1. Fu la prima Convenzione sui diritti dell’uomo del XXI
secolo. L’intento della Convenzione fu quello di
promuovere e di garantire alle persone disabili il
pieno e reale godimento dei diritti in ogni ambito
della vita: nella salute, nell’istruzione, nel lavoro,
nella società e nella politica. Tale intento però poteva
essere possibile solo a patto di attribuire al contesto
socio-culturale un ruolo di primo piano nella
determinazione della situazione di svantaggio della
persona disabile.
2. Non a caso proprio questo paradigma fu espresso nel
Preambolo della Convenzione, dove la disabilità venne definita
come il risultato dell’interazione tra persone con menomazioni e
barriere comportamentali ed ambientali, che impediscono la loro
piena ed effettiva partecipazione alla società sulla base di
uguaglianze con gli altri (lettera e). Alla luce di questa definizione
di disabilità risultò chiaro come era il contesto (ambienti,
procedure, strumenti educativi ed ausili) che si doveva adattare
alle persone disabili e non il contrario All’adozione formale della
Convenzione sui diritti delle persone con disabilità da parte delle
Nazioni Unite fece seguito la fase delle ratifiche nazionali.
3. Con la Legge n. 18 del 3 marzo 2009anche l’Italia si impegnò
nella ratifica della Convenzione e nella conseguente istituzione
dell’Osservatorio nazionale sulla condizione delle persone con
disabilità. Questo organismo fu istituito presso il Ministero del
lavoro, della salute e delle politiche sociali allo scopo di
promuovere la piena integrazione delle persone disabili (art.3) e
venne appositamente incaricato di promuovere, tutelare e
monitorare l’applicazione del trattato. Come l’Italia, tutti i paesi
ratificanti assicurarono di adeguare la loro legislazione interna ai
principi dei cinquanta articoli della Convenzione, integrando nelle
loro legislazioni nazionali le misure antidiscriminatorie a favore
delle persone disabili.
4. Nel 2009 merita di essere ricordato, in riferimento al
contesto della formazione e dell’istruzione, il
significativo contributo dell’UNESCO contenuto nelle
Linee Guida per le politiche di Integrazione
nell’Istruzione In esse, dopo aver precisato che i
bambini con disabilità stanno ancora combattendo
contro una palese emarginazione tra i diversi spunti
di riflessione venne esplicitato con chiarezza che La
scuola inclusiva è un processo di fortificazione delle
capacità del sistema di istruzione di raggiungere tutti
gli studenti. [....]
5. Un sistema scolastico “incluso” può essere creato
solamente se le scuole comuni diventano più inclusive.
In altre parole, se diventano migliori nell’educazione di
tutti i bambini della loro comunità. [...] L’inclusione è vista
come un processo di indirizzo e di risposta alla diversità
delle esigenze di tutti i bambini, giovani ed adulti
attraverso l’incremento delle possibilità di partecipazione
all’apprendimento, alle culture e alle comunità e
riducendo ed eliminando l’esclusione e l’emarginazione
dall’istruzione.
6. Immediatamente dopo la Dichiarazione
Universale dei Diritti dell’Uomo, proclamata
dall’Assemblea generale delle Nazioni Unite il
10 dicembre 1948, gli Stati membri del
Consiglio d’Europa firmarono a Roma, il 4
novembre 1950, la Convenzione per la
salvaguardiadei Diritti dell’Uomo e delle Libertà
fondamentali . In essa, con l’articolo n. 14,
venne chiaramente precisato il divieto di
discriminazione:
7. Il godimento dei diritti e delle libertà riconosciuti nella presente
Convenzione deve essere assicurato senza nessuna
discriminazione, in particolare quelle fondate sul sesso, la razza,
il colore, la lingua, la religione, le opinioni politiche o quelle di
altro genere, l’origine nazionale o sociale, l’appartenenza a una
minoranza nazionale, la ricchezza, la nascita od ogni altra
condizione Il Consiglio d’Europa promosse alcuni anni più tardi,
nel 1961, anche un altro significativo documento, la Carta
Sociale, che entrò in vigore nel 1965 dopo aver raggiunto il
numero di ratifiche necessario. In essa l’attenzione nei confronti
dei diritti delle persone disabili assunse un rilievo non solo
educativo, ma anche lavorativo e sociale.
