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SCUOLA DI LETTERE E BENI CULTURALI
Corso di laurea in Beni culturali [L]
LA PESTE DA “METAFORA DEL MALE” A “OCCASIONE DI RINASCITA”
Tesi di laurea in BIO/08 ANTROPOLOGIA
Relatore Presentata da
Prof. Giorgio Gruppioni Mauro Marabini
Correlatore
Prof. Antonio Clemente Domenico Panaino
III sessione
Anno Accademico 2013/2014
La peste (dal latino pestis, "distruzione, rovina,
epidemia") è una malattia infettiva acuta e molto
grave causata da uno schizomicete, Yersinia pestis,
che trova la sua riserva naturale nei Roditori
(zoonosi), ma può colpire l'uomo (antropozoonosi),
fino a determinare epidemie. L'infezione viene
abitualmente trasmessa tra i Roditori e dai Roditori
all'uomo da un ectoparassita ematofago: la pulce.
Nel passato, le epidemie di peste diffuse in tutto il
mondo (pandemia pestosa) hanno prodotto veri e
propri genocidi, tanto da meritare la citazione
nell'invocazione cristiana "Libera nos Domine a
peste, a fame et bello" 1
1
http://www.treccani.it/enciclopedia/peste_(Universo_del_Corpo)/ di Antonio Sebastiani, Giorgio Quaranta
INDICE
1. INTRODUZIONE Pag. 1
2. LA MALATTIA, LA CURA E LA PREVENZIONE Pag. 11
3. LA PESTE DA ATENE AI GIORNI NOSTRI Pag. 25
4. CONCLUSIONI Pag. 57
5. BIBLIOGRAFIA Pag. 61
1 INTRODUZIONE
Perché la peste? Perché la peste è il simbolo del male e una fonte inesauribile di ispirazione
per l’arte e la letteratura? Perché la peste fra tutte le malattie ha avuto una forza così
straordinaria da determinare cambiamenti radicali, momenti di rottura e di rinascita?
Per secoli e ancor oggi il termine “peste”2
viene associato ad ogni calamità vera o presunta.
Non è solo una malattia del singolo individuo, ma coinvolge l’intera comunità. La peste n'est
pas la peste, elle est bien plus qu'une maladie.3
Se l'uomo non ha inventato il tifo o il colera,
ha però inventato la peste, vale a dire, l'idea di una piaga collettiva, che solo un’unica azione
collettiva può combattere. Quello che oggi chiamiamo epidemia e che per secoli l'Occidente
ha chiamato Peste colpisce una comunità in quanto tale, a differenza della malattia che
colpisce l'individuo, a prescindere dalla appartenenza ad una comunità.4
Per i greci il termine
che definiva la pestilenza era loimos,5
il flagello, la piaga. «… non solo gli uomini, ma gli
animali e la terra stessa, come fonte fertile di nutrimento, sono colpiti dal flagello. Ne deriva
che, così intesa, la pestilenza presenta caratteristiche al di fuori della natura.»6
Attraverso i contributi delle diverse discipline, che hanno rappresentato nella forma più varia
il significato allegorico e morale della peste si può comprendere perché la peste sia un male
antico dal significato moderno. La scienza medica, gli argomenti letterari e le rappresentazioni
artistiche ci possono aiutare a spiegare l’impatto degli eventi epidemici, il fascino della
metafora e la dimensione culturale nel presente. «In tutte le società le malattie gravi spingono
gli uomini e le donne a confrontarsi con la dimensione morale della vita … è dovere e
privilegio dell’antropologia medica ridestare l’attenzione verso l’esperienza dell’uomo, verso
2 Pestis in latino e Loimos in greco designavano in antichità un generico flagello di carattere epidemico; anche
successivamente il termine pestis non perse questa valenza generica. In francese designava un’infinità di morbi
contagiosi; oggi il termine peste viene usato solamente in presenza della malattia specifica e del bacillo che la
identifica (J. Ruffié, J. C. Sournia, Le epidemie nella storia, Roma 1986, p.85).
