce il mobbing “una situazione lavorativa di conflittualità sistematica, persistente ed in costante progresso, in cui una o più persone vengono fatte oggetto di azioni ad alto contenuto persecutorio da parte di uno o più aggressori in posizione superiore, inferiore o di parità, con lo scopo di causare alla vittima danni di vario tipo e gravità. Il mobbizzato si trova nell’impossibilità di reagire adeguatamente a tali attacchi e a lungo andare accu- sa disturbi psicosomatici, relazionali e dell’umore che possono portare anche a invalidità psicofisiche permanenti di vario genere e percentualizzazione” (Ege, La valutazione peritale del danno da mobbing, Giuffré, 2002, pag. 39). Tale definizione, accompagnata dai parametri per l’individuazione del mobbing individuati dallo stesso Ege, in totale sette, è quella recepita con maggior fre- quenza dai Giudici (ed anche dalle proposte legislative parlamentari4 ). Tali para- metri, secondo l’autore, debbono essere tutti presenti affinché si possa parlare di mobbing (salvo i casi di “sasso nello stagno” o di “quick mobbing”). note 2 V. da ultimo Proposta di Legge 15 dicembre 2004, n° 5493 della Ca- mera dei Deputati. 3 V. commento di Giasanti, Decreti legi- slativi n° 215 e 216 del 2003. Novi- tà in materia di discriminazioni e parità di trattamento, in q. rivista, luglio-dicembre 2003, n: 27/28, pag. 99. 4 L’art. 2 della Proposta di Legge 5493 C, cit., prevede: “(Definizioni). 1. Ai fini della presente legge, per « mobbing » si intende una situazio- ne lavorativa caratterizzata da con- dotte vessatorie sistematiche, du- rature e intense, da parte del dato- re di lavoro, denominata « mobbing verticale » o di colleghi, denomina- ta « mobbing orizzontale », nei con- fronti di una o piu` persone che vengono fatte oggetto di maltratta- menti morali o di pressione psicolo- gica, con la conseguenza di una esplicita o implicita minaccia sotto i profili della professionalita‘ , del- l’immagine sociale, della sicurezza e della salute.” segue a pag 46
  • 4. schede monografiche Note Informative n.34 - dicembre 2005 45 I SETTE PARAMETRI A CUI RICOLLEGARE IL MOBBING SECONDO HERALD EGE 1. Ambiente lavorativo: il mobbing deve svolgersi sul posto di lavoro, pur essendo un disagio che potrà poi ripercuotersi nella sfera privata del mobbizzato (in questo caso viene denominato doppio mobbing). 2. Frequenza: le azioni ostili devono accadere almeno alcune volte al mese (salvo il caso di “sasso nello stagno” 5 ). 3. Durata: il conflitto deve essere in corso da almeno sei mesi, salvo i casi cosiddetti di “quick mobbing” (cioè di frequenza quotidiana quindi particolar- mente devastante delle azioni ostili) la cui durata può essere abbassata a tre mesi. 4. Tipologia di azioni: le azioni devono rientrare in almeno due parametri tra i seguenti: a)Attacchi ai contatti umani: ad es. attraverso critiche e rimpro- veri ingiustificati, gesti e insinuazioni con significato negativo, minacce, li- mitazioni delle capacità espressive e della libertà di pensiero; b) Isolamento sistematico: ad es. deliberata negazione di informazioni relative al lavoro o manipolazione delle stesse o divieto per i dipendenti di parlare con il lavora- tore o, ancora, collocazione del lavoratore in luogo isolato; c) Cambiamenti delle mansioni: ad es. attribuzione di mansioni dequalificanti, sensa senso, umilianti, ecc.; d) Attacchi alla reputazione: ad es. calunnie, offese, abusi, espressioni maliziose, insultanti; e) Violenza e minacce di violenza; ad es. molestie sessuali, minacce di violenza fisica, adibizione a mansioni nocive per la salute, anche in relazione ad eventuali condizioni di invalidità 6 . 5. Dislivello tra gli antagonisti: nel mobbing i “protagonisti” sono sostanzial- mente due: la vittima (o mobbizzato) e l’aggressore (o mobber). Non si tratta però necessariamente di due persone, bensì di due ruoli in conflitto. La vittima è comunque in una posizione costante di inferiorità. 