8. La Carta Sociale fu rivista il 3 maggio 1996 a
Strasburgo. Merita di essere sottolineato il
punto n.15 della prima parte di questo
documento secondo il quale: Ogni persona
portatrice di handicap ha diritto all’autonomia,
all’integrazione sociale ed alla partecipazione
alla vita della comunità La Convenzione del
1950 e la Carta Sociale del 1961 aprirono la
strada all’integrazione dei diritti politici e sociali
nel continente europeo.
9. Dopo il 1957, anno in cui con il trattato di Roma venne istituita la
Comunità Economica Europea (CEE), la prima occasione in cui
gli Stati della Comunità affrontarono il tema dell’integrazione
scolastica fu nel 1978, quando la Comunità Europea ed il
Ministero della Pubblica Istruzione italiano, sulla scia della
proclamazione del 1981 come l’Anno internazionale delle
persone disabili da parte delle Nazioni Unite, organizzarono a
Roma una conferenza sull’istruzione speciale. La conferenza di
Roma fu finalizzata ad intraprendere un dialogo tra i diversi
Paesi europei sui problemi educativi riguardanti i disabili e sugli
aspetti normativo-istituzionali presenti nei diversi sistemi
scolastici del continente.
10. Nel corso della conferenza di Roma fu presentato il rapporto
Jørgensensull’istruzione speciale nella Comunità Europea, nel
quale vennero presi in esame i differenti sistemi di educazione
speciale nei Paesi membri. In questa occasione si auspicò il
superamento di un’ottica medicalizzata della disabilità e si
affermò la necessità di sistemi, metodi, strategie speciali per
l’istruzione degli alunni disabili L’Anno internazionale delle
persone disabili segnò, con la risoluzione del Consiglio
dell’unione europea del 21 dicembre 1981, l’impegno degli Stati
membri a proseguire e ad intensificare l’azione volta a
promuovere l’integrazione economica e sociale delle persone
disabili
11. Con la Legge n. 18 del 3 marzo 2009anche l’Italia si impegnò
nella ratifica della Convenzione e nella conseguente istituzione
dell’Osservatorio nazionale sulla condizione delle persone con
disabilità. Questo organismo fu istituito presso il Ministero del
lavoro, della salute e delle politiche sociali allo scopo di
promuovere la piena integrazione delle persone disabili (art.3) e
venne appositamente incaricato di promuovere, tutelare e
monitorare l’applicazione del trattato. Come l’Italia, tutti i paesi
ratificanti assicurarono di adeguare la loro legislazione interna ai
principi dei cinquanta articoli della Convenzione, integrando nelle
loro legislazioni nazionali le misure antidiscriminatorie a favore
delle persone disabili.
12. in essa era prevista una sua applicazione anche nel
settore della protezione dei bambini, degli adolescenti,
degli anziani e delle persone disabili. Dal finire degli anni
Ottanta del XX secolo vennero intrapresi in ambito
comunitario europeo alcuni programmi specifici di ricerca
e di azione destinati al sostegno dei diritti delle persone
disabili. Si possono ricordare, in particolare, i programmi
Helios (Handicapped people in the European community
Living Independently in an Open Society) I e II per la
promozione dell’integrazione sociale e della vita
indipendente delle persone disabili
13. Grazie a questi programmi d’azione, visti come degli strumenti di
collaborazione e di coordinamento di attività comuni, i Paesi membri
della Comunità Europea diedero inizio, dal 1988 al 1996, ad un
articolato piano di intervento, sia per migliorare lo scambio delle attività
e delle informazioni tra gli Stati membri e le organizzazioni non
governative sia per promuovere modelli di lavoro condivisi, favorendo
nel contempo lo sviluppo di una politica a livello europeo di
cooperazione con gli Stati membri e le associazioni che si occupavano
di integrazione. Il programma comunitario Helios II, che era stato
avviato nel 1993, si concluse dopo un quadriennio di sperimentazioni
con la Carta di Lussemburgo (9 novembre 1996) sull’integrazione
scolastica degli alunni disabili. Il messaggio mandato fu quello di una
scuola per tutti e per ciascuno, basata sul principio
dell’individualizzazione e della flessibilità dei programmi.