3 Florence Dupont, Pestes d'hier, pestes d'aujourd'hui, in «Histoire, économie et société», Vol. 3, N. 3-4, 1984,
pp. 511-524
4 Si «l'homme n'a pas inventé la typhoide, la peste ou la choléra», en revanche il a inventé la Peste, c'est-à-dire
la notion d'un fléau collectif que seule une action collective peut combattre. Ce que nous appelons aujourd'hui
épidémie et que pendant des siècles l'Occident a appelé Peste frappe une communauté en tant que telle à la
différence de la maladie qui n'atteint que l'individu, indépendamment de son appartenance à une communauté.
Florence Dupont, op. cit.
5
I greci associavano alla parola loimos, oltre al significato di peste, anche quello di carestia, dato che il contagio
colpiva più duramente coloro che si trovavano sprovvisti di difese fisiologiche a causa di lunghi digiuni. I latini,
invece, discesero la parola pestis da peius, ovvero peggiore, per indicare appunto la peggior malattia.
6 Raffaele Ghirardi, La febbre cattiva. Storia di un'epidemia e del suo passaggio per Mantova, s.l., Bruno
Mondadori, 2013, p.2.
la sofferenza, il significato e l’interpretazione, verso il ruolo della narrazione e della storicità,
come pure verso il ruolo delle formazioni e delle istituzioni sociali»7
. La medicina “ufficiale”
è stata per secoli sconfitta, smarrita su false piste e pregiudizi, dalla dottrina aerista di
Ippocrate alle cause astrali di Avicenna. Giovanni Boccaccio nel Decameron (I giornata,
Introduzione) così descrive l’impotenza dei medici di allora: «…a cura delle quali infermità né
consiglio medico, né virtù di medicina alcuna pareva che valesse o facesse profitto: anzi, o
che la natura del malora nol patisse, o che la ignoranza de’ medicanti (de’ quali…
grandissimo) non conoscesse da che si muovesse e, per conseguente, debito argomento non vi
prendesse». Ben prima della nascita della microbiologia gli interventi di sanità pubblica
promossi pragmaticamente dalle autorità attraverso gli uffici di sanità, i lazzaretti,
l’isolamento e la quarantena hanno avuto una certa efficacia. Le epidemie di peste così come i
provvedimenti delle autorità (isolamenti, cordoni sanitari e bandi) hanno avuto grandi
conseguenze sul commercio e l’economia con enormi danni per alcuni e vantaggi per altri. Le
carestie, gli sconvolgimenti sociali e le reazioni umane che accompagnavano la peste hanno
provocato altre morti tanto da far dire che “ne uccise più la paura che il contagio”. Le grandi
pandemie hanno stravolto la demografia di interi continenti, molte città hanno perso oltre la
metà degli abitanti in ricorrenti epidemie. Le malattie epidemiche hanno avuto nella storia
un’importanza fondamentale secondo Jared Diamond. «I peggiori killer dell'umanità nella
nostra storia recente (vaiolo, influenza, tubercolosi, malaria, peste, morbillo e colera) sono
sette malattie evolutesi a partire da infezioni degli animali, anche se i microbi che le causano
sono al giorno d'oggi esclusivamente caratteristici della specie umana. Poiché queste sono
state le principali cause di morte per lungo tempo, sono anche state fattori decisivi nel corso
della storia. Nelle guerre fino alla seconda mondiale, le epidemie facevano molte più vittime
delle armi, e le cronache che esaltano la strategia dei grandi generali dimenticano una verità
ben poco lusinghiera: gli eserciti vincitori non erano sempre quelli meglio armati e con i
migliori strateghi, ma spesso quelli che diffondevano le peggiori malattie con cui infettare il
nemico. L'esempio più tristemente famoso viene dalla conquista dell'America seguita al
viaggio di Colombo del 1492. Gli indiani che caddero sotto le armi dei feroci conquistadores
furono molto meno di quelli che rimasero vittime degli altrettanto feroci bacilli spagnoli.»8
7
J. Byron Good. Narrare la malattia. Lo sguardo antropologico sul rapporto medico-paziente. Torino. Einaudi.
2006. p. 39 (edizione originale: Medicine, Rationality and Experience: An Anthropological Perspective,
Cambridge University Press, Cambridge 1994).
