DISEGNO DI LEGGE SUI REATI RELATIVI AGLI ATTI PERSECUTORI NEI LUOGHI DI LAVORO
MOBBING: OLTRE IL SIPARIO. LA VIOLENZA MORALE SUL LAVORO di Paola Caiozzo
1. 33NO
5 SETTEMBRE - OTTOBRE 2002 Economia & Management
QUESTO ARTICOLO È IL TERZO APPUNTAMENTO DI UN PERCORSO DI APPROFONDIMENTO
SUL MOBBING. AVENDO FORNITO IN PRECEDENZA UN INQUADRAMENTO SOCIO-ORGA-
NIZZATIVO E AVENDO DELINEATO QUALI SONO I CONFINI, LE DIMENSIONI E LE MOTI-
VAZIONI CHE SOTTENDONO AL FENOMENO, NELLE PROSSIME PAGINE SI CERCHERÀ DI FAR CHIA-
REZZA SUI MECCANISMI, SUI COPIONI DI COMPORTAMENTO E SULLE DINAMICHE INVOLUTIVE
DEL MOBBING, AL FINE DI OFFRIRE DELLE GRIGLIE DI LETTURA E CLASSIFICAZIONE DEI SUOI ELE-
MENTI DISTINTIVI E CATEGORIE DI ASCOLTO DEI “SEGNALI DEBOLI”.
IN TUTTE LE SITUAZIONI COMPLESSE, INFATTI, UNA CONSAPEVOLE DIAGNOSI PRECOCE PUÒ CON-
TRIBUIRE A SALVARE IL SISTEMA.
MOBBING:
OLTRE IL SIPARIO.
LA VIOLENZA MORALE SUL LAVORO
di Paola Caiozzo
MANAGER ALLO SPECCHIO FOCUS
2. FOCUS MANAGERALLOSPECCHIO
34 NO
5 SETTEMBRE - OTTOBRE 2002 Economia & Management
Introduzione
Una storia vera: Tommaso R.,
dirigente di un’assicurazione
“È un pomeriggio d’estate, sono seduto
nel mio ufficio. Sto scrivendo una lette-
ra al computer. Ho addosso il completo
grigio chiaro, quello di lino e cotone. È
un abito nuovo, firmato, ma mi sta già
stretto in vita perché continuo a ingras-
sare. Mi alzo per andare alla riunione,
quella delle tre. Camminando in corri-
doio mi sento pesante e stanco. Gli altri
sono già arrivati, siedono attorno al
tavolo ovale. Appena entro nella stanza,
vedo che tutti mi guardano i pantaloni,
all’altezza del sedere. Nessuno dice nien-
te, qualcuno soffoca un risolino, altri si
scambiano un’occhiata o mi indicano
con lo sguardo. Capisco di essermela
fatta addosso.
Non so quando è successo, non so nep-
pure come ho fatto a non accorgermene.
Io, un uomo di 56 anni, me la sono fatta
addosso in ufficio. Mi metto subito sedu-
to, facendo finta di niente; i colleghi con-
tinuano a guardarmi e a ridacchiare, io
vorreisprofondareinunavoragineenon
farmi vedere mai più. Per ultimo, come
sempre, arriva il Dottore. Ma invece di
sedersi, comincia ad annusare per aria
e chiede: “Che cos’è questa puzza?”.
Allora gli altri ridono, ridono rumoro-
samente, si spanciano dalle risate, e
puntano il dito verso di me. Anche il
Dottore ride, anzi sghignazza. Final-
mente mi sveglio, sudato e vergognoso,
come se tutto fosse accaduto davvero”
(Gilioli, Gilioli 2000).
Questo è uno dei sogni ricorrenti e osses-
sivi raccontato al medico curante in sede
di anamnesi da una persona che ha subi-
to il mobbing.
Recuperare una risorsa vessata dal mob-
bing o il clima di un gruppo, ricostruire
la fiducia tra le persone e l’organizzazio-
ne è un’impresa lunga e complessa.
Ω tutti perdono;
Ω non si cercano più soluzioni o com-
promessi, ma il conflitto va avanti in
quanto tale;
Ω si perpetua il conflitto per interessi
non visibili e irrazionali;
Ω tutti giudicano scorretto il comporta-
mento vessatorio, ma nessuno se ne
assume la responsabilità;
Ω ognuno ritiene l’altro responsabile
dell’escalation del conflitto;
Ω non c’è mai stata o non è più ricono-
scibile una motivazione sostanziale al
conflitto;
Ω tutti rifiutano di porre il conflitto su
un piano razionale e rimangono sulle
proprie posizioni emotive percepite
come giuste;
Ω tutti dimostrano impotenza;
Ω con il tempo alcune persone mostra-
no una forte inferiorità, sia rispetto alla
situazione, sia nella loro personalità.
In generale, rifacendosi a quanto sopra
descritto, il sintomo più evidente di una
possibile presenza di mobbing in un’a-
zienda o comunque dell’esistenza delle
condizioni organizzative all’interno delle
quali il mobbing può mettere radici, è la
degenerazione del clima.
Per clima intendiamo lo spazio emotivo
delle relazioni organizzative. In un’a-
zienda in cui è presente un clima dege-
nerato serpeggia un avvelenamento dei
rapporti, esiste un sostanziale disinte-
1. P. Saolini, Mobbing. I costi umani
dell’impresa, Ed. Lavoro 2001. Luigi Canali,
segretario della FPS CISL Regione Lazio,
ha provato a definire in termini monetari
il costo che il mobbing fa ricadere sulla
società e sulle imprese. Fa notare l’autore
che secondo una valutazione
dell’Organizzazione Internazionale del Lavoro,
il costo totale annuo della violenza psicologica
in un’azienda di mille dipendenti si aggira
intorno ai 155.000 euro.
