1. La riservatezza dei dati, il segreto
professionale e la deontologia
(dalla parte dell'Avvocato)
Università degli studi di
Milano
25 marzo 2011
Marcello Bergonzi Perrone
Avvocato in Voghera e Milano, membro Circolo Giuristi Telematici,
redattore della rivista scientifica: “ciberspazio e diritto”.
2. Accezione comune
- segreto: ciò che è vietato rivelare ad
altri
- riservatezza: riserbo. Prudenza nella
divulgazione del proprio pensiero
- deontologia: l'insieme delle norme
morali e di correttezza nell'esercizio della
professione
3. La deontologia
IL CODICE DEONTOLOGICO FORENSE
(Testo approvato dal Consiglio Nazionale Forense nella seduta del 17 aprile
1997 ed aggiornato con le modifiche introdotte il 16 ottobre 1999, il 26
ottobre 2002, il 27 gennaio 2006, il 18 gennaio 2007 e il 12 giugno 2008)
ART. 1. - Ambito di applicazione.
Le norme deontologiche si applicano a tutti gli avvocati e
praticanti nella loro attività, nei loro reciproci rapporti e nei
confronti dei terzi
4. TITOLO I - PRINCIPI GENERALI
ART. 5. - Doveri di probità, dignità e decoro
ART. 6. - Doveri di lealtà e correttezza
ART. 7. - Dovere di fedeltà
ART. 8. - Dovere di diligenza
ART. 10. - Dovere di indipendenza
ART. 12. - Dovere di competenza
5. ART. 9. - Dovere di segretezza e
riservatezza
È dovere, oltreché diritto, primario e fondamentale
(“primordiale”? ndr) dell’avvocato mantenere il segreto
sull’attività prestata e su tutte le informazioni che siano
a lui fornite dalla parte assistita o di cui sia venuto a
conoscenza in dipendenza del mandato.
anche per gli ex clienti, per l'attività stragiudiziale (I cpv.) e anche
in caso di mancata accettazione del mandato (II cpv.)
Regola che vale anche per i collaboratori e dipendenti e per tutte
le persone che cooperano nello svolgimento dell’attività (III cpv.)
6. Cons. Naz. Forense 11-11-2009, n. 100
Viola l'art. 7 del codice deontologico il professionista che,
nell'ambito del primario dovere di fedeltà al mandato, compia
atti contrari all'interesse dell'assistito quali la diffusione di
notizie a quest'ultimo sfavorevoli apprese nel corso o in
occasione del rapporto. Tale condotta viola altresì l'art. 9 del
medesimo codice concernente l'altro parimenti fondamentale
dovere di mantenere il segreto sulle informazioni fornite
dall'assistito o delle quali l'avvocato sia venuto a conoscenza
in dipendenza del mandato, a causa od in occasione dello
stesso, non incidendo sul rigoroso rispetto di tale dovere la
circostanza che nella specie il mandato permanesse solo
formalmente, atteso che il vincolo del segreto riguarda anche
gli ex-clienti.
7. ART. 35. - Rapporto di fiducia.
Il rapporto con la parte assistita è fondato sulla fiducia.
(senza riservatezza non può esserci fiducia, ndr)
ART. 36. - Autonomia del rapporto.
L’avvocato ha l’obbligo di difendere gli interessi della
parte assistita nel miglior modo possibile nei limiti del
mandato e nell’osservanza della legge e dei
principi deontologici (rapporti con la stampa...ndr)
8. Bilanciamento tra il dovere di
riservatezza (segretezza?) e il
dovere di difesa: quali i limiti?
Rapporto costo/beneficio
9. I rapporti coi parenti del cliente
L'art. 96 c.p.p. (III comma): «la nomina del difensore di
fiducia della persona fermata, arrestata o in custodia
cautelare, finché la stessa non vi ha provveduto, può
essere fatta da un prossimo congiunto, con le forme
previste dal comma 2.»
Come ci si comporta con i parenti che hanno nominato
l'avvocato, che chiedono informazioni sull'andamento
della pratica dopo la nomina?