14. La Carta di Lussemburgo, il primo documento redatto dalla
Comunità europea in materia di integrazione educativa e
scolastica, volle essere la sintesi visiva del lungo, ampio e
impegnativo lavoro attuato nei Paesi europei, grazie a visite di
studio, sessioni in gruppi di lavoro, scambi di esperienze positive
e seminari specifici. La Carta precisò che l’integrazione nelle
normali strutture scolastiche era un principio base
dell’educazione, gli Stati dovevano favorirlo e le leggi dovevano
prevedere i mezzi per attuarlo. Venne ribadita l’importanza della
flessibilità dei progetti, i quali dovevano essere guidati da criteri
pedagogici più che medici.
15. Fu anche sottolineato di puntare sui cambiamenti di mentalità dell’opinione
pubblica Il progetto Helios II merita di essere ricordato, oltre che per il
significativo manifesto paradigmatico centrato nella scuola per tutti e per
ciascuno, anche per la sua capacità di coinvolgere e di dare voce alle persone
disabili. In effetti le politiche per la disabilità adottate in Europa fino ai primi anni
Novanta erano basate su alcuni programmi prodotti ed elaborati da
professionisti, soprattutto del settore sanitario, senza un coinvolgimento diretto
delle persone disabili. Solo nel 1993, proprio con il programma Helios II, si
cominciò a discutere sui vari aspetti connessi alla disabilità coinvolgendo anche
le associazioni di rappresentanza delle persone disabili. Negli anni successivi,
per garantire loro una significativa espressione a livello europeo, si stimolò la
costituzione di un unicocorpo consultivo indipendente, che prese forma nel
1996 con la nascita ufficiale dell’EuropeanDisability Forum (EDF),
organizzazione non governativa che oggi rappresenta gli interessi di oltre 80
milioni di cittadini europei disabili.
16. Merita di essere ricordata, del 31 maggio 1990, la
Risoluzione del consiglio e dei ministri dell’istruzione
riuniti in sede di consiglio sull’integrazione dei bambini e
dei giovani minorati nel sistema scolastico normale nella
quale venne espresso, al punto n.2, che la completa
integrazione nel sistema di istruzione tradizionale doveva
essere ritenuta una scelta prioritaria in tutte le situazioni
appropriate e tutti gli istituti scolastici dovevano essere in
grado di rispondere alle esigenze di allievi e studenti
minorati Possono essere ricordate, collocate nella
seconda metà degli anni Novanta, due significative
Risoluzioni dell’Unione europea.
17. La prima fu quella del Consiglio e dei
rappresentanti dei Governi degli Stati
membri, del 20 dicembre 1996, sulla parità
di opportunità per i disabili che insistette
affinché gli Stati membri incoraggiassero e
sostenessero la piena integrazione delle
persone disabili nella società attraverso
l’accesso ai sistemi d’istruzione e
formazione ordinari.
18. La seconda fu quella del Consiglio del 17 giugno
1999, relativa alle pari opportunità di lavoro per le
persone disabili nella quale gli Stati membri furono
invitati a porre un accento particolare, in
collaborazione con le parti sociali e le organizzazioni
non governative per i disabili, sulla promozione di
opportunità di lavoro per i disabili e sull’elaborazione
di adeguate iniziative politiche preventive ed attive,
intese a promuovere l’inserimento delle persone
disabili nel mercato del lavoro.
19. Nel 1996, per opera degli Stati membri dell’Unione
europea, nacque l’Agenzia europea per lo sviluppo
dell’istruzione degli alunni disabili
(EuropeanAgencyforDevelopment in
SpecialNeedsEducation). Il suo scopo fu quello di
realizzare una piattaforma di collaborazione sullo
sviluppo dell’offerta formativa e scolastica per gli alunni
disabili. L’Agenzia europea facilitò la raccolta,
l’elaborazione e la condivisione di informazioni relative ai
contesti nazionali dei singoli paesi membri e alla sfera
europea. Permise anche l’identificazione dei punti di
forza e di debolezza delle politiche scolastiche nazionali.
20. Nel 2009 merita di essere ricordato, in riferimento al
contesto della formazione e dell’istruzione, il
significativo contributo dell’UNESCO contenuto nelle
Linee Guida per le politiche di Integrazione
nell’Istruzione In esse, dopo aver precisato che i
bambini con disabilità stanno ancora combattendo
contro una palese emarginazione tra i diversi spunti
di riflessione venne esplicitato con chiarezza che La
scuola inclusiva è un processo di fortificazione delle
capacità del sistema di istruzione di raggiungere tutti
gli studenti. [....]
