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I diritti umani, la
democrazia e la guerra
    nell’era della
   Globalizzazione




                 Pro e contro
Scienze Sociali            Inglese

    Matematica              Francese

      Cinema                 Diritto

     Tedesco                Italiano

     Articoli              Statistiche

   Microcredito       Autori, Incontri, Siti

Immagini, Chi siamo    Consiglio di Classe




                                               Fine
Scienze Sociali
          Con la disciplina Scienze Sociali abbiamo
         approfondito alcuni argomenti e alcuni autori:

• Danilo Zolo

• Serge Latouche

• Francesco Gesualdi

• Sviluppo Sostenibile

• Statistiche
Danilo Zolo
• Danilo Zolo, nato a Fiume
  nel 1936, è un giurista e
  filosofo del diritto italiano.
• Ha insegnato Filosofia del
  Diritto all'Università di
  Firenze, dove ha fondato,
  nel 2000, il Centro per la
  filosofia del diritto
  Internazionale e delle
  politiche globali
  Jura Gentium, che tutt'ora
        Gentium
  dirige.
                                      Articoli
       Jura Gentium - http://www.juragentium.org/
Articoli di Danilo Zolo
• I diritti umani, la democrazia e la pace nell'era della globalizzazione

• Il tramonto della democrazia nell'era della globalizzazione

• Violenza, democrazia, diritto internazionale

• La crisi dello Stato democratico

• Quale democrazia nell'Africa mediterranea?

• L’inganno delle guerre umanitarie. Il flagello della guerra

• Luci ed ombre del pacifismo giuridico di Norberto Bobbio
Francesco Gesualdi
• Conosciuto anche come
  Francuccio Gesualdi;
  nato a Foggia nel 1949, è
  un attivista italiano.
• In gioventù fu allievo di
  Don Milani alla Scuola di
  Barbiana.


                                           Articoli
    Centro Nuovo Modello di Sviluppo http://www.cnms.it/
Serge Latouche
• Serge Latouche, nato a
  Vannes il 12 gennaio 1940, è un
  economista e filosofo francese.
• È uno degli animatori de La
  Revue du MAUSS, presidente
  dell'associazione «La ligne
  d'horizon», Professore emerito di
  Scienze economiche
  all'Università di Parigi XI e
  all'Institut d'études du
  devoloppement économique et
  social (IEDES) di Parigi.
           Decrescita (1)      “La revue du MAUSS”

          Decrescita (2)              “La ligne d’horizon”
Edgar Morin
• Edgar Nahoum, detto
  Edgar Morin, (Parigi, 8 luglio
  1921) è un filosofo e sociologo
  francese.
• È noto per l'approccio
  transdisciplinare con il quale
  ha trattato un'ampia gamma
  di argomenti.
• Conferenza tenuta dal
  Professor Edgar Morin a cui
  abbiamo partecipato.

            “La via. Per l’avvenire dell’umanità”
Statistiche
•   Bilancio demografico
•   La dimensione multiculturale nelle scuole del Valdarno
•   Alunni stranieri
•   Relazione delle attività socio-assist. del Comune di Montevarchi
•   La presenza di immigrati
•   L’imprenditoria immigrata
•   Alunni stranieri in Provincia di Arezzo
•   Immigrazione e lavoro indipendente in Provincia di Arezzo
•   Il mercato del lavoro in Provincia di Arezzo
•   Servizi alle imprese
•   Carta di credito formativo ILA
Inglese
   • Avram Naom Chomsky
     (Filadelfia, 7 dicembre 1928) è
     un linguista, filosofo e teorico
     della comunicazione
     statunitense. Professore
     emerito di linguistica al
     Massachusetts Institute of
     Technology è riconosciuto
     come il fondatore della
     grammatica generativo-
     trasformazionale, spesso
     indicata come il più rilevante
     contributo alla linguistica
     teorica del XX secolo.
Tedesco
• Ulrich Beck è nato a Słupsk il
  15 maggio 1944, è un sociologo e
  scrittore tedesco.
• È docente di Sociologia presso la
  Ludwig-Maximilians-
  Universität München di Monaco
  di Baviera e la London School of
  economics.
• Ha pubblicato diversi studi
  sulla modernità, problemi
  ecologici, individualizzazione e
  globalizzazione, oltre ad aver
  introdotto nuovi concetti nella
  sociologia, quali l'idea di una
  seconda modernità e la teoria
  del rischio.
               “Die Risikogesellschaft” (la società del rischio)
Italiano
             Decrescita

“Dove andiamo? Dritti contro un muro.
Siamo a bordo di un bolide senza pilota,
senza marcia indietro e senza freni, che sta
andando a fracassarsi contro i limiti del
pianeta”.
                            Serge Latouche
Articoli
•   Quanti schiavi lavorano per te?
•   Olio di palma, cotone e caffè: le importazioni italiane pesano troppo
•   Bocciata la tassa sull'energia rinnovabile
•   Le banche finanziano i pannelli solari
•   Le riflessioni e i consigli del libro "Pensare come le montagne"
•   Giusto il canone sulla tv spazzatura?
•   Pretendere un Iphone senza sfruttamento
•   Griffati e tossici: etossilati negli abiti sportivi
•   Tira una brutta aria: smog in aumento
•   Camminare come cura
•   C'è la crisi? Riprendiamoci la Cassa Depositi e Prestiti
•   Pulire al naturale… la lavastoviglie
•   Le multinazionali della cosmesi e gli ingredienti nocivi dei loro prodotti
•   L’INCI
•   Facciamo il punto
•   Una vita a km zero
•   Tessuti bio: non solo cotone...
•   Il Manifesto politico di Banca Etica
•   Il codice etico
Anna Tani
• Professoressa di
  Italiano, ha lavorato
  presso l’Istituto
  Superiore Giovanni
  da San Giovanni ed è
  stata per tre anni la
  nostra insegnante.
• Ci ha parlato del

            Microcredito
Microcredito




  Tema affrontato con la Professoressa Anna Tani che ha
tenuto una lezione nella nostra classe sulla ricchezza e sulla
 povertà nel mondo. Ci ha presentato la figura e il testo di:
Muhammad Yunus “Il banchiere dei poveri”
Autori su cui abbiamo lavorato


•   Zygmunt Bauman
•   Norberto Bobbio
•   Domenico De Masi
•   Luciano Gallino
•   Martha C. Nussbaum
•   Venkatesh Seshamani
•   Joseph Stiglitz
Incontri con
•   Danilo Zolo
•   Francesco Gesualdi
•   Serge Latouche
•   Edgar Morin
•   Anna Tani


              Siti Consultati
•   Jura Gentium http://www.juragentium.org/
•   Centro Nuovo Modello di Sviluppo http://www.cnms.it/
•   Aam Terranuova http://www.aamterranuova.it/
•   Il debito pubblico http://www.cnms.it/
•   Wikipedia http://www.wikipedia.org/
Stage 5H                    2011-2012
•   Bagiardi Viola           •   Galletti Chiara
•   Baldi Elena              •   Luci Anastasia
•   Bartolozzi Silvia        •   Montaghi Federica
•   Bevilacqua Rita          •   Mortelli Annalisa
•   Botarelli Giada          •   Nocentini Ester
•   Brancaleone Eliana       •   Nocentini Gabriele
•   Bucci Giulia             •   Novara Giulia
•   Ciarchi Elena            •   Olmastroni Lucia
•   Dal Bianco Vittoria      •   Regnanti Jessica
•   De Leo Miriam            •   Righi Niccolò
•   Ferrero Valeria Edith    •   Tilli Noemi
Consiglio di classeCoordinatrice del
                progetto: Grazia Ammannati

 •   Grazia Ammannati              •   Scienze Sociali
 •   Roberto Donati                •   Cinema
 •   Alessandro Rosati             •   Italiano
 •   Laura Borrani                 •   Storia
 •   Vincenzo Verna                •   Diritto
 •   Lucia Brozzi                  •   Filosofia
 •   Caterina Moretti              •   Matematica
 •   Giuseppe Tassinari            •   Scienze Sperimentali
 •   Olga Ratti                    •   Educazione Motoria
 •   Mirella Francalanci           •   Inglese
 •   Susanna Rossi                 •   Tedesco
 •   Beatrice Bichi                •   Francese
 •   Daniele Carabot               •   Religione
Allegati
Globalizzazione: pro e contro
      Tema             Contro                                                                           Pro 
     1Speculazione     Si costruiscono grandi ricchezze e si rovinano intere nazioni tramite             Una tassa sui movimenti di capitale è suggestiva ma sostanzialmente inapplicabile.
      finanziaria      movimenti di capitale che speculano sui cambi delle monete e sulle 
                       oscillazioni delle Borse.La Tobin Tax tasserebbe tutte le operazioni finanziarie 
                       e valutarie. Il gettito andrebbe destinato alle politiche nazionali per servizi 
                       sociali e occupazione, e a politiche internazionali contro il sottosviluppo.

     2Distribuzione La logica del capitalismo ha portato ad una condizione estremamente grave,  Se è vero che il distacco tra ricchissimi e poverissimi sta aumentando, questo avviene mentre la 
      della ricchezza per cui la ricchezza è sempre di più distribuita inegualmente.            povertà in termini assoluti (reddito, alfabetizzazione, vita media, ...) diminuisce. 
     3Libertà di     L'abbattimento delle barriere all'importazione comporta - in particolare in  È necessario eliminare tutte le barriere doganali in modo da aprire i mercati dei paesi 
      commercio      Europa - la distruzione delle colture o delle produzioni artigianali tipiche.        industrializzati alle esportazioni dei paesi poveri. 
     4Multinazionali Le multinazionali sfruttano i lavoratori del Terzo Mondo.                            Il lavoro nelle industrie è comunque una prospettiva meglio pagata rispetto al lavoro agricolo. 
                                                                                                          Altrimenti non si capisce perché venga scelto.
                     Il livello delle retribuzioni copre appena le necessità di sussistenza. Il lavoro è 
                     precario e si svolge in condizioni insicure.
     5Lavoro         minori sono costretti a lavorare nelle fabbriche del Terzo Mondo in                  Questo è accaduto anche in Occidente all'inizio della Rivoluzione industriale.Gli stessi governi dei 
      minorile       condizioni disumane.                                                                 paesi di recente industrializzazione che si oppongono all'applicazione globale del diritto del lavoro 
                                                                                                          vigente in Occidente.
     6Concorrenza I lavoratori del Terzo mondo si pongono in concorrenza con i lavoratori del  In molte regioni dei paesi ricchi certi lavori non sono più proponibili a un giovane "indigeno". Il 
      lavoratori     Primo mondo.                                                                         livello delle aspirazioni si è alzato; il benessere - almeno relativo - permette di sopportare la 
                                                                                                          disoccupazione in attesa di trovare un lavoro desiderabile.
                     Le fabbriche migrano verso i paesi nei quali il costo del lavoro è più basso.
     7Concorrenza La logica della concorrenza tra le nazioni induce a comprimere le tutele                La competizione, elemento essenziale del suo dinamismo, è stata all’origine di uno sviluppo 
      tra le nazioni sociali che migliorano le condizioni di vita dei lavoratori ma anche accrescono tecnologico ed economico impensabile soltanto un secolo fa.
                     il costo del lavoro.
     8Indebolimento La globalizzazione priva gli stati del ruolo di regolatori e garanti degli            La globalizzazione riduce il ruolo degli stati ma non lo annulla.
      degli stati    interessi dei popoli che vivono sui loro territori; essi non sono più in grado di   
                     controllare le società multinazionali e spesso cedono alle loro esigenze             Essa chiede agli stati di trovare nuove forme di cooperazione per affrontare problemi che hanno 
                     economiche e finanziarie al fine di conservarle sui propri territori dove sono  una scala planetaria.
                     fonte di occupazione, di imposte, di dinamismo economico.
     9Legittimità G8 Riunioni come quelle dei rappresentanti del G8 o del WTO non sono                    I governanti che si incontrano rappresentano i paesi che li hanno democraticamente eletti.L'ONU 
                     legittimate a prendere decisioni per conto di tutti i popoli della Terra.            si è mostrato storicamente incapace di prendere decisioni impegnative, anche a sostegno dei 
                                                                                                          diritti umani sui quali si fonda.
    10Debito estero Il debito estero blocca lo sviluppo dei paesi del Terzo Mondo: i ricavi delle         Il debito dipende dall'imprevidenza e dalla corruzione delle élites locali. La sua revisione va 
                     esportazioni sono destinati a finanziare gli interessi sul debito. Occorrerebbe  subordinata alla presenza di governi affidabili e di seri progetti di sviluppo.
                     l'azzeramento di tutto il debito estero dei 41 paesi più poveri del mondo.
    11Digital divide La società dell'informazione sta creando nuove divisioni tra chi ha accesso  La società dell'informazione permette il superamento di antiche barriere: offre conoscenza a chi è 
                     all'informazione e chi non ce l'ha. Anche le tecnologie sono oggi un fattore di  lontano dalle città e dai centri di formazione. permette che circolino idee di libertà e di 
                     divisione planetaria. Occorrono politiche per favorire l'accesso alle moderne  democrazia.
                     tecnologie della comunicazione.
    12Televisioni    La televisione è un fattore di omologazione culturale. L'immaginario delle           Persone e popoli godono di possibilità di conoscenza e di divertimento prima inimmaginabili. La TV 
      globali        popolazioni del pianeta è costruito dai programmisti di MTV o dagli                  apre orizzonti mentali, fa conoscere luoghi ed esperienze che altrimenti resterebbero estranei alle 
                     sceneggiatori di Hollywood.                                                          masse, può essere utilizzata anche con finalità educative.
    13Gas serra      Occorre la ratifica e applicazione del protocollo di Kyoto per la riduzione delle Alcuni scienziati non ritengono sufficientemente dimostrata la correlazione tra emissione di gas e 
                     emissioni di anidride carbonica.                                                     riscaldamento globale.
    14Biotecnologie Le multinazionali del settore spingono per introdurre sementi artificiali della  La popolazione mondiale è in rapidissimo aumento. Le biotecnologie sono una strada obbligata 
                     cui innocuità non si è sicuri. La biotecnologia riduce la preziosa biodiversità. per aumentare le rese e per mettere a punto specie resistenti anche ai climi inospitali.
    15Qualità cibi     La globalizzazione fa arrivare sulle nostre tavole prodotti alimentari meno      Le regolamentazioni interne all'Unione Europea sono severe e stabiliscono gli standard di qualità 
                       sicuri.                                                                          che i prodotti alimentari devono rispettare.Vi è semmai un problema di controlli
Sviluppo sostenibile
Lo sviluppo sostenibile è un processo finalizzato al raggiungimento di obiettivi di miglioramento ambientale, economico, sociale ed istituzionale, sia a
      livello locale che globale. Tale processo lega quindi, in un rapporto di interdipendenza, la tutela e la valorizzazione delle risorse naturali alla
      dimensione economica, sociale ed istituzionale, al fine di soddisfare i bisogni delle attuali generazioni, evitando di compromettere la capacità delle
      future di soddisfare i propri. In questo senso la sostenibilità dello sviluppo è incompatibile in primo luogo con il degrado del patrimonio e delle risorse
      naturali (che di fatto sono esauribili) ma anche con la violazione della dignità e della libertà umana, con la povertà ed il declino economico, con il
      mancato riconoscimento dei diritti e delle pari opportunità.

•     Le dimensioni della sostenibilità
•     la sostenibilità ruota attorno a quattro componenti fondamentali:
•     Sostenibilità economica: intesa come capacità di generare reddito e lavoro per il sostentamento della popolazione.
•     Sostenibilità sociale: intesa come capacità di garantire condizioni di benessere umano (sicurezza, salute, istruzione) equamente distribuite per classi
      e genere.
•     Sostenibilità ambientale: intesa come capacità di mantenere qualità e riproducibilità delle risorse naturali.
•     Sostenibilità istituzionale: intesa come capacità di assicurare condizioni di stabilità, democrazia, partecipazione, giustizia.
•     L'area risultante dall'intersezione delle quattro componenti, coincide idealmente con lo sviluppo sostenibile.
•     Definizione condivisa di sviluppo sostenibile
•     La definizione di sviluppo sostenibile è quella contenuta nel rapporto Brundtland, elaborato nel 1987 dalla Commissione mondiale sull'ambiente e lo
      sviluppo e che prende il nome dall'allora premier norvegese Gro Harlem Brundtland, che presiedeva tale commissione.

Nel 2002 a Johannesburg si tiene il Vertice Mondiale sullo Sviluppo Sostenibile in cui le novità sono sostanzialmente le seguenti:

•     la crescita economica non è la base dello sviluppo;
•     è opportuno distinguere tra crescita e sviluppo;
•     nella piramide dei valori, il pilastro sociale è al vertice dei pilastri economico ed ambientale; comunque nessuno dei pilastri potrà essere considerato
      a sé stante;
•     è prioritario lo sviluppo rispetto alla crescita economica;
•     è necessario valutare i costi sociali ed ambientali delle politiche.
•     Educare allo sviluppo sostenibile: il DESS
•     L'Assemblea Generale delle Nazioni Unite ha proclamato il DESS-Decennio dell'Educazione allo Sviluppo Sostenibile per il periodo 2005-2014,
      affidando all'UNESCO il compito di coordinarne e promuoverne le attività.
Un Natale definito sotto tono, con una riduzione della spesa significativa ma non si può parlare di decrescita felice. Troppo cibo finito nella spazzatura
dalla Vigilia a Capodanno

•Un Natale e un Capodanno più moderati, con una riduzione delle spese. Ma gli sprechi sono ancora troppo elevati.Le persone devono ancora prendere le misure
con la decrescita . Dalla vigilia di Natale a Capodanno, sono finite dal tavola al bidone della spazzatura 440 mila tonnellate di cibo, della spesa degli italiani. Nella
pattumiera gli italiani hanno gettato carne, latticini e uova (pari al 43% del cibo buttato), pane (22%), frutta e verdura(19%), un po' meno pasta e dolci(4% e 3%).
Oltre 1,3 miliardi di euro in cibo sono stati sprecati. Un vero sperpero di risorse, e uno schiaffo alla miseria, costato più di 50 euro a famiglia. I dati sugli sprechi
alimentari durante le festività natalizie vengono da un’indagine della Cia-Confederazione italiana agricoltori.
•Gli agricoltori commentano che neanche la crisi è riuscita a contenere questo fenomeno: da un punto di vista, infatti, le famiglie sono cambiate di poco, facendo
registrare complessivamente una lieve contrazione del cibo sprecato, mentre a scendere è stata ala quantità di cibo acquistata. Tra poco: a finire nel bidone
dell'immondizia è stato quasi un quinto delle portate preparate per allestire le tavole delle Feste. Tutto ciò a dispetto della recessione alle porte.
•L’indagine evidenzia che gli sprechi maggiori si sono concentrati soprattutto durante le festività di Natale.
•Il fenomeno dello spreco alimentare può essere analizzato da diversi punti di vista. A concorrere allo spreco possono essere un eccesso di acquisto generico, la
frenesia del comprare che porta ad approfittare di promozioni (quali il 3 per 2) col risultato di riempire le case di prodotti in eccesso, talvolta una scarsa
comprensione del limite massimo di consumo del singolo prodotto – anche se durante le feste è facile ipotizzare che una delle cause sia la preparazione di cibo in
eccesso rispetto alle esigenze familiari.
•Se si guarda poi al dato internazionale, la portata dello spreco si fa letteralmente drammatica: secondo un recente studio della Fao, l’Organizzazione delle Nazioni
Unite per l’alimentazione e l’agricoltura, ogni anno vengono sprecati o perduti 1,3 miliardi di tonnellate di cibo, circa un terzo degli alimenti prodotti per il consumo
umano. In Europa e in Nord America lo spreco pro capite dei consumatori è calcolato intorno ai 95-115 kg all’anno, mentre in Africa sub-sahariana e nel sudest
asiatico ammonta a soli 6-11 kg l’anno.
•In Italia, uno studio dell’Adoc ha calcolato che nel 2011 ogni famiglia ha buttato nel cassonetto il 7% della spesa alimentare effettuata (feste escluse), pari a 335
euro. Uno spreco in calo rispetto all’anno precedente, ma comunque consistente.

Consumiamo 9mila miliardi di metri cubi d'acqua all'anno, ciascuno di noi 4mila litri al giorno se si considera l'acqua impiegata anche per produrre i cibo
di cui ci si alimenta e i prodotti di cui ci si serve.