Secondo uno studio della Health & Safety
executive Britannica (1998) “il cattivo
rapporto tra lavoratore e ambiente” incide
negativamente sul regno Unito per 80 milioni
di giorni lavorativi e 2 miliardi di sterline
all’anno. Secondo altre fonti, in Germania
il danno annuo causato è valutato
in 220 milioni di marchi.
Il mobbing spegne ogni forma di colla-
borazione, riduce lo scambio di infor-
mazioni, annienta lo spirito del gruppo.
Il mobbing lede i presupposti logici di
valorizzazione del capitale umano e di
capitalizzazione degli apprendimenti
organizzativi (Del Mare 1998), ucciden-
do la diffusione di creatività, la comuni-
cazione e i processi di condivisione.
Partendo da queste considerazioni, il
bisogno di approfondire il tema è anco-
rato a tre elementi fondamentali:
Ω l’aspetto etico e di responsabilità
sociale dell’azienda;
Ω la necessità di avere strumenti per
riconoscere e diagnosticare una patolo-
gia organizzativa che si ripercuote sul
funzionamento e sui risultati aziendali;
1
Ω l’esigenza di sgomberare il campo da
alcune banalizzazioni che inducono ad
allontanare e sottostimare il fenomeno.
L’obiettivo di questo articolo è guidare la
comprensione del mobbing, indicando
quali sono le vie e le trappole nell’affron-
tare un tema i cui contorni, meccanismi,
dinamiche involutive e copioni di com-
portamento non sono facilmente codifi-
cabili, non seguono sempre le stesse vie
di manifestazione e a volte sono insiti in
comportamenti organizzativi apparente-
mente “normali”.
Si partirà quindi dall’identificare quali
sono i sintomi che si manifestano in
azienda e rappresentano i “segnali debo-
li” del mobbing, per poi esaminare gli ele-
menti distintivi e peculiari che consen-
tono di diagnosticare il fenomeno.
Come riconoscere il mobbing
Per iniziare a comprendere meglio il
fenomeno, quindi, cerchiamo di capire
cos’è. Un aiuto ci è fornito dal pragmati-
smo di H. Walter (1993), il quale, descri-
vendo il mobbing in modo diretto, spie-
ga che si tratta di una situazione conflit-
tuale in cui:
3. MANAGER ALLO SPECCHIO FOCUS
35NO
5 SETTEMBRE - OTTOBRE 2002 Economia & Management
considerata la causa di problemi lavora-
tivi invece di essere letta come sintomo
di un disagio.
Indebolimento dei legami amicali o sociali
con i colleghi. Si crea una progressiva ma
inesorabile diminuzione di interesse, di
cooperazione, di aiuto reciproco e di soli-
darietà con i colleghi in ambito lavorati-
vo e non.
Autoisolamento. Una persona tende a evi-
tare sempre e sistematicamente qualsia-
si momento sociale e di vita organizzati-
va, preferendo, per esempio, mangiare
sempre solo; non partecipare mai a feste
aziendali o gite; a evitare alcuni momen-
ti “rituali” come l’aperitivo, la partita di
calcettoecc.Talecomportamentoassume
maggiore significato soprattutto se il sog-
getto non è persona scontrosa e tacitur-
na, oppure se l’isolamento non è indotto
dal ruolo o dalla professionalità.
Paura o rifiuto di affrontare cambiamenti
di ruolo o di mansione. Un soggetto oppo-
ne un rifiuto al cambiamento sistemati-
co della sua posizione non motivato da
dati oggettivi o da ragioni valide. Con-
temporaneamente,èvisibilmenteaccom-
pagnato da stati emotivi sempre più evi-
denti. La persona si sente “in trappola” e
ha difficoltà e paura a parlare concreta-
mente della situazione che sta vivendo.
Rassegnazione, perdita di ambizione, de-
motivazione. Una persona continua a
svolgere il proprio lavoro diligentemen-
te, ma senza alcuna passione o coinvol-
gimento emotivo. Non ha interesse che
le sue idee o proposte si affermino, non
lotta per la carriera, non chiede aumen-
ti, non reagisce alle provocazioni ecc. La
persona vive un perpetuo ma inesorabi-
le allontanamento dal lavoro in termini
di motivazione, interesse e slancio.
I segnali organizzativi
Isolamento informativo. Vengono blocca-
te tutte quelle informazioni utili per lavo-
rare o progredire nel lavoro. L’assenza di
informazioni di cui una persona neces-
sita per lavorare diventa prolungata e il
vuoto informativo è la condizione abi-
tuale di lavoro. Nonostante ciò, i rappor-
ti interni appaiono formalmente cordia-
li, ma le comunicazioni sono sempre
ripetitive e su contenuti banali e generi-
ci. La persona, pur sembrando apparen-
temente ben integrata, inizia a manife-
stare difficoltà soprattutto rispetto alla
qualità del suo lavoro.
Silenzio attorno al soggetto. Appare visibi-
le, in luoghi organizzativi diversi e in
momenti organizzativi diversi, che una
persona è accompagnata da un “vuoto”
persistenteegeneralizzato:ognivoltache
entra in un ufficio o in una stanza tutti
smettono di parlare per ricominciare
quando se ne va. Il soggetto viene tenu-
to in “isolamento” soprattutto nei luoghi
sociali dell’organizzazione.
Pettegolezzi. Nascono dicerie varie, ricor-
renti, in forme diverse e su spunti diver-
si, ma sempre sulla stessa persona.
Nascono attributi, episodi di vita lavora-
tiva e non, convinzioni diffuse sulla per-
sona senza che niente sia mai provato.
La persona oggetto delle dicerie inizia a
trovarsi in uno stato di inferiorità o
segregazione sociale dal quale è difficile
uscire.
La “trappola del fuori gioco”. Si rilevano cri-
tiche permanenti sul comportamento
lavorativo di una persona, utilizzando
strumentalmente qualsiasi svista o erro-
re anche banale per amplificare il man-
cato raggiungimento di un obiettivo o per
imputare danni irreparabili all’azienda o
al gruppo di appartenenza.