21. Fu un Trattato degno di nota anche per gli aspetti sociali. Vennero
tracciate le basi e gli obiettivi della politica europea per lottare contro
ogni discriminazione ed emarginazione, per promuovere l’occupazione,
per migliorare le condizioni di vita e di lavoro, per fornire una protezione
sociale adeguata, per favorire il dialogo sociale, lo sviluppo delle
risorse umane, la parità tra uomini e donne. Venne vietata la
discriminazione delle persone in base al genere, alla razza, all’età, alla
disabilità, all’orientamento sessuale, alla religione e alle convinzioni. In
particolare l’articolo n. 13 (ex articolo 6 A) del Trattato di Amsterdam
riguardò l’adozione di una disposizione relativa alla non
discriminazione, che autorizzò il Consiglio dell’Unione europea a
prendere i provvedimenti necessari per combattere le discriminazioni
fondate sul sesso, la razza o l’origine etnica, la religione o le
convinzioni personali, gli handicap, l’età o le tendenze sessuali
22. Tre anni dopo il Trattato di Amsterdam, nel 1999, l’Unione
europea proseguì l’intento di combattere le discriminazioni
mediante un altro documento, la Carta dei diritti fondamentali
dell’unione europea, approvata a Nizza nel 2000, nella quale
vennero riconosciuti il diritto alla non discriminazione e
l’esigenza di misure positive per l’autonomia e la partecipazione
alla vita sociale. L’articolo n. 21 vietò qualsiasi discriminazione
basata sul sesso, la razza, il colore della pelle o l’origine etnica o
sociale, le caratteristiche genetiche, la lingua, la religione o le
convinzioni personali, le opinioni politiche o di qualsiasi altra
natura, l’appartenenza ad una minoranza nazionale, il
patrimonio, la nascita, gli handicap, l’età o le tendenze sessuali.
23. L’articolo n. 26 si riferì esplicitamente alle persone disabili e
proclamò il riconoscimento da parte dei paesi membri del diritto
dei disabili di beneficiare di misure intese a garantire
l’autonomia, l’inserimento sociale e professionale e la
partecipazione alla vita della comunità Anche l’Organizzazione
per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico (OCSE o OCDE o
OECD) rispondendo alle urgenze sollecitate da questo scenario
politico e culturale, intraprese dal 1995 un continuo monitoraggio
dei sistemi educativi dei paesi dell’Unione attraverso il progetto
SpecialNeedsEducation (Bisogni Educativi Speciali).
24. Il progetto fu condotto in diverse fasi di raccolta dati fra i
Paesi aderenti per verificare il processo di integrazione
degli studenti svantaggiati nelle scuole normali e fece
registrare una diffusa eterogeneità tra le varie nazioni.
Ciò fu dovuto al fatto che, come ha rilevato la stessa
OCSE, comparare differenti sistemi scolastici con
riferimento ai bisogni educativi speciali e alle disabilità
poteva comportare vari problemi di non semplice
soluzione. In primo luogo perché l’espressione bisogni
educativi speciali assumeva significati e valenze diverse
a seconda delle nazioni.
25. In alcuni Paesi l’espressione era riferita ad alunni con disabilità
tradizionalmente intese, mentre in altri il concetto includeva anche i
disturbi specifici di apprendimento. In secondo luogo perché le
definizioni delle differenti tipologie di disabilità non erano uguali in tutti i
Paesi, così come potevano mutare le tassonomie e le conseguenti
classificazioni delle disabilità. In terzo luogo perché in alcuni sistemi
scolastici, ad esempio in Inghilterra, in Norvegia ed in Danimarca, non
si faceva ricorso a categorizzazioni o schemi classificatori in cui
inquadrare le varie tipologie di disabilità, ma si adoperava un approccio
più pragmatico in base al quale leggere i bisogni e disporre i relativi
servizi di supporto volti a far fronte a particolari situazioni di gravità e/o
difficoltà nei processi di apprendimento riferiti a specifiche situazioni di
singoli allievi.