•Consumiamo 9mila miliardi di metri cubi d'acqua all'anno. . E' la nostra impronta idrica, la nostra water fototprint; tanto pesiamo sul nostro pianeta. Lo studio
quantifica il consumo di acqua sotto forma di pioggia ma anche di acqua prelevata dal terreno e dalle falde e quella che inquiniamo. Nel periodo dal 1996 al 2005 la
media annuale della nostra water footprint è stata di 9.087 gigametri cubi, cioè 9.087 miliardi di metri cubi (74% pioggia, 11% da terreno e falde, 15% di acqua
inquinata). La produzione agricola contribuisce per il 92%. L'impronta idrica media annuale per ciascuno di noi (benchè le cifre cambino in maniera non indifferente
da nazione a nazione) prevede un consumo di 1.385 metri cubi. Un quinto di tutta l'impronta idrica mondiale serve per garantire prodotti da esportare e non per il
consumo "domestico". Per esempio, mentre un tedesco compra il caffè e la maglietta per i quali è stata usata acqua di quella nazione, altri Paesi, come gli Usa e la
Cina, sono entrambi grandi esportatori e importatori di acqua. E altri stati paiono destinati a voler aumentare la loro importazione di acqua. I ricercatori concludono
affermando che "tutti questi fattori indicano che la scarsità di acqua non è solo un problema locale ma deve essere visto e valutato in una prospettiva globale.
LA GLOBALIZZAZIONE IN CIFRE
Alcuni dettagli riguardanti i dati della globalizzazione risalenti al 2008:
Il 20% della popolazione mondiale gode dell’80% della ricchezza (questa minima parte della popolazione si concentra principalmente in Giappone, Europa ed America settentrionale).
Il 57% della popolazione mondiale condivide il 6% del reddito mondiale (circa 2$ gg.).
Il numero dei poveri aumenta considerevolmente nell’Asia Meridionale (da 495.000.000 nel 1997 a 552.000.000 nel 1998) e nei paesi sub-Sahariani (in un anno aumentano circa di 48.000.000).
Il 20% della popolazione più ricca possiede l’86% del PIL, mentre il 20 % della popolazione più povera possiede l’1% del PIL.
Secondo la Banca Mondiale le persone costrette a sopravvivere con meno di un dollaro al giorno sono un miliardo e mezzo e arriveranno a due entro il 2025.
Più di cento paesi, con una popolazione complessiva di un miliardo e seicento milioni "un quarto della popolazione mondiale" continuano quindi a vivere nella più totale miseria. Secondo l'UNCTAD nei
paesi imperialistici si è verificato tra il 1997 e il 1999 un incremento dei consumi di oltre 400 miliardi di dollari, mentre 35 paesi, tra cui le famose "tigri" del Sud-Est asiatico hanno conosciuto una
caduta del reddito pro-capite superiore a quella riscontrata negli USA durante la grande depressione degli anni '30 (cioè tra il 15% ed il 20%).
Il 20% della popolazione mondiale, quella che gode di redditi più elevati fa suo l'86% dei consumi privati, mentre il 20% più povero consuma solo il 1,3% del prodotto mondiale. Solo considerando
l'Africa, una famiglia media consuma oggi il 20% in meno di quanto consumasse 25 anni fa. Ben 89 paesi si trovano oggi in condizioni economiche peggiori di quelle di dieci anni fa.
Più di 600 milioni di persone non hanno una casa o vivono in ambienti domestici malsani e insicuri. La World Bank stima che nel 2010 più di 1,4 miliardi di persone vivranno in sistemazioni non dotate
di acqua potabile e servizi igienici;
Nel 1998 è disoccupato o sottoccupato più di un terzo dei tre miliardi di lavoratori del mondo;
Il 65% della popolazione mondiale non ha mai fatto una telefonata. Il 40% non ha accesso all'energia elettrica. Ci sono più linee telefoniche nella sola Manhattan che in tutta l'Africa Sub-sahariana.
Secondo l'ONU i primi 258 miliardari del mondo hanno un patrimonio complessivo superiore al reddito totale della metà più povera degli abitanti della terra;
I nord-americani spendono per i cosmetici (8 miliardi di dollari all'anno) e gli europei per i gelati (11 miliardi) più di quanto basterebbe per offrire un'istruzione elementare, acqua potabile e servizi
igienici ai due miliardi di individui che, nel mondo, ancora oggi, non possono permettersi né istruzione né minime strutture sanitarie.
15 milioni di persone muoiono ogni anno di malattie CURABILI (tubercolosi, malaria, ecc) solo perché il prezzo dei farmaci, stabilito dalle multinazionali farmaceutiche, è troppo elevato.
http://www.racine.ra.it/curba/_static/materialeStud/globalizzazione/in_cifre.htm

Se nel mondo fossimo cento persone
Per comprendere bene la logica dei popoli svantaggiati riflettiamo sui dati statistici di questo esempio semplice e illuminante. Se noi potessimo ridurre la popolazione del mondo intero in un villaggio di
100 persone mantenendo le proporzioni di tutti i popoli esistenti al mondo, il villaggio sarebbe composto in questo modo:
Ci sarebbero: 57 Asiatici, 21 Europei, 14 Americani (Nord Centro e Sud America), 8 Africani, 52 sarebbero donne, 48 uomini, 70 sarebbero non bianchi, 30 sarebbero bianchi, 70 sarebbero non cristiani,
30 sarebbero cristiani, 89 sarebbero eterosessuali, 11 sarebbero omosessuali,6 persone possiederebbero il 59% della ricchezza del mondo intero e tutti e 6 sarebbero statunitensi, 80 vivrebbero in case
senza abitabilità 70 sarebbero analfabeti 50 soffrirebbero di malnutrizione. 1 starebbe per morire, 1 starebbe per nascere, 1 possiederebbe un computer, 1 (si', solo 1!) avrebbe la laurea. Se si considera
il mondo da questa prospettiva, il bisogno di accettazione, comprensione e educazione diventa evidente. Prendete in considerazione anche questo. Se vi siete svegliati questa mattina con più salute
che malattia siete più fortunati del milione di persone che non vedranno la prossima settimana. Se non avete mai provato il pericolo di una battaglia, la solitudine dell'imprigionamento, l'agonia della
tortura, i morsi della fame, state meglio di 500 milioni di abitanti di questo mondo. Se avete cibo nel frigorifero, vestiti addosso, un tetto sopra la testa e un posto per dormire siete più ricchi del 75%
degli abitanti del mondo. Se avete soldi in banca, nel vostro portafoglio e degli spiccioli da qualche parte in una ciotola siete fra l'8% delle persone più benestanti al mondo. Se i vostri genitori sono
ancora vivi e ancora sposati siete delle persone veramente rare, anche negli Stati Uniti e nel Canada. Se potete leggere questo messaggio, avete appena ricevuto una doppia benedizione perché'
qualcuno ha pensato a voi e perché non siete fra i due miliardi di persone che non sanno leggere. Qualcuno una volta ha detto: lavora come se non avessi bisogno dei soldi. Ama come se nessuno ti
abbia mai fatto soffrire. Balla come se nessuno ti stesse guardando. Canta come se nessuno ti stesse sentendo. Vivi come se il Paradiso fosse sulla Terra.
http://www.globalvillage-it.com/articoli/100persone.htm

Misure della globalizzazione
La globalizzazione economica può essere misurata in vari modi, guardando ai quattro fondamentali flussi che la caratterizzano:
         flussi di beni e servizi, i.e. (id est) import ed export in rapporto al PIL pro-capite o totale;
         flussi di lavoro e persone, i.e. tassi migratori netti, verso l’interno o l’esterno, pesati con la popolazione;
         flussi di capitale, i.e. investimenti diretti verso l’interno o l’esterno in proporzione al PIL pro-capite o totale
         flussi di tecnologia, i.e. flussi internazionali di ricerca e sviluppo, in proporzione alla popolazione .
Fino a che punto un paese è globalizzato in un particolare momento è stato fino ad oggi misurato utilizzando semplici approssimazioni quali i flussi commerciali, i flussi migratori, gli investimenti diretti
esteri. Dal momento che la globalizzazione non è soltanto fenomeno economico, è stato anche proposto un approccio multivariato alla misurazione della globalizzazione (si veda ad es. l’Indice di
Globalizzazione calcolato dalla KOF, un centro di ricerca svizzero). L’indice misura le tre principali dimensioni della globalizzazione: economica, sociale e politica, ed è disponibile per 122 paesi (si veda
il sito KOF). Secondo quest’indice, il paese più globalizzato del mondo è il Belgio, seguito da Austria, Svezia, UK e Olanda. Anche A.T. Kearney e la rivista Foreign Policy pubblicano un altro Indice di
Globalizzazione. http://www2.dse.unibo.it/ardeni/ES/Globalizzazione.htm
CAPITALISM: A LOVE STORY

Scheda:

Regista: Michael Moore
Sceneggiatore: Michael Moore (scritto da)
Data di uscita: 2 ottobre 2009 (Canada)
Durata: 127 min | Canada:105 min (Toronto International Film Festival)
Nazionalità: USA
Produzione: Dog Eat Dog Films, Overture Films, Paramount ,Vantage
Distribuzione: Mikado
Formato: Colore



Trama:

Nel ventesimo anniversario del suo rivoluzionario capolavoro Roger & Me, Capitalism: A Love
Story riporta Michael Moore ad affrontare il problema che è al centro di tutta la sua opera:
l'impatto disastroso che il dominio delle corporation ha sulla vita quotidiana degli americani (e,
quindi, anche del resto del mondo). Ma questa volta il colpevole è molto più grande della
General Motors e la scena del crimine ben più ampia di Flint, Michigan. Dalla Middle America
fino ad arrivare ai corridoi del potere a Washington e all'epicentro finanziario globale di
Manhattan, Michael Moore porterà ancora una volta gli spettatori su una strada inesplorata. Con
umorismo e indignazione, Capitalism: A Love Story di Michael Moore esplora una domanda
tabù: qual è il prezzo che l'America paga per il suo amore verso il capitalismo? Anni fa,
quell'amore sembrava assolutamente innocente. Tuttavia, oggi il sogno americano sembra
sempre più un incubo, mentre le famiglie ne pagano il prezzo, vedendo andare in fumo i loro
posti di lavoro, le case e i risparmi. Moore ci porta nelle abitazioni di persone comuni, le cui vite
sono state stravolte, mentre cerca spiegazioni a Washington e altrove. Quello che scopre sono
dei sintomi fin troppo familiari di un amore finito male: bugie, maltrattamenti, tradimenti... e
14.000 posti di lavoro persi ogni giorno. Capitalism: A Love Story rappresenta una summa delle
precedenti opere di Moore, ma è anche uno sguardo su un futuro nel quale una speranza è
possibile. E' il tentativo estremo di Michael Moore di rispondere alla domanda che si è posto in
tutta la sua carriera di regista: chi siamo e perché ci comportiamo in questo modo?
IL PRESIDENTE DELLA BANCA MONDIALE DIFENDE LA LOTTA CONTRO L’AUMENTO DEI PREZZI AGRICOLI, MA SENZA STATALISMO
Robert Zoellick prona la creazione di scorte alimentari e l'accelerazione degli investimenti.

Come prevenire l'aumento dei prezzi agricoli non portare a nuovo focolaio di fame? In occasione della riunione dei ministri delle finanze del G20 sotto presidenza francese, 19 febbraio, a
Parigi,Robert Zoellick, il presidente della Banca Mondiale, aveva portatola comunità internazionale a fare di questo tema una priorità. Senza scontrarsi testa Nicolas Sarkozy,
Regolarmente minacciando speculatori, ha resistito l'idea di nuove regole per contenerli.
Mentre a Parigi, Lunedì 28 marzo, ha detto al mondo che le soluzioni sono plurali: "Lavoriamo con la Francia per sviluppare un codice di condotta per i divieti di esportazione in alcuni
paesi produttori dove i prezzi non si applicano agli acquirenti di umanità come la banca. "
Bruno Lemaire, ministro francese dell'Agricoltura, che ha incontrato durante la sua visita a Parigi, Mr. Zoellick ha citato la possibilità di raccogliere una migliore informazione sulle scorte
", perché l'incertezza nata di informazioni inadeguato può innescare una forte volatilità dei prezzi ", ha detto.
Ha detto che alcuni interventi di politica può essere utile.
"Certo, le scorte sono costosi, dice. Ma in alcune aree come il Corno d'Africa o sono alte probabilità di disastro,
sarebbe intelligente per smaltire le scorte gestite dal Programma Alimentare Mondiale. "
La soluzione sta in aumento della produttività agricola. La Banca Mondiale ha sostenuto un gruppo di ricerca dedicato allo sviluppo di semi che possono resistere ai cambiamenti
climatici. ha inoltre collaborato con altre organizzazioni ha l'elaborazione di un codice di condotta per gli investimenti responsabili, perché è meglio che fare l'Arabia Saudita coltivazione
del grano in Africa o in Asia, piuttosto che il suo suolo arido presenta rafforzamento grande sovvenzioni.
A condizione che avvantaggia le popolazioni locali e non dannosi per l'ambiente. Secondo M.Zoellick aumenti dei prezzi delle materie prime agricole negli ultimi anni sono stati causati
da eventi meteorologici estremi.
"E ', ha aggiunto una modificazione della dieta nei paesi emergenti che mangiano di più e meglio, che è buono, si rallegra, ma che può suggerire la ricostituzione degli stock più
lentamente e la volatilità dei prezzi persistono. "
Il sahariana è l'Africa sembra avere un grande potenziale agricolo, a condizione che investono in tutta la catena: "il diritto di priorità, i semi, l'irrigazione, lo stoccaggio di fertilizzanti e,
naturalmente, perché la metà delle colture si perde prima di raggiungere il mercato ".
M.Zoellick crede nelle virtù dell'intervento pubblico, che non significa più regolamenti "Quando si cerca di controllare i prezzi, gli agricoltori smettono di far crescere il cibo coinvolto",
avverte. Una priorità"Assicurare che le popolazioni vulnerabili abbiano accesso ad un'alimentazione adeguata.


INCORAGGIARE LA TRASPARENZA
Il Presidente della Banca ha sfidato l'intervento dello Stato."Ricordiamo che gli eventi del mondo arabo sono state causate da un tunisino povero giardiniere perseguitati dalla polizia. I
governi devono rimuovere le barriere che influenzano negativamente le strutture di piccole dimensioni."
Ecco perché la banca promuove la trasparenza che consente ai cittadini di comprendere l'azione del proprio governo economico e controllare che i soldi del petrolio non rientra nelle
tasche dei singoli.
In questo spirito, aiuta l'Egitto a scrivere una legge che garantisce la libertà di informazione.
Allo stesso modo Robert Zoellick ritiene che non si deve trattare una disoccupazione causata dal modo in cui la vera "bolla" dei giovani in Medio Oriente e del Nord Africa. Certo,
dobbiamo creare 40 posti di lavoro milione nei prossimi dieci anni per evitare un peggioramento della disoccupazione. Ma dobbiamo evitare due scogli.
Il primo sarebbe quello di sovvenzionare tutto, è quello di evitare rivolte per il cibo. "Questo spinge verso l'alto i salari e sussidi, ha detto, come in Egitto e l'85% della popolazione è
aiutato in un modo o nell'altro.
L'altro pericolo è quello di provare, a breve termine, creando posti di lavoro ha qualche primario, in particolare nel settore pubblico ", che potrebbe portare a livelli nocivi di remunerazione
per la creazione di posti di lavoro nel settore privato di lungo periodo.
M. Zoellick vuole dimostrare un altro fenomeno: l’accrescimento della durata della vita, una vera sfida per i paesi che rischiano di invecchiare prima di diventare ricchi.
Il forum mondiale per la longevità, organizzato dal Lunedì Axa a Parigi, ha chiamato i paesi in via di sviluppo preoccuparsi per la loro demografia, ha di gestire e regolare i loro
invecchiamento della popolazione, da ora, le loro politiche di risparmio, salute e pensione.
LE FONTI DEL DIRITTO INTERNAZIONALE

Ogni stato è sovrano ed indipendente, ma allo stesso tempo non opera in modo isolato perché entra in contatto anche con gli altri stati. I
rapporti che sorgono tra i vari stati sono regolati dal diritto internazionale. Esso regola attraverso norme giuridiche previste dal diritto
internazionale e sono:
• le consuetudini
• i trattati



LE CONSUETUDINI
Le consuetudini internazionali corrispondono a comportamenti ripetuti e costanti da parte degli stati nel regolare i loro rapporti con la
convinzione che tali comportamenti siano obbligatori e vincolati.