10. Altre comunicazioni vietate
- le “confidenze” ai terzi non interessati
- le “confidenze” ai terzi interessati (es: altri
clienti o controparti o stampa)
- la pubblicizzazione della clientela
- gli “sfoghi” in famiglia
11. Prevalenza del diritto “più forte”
Anche secondo la giurisprudenza del CNF,
posso rivelare, ad es., al Giudice le notizie
in mio possesso per un'azione contro il mio
(ex) cliente, ma entro i limiti della
correttezza, senza ad es. rivelare notizie
inutili al solo scopo di nuocere al mio
avversario/cliente
12. Cons. Naz. Forense 22-03-1997, n. 23
Pone in essere un comportamento
deontologicamente rilevante il
professionista che nel ricorso per decreto
ingiuntivo avverso propri clienti, per il
soddisfacimento di crediti professionali,
riferisca dell'attività svolta con dovizia
di particolari riguardanti episodi coperti
dal segreto professionale.
13. Cons. Naz. Forense 12-11-1996, n. 157
Pone in essere un comportamento disciplinarmente
rilevante l'avvocato che eserciti pressioni, se pur
indirette, verso il proprio cliente e altresì lo
minacci di violare il segreto professionale per
ottenere il pagamento delle proprie spettanze
professionali, e non restituisca poi atti e
documenti.
14. Cons. Naz. Forense 08-07-1994, n. 65
L'avvocato al quale sia stato revocato il mandato
viola il dovere di segretezza nell'ipotesi in cui
invia a tutti i creditori dell'ex cliente una
comunicazione contenente la rivelazione di
eventi e comportamenti del proprio cliente, di cui
egli era venuto a conoscenza nel contesto del
rapporto professionale, e sui quali era tenuto al
segreto anche dopo l'estinzione del mandato.
15. Cons. Naz. Forense 30-09-1993, n. 113
Il dovere di segretezza impone al professionista
forense di non rivelare gli incarichi
professionali ricevuti dal proprio cliente. Non
costituisce quindi illecito disciplinare la mancata
comunicazione al promissario acquirente
dell'esistenza di una controversia giudiziaria
sull'appartamento oggetto dell'acquisto (nella
convinzione che tale controversia non abbia
rilevanza sulla idoneità del bene).
16. Art. 18 – rapporti con la stampa
Nei rapporti con la stampa e con gli altri mezzi di
diffusione l'avvocato deve ispirarsi a criteri di
equilibrio e misura nel rilasciare interviste, per il
rispetto dei doveri di discrezione e riservatezza.
I. Il difensore, con il consenso del proprio assistito e
nell'esclusivo interesse dello stesso, può fornire
agli organi di informazione e di stampa notizie che
non siano coperte dal segreto di indagine.
17. II. In ogni caso, nei rapporti con gli organi di
informazione e con gli altri mezzi di diffusione, è fatto
divieto all'avvocato di enfatizzare la propria capacità
professionale, di spendere il nome dei propri
clienti, di sollecitare articoli di stampa o interviste sia
su organi di informazione sia su altri mezzi di
diffusione; è fatto divieto altresì di convocare
conferenze stampa fatte salve le esigenze di difesa
del cliente.
III. E' consentito all'avvocato, previa comunicazione al
Consiglio dell'Ordine di appartenenza, di tenere o
curare rubriche fisse su organi di stampa con
l'indicazione del proprio nome e di partecipare a
rubriche fisse televisive o radiofoniche.
18. Esempio pratico 1
caso di pedofilia menzionato dalla stampa locale e
riservatezza del difensore: qual'è l'interesse del
cliente? Tacere o parlare?
Esempio pratico 2
Caso di malasanità: il parente chiede che venga
data massima pubblicità al caso, per influenzare
maggiormente gli organi inquirenti e giudicanti:
fino a che punto è lecito?
19. Cons. Naz. Forense 13-05-1998, n. 48
Pone in essere un comportamento non rilevante
disciplinarmente, in quanto non lesivo né della dignità né
del decoro dell'intera classe forense, il professionista che
esprima, nel corso di un'intervista, dissenso e forti
critiche sul modo di conduzione dell'indagine e sul
teorema accusatorio.(Nella specie il C.N.F. ha rilevato
che nelle dichiarazioni rese alla stampa non si
rinvenivano parole ingiuriose nei confronti del P.M. bensì
opinioni e valutazioni, anche polemiche, finalizzate ad
evidenziare l'infondatezza dell'accusa elevata nei
confronti del cliente del professionista e la disparità di
trattamento riservato ad altri, asseritamente meritevoli di
addebiti penali non perseguiti).