8 Jared Diamond, Armi, Acciaio e Malattie, Einaudi, Torino, 2006, p. 150.
La peste tra mitologia, arte e letteratura
Dai dardi di Apollo ai flagelli biblici la peste ha avuto innumerevoli citazioni nei testi antichi
e nella mitologia. Nella tradizione ebraico-cristiana la peste è la «giusta ira di Dio a nostra
correzione mandata» (Boccaccio); è la pena per la degradazione e la corruzione di cui gli
uomini si erano macchiati. Durante la peste nera la “compagnia dei disciplinati di Cristo”
conobbe un nuovo vigore, prese il nome di movimento dei “flagellanti” e si diffuse con
straordinaria rapidità ed intensità, in Italia, Francia, Svizzera, Germania, Ungheria, Boemia e
Olanda, come pratica religiosa e mortificatrice, ma anche come mezzo attraverso cui ottenere
da Dio la cessazione di catastrofi, guerre o epidemie. La peste come evento causato dalla
volontà divina è però un concetto ancora più antico. «La peste compare nel proemio de
l’Iliade. Ancora non ha un nome proprio, ma quello generico di “morbo maligno”, e non è
ancora considerata come una malattia causata da batteri in seguito a scarsa igiene e infezioni,
ma è opera di un dio adirato con gli uomini. La peste è quindi in origine la collera di Dio, la
punizione di Febo Apollo nei confronti di Agamennone; non ha un’eziologia di natura
organica, né sintomi precisi se non la morte, che colpisce dapprima gli animali e poi giunge
tra gli uomini, essa esiste in quanto emanazione del divino, metafora della punizione.»9
«Il figlio di Zeus e Latona; egli, irato col re,
mala peste fe' nascer nel campo, la gente moriva,
perché Crise l'Atride trattò malamente.»10
Anche Ovidio, quando narra della crudele pestilenza che si abbatté su Egina per volere di
Giunone ricorre all’interpretazione religiosa del morbo e pur nella presenza degli elementi
tradizionali i sintomi sono irriconoscibili e si sono trasformati in veri e propri luoghi comuni.
«Una terribile pestilenza, dovuta all’ira di Giunone, spietata contro questa terra [...], si abbatté
sulla popolazione. Finché parve un male naturale, finché era oscuro cosa nuocesse, quale fosse
la causa dell’immane sciagura, si combatté con le armi della medicina. Ma il flagello era tale
che ogni soccorso era vano, e arrendersi bisognava. Da principio calò sulla terra una caligine
spessa, opprimente; una cappa di nubi formò una morsa d’afa spossante, e per tutto il tempo
che la luna impiegò a colmare quattro volte il disco pieno, soffiò un caldo Austro dalle folate
mortali. Risulta che l’infezione si propagò anche alle fonti e ai laghi, e che molte migliaia di
serpenti, errando per campi desolati, contaminarono i fiumi con i loro veleni.»11
Nell’Edipo
9
https://manfredprinceotranto.files.wordpress.com/2014/05/emiliano-gennaro-ii.pdf, Roma, Università La
Sapienza 24/01/2015. Seminario Prof. G. Massara, Intervento E. Gennaro.
10
Omero, Iliade, traduzione di Rosa Calzecchi Onesti, Einaudi, 1990.
11
Ovidio, Metamorfosi VII, 523-535; trad. in prosa P. Bernardini Marzolla.