6. Andamento secondo fasi successive: perché una situazione possa es- sere definita mobbing, devono essere ben identificabili al suo interno non solo il senso di progresso, ma anche delle fasi successive. In questo senso il modello Ege prevede una fase preparatoria (condizione zero) e sei fasi successive (fase 1 conflitto mirato; fase 2 inizio del mobbing; fase 3 primi sintomi psico-somatici; fase 4 errori ed abusi dell’Amministrazione del per- sonale; fase 5 serio aggravamento della salute psico-fisica della vittima; fase 6 esclusione dal mondo del lavoro). E’ a partire dalla seconda fase che la vittima si “cristallizza” e comincia a percepire disagio e tensione, mentre la vicenda incomincia ad incanalarsi in una direzione ben precisa. 7. Intento persecutorio: perché si possa parlare di mobbing si deve riscon- trare da parte dell’aggressore un chiaro scopo negativo nei confronti della vittima. Nella vicenda cioè devono essere riscontrabili scopo, obiettivo con- flittuale e carica emotiva e soggettiva. note 5 Il “sasso nello stagno”, una volta lan- ciato, produce cerchi concentrici sempre più ampi ed effetti duraturi nel tempo. Allo stesso modo, nel caso in cui sussista anche una sin- gola azione ostile portante, i cui effetti si ripercuotono sulla perso- na quotidianamente, Ege afferma che possa comunque parlarsi di mobbing (che in tal caso sembra quasi coincidere con la definizione di Straining data dalo stesso A:); v. diffusamente Ege, Oltre il mobbing, Straining, Stalking e altre forme di conflittualità sul posto di lavoro, Franco Angeli ed., 2005, pag. 44. 6 Le tipologie di azione qui descritte vengono tutte riportate nella pro- posta di legge 5493 C, più volte citata, all ’art. 4.
  • 5. schede monografiche 46 Note Informative n.34 - dicembre 2005 Il fondamento normativo della responsabilità del datore di lavoro nelle vicende di mobbing In termini civilistici l’incidenza del mobbing sul contratto di lavoro deriva essen- zialmente dalla violazione dell’art. 2087 c.c. (combinata con altre norme a se- conda della fattispecie; ad es., in caso di dequalificazione, con l’art. 2103 c.c.; in caso di discriminazioni con le norme antidiscriminatorie; in caso di accani- mento disciplinare con le disposizioni dello statuto e del codice civile regolamentano il potere disciplinare del datore di lavoro). Tale norma, da cui discendono una serie di obblighi per il datore di lavoro, così recita: “L’imprenditore è tenuto ad adottare nell’esercizio dell’impresa le misure che secondo la particolarità del lavoro, l’esperienza e la tecnica, sono necessa- rie a tutelare l’integrità fisica e la personalità morale dei prestatori di lavoro”. Secondo la giurisprudenza l’obbligo contemplato dalla norma non è circoscritto al rispetto della legislazione tipica della prevenzione, implicando altresì il dovere dell’azienda di astenersi da comportamenti lesivi dell’integrità psico-fisica del lavoratore. La disposizione richiamata, nella interpretazione comunemente accolta, si ispi- ra al principio del diritto alla salute, inteso nel senso più ampio, bene giuridico primario garantito dall’art. 32 della Costituzione e correlato al principio di corret- tezza e buona fede di cui agli artt. 1175 e 1375 c.c. Da tale disposizione sorge il divieto per il datore di lavoro non solo di compiere direttamente qualsiasi comportamento lesivo della integrità psico-fisica del prestatore di lavoro, ma anche l’obbligo di prevenire, scoraggiare e neutralizzare qualsiasi comportamento di tal fatta posto in essere dai superiori gerarchici, preposti o di altri dipendenti nell’ambito dello svolgimento dell’attività lavorativa. Dal punto di vista dell’onere della prova si ritiene comunemente applicabile quel- lo derivante dalla responsabilità contrattuale ovvero quello previsto dall’art. 1218 c.c., con la conseguenza che grava sul lavoratore l’onere di provare la lesione dell’integrità psicofisica ed il nesso di causalità fra tale evento e il comportamen- to datoriale mentre grava sul datore di lavoro l’onere di provare di aver ottempera- to all’obbligo di tutela dell’integrità psicofisica dei lavoratori.Al riguardo il datore di lavoro dovrà rigorosamente dedurre e provare di aver espletato adeguata sorve- glianza e, più in generale, di aver preso tutte le misure e