Esempio:
Immunità diplomatica:
1) ambasciatori
2) consoli

Soccorso dei naufraghi:
Intervento degli stati contro la pirateria



I TRATTATI
I trattati internazionali sono degli accordi scritti tra due o più stati che vincolano solo gli stati che hanno stipulato il trattato. Ogni trattato
viene rispettato dal singolo stato aderente, in quanto vige il principio internazionale “pacta sunt servanda”.
I diritti umani, la democrazia e la pace nell'era della globalizzazione (2011) - Danilo Zolo (http://www.juragentium.org/about/index.html )
I diritti umani: una ideologia occidentale in declino
La tesi principale che intendo sostenere è la seguente: il processo storico che noi occidentali chiamiamo "globalizzazione" non favorisce il successo e la diffusione dei diritti umani fondamentali, a cominciare dal diritto alla vita. Per
"globalizzazione" intendo la crescente espansione delle relazioni sociali fra gli esseri umani, dovuta anzitutto allo sviluppo tecnologico, alla rapidità dei trasporti e alla rivoluzione informatica (1). In secondo luogo intendo sostenere che sta
diventando problematica anche la conservazione e la difesa delle istituzioni democratiche tuttora esistenti in Occidente. E vorrei infine richiamare l'attenzione su un fenomeno ancora più allarmante: la paralisi del diritto internazionale e delle
istituzioni internazionali di fronte al problema della guerra nel mondo. Aggiungo che a mio parere il diritto internazionale è sempre più condizionato a livello globale dagli interessi politici ed economico-finanziari delle grandi potenze, a cominciare
dagli Stati Uniti d'America.
Bastano pochi dati per confermare drammaticamente il tramonto dell'"età dei diritti" nell'era della globalizzazione. L'Organizzazione Internazionale del Lavoro ha calcolato che tre miliardi di persone oggi vivono sotto il livello della povertà, fissato in
due dollari di reddito al giorno (7). John Galbraith, nella prefazione allo Human Development Report delle Nazioni Unite del 1998, aveva documentato che il 20% della popolazione mondiale più ricca si accaparrava l'86% di tutti i beni e servizi
universalmente prodotti mentre il 20% più povero ne consumava soltanto l'1,3%. Oggi, dopo circa dieci anni, queste cifre sono purtroppo cambiate: il 20% della popolazione più ricca consuma il 90% dei beni prodotti, mentre il 20% più povero ne
consuma l'1% (8). E si è inoltre calcolato che il 40% della ricchezza del pianeta è posseduta dall'1% della popolazione mondiale (9), mentre le 20 persone più ricche del mondo dispongono di risorse pari a quelle del miliardo di persone più povere
(10).
 I dati forniti dalle Nazioni Unite mostrano inoltre che un miliardo di persone sopravvive in condizioni di "povertà assoluta" nei paesi economicamente più arretrati: circa una metà si trova in Asia meridionale, un terzo nell'Africa sub-sahariana e una
quota di rilievo anche in America Latina (11). Nell'ampia fascia di questi paesi un miliardo e 700.000 persone sono prive di accesso all'acqua potabile e si prevede che questa cifra raddoppierà entro il 2020. Ogni anno muoiono oltre 2 milioni di
bambini per mancanza d'acqua o a causa dell'acqua insalubre che è responsabile dell'80% delle malattie epidemiche. La mancanza di acqua è inoltre la causa di una drastica diminuzione della produzione alimentare e di un aumento delle malattie
legate alla denutrizione. Tra le conseguenze della fame e della sete ci sono anche i 25.000 bambini che muoiono ogni giorno per malattie che sarebbero innocue per bambini ben nutriti (12).
 Tutto ciò accade anche perché le grandi potenze praticano complesse strategie nelle quali si sovrappongono la competizione mercantilistica fra gli Stati, il regionalismo economico e il protezionismo settoriale. Un esempio agghiacciante è stato
recentemente fornito da Luciano Gallino: le aree agricole regionali sono state cancellate dalla faccia della terra - dall'India all'America Latina, dall'Africa all'Indonesia e alle Filippine - e sono state sostituite da immense monoculture. I contadini e le
loro famiglie, espulsi dai loro campi, si rifugiano negli sterminati slums urbani del pianeta. Molto spesso si uccidono perché non riescono a pagare i debiti che hanno fatto nel tentativo di acquistare le sementi e i fertilizzanti ai prezzi imposti dalle
corporations europee e statunitensi dell'agro-business. In India, tra il 1995 e il 2006, vi sono stati almeno duecentomila suicidi di piccoli coltivatori (13). Fenomeni non diversi sono presenti anche in Cina.
 2. Una democrazia senza futuro
 Se per democrazia intendiamo un regime nel quale la maggioranza dei cittadini è in grado di controllare i meccanismi della decisione politica e di condizionare i processi decisionali, allora è legittimo pensare che oggi la democrazia è in grave
crisi. Come già nel secolo scorso Max Weber (1964-1920) e Joseph Schumpeter (1883-1950) avevano intravisto, le stesse nozioni di "rappresentanza", di "sovranità popolare" e di "interesse collettivo" sono ormai dogmi illuministici senza alcun
rilievo politico e lontanissimi dalla cultura popolare (14).
 È inoltre molto incerto che cosa si debba intendere oggi per "partiti politici". Come Leslie Sklair ha sostenuto e Luciano Gallino ha documentato, le democrazie operano ormai come dei regimi dominati dalla cosiddetta "nuova classe capitalistica
transnazionale". Essa controlla i processi di globalizzazione dall'alto delle torri di cristallo di metropoli come New York, Washington, Londra, Francoforte, Nuova Delhi, Shanghai (15). In questo contesto il sistema dei partiti politici è in notevole
difficoltà. I partiti non sono più dei veicoli della rappresentanza politica, sostenuti dai propri militanti ed elettori. Ormai al centro della vita democratica si erge trionfante lo schermo televisivo, attraverso il quale i leader politici si rivolgono ai cittadini
mettendo in mostra, secondo precise strategie di marketing televisivo, i "prodotti" che intendono vendere. Attraverso circuiti occulti i partiti distribuiscono ai propri collaboratori risorse finanziarie, vantaggi e privilegi economici e politici (16).
La mia opinione è che i processi di globalizzazione rendono sempre più improbabile la conservazione dei delicati meccanismi della democrazia. Essi vengono sostituiti da forme di esercizio del potere che sono concentrate nelle mani di pochi
esperti senza scrupoli. Il potere esecutivo - il parlamento è ormai privo di funzioni autonome - si sostituisce a quella che un tempo era la volontà del "popolo sovrano". Di conseguenza è assente la partecipazione attiva dei cittadini e decade il loro
senso di appartenenza ad una comunità civile e democratica.
 Oltre a ciò, il processo di globalizzazione ha posto in crisi le strutture del Welfare state e ha favorito la nascita di regimi che, pur sventolando ancora la bandiera della democrazia, sono in realtà oligarchie elitarie, tecnocratiche e repressive. Sono
regimi orientati alla pura efficienza economico-finanziaria, al benessere della classe dominante e alla discriminazione dei cittadini non abbienti, in particolare dei migranti, trattati non di rado come "barbari invasori".
 In questo quadro, il processo di globalizzazione aggrava ulteriormente gli squilibri sociali non risolti dal Welfare state. La competizione globale impone la concorrenza soprattutto nei settori produttivi più deboli, a cominciare dalla forza-lavoro. Il
lavoro dipendente è ormai scarso, precario, segmentato, poco retribuito, anche a causa della concorrenza di paesi caratterizzati da un eccesso di forza-lavoro e da una scarsa protezione dei lavoratori (19).
 Ai processi di globalizzazione corrisponde nella maggioranza dei paesi occidentali una profonda trasformazione delle politiche penali e repressive: una trasformazione per la quale Loïc Wacquant (1960) ha coniato l'espressione: "dallo Stato
sociale allo Stato penale" (20). Gli Stati occidentali accordano un'importanza crescente alla difesa poliziesca delle persone e dei loro beni. E l'amministrazione penitenziaria tende a occupare spazi sempre più ampi. Si ritiene infatti che il carcere
sia lo strumento più efficace per far fronte agli sconvolgimenti causati- dallo smantellamento dello Stato sociale e dll'insicurezza sociale che investe sempre più i soggetti deboli ed emarginati.
3. Un pacifismo al tramonto
Per quanto riguarda la pace, la mia opinione è che essa non è mai stata così apertamente violata dalle istituzioni internazionali e senza alcun rispetto del diritto internazionale, scritto e consuetudinario. Nel contesto del processo di globalizzazione
la guerra di aggressione è stata sempre più legalizzata e "normalizzata" come una "guerra giusta". Le grandi potenze occidentali hanno dichiarato di usare la guerra come uno strumento essenziale per diffondere i diritti umani e la democrazia in
tutto il mondo.
Il patibolo globale offre uno spettacolo quotidiano così scontato e ripetitivo da essere ormai stucchevole per le grandi masse televisive.
Si può pertanto sostenere che oggi il terrorismo è un nuovo tipo di guerra, è il cuore della "guerra globale" che è stata scatenata dal mondo occidentale. E il terrorismo è una delle ragioni del diffondersi nel mondo occidentale dell'insicurezza e
della paura. Nel solco della globalizzazione il tramonto dei diritti umani e della democrazia coincide con il tramonto della solidarietà e dell'apertura al dialogo con i "diversi". È un tramonto globale che oscura il nobile sogno di Norberto Bobbio: il
sogno di un mondo unificato, pacificato e governato da una sola autorità sovranazionale (24).
L'erosione dei diritti umani, della democrazia e della pace è dunque l'esito di un processo globale voluto dalle potenze occidentali oltre che garantito dalle istituzioni economico-finanziarie che stanno compromettendo le basi stesse della
sussistenza dell'uomo.
 4. Conclusione
 Concludo chiedendo a me stesso e a chi mi legge se è possibile intravedere qualche soluzione per le tragedie che insanguinano il mondo. Non posso non pensare alle migliaia di bambini che ogni giorno muoiono perché denutriti, alle centinaia di
migliaia di piccoli coltivatori suicidi, alla discriminazione spietata fra ricchi e poveri, fra potenti e deboli, fra noi e gli "altri". Penso alla rovina delle istituzioni democratiche e alla depressione della nuove generazioni prive di solidarietà comunitaria e
di futuro. E penso alla Libia devastata dai feroci bombardamenti della NATO e alla guerra decennale tuttora in corso in Afghanistan.
 Devo confessare, per quello che vale la mia confessione, che non sono in attesa di un mondo migliore. I diritti umani, la democrazia e la pace stanno tramontando tra le fitte nubi della globalizzazione e delle guerre terroristiche che trascina con
sé. Io non sono un ottimista, come non lo era Norberto Bobbio (1909-2004). Il mio pessimismo non mi consente di intravedere un filo di luce all'orizzonte. E tuttavia non dimentico la massima alla quale Bobbio si era comunque ispirato:
 Qualche volta è accaduto che un granello di sabbia sollevato dal vento abbia fermato il motore di una macchina. Anche se ci fosse un miliardesimo di miliardesimo di probabilità che il granello sollevato dal vento vada a finire negli ingranaggi del
motore e ne arresti il movimento, la macchina che stiamo costruendo è troppo mostruosa perché non valga la pena di sfidare il destino" (25).
 E dunque anch'io non nego che valga la pena di lottare in extremis e di sfidare il destino.
Il tramonto della democrazia nell'era della globalizzazione (2010) - Danilo Zolo (http://www.juragentium.org/about/index.html )
Il declino dei modelli classici e post-classici della democrazia
Negli Stati Uniti d'America, in particolare, i leader politici usano il termine democracy per esaltare il proprio regime e per discriminare sul piano internazionale quelli che essi chiamano "Stati canaglia" (rogue states).
Oltre a tutto ciò, oggi si deve riconoscere che anche la "dottrina pluralistica" della democrazia, affermatasi in Occidente dopo la seconda guerra mondiale, è ormai in declino. Nelle società moderne - aveva sostenuto Joseph Schumpeter (1) - la democrazia si fonda su tre principi: il pluralismo delle
élites in concorrenza fra loro per la conquista del potere politico; il carattere alternativo dei loro programmi; una libera e pacifica competizione elettorale per la scelta da parte del popolo dell'elite che deve governare. Autori come Robert Dahl, John Plamenatz, Raymond Aron, Giovanni Sartori (2)
hanno sostenuto, nella scia di Weber e di Schumpeter, che la gestione del potere deve essere necessariamente affidata ad una ristretta classe dirigente, composta di politici di mestiere, dotati di competenze specifiche. Al pubblico "incompetente" dei cittadini può essere riservata esclusivamente la
funzione di scegliere l'élite alla quale affidare il potere di comando e alla quale ubbidire disciplinatamente.
Il potere politico ed economico si è concentrato nelle mani di poche superpotenze e il diritto internazionale è ormai subordinato alla loro volontà assoluta. La sovranità politica degli Stati nazionali si è molto indebolita, mentre la funzione dei Parlamenti è stata limitata dal potere delle burocrazie
pubbliche e private, inclusa la burocrazia giudiziaria e le corti costituzionali. Nello stesso tempo il potere esecutivo ha assunto una funzione egemonica, alterando la divisione dei poteri che era stata la caratteristica del Rechtsstaat eurocontinentale e del rule of law anglo-americano.
Oggi non è chiaro neppure che cosa siano i "partiti politici". Come hanno sostenuto Leslie Sklair e Luciano Gallino, le democrazie sono dominate dall'egemonia di alcune élites economico-politiche al servizio di intoccabili interessi privati (3). È la cosiddetta "nuova classe capitalistica transnazionale"
che domina i processi di globalizzazione dall'alto nel senso che i partiti operano circolarmente come fonte della propria legittimazione e riproduzione.
I partiti non sono in nessun senso dei canali della rappresentanza politica, volontariamente sostenuti dai propri militanti ed elettori. Usando sistematicamente lo strumento dalla Televisione, i leader politici si rivolgono direttamente ai cittadini-consumatori mettendo in mostra i propri "prodotti
propagandistici" secondo abili strategie di marketing televisivo. La loro funzione è in sostanza quella di investire il loro potere e il loro denaro entro circuiti finanziari informali e spesso occulti vantaggi e privilegi.
Come hanno sostenuto Alan Wolfe (6) e Norberto Bobbio (7), nelle democrazie contemporanee convivono le strutture di un "doppio Stato". È un doppio Stato nel senso che accanto ad uno Stato visibile esiste nelle democrazie occidentali uno "Stato invisibile", una sorta di sottofondo insondabile delle
formalità democratiche. Bobbio indica un particolare ambito di invisibilità del potere: è il duplice intreccio fra la politica nazionale e l'economia mondiale.
Ciò che rimane è la libertà di voto "negativa", nel senso che l'elettore è libero di partecipare o di non partecipare alle elezioni e di esprimere una preferenza elettorale. Ma non sono gli elettori a decidere quali questioni politiche devono essere sottoposte al loro giudizio: qualcuno prima di loro e al loro
posto stabilisce che cosa sottoporre alla loro decisione e che cosa invece riservare ad accordi segreti, eliminando ogni rischio di destabilizzazione istituzionale. Siamo dunque in presenza di un regime che a mio parere si può chiamare "tele-oligarchia post-democratica": una post-democrazia nella
quale la grande maggioranza dei cittadini non "sceglie" e non "elegge", ma ignora, tace e obbedisce (9).
L'opinione pubblica all'interno di uno Stato non dispone di fonti di informazione indipendenti dal sistema telecratico nazionale e internazionale. Le Televisioni locali sono collegate alla grande struttura internazionale dell'industria multimediale. La comunicazione pubblicitaria diffonde in tutto il mondo
messaggi simbolici fortemente suggestivi che esaltano la ricchezza, il consumo, lo spettacolo, la competizione, il successo, la seduzione del corpo femminile.
Grazie alla Televisione l'espansione della produzione industriale e del consumo non solo ispira le strategie delle élites politiche al potere, ma domina anche l'immaginazione collettiva.
Bobbio ha sostenuto che lo strapotere del mezzo televisivo ha causato un'inversione del rapporto fra i cittadini controllori e i cittadini controllati: sono le ristrette minoranze dei funzionari di partito e degli eletti a controllare le masse degli elettori e non viceversa (11). E un'ulteriore causa alla
subordinazione politica dei cittadini sono gli opinion polls. Sotto l'apparenza del rigore scientifico i "sondaggi" vengono usati non per analizzare ma per manipolare la cosiddetta "opinione pubblica". Le agenzie demoscopiche, al servizio delle élites più influenti, registrano le risposte del pubblico ai loro
questionari e grazie alla televisione influenzano l'opinione pubblica attraverso la divulgazione selettiva dei risultati dei sondaggi.
L'esperienza italiana è esemplare. Il potere che da quasi un ventennio domina l'opinione pubblica italiana è essenzialmente quello televisivo, sotto il monopolio di un leader - Silvio Berlusconi - che deve il suo successo alla sua straordinaria ricchezza, alla proprietà di larga parte delle emittenti
televisive private e al controllo politico della televisione pubblica.
Nella democrazia moderna la volontà del potere esecutivo - il Parlamento è ormai sostanzialmente privo di funzioni autonome - si sostituisce di fatto alla presunta volontà del "popolo sovrano", mentre la sovranità popolare non è più che una "maschera totemica" (12). Le élites economico-politiche
sono fortemente condizionate da interessi di parte, dalle strategie internazionali e dagli obiettivi globali delle grandi potenze.
Nelle analisi di Bobbio la democrazia era intesa come un complesso di regole procedurali il cui rispetto garantiva un contenuto politico minimo: la tutela giuridica delle libertà civili, la pluralità dei partiti e la periodicità delle elezioni (13). Bobbio non solo aveva rinunciato ad una difesa più ampia delle
istituzioni democratiche, ma aveva redatto un severo catalogo delle "promesse non mantenute" della democrazia moderna.
Il cosiddetto consenso democratico era ormai una finzione istituzionale, un formula rituale di giustificazione ideologica della politica, non certo la ricerca di un consenso effettivo, fondato sulle reali convinzioni dei cittadini (15).
La mia opinione è che le analisi di Kelsen, di Bobbio e di Luhmann, nonostante il loro realismo e la loro acutezza, siano oggi teoricamente insufficienti di fronte alla sfida globale lanciata negli ultimi decenni dalla rivoluzione tele-informatica, dai processi di globalizzazione economico-finnanziaria e dalla
concentrazione del potere politico internazionale nelle mani di alcune superpotenze occidentali. E non si può trascurare il fatto che la guerra contro il global terrorism, in nome della quale viene usata la violenza e repressa la libertà, è essa stessa una guerra che diffonde il terrore facendo strage di
persone innocenti con mezzi di distruzione di massa (16).
L'evoluzione si è interrotta definitivamente nel corso degli ultimi decenni. La globalizzazione ha posto bruscamente in crisi il Welfare state e ha favorito il costituirsi di regimi che, pur sventolando ancora la bandiera della "democrazia", sono in realtà oligarchie elitarie, tecnocratiche e repressive. Sono
regimi orientati alla pura efficienza economico-politica, al benessere delle classi dominanti e alla discriminazione dei cittadini non abbienti e, in modo tutto particolare, dei migranti extracomunitari, trattati e sfruttati non di rado come servi o come schiavi.
2. Il crepuscolo dello Stato sociale e le due nozioni di "sicurezza"
In aggiunta a tutto quanto ho sinora sostenuto, non si può non riconoscere che anche il modello democratico dello Stato sociale o Welfare State è oggi in crisi nei principali paesi occidentali. Il livello più alto raggiunto in Occidente da un sistema politico nel tentativo di regolare democraticamente i
rapporti economico-sociali e di ridurre l'insicurezza è stato senza dubbio il Welfare state (17). Le libertà fondamentali, l'habeas corpus, la proprietà privata, l'autonomia negoziale, il suffragio universale e in genere i diritti politici erano già stati formalmente garantiti dallo Stato di diritto
liberaldemocratico. Ma lo Stato sociale, a partire dagli anni trenta del Novecento, aveva tentato di andare oltre lo Stato di diritto liberaldemocratico tutelando i cosiddetti "diritti sociali": il diritto al lavoro, il diritto all'istruzione e il diritto alla salute, oltre a una serie di prestazioni pubbliche di carattere
assicurativo, assistenziale e previdenziale. Si può dire che lo Stato sociale si è fatto carico dei rischi - e quindi dell'insicurezza e della paura - strettamente legati all'economia di mercato, fondata su una logica contrattuale e concorrenziale che suppone la diseguaglianza economico-sociale degli
individui e la riproduce senza limiti.
Oggi è largamente condivisa l'idea che lo Stato sociale attraversi una grave crisi a causa dei processi di trasformazione economica e politica che vanno sotto il nome di globalizzazione. Autori come Ulrick Beck, Loïc Wacquant, Luciano Gallino, Joseph Stiglitz, Robert Castel (18) hanno riconosciuto
che la globalizzazione ha segnato il trionfo dell'economia di mercato moltiplicando in pochi decenni la quantità globale dei beni prodotti e quindi la ricchezza complessiva. Oggi le 20 persone più ricche del mondo dispongono di una ricchezza complessiva pari a quella del miliardo più povero (19).
Per quanto riguarda la crisi del Welfare state, l'onere di un'ampia serie di rischi sociali è stato posto sempre più a carico dei singoli cittadini, anziché della comunità, secondo un approccio orientato a privatizzare la responsabilità del rischio e dell'incertezza.
La competizione globale impone criteri di concorrenza soprattutto nell'area dei fattori produttivi più deboli, a cominciare dalla forza-lavoro. In presenza di una accresciuta concorrenza, le imprese tendono a liberarsi della quasi totalità dei tradizionali lavoratori dipendenti a favore di prestazioni lavorative
"flessibili.
La crescente "flessibilità" del lavoro sta portando a un indebolimento dell'intero apparato delle tutele democratiche garantite sinora ai lavoratori e alle loro famiglie.
Le nuove parole d'ordine sono ovunque: privatizzazione, subordinazione di tutti i lavoratori, pubblici e privati, alle regole del rapporto di lavoro subordinato, contrazione di ogni erogazione pubblica che non sia motivata da un'assoluta emergenza, abbandono delle politiche di pieno impiego e comunque
di sostegno del diritto al lavoro, attenuazione delle difese sociali predisposte a favore degli anziani e dei disabili.
3. Dallo Stato democratico alla società penitenziaria
Il termine "sicurezza" è sempre meno associato ai legami di appartenenza sociale, alla solidarietà, alla prevenzione, all'assistenza, in una parola alla sicurezza intesa come garanzia democratica per tutti di trascorrere la vita al riparo dall'indigenza, dalle malattie, dallo spettro di una vecchiaia
invalidante e miserabile, da una morte precoce.
Zygmunt Bauman, nel suo Liquid Fear, ha sostenuto che in tempi di globalizzazione la sicurezza all'interno degli Stati è sempre più concepita come "incolumità individuale" sulla base dell'assunzione che ci troviamo di fronte ad un costante aumento della criminalità (22). Ai processi di globalizzazione
corrisponde nella maggioranza dei paesi occidentali una profonda trasformazione delle politiche penali e repressive: una trasformazione per la quale Loïc Wacquant ha coniato l'espressione "dallo Stato sociale allo Stato penale" (24).
Un caso esemplare è rappresentato dalle politiche penali e penitenziarie praticate negli Stati Uniti nell'ultimo trentennio. La superpotenza americana occupa il primo posto sia nella lotta contro la criminalità, sia nell'incarcerazione di un numero crescente di detenuti (solo la Federazione russa si avvicina
alle quote statunitensi). A questo primato si aggiunge, come è noto, l'ostinata applicazione della pena di morte. Dal 1980 ad oggi negli Stati Uniti la popolazione penitenziaria si è più che triplicata, raggiungendo nel 2007 la cifra di oltre 2.300.000 detenuti. Il tasso di detenzione è il più alto del mondo:
753 cittadini incarcerati ogni 100.000 (26), sette volte più che in Italia.
4. Sicurezza, libertà, autonomia cognitiva
Dirò semplicemente che a mio parere il primo compito di un movimento progressista che sia in sintonia con i problemi posti dai processi di globalizzazione è quello di lasciarsi alle spalle il codice delle certezze marxiste, ma senza abbandonare la visione generale del mondo che il marxismo ci ha
lasciato in eredità. Come ha scritto Norberto Bobbio (30), il marxismo ci ha insegnato a vedere la storia umana dal punto di vista degli oppressi e a mettere da parte il moralismo politico per una scelta realista e conflittualistica.
L'idea classica di "eguaglianza sociale" è difficilmente proponibile entro le moderne società postindustriali. Stretti fra il bisogno di identità e una crescente pressione omologatrice, prodotta dai mezzi di comunicazione e dal mercato, gli individui sembrano attratti da una sorta di "bisogno di
diseguaglianza", dall'aspirazione a realizzare e proclamare la propria differenza. E lo fanno non necessariamente per raggiungere posizioni di privilegio, ma per realizzare in qualche modo la propria libertà di fronte alla muraglia del conformismo. Soprattutto fra i più giovani la paura fondamentale è di
non essere se stessi, di non essere nessuno, di fallire come esseri umani. Ciò di cui le nuove generazioni sentono bisogno non è però semplicemente la libertà "negativa", la libertà di non essere impediti da costrizioni esterne, secondo la formulateorizzata da Isaiah Berlin (32). Si aspira a qualcosa di
più e di diverso: ciascuno vorrebbe disegnare il profilo della propria vita. Ciascuno vorrebbe che il suo destino fosse il risultato di un suo progetto su se stesso, non di un disegno altrui. Vorrebbe controllare i suoi processi cognitivi, i suoi sentimenti e le sue emozioni: in poche parole, aspira alla sua
"autonomia cognitiva".
Per autonomia cognitiva, come essenza stessa della libertà individuale, si può intendere la capacità del soggetto di controllare, filtrare e interpretare razionalmente le comunicazioni che riceve. In presenza di una crescente efficacia persuasiva dei mezzi di comunicazione di massa il destino delle
istituzioni politiche occidentali sembra dipendere dall'esito della battaglia a favore di questo fondamentale "diritto umano", l'"autonomia cognitiva", che potrebbe essere anche chiamato habeas mentem.
Solo chi dispone di solide radici identitarie riconosce l'identità altrui, rispetta la differenza, cerca il dialogo con gli altri, rifugge da ogni fondamentalismo e dogmatismo, è sicuro che l'incontro fra le diverse culture e civiltà del pianeta non è soltanto la condizione della pace ma è anche un patrimonio
evolutivo irrinunciabile per la specie umana.
Violenza, democrazia, diritto internazionale (2010) – Danilo Zolo (http://www.juragentium.org/about/index.html )
Quale democrazia?
Un regime è democratico se le autorità politiche 'rispondono' alle aspettative dei cittadini rispettandone e promuovendone i diritti fondamentali, e se sono 'responsabili': se cioè devono rendere conto delle loro decisioni di fronte ad un elettorato
capace di valutazioni sufficientemente autonome e competenti.
Oggi si sta diffondendo nel mondo una diffidenza crescente nei confronti delle democrazie occidentali - e della democrazia tout court -, ciò accade molto probabilmente perché la potenza democratica per antonomasia, gli Stati Uniti d'America,
tende ad assumere funzioni che non rientrano nella logica vestfaliana del pluralismo degli Stati, dell'equilibrio di potenza e della ritualizzazione giuridica della guerra. L'uso sistematico della forza militare cui ricorrono oggi gli Stati Uniti sembra