20. Cons. Naz. Forense 13-12-2010, n. 200
Pone in essere un comportamento deontologicamente
rilevante, in violazione dell'art. 18 c.d.f., il professionista
che, ancor prima di intraprendere l'azione giudiziaria nei
confronti di un Collega, intrattenga crescenti rapporti
con la stampa al fine di dare diffusione alla notizia
dell'azione legale, così ponendosi in contrasto con le
regole di pacatezza, sobrietà e continenza sancite dalla
suddetta previsione deontologica, ed utilizzi le note
divulgative al fine di pubblicizzare, mediante la
strumentale spendita del nome della nota cliente,
competenze ed organizzazione del proprio studio
professionale, così eccedendo le stesse esigenze di
tutela della parte assistita.
21. Cons. Naz. Forense 06-12-2006, n. 139
Viola il dovere di riservatezza proprio della professione
forense (art. 9 c.d.f.), nonché il divieto di sollecitare
articoli di stampa o interviste su organi di
informazione, spendendo il nome dei propri clienti
(art.18 c.d.f.), il professionista che, attraverso le
pagine di un quotidiano locale, divulghi il contenuto
di una sua lettera inviata alla controparte per
conto dei propri assistiti.
22. Art. 52 – rapporti con i testimoni
5. Il difensore ha il dovere di mantenere il segreto
professionale sugli atti delle investigazioni difensive e sul
loro contenuto, finché non ne faccia uso nel
procedimento, salva la rivelazione per giusta causa
nell’interesse del proprio assistito.
6. Il difensore ha altresì l’obbligo di conservare
scrupolosamente e riservatamente la documentazione
delle investigazioni difensive per tutto il tempo ritenuto
necessario o utile per l’esercizio della difesa.
23. Il codice penale – il segreto
LIBRO SECONDO
DEI DELITTI IN PARTICOLARE (vd. art. 17 c.p.)
TITOLO XII
Dei delitti contro la persona
Capo III
Dei delitti contro la libertà individuale
Sezione V
Dei delitti contro la inviolabilità dei segreti
Art. 622 c.p. (Rivelazione di segreto professionale).
24. Art. 622 c.p. (Rivelazione di
segreto professionale) (200 c.p.p.)
Chiunque, avendo notizia, per ragione del proprio stato o
ufficio, o della propria professione o arte, di un segreto
(in che senso?), lo rivela, senza giusta causa, ovvero lo
impiega a proprio o altrui profitto, è punito, se dal fatto può
derivare nocumento, con la reclusione fino a un anno o con
la multa da euro 30 a euro 516.
La pena è aggravata se il fatto è commesso da
amministratori, direttori generali, dirigenti preposti alla
redazione dei documenti contabili societari (1), sindaci o
liquidatori o se è commesso da chi svolge la revisione
contabile della società.
Il delitto è punibile a querela della persona offesa.
25. il segreto nel C.P.P.
- sul processo (“segreti processuali”: segreto
investigativo - 329 e 335 co. 3 e 3-bis
c.p.p. - divieto pubblicazione atti e
immagini - 114 c.p.p. -)
- nel processo (“segreti probatori”. Es. di
segreto: professionale – 200 c.p.p. -
familiare – 199 c.p.p. - di ufficio - 201
c.p.p. - di stato - 202 c.p.p. -, informatori di
P.G. - 203 c.p.p..)
26. “Segreto”, nelle norme di procedura
penale sopra richiamate è più tassativo,
nell'ambito dell'art. 622 c.p. è più labile,
fino a sconfinare nel concetto più vasto
di “riservato” (cfr.: Cass. 19/04/1996 “Carola”)
Mancanza di coordinamento?...
27. Art. 200 c.p.p.
Non possono essere obbligati a deporre su
quanto hanno conosciuto per ragione del
proprio ministero, ufficio o professione,
salvi i casi in cui hanno l'obbligo di riferirne
all'autorità giudiziaria (es: referto, ndr):
b) gli avvocati, gli investigatori privati
autorizzati, i consulenti tecnici e i notai;
(ndr: anche i praticanti: Corte Cost. 87/1997)
28. Art. 58 codice deontologico
la testimonianza dell'avvocato
Per quanto possibile, l’avvocato deve astenersi dal deporre
come testimone su circostanze apprese nell’esercizio
della propria attività professionale e inerenti al mandato
ricevuto.
I - L’avvocato non deve mai impegnare di fronte al giudice
la propria parola sulla verità dei fatti esposti in giudizio.
II - Qualora l’avvocato intenda presentarsi come testimone
dovrà rinunciare al mandato e non potrà riassumerlo.