precauzioni per evitare il pericolo d’insorgenza della situazione dannosa 7 . Le conseguenze ripristinatorie e risarcitorie nelle vicende di mobbing Il lavoratore che lamenta di essere vittima di mobbing può trovarsi in condizioni diverse al momento della proposizione della causa. In particolare può trovarsi fuori dal mondo del lavoro, ovvero nella “fase sei” del mobbing (a seguito di dimis- sioni o di licenziamento dettato da motivazioni varie, tra cui il superamento del periodo di comporto) oppure essere ancora in forza nell’azienda che ha posto in essere ai suoi danni pratiche di mobbing. Nell’ipotesi di dimissioni (che possono a ragion ben veduta rassegnarsi e quali- ficarsi come dimissioni per giusta causa) il lavoratore potrà chiedere il risarci- mento del danno patrimoniale da dimissioni per giusta causa derivanti da fatto e colpa dell’azienda (in misura superiore ai parametri indicati dall’art. 2119 c.c. e equitativamente determinabile in base ai riferimenti economici dettati dalla disci- plina in materia di licenziamento o tenuto conto del periodo intercorso fino al reperimento di nuova occupazione, trattandosi di danno da lucro cessante o mancato guadagno 8 ). Nel caso in cui abbia invece rassegnato le dimissioni in note 7 Cass 5 dicembre 2001, n° 15350; Trib. La Spezia, 13 maggio 2005, in www.mobbing-prima.it; in dottrina v. diffusamente Meucci, Il danno esistenziale nel rapporto di lavoro, in Riv. It. Dir. Lav., n° 3/2004, I, pag. 421. 8 V. Fezzi, La riforma delle dimissioni per giusta causa, in www.di-elle.it/ap- profondimenti. 9 V. su un caso di incapacità naturale indotto da patologia reattiva da mobbing v. Cass. 15 gennaio 2004, n° 515, 10 Per tutte vedi Cassazione civile, sez. lav., 25 novembre 2004, n. 22248, che esclude la computabilità delle assenze “dovute a infermità imputabili a responsabilità del da- tore di lavoro, in dipendenza della nocività delle mansioni o dell’am- biente di lavoro, che lo stesso da- tore - in violazione dell’obbligo di sicurezza (art. 2087 c.c.) o di nor- me specifiche - abbia omesso di prevenire o eliminare” 11 Dopo due significative pronunce sia della Cassazione (n° 8827 e 8828 del 31 maggio 2003) e della Corte Costituzionale (n° 233 dell’11 lu- glio 2003) la bipartizione danno bio- logico-danno esistenziale appare definitivamente acquisita.
  • 6. schede monografiche Note Informative n.34 - dicembre 2005 47 condizioni di incapacità naturale, errore, violenza o dolo ricorrono gli strumenti di annullamento previsti dal codice civile 9 . Nell’ipotesi in cui il lavoratore sia stato invece licenziato (per asserita giusta causa o giustificato motivo o, ancora per superamento del periodo di comporto) potrà chiedere la reintegrazione e/o il risarcimento del danno così come previsti dalla vigente legislazione sul tema, tenuto conto che il superamento del periodo di comporto per fatto e colpa dell’azienda, come nei casi di conclamato mobbing, non costituisce valido presupposto per il licenziamento 10 . Nel caso in cui, diversamente, il lavoratore sia ancora dipendente del datore di lavoro potrà chiedere, anche nelle forme dell’urgenza, la condanna del datore di lavoro a cessare gli atti, gli atteggiamenti o i comportamenti pregiudizievoli non- ché la rimozione degli effetti già prodottisi (anche tramite il ripristino delle condi- zioni di lavoro precedenti all’azione di mobbing in base all’art. 2103 c.c. ed all’art. 2087) e la condanna del datore di lavoro al risarcimento dei danni prodottisi. Proprio con riguardo agli aspetti risarcitori, recenti studi inerenti alla psicologia del lavoro hanno dimostrato che il mobbing procura all’individuo-medio che ne è vittima tre particolari tipologie di conseguenze lesive, ognuna delle quali, per il proprio verso (lavoro, esistenza, salute), influisce negativamente sull’andamento della vita interiore e personale della vittima. La nozione del danno derivante dal mobbing ha quindi la sua incidenza negativa sul complesso dei rapporti facenti capo alla persona ed è suscettibile di ripercuo- tersi in maniera consistente, e talvolta permanente, sulla sua esistenza. A partire da