corrispondere ad un disegno di egemonia globale che a mio parere è corretto interpretare alla luce di un modello neo-imperiale, legibus solutus.
 Alcuni intellettuali statunitensi - fra questi Robert Kagan e Michael Ignatieff - hanno sostenuto che gli Stati Uniti sono costretti ad una politica estera imperiale per difendere la loro democrazia interna e, in generale, la democrazia. In realtà la loro
democrazia interna è ormai poco più che una finzione procedurale, assai lontana dagli standard anche di una nozione minima di democrazia.
 2. Guerra democratica? Guerra umanitaria?
Con buona pace di John Rawls e del suo seguace italiano, Salvatore Veca, gli interventi 'umanitari' dell'Occidente hanno violato non solo le regole dello jus ad bellum, ma anche quelle dello jus in bello: nessuna limitazione 'umanitaria' degli
strumenti bellici è stata praticata (e, rebus sic stantibus, è praticabile, considerato lo strapotere degli aggressori). Anzi, è vero il contrario: le 'guerre umanitarie' sono servite, soprattutto agli Stati Uniti, per sperimentare nuove armi, sempre più
sofisticate e devastanti. Basti pensare all'uso delle cluster bombs, dei proiettili all'uranio impoverito (DU), degli ordigni quasi-nucleari come i fuel-air explosives e come le micidiali bombe 'taglia-margherite' (daisy-cutter), per non dire dei
bombardamenti, in larga parte intenzionali, degli ospedali, delle carceri, delle stazioni televisive, delle fabbriche e delle ambasciate. Il fatto che in Occidente ci sia qualcuno che definisce queste guerre 'democratiche' e che per di più le giustifica
come strumenti 'umanitari', idonei per 'esportare' i diritti umani e la democrazia - fra costoro c'è stato purtroppo in questi anni anche Jürgen Habermas - getta luce su un particolare non trascurabile: chiarisce perché il global terrorism, anziché
essere sconfitto, si diffonde sempre più in tutto il mondo sino a diventare la sola risposta, tragica e impotente, dei popoli oppressi allo strapotere degli Stati Uniti e dei loro più stretti alleati, l'Italia compresa. Gli italiani non dovranno stupirsi se
saranno sempre più oggetto, in Iraq e non solo in Iraq, non di gratitudine servile, come il governo italiano pretenderebbe, ma di odio terroristico.
 3. Violenza 'umanitaria' e guerra di aggressione
 Alcuni autori - fra questi Michael Ignatieff - hanno sottolineato che in Europa ci sono state reazioni molto diverse alla guerra per il Kosovo e alla guerra contro l'Iraq, pur essendosi trattato in entrambi i casi di un uso della forza internazionale
formalmente 'illegittimo'. Personalmente non dispongo di argomenti significativi per 'spiegare' la diversità delle reazioni del grande pubblico - in Europa e in particolare in Italia - di fronte a due eventi in larga parte simili. In Italia ha sicuramente
influito, nel caso della guerra per il Kosovo, il fatto che in prima linea, nel volere e nel giustificare la guerra, c'era un governo di centro-sinistra, guidato da un ex-comunista bellicista come Massimo D'Alema. E forse ha influito anche il sostanziale
silenzio del pontefice romano, che non ha mai nascosto le sue simpatie per la cattolicissima e un tempo clerico-fascista Croazia e le sue antipatie per la Serbia ortodossa ed ex comunista. Come è noto, a 'guerra umanitaria' appena conclusa, il
pontefice non ha esitato a benedirla pubblicamente, in occasione del 'Giubileo dei militari' celebrato a Roma, in San Pietro, nel 2000. Nel caso della guerra contro l'Iraq la sinistra riformista, trovandosi all'opposizione, ha ritenuto di doversi opporre
alla guerra, pur con molte esitazioni e tentazioni bipartisan e con argomenti spesso goffi e confusi. E in questo caso il Pontefice romano si è schierato più chiaramente per una soluzione pacifica e i cattolici lo hanno seguito in massa, impugnando
le bandiere multicolori della pace. Ma molto probabilmente la ragione principale del diverso atteggiamento sta nell'effetto simbolico dell'11 settembre. Soprattutto i giovani - i giovani del nuovo pacifismo, di un pacifismo realista e politico e non
spiritualisticamente evanescente - hanno avvertito il profondo disagio di un mondo sempre più 'globalizzato' e nello stesso tempo dominato dalla competizione, dalla guerra e dal terrorismo: un mondo carico di rischi e quindi fonte di insicurezza, di
angoscia e di paura. Un pacifismo che nasce dalla paura di fronte al diffondersi della violenza nel mondo è più serio e concreto di un pacifismo motivato da elevate aspirazioni moralistiche e irenistiche.
4. Guerra e diritto internazionale
Autori come Stephen Krasner e Robert Keohane hanno mostrato che vaste aree normative possono emergere da trattati multilaterali e stabilizzarsi nel tempo: si pensi alla protezione dei cittadini all'estero, ai rapporti diplomatici e consolari, al
sistema dei cambi, alla disciplina delle attività umane nell'Antartico, all'accordo postale mondiale e a quello sulle previsioni meteorologiche.
Ciò a cui sicuramente mi oppongo è quello che ho chiamato il 'modello cosmopolitico della Santa Alleanza', e cioè l'idea che una pace stabile e universale possa venire da una concentrazione politico-militare planetaria impegnata a soffocare e
gestire i conflitti sovrapponendo ad essi una forza militare soverchiante. E mi oppongo all'idea che la costituzione di un forte Leviatano sovranazionale sia la soluzione di quasi tutti i problemi dell'umanità.
Ovviamente, perché la negoziazione e la cooperazione politica siano efficaci ci sono complesse precondizioni economiche, tecnologico-informatiche, culturali, religiose, condizioni che rendano possibile un confronto interculturale fra le grandi
civiltà del pianeta. Certo, la sfera pubblica internazionale oggi è occupata - e vanificata nelle sue potenzialità equilibratrici e moderatrici - dagli eserciti imperiali anglo-americani. Per questo, ogni tentativo di contrastare il monismo e il monoteismo
dell'occidente angloamericano deve essere guardato a mio parere con simpatia.
Cina, la cui ambizione a porsi come la grande variabile degli equilibri mondiali dei prossimi decenni è sempre più evidente e credibile. Penso alle strategie che in paesi come l'Argentina e il Brasile si stanno faticosamente mettendo a punto per
resistere all'offensiva panamericana (l'Alca) contro l'autonomia economica e politica dell'area del Mercosur e dell'intero subcontinente latino-americano. E penso ai processi di polarizzazione dell'economia e della politica africana attorno a centri
attrattori come la Nigeria e il Sud-Africa. Per questo trovo di grandissimo interesse l'idea, lanciata dall'attuale governo brasiliano, di una alleanza strategica fra paesi come la Cina, l'India, il Sud-Africa e il Brasile contro l'unilateralismo egemonico
che oggi domina i processi di globalizzazione. Ma resta anche, non lo nego, il tema delicatissimo delle controindicazioni ai processi di integrazione regionale, non solo in Europa: quale funzione devono conservare le autonomie e le differenze
nazionali e soprattutto sub-nazionali entro l'inevitabile spinta verso l'omologazione dei valori, degli stili di vita, delle tradizioni normative che ogni processo di integrazione comporta?
 5. Violenza terroristica e guerra globale
 Il diritto internazionale è concepito e praticato dalla maggioranza dei giuristi internazionalisti occidentali come una disciplina che registra gli orientamenti normativi di volta in volta emergenti dalle strategie delle grandi potenze. Sono le grandi
potenze che fanno il diritto internazionale e la scienza del diritto internazionale ha il compito di razionalizzare e formalizzare come nuove regole le decisioni via via assunte dalle grandi potenze. Il diritto internazionale perde quasi totalmente la sua
funzione normativa per assumere un ruolo meramente adattivo di generalizzazione e legittimazione ex post del fatto compiuto.
Nel caso dell'11 settembre la scienza del diritto internazionale ha operato, salvo alcune eccezioni - quella di Antonio Cassese, ad esempio - secondo la stessa vocazione 'adattiva'. Ha equiparato l'attentato compiuto da una organizzazione
terroristica ad un attacco armato di uno Stato contro un altro Stato, invocando quindi il diritto di difesa (in realtà di aggressione) dello Stato vittima dell'attentato nei termini dell'art. 51 della Carta delle Nazioni Unite. In questi termini è stata
legalizzata la guerra degli Stati Uniti contro l'Afghanistan. Questa disinvolta operazione esegetica è stata avallata in Italia dalle massime autorità dello Stato - dai Presidenti delle Camere al Presidente della Repubblica - che hanno di fatto svuotato
l'art. 11 della Costituzione italiana - "L'Italia ripudia la guerra come strumento di risoluzione delle controversie internazionali" - come ormai superato dal fenomeno del terrorismo internazionale.
In questi ultimi quindici anni, si è sviluppato un processo di transizione dalla 'guerra moderna' alla 'guerra globale'. Questa transizione non riguarda soltanto la morfologia della 'nuova guerra', e cioè la sua dimensione strategica e la sua
potenzialità distruttiva, che hanno assunto entrambe una misura globale. Strettamente connessa, come ho accennato, è una vera e propria eversione del diritto internazionale moderno e una regressione alle retoriche antiche di giustificazione della
guerra, inclusi importanti elementi della dottrina 'monoteistica' del bellum justum e del suo nocciolo teologico-sacrificale di ascendenza biblica: la 'guerra santa' contro i barbari e gli infedeli. Queste retoriche sono diventate oggi, nel contesto della
globalizzazione dei mezzi di comunicazione di massa, uno strumento bellico di eccezionale rilievo.
La crisi dello Stato democratico - intervista di Julia Netesova a Danilo Zolo (2010) (http://www.juragentium.org/about/index.html )
Julia Netesova. Gli Stati contemporanei devono affrontare numerose sfide che modificano il loro rapporto con la società: l'interferenza dello Stato è in aumento, gli apparati di sicurezza tendono a divenire più influenti
e importanti e, soprattutto, la gente è sempre più preoccupata per la propria sicurezza. Pensa che questi trend influenzeranno la democrazia? In che modo?
Danilo Zolo. Due sono a mio parere i fenomeni più evidenti e più rilevanti. Il primo è il processo di sfaldamento degli istituti della rappresentanza politica che erano alla base del tradizionale modello "democratico",
anche nelle sue forme più moderate e realiste à la Schumpeter. I suoi principali assiomi - il pluralismo dei partiti, la competizione fra programmi politici alternativi, la libera scelta elettorale fra élites concorrenziali -
sono ormai degli enunciati sfuggenti, puramente formali. Anche il parlamento non svolge più alcuna funzione rappresentativa e legiferante, sostituito dal "governo" che tende a concentrare in sé tutti i poteri dello Stato
di diritto (o rule of law) e a praticare una permanente ignorantia legis. Il secondo fenomeno è la pressione crescente che il potere esecutivo esercita sui cittadini. In questo contesto il sistema dei partiti è un ristretto
apparato "autoreferenziale", che opera circolarmente come fonte della propria legittimazione e della promozione degli interessi delle grandi imprese produttive e degli enti finanziari, come le banche d'affari, gli
investitori istituzionali, i fondi pensione, le compagnie di assicurazione. In questa veste il potere "post-democratico" svolge un ruolo di controllo e di repressione dei comportamenti privati. Nei paesi occidentali - USA
ed Europa occidentale in particolare - il Welfare State sta scomparendo mentre avanzano sempre più il controllo poliziesco pubblico e privato, la segregazione degli strati più poveri della cittadinanza (la Zero
tolerance newyorkese), l'incontenibile espansione della popolazione carceraria, in particolare in paesi come gli Stati Uniti, l'Italia, la Francia, l'Inghilterra. Stiamo passando, ha scritto Loïc Wacquant, dallo Stato sociale
allo Stato penale.
 Mosca oggi
 J.N. La globalizzazione porterà alla scomparsa dei modelli alternativi o i movimenti di resistenza alla globalizzazione rilanceranno la ricerca di alternative adattabili ai contesti etno-culturali?
 D.Z. A mia conoscenza il solo tentativo di dar vita a forme politiche alternative al modello liberaldemocratico nell'ambito di paesi non occidentali è quello che si è affermato sotto il nome di Asian values nell'area
dell'Oceano indiano e del Pacifico.
 J.N. Stiamo assistendo al mutamento dell'interazione tra le elite e la società. Alcuni esperti dicono che questa interazione è in via di scomparsa, sta diventando meno intensa e meno frequente. È d'accordo? Quali
strumenti potrebbero invertire la tendenza?
 D.Z. Personalmente non vedo alcuna possibilità di recupero nel breve periodo di un rapporto fra cittadini ed "élites democratiche" che operino come veicoli delle aspettative popolari e siano sostenute dai propri
militanti ed elettori. La globalizzazione ha favorito il costituirsi di regimi che, pur sventolando ancora, opportunisticamente, la bandiera della democrazia, sono in realtà oligarchie elitarie, tecnocratiche e repressive che
vivono all'ombra del mercato globale.
J.N. La società civile è nata dal conflitto con lo Stato che tentava di espandere la propria autorità. Oggi gli Stati stanno diventando globali, stanno cedendo il loro potere a una sorta di Stato mondiale. Anche la società
civile sta diventando globale. Che correlazioni esistono fra questi due processi? In che modo lo Stato mondiale e la società civile globale si influenzeranno reciprocamente nel corso di questa trasformazione?
 D.Z. La mia opinione è che oggi non esiste e non ci sarà mai uno Stato globale se per "Stato globale" (World state) si intenda una struttura di potere mondiale centralizzato e concentrato in un unico governo, in
qualche modo rappresentativo delle aspettative e degli interessi della popolazione mondiale.
J.N. Pensa che internet e i social networks diventeranno un nuovo fattore della democrazia contemporanea, che ne modificherà le caratteristiche? Si creerà un nuovo modello di "uomo sociale"?
 D.Z. Ci sono autori - ed io sono fra questi - che sottolineano la crescente specializzazione delle funzioni politiche entro le società minimamente industrializzate e la scarsità delle risorse di tempo, di attenzione e di
competenza socialmente disponibili per la partecipazione politica anche sul terreno semplicemente informatico. Ci sono molti dubbi che le tecnologie informatiche possano contribuire ad una diffusione nazionale e
tanto meno transnazionale dei valori e delle istituzioni democratiche. La possibilità di prendere decisioni politiche pertinenti dipende assai meno dalla disponibilità di tecniche di comunicazione rapida che non dalla
capacità degli attori sociali di controllare e selezionare criticamente le proprie fonti cognitive, in un contesto di generale trasparenza sia dei meccanismi di di emissione delle notizie, sia dei processi decisionali. Non va
dimenticato che le nuove tecnologie della comunicazione hanno notevolmente accentuato le diseguaglianze su scala mondiale. Il cosiddetto global digital divide taglia in due il mondo "globalizzato". Nei trenta, ricchi
paesi dell'OCSE, nei quali risiede meno di un quinto della popolazione mondiale, risulta presente il 95% delle utenze stabili di Internet mentre l'Europa sorpassa di 41 volte l'Africa, che pure ha una popolazione più
numerosa di quasi 100 milioni. Complessivamente meno del 6% della popolazione mondiale è connesso alla rete: circa 4 miliardi di persone oggi ne sono escluse. Mentre gli Stati Uniti e il Canada contano assieme
circa il 60% dei "navigatori", l'Africa e il Medio Oriente raggiungono assieme il 2%.
 J.N. Che genere di sfide le società multiculturali pongono alla democrazia? Come si trasformano le forme e le procedure democratiche nelle società divise da identità culturali, etniche e religiose differenti? In che
modo la democrazia può armonizzarsi con il pluralismo e il multiculturalismo?
D.Z. La lotta per l'acquisto delle cittadinanze pregiate dell'Occidente è condotta da parte di masse sterminate di soggetti appartenenti ad aree continentali senza sviluppo e con un elevato tasso demografico. Questa
lotta assume la forma della migrazione di massa di soggetti molto deboli ma che esercitano, grazie alla loro infiltrazione capillare negli interstizi delle cittadinanze occidentali, una forte pressione per l'eguaglianza. La
replica da parte delle cittadinanze minacciate da questa pressione "cosmopolitica" - in termini sia di espulsione violenta degli immigrati, sia di negazione della loro qualità di soggetti civili - sta scrivendo e sembra
destinata a scrivere nei prossimi decenni le pagine più luttuose e più squallide della storia politica dei paesi occidentali.
J.N. Lo scorso settembre la Russia ha ospitato un importante World Global Policy Forum a Yaroslav - un'iniziativa del Presidente Medvedev che ha raccolto alcuni dei più importanti politici ed esperti a livello
mondiale. L'argomento principale in discussione era: "Modern State: Standards of Democracy". Può suggerire un altro tema da discutere a Yaroslav nel 2011? Quali eventi dovrebbero essere trattati nel programma
del convegno?
 D.Z. Ci sono tre temi che mi stanno particolarmente a cuore e che ho trattato in un mio recente volume: 1. la crisi della dottrina dei diritti umani come ideologia occidentale in declino, a cominciare dalla costante,
tragica violazione del diritto alla vita; 2. la trasformazione in corso dei paesi occidentali dalla forma dello Stato democratico a quella di una società repressiva e penitenziaria; 3. il fallimento dell'obiettivo di una pace
universale, compito inutilmente attribuito alle Nazioni Unite dalle potenze vincitrici della seconda guerra mondiale, l'Unione Sovietica compresa. Mi permetto di segnalare in particolare il tema dell'urgente necessità di
una riforma delle istituzioni internazionali che includa anzitutto le Nazioni Unite, il Fondo monetario internazionale e la Banca mondiale, che fra l'altro sono tutte insediate nel continente americano senza alcuna
ragione. (Russian Journal, November 19, 2010)
Quale democrazia nell'Africa mediterranea? (2011) - Danilo Zolo (http://www.juragentium.org/about/index.html )
Una primavera araba
Ciò che purtroppo sembra possibile affermare con sicurezza è soltanto che il Mediterraneo orientale è destinato ad essere ancora per molto tempo l'epicentro incandescente di una lotta feroce: la tragedia del popolo palestinese e la violenza dello
Stato di Israele dureranno a lungo, coinvolgendo nel loro conflitto il Mediterraneo intero, e non solo. La pace nel mondo islamico è lontana e penso che sia prudente non essere ottimisti (2).
Un povero venditore di frutta e verdura
Non è facile tentare di ricostruire le origini, le motivazioni e gli obiettivi della rivolta alla quale hanno dato vita migliaia di giovani in Tunisia e in Egitto. Ciò che si può sostenere con certezza è che in entrambi i casi si è trattato di un evento
spontaneo, assolutamente non previsto. A prendere l'iniziativa e a guidare la rivolta non è stata un'organizzazione politica, ideologica o religiosa. Si è trattato piuttosto di una protesta che è corretto definire "morale": un rifiuto intransigente
dell'autoritarismo, della corruzione, della speculazione, del nepotismo e, non ultimo, della tortura.
È chiaro che sia in Tunisia sia in Egitto la rivolta contro i regimi dominanti è stata una coraggiosa manifestazione giovanile: centinaia di migliaia di giovani di età fra i venti e i trent'anni hanno rivendicato con intensa emotività il diritto a vivere
dignitosamente, come Mohamed Buazizi avrebbe voluto. Hanno chiesto ad alta voce che il loro avvenire non fosse più il nulla che da anni li opprimeva: un nulla non lontano dall'infelicità, dalla disperazione, dal suicidio. Il futuro prometteva loro
soltanto disoccupazione, povertà, solitudine, tristezza, abbandono. Si potrebbe dire che è stata la paura del futuro ad animare una rivolta popolare del tutto spontanea, non armata, nata dal basso. I giovani hanno posto al centro delle loro
rivendicazioni la possibilità di una vita onesta e dignitosa, non discriminata da una minoranza di ricchi egoisti e prepotenti. Al centro di ogni altro valore - come vedremo - doveva emergere un principio irrinunciabile: la struttura politica alternativa al
dispotismo doveva chiamarsi ed essere "democrazia".
L'attivismo femminile e i social network
 Altri due elementi hanno caratterizzato la rivolta giovanile tunisina ed egiziana: l'ampia partecipazione femminile e l'intensa comunicazione via Internet. In un suo saggio molto documentato Renata Pepicelli ha mostrato il notevole contributo che
sia in Tunisia che in Egitto migliaia di giovani donne hanno dato alla battaglia contro il dispotismo politico, mettendo spesso a repentaglio la loro vita (7). È noto che per anni il presidente tunisino Ben Ali si era esibito come un convinto tutore dei
diritti delle donne contro i movimenti islamisti. Ma mentre si esibiva come difensore della democrazia, del laicismo e dell'eguaglianza sociale, il suo regime reprimeva spietatamente chi si batteva per la causa dell'uguaglianza di genere, come era il
casodella Association tunisienne des femmes démocrates (Atdf) (8).
Emblema di quest'ultima, coraggiosa battaglia può essere considerata la giovane Asmaa Mahfouz, in qualche modo l'ombra egiziana di Mohamed Buazizi. Con il suo coraggioso video-appello, registrato il 18 gennaio con un telefono cellulare e poi
diffuso da YouTube, è stata la prima persona a stimolare i suoi connazionali perché si riunissero in piazza Tahrir (12). Indimenticabili sono le sue parole, trasmesse con un atteggiamento audace ed entusiasta ed ascoltate da oltre 180mila persone
in Egitto e all'estero.
Questo appello rovescia l'immagine di un regime che si fregiava di essere laico e democratico e che invece opprimeva, impoveriva, umiliava in particolare le donne, negando il loro diritto ad essere cittadine. Queste donne sono scese nelle piazze
e hanno sfidato la violenta repressione in corso, in alcuni casi muorendo sotto il fuoco della polizia. E si deve a loro se la rivolta si è servita di uno strumento prezioso - il Web - e ha ottenuto un imprevedibile successo come simbolo dell'intera
rivendicazione democratica maghrebina. I principali social network quali Facebook, Twitter, Flickr, YouTube sono diventati strumenti fondamentali di critica e di protesta (14). La loro idoneità a diffondere civilmente e legalmente le immagini della
rivolta - sia di quella egiziana che di quella tunisina - ne ha fatto un'arma pericolosa per i leaders in carica, al punto da costringerli ad oscurare per giorni interi le reti telefoniche e Internet.
Quanto alle donne tunisine, esse sono riuscite ad ottenere qualcosa: alle future elezioni dell'Assemblea costituente, che si terranno il 23 ottobre, le liste saranno composte di un numero uguale di donne e di uomini, cosicché almeno un quarto dei
deputati della futura Assemblea costituente saranno donne. Elaborare la nuova costituzione escludendo le donne sarebbe stata una pericolosa violazione dell'eguaglianza fra i sessi. E tuttavia il rischio che esse vengano escluse è comunque molto
alto e loro lo sanno e non si illudono. La primavera arabo-islamica può diventare rapidamente un grigio autunno.
Quale democrazia?
. Per "democrazia" si può intendere, una partecipazione responsabile dei cittadini e delle cittadine ai processi decisionali in modo che, con periodicità regolare, essi possano scegliere liberamente fra soluzioni alternative (18). È dunque inevitabile
riconoscere che la nozione di "democrazia" - costantemente evocata dai giovani tunisini ed egiziani - non appartiene al lessico musulmano e non presenta alcuna connessione con i valori tramandati dalla tradizione coranica
"Democrazia" resta comunque un concetto del tutto estraneo alla cultura islamica: il mondo musulmano non può servirsene se non come espressione di una realtà politica che si è affermata in Occidente, e solo in Occidente, con lo sviluppo della
"modernità". E si tratta di una realtà politica anch'essa investita dal processo di globalizzazione e che tende quindi a trasformarsi, pur conservando il proprio nome, in un regime subordinato allo strapotere dei padroni dell'economia di mercato, oggi
diffusa nel mondo intero (25). E questi padroni sono in larga parte anche i signori del Mediterraneo. A mio parere questo è un tema decisivo per chi intenda in qualche modo essere utile a un movimento giovanile che dopo aver svolto un ruolo di
protagonista nella battaglia antitirannica in Tunisia e in Egitto oggi vorrebbe - e forse dovrebbe - dar vita a un vero e proprio "fronte democratico" (26).
Nei paesi musulmani è insopportabile lo spreco di talento, in particolare quando si incontrano giovani uomini e giovani donne delle classi povere: "Ana daya'" (la mia vita è sprecata) è il Leitmotiv che viene ripetuto. Questi lamenti dovrebbero
essere presi in considerazione se si vuole capire perché i giovani musulmani delle classi più basse, dolorosamente minacciati da un alto tasso di disoccupazione, si mobilitano per vincere il contrasto fra l'islam e la democrazia (30).
La democrazia nelle mani dei potenti
 È vero che la "democrazia" è l'obiettivo fondamentale delle nuove generazioni tunisine ed egiziane, allora non si può chiudere questa riflessione senza tentare di capire se oggi esiste un rapporto positivo fra i paesi islamici dell'Africa
settentrionale e le potenze occidentali che controllano manu militari il Mediterraneo e si considerano per eccellenza "democratiche" e portatrici di democrazia.
  "Democrazia" avrà sostanzialmente il significato che gli Stati Uniti hanno attribuito a questo termine quando hanno deciso di porre sotto il proprio controllo militare il Mediterraneo, il Medio oriente e l'Asia centro-meridonale, moltiplicando le loro
centinaia di basi militari. Hanno iniziato con l'invio di 500mila soldati in Medio oriente e la vittoriosa guerra del Golfo del 1991. E hanno proseguito con le guerre dei Balcani degli anni novanta, con l'aggressione all'Afghanistan e all'Iraq nei primi
anni del Duemila, e hanno infine concluso, almeno per ora, con la sconfitta di Muammar Gheddafi e l'occupazione di fatto della Libia.
 Per i paesi islamici del Mediterraneo il termine "democrazia" avrà dunque un duplice significato. Per un verso sarà ancora una volta l'emblema della "modernità" occidentale e del potere economico, politico e culturale dell'Occidente, infinitamente
superiore a quello dei paesi nord-africani. Come hanno sostenuto Târiq al-Bishrî (31) e Hamadi Redissi (32), il "trauma della modernità" (sadmat alhadâha) continuerà a lungo a "destrutturare" e a lacerare il mondo islamico.
Per un altro verso "democrazia" avrà nuovamente, e con particolare intensità, la funzione che le aveva attribuito nei primi anni del Duemila il penultimo presidente degli Stati Uniti, George Bush Junior e che l'attuale presidente degli Stati Uniti,
Barack Obama, ha ripreso e fatto sua. Si tratta del progetto del Grande Medio Oriente (Broader Middle East (35)) il cui obiettivo dichiarato era usare la forza per "abbattere le dittature ed esportare la democrazia" all'interno mondo islamico, dal
Marocco e dalla Mauritania all'Afghanistan e al Pakistan, naturalmente passando per il Medio oriente con l'ovvia solidarietà dello Stato di Israele. E non si può escludere che il celebre discorso di riconciliazione con il mondo musulmano tenuto al
Cairo da Barack Obama nel giugno del 2009 fosse in realtà una manovra diplomatica per rilanciare e fare accettare ai paesi islamici la strategia "democratica" del Grande Medio Oriente.
Tutto questo non esclude che nell'Africa mediterranea nuove generazioni di uomini e di donne coraggiosi riescano in un prossimo futuro a liberare i loro paesi dal dispotismo e dai privilegi dei ricchi e dei potenti, incluse le potenze occidentali. Ad
attenderli ci sarà l'ombra di Mohamed Buazizi, un povero venditore di frutta e verdura.
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Diritti umani democrazia_guerra_nella_globalizzazione