29. Parere Consiglio nazionale forense
04-07-2001
il contenuto di conversazioni riservate tenute da avvocati anche su
proposte transattive deve essere qualificato oggetto di conoscenza
"per ragione del proprio ministero, ufficio o professione", e quindi
oggetto di segreto professionale ai sensi dell'art. 200 c.p.p.; tale
qualificazione comporta la facoltà di astensione dal deporre come
testimone, prevista dall'art. 249 c.p.c., per il richiamo contenuto in
tale norma.
La facoltà di astensione accordata dal legislatore di rito, correlata
con la prescrizione deontologica innanzi richiamata, comporta
per l'avvocato l'esclusione dell'obbligo di rendere testimonianza
sulle proposte transattive trasmesse dal difensore della controparte;
né sul doveroso esercizio della facoltà di astensione può incidere la
volontà della parte assistita, trattandosi di regole stabilite
nell'interesse generale al corretto esercizio della professione
d'avvocato, e quindi di interessi estranei al legittimo suo potere di
disposizione.
30. Il decreto legislativo 30 giugno
2003, n. 196 (cod. privacy)
Art. 1. Diritto alla protezione dei dati personali
1. Chiunque ha diritto alla protezione dei dati personali che
lo riguardano.
Art. 2. Finalità
1. Il presente testo unico, di seguito denominato "codice",
garantisce che il trattamento dei dati personali si svolga
nel rispetto dei diritti e delle libertà fondamentali, nonché
della dignità dell'interessato, con particolare riferimento
alla riservatezza, all'identità personale e al diritto alla
protezione dei dati personali.
31. Art. 4. Definizioni
1. Ai fini del presente codice si intende per:
a) "trattamento", qualunque operazione o complesso di
operazioni, effettuati anche senza l'ausilio di strumenti
elettronici, concernenti la raccolta, la registrazione,
l'organizzazione, la conservazione, la consultazione,
l'elaborazione, la modificazione, la selezione, l'estrazione, il
raffronto, l'utilizzo, l'interconnessione, il blocco, la
comunicazione, la diffusione, la cancellazione e la distruzione
di dati, anche se non registrati in una banca di dati;
b) "dato personale", qualunque informazione relativa a persona
fisica, persona giuridica, ente od associazione, identificati o
identificabili, anche indirettamente, mediante riferimento a
qualsiasi altra informazione, ivi compreso un numero di
identificazione personale;
32. d) "dati sensibili", i dati personali idonei a rivelare l'origine razziale
ed etnica, le convinzioni religiose, filosofiche o di altro genere, le
opinioni politiche, l'adesione a partiti, sindacati, associazioni od
organizzazioni a carattere religioso, filosofico, politico o sindacale,
nonché i dati personali idonei a rivelare lo stato di salute e la vita
sessuale;
e) "dati giudiziari", i dati personali idonei a rivelare provvedimenti
di cui all'articolo 3, comma 1, lettere da a) a o) e da r) a u), del
d.P.R. 14 novembre 2002, n. 313, in materia di casellario
giudiziale, di anagrafe delle sanzioni amministrative dipendenti da
reato e dei relativi carichi pendenti, o la qualità di imputato o di
indagato ai sensi degli articoli 60 e 61 del codice di procedura
penale;
33. f) "titolare", la persona fisica, la persona giuridica, la pubblica
amministrazione e qualsiasi altro ente, associazione od
organismo cui competono, anche unitamente ad altro titolare, le
decisioni in ordine alle finalità, alle modalità del trattamento di
dati personali e agli strumenti utilizzati, ivi compreso il profilo della
sicurezza (chi decide cosa sul trattamento, ndr);
g) "responsabile", la persona fisica, la persona giuridica, la
pubblica amministrazione e qualsiasi altro ente, associazione od
organismo preposti dal titolare al trattamento di dati personali
(fa quello che gli viene detto di fare dal titolare, ndr);
h) "incaricati", le persone fisiche autorizzate a compiere
operazioni di trattamento dal titolare o dal responsabile (es,
segretaria, praticante, collaboratore, etc. ndr) ;
i) "interessato", la persona fisica, la persona giuridica, l'ente o
l'associazione cui si riferiscono i dati personali;
34. L'illecito trattamento dei dati da parte del
professionista può comportare:
- Responsabilità civile (art. 15 cod. privacy)
- Responsabilità penale (artt. 167, 169 cod.
privacy)
- Altre forme di responsabilità (es.: sanzioni
da parte dell'Ordine di appartenenza,
sanzioni amministrative del Garante, art. 161
cod. priv.)