questa ottica, gli studiosi e la giurisprudenza hanno messo in rilie- vo come anche in tema di mobbing la bipartizione danno patrimoniale - dan- no biologico appare angusta e poco esaustiva, laddove esclude a priori la frustrazione prodotta dall’evento, il ca- rico di speranze ed aspettative vanificate, gli effetti e le relazioni uma- ne messi in discussione, che si river- berano sulla quotidiana esistenza del- l’individuo e sulla sua autostima, ovve- ro il così detto danno esistenziale. Dopo vari interventi normativi (L. 57/ 2001; D.Lgs. 38/2000) che hanno forni- to una definizione del danno biologico come “lesione all’integrità psicofisica suscettibile di valutazione medico lega- le della persona”, si è andata sempre più consolidando in giurisprudenza la de- finizione di una autonoma tipologia di danno, il così detto danno esistenziale, proprio per coprire quel settore che innaturalmente era stato tutelato dal danno biologico ed al quale non appartene- va 11 . Allo stato, pertanto, i danni risarcibili e normalmente riconosciuti nelle cause di Tipologie di Dano a) Il danno biologico, che richiama esplicitamente ed esclu- sivamente la lesione suscettibile di valutazione medico legale; b) Il danno esistenziale, che va a ristorare i pregiudizi a quelle situazioni soggettive, comunque riconosciute dalla Costitu- zione come meritevoli di tutela, a prescindere dalla sussistenza di danni alla salute; c) Il danno morale, che si identifica con la c.d. pecunia doloris, e va ad indennizzare le sofferenze ed i perturbamenti da cui è afflitta la persona in seguito ad un fatto che le è stato ingiu- stamente cagionato; d) Il danno patrimoniale, nella sua componente sia di danno emergente (le spese mediche e di sostegno psicologico sostenu- te al fine di provvedere alla cura della patologia insorta conseguen- temente alle vessazioni lavorative) o del lucro cessante (derivato dalla perdita del posto di lavoro – v. supra - e/o nel caso di dequalificazione, nella perdita di chances).
  • 7. schede monografiche 48 Note Informative n.34 - dicembre 2005 mobbing ricomprendono il danno non patrimoniale (biologico, esistenziale e mo- rale) ed il danno patrimoniale (nella forma del danno emergente e del lucro ces- sante). Veniamo dunque ad esaminare partitamente, seppure in estrema sintesi, tali tipologie di danno, il loro fondamento normativo e gli orientamenti giurisprudenziali che si stanno affermando sul punto. Danno biologico da mobbing Come sopra accennato, due sono le voci di danno attraverso le quali si realizza la piena tutela del diritto alla salute: il danno biologico ed il danno esistenziale. Qualora la condotta molesta provochi una lesione all’integrità psico-fisica su- scettibile di valutazione medico legale della persona inevitabilmente il danno da prendere in considerazione sarà quello biologico. L’uno non esclude l’altro. Si potrà quindi parlare di danno biologico da mobbing qualora le condizioni di salute del lavoratore configurino patologie psichiche o psico-somatiche che determina- no una menomazione del funzionamento sociale, con sintomatologia che impli- ca un sentimento di perdita della speranza, irritabilità, irrequietezza, preoccupa- zione, ecc. (debitamente documentati da perizia medico-legale) 12 . Come più diffusamente segnalato nel contributo di commento alla sentenza TAR Lazio, dopo la riforma Inail il danno biologico è di competenza dell’Inail se pari o superiore al 6%; rimane invece integralmente a carico del datore di lavoro il danno permanente inferiore alla predetta percentuale. In ogni caso il lavoratore dovrà sempre convenire in giudizio l’azienda per tale voce di danno e, in caso di sussistenza di un danno permanente che si deduce essere (in base ad accurata perizia psichiatrica di parte) pari o superiore al 6%, anche l’Inail (nell’ipotesi di rigetto della domanda in sede amministrativa). In tale ultimo caso (e sempreché la perizia confermi la percentuale) l’azienda sarà chia- mata a rispondere del danno biologico c.d. differenziale 13 (oltreché delle even- tuali ulteriori voci di danno). Per la liquidazione del danno biologico sarà