  • 1. I diritti umani, la democrazia e la guerra nell’era della Globalizzazione Pro e contro
  • 2. Scienze Sociali Inglese Matematica Francese Cinema Diritto Tedesco Italiano Articoli Statistiche Microcredito Autori, Incontri, Siti Immagini, Chi siamo Consiglio di Classe Fine
  • 3. Scienze Sociali Con la disciplina Scienze Sociali abbiamo approfondito alcuni argomenti e alcuni autori: • Danilo Zolo • Serge Latouche • Francesco Gesualdi • Sviluppo Sostenibile • Statistiche
  • 4. Danilo Zolo • Danilo Zolo, nato a Fiume nel 1936, è un giurista e filosofo del diritto italiano. • Ha insegnato Filosofia del Diritto all'Università di Firenze, dove ha fondato, nel 2000, il Centro per la filosofia del diritto Internazionale e delle politiche globali Jura Gentium, che tutt'ora Gentium dirige. Articoli Jura Gentium - http://www.juragentium.org/
  • 5. Articoli di Danilo Zolo • I diritti umani, la democrazia e la pace nell'era della globalizzazione • Il tramonto della democrazia nell'era della globalizzazione • Violenza, democrazia, diritto internazionale • La crisi dello Stato democratico • Quale democrazia nell'Africa mediterranea? • L’inganno delle guerre umanitarie. Il flagello della guerra • Luci ed ombre del pacifismo giuridico di Norberto Bobbio
  • 6. Francesco Gesualdi • Conosciuto anche come Francuccio Gesualdi; nato a Foggia nel 1949, è un attivista italiano. • In gioventù fu allievo di Don Milani alla Scuola di Barbiana. Articoli Centro Nuovo Modello di Sviluppo http://www.cnms.it/
  • 7. Serge Latouche • Serge Latouche, nato a Vannes il 12 gennaio 1940, è un economista e filosofo francese. • È uno degli animatori de La Revue du MAUSS, presidente dell'associazione «La ligne d'horizon», Professore emerito di Scienze economiche all'Università di Parigi XI e all'Institut d'études du devoloppement économique et social (IEDES) di Parigi. Decrescita (1) “La revue du MAUSS” Decrescita (2) “La ligne d’horizon”
  • 8. Edgar Morin • Edgar Nahoum, detto Edgar Morin, (Parigi, 8 luglio 1921) è un filosofo e sociologo francese. • È noto per l'approccio transdisciplinare con il quale ha trattato un'ampia gamma di argomenti. • Conferenza tenuta dal Professor Edgar Morin a cui abbiamo partecipato. “La via. Per l’avvenire dell’umanità”
  • 9. Statistiche • Bilancio demografico • La dimensione multiculturale nelle scuole del Valdarno • Alunni stranieri • Relazione delle attività socio-assist. del Comune di Montevarchi • La presenza di immigrati • L’imprenditoria immigrata • Alunni stranieri in Provincia di Arezzo • Immigrazione e lavoro indipendente in Provincia di Arezzo • Il mercato del lavoro in Provincia di Arezzo • Servizi alle imprese • Carta di credito formativo ILA
  • 10. Inglese • Avram Naom Chomsky (Filadelfia, 7 dicembre 1928) è un linguista, filosofo e teorico della comunicazione statunitense. Professore emerito di linguistica al Massachusetts Institute of Technology è riconosciuto come il fondatore della grammatica generativo- trasformazionale, spesso indicata come il più rilevante contributo alla linguistica teorica del XX secolo.
  • 11. Tedesco • Ulrich Beck è nato a Słupsk il 15 maggio 1944, è un sociologo e scrittore tedesco. • È docente di Sociologia presso la Ludwig-Maximilians- Universität München di Monaco di Baviera e la London School of economics. • Ha pubblicato diversi studi sulla modernità, problemi ecologici, individualizzazione e globalizzazione, oltre ad aver introdotto nuovi concetti nella sociologia, quali l'idea di una seconda modernità e la teoria del rischio. “Die Risikogesellschaft” (la società del rischio)
  • 12. Italiano Decrescita “Dove andiamo? Dritti contro un muro. Siamo a bordo di un bolide senza pilota, senza marcia indietro e senza freni, che sta andando a fracassarsi contro i limiti del pianeta”. Serge Latouche
  • 13. Articoli • Quanti schiavi lavorano per te? • Olio di palma, cotone e caffè: le importazioni italiane pesano troppo • Bocciata la tassa sull'energia rinnovabile • Le banche finanziano i pannelli solari • Le riflessioni e i consigli del libro "Pensare come le montagne" • Giusto il canone sulla tv spazzatura? • Pretendere un Iphone senza sfruttamento • Griffati e tossici: etossilati negli abiti sportivi • Tira una brutta aria: smog in aumento • Camminare come cura • C'è la crisi? Riprendiamoci la Cassa Depositi e Prestiti • Pulire al naturale… la lavastoviglie • Le multinazionali della cosmesi e gli ingredienti nocivi dei loro prodotti • L’INCI • Facciamo il punto • Una vita a km zero • Tessuti bio: non solo cotone... • Il Manifesto politico di Banca Etica • Il codice etico
  • 14. Anna Tani • Professoressa di Italiano, ha lavorato presso l’Istituto Superiore Giovanni da San Giovanni ed è stata per tre anni la nostra insegnante. • Ci ha parlato del Microcredito
  • 15. Microcredito Tema affrontato con la Professoressa Anna Tani che ha tenuto una lezione nella nostra classe sulla ricchezza e sulla povertà nel mondo. Ci ha presentato la figura e il testo di: Muhammad Yunus “Il banchiere dei poveri”
  • 16. Autori su cui abbiamo lavorato • Zygmunt Bauman • Norberto Bobbio • Domenico De Masi • Luciano Gallino • Martha C. Nussbaum • Venkatesh Seshamani • Joseph Stiglitz
  • 17. Incontri con • Danilo Zolo • Francesco Gesualdi • Serge Latouche • Edgar Morin • Anna Tani Siti Consultati • Jura Gentium http://www.juragentium.org/ • Centro Nuovo Modello di Sviluppo http://www.cnms.it/ • Aam Terranuova http://www.aamterranuova.it/ • Il debito pubblico http://www.cnms.it/ • Wikipedia http://www.wikipedia.org/
  • 18.
  • 19.
  • 20. Stage 5H 2011-2012 • Bagiardi Viola • Galletti Chiara • Baldi Elena • Luci Anastasia • Bartolozzi Silvia • Montaghi Federica • Bevilacqua Rita • Mortelli Annalisa • Botarelli Giada • Nocentini Ester • Brancaleone Eliana • Nocentini Gabriele • Bucci Giulia • Novara Giulia • Ciarchi Elena • Olmastroni Lucia • Dal Bianco Vittoria • Regnanti Jessica • De Leo Miriam • Righi Niccolò • Ferrero Valeria Edith • Tilli Noemi
  • 21. Consiglio di classeCoordinatrice del progetto: Grazia Ammannati • Grazia Ammannati • Scienze Sociali • Roberto Donati • Cinema • Alessandro Rosati • Italiano • Laura Borrani • Storia • Vincenzo Verna • Diritto • Lucia Brozzi • Filosofia • Caterina Moretti • Matematica • Giuseppe Tassinari • Scienze Sperimentali • Olga Ratti • Educazione Motoria • Mirella Francalanci • Inglese • Susanna Rossi • Tedesco • Beatrice Bichi • Francese • Daniele Carabot • Religione
  • 23. Globalizzazione: pro e contro   Tema Contro Pro  1Speculazione Si costruiscono grandi ricchezze e si rovinano intere nazioni tramite  Una tassa sui movimenti di capitale è suggestiva ma sostanzialmente inapplicabile. finanziaria movimenti di capitale che speculano sui cambi delle monete e sulle  oscillazioni delle Borse.La Tobin Tax tasserebbe tutte le operazioni finanziarie  e valutarie. Il gettito andrebbe destinato alle politiche nazionali per servizi  sociali e occupazione, e a politiche internazionali contro il sottosviluppo. 2Distribuzione La logica del capitalismo ha portato ad una condizione estremamente grave,  Se è vero che il distacco tra ricchissimi e poverissimi sta aumentando, questo avviene mentre la  della ricchezza per cui la ricchezza è sempre di più distribuita inegualmente.  povertà in termini assoluti (reddito, alfabetizzazione, vita media, ...) diminuisce.  3Libertà di L'abbattimento delle barriere all'importazione comporta - in particolare in  È necessario eliminare tutte le barriere doganali in modo da aprire i mercati dei paesi  commercio Europa - la distruzione delle colture o delle produzioni artigianali tipiche. industrializzati alle esportazioni dei paesi poveri.  4Multinazionali Le multinazionali sfruttano i lavoratori del Terzo Mondo. Il lavoro nelle industrie è comunque una prospettiva meglio pagata rispetto al lavoro agricolo.    Altrimenti non si capisce perché venga scelto. Il livello delle retribuzioni copre appena le necessità di sussistenza. Il lavoro è  precario e si svolge in condizioni insicure. 5Lavoro minori sono costretti a lavorare nelle fabbriche del Terzo Mondo in  Questo è accaduto anche in Occidente all'inizio della Rivoluzione industriale.Gli stessi governi dei  minorile condizioni disumane. paesi di recente industrializzazione che si oppongono all'applicazione globale del diritto del lavoro  vigente in Occidente. 6Concorrenza I lavoratori del Terzo mondo si pongono in concorrenza con i lavoratori del  In molte regioni dei paesi ricchi certi lavori non sono più proponibili a un giovane "indigeno". Il  lavoratori Primo mondo. livello delle aspirazioni si è alzato; il benessere - almeno relativo - permette di sopportare la    disoccupazione in attesa di trovare un lavoro desiderabile. Le fabbriche migrano verso i paesi nei quali il costo del lavoro è più basso. 7Concorrenza La logica della concorrenza tra le nazioni induce a comprimere le tutele  La competizione, elemento essenziale del suo dinamismo, è stata all’origine di uno sviluppo  tra le nazioni sociali che migliorano le condizioni di vita dei lavoratori ma anche accrescono tecnologico ed economico impensabile soltanto un secolo fa. il costo del lavoro. 8Indebolimento La globalizzazione priva gli stati del ruolo di regolatori e garanti degli  La globalizzazione riduce il ruolo degli stati ma non lo annulla. degli stati interessi dei popoli che vivono sui loro territori; essi non sono più in grado di    controllare le società multinazionali e spesso cedono alle loro esigenze  Essa chiede agli stati di trovare nuove forme di cooperazione per affrontare problemi che hanno  economiche e finanziarie al fine di conservarle sui propri territori dove sono  una scala planetaria. fonte di occupazione, di imposte, di dinamismo economico. 9Legittimità G8 Riunioni come quelle dei rappresentanti del G8 o del WTO non sono  I governanti che si incontrano rappresentano i paesi che li hanno democraticamente eletti.L'ONU  legittimate a prendere decisioni per conto di tutti i popoli della Terra. si è mostrato storicamente incapace di prendere decisioni impegnative, anche a sostegno dei  diritti umani sui quali si fonda. 10Debito estero Il debito estero blocca lo sviluppo dei paesi del Terzo Mondo: i ricavi delle  Il debito dipende dall'imprevidenza e dalla corruzione delle élites locali. La sua revisione va  esportazioni sono destinati a finanziare gli interessi sul debito. Occorrerebbe  subordinata alla presenza di governi affidabili e di seri progetti di sviluppo. l'azzeramento di tutto il debito estero dei 41 paesi più poveri del mondo. 11Digital divide La società dell'informazione sta creando nuove divisioni tra chi ha accesso  La società dell'informazione permette il superamento di antiche barriere: offre conoscenza a chi è  all'informazione e chi non ce l'ha. Anche le tecnologie sono oggi un fattore di  lontano dalle città e dai centri di formazione. permette che circolino idee di libertà e di  divisione planetaria. Occorrono politiche per favorire l'accesso alle moderne  democrazia. tecnologie della comunicazione. 12Televisioni La televisione è un fattore di omologazione culturale. L'immaginario delle  Persone e popoli godono di possibilità di conoscenza e di divertimento prima inimmaginabili. La TV  globali popolazioni del pianeta è costruito dai programmisti di MTV o dagli  apre orizzonti mentali, fa conoscere luoghi ed esperienze che altrimenti resterebbero estranei alle  sceneggiatori di Hollywood. masse, può essere utilizzata anche con finalità educative. 13Gas serra Occorre la ratifica e applicazione del protocollo di Kyoto per la riduzione delle Alcuni scienziati non ritengono sufficientemente dimostrata la correlazione tra emissione di gas e  emissioni di anidride carbonica. riscaldamento globale. 14Biotecnologie Le multinazionali del settore spingono per introdurre sementi artificiali della  La popolazione mondiale è in rapidissimo aumento. Le biotecnologie sono una strada obbligata  cui innocuità non si è sicuri. La biotecnologia riduce la preziosa biodiversità. per aumentare le rese e per mettere a punto specie resistenti anche ai climi inospitali. 15Qualità cibi La globalizzazione fa arrivare sulle nostre tavole prodotti alimentari meno  Le regolamentazioni interne all'Unione Europea sono severe e stabiliscono gli standard di qualità  sicuri. che i prodotti alimentari devono rispettare.Vi è semmai un problema di controlli
  • 24. Sviluppo sostenibile Lo sviluppo sostenibile è un processo finalizzato al raggiungimento di obiettivi di miglioramento ambientale, economico, sociale ed istituzionale, sia a livello locale che globale. Tale processo lega quindi, in un rapporto di interdipendenza, la tutela e la valorizzazione delle risorse naturali alla dimensione economica, sociale ed istituzionale, al fine di soddisfare i bisogni delle attuali generazioni, evitando di compromettere la capacità delle future di soddisfare i propri. In questo senso la sostenibilità dello sviluppo è incompatibile in primo luogo con il degrado del patrimonio e delle risorse naturali (che di fatto sono esauribili) ma anche con la violazione della dignità e della libertà umana, con la povertà ed il declino economico, con il mancato riconoscimento dei diritti e delle pari opportunità. • Le dimensioni della sostenibilità • la sostenibilità ruota attorno a quattro componenti fondamentali: • Sostenibilità economica: intesa come capacità di generare reddito e lavoro per il sostentamento della popolazione. • Sostenibilità sociale: intesa come capacità di garantire condizioni di benessere umano (sicurezza, salute, istruzione) equamente distribuite per classi e genere. • Sostenibilità ambientale: intesa come capacità di mantenere qualità e riproducibilità delle risorse naturali. • Sostenibilità istituzionale: intesa come capacità di assicurare condizioni di stabilità, democrazia, partecipazione, giustizia. • L'area risultante dall'intersezione delle quattro componenti, coincide idealmente con lo sviluppo sostenibile. • Definizione condivisa di sviluppo sostenibile • La definizione di sviluppo sostenibile è quella contenuta nel rapporto Brundtland, elaborato nel 1987 dalla Commissione mondiale sull'ambiente e lo sviluppo e che prende il nome dall'allora premier norvegese Gro Harlem Brundtland, che presiedeva tale commissione. Nel 2002 a Johannesburg si tiene il Vertice Mondiale sullo Sviluppo Sostenibile in cui le novità sono sostanzialmente le seguenti: • la crescita economica non è la base dello sviluppo; • è opportuno distinguere tra crescita e sviluppo; • nella piramide dei valori, il pilastro sociale è al vertice dei pilastri economico ed ambientale; comunque nessuno dei pilastri potrà essere considerato a sé stante; • è prioritario lo sviluppo rispetto alla crescita economica; • è necessario valutare i costi sociali ed ambientali delle politiche. • Educare allo sviluppo sostenibile: il DESS • L'Assemblea Generale delle Nazioni Unite ha proclamato il DESS-Decennio dell'Educazione allo Sviluppo Sostenibile per il periodo 2005-2014, affidando all'UNESCO il compito di coordinarne e promuoverne le attività.
  • 25. Un Natale definito sotto tono, con una riduzione della spesa significativa ma non si può parlare di decrescita felice. Troppo cibo finito nella spazzatura dalla Vigilia a Capodanno •Un Natale e un Capodanno più moderati, con una riduzione delle spese. Ma gli sprechi sono ancora troppo elevati.Le persone devono ancora prendere le misure con la decrescita . Dalla vigilia di Natale a Capodanno, sono finite dal tavola al bidone della spazzatura 440 mila tonnellate di cibo, della spesa degli italiani. Nella pattumiera gli italiani hanno gettato carne, latticini e uova (pari al 43% del cibo buttato), pane (22%), frutta e verdura(19%), un po' meno pasta e dolci(4% e 3%). Oltre 1,3 miliardi di euro in cibo sono stati sprecati. Un vero sperpero di risorse, e uno schiaffo alla miseria, costato più di 50 euro a famiglia. I dati sugli sprechi alimentari durante le festività natalizie vengono da un’indagine della Cia-Confederazione italiana agricoltori. •Gli agricoltori commentano che neanche la crisi è riuscita a contenere questo fenomeno: da un punto di vista, infatti, le famiglie sono cambiate di poco, facendo registrare complessivamente una lieve contrazione del cibo sprecato, mentre a scendere è stata ala quantità di cibo acquistata. Tra poco: a finire nel bidone dell'immondizia è stato quasi un quinto delle portate preparate per allestire le tavole delle Feste. Tutto ciò a dispetto della recessione alle porte. •L’indagine evidenzia che gli sprechi maggiori si sono concentrati soprattutto durante le festività di Natale. •Il fenomeno dello spreco alimentare può essere analizzato da diversi punti di vista. A concorrere allo spreco possono essere un eccesso di acquisto generico, la frenesia del comprare che porta ad approfittare di promozioni (quali il 3 per 2) col risultato di riempire le case di prodotti in eccesso, talvolta una scarsa comprensione del limite massimo di consumo del singolo prodotto – anche se durante le feste è facile ipotizzare che una delle cause sia la preparazione di cibo in eccesso rispetto alle esigenze familiari. •Se si guarda poi al dato internazionale, la portata dello spreco si fa letteralmente drammatica: secondo un recente studio della Fao, l’Organizzazione delle Nazioni Unite per l’alimentazione e l’agricoltura, ogni anno vengono sprecati o perduti 1,3 miliardi di tonnellate di cibo, circa un terzo degli alimenti prodotti per il consumo umano. In Europa e in Nord America lo spreco pro capite dei consumatori è calcolato intorno ai 95-115 kg all’anno, mentre in Africa sub-sahariana e nel sudest asiatico ammonta a soli 6-11 kg l’anno. •In Italia, uno studio dell’Adoc ha calcolato che nel 2011 ogni famiglia ha buttato nel cassonetto il 7% della spesa alimentare effettuata (feste escluse), pari a 335 euro. Uno spreco in calo rispetto all’anno precedente, ma comunque consistente. Consumiamo 9mila miliardi di metri cubi d'acqua all'anno, ciascuno di noi 4mila litri al giorno se si considera l'acqua impiegata anche per produrre i cibo di cui ci si alimenta e i prodotti di cui ci si serve. •Consumiamo 9mila miliardi di metri cubi d'acqua all'anno. . E' la nostra impronta idrica, la nostra water fototprint; tanto pesiamo sul nostro pianeta. Lo studio quantifica il consumo di acqua sotto forma di pioggia ma anche di acqua prelevata dal terreno e dalle falde e quella che inquiniamo. Nel periodo dal 1996 al 2005 la media annuale della nostra water footprint è stata di 9.087 gigametri cubi, cioè 9.087 miliardi di metri cubi (74% pioggia, 11% da terreno e falde, 15% di acqua inquinata). La produzione agricola contribuisce per il 92%. L'impronta idrica media annuale per ciascuno di noi (benchè le cifre cambino in maniera non indifferente da nazione a nazione) prevede un consumo di 1.385 metri cubi. Un quinto di tutta l'impronta idrica mondiale serve per garantire prodotti da esportare e non per il consumo "domestico". Per esempio, mentre un tedesco compra il caffè e la maglietta per i quali è stata usata acqua di quella nazione, altri Paesi, come gli Usa e la Cina, sono entrambi grandi esportatori e importatori di acqua. E altri stati paiono destinati a voler aumentare la loro importazione di acqua. I ricercatori concludono affermando che "tutti questi fattori indicano che la scarsità di acqua non è solo un problema locale ma deve essere visto e valutato in una prospettiva globale.