Sindrome del controllo ossessivo. La dimen-
sione del controllo è un aspetto caratte-
ristico delle organizzazioni, ma, quando
il controllo diventa formale e ossessivo su
elementi ininfluenti nei confronti del
lavoro, può essere un evidente sintomo
di mobbing. Soprattutto lo è la non equità
del controllo, cioè se a essere particolar-
mente controllato è soltanto un individuo
e il controllo diventa vessatorio.
Utilizzo improprio e discrezionale delle leve
organizzative. Una persona viene fre-
resse a investire energie nella soluzione
di problemi contingenti, nascono spon-
taneamente “bande armate” o “tribù or-
ganizzative” che utilizzano qualsiasi pre-
testo per alimentare le tensioni. Un pes-
simo clima, inoltre, innesca la propen-
sione alla ricerca diffusa di colpevoli
quando qualcosa non va, sostiene la sfi-
ducia reciproca e alimenta la tendenza,
in ogni discussione, ad allontanarsi dalla
descrizione oggettiva degli eventi per sci-
volare sul piano della sfuggevole sogget-
tività; fa “vivere” tutti gli abitanti dell’or-
ganizzazione in un ambiente di difesa e
allerta continua, distogliendo energie dal
lavoro per indirizzarle verso la protezio-
ne e la sopravvivenza.
I sintomi aziendali
Nello scenario sopra descritto sono già
individuabili comportamenti o situazio-
ni che rappresentano i sintomi del feno-
meno mobbing, ovvero le precondizioni
all’interno delle quali il mobbing può
metter radici, l’humus che consente l’at-
tecchimento e lo sviluppo del fenomeno.
Vediamo i sintomi più comuni che pos-
sono rappresentare dei campanelli d’al-
larme. Alcuni sono rilevabili attraverso
l’osservazione dei comportamenti sog-
gettivi e altri attraverso la lettura di alcu-
ni segnali organizzativi.
I comportamenti soggettivi
Lamentele o richieste di aiuto ai superiori.
Un soggetto ritiene di essere vittima di
azioni ostili e costanti da parte dei colle-
ghi. Ha difficoltà a concentrarsi sul lavo-
ro o ad accedere a elementi essenziali per
poter svolgere i propri compiti. Qualora
la richiesta di aiuto rimanga inascoltata,
difficilmente la persona dirà ancora qual-
cosa.
Assenze protratte o frequenti. Si manifesta
un crescente assenteismo da parte di chi
non aveva mai mostrato prima problemi
di salute. La salute finisce con l’essere
4. FOCUS MANAGERALLOSPECCHIO
36 NO
5 SETTEMBRE - OTTOBRE 2002 Economia & Management
(almeno sei mesi)
2
delle azioni utilizzate
per metterlo in atto;
Ω la crescente intensità emotiva;
Ω la funzione di rinforzo, consapevole
o inconsapevole, dell’organizzazione.
L’uso combinato e diverso dei quattro fat-
tori sopra evidenziati dà luogo a strategie
dipersecuzionemoltodiversetraloroche
attivano meccanismi ogni volta differen-
ti e possono avere dinamiche involutive
ogni volta peculiari. Ma se di mobbing si
tratta, i quattro elementi saranno sempre
tutti presenti (figura 1).
Gli schemi di ruolo
Il primo elemento peculiare di una situa-
zione di mobbing è l’esistenza di schemi
di ruolo che si ripropongono sempre a
prescindere dal tipo di mobbing o dalla
sua origine.
In tali schemi la sceneggiatura ha tre pro-
tagonisti principali e nessuna comparsa:
Ω la vittima o mobbizzato;
Ω il/i persecutore/i o mobber/s;
Ω gli spettatori.
Nessuno dei tre ha un ruolo di primo
piano o una maggiore importanza nel
processo poiché non esisterebbe il feno-
meno del mobbing senza l’azione con-
giunta di tutti e tre i protagonisti: la vit-
tima, il mobber e gli spettatori.
La vittima
Chiunque può ritrovarsi nel ruolo di vit-
tima, indipendentemente dalla posizione
organizzativa, dal carattere o dalla perso-
nalità. Questo dato è di estrema impor-
tanza. Oltre a essere confermato dall’in-
dagine quantitativa su 2236 casi effettua-
ta dalla Clinica del Lavoro di Milano e cita-
ta nel precedente articolo
3
sullo stesso
tema, risulta di primaria importanza per
SCHEMI DI RUOLO
INTENSITÀ
EMOTIVA
CRESCENTE
FREQUENZA
E RIPETITIVITÀ
DELLE AZIONI
FUNZIONI DI RINFORZO
DELL’ORGANIZZAZIONE
MOBBING
Figura 1 Mobbing: elementi costituivi
2. H. Leymann, Mobbing. Psychoterror
am Arbeitsplatz und wie man Sich dagegen
weheren Kann, Reinbek Rowollt, 1993.
3. P. Caiozzo, “Il mobbing: realtà vicina o
lontana?”, Economia & Management n. 3, 2002.
quentemente spostata di mansione,
ruolo o unità organizzativa senza una
precisa logica organizzativa e inizia a
essere considerata un “licenziato inter-
no”.Lamansioneoilruolovengonosvuo-
tati di contenuti professionali; vengono
attribuiti compiti che esulano dalle sue
competenze per indurla in errore ecc.
È importante rilevare che la semplice
elencazione dei sintomi testé descritti
perde di significato se letta in modo ana-
litico e semplicistico. Può costituire,
invece, una valida griglia di lettura se
approcciata in modo sistemico, mante-
nendo la visione d’insieme. In tal senso
può diventare un efficace strumento per
attivare diagnosi precoci che consentano
di intervenire prima di un deteriora-
mento definitivo.