possibile fare riferimento alle tabelle elaborate dai vari Tribunali, compreso quello milanese, con l’intento di individua- re “criteri tendenzialmente uniformi per la liquidazione del danno, superando la diversità dei parametri usati nei vari uffici, ed eliminando le conseguenti incertez- ze fra gli operatori e le possibili disparità di trattamento” 14 . Danno esistenziale da mobbing L’analisi empirica e lo studio psico-sociologico del fenomeno hanno indotto gli studiosi ad individuare alcuni tratti comuni che definiscono la condizione del mobbizzato nella non partecipazione ai ritmi collettivi, nella privazione di riferi- menti spaziali della loro esistenza, nella messa in discussione della propria identità sociale e personale. Le difficoltà vissute dal mobbizzato provocano innanzitutto un immiserimento professionale che ha conseguenze negative che si ripercuotono su tutto il suo avvenire lavorativo, provocando in primis un danno al patrimonio professionale di severa entità. La stretta dipendenza esistente fra il danno da mobbing e la pro- fessionalità del soggetto- vittima, fa sì che venga a configurarsi un danno in re ipsa di natura spiccatamente “patrimoniale”, ossia in grado di colpire direttamen- te il patrimonio attraverso la perdita della professionalità acquisita e/o acquisibile a causa e per effetto del mobbing subito (v. infra). Il danno esistenziale tuttavia va oltre il concetto di riduzione della c.d. capacità note 12 Per un esame delle patologie da mobbing dal punto di vista medico si rinvia al contributo di Guerreri, Mobbing e disagio lavorativo. La valutazione medico-legale, in q. ri- vista, luglo-dicembre 2005, n° 27/ 28, pag. 133. 13 Sul danno differenziale v. il contributo di Eleonora De Carlo, Infortuni sul lavoro: il calcolo del danno diffe- renziale dopo la riforma Inail, in q. rivista, luglio-dicembre 2005, pag. 137. 14 V. per richiamare solo alcune recenti sentenze che hanno liquidato il danno biologico da mobbing Tribu- nale di Agrigento, 1/2/2005; Tribu- nale Forlì, 28/1/2005; Corte d’Ap- pello di Torino, 25 ottobre 2004, tutte reperibili in www.mobbing- prima.it;
  • 8. schede monografiche Note Informative n.34 - dicembre 2005 49 lavorativa e comprende come sopra già accennato qualsiasi evento che abbia un’incidenza negativa sull’esistenza del danneggiato in termini considerevoli ed evidenti. Il danno esistenziale viene quindi a comprendere tutte le attività inerenti alla vita di relazione, alla serenità familiare, alla sfera sessuale ed a tutte le altre espressioni di vita pregiudicate o limitate da ciò che l’ha originato. La giurisprudenza ingloba sotto tale tipologia di danno le lesioni ingiustamente subite alla sfera della personalità in ambito lavorativo ed extra-lavorativo, inclu- dendovi il danno all’immagine, alla vita di relazione, alla dignità del lavoratore, alla personalità, alla vita professionale (nella componente non patrimoniale), al suo modo di atteggiarsi mentalmente, di comportarsi e relazionarsi con il mondo esterno, addivenendo ad una valutazione di tipo equitativo. Tale valutazione tiene normalmente conto della durata dei comportamenti, dell’età del lavoratore, della loro potenzialità lesiva, della frequenza degli stessi e la quantificazione è nor- malmente effettuata utilizzando il parametro retributivo mensile (in misura piena o ridotta percentualmente, per ogni mese in cui è stata perpetrata azione di mobbing) o criteri di quantificazione analoghi a quelli utilizzati per il calcolo del danno biologico temporaneo 15 . Si segnala tuttavia che per la valutazione del danno esistenziale da mobbing si potrebbero ottenere quantificazioni sempre più omogeee laddove si applicassero i parametri messi a punto dal dott. Harald Ege nella monografia “La valutazione peritale del danno da mobbing” edito da Giuffré, 2002. In estrema sintesi ciò che Ege ha elaborato (e che utilizza nei casi in cui è stato nominato CTU 16 ) è una tabella abbastanza simile a quelle esistenti nei Tribunali per il calcolo del danno biologico, ma che nello specifico è utile per il calcolo del danno (esistenziale) da mobbing. A differenza