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  • 27. LA GLOBALIZZAZIONE IN CIFRE Alcuni dettagli riguardanti i dati della globalizzazione risalenti al 2008: Il 20% della popolazione mondiale gode dell’80% della ricchezza (questa minima parte della popolazione si concentra principalmente in Giappone, Europa ed America settentrionale). Il 57% della popolazione mondiale condivide il 6% del reddito mondiale (circa 2$ gg.). Il numero dei poveri aumenta considerevolmente nell’Asia Meridionale (da 495.000.000 nel 1997 a 552.000.000 nel 1998) e nei paesi sub-Sahariani (in un anno aumentano circa di 48.000.000). Il 20% della popolazione più ricca possiede l’86% del PIL, mentre il 20 % della popolazione più povera possiede l’1% del PIL. Secondo la Banca Mondiale le persone costrette a sopravvivere con meno di un dollaro al giorno sono un miliardo e mezzo e arriveranno a due entro il 2025. Più di cento paesi, con una popolazione complessiva di un miliardo e seicento milioni "un quarto della popolazione mondiale" continuano quindi a vivere nella più totale miseria. Secondo l'UNCTAD nei paesi imperialistici si è verificato tra il 1997 e il 1999 un incremento dei consumi di oltre 400 miliardi di dollari, mentre 35 paesi, tra cui le famose "tigri" del Sud-Est asiatico hanno conosciuto una caduta del reddito pro-capite superiore a quella riscontrata negli USA durante la grande depressione degli anni '30 (cioè tra il 15% ed il 20%). Il 20% della popolazione mondiale, quella che gode di redditi più elevati fa suo l'86% dei consumi privati, mentre il 20% più povero consuma solo il 1,3% del prodotto mondiale. Solo considerando l'Africa, una famiglia media consuma oggi il 20% in meno di quanto consumasse 25 anni fa. Ben 89 paesi si trovano oggi in condizioni economiche peggiori di quelle di dieci anni fa. Più di 600 milioni di persone non hanno una casa o vivono in ambienti domestici malsani e insicuri. La World Bank stima che nel 2010 più di 1,4 miliardi di persone vivranno in sistemazioni non dotate di acqua potabile e servizi igienici; Nel 1998 è disoccupato o sottoccupato più di un terzo dei tre miliardi di lavoratori del mondo; Il 65% della popolazione mondiale non ha mai fatto una telefonata. Il 40% non ha accesso all'energia elettrica. Ci sono più linee telefoniche nella sola Manhattan che in tutta l'Africa Sub-sahariana. Secondo l'ONU i primi 258 miliardari del mondo hanno un patrimonio complessivo superiore al reddito totale della metà più povera degli abitanti della terra; I nord-americani spendono per i cosmetici (8 miliardi di dollari all'anno) e gli europei per i gelati (11 miliardi) più di quanto basterebbe per offrire un'istruzione elementare, acqua potabile e servizi igienici ai due miliardi di individui che, nel mondo, ancora oggi, non possono permettersi né istruzione né minime strutture sanitarie. 15 milioni di persone muoiono ogni anno di malattie CURABILI (tubercolosi, malaria, ecc) solo perché il prezzo dei farmaci, stabilito dalle multinazionali farmaceutiche, è troppo elevato. http://www.racine.ra.it/curba/_static/materialeStud/globalizzazione/in_cifre.htm Se nel mondo fossimo cento persone Per comprendere bene la logica dei popoli svantaggiati riflettiamo sui dati statistici di questo esempio semplice e illuminante. Se noi potessimo ridurre la popolazione del mondo intero in un villaggio di 100 persone mantenendo le proporzioni di tutti i popoli esistenti al mondo, il villaggio sarebbe composto in questo modo: Ci sarebbero: 57 Asiatici, 21 Europei, 14 Americani (Nord Centro e Sud America), 8 Africani, 52 sarebbero donne, 48 uomini, 70 sarebbero non bianchi, 30 sarebbero bianchi, 70 sarebbero non cristiani, 30 sarebbero cristiani, 89 sarebbero eterosessuali, 11 sarebbero omosessuali,6 persone possiederebbero il 59% della ricchezza del mondo intero e tutti e 6 sarebbero statunitensi, 80 vivrebbero in case senza abitabilità 70 sarebbero analfabeti 50 soffrirebbero di malnutrizione. 1 starebbe per morire, 1 starebbe per nascere, 1 possiederebbe un computer, 1 (si', solo 1!) avrebbe la laurea. Se si considera il mondo da questa prospettiva, il bisogno di accettazione, comprensione e educazione diventa evidente. Prendete in considerazione anche questo. Se vi siete svegliati questa mattina con più salute che malattia siete più fortunati del milione di persone che non vedranno la prossima settimana. Se non avete mai provato il pericolo di una battaglia, la solitudine dell'imprigionamento, l'agonia della tortura, i morsi della fame, state meglio di 500 milioni di abitanti di questo mondo. Se avete cibo nel frigorifero, vestiti addosso, un tetto sopra la testa e un posto per dormire siete più ricchi del 75% degli abitanti del mondo. Se avete soldi in banca, nel vostro portafoglio e degli spiccioli da qualche parte in una ciotola siete fra l'8% delle persone più benestanti al mondo. Se i vostri genitori sono ancora vivi e ancora sposati siete delle persone veramente rare, anche negli Stati Uniti e nel Canada. Se potete leggere questo messaggio, avete appena ricevuto una doppia benedizione perché' qualcuno ha pensato a voi e perché non siete fra i due miliardi di persone che non sanno leggere. Qualcuno una volta ha detto: lavora come se non avessi bisogno dei soldi. Ama come se nessuno ti abbia mai fatto soffrire. Balla come se nessuno ti stesse guardando. Canta come se nessuno ti stesse sentendo. Vivi come se il Paradiso fosse sulla Terra. http://www.globalvillage-it.com/articoli/100persone.htm Misure della globalizzazione La globalizzazione economica può essere misurata in vari modi, guardando ai quattro fondamentali flussi che la caratterizzano: flussi di beni e servizi, i.e. (id est) import ed export in rapporto al PIL pro-capite o totale; flussi di lavoro e persone, i.e. tassi migratori netti, verso l’interno o l’esterno, pesati con la popolazione; flussi di capitale, i.e. investimenti diretti verso l’interno o l’esterno in proporzione al PIL pro-capite o totale flussi di tecnologia, i.e. flussi internazionali di ricerca e sviluppo, in proporzione alla popolazione . Fino a che punto un paese è globalizzato in un particolare momento è stato fino ad oggi misurato utilizzando semplici approssimazioni quali i flussi commerciali, i flussi migratori, gli investimenti diretti esteri. Dal momento che la globalizzazione non è soltanto fenomeno economico, è stato anche proposto un approccio multivariato alla misurazione della globalizzazione (si veda ad es. l’Indice di Globalizzazione calcolato dalla KOF, un centro di ricerca svizzero). L’indice misura le tre principali dimensioni della globalizzazione: economica, sociale e politica, ed è disponibile per 122 paesi (si veda il sito KOF). Secondo quest’indice, il paese più globalizzato del mondo è il Belgio, seguito da Austria, Svezia, UK e Olanda. Anche A.T. Kearney e la rivista Foreign Policy pubblicano un altro Indice di Globalizzazione. http://www2.dse.unibo.it/ardeni/ES/Globalizzazione.htm
  • 28. CAPITALISM: A LOVE STORY Scheda: Regista: Michael Moore Sceneggiatore: Michael Moore (scritto da) Data di uscita: 2 ottobre 2009 (Canada) Durata: 127 min | Canada:105 min (Toronto International Film Festival) Nazionalità: USA Produzione: Dog Eat Dog Films, Overture Films, Paramount ,Vantage Distribuzione: Mikado Formato: Colore Trama: Nel ventesimo anniversario del suo rivoluzionario capolavoro Roger & Me, Capitalism: A Love Story riporta Michael Moore ad affrontare il problema che è al centro di tutta la sua opera: l'impatto disastroso che il dominio delle corporation ha sulla vita quotidiana degli americani (e, quindi, anche del resto del mondo). Ma questa volta il colpevole è molto più grande della General Motors e la scena del crimine ben più ampia di Flint, Michigan. Dalla Middle America fino ad arrivare ai corridoi del potere a Washington e all'epicentro finanziario globale di Manhattan, Michael Moore porterà ancora una volta gli spettatori su una strada inesplorata. Con umorismo e indignazione, Capitalism: A Love Story di Michael Moore esplora una domanda tabù: qual è il prezzo che l'America paga per il suo amore verso il capitalismo? Anni fa, quell'amore sembrava assolutamente innocente. Tuttavia, oggi il sogno americano sembra sempre più un incubo, mentre le famiglie ne pagano il prezzo, vedendo andare in fumo i loro posti di lavoro, le case e i risparmi. Moore ci porta nelle abitazioni di persone comuni, le cui vite sono state stravolte, mentre cerca spiegazioni a Washington e altrove. Quello che scopre sono dei sintomi fin troppo familiari di un amore finito male: bugie, maltrattamenti, tradimenti... e 14.000 posti di lavoro persi ogni giorno. Capitalism: A Love Story rappresenta una summa delle precedenti opere di Moore, ma è anche uno sguardo su un futuro nel quale una speranza è possibile. E' il tentativo estremo di Michael Moore di rispondere alla domanda che si è posto in tutta la sua carriera di regista: chi siamo e perché ci comportiamo in questo modo?
  • 29. IL PRESIDENTE DELLA BANCA MONDIALE DIFENDE LA LOTTA CONTRO L’AUMENTO DEI PREZZI AGRICOLI, MA SENZA STATALISMO Robert Zoellick prona la creazione di scorte alimentari e l'accelerazione degli investimenti. Come prevenire l'aumento dei prezzi agricoli non portare a nuovo focolaio di fame? In occasione della riunione dei ministri delle finanze del G20 sotto presidenza francese, 19 febbraio, a Parigi,Robert Zoellick, il presidente della Banca Mondiale, aveva portatola comunità internazionale a fare di questo tema una priorità. Senza scontrarsi testa Nicolas Sarkozy, Regolarmente minacciando speculatori, ha resistito l'idea di nuove regole per contenerli. Mentre a Parigi, Lunedì 28 marzo, ha detto al mondo che le soluzioni sono plurali: "Lavoriamo con la Francia per sviluppare un codice di condotta per i divieti di esportazione in alcuni paesi produttori dove i prezzi non si applicano agli acquirenti di umanità come la banca. " Bruno Lemaire, ministro francese dell'Agricoltura, che ha incontrato durante la sua visita a Parigi, Mr. Zoellick ha citato la possibilità di raccogliere una migliore informazione sulle scorte ", perché l'incertezza nata di informazioni inadeguato può innescare una forte volatilità dei prezzi ", ha detto. Ha detto che alcuni interventi di politica può essere utile. "Certo, le scorte sono costosi, dice. Ma in alcune aree come il Corno d'Africa o sono alte probabilità di disastro, sarebbe intelligente per smaltire le scorte gestite dal Programma Alimentare Mondiale. " La soluzione sta in aumento della produttività agricola. La Banca Mondiale ha sostenuto un gruppo di ricerca dedicato allo sviluppo di semi che possono resistere ai cambiamenti climatici. ha inoltre collaborato con altre organizzazioni ha l'elaborazione di un codice di condotta per gli investimenti responsabili, perché è meglio che fare l'Arabia Saudita coltivazione del grano in Africa o in Asia, piuttosto che il suo suolo arido presenta rafforzamento grande sovvenzioni. A condizione che avvantaggia le popolazioni locali e non dannosi per l'ambiente. Secondo M.Zoellick aumenti dei prezzi delle materie prime agricole negli ultimi anni sono stati causati da eventi meteorologici estremi. "E ', ha aggiunto una modificazione della dieta nei paesi emergenti che mangiano di più e meglio, che è buono, si rallegra, ma che può suggerire la ricostituzione degli stock più lentamente e la volatilità dei prezzi persistono. " Il sahariana è l'Africa sembra avere un grande potenziale agricolo, a condizione che investono in tutta la catena: "il diritto di priorità, i semi, l'irrigazione, lo stoccaggio di fertilizzanti e, naturalmente, perché la metà delle colture si perde prima di raggiungere il mercato ". M.Zoellick crede nelle virtù dell'intervento pubblico, che non significa più regolamenti "Quando si cerca di controllare i prezzi, gli agricoltori smettono di far crescere il cibo coinvolto", avverte. Una priorità"Assicurare che le popolazioni vulnerabili abbiano accesso ad un'alimentazione adeguata. INCORAGGIARE LA TRASPARENZA Il Presidente della Banca ha sfidato l'intervento dello Stato."Ricordiamo che gli eventi del mondo arabo sono state causate da un tunisino povero giardiniere perseguitati dalla polizia. I governi devono rimuovere le barriere che influenzano negativamente le strutture di piccole dimensioni." Ecco perché la banca promuove la trasparenza che consente ai cittadini di comprendere l'azione del proprio governo economico e controllare che i soldi del petrolio non rientra nelle tasche dei singoli. In questo spirito, aiuta l'Egitto a scrivere una legge che garantisce la libertà di informazione. Allo stesso modo Robert Zoellick ritiene che non si deve trattare una disoccupazione causata dal modo in cui la vera "bolla" dei giovani in Medio Oriente e del Nord Africa. Certo, dobbiamo creare 40 posti di lavoro milione nei prossimi dieci anni per evitare un peggioramento della disoccupazione. Ma dobbiamo evitare due scogli. Il primo sarebbe quello di sovvenzionare tutto, è quello di evitare rivolte per il cibo. "Questo spinge verso l'alto i salari e sussidi, ha detto, come in Egitto e l'85% della popolazione è aiutato in un modo o nell'altro. L'altro pericolo è quello di provare, a breve termine, creando posti di lavoro ha qualche primario, in particolare nel settore pubblico ", che potrebbe portare a livelli nocivi di remunerazione per la creazione di posti di lavoro nel settore privato di lungo periodo. M. Zoellick vuole dimostrare un altro fenomeno: l’accrescimento della durata della vita, una vera sfida per i paesi che rischiano di invecchiare prima di diventare ricchi. Il forum mondiale per la longevità, organizzato dal Lunedì Axa a Parigi, ha chiamato i paesi in via di sviluppo preoccuparsi per la loro demografia, ha di gestire e regolare i loro invecchiamento della popolazione, da ora, le loro politiche di risparmio, salute e pensione.
  • 30. LE FONTI DEL DIRITTO INTERNAZIONALE Ogni stato è sovrano ed indipendente, ma allo stesso tempo non opera in modo isolato perché entra in contatto anche con gli altri stati. I rapporti che sorgono tra i vari stati sono regolati dal diritto internazionale. Esso regola attraverso norme giuridiche previste dal diritto internazionale e sono: • le consuetudini • i trattati LE CONSUETUDINI Le consuetudini internazionali corrispondono a comportamenti ripetuti e costanti da parte degli stati nel regolare i loro rapporti con la convinzione che tali comportamenti siano obbligatori e vincolati. Esempio: Immunità diplomatica: 1) ambasciatori 2) consoli Soccorso dei naufraghi: Intervento degli stati contro la pirateria I TRATTATI I trattati internazionali sono degli accordi scritti tra due o più stati che vincolano solo gli stati che hanno stipulato il trattato. Ogni trattato viene rispettato dal singolo stato aderente, in quanto vige il principio internazionale “pacta sunt servanda”.
  • 31. I diritti umani, la democrazia e la pace nell'era della globalizzazione (2011) - Danilo Zolo (http://www.juragentium.org/about/index.html ) I diritti umani: una ideologia occidentale in declino La tesi principale che intendo sostenere è la seguente: il processo storico che noi occidentali chiamiamo "globalizzazione" non favorisce il successo e la diffusione dei diritti umani fondamentali, a cominciare dal diritto alla vita. Per "globalizzazione" intendo la crescente espansione delle relazioni sociali fra gli esseri umani, dovuta anzitutto allo sviluppo tecnologico, alla rapidità dei trasporti e alla rivoluzione informatica (1). In secondo luogo intendo sostenere che sta diventando problematica anche la conservazione e la difesa delle istituzioni democratiche tuttora esistenti in Occidente. E vorrei infine richiamare l'attenzione su un fenomeno ancora più allarmante: la paralisi del diritto internazionale e delle istituzioni internazionali di fronte al problema della guerra nel mondo. Aggiungo che a mio parere il diritto internazionale è sempre più condizionato a livello globale dagli interessi politici ed economico-finanziari delle grandi potenze, a cominciare dagli Stati Uniti d'America. Bastano pochi dati per confermare drammaticamente il tramonto dell'"età dei diritti" nell'era della globalizzazione. L'Organizzazione Internazionale del Lavoro ha calcolato che tre miliardi di persone oggi vivono sotto il livello della povertà, fissato in due dollari di reddito al giorno (7). John Galbraith, nella prefazione allo Human Development Report delle Nazioni Unite del 1998, aveva documentato che il 20% della popolazione mondiale più ricca si accaparrava l'86% di tutti i beni e servizi universalmente prodotti mentre il 20% più povero ne consumava soltanto l'1,3%. Oggi, dopo circa dieci anni, queste cifre sono purtroppo cambiate: il 20% della popolazione più ricca consuma il 90% dei beni prodotti, mentre il 20% più povero ne consuma l'1% (8). E si è inoltre calcolato che il 40% della ricchezza del pianeta è posseduta dall'1% della popolazione mondiale (9), mentre le 20 persone più ricche del mondo dispongono di risorse pari a quelle del miliardo di persone più povere (10). I dati forniti dalle Nazioni Unite mostrano inoltre che un miliardo di persone sopravvive in condizioni di "povertà assoluta" nei paesi economicamente più arretrati: circa una metà si trova in Asia meridionale, un terzo nell'Africa sub-sahariana e una quota di rilievo anche in America Latina (11). Nell'ampia fascia di questi paesi un miliardo e 700.000 persone sono prive di accesso all'acqua potabile e si prevede che questa cifra raddoppierà entro il 2020. Ogni anno muoiono oltre 2 milioni di bambini per mancanza d'acqua o a causa dell'acqua insalubre che è responsabile dell'80% delle malattie epidemiche. La mancanza di acqua è inoltre la causa di una drastica diminuzione della produzione alimentare e di un aumento delle malattie legate alla denutrizione. Tra le conseguenze della fame e della sete ci sono anche i 25.000 bambini che muoiono ogni giorno per malattie che sarebbero innocue per bambini ben nutriti (12). Tutto ciò accade anche perché le grandi potenze praticano complesse strategie nelle quali si sovrappongono la competizione mercantilistica fra gli Stati, il regionalismo economico e il protezionismo settoriale. Un esempio agghiacciante è stato recentemente fornito da Luciano Gallino: le aree agricole regionali sono state cancellate dalla faccia della terra - dall'India all'America Latina, dall'Africa all'Indonesia e alle Filippine - e sono state sostituite da immense monoculture. I contadini e le loro famiglie, espulsi dai loro campi, si rifugiano negli sterminati slums urbani del pianeta. Molto spesso si uccidono perché non riescono a pagare i debiti che hanno fatto nel tentativo di acquistare le sementi e i fertilizzanti ai prezzi imposti dalle corporations europee e statunitensi dell'agro-business. In India, tra il 1995 e il 2006, vi sono stati almeno duecentomila suicidi di piccoli coltivatori (13). Fenomeni non diversi sono presenti anche in Cina. 2. Una democrazia senza futuro Se per democrazia intendiamo un regime nel quale la maggioranza dei cittadini è in grado di controllare i meccanismi della decisione politica e di condizionare i processi decisionali, allora è legittimo pensare che oggi la democrazia è in grave crisi. Come già nel secolo scorso Max Weber (1964-1920) e Joseph Schumpeter (1883-1950) avevano intravisto, le stesse nozioni di "rappresentanza", di "sovranità popolare" e di "interesse collettivo" sono ormai dogmi illuministici senza alcun rilievo politico e lontanissimi dalla cultura popolare (14). È inoltre molto incerto che cosa si debba intendere oggi per "partiti politici". Come Leslie Sklair ha sostenuto e Luciano Gallino ha documentato, le democrazie operano ormai come dei regimi dominati dalla cosiddetta "nuova classe capitalistica transnazionale". Essa controlla i processi di globalizzazione dall'alto delle torri di cristallo di metropoli come New York, Washington, Londra, Francoforte, Nuova Delhi, Shanghai (15). In questo contesto il sistema dei partiti politici è in notevole difficoltà. I partiti non sono più dei veicoli della rappresentanza politica, sostenuti dai propri militanti ed elettori. Ormai al centro della vita democratica si erge trionfante lo schermo televisivo, attraverso il quale i leader politici si rivolgono ai cittadini mettendo in mostra, secondo precise strategie di marketing televisivo, i "prodotti" che intendono vendere. Attraverso circuiti occulti i partiti distribuiscono ai propri collaboratori risorse finanziarie, vantaggi e privilegi economici e politici (16). La mia opinione è che i processi di globalizzazione rendono sempre più improbabile la conservazione dei delicati meccanismi della democrazia. Essi vengono sostituiti da forme di esercizio del potere che sono concentrate nelle mani di pochi esperti senza scrupoli. Il potere esecutivo - il parlamento è ormai privo di funzioni autonome - si sostituisce a quella che un tempo era la volontà del "popolo sovrano". Di conseguenza è assente la partecipazione attiva dei cittadini e decade il loro senso di appartenenza ad una comunità civile e democratica. Oltre a ciò, il processo di globalizzazione ha posto in crisi le strutture del Welfare state e ha favorito la nascita di regimi che, pur sventolando ancora la bandiera della democrazia, sono in realtà oligarchie elitarie, tecnocratiche e repressive. Sono regimi orientati alla pura efficienza economico-finanziaria, al benessere della classe dominante e alla discriminazione dei cittadini non abbienti, in particolare dei migranti, trattati non di rado come "barbari invasori". In questo quadro, il processo di globalizzazione aggrava ulteriormente gli squilibri sociali non risolti dal Welfare state. La competizione globale impone la concorrenza soprattutto nei settori produttivi più deboli, a cominciare dalla forza-lavoro. Il lavoro dipendente è ormai scarso, precario, segmentato, poco retribuito, anche a causa della concorrenza di paesi caratterizzati da un eccesso di forza-lavoro e da una scarsa protezione dei lavoratori (19). Ai processi di globalizzazione corrisponde nella maggioranza dei paesi occidentali una profonda trasformazione delle politiche penali e repressive: una trasformazione per la quale Loïc Wacquant (1960) ha coniato l'espressione: "dallo Stato sociale allo Stato penale" (20). Gli Stati occidentali accordano un'importanza crescente alla difesa poliziesca delle persone e dei loro beni. E l'amministrazione penitenziaria tende a occupare spazi sempre più ampi. Si ritiene infatti che il carcere sia lo strumento più efficace per far fronte agli sconvolgimenti causati- dallo smantellamento dello Stato sociale e dll'insicurezza sociale che investe sempre più i soggetti deboli ed emarginati. 3. Un pacifismo al tramonto Per quanto riguarda la pace, la mia opinione è che essa non è mai stata così apertamente violata dalle istituzioni internazionali e senza alcun rispetto del diritto internazionale, scritto e consuetudinario. Nel contesto del processo di globalizzazione la guerra di aggressione è stata sempre più legalizzata e "normalizzata" come una "guerra giusta". Le grandi potenze occidentali hanno dichiarato di usare la guerra come uno strumento essenziale per diffondere i diritti umani e la democrazia in tutto il mondo. Il patibolo globale offre uno spettacolo quotidiano così scontato e ripetitivo da essere ormai stucchevole per le grandi masse televisive. Si può pertanto sostenere che oggi il terrorismo è un nuovo tipo di guerra, è il cuore della "guerra globale" che è stata scatenata dal mondo occidentale. E il terrorismo è una delle ragioni del diffondersi nel mondo occidentale dell'insicurezza e della paura. Nel solco della globalizzazione il tramonto dei diritti umani e della democrazia coincide con il tramonto della solidarietà e dell'apertura al dialogo con i "diversi". È un tramonto globale che oscura il nobile sogno di Norberto Bobbio: il sogno di un mondo unificato, pacificato e governato da una sola autorità sovranazionale (24). L'erosione dei diritti umani, della democrazia e della pace è dunque l'esito di un processo globale voluto dalle potenze occidentali oltre che garantito dalle istituzioni economico-finanziarie che stanno compromettendo le basi stesse della sussistenza dell'uomo. 4. Conclusione Concludo chiedendo a me stesso e a chi mi legge se è possibile intravedere qualche soluzione per le tragedie che insanguinano il mondo. Non posso non pensare alle migliaia di bambini che ogni giorno muoiono perché denutriti, alle centinaia di migliaia di piccoli coltivatori suicidi, alla discriminazione spietata fra ricchi e poveri, fra potenti e deboli, fra noi e gli "altri". Penso alla rovina delle istituzioni democratiche e alla depressione della nuove generazioni prive di solidarietà comunitaria e di futuro. E penso alla Libia devastata dai feroci bombardamenti della NATO e alla guerra decennale tuttora in corso in Afghanistan. Devo confessare, per quello che vale la mia confessione, che non sono in attesa di un mondo migliore. I diritti umani, la democrazia e la pace stanno tramontando tra le fitte nubi della globalizzazione e delle guerre terroristiche che trascina con sé. Io non sono un ottimista, come non lo era Norberto Bobbio (1909-2004). Il mio pessimismo non mi consente di intravedere un filo di luce all'orizzonte. E tuttavia non dimentico la massima alla quale Bobbio si era comunque ispirato: Qualche volta è accaduto che un granello di sabbia sollevato dal vento abbia fermato il motore di una macchina. Anche se ci fosse un miliardesimo di miliardesimo di probabilità che il granello sollevato dal vento vada a finire negli ingranaggi del motore e ne arresti il movimento, la macchina che stiamo costruendo è troppo mostruosa perché non valga la pena di sfidare il destino" (25). E dunque anch'io non nego che valga la pena di lottare in extremis e di sfidare il destino.