Elementi costitutivi del mobbing
Il monitoraggio dei sintomi sopra
descritti e l’ascolto d’insieme dei diversi
segnali più o meno deboli che risultano
costanti nel tempo dovrebbero indurre
ad approfondire un’analisi su quanto sta
succedendo e quali sono le cause o con-
cause dei sintomi rilevati. Una caratteri-
sticageneralizzabilenelleanalisideipro-
blemi complessi è che le variabili da
tenere sott’occhio sono molteplici e solo
una visione integrata e contemporanea
di tutti gli elementi in gioco, con una
disamina delle relazioni e delle associa-
zioni tra i fattori, può dare una spiega-
zione del problema e indicare la via della
soluzione. Descriveremo quindi gli ele-
menti in gioco per poi ricostruire la visio-
ne d’insieme.
Gli elementi in gioco
Quattro sono gli elementi, costantemen-
te presenti nel mobbing, che consentono
di distinguerlo dalla “normale e sana”
conflittualità organizzativa:
Ω gli schemi di ruolo;
Ω la frequenza e ripetitività nel tempo
5. FOCUS MANAGERALLOSPECCHIO
38 NO
5 SETTEMBRE - OTTOBRE 2002 Economia & Management
evitare banalizzazioni del fenomeno
come quella di imputare a caratteristiche
individuali il sentirsi o il diventare vittima
negando così l’esistenza del fenomeno.
La ricerca svolta sui dati della Clinica del
Lavoro sul mobbing evidenzia in modo
inequivocabile che l’influenza del fattore
personalità è basso rispetto all’influenza
degli stressors organizzativi. In altre paro-
le, le cause del malessere che il mobbiz-
zato presenta sono imputabili all’am-
biente organizzativo e lavorativo della
persona per almeno il 65% dei casi.
Si possono tuttavia identificare classi di
persone che sono più a rischio di mob-
bing. Si tratta di classi legate non tanto,
come detto prima, alla personalità degli
individui, ma ad altri fattori quali la diver-
sità rispetto alla composizione della
popolazione organizzativa e la devianza
rispetto alla cultura organizzativa domi-
nante in un’azienda.
La prima classe comprende i diversi per
età, sesso, nazionalità, etnia, apparte-
nenza sociale, religione, livello di scola-
rizzazione superiore alla media, tenden-
za sessuale ecc. Si tratta di persone che
sono più facilmente isolabili, special-
mente quando numericamente inferiori
o addirittura singoli individui. Rientrano
in questa categoria anche i disabili che,
essendo soggetti già deboli, sono più
facilmente colpibili.
La seconda classe è quella dei “devianti”
rispetto alla cultura organizzativa domi-
nante in un’azienda. Vari possono essere
i motivi per i quali a una persona viene
attribuito un comportamento deviante.
Cultura o capacità superiori alla media,
una scala di valori contrastanti con quel-
li aziendali, un approccio ai problemi e ai
rapportisocialidiversorispettoallemoda-
lità consolidate e di routine dell’organiz-
zazione, un protagonismo evidente in
unaculturavotataall’obbedienza,ilmani-
festo rifiuto di comportamenti richiesti
dall’organizzazione perché non conside-
rati etici dal soggetto ecc. sono tutti fat-
tori che possono portare alla devianza.
Naturalmente,ilfattoredelladevianzanon
esiste in assoluto, ma solo nella relazione
di conformità o non conformità indivi-
duo/ambiente organizzativo. Chiunque si
trovi nel ruolo di vittima manifesta modi-
fiche nel comportamento organizzativo. Il
mobbizzato presenta infatti una caratteri-
stica: non è sempre stato così come lo si
vede quando il processo è avviato. Se un
soggettoèmobbizzatolemodifichenelsuo
comportamento sono sempre presenti. Se
attentamente ascoltato, è possibile rintrac-
ciare precocemente il mobbing.
Il mobber
Il mobber, ossia il persecutore, è la figu-
ra che perpetra in modo più o meno deli-
berato il mobbing. Rappresenta il centro
di propulsione e di spinta che innesca la
concatenazione degli eventi. Va tenuto
presente che sto adoperando il singolare
per comodità di eloquio, ma il ruolo del
persecutore può essere giocato al plura-
le. Mentre sulla figura della vittima,
essendo stata già oggetto di numerose
analisi cliniche, la ricerca tende a esclu-
dere con ragionevole certezza una forte
influenzadellapersonalità,sulprofilodel
vessatore non vi è la stessa convinzione,
mancando i dati a supporto. Numerosi
autori ritengono che i mobber apparten-
gano spesso a determinate categorie psi-
cologiche. È stata, per esempio, indicata
unapossibilelistadellecaratteristichedel
mobber:
4
i mobber sono persone che:
Ω tra due alternative di comportamen-
to scelgono quella più aggressiva;
Ω quando si trovano in una situazione di
mobbing si impegnano attivamente affin-
ché la situazione prosegua e si rigeneri;
Ω non mostrano alcun senso di colpa;
danno ad altri la colpa e sono convinti di
avere solo reagito a provocazioni;
Ω sono consapevoli delle conseguenze
che il mobbing ha per la vittima e le accet-
tano in modo attivo (“è colpa sua se lo
trattiamo così”) o in modo passivo (“non
lo faccio per cattiveria, qualcuno deve pur
perdere”);
Ω oppure non sono consapevoli delle
conseguenze per la vittima.
Ad oggi, come detto, non ci sono rileva-
zioni attendibili che confermino l’in-
fluenza della personalità quale fattore
consistente nell’assunzione e nell’inter-
pretazione del ruolo di mobber. Sono
state tuttavia evidenziate alcune diffe-
renze che influenzano le diverse inter-
pretazioni del ruolo di persecutore: la
maggiore o minore consapevolezza con
cui conosce e promuove il fenomeno; il
livello gerarchico ricoperto dal mobber
rispetto a quello della vittima, il genere.
5
Per quanto riguarda il livello gerarchico,
i copioni di comportamento e le leve
disponibili per promuovere il mobbing
possono essere diversi in funzione del
ruolo ricoperto (per esempio, un capo ha
maggiore possibilità di utilizzare la
discrezionalità decisoria legata al suo
ruolo accanto a una maggiore capacità di
influenza sulle persone coordinate, men-
tre un pari grado no).