delle tabelle per il calcolo del danno biologico, la tabella approntata da Ege non ha, ovviamente, valore legale, ma può rivestire – se correttamente utilizzata – valore orientativo al fine di addivenire a quantificazioni giudiziali sem- pre più uniformi del danno da mobbing nella sua componente esistenziale. La tabella prevede la percentuale di LAM (lesione accertata da mobbing) da zero a cento, messa in relazione con colonne relative all’età del soggetto (esistono due diverse tabelle, a seconda del sesso del soggetto vittima di mobbing). Il punteggio di mobbing è determinato dal CTU (psicologo del lavoro esperto di mobbing o psichiatra) nominato dal tribunale in base al numero delle categorie ostili, all’indice di frequenza e di sistematicità cui tali azioni ostili sono state perpetrate nel tempo, al dato cronologico relativo alla durata del mobbing e, infine, alla fascia di reddito del soggetto. Una volta determinato il punteggio lo si pone in corrispondenza della fase di mobbing denunciata (servendosi sempre delle tabelle specifiche redatte dallo studioso) e si ottiene così la percentuale di L.A.M. parziale. A questa si aggiunge infine la eventuale maggiorazione che il caso specifico presenta: la maggiorazione relativa alla perdita dell’autostima e/o quella relativa al cd. doppio mobbing. Danno morale da mobbing L’area non patrimoniale del danno va altresì identificata con il dolore, le sofferen- ze dell’animo e spirituali ed i perturbamenti da cui è afflitta la persona in seguito ad un fatto che le è stato ingiustamente cagionato. Anche se distinto dal danno biologico, il danno morale beneficia della tutela di cui all’art. 32 Cost. in quanto ogni qual volta viene inflitto un danno morale si produce un danno allo sviluppo della persona umana. note 15 V. casistica riportata nel sito www.mobbing-prima.it. 16 Ad esempio dal Tribunale di Bergamo, nella sentenza annotata in q. rivi- sta; Trib. Forlì, 15 marzo 2001, in Il lavoro nella giurisprudenza, n° 6/ 2002, pag. 552.
  • 9. schede monografiche 50 Note Informative n.34 - dicembre 2005 Il più recente orientamento della giurisprudenza di Cassazione nonché della giu- risprudenza costituzionale 17 , nel richiamare l’art. 2059 c.c. in presenza di danno non patrimoniale, ha sganciato il risarcimento del danno morale dal riscontro di un fatto di reato, correlandolo invece alla sofferenza casualmente conseguente alla lesione di interessi costituzionalmente protetti. La prassi assicurativa e giurisprudenziale, procedendo equitativamente nella quantificazione di tale voce di danno (v. art. 2056 c.c.), normalmente riconosce una quota del danno morale di pari grado rispetto al danno biologico solo in caso di elevatissima invalidità permanente; generalmente, invece, si attiene ad una liquidazione del danno morale pari alla metà, ad 1/3 e ad 1/4 rispetto alla quantificazione del danno biologico. Danno patrimoniale da mobbing Con riguardo al danno patrimoniale da mobbing potrà essere richiesto dal lavora- tore il pagamento delle spese mediche sostenute al fine di provvedere alla cura della patologia insorta conseguentemente alle vessazioni lavorative. In aggiunta a ciò si può preventivare un risarcimento del danno patrimoniale per rimborso spese di psicoterapia (danno patrimoniale c.d. emergente). Strumenti Il mobbing e il danno alla persona: alcuni titoli per saperne di più Il Mobbing, a cura di Paolo Tosi, G. Giappichelli Editore, 2004 Bellantoni D., Lesioni dei diritti della persona, Cedam, 2000 Bona M., Danno alla persona e nuove prospettive di riforma, in Giurisprudenza italiana, 2000, II, pag. 437 ss. Capelli V., In tema di Mobbing. Il punto di vista del medico del lavoro, 1992, Giuffrè Editore Ege H., La valutazione peritale del danno da mobbing, Giuffrè Editore, 2002 Gilioli A. e Gilioli R., Cattivi capi, cattivi colleghi, Milano, 2000, pag. 27 Hyrogoyen M. F., Molestie morali. La violenza perversa nella famiglia e nel lavoro, Einaudi, Torino, 2000 Matto V., Il mobbing fra danno alla persona e lesione del patrimonio professionale, in Diritto delle relazioni industriali, IV, 1999, pag. 491 