  • 32. Il tramonto della democrazia nell'era della globalizzazione (2010) - Danilo Zolo (http://www.juragentium.org/about/index.html ) Il declino dei modelli classici e post-classici della democrazia Negli Stati Uniti d'America, in particolare, i leader politici usano il termine democracy per esaltare il proprio regime e per discriminare sul piano internazionale quelli che essi chiamano "Stati canaglia" (rogue states). Oltre a tutto ciò, oggi si deve riconoscere che anche la "dottrina pluralistica" della democrazia, affermatasi in Occidente dopo la seconda guerra mondiale, è ormai in declino. Nelle società moderne - aveva sostenuto Joseph Schumpeter (1) - la democrazia si fonda su tre principi: il pluralismo delle élites in concorrenza fra loro per la conquista del potere politico; il carattere alternativo dei loro programmi; una libera e pacifica competizione elettorale per la scelta da parte del popolo dell'elite che deve governare. Autori come Robert Dahl, John Plamenatz, Raymond Aron, Giovanni Sartori (2) hanno sostenuto, nella scia di Weber e di Schumpeter, che la gestione del potere deve essere necessariamente affidata ad una ristretta classe dirigente, composta di politici di mestiere, dotati di competenze specifiche. Al pubblico "incompetente" dei cittadini può essere riservata esclusivamente la funzione di scegliere l'élite alla quale affidare il potere di comando e alla quale ubbidire disciplinatamente. Il potere politico ed economico si è concentrato nelle mani di poche superpotenze e il diritto internazionale è ormai subordinato alla loro volontà assoluta. La sovranità politica degli Stati nazionali si è molto indebolita, mentre la funzione dei Parlamenti è stata limitata dal potere delle burocrazie pubbliche e private, inclusa la burocrazia giudiziaria e le corti costituzionali. Nello stesso tempo il potere esecutivo ha assunto una funzione egemonica, alterando la divisione dei poteri che era stata la caratteristica del Rechtsstaat eurocontinentale e del rule of law anglo-americano. Oggi non è chiaro neppure che cosa siano i "partiti politici". Come hanno sostenuto Leslie Sklair e Luciano Gallino, le democrazie sono dominate dall'egemonia di alcune élites economico-politiche al servizio di intoccabili interessi privati (3). È la cosiddetta "nuova classe capitalistica transnazionale" che domina i processi di globalizzazione dall'alto nel senso che i partiti operano circolarmente come fonte della propria legittimazione e riproduzione. I partiti non sono in nessun senso dei canali della rappresentanza politica, volontariamente sostenuti dai propri militanti ed elettori. Usando sistematicamente lo strumento dalla Televisione, i leader politici si rivolgono direttamente ai cittadini-consumatori mettendo in mostra i propri "prodotti propagandistici" secondo abili strategie di marketing televisivo. La loro funzione è in sostanza quella di investire il loro potere e il loro denaro entro circuiti finanziari informali e spesso occulti vantaggi e privilegi. Come hanno sostenuto Alan Wolfe (6) e Norberto Bobbio (7), nelle democrazie contemporanee convivono le strutture di un "doppio Stato". È un doppio Stato nel senso che accanto ad uno Stato visibile esiste nelle democrazie occidentali uno "Stato invisibile", una sorta di sottofondo insondabile delle formalità democratiche. Bobbio indica un particolare ambito di invisibilità del potere: è il duplice intreccio fra la politica nazionale e l'economia mondiale. Ciò che rimane è la libertà di voto "negativa", nel senso che l'elettore è libero di partecipare o di non partecipare alle elezioni e di esprimere una preferenza elettorale. Ma non sono gli elettori a decidere quali questioni politiche devono essere sottoposte al loro giudizio: qualcuno prima di loro e al loro posto stabilisce che cosa sottoporre alla loro decisione e che cosa invece riservare ad accordi segreti, eliminando ogni rischio di destabilizzazione istituzionale. Siamo dunque in presenza di un regime che a mio parere si può chiamare "tele-oligarchia post-democratica": una post-democrazia nella quale la grande maggioranza dei cittadini non "sceglie" e non "elegge", ma ignora, tace e obbedisce (9). L'opinione pubblica all'interno di uno Stato non dispone di fonti di informazione indipendenti dal sistema telecratico nazionale e internazionale. Le Televisioni locali sono collegate alla grande struttura internazionale dell'industria multimediale. La comunicazione pubblicitaria diffonde in tutto il mondo messaggi simbolici fortemente suggestivi che esaltano la ricchezza, il consumo, lo spettacolo, la competizione, il successo, la seduzione del corpo femminile. Grazie alla Televisione l'espansione della produzione industriale e del consumo non solo ispira le strategie delle élites politiche al potere, ma domina anche l'immaginazione collettiva. Bobbio ha sostenuto che lo strapotere del mezzo televisivo ha causato un'inversione del rapporto fra i cittadini controllori e i cittadini controllati: sono le ristrette minoranze dei funzionari di partito e degli eletti a controllare le masse degli elettori e non viceversa (11). E un'ulteriore causa alla subordinazione politica dei cittadini sono gli opinion polls. Sotto l'apparenza del rigore scientifico i "sondaggi" vengono usati non per analizzare ma per manipolare la cosiddetta "opinione pubblica". Le agenzie demoscopiche, al servizio delle élites più influenti, registrano le risposte del pubblico ai loro questionari e grazie alla televisione influenzano l'opinione pubblica attraverso la divulgazione selettiva dei risultati dei sondaggi. L'esperienza italiana è esemplare. Il potere che da quasi un ventennio domina l'opinione pubblica italiana è essenzialmente quello televisivo, sotto il monopolio di un leader - Silvio Berlusconi - che deve il suo successo alla sua straordinaria ricchezza, alla proprietà di larga parte delle emittenti televisive private e al controllo politico della televisione pubblica. Nella democrazia moderna la volontà del potere esecutivo - il Parlamento è ormai sostanzialmente privo di funzioni autonome - si sostituisce di fatto alla presunta volontà del "popolo sovrano", mentre la sovranità popolare non è più che una "maschera totemica" (12). Le élites economico-politiche sono fortemente condizionate da interessi di parte, dalle strategie internazionali e dagli obiettivi globali delle grandi potenze. Nelle analisi di Bobbio la democrazia era intesa come un complesso di regole procedurali il cui rispetto garantiva un contenuto politico minimo: la tutela giuridica delle libertà civili, la pluralità dei partiti e la periodicità delle elezioni (13). Bobbio non solo aveva rinunciato ad una difesa più ampia delle istituzioni democratiche, ma aveva redatto un severo catalogo delle "promesse non mantenute" della democrazia moderna. Il cosiddetto consenso democratico era ormai una finzione istituzionale, un formula rituale di giustificazione ideologica della politica, non certo la ricerca di un consenso effettivo, fondato sulle reali convinzioni dei cittadini (15). La mia opinione è che le analisi di Kelsen, di Bobbio e di Luhmann, nonostante il loro realismo e la loro acutezza, siano oggi teoricamente insufficienti di fronte alla sfida globale lanciata negli ultimi decenni dalla rivoluzione tele-informatica, dai processi di globalizzazione economico-finnanziaria e dalla concentrazione del potere politico internazionale nelle mani di alcune superpotenze occidentali. E non si può trascurare il fatto che la guerra contro il global terrorism, in nome della quale viene usata la violenza e repressa la libertà, è essa stessa una guerra che diffonde il terrore facendo strage di persone innocenti con mezzi di distruzione di massa (16). L'evoluzione si è interrotta definitivamente nel corso degli ultimi decenni. La globalizzazione ha posto bruscamente in crisi il Welfare state e ha favorito il costituirsi di regimi che, pur sventolando ancora la bandiera della "democrazia", sono in realtà oligarchie elitarie, tecnocratiche e repressive. Sono regimi orientati alla pura efficienza economico-politica, al benessere delle classi dominanti e alla discriminazione dei cittadini non abbienti e, in modo tutto particolare, dei migranti extracomunitari, trattati e sfruttati non di rado come servi o come schiavi. 2. Il crepuscolo dello Stato sociale e le due nozioni di "sicurezza" In aggiunta a tutto quanto ho sinora sostenuto, non si può non riconoscere che anche il modello democratico dello Stato sociale o Welfare State è oggi in crisi nei principali paesi occidentali. Il livello più alto raggiunto in Occidente da un sistema politico nel tentativo di regolare democraticamente i rapporti economico-sociali e di ridurre l'insicurezza è stato senza dubbio il Welfare state (17). Le libertà fondamentali, l'habeas corpus, la proprietà privata, l'autonomia negoziale, il suffragio universale e in genere i diritti politici erano già stati formalmente garantiti dallo Stato di diritto liberaldemocratico. Ma lo Stato sociale, a partire dagli anni trenta del Novecento, aveva tentato di andare oltre lo Stato di diritto liberaldemocratico tutelando i cosiddetti "diritti sociali": il diritto al lavoro, il diritto all'istruzione e il diritto alla salute, oltre a una serie di prestazioni pubbliche di carattere assicurativo, assistenziale e previdenziale. Si può dire che lo Stato sociale si è fatto carico dei rischi - e quindi dell'insicurezza e della paura - strettamente legati all'economia di mercato, fondata su una logica contrattuale e concorrenziale che suppone la diseguaglianza economico-sociale degli individui e la riproduce senza limiti. Oggi è largamente condivisa l'idea che lo Stato sociale attraversi una grave crisi a causa dei processi di trasformazione economica e politica che vanno sotto il nome di globalizzazione. Autori come Ulrick Beck, Loïc Wacquant, Luciano Gallino, Joseph Stiglitz, Robert Castel (18) hanno riconosciuto che la globalizzazione ha segnato il trionfo dell'economia di mercato moltiplicando in pochi decenni la quantità globale dei beni prodotti e quindi la ricchezza complessiva. Oggi le 20 persone più ricche del mondo dispongono di una ricchezza complessiva pari a quella del miliardo più povero (19). Per quanto riguarda la crisi del Welfare state, l'onere di un'ampia serie di rischi sociali è stato posto sempre più a carico dei singoli cittadini, anziché della comunità, secondo un approccio orientato a privatizzare la responsabilità del rischio e dell'incertezza. La competizione globale impone criteri di concorrenza soprattutto nell'area dei fattori produttivi più deboli, a cominciare dalla forza-lavoro. In presenza di una accresciuta concorrenza, le imprese tendono a liberarsi della quasi totalità dei tradizionali lavoratori dipendenti a favore di prestazioni lavorative "flessibili. La crescente "flessibilità" del lavoro sta portando a un indebolimento dell'intero apparato delle tutele democratiche garantite sinora ai lavoratori e alle loro famiglie. Le nuove parole d'ordine sono ovunque: privatizzazione, subordinazione di tutti i lavoratori, pubblici e privati, alle regole del rapporto di lavoro subordinato, contrazione di ogni erogazione pubblica che non sia motivata da un'assoluta emergenza, abbandono delle politiche di pieno impiego e comunque di sostegno del diritto al lavoro, attenuazione delle difese sociali predisposte a favore degli anziani e dei disabili. 3. Dallo Stato democratico alla società penitenziaria Il termine "sicurezza" è sempre meno associato ai legami di appartenenza sociale, alla solidarietà, alla prevenzione, all'assistenza, in una parola alla sicurezza intesa come garanzia democratica per tutti di trascorrere la vita al riparo dall'indigenza, dalle malattie, dallo spettro di una vecchiaia invalidante e miserabile, da una morte precoce. Zygmunt Bauman, nel suo Liquid Fear, ha sostenuto che in tempi di globalizzazione la sicurezza all'interno degli Stati è sempre più concepita come "incolumità individuale" sulla base dell'assunzione che ci troviamo di fronte ad un costante aumento della criminalità (22). Ai processi di globalizzazione corrisponde nella maggioranza dei paesi occidentali una profonda trasformazione delle politiche penali e repressive: una trasformazione per la quale Loïc Wacquant ha coniato l'espressione "dallo Stato sociale allo Stato penale" (24). Un caso esemplare è rappresentato dalle politiche penali e penitenziarie praticate negli Stati Uniti nell'ultimo trentennio. La superpotenza americana occupa il primo posto sia nella lotta contro la criminalità, sia nell'incarcerazione di un numero crescente di detenuti (solo la Federazione russa si avvicina alle quote statunitensi). A questo primato si aggiunge, come è noto, l'ostinata applicazione della pena di morte. Dal 1980 ad oggi negli Stati Uniti la popolazione penitenziaria si è più che triplicata, raggiungendo nel 2007 la cifra di oltre 2.300.000 detenuti. Il tasso di detenzione è il più alto del mondo: 753 cittadini incarcerati ogni 100.000 (26), sette volte più che in Italia. 4. Sicurezza, libertà, autonomia cognitiva Dirò semplicemente che a mio parere il primo compito di un movimento progressista che sia in sintonia con i problemi posti dai processi di globalizzazione è quello di lasciarsi alle spalle il codice delle certezze marxiste, ma senza abbandonare la visione generale del mondo che il marxismo ci ha lasciato in eredità. Come ha scritto Norberto Bobbio (30), il marxismo ci ha insegnato a vedere la storia umana dal punto di vista degli oppressi e a mettere da parte il moralismo politico per una scelta realista e conflittualistica. L'idea classica di "eguaglianza sociale" è difficilmente proponibile entro le moderne società postindustriali. Stretti fra il bisogno di identità e una crescente pressione omologatrice, prodotta dai mezzi di comunicazione e dal mercato, gli individui sembrano attratti da una sorta di "bisogno di diseguaglianza", dall'aspirazione a realizzare e proclamare la propria differenza. E lo fanno non necessariamente per raggiungere posizioni di privilegio, ma per realizzare in qualche modo la propria libertà di fronte alla muraglia del conformismo. Soprattutto fra i più giovani la paura fondamentale è di non essere se stessi, di non essere nessuno, di fallire come esseri umani. Ciò di cui le nuove generazioni sentono bisogno non è però semplicemente la libertà "negativa", la libertà di non essere impediti da costrizioni esterne, secondo la formulateorizzata da Isaiah Berlin (32). Si aspira a qualcosa di più e di diverso: ciascuno vorrebbe disegnare il profilo della propria vita. Ciascuno vorrebbe che il suo destino fosse il risultato di un suo progetto su se stesso, non di un disegno altrui. Vorrebbe controllare i suoi processi cognitivi, i suoi sentimenti e le sue emozioni: in poche parole, aspira alla sua "autonomia cognitiva". Per autonomia cognitiva, come essenza stessa della libertà individuale, si può intendere la capacità del soggetto di controllare, filtrare e interpretare razionalmente le comunicazioni che riceve. In presenza di una crescente efficacia persuasiva dei mezzi di comunicazione di massa il destino delle istituzioni politiche occidentali sembra dipendere dall'esito della battaglia a favore di questo fondamentale "diritto umano", l'"autonomia cognitiva", che potrebbe essere anche chiamato habeas mentem. Solo chi dispone di solide radici identitarie riconosce l'identità altrui, rispetta la differenza, cerca il dialogo con gli altri, rifugge da ogni fondamentalismo e dogmatismo, è sicuro che l'incontro fra le diverse culture e civiltà del pianeta non è soltanto la condizione della pace ma è anche un patrimonio evolutivo irrinunciabile per la specie umana.
  • 33. Violenza, democrazia, diritto internazionale (2010) – Danilo Zolo (http://www.juragentium.org/about/index.html ) Quale democrazia? Un regime è democratico se le autorità politiche 'rispondono' alle aspettative dei cittadini rispettandone e promuovendone i diritti fondamentali, e se sono 'responsabili': se cioè devono rendere conto delle loro decisioni di fronte ad un elettorato capace di valutazioni sufficientemente autonome e competenti. Oggi si sta diffondendo nel mondo una diffidenza crescente nei confronti delle democrazie occidentali - e della democrazia tout court -, ciò accade molto probabilmente perché la potenza democratica per antonomasia, gli Stati Uniti d'America, tende ad assumere funzioni che non rientrano nella logica vestfaliana del pluralismo degli Stati, dell'equilibrio di potenza e della ritualizzazione giuridica della guerra. L'uso sistematico della forza militare cui ricorrono oggi gli Stati Uniti sembra corrispondere ad un disegno di egemonia globale che a mio parere è corretto interpretare alla luce di un modello neo-imperiale, legibus solutus. Alcuni intellettuali statunitensi - fra questi Robert Kagan e Michael Ignatieff - hanno sostenuto che gli Stati Uniti sono costretti ad una politica estera imperiale per difendere la loro democrazia interna e, in generale, la democrazia. In realtà la loro democrazia interna è ormai poco più che una finzione procedurale, assai lontana dagli standard anche di una nozione minima di democrazia. 2. Guerra democratica? Guerra umanitaria? Con buona pace di John Rawls e del suo seguace italiano, Salvatore Veca, gli interventi 'umanitari' dell'Occidente hanno violato non solo le regole dello jus ad bellum, ma anche quelle dello jus in bello: nessuna limitazione 'umanitaria' degli strumenti bellici è stata praticata (e, rebus sic stantibus, è praticabile, considerato lo strapotere degli aggressori). Anzi, è vero il contrario: le 'guerre umanitarie' sono servite, soprattutto agli Stati Uniti, per sperimentare nuove armi, sempre più sofisticate e devastanti. Basti pensare all'uso delle cluster bombs, dei proiettili all'uranio impoverito (DU), degli ordigni quasi-nucleari come i fuel-air explosives e come le micidiali bombe 'taglia-margherite' (daisy-cutter), per non dire dei bombardamenti, in larga parte intenzionali, degli ospedali, delle carceri, delle stazioni televisive, delle fabbriche e delle ambasciate. Il fatto che in Occidente ci sia qualcuno che definisce queste guerre 'democratiche' e che per di più le giustifica come strumenti 'umanitari', idonei per 'esportare' i diritti umani e la democrazia - fra costoro c'è stato purtroppo in questi anni anche Jürgen Habermas - getta luce su un particolare non trascurabile: chiarisce perché il global terrorism, anziché essere sconfitto, si diffonde sempre più in tutto il mondo sino a diventare la sola risposta, tragica e impotente, dei popoli oppressi allo strapotere degli Stati Uniti e dei loro più stretti alleati, l'Italia compresa. Gli italiani non dovranno stupirsi se saranno sempre più oggetto, in Iraq e non solo in Iraq, non di gratitudine servile, come il governo italiano pretenderebbe, ma di odio terroristico. 3. Violenza 'umanitaria' e guerra di aggressione Alcuni autori - fra questi Michael Ignatieff - hanno sottolineato che in Europa ci sono state reazioni molto diverse alla guerra per il Kosovo e alla guerra contro l'Iraq, pur essendosi trattato in entrambi i casi di un uso della forza internazionale formalmente 'illegittimo'. Personalmente non dispongo di argomenti significativi per 'spiegare' la diversità delle reazioni del grande pubblico - in Europa e in particolare in Italia - di fronte a due eventi in larga parte simili. In Italia ha sicuramente influito, nel caso della guerra per il Kosovo, il fatto che in prima linea, nel volere e nel giustificare la guerra, c'era un governo di centro-sinistra, guidato da un ex-comunista bellicista come Massimo D'Alema. E forse ha influito anche il sostanziale silenzio del pontefice romano, che non ha mai nascosto le sue simpatie per la cattolicissima e un tempo clerico-fascista Croazia e le sue antipatie per la Serbia ortodossa ed ex comunista. Come è noto, a 'guerra umanitaria' appena conclusa, il pontefice non ha esitato a benedirla pubblicamente, in occasione del 'Giubileo dei militari' celebrato a Roma, in San Pietro, nel 2000. Nel caso della guerra contro l'Iraq la sinistra riformista, trovandosi all'opposizione, ha ritenuto di doversi opporre alla guerra, pur con molte esitazioni e tentazioni bipartisan e con argomenti spesso goffi e confusi. E in questo caso il Pontefice romano si è schierato più chiaramente per una soluzione pacifica e i cattolici lo hanno seguito in massa, impugnando le bandiere multicolori della pace. Ma molto probabilmente la ragione principale del diverso atteggiamento sta nell'effetto simbolico dell'11 settembre. Soprattutto i giovani - i giovani del nuovo pacifismo, di un pacifismo realista e politico e non spiritualisticamente evanescente - hanno avvertito il profondo disagio di un mondo sempre più 'globalizzato' e nello stesso tempo dominato dalla competizione, dalla guerra e dal terrorismo: un mondo carico di rischi e quindi fonte di insicurezza, di angoscia e di paura. Un pacifismo che nasce dalla paura di fronte al diffondersi della violenza nel mondo è più serio e concreto di un pacifismo motivato da elevate aspirazioni moralistiche e irenistiche. 