Per quanto riguarda il genere, è stato rile-
vato che esistono strategie vessatorie
diverse e collegate al fatto che il mobber
sia un uomo o una donna. Il primo pri-
vilegia azioni più nascoste, come ignora-
re e isolare la vittima, mentre la donna
tende a privilegiare azioni più aperte
comesparlareallespalle,prendereingiro
di fronte a una platea, far girare voci ecc.
Gli spettatori
Questo ruolo, se a prima vista può appa-
rire marginale perché non direttamente
correlato nella relazione vittima/perse-
cutore,haunarilevanzaenormesulfeno-
meno, tanto da esserne considerato “la
chiave di volta”.
6
4. H. Walter, Mobbing: KleinKrieg am
Arbeitsplatz, Campus, Francoforte e New York,
1993.
5. H. Leymann, Mobbing and Psychological
Terror at Workplace. Violence and Victims,
1993.
6. H. Walter, Mobbing: Kleinkrieg
am Arbeitsplatz, cit.
6. MANAGER ALLO SPECCHIO FOCUS
39NO
5 SETTEMBRE - OTTOBRE 2002 Economia & Management
Se obiettivo del mobbing è distruggere e
annullare lo status sociale di un indivi-
duo facendogli perdere la sua influenza,
il rispetto degli altri, il suo potere deci-
sionale, la fiducia in se stesso, gli amici,
l’entusiasmo nel lavoro, la dignità (Ege
1996), questo non sarebbe ottenibile se
non ci fosse una platea che assiste, per-
cepisce e vive di riflesso testimoniando
quanto sta avvenendo.
Si tratta di un numero molto grande di
persone che, rappresentando tutto l’am-
biente al di fuori dei protagonisti diretti,
possono permettere o meno lo sviluppo
del mobbing.
Vi sono due reazioni possibili degli spet-
tatori: una reazione passiva di “non com-
portamento”ounareazioneattivadisoste-
gno al mobber o di sostegno alla vittima.
La prima, anche se appare una strategia
passiva, è di fatto un comportamento
molto significativo che non fa altro che
mantenere le condizioni affinché il mob-
bing si perpetui e si amplifichi. Non esi-
ste un non comportamento.
7
Il silenzio,
il far finta di niente, l’apparente indiffe-
renza rappresentano comunque messag-
gichepossonoessereinterpretatiinmodo
diverso a seconda dei ruoli coinvolti nella
dinamica perversa (la vittima avrà la con-
ferma del suo isolamento, o di una sua
responsabilità o colpa; il persecutore lo
vedrà come potenziale sostegno).
La reazione attiva, se indirizzata a soste-
gno del mobber, tenderà ad amplificare e
supportare le sue azioni. Se indirizzata a
sostegno della vittima, invece, è l’unico
comportamento che può interrompere
l’involuzione. Tuttavia, per sostenere un
comportamento attivo a favore della vit-
tima, gli spettatori devono avere la moti-
vazione a farlo ed essere nelle condizio-
ni di esercitare un’influenza significati-
va. Per esempio, nell’ipotesi che il mob-
ber sia un capo e gli spettatori dei pari
livello della vittima, questi possono riu-
scire a esercitare un’influenza se si muo-
vono in gruppo, anche piccolo, ma non
come individui. In quest’ultimo caso,
Ci sono poi gli attacchi alle relazioni
sociali con l’isolamento del soggetto, l’in-
terruzione delle comunicazioni con lui;
ci si comporta come se non esistesse, non
gli si parla, c’è il divieto di passargli infor-
mazioni, lo si isola fisicamente ecc. Infi-
ne ci sono gli attacchi allo status sociale
della vittima sparlando alle sue spalle,
ridicolizzandola, sospettandola di essere
malata di mente, prendendola in giro per
l’età, il sesso, la nazionalità, il credo reli-
gioso, la provenienza sociale; si mettono
in dubbio le sue decisioni, gli si rivolgo-
no sempre espressioni umilianti ecc.
Tra le azioni realizzate nella sfera pro-
fessionale troviamo i comportamenti
mirati a ledere la qualità dell’ambito pro-
fessionaledellavittima.Peresempio,non
gli si affidano più compiti da svolgere o
gli si affidano compiti senza senso; man-
sioni molto al di sotto della sua qualifica
o molto al di sopra, per indurla in erro-
re; lavori umilianti; gli si controlla il lavo-
ro in modo ossessivo formale e non equo;
la si sposta continuamente di ruolo o
mansione; la si trasferisce continuamen-
te; la si paga di meno ecc.
Sempre legate alla sfera professionale, si
possono identificare azioni mirate a dan-
neggiare la salute della vittima come, per
esempio, l’assegnazione di compiti ina-
datti o dannosi non tenendo conto del
giudizio e delle indicazioni del medico
competente; le si creano danni per svan-
taggiarla, la si minaccia di violenza fisi-
ca, la si sottopone a ritorsioni ecc. La pre-
senza e l’utilizzo di tutte le azioni sopra
elencate non è scontata. Si possono veri-
ficare situazioni in cui si privilegia l’uti-
lizzo di alcune piuttosto che di altre in
relazione al ruolo aziendale del mobber.
Intensità emotiva crescente
Il terzo elemento costante in ogni dina-
mica vessatoria, la crescente intensità
emotiva, rappresenta un termometro del
7. P. Watzlavick, J. Helmick Beavin,
Don D. Jackson, La pragmatica
della comunicazione, Astrolabio 1971.
infatti, la paura di subire lo stesso tratta-
mento della vittima può orientare a una
reazione passiva.