ss. Mazzamuto S., Una rilettura del mobbing: obbligo di protezione e condotte plurime di inadempimento, in Europa e diritto privato, 2003, pag. 628 Monateri P. G. - Bona M. - Oliva U., Il nuovo danno alla persona, Giuffrè Editore, 1999 Monateri P. G. – Oliva U., La responsabilità civile nel mobbing, Milano, Ipsoa, 2002 Occhipinti A., Sull’utilità giuridica del concetto di mobbing, in D&L - Rivista critica di diritto del lavoro, I, 2004, pag. 7 Oricchio M., Il Mobbing nel pubblico impiego, in Giustizia Italiana, VI, 2001 Panzeri P., Criteri per il riconoscimento dall’INAIL dei disturbi psichici da costrittività organizzativa sul lavoro (mobbing), in Lavoro e previdenza oggi, III, 2004, pag. 543 Pedrazzoli M., Il danno biologico ed oltre, Giuffrè Editore, 1995 Pera G., Angherie e inurbanità negli ambienti di lavoro, in Rivista italiana del diritto del lavoro, I, 2001, pag. 291 Tullini P., Mobbing e rapporto di lavoro. Una fattispecie emergente di danno alla persona, in Rivista italiana delle leggi, 2000, I, pag. 54 Ziviz P., La tutela risarcitoria della persona, Giuffrè Editore, 1999
  • 10. schede monografiche Note Informative n.34 - dicembre 2005 51 Il mobbing, tuttavia, procura (specie quando è associato alla marginalizzazione lavorativa) anche un immiserimento professionale che ha conseguenze negative sull’avvenire lavorativo del lavoratore, provocando un danno al patrimonio profes- sionale estremamente grave. Tale danno è classificabile nella forma del c.d. lucro cessante, dato che produce la perdita di chances all’interno dell’azienda o anche una ricollocazione nel mercato esterno. Si segnala che con riguardo a tale ultimo aspetto prevale la tesi giurisprudenziale18 che tali perdite debbano essere rigorosamente dimostrate nella loro causalità dal demansionamento o dal mobbing e successivamente quantificate in via equitativa. Una condivisibile dottrina, tuttavia, esprime l’avviso che sarebbe suf- ficiente il ricorso a presunzioni, “giacché è intuitivo che chi mobbizza demansionando certamente nega la promozione all’inviso quando solitamente la conferisce invece ai di lui colleggi di pari anzianità o svolgenti le stesse o similari mansioni” 19 . Nei casi in cui, come si è già visto, il mobbing procuri altresì la fuoriuscita del lavoratore dall’azienda, il danno patrimoniale seguirà i criteri legali e giurisprudenziali di quantificazione previsti per le ipotesi di licenziamento o di dimissioni. ■■■ note 17 V. sent. Cass. 8827 e 8828/2003, cit. nonché Corte Cost. 233/2003, cit.. 18 v. per tutte Cass. 28 maggio 2004, n° 10361. 19 Meucci, Il danno esistenziale nel rap- porto di lavoro, cit. Il demansionamento, la marginalizzazione lavorativa e l’isolamento personale, pur non integrando la fattispecie di mobbing (mancando del requisito della frequenza e ripetitività nel tempo delle aggressioni) vengono classificate – con un termine mutuato dalla psicologia del lavoro – come straining, con ricadute risarcitorie in tutto analoghe a quelle già ampiamente commentate nel contributo che precede La questione sottoposta al vaglio del magistrato riguarda un caso di dequalificazione e marginalizzazione grave; in particolare una lavoratrice prossi- ma alla pensione, inquadrata al massimo livello impiegatizio del terziario (primo livello), ha lamentato di aver subito, in epoca immediatamente successiva al trasferimento dell’azienda ad altro proprietario, la totale privazione delle prece- denti mansioni, il trasferimento in “una sorta di ripostiglio, con mobili in disuso, senza PC e telefono” nonchè la privazione totale di contatti con altro personale e con l’esterno per espressa disposizione della direzione. Dall’istruttoria è emerso che il racconto della lavoratrice fosse sostanzialmente veritiero, che – peraltro - la condizione della ricorrente veniva percepita dai colle- ghi come “monito” e che gli stessi temevano di poter fare la stessa fine, tant’è che avevano, per timore di ritorsioni, interrotto qualsiasi tipo di comunicazione con la stessa. La sentenza del Tribunale Bergamo, del 21 aprile 2005, est. Bertoncini Mobbing e straining: similitudini e differenze■■■■