4. Guerra e diritto internazionale Autori come Stephen Krasner e Robert Keohane hanno mostrato che vaste aree normative possono emergere da trattati multilaterali e stabilizzarsi nel tempo: si pensi alla protezione dei cittadini all'estero, ai rapporti diplomatici e consolari, al sistema dei cambi, alla disciplina delle attività umane nell'Antartico, all'accordo postale mondiale e a quello sulle previsioni meteorologiche. Ciò a cui sicuramente mi oppongo è quello che ho chiamato il 'modello cosmopolitico della Santa Alleanza', e cioè l'idea che una pace stabile e universale possa venire da una concentrazione politico-militare planetaria impegnata a soffocare e gestire i conflitti sovrapponendo ad essi una forza militare soverchiante. E mi oppongo all'idea che la costituzione di un forte Leviatano sovranazionale sia la soluzione di quasi tutti i problemi dell'umanità. Ovviamente, perché la negoziazione e la cooperazione politica siano efficaci ci sono complesse precondizioni economiche, tecnologico-informatiche, culturali, religiose, condizioni che rendano possibile un confronto interculturale fra le grandi civiltà del pianeta. Certo, la sfera pubblica internazionale oggi è occupata - e vanificata nelle sue potenzialità equilibratrici e moderatrici - dagli eserciti imperiali anglo-americani. Per questo, ogni tentativo di contrastare il monismo e il monoteismo dell'occidente angloamericano deve essere guardato a mio parere con simpatia. Cina, la cui ambizione a porsi come la grande variabile degli equilibri mondiali dei prossimi decenni è sempre più evidente e credibile. Penso alle strategie che in paesi come l'Argentina e il Brasile si stanno faticosamente mettendo a punto per resistere all'offensiva panamericana (l'Alca) contro l'autonomia economica e politica dell'area del Mercosur e dell'intero subcontinente latino-americano. E penso ai processi di polarizzazione dell'economia e della politica africana attorno a centri attrattori come la Nigeria e il Sud-Africa. Per questo trovo di grandissimo interesse l'idea, lanciata dall'attuale governo brasiliano, di una alleanza strategica fra paesi come la Cina, l'India, il Sud-Africa e il Brasile contro l'unilateralismo egemonico che oggi domina i processi di globalizzazione. Ma resta anche, non lo nego, il tema delicatissimo delle controindicazioni ai processi di integrazione regionale, non solo in Europa: quale funzione devono conservare le autonomie e le differenze nazionali e soprattutto sub-nazionali entro l'inevitabile spinta verso l'omologazione dei valori, degli stili di vita, delle tradizioni normative che ogni processo di integrazione comporta? 5. Violenza terroristica e guerra globale Il diritto internazionale è concepito e praticato dalla maggioranza dei giuristi internazionalisti occidentali come una disciplina che registra gli orientamenti normativi di volta in volta emergenti dalle strategie delle grandi potenze. Sono le grandi potenze che fanno il diritto internazionale e la scienza del diritto internazionale ha il compito di razionalizzare e formalizzare come nuove regole le decisioni via via assunte dalle grandi potenze. Il diritto internazionale perde quasi totalmente la sua funzione normativa per assumere un ruolo meramente adattivo di generalizzazione e legittimazione ex post del fatto compiuto. Nel caso dell'11 settembre la scienza del diritto internazionale ha operato, salvo alcune eccezioni - quella di Antonio Cassese, ad esempio - secondo la stessa vocazione 'adattiva'. Ha equiparato l'attentato compiuto da una organizzazione terroristica ad un attacco armato di uno Stato contro un altro Stato, invocando quindi il diritto di difesa (in realtà di aggressione) dello Stato vittima dell'attentato nei termini dell'art. 51 della Carta delle Nazioni Unite. In questi termini è stata legalizzata la guerra degli Stati Uniti contro l'Afghanistan. Questa disinvolta operazione esegetica è stata avallata in Italia dalle massime autorità dello Stato - dai Presidenti delle Camere al Presidente della Repubblica - che hanno di fatto svuotato l'art. 11 della Costituzione italiana - "L'Italia ripudia la guerra come strumento di risoluzione delle controversie internazionali" - come ormai superato dal fenomeno del terrorismo internazionale. In questi ultimi quindici anni, si è sviluppato un processo di transizione dalla 'guerra moderna' alla 'guerra globale'. Questa transizione non riguarda soltanto la morfologia della 'nuova guerra', e cioè la sua dimensione strategica e la sua potenzialità distruttiva, che hanno assunto entrambe una misura globale. Strettamente connessa, come ho accennato, è una vera e propria eversione del diritto internazionale moderno e una regressione alle retoriche antiche di giustificazione della guerra, inclusi importanti elementi della dottrina 'monoteistica' del bellum justum e del suo nocciolo teologico-sacrificale di ascendenza biblica: la 'guerra santa' contro i barbari e gli infedeli. Queste retoriche sono diventate oggi, nel contesto della globalizzazione dei mezzi di comunicazione di massa, uno strumento bellico di eccezionale rilievo.
  • 34. La crisi dello Stato democratico - intervista di Julia Netesova a Danilo Zolo (2010) (http://www.juragentium.org/about/index.html ) Julia Netesova. Gli Stati contemporanei devono affrontare numerose sfide che modificano il loro rapporto con la società: l'interferenza dello Stato è in aumento, gli apparati di sicurezza tendono a divenire più influenti e importanti e, soprattutto, la gente è sempre più preoccupata per la propria sicurezza. Pensa che questi trend influenzeranno la democrazia? In che modo? Danilo Zolo. Due sono a mio parere i fenomeni più evidenti e più rilevanti. Il primo è il processo di sfaldamento degli istituti della rappresentanza politica che erano alla base del tradizionale modello "democratico", anche nelle sue forme più moderate e realiste à la Schumpeter. I suoi principali assiomi - il pluralismo dei partiti, la competizione fra programmi politici alternativi, la libera scelta elettorale fra élites concorrenziali - sono ormai degli enunciati sfuggenti, puramente formali. Anche il parlamento non svolge più alcuna funzione rappresentativa e legiferante, sostituito dal "governo" che tende a concentrare in sé tutti i poteri dello Stato di diritto (o rule of law) e a praticare una permanente ignorantia legis. Il secondo fenomeno è la pressione crescente che il potere esecutivo esercita sui cittadini. In questo contesto il sistema dei partiti è un ristretto apparato "autoreferenziale", che opera circolarmente come fonte della propria legittimazione e della promozione degli interessi delle grandi imprese produttive e degli enti finanziari, come le banche d'affari, gli investitori istituzionali, i fondi pensione, le compagnie di assicurazione. In questa veste il potere "post-democratico" svolge un ruolo di controllo e di repressione dei comportamenti privati. Nei paesi occidentali - USA ed Europa occidentale in particolare - il Welfare State sta scomparendo mentre avanzano sempre più il controllo poliziesco pubblico e privato, la segregazione degli strati più poveri della cittadinanza (la Zero tolerance newyorkese), l'incontenibile espansione della popolazione carceraria, in particolare in paesi come gli Stati Uniti, l'Italia, la Francia, l'Inghilterra. Stiamo passando, ha scritto Loïc Wacquant, dallo Stato sociale allo Stato penale. Mosca oggi J.N. La globalizzazione porterà alla scomparsa dei modelli alternativi o i movimenti di resistenza alla globalizzazione rilanceranno la ricerca di alternative adattabili ai contesti etno-culturali? D.Z. A mia conoscenza il solo tentativo di dar vita a forme politiche alternative al modello liberaldemocratico nell'ambito di paesi non occidentali è quello che si è affermato sotto il nome di Asian values nell'area dell'Oceano indiano e del Pacifico. J.N. Stiamo assistendo al mutamento dell'interazione tra le elite e la società. Alcuni esperti dicono che questa interazione è in via di scomparsa, sta diventando meno intensa e meno frequente. È d'accordo? Quali strumenti potrebbero invertire la tendenza? D.Z. Personalmente non vedo alcuna possibilità di recupero nel breve periodo di un rapporto fra cittadini ed "élites democratiche" che operino come veicoli delle aspettative popolari e siano sostenute dai propri militanti ed elettori. La globalizzazione ha favorito il costituirsi di regimi che, pur sventolando ancora, opportunisticamente, la bandiera della democrazia, sono in realtà oligarchie elitarie, tecnocratiche e repressive che vivono all'ombra del mercato globale. J.N. La società civile è nata dal conflitto con lo Stato che tentava di espandere la propria autorità. Oggi gli Stati stanno diventando globali, stanno cedendo il loro potere a una sorta di Stato mondiale. Anche la società civile sta diventando globale. Che correlazioni esistono fra questi due processi? In che modo lo Stato mondiale e la società civile globale si influenzeranno reciprocamente nel corso di questa trasformazione? D.Z. La mia opinione è che oggi non esiste e non ci sarà mai uno Stato globale se per "Stato globale" (World state) si intenda una struttura di potere mondiale centralizzato e concentrato in un unico governo, in qualche modo rappresentativo delle aspettative e degli interessi della popolazione mondiale. J.N. Pensa che internet e i social networks diventeranno un nuovo fattore della democrazia contemporanea, che ne modificherà le caratteristiche? Si creerà un nuovo modello di "uomo sociale"? D.Z. Ci sono autori - ed io sono fra questi - che sottolineano la crescente specializzazione delle funzioni politiche entro le società minimamente industrializzate e la scarsità delle risorse di tempo, di attenzione e di competenza socialmente disponibili per la partecipazione politica anche sul terreno semplicemente informatico. Ci sono molti dubbi che le tecnologie informatiche possano contribuire ad una diffusione nazionale e tanto meno transnazionale dei valori e delle istituzioni democratiche. La possibilità di prendere decisioni politiche pertinenti dipende assai meno dalla disponibilità di tecniche di comunicazione rapida che non dalla capacità degli attori sociali di controllare e selezionare criticamente le proprie fonti cognitive, in un contesto di generale trasparenza sia dei meccanismi di di emissione delle notizie, sia dei processi decisionali. Non va dimenticato che le nuove tecnologie della comunicazione hanno notevolmente accentuato le diseguaglianze su scala mondiale. Il cosiddetto global digital divide taglia in due il mondo "globalizzato". Nei trenta, ricchi paesi dell'OCSE, nei quali risiede meno di un quinto della popolazione mondiale, risulta presente il 95% delle utenze stabili di Internet mentre l'Europa sorpassa di 41 volte l'Africa, che pure ha una popolazione più numerosa di quasi 100 milioni. Complessivamente meno del 6% della popolazione mondiale è connesso alla rete: circa 4 miliardi di persone oggi ne sono escluse. Mentre gli Stati Uniti e il Canada contano assieme circa il 60% dei "navigatori", l'Africa e il Medio Oriente raggiungono assieme il 2%. J.N. Che genere di sfide le società multiculturali pongono alla democrazia? Come si trasformano le forme e le procedure democratiche nelle società divise da identità culturali, etniche e religiose differenti? In che modo la democrazia può armonizzarsi con il pluralismo e il multiculturalismo? D.Z. La lotta per l'acquisto delle cittadinanze pregiate dell'Occidente è condotta da parte di masse sterminate di soggetti appartenenti ad aree continentali senza sviluppo e con un elevato tasso demografico. Questa lotta assume la forma della migrazione di massa di soggetti molto deboli ma che esercitano, grazie alla loro infiltrazione capillare negli interstizi delle cittadinanze occidentali, una forte pressione per l'eguaglianza. La replica da parte delle cittadinanze minacciate da questa pressione "cosmopolitica" - in termini sia di espulsione violenta degli immigrati, sia di negazione della loro qualità di soggetti civili - sta scrivendo e sembra destinata a scrivere nei prossimi decenni le pagine più luttuose e più squallide della storia politica dei paesi occidentali. J.N. Lo scorso settembre la Russia ha ospitato un importante World Global Policy Forum a Yaroslav - un'iniziativa del Presidente Medvedev che ha raccolto alcuni dei più importanti politici ed esperti a livello mondiale. L'argomento principale in discussione era: "Modern State: Standards of Democracy". Può suggerire un altro tema da discutere a Yaroslav nel 2011? Quali eventi dovrebbero essere trattati nel programma del convegno? D.Z. Ci sono tre temi che mi stanno particolarmente a cuore e che ho trattato in un mio recente volume: 1. la crisi della dottrina dei diritti umani come ideologia occidentale in declino, a cominciare dalla costante, tragica violazione del diritto alla vita; 2. la trasformazione in corso dei paesi occidentali dalla forma dello Stato democratico a quella di una società repressiva e penitenziaria; 3. il fallimento dell'obiettivo di una pace universale, compito inutilmente attribuito alle Nazioni Unite dalle potenze vincitrici della seconda guerra mondiale, l'Unione Sovietica compresa. Mi permetto di segnalare in particolare il tema dell'urgente necessità di una riforma delle istituzioni internazionali che includa anzitutto le Nazioni Unite, il Fondo monetario internazionale e la Banca mondiale, che fra l'altro sono tutte insediate nel continente americano senza alcuna ragione. (Russian Journal, November 19, 2010)
  • 35. Quale democrazia nell'Africa mediterranea? (2011) - Danilo Zolo (http://www.juragentium.org/about/index.html ) Una primavera araba Ciò che purtroppo sembra possibile affermare con sicurezza è soltanto che il Mediterraneo orientale è destinato ad essere ancora per molto tempo l'epicentro incandescente di una lotta feroce: la tragedia del popolo palestinese e la violenza dello Stato di Israele dureranno a lungo, coinvolgendo nel loro conflitto il Mediterraneo intero, e non solo. La pace nel mondo islamico è lontana e penso che sia prudente non essere ottimisti (2). Un povero venditore di frutta e verdura Non è facile tentare di ricostruire le origini, le motivazioni e gli obiettivi della rivolta alla quale hanno dato vita migliaia di giovani in Tunisia e in Egitto. Ciò che si può sostenere con certezza è che in entrambi i casi si è trattato di un evento spontaneo, assolutamente non previsto. A prendere l'iniziativa e a guidare la rivolta non è stata un'organizzazione politica, ideologica o religiosa. Si è trattato piuttosto di una protesta che è corretto definire "morale": un rifiuto intransigente dell'autoritarismo, della corruzione, della speculazione, del nepotismo e, non ultimo, della tortura. È chiaro che sia in Tunisia sia in Egitto la rivolta contro i regimi dominanti è stata una coraggiosa manifestazione giovanile: centinaia di migliaia di giovani di età fra i venti e i trent'anni hanno rivendicato con intensa emotività il diritto a vivere dignitosamente, come Mohamed Buazizi avrebbe voluto. Hanno chiesto ad alta voce che il loro avvenire non fosse più il nulla che da anni li opprimeva: un nulla non lontano dall'infelicità, dalla disperazione, dal suicidio. Il futuro prometteva loro soltanto disoccupazione, povertà, solitudine, tristezza, abbandono. Si potrebbe dire che è stata la paura del futuro ad animare una rivolta popolare del tutto spontanea, non armata, nata dal basso. I giovani hanno posto al centro delle loro rivendicazioni la possibilità di una vita onesta e dignitosa, non discriminata da una minoranza di ricchi egoisti e prepotenti. Al centro di ogni altro valore - come vedremo - doveva emergere un principio irrinunciabile: la struttura politica alternativa al dispotismo doveva chiamarsi ed essere "democrazia". L'attivismo femminile e i social network Altri due elementi hanno caratterizzato la rivolta giovanile tunisina ed egiziana: l'ampia partecipazione femminile e l'intensa comunicazione via Internet. In un suo saggio molto documentato Renata Pepicelli ha mostrato il notevole contributo che sia in Tunisia che in Egitto migliaia di giovani donne hanno dato alla battaglia contro il dispotismo politico, mettendo spesso a repentaglio la loro vita (7). È noto che per anni il presidente tunisino Ben Ali si era esibito come un convinto tutore dei diritti delle donne contro i movimenti islamisti. Ma mentre si esibiva come difensore della democrazia, del laicismo e dell'eguaglianza sociale, il suo regime reprimeva spietatamente chi si batteva per la causa dell'uguaglianza di genere, come era il casodella Association tunisienne des femmes démocrates (Atdf) (8). Emblema di quest'ultima, coraggiosa battaglia può essere considerata la giovane Asmaa Mahfouz, in qualche modo l'ombra egiziana di Mohamed Buazizi. Con il suo coraggioso video-appello, registrato il 18 gennaio con un telefono cellulare e poi diffuso da YouTube, è stata la prima persona a stimolare i suoi connazionali perché si riunissero in piazza Tahrir (12). Indimenticabili sono le sue parole, trasmesse con un atteggiamento audace ed entusiasta ed ascoltate da oltre 180mila persone in Egitto e all'estero. Questo appello rovescia l'immagine di un regime che si fregiava di essere laico e democratico e che invece opprimeva, impoveriva, umiliava in particolare le donne, negando il loro diritto ad essere cittadine. Queste donne sono scese nelle piazze e hanno sfidato la violenta repressione in corso, in alcuni casi muorendo sotto il fuoco della polizia. E si deve a loro se la rivolta si è servita di uno strumento prezioso - il Web - e ha ottenuto un imprevedibile successo come simbolo dell'intera rivendicazione democratica maghrebina. I principali social network quali Facebook, Twitter, Flickr, YouTube sono diventati strumenti fondamentali di critica e di protesta (14). La loro idoneità a diffondere civilmente e legalmente le immagini della rivolta - sia di quella egiziana che di quella tunisina - ne ha fatto un'arma pericolosa per i leaders in carica, al punto da costringerli ad oscurare per giorni interi le reti telefoniche e Internet. Quanto alle donne tunisine, esse sono riuscite ad ottenere qualcosa: alle future elezioni dell'Assemblea costituente, che si terranno il 23 ottobre, le liste saranno composte di un numero uguale di donne e di uomini, cosicché almeno un quarto dei deputati della futura Assemblea costituente saranno donne. Elaborare la nuova costituzione escludendo le donne sarebbe stata una pericolosa violazione dell'eguaglianza fra i sessi. E tuttavia il rischio che esse vengano escluse è comunque molto alto e loro lo sanno e non si illudono. La primavera arabo-islamica può diventare rapidamente un grigio autunno. Quale democrazia? . Per "democrazia" si può intendere, una partecipazione responsabile dei cittadini e delle cittadine ai processi decisionali in modo che, con periodicità regolare, essi possano scegliere liberamente fra soluzioni alternative (18). È dunque inevitabile riconoscere che la nozione di "democrazia" - costantemente evocata dai giovani tunisini ed egiziani - non appartiene al lessico musulmano e non presenta alcuna connessione con i valori tramandati dalla tradizione coranica "Democrazia" resta comunque un concetto del tutto estraneo alla cultura islamica: il mondo musulmano non può servirsene se non come espressione di una realtà politica che si è affermata in Occidente, e solo in Occidente, con lo sviluppo della "modernità". E si tratta di una realtà politica anch'essa investita dal processo di globalizzazione e che tende quindi a trasformarsi, pur conservando il proprio nome, in un regime subordinato allo strapotere dei padroni dell'economia di mercato, oggi diffusa nel mondo intero (25). E questi padroni sono in larga parte anche i signori del Mediterraneo. A mio parere questo è un tema decisivo per chi intenda in qualche modo essere utile a un movimento giovanile che dopo aver svolto un ruolo di protagonista nella battaglia antitirannica in Tunisia e in Egitto oggi vorrebbe - e forse dovrebbe - dar vita a un vero e proprio "fronte democratico" (26). Nei paesi musulmani è insopportabile lo spreco di talento, in particolare quando si incontrano giovani uomini e giovani donne delle classi povere: "Ana daya'" (la mia vita è sprecata) è il Leitmotiv che viene ripetuto. Questi lamenti dovrebbero essere presi in considerazione se si vuole capire perché i giovani musulmani delle classi più basse, dolorosamente minacciati da un alto tasso di disoccupazione, si mobilitano per vincere il contrasto fra l'islam e la democrazia (30). La democrazia nelle mani dei potenti È vero che la "democrazia" è l'obiettivo fondamentale delle nuove generazioni tunisine ed egiziane, allora non si può chiudere questa riflessione senza tentare di capire se oggi esiste un rapporto positivo fra i paesi islamici dell'Africa settentrionale e le potenze occidentali che controllano manu militari il Mediterraneo e si considerano per eccellenza "democratiche" e portatrici di democrazia. "Democrazia" avrà sostanzialmente il significato che gli Stati Uniti hanno attribuito a questo termine quando hanno deciso di porre sotto il proprio controllo militare il Mediterraneo, il Medio oriente e l'Asia centro-meridonale, moltiplicando le loro centinaia di basi militari. Hanno iniziato con l'invio di 500mila soldati in Medio oriente e la vittoriosa guerra del Golfo del 1991. E hanno proseguito con le guerre dei Balcani degli anni novanta, con l'aggressione all'Afghanistan e all'Iraq nei primi anni del Duemila, e hanno infine concluso, almeno per ora, con la sconfitta di Muammar Gheddafi e l'occupazione di fatto della Libia. Per i paesi islamici del Mediterraneo il termine "democrazia" avrà dunque un duplice significato. Per un verso sarà ancora una volta l'emblema della "modernità" occidentale e del potere economico, politico e culturale dell'Occidente, infinitamente superiore a quello dei paesi nord-africani. Come hanno sostenuto Târiq al-Bishrî (31) e Hamadi Redissi (32), il "trauma della modernità" (sadmat alhadâha) continuerà a lungo a "destrutturare" e a lacerare il mondo islamico. Per un altro verso "democrazia" avrà nuovamente, e con particolare intensità, la funzione che le aveva attribuito nei primi anni del Duemila il penultimo presidente degli Stati Uniti, George Bush Junior e che l'attuale presidente degli Stati Uniti, Barack Obama, ha ripreso e fatto sua. Si tratta del progetto del Grande Medio Oriente (Broader Middle East (35)) il cui obiettivo dichiarato era usare la forza per "abbattere le dittature ed esportare la democrazia" all'interno mondo islamico, dal Marocco e dalla Mauritania all'Afghanistan e al Pakistan, naturalmente passando per il Medio oriente con l'ovvia solidarietà dello Stato di Israele. E non si può escludere che il celebre discorso di riconciliazione con il mondo musulmano tenuto al Cairo da Barack Obama nel giugno del 2009 fosse in realtà una manovra diplomatica per rilanciare e fare accettare ai paesi islamici la strategia "democratica" del Grande Medio Oriente. Tutto questo non esclude che nell'Africa mediterranea nuove generazioni di uomini e di donne coraggiosi riescano in un prossimo futuro a liberare i loro paesi dal dispotismo e dai privilegi dei ricchi e dei potenti, incluse le potenze occidentali. Ad attenderli ci sarà l'ombra di Mohamed Buazizi, un povero venditore di frutta e verdura.