35. Art. 11. Modalità del trattamento e
requisiti dei dati
1. I dati personali oggetto di trattamento sono:
a) trattati in modo lecito e secondo correttezza;
b) raccolti e registrati per scopi determinati, espliciti e
legittimi, ed utilizzati in altre operazioni del trattamento in
termini compatibili con tali scopi;
c) esatti e, se necessario, aggiornati;
d) pertinenti, completi e non eccedenti rispetto alle finalità
per le quali sono raccolti o successivamente trattati;
e) conservati in una forma che consenta l'identificazione
dell'interessato per un periodo di tempo non superiore a
quello necessario agli scopi per i quali essi sono stati
raccolti o successivamente trattati.
36. Le sanzioni civili
Art. 15. Danni cagionati per effetto del trattamento
1. Chiunque cagiona danno ad altri per effetto del
trattamento di dati personali è tenuto al
risarcimento ai sensi dell'articolo 2050 del
codice civile.
2. Il danno non patrimoniale è risarcibile anche in
caso di violazione dell'articolo 11.
37. Art. 2059 c.c.
Danni non patrimoniali.
Il danno non patrimoniale deve essere
risarcito solo nei casi determinati dalla
legge. (es: 185 c.p.)
38. Art. 2043 c.c.
Risarcimento per fatto illecito.
“Qualunque fatto doloso o colposo che
cagiona ad altri un danno ingiusto, obbliga
colui che ha commesso il fatto a risarcire il
danno.”
Qui vale la regola generale dell'onere
probatorio (civile): chi afferma un diritto in
giudizio, lo deve dimostrare (2697 c.c.)
39. L'art. 2050 c.c.
Responsabilità per l'esercizio di
attività pericolose.
Chiunque cagiona danno ad altri nello
svolgimento di una attività pericolosa, per
sua natura o per la natura dei mezzi
adoperati, è tenuto al risarcimento, se non
prova di avere adottato tutte le misure
idonee a evitare il danno.
40. Il Danno morale
Quel danno che non incide sulla sfera
patrimoniale della vittima, ma che riguarda
un suo patimento morale, una sofferenza
psichica o fisica (pretium doloris), e che
viene liquidato in via equitativa (artt. 1226 e
2056 c.c.)
41. Misure idonee (art. 31):
1. I dati personali oggetto di trattamento sono custoditi
e controllati, anche in relazione alle conoscenze
acquisite in base al progresso tecnico, alla natura dei
dati e alle specifiche caratteristiche del trattamento, in
modo da ridurre al minimo, mediante l'adozione di
idonee e preventive misure di sicurezza, i rischi di
distruzione o perdita, anche accidentale, dei dati stessi,
di accesso non autorizzato o di trattamento non
consentito o non conforme alle finalità della raccolta.
42. Misure minime (art. 33):
1. Nel quadro dei più generali obblighi di sicurezza di
cui all'articolo 31, o previsti da speciali disposizioni, i
titolari del trattamento sono comunque tenuti ad
adottare le misure minime individuate nel presente
capo o ai sensi dell'articolo 58, comma 3, volte ad
assicurare un livello minimo di protezione dei dati
personali.
43. Dal combinato disposto delle norme di cui
sopra, il titolare sarà tenuto a risarcire i
danni, a meno che non provi di avere
adottato tutte le misure IDONEE (e non solo
“minime”, cioé tutte quelle anche
astrattamente possibili) ad evitare il danno.
Vale la presunzione di colpa!
Probatio diabolica?
44. Le sanzioni penali nel cod.
privacy
Art. 167 (trattamento illecito) se deriva
nocumento, reclusione da 6 a 24 mesi (I
comma) o da 1 a 3 anni (II comma – dati
sensibili) + da 10.000 a 120.000 euro (vd art.
162 comma II)
Art. 169 (mancata adozione di misure minime di
sicurezza di cui all'art. 33) arresto sino a due
anni
Art. 170 (inosservanza provvedimenti del
Garante) reclusione da 3 mesi a 2 anni
45. Sanzioni amministrative nel
cod. privacy
Art. 161 (omessa informativa dell'art. 13) da
6 a 36.000 euro
Art. 162 (altre fattispecie) da 10.000 a 60.000
euro (comma I) da 30.000 a 180.000 euro
comma II-ter)
Art. 164 bis (ipotesi di minore e maggiore
gravità, adeguamento sanzionatorio)