Riassumendo, sono state delineate tre
posizioni assunte dagli spettatori rispet-
to al mobbing:
Ω sembrano non avere nulla a che fare
con il mobbing, però sono in contatto con
i persecutori;
Ω si rifiutano di accettare qualsiasi
responsabilità nel processo, però si vedo-
no mediatori tra i protagonisti;
Ω dimostrano una grande fiducia in se
stessi, si schierano per una parte o per
l’altra oppure non vogliono assolutamen-
te avere a che fare con nessuna delle due.
C’è da dire che, generalmente, quando il
fenomeno si è incancrenito e cristalliz-
zato nei giochi relazionali tra le persone
e nelle modalità di lavoro, anche le situa-
zioni più perverse appaiono “normali”.
Sebbene i costi più elevati siano solo a
carico della vittima, anche per gli spetta-
tori risulta difficile percepire alternative
o vie di uscita.
Frequenza e ripetitività
delle azioni persecutorie
Il secondo elemento che contraddistin-
gue il mobbing è l’uso di azioni persecu-
torie che, pur presentando natura diver-
sa, da un certo punto in poi sono ripeti-
tive, frequenti e stabili.
Tali azioni e comportamenti hanno diver-
sa natura. Si possono concretizzare nella
sfera relazionale emotiva oppure posso-
no realizzarsi nella sfera professionale.
Tra le azioni legate alla sfera relazionale
troviamo gli attacchi alla possibilità di
comunicare della vittima in cui il capo
e/o i colleghi limitano le sue possibilità
di esprimersi, per esempio interrom-
pendola mentre parla, muovendole criti-
che continue sul suo lavoro o sulla sua
vita privata, urlando e rimproverandola
violentemente, negandole l’ascolto ecc.
7. FOCUS MANAGERALLOSPECCHIO
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5 SETTEMBRE - OTTOBRE 2002 Economia & Management
fenomeno. Più si progredisce, più la tem-
peratura e l’intensità delle tensioni au-
mentano, diventando percepibili da
chiunque si trovi anche transitoriamen-
te in quella situazione lavorativa.
L’intensità emotiva è prioritariamente
visibile e misurabile dall’impatto che la
situazione produce sulla vittima. Dap-
prima, ciò che viene percepito è solo un
fastidio, una non comprensione di ciò
che accade, e un certo smarrimento. Con
l’aumento della frequenza delle azioni
subite e la cronicizzazione dei compor-
tamenti, la persona oggetto di mobbing
inizia a manifestare i primi segnali di
disagio psicosomatico, a manifestare in-
sicurezza e a credere di essere responsa-
bile di ciò che le accade intorno. L’auto-
stima, a questo punto, inizia a essere
annientata. Se a questa situazione l’a-
zienda risponde utilizzando le leve di sua
competenza in merito all’organizzazione
del lavoro, la vittima ha un doppio rinfor-
zo sul suo stato: al vuoto o alla violenza
relazionale si affianca la certificazione
ufficiale e formale dell’organizzazione,
sottolineando così che il problema è del-
l’individuo e non aziendale. È chiaro che
in tale scenario si manifesta un serio
aggravamento della salute psico-fisica
della vittima.
La funzione di rinforzo, consapevole
o inconsapevole, dell’organizzazione
Il quarto e ultimo elemento focalizza l’at-
tenzione sul ruolo e sulla responsabilità
dell’organizzazione.
Per comprendere la natura di tale ele-
mento e il peso che assume all’interno del
mobbing vale la pena di spostare transi-
toriamente e strumentalmente l’attenzio-
ne sulla natura che il mobbing può assu-
mere in funzione di dove si trova il suo
epicentro o “punto di origine” (tabella 1).
In tale logica si può distinguere:
8
Ω il mobbing strategico, che corrisponde
a un preciso disegno di esclusione di un
lavoratore da parte dell’azienda, la quale,
con tale azione premeditata e program-
mata, intende realizzare un ridimensio-
namento delle attività di un determinato
lavoratore o il suo allontanamento;
Ω il mobbing emozionale, o relazionale,
strictu sensu, che deriva invece da un’al-
terazione delle relazioni interpersonali
sia di tipo gerarchico sia tra colleghi.
Nel primo caso – il mobbing strategico –
l’innescarsi del fenomeno è direttamen-
te correlato a una decisione dell’azienda
che, per difficoltà nel licenziare, si indi-
rizza deliberatamente verso il mobbing
come possibile soluzione (box 1).
Inquestocasoilmobberèilsoggettodeci-
sore e tutti gli altri diventano strumento
di attuazione del gioco strategico. Nel
mobbing strategico è più facile utilizzare
le azioni legate alla sfera professionale in
quanto di diretta competenza e discre-
zionalità della Gestione del personale e
del top management, per poi utilizzare in
un secondo tempo quelle relazionali.
Appare ridondante sottolineare la fun-
zione di rinforzo dell’organizzazione in
questo tipo di mobbing, in quanto è pro-
prio l’organizzazione stessa lo sponsor
del mobbing. La sponsorship si traduce
in un’attivazione strategica dell’esclusio-
ne, con la richiesta ai manager diretti di
innescare e promuovere il mobbing, e
con l’uso improprio o abuso delle leve di
gestione del personale.
Il mobbing relazionale, forse quello più
conosciuto e più diffuso, nasce da un’al-
terazione delle relazioni interpersonali o
dalla degenerazione dei conflitti. Può svi-
lupparsi in una dimensione verticale
(capo/collaboratore) o in una dimensio-
ne orizzontale (tra colleghi). Pur appar-
tenendo alla stessa classe, le dinamiche
innescate presentano caratteristiche
diverse, riconducibili prevalentemente
alla dimensione del potere o alle leve
disponibili.
Nel mobbing verticale, il mobber, supe-
riore in gerarchia alla vittima, ha la pos-
sibilità di utilizzare, oltre alle leve che agi-
scono sulla sfera relazionale, anche quel-
le “più oggettive” che intervengono nel-
l’ambito professionale, avvalendosi della
discrezionalità legata al suo ruolo. La
dimensione gerarchica, poi, impatta sul-
l’intensità emotiva delle azioni utilizzate
perché sottolinea una situazione oggetti-
va di asimmetria di potere. Il “peso” dei
comportamenti di chi si trova a ricoprire
ruoli di influenza gerarchica è un fattore
che amplifica l’impatto di qualsiasi con-
dotta adottata.