26. Per superare i problemi legati alle diversità
che si manifestavano tra le varie nazioni nel
trattare i bisogni educativi speciali e per
consentire di compiere comparazioni
internazionali, l’OCSE decise di basarsi su
di un approccio centrato sulle risorse
aggiuntive messe a disposizione per aiutare
gli studenti con difficoltà nell’accedere
efficacemente al programma educativo.
27. Era quindi il surplus di risorse destinate a determinate categorie di
studenti il primo requisito necessario per identificare i bisogni educativi
speciali. Oltre a ciò l’OCSE decise di individuare tre grandi categorie a
cui ricondurre le varie tipologie nazionali e con cui precisare i bisogni
educativi speciali: disabilità (categoria A), difficoltà (categoria B),
svantaggi (categoria C). Vennero così identificate tre tipologie di
studenti: alunni disabili, alunni con difficoltà, alunni con svantaggi. Gli
alunni disabili (categoria A) erano quelli con difficoltà educative dovute
a chiare basi organiche; in questa categoria erano inseriti i bisogni
educativi degli allievi con deficit definibili in termini medico‐sanitari
derivanti da carenze organico‐funzionali attribuibili a menomazioni e/o
patologie organiche (deficit sensoriali, motori o neurologici).
28. Gli alunni della categoria B presentavano difficoltà
emotive, comportamentali o specifiche di apprendimento
(ad esempio dislessia, discalculia, disturbi del
linguaggio); in questa categoria il bisogno educativo
speciale scaturiva da problemi di interazione tra lo
studente ed il contesto educativo. Gli alunni con
svantaggi (categoria C), che presentavano problemi
dovuti all’ambiente socioeconomico, culturale e
sociolinguistico di provenienza, necessitavano di risorse
educative aggiuntive per colmare i deficit di
apprendimento dovuti al loro background di vita.
29. Un sistema scolastico “incluso” può essere creato
solamente se le scuole comuni diventano più inclusive.
In altre parole, se diventano migliori nell’educazione di
tutti i bambini della loro comunità. [...] L’inclusione è vista
come un processo di indirizzo e di risposta alla diversità
delle esigenze di tutti i bambini, giovani ed adulti
attraverso l’incremento delle possibilità di partecipazione
all’apprendimento, alle culture e alle comunità e
riducendo ed eliminando l’esclusione e l’emarginazione
dall’istruzione.
30. Tra gli aspetti evidenziati per raggiungere
questo ambizioso obiettivo europeo, un posto
di rilievo fu dato all’urgenza di modernizzare il
modello sociale europeo, investendo nelle
persone e costruendo uno stato sociale attivo.
Ciò sarebbe stato possibile, oltre che con
determinati interventi di istruzione e formazione
per vivere e lavorare nella società dei saperi,
anche con lo sviluppo di una politica attiva
dell’occupazione e con il miglioramento della
protezione sociale e la promozione
dell’inclusione sociale.
31. Pertanto il Consiglio europeo invitò a promuovere una
migliore comprensione dell’esclusione sociale attraverso
un dialogo costante nonché scambi di informazioni e di
buone prassi, sulla base di indicatori convenuti di
comune accordo [...]; a integrare la promozione
dell’inclusione nelle politiche degli Stati membri in
materia di occupazione, istruzione e formazione, sanità e
edilizia abitativa, cui dovrà affiancarsi a livello
comunitario un’azione nel quadro dei fondi strutturali nei
limiti dell'attuale quadro di bilancio; a sviluppare azioni
prioritarie indirizzate a particolari gruppi bersaglio (ad
esempio gruppi minoritari, bambini, anziani e disabili)
(punto 33)
32. La Commissione europea, con una Comunicazione al Consiglio
e al Parlamento europeo del 12 maggio 2000 dal titolo Verso
un’Europa senza ostacoli per i disabili esaminò le politiche per
contribuire al miglioramento dell’accessibilità a vantaggio delle
persone disabili ed auspicò la cooperazione e lo scambio di
buone prassi al fine di eliminare gli ostacoli ancora esistenti.
Venne affrontato, tra gli altri, il tema della mobilità delle persone
disabili come diritto, come fattore concreto di integrazione e
quale componente della cittadinanza (punto 3.1). Inoltre, visto
che le questioni di accessibilità erano della massima importanza
nel contesto della società dell'informazione, venne trattato anche
l’aspetto dell’accessibilità di tutti, comprese le persone disabili,
alla società dell’informazione e della comunicazione (punto 3.3).