Re Sofocle parla di una pestilenza che tormenta la città di Tebe e l’oracolo di Apollo, dice che
causa di questa peste è Edipo che ha assassinato il re Laio. «E il dio del fuoco, il dio della
febbre, la pestilenza nemica, si avventa sulla città e la devasta; e le case dei Cadmei si
svuotano, e le nere vie dell’Ade si riempiono di gemiti e di lamenti»12
Charles François Jalabert, La peste di Tebe, XIX secolo, Marsiglia, Musée des Beaux – Arts
Se non è Dio che manda la peste, la responsabilità è di qualcun altro.
In varie epoche l’isterismo collettivo della “folla manzoniana” ha avuto bisogno di far
ricadere la responsabilità di ogni tragedia su qualcuno, meglio se “diverso”, una psicosi
collettiva culminata nell'individuazione di “capri espiatori”: gli ebrei, le streghe e gli untori.
La peste diviene un motivo ricorrente nella letteratura occidentale; un topos letterario dove
compare come relazione scientifica o come sfida alla ragione e ai timori della morte o come
segno della fragilità dell’uomo e metafora del male. La vastissima letteratura sulla peste va da
Tucidide a Virgilio, da Ovidio al Leopardi; con Boccaccio una cornice che lega la trama, per
Petrarca la causa della perdita dell’amata, per Manzoni e Camus l’argomento fondamentale e
morale del romanzo. La peste è un argomento ricorrente nel cinema, talvolta tema
escatologico come nel film “Il settimo sigillo”, di Ingmar Bergman (1956).
12
Sofocle, Edipo Re, vv. 22-30, trad. Valgimigli.
Ingmar Bergman, Una scena del film Il Settimo Sigillo, Il cavaliere gioca a scacchi con la morte.
Le opere di tema apocalittico o post apocalittico in cui si narra il contagio che annienta la
civiltà umana hanno origine dalla letteratura sulla peste. Jack London scrive nel 1912 La peste
scarlatta (The Scarlet Plague), un romanzo di fantascienza apocalittica, testo visionario in cui
l'autore anticipa temi destinati ad avere larga diffusione nei decenni successivi. Oltre alla
filmografia e alla narrativa, oggi sono ampiamente rappresentative del genere le serie
televisive, i fumetti, l’animazione e i video giochi. Anche i pittori, come gli scrittori e i
cronisti, hanno raccontato il flagello in ogni suo aspetto e con modalità diverse. Nelle varie
epoche la rappresentazione della peste ha assunto significati allegorici diversi, frutto di
complesse elaborazioni intellettuali. Sono spesso rappresentati gli effetti che la peste produce
sulla società e le persone. I Santi protettori San Rocco, San Sebastiano e San Cristoforo sono
raffigurati in numerosissimi dipinti e le loro immagini presentano dopo la Peste Nera e nei
secoli successivi inconfondibili richiami alla peste e ai suoi simboli.13
La leggenda non
comprovata di San Rocco e dei suoi miracoli di guarigioni risale alla Peste Nera. La storia di
San Sebastiano è molto più antica, trafitto da frecce ricorda il patimento dei bubboni e i dardi
di Apollo. San Cristoforo, ancora più antico, essendo stato decapitato è ritenuto protettore di
tutti gli eventi acuti e quindi la peste che provoca una morte quasi improvvisa.
13 San Rocco presenta quasi sempre un bubbone inguinale, San Sebastiano è trafitto da frecce a ricordare i dardi
di Apollo, nelle immagini più antiche di Ravenna e Roma non compaiono i segni del martirio.
Parmigianino, San Rocco e un
donatore, Basilica di San Petronio,
Bologna, 1527
S. Sebastiano, Processione dei
martiri, VI sec., Chiesa di S.
Apollinare Nuovo, Ravenna
San Cristoforo Cinocefalo,
icona bizantina nel Museo
Bizantino e Cristiano di Atene.
Dal 1300 si diffondo poi in tutta Europa i temi iconografici medievali del Trionfo della Morte,
della Danza Macabra e dell’Incontro tra i Tre Vivi e tra i Tre Morti ispirati a quel senso di
caducità umana al termine di secoli di guerre, carestie e pestilenze.