Nel mobbing orizzontale i mobber, col-
leghi e pari grado della vittima, hanno a
disposizione solo le leve legate alla sfera
relazionale. Inoltre, non essendoci diffe-
renza gerarchica e partendo da una situa-
PUNTI DI ORIGINE
NATURA DEL MOBBING
DEL MOBBING
Mobbing
Mobbing Mobbing
strategico
relazionale relazionale
verticale orizzontale
Decisione aziendale Attivazione
strategia di esclusione
Alterazioni Abuso di potere
relazioni interpersonali e discrezionalità
/degenerazione conflitti collegata al ruolo
Alterazioni Isolamento,
relazioni interpersonali emarginazione,
/degenerazione conflitti coalizione
contro la vittima
Tabella 1 Griglia di interpretazione
origine/natura del mobbbing
8. Documento di consenso, volume 92, n. 1,
La Medicina del Lavoro, Rivista Bimestrale
di Medicina del Lavoro e Igiene Industriale,
2001.
8. FOCUS MANAGERALLOSPECCHIO
42 NO
5 SETTEMBRE - OTTOBRE 2002 Economia & Management
zione oggettiva di simmetria di potere,
riescononelgiocopersecutoriosoloattra-
verso l’utilizzo di comportamenti corali e
diffusi orientati all’esclusione della vitti-
ma dal “branco”.
Nel mobbing relazionale il rischio mag-
giore per l’organizzazione è quello di non
riconoscere il fenomeno, scambiandolo
per una normale conflittualità o una ten-
sione transitoria. Se questo si verifica,
può svilupparsi un paradosso: la vittima
non viene riconosciuta come tale, ma
considerata la causa dei problemi orga-
nizzativi messi in evidenza. I sintomi
manifestati dal soggetto – assenteismo,
malattie frequenti, calo di produttività/
efficienza, demotivazione, errori ecc. –
vengono interpretati come le radici dei
problemi. Tale errore diagnostico porta le
Gestioni del personale a giustificare i
comportamenti di accanimento e a uti-
lizzare leve di per sé non sbagliate, ma
incoerenti in tale scenario.
Intervenire, per esempio, con i controlli,
con il trasferimento continuo di una per-
sona da un ufficio all’altro, con il cambio
Box 1 Il caso della Palazzina Laf
da un articolo de “La Repubblica” dell’8 dicembre 2001
UUnnddiiccii iimmppuuttaattii ccoonnddaannnnaattii ((ttrraa ccuuii iill pprreessiiddeennttee ddeellll’’IIllvvaa,, EEmmiilliioo RRiivvaa)) per tentativo di violenza privata;
non c’è stata invece frode processuale: questa la sentenza, dopo otto ore di camera di consiglio, emes-
sa stasera dal giudice unico del tribunale di Taranto Genantonio Chiarelli. Oggetto del processo il
trasferimento forzato nel ‘97, un chiaro caso di mobbing, di dodici dipendenti del centro siderurgico
(più tardi diverranno settanta) in una palazzina inutilizzata e priva di impianti di lavorazione. Un caso,
questo della palazzina Laf, è diventato uno dei più citati fra gli studiosi di mobbing. Emilio Riva, pre-
sidente del consiglio d’amministrazione dell’Ilva, Luigi Capogrosso, direttore dello stabilimento di
Taranto, e un caporeparto, Antonio Bon, sono stati condannati a due anni e tre mesi di reclusione. Un
altro caporeparto, Angelo Greco, è stato condannato a due anni. Claudio Riva, figlio di Emilio e ammi-
nistratore delegato dell’Ilva, è stato assolto sia dall’accusa di tentativo di violenza privata sia da quel-
la di frode processuale; da quest’ultima accusa sono stati assolti anche Emilio Riva, Capogrosso e Greco.
Altri sette imputati, tutti capireparto, sono stati condannati a pene minori, a partire da nove mesi di
reclusione.
LLaa vviicceennddaa ddeellllaa ppaallaazzzziinnaa LLaaff hhaa oorriiggiinnee aallllaa ffiinnee ddeell ‘‘9977 quando l’Ilva decide di “confinare” in quella strut-
tura fatiscente dello stabilimento alcune decine di dipendenti. Si tratta in gran parte di lavoratori
fra i più sindacalizzati e che soprattutto non avevano voluto accettare la proposta aziendale di lavo-
rare con mansioni e qualifiche inferiori a quelle precedenti. Sul piano giudiziario invece l’inchiesta
prende avvio il 19 febbraio del ‘98 quando all’allora procura della Repubblica presso la pretura cir-
condariale di Taranto giunge una nota del locale ispettorato del lavoro. In quella nota, originata da
una richiesta pervenuta dal ministero del lavoro che doveva predisporre una risposta a un’interroga-
zione parlamentare, si parlava di una situazione di estrema conflittualità all’interno dell’Ilva; si face-
va riferimento, in particolare, al caso della palazzina Laf da cui poi è scaturita l’ipotesi di reato di ten-
tativo di violenza privata ai danni dei lavoratori. L’accusa di frode processuale era nata invece da una
ispezione fatta dai magistrati inquirenti, il procuratore aggiunto Franco Sebastio e il sostituto pro-
curatore Alessio Coccioli, il 7 novembre del ‘98. A parere dei magistrati, nel periodo compreso fra la
notifica del decreto di ispezione e la sua esecuzione vennero svolti “lavori di aggiustamento” della
palazzina Laf per renderla più “vivibile” agli occhi dei visitatori. Nel corso della lunga vicenda giudi-
ziaria, la stessa struttura è stata anche sottoposta a due sequestri, uno probatorio disposto dai pubbli-
ci ministeri e l’altro, preventivo, da parte del GIP del tribunale di Taranto. Dal ‘97, per oltre due anni,
i lavoratori “confinati” non hanno svolto alcuna attività lavorativa e per un certo periodo sono stati
tenuti a casa col pagamento dello stipendio. Poi sono finiti in cassa integrazione, scaduta proprio il
30 novembre scorso: in questi giorni una minima parte di loro è rientrata nel ciclo produttivo insie-
me ad altre unità che erano in CIGS. Secondo quanto denunciato anche nel corso del processo, una
parte dei 70 lavoratori, a causa di queste vessazioni, ha subito danni psicologici e persino fisici.
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di ruolo o mansioni, con le visite fiscali a
casa durante le malattie ecc. non fa altro
che supportare il gioco del mobber, con-
fermando alla vittima la sua responsabilità
nel processo e la sua solitudine (tabella 2).
La visione d’insieme
L’analisifinquisvoltacihaportatiaentra-
re nel dettaglio analitico degli elementi
costitutivi del mobbing per comprende-
re le diverse sfaccettature che lo contrad-
9. MANAGER ALLO SPECCHIO FOCUS
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5 SETTEMBRE - OTTOBRE 2002 Economia & Management
distinguono. Al fine di coglierne com-
plessità e dinamicità occorre recuperare
la visione d’insieme.
Un aiuto ci è fornito dalla diversa e ricca
letteratura che fino ad oggi ha studiato il
fenomeno, cercando di “ordinarlo” indi-
viduandone gli andamenti. Prendendo
spunto dal modello di sviluppo identifi-
cato da Leymann,
9
fondatore degli studi
sul mobbing, si individuano quattro fasi
fondamentali (figura 2):
Ω il conflitto mirato con l’individuazio-
ne della vittima;
Ω l’inizio del mobbing e del terrorismo
psicologico con l’utilizzo sistematico e
ripetitivo di azioni volte a distruggere la
vittima, la stigmatizzazione rigida dei
ruoli e l’aumento dell’intensità emotiva;
Ω gli errori e abusi dell’Amministrazio-
ne del personale con l’utilizzo delle leve
legate alla gestione del personale;
Ω l’esclusione dal mondo del lavoro
perpetrata dall’organizzazione (licenzia-
mento, spostamenti continui, prepensio-
namenti, trasferimenti ecc.) o “decisa”
dalla vittima (dimissioni, aspettativa,
lunga malattia, prepensionamento, sui-
cidi ecc.).
Inrealtà,lacaratteristicadegliandamenti
che il mobbing può assumere nelle orga-
nizzazioni è determinata dalla non sem-
pre presente linearità nello sviluppo del
fenomeno. In tal senso le diverse fasi non
sono sempre cronologicamente legate,
ma talvolta il processo può saltare da una
fase all’altra o interrompersi prima di
avere chiuso il ciclo.
Per esempio, un andamento sicuramen-
te non lineare è quello legato al mobbing
strategico. In questo caso notiamo come
la struttura logica/cronologica non sia
rappresentativa della dinamica poiché il
punto di origine ha sede nella quarta fase
con la decisione aziendale di “far fuori”
un individuo o un gruppo di lavoratori.
Viceversa, nel mobbing relazionale l’in-
voluzionepuòfacilmentediventarelinea-
re, nel senso che da un conflitto mirato
viene identificata la vittima, per poi stig-
matizzare gli schemi di ruolo (mob-
ber/vittima/spettatori), cronicizzare le
azioni persecutorie aumentandone la fre-
quenza, la ripetitività e l’intensità emoti-
va. A questo punto del processo intervie-
ne il rinforzo dell’organizzazione, la
quale, a fronte di una diagnosi errata, ali-
mentailprocessoportandoloallasuafase
conclusiva, l’esclusione dal lavoro.
Analizzando l’evoluzione del fenomeno
sopra descritto ci si rende conto che, a
seconda delle interazioni mobber/vit-
tima/organizzazione, la dinamica del
mobbing potrebbe trasformarsi comple-
tamente invertendo o eliminando alcune
ERRORI E ABUSI
DELL’AMMINISTRAZIONE
DEL PERSONALE
ESCLUSIONE DAL MONDO
DEL LAVORO
CONFLITTO MIRATO
TERRORISMO PSICOLOGICO
Figura 2 Modelli e andamenti tipici
del mobbing
9. H. Leymann, “The content and development
of mobbing at work”, European Journal of
Work and Organizational Psychology, 1995,
vol. 5, n. 2.
AZIONI
NATURA DEL MOBBING
DEL MOBBING
Mobbing
Mobbing Mobbing
strategico
relazionale relazionale
verticale orizzontale
Sfera Relazionale
Isolamento, Isolamento,
Attacchi alla possibilità limitazioni limitazioni
di comunicare alla possibilità di alla possibilità di
esprimersi, rifiuto di esprimersi, rifiuto di
ogni tipo di contatto ogni tipo di contatto
Attacchi contro Attacchi contro
la reputazione, la reputazione,
Attacchi alle relazioni critiche continue critiche continue
sociali sulle prestazioni, sulle prestazioni,
ridicolizzazioni, ridicolizzazioni,
pettegolezzi pettegolezzi
Attacchi alle relazioni Attacchi continui
sociali alle opinioni
Sfera lavorativa/organizzativa
Continui cambiamenti Continui cambiamenti
di mansioni di mansioni
Attacchi alla qualità Assegnazione di Assegnazione di
della situazione compiti dequalificanti compiti dequalificanti
professionale o umilianti o umilianti
Tentativi di sabotaggio Tentativi di sabotaggio
Trappola del fuorigioco Trappola del fuorigioco
Incarico di lavoro
nocivo per la salute
Minacce
Attacchi alla salute di violenza fisica
Danni fisici
sul lavoro
Violenza fisica
Tabella 2 Natura del mobbing
e azioni mobbizzanti
11. RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI
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FOCUS MANAGERALLOSPECCHIO
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