Il Trionfo della Morte di Palazzo
Abatellis a Palermo, 1445 La Signora del mondo, Oratorio dei
Disciplini a Clusone, 1485
Incontro dei tre vivi e dei tre
morti, Buonamico di Martino
detto Buffalmacco, affreschi del
Camposanto di Pisa ora al Museo
delle Sinopie di Pisa,1330
Le conseguenze della peste sono talvolta antitetiche con risultati opposti di sovvertimento
della morale. Invece del pentimento i ricchi «pensavano di dover godere rapidamente di ciò
che avevano e di servirsene a lor piacere, considerando le loro vite e le loro ricchezze
ugualmente effimere» (Tucidide, V sec. a.C.). Anche i poveri avendo improvvisamente a
disposizione i beni dei morti si davano ad eccessi nel mangiare e nel bere, comportamenti
sessuali ritenuti fino allora immorali e il lusso nell'abbigliamento. «Vestendo le fanti e le vili
femmine tutte le belle e care robe delle orrevoli donne morte» (Matteo Villani, 1300). Per
Boccaccio la peste è infine l'occasione per poter di nuovo iniziare da capo e bene; il ritirarsi
della brigata in campagna è l'occasione di una rinascita, è un modo per avviare la catarsi,
liberandosi piano piano della solitudine e della paura.
La peste può essere dunque anche all’origine della rinascita.
La peste come male sociale
A peste, fame et bello, libera nos, Domine, o Signore. “Liberaci dalla peste, dalla fame e dalla
guerra”: era questa la principale invocazione che nel medioevo il popolo elevava a Dio. La
peste, metafora del male, con la guerra e la fame è uno dei fattori di annientamento dell’ordine
precostituito e quindi preludio al cambiamento della società. Così nel ‘300 così nel ‘500:
«d’improvviso, tra il 1494 e il 1538, sull’Italia si abbatterono i Cavalieri dell’Apocalisse. Il
paese divenne campo di battaglia di un conflitto internazionale che coinvolse spagnoli,
francesi e germanici. Con la guerra vennero le carestie, le epidemie, le distruzioni di capitale e
le interruzioni dei traffici».14
La metafora della peste giunge quindi fino ai nostri giorni. Se in
antichità i termini usati per indicare una pestilenza coincidevano spesso con calamità,
epidemia o contagio, in epoca moderna per qualificare un evento con ripercussioni negative su
tutta la popolazione si usa altrettanto spesso il termine peste con associata un’altra parola che
contestualizza il fenomeno che si vuole identificare. Nell’ottocento la tubercolosi è il mal du
siècle, ma viene chiamata anche la peste bianca. La pandemia influenzale del 1918 chiamata
“spagnola” è la peste del XX secolo. Il bioterrorismo ha preso spunto da fatti del passato, ma
anche dalla metafora della peste come male incontrollabile. L’AIDS è la peste del 2000. In
questi giorni la nuova peste è l’infezione da virus Ebola, ma la manifestazione clinica è
associata alle condizioni socio-economiche dei paesi colpiti. In contesti completamente
diversi da quello sanitario si utilizza da sempre in termini metaforici la parola peste. Torquato
Tasso ne Il Nifo ovvero del Piacere accosta il flagello della peste a quello dell’idolatria:
«benché il mondo avesse ricevuta la fede di Cristo, nondimeno la pestilenza de l'idolatria non
era men sospetta ch'or sia quella de l'eresia luterana». A Basilea Calvino incontrò il vecchio
14
C.M.Cipolla, Storia economica dell’Europa pre-industriale, Bologna, Il Mulino, 1975, p. 293.
Erasmo che esclamò: «Vedo una gran peste nascer nella Chiesa contro la Chiesa»15
. Per
Giacomo Leopardi, che protesta contro lo stato della società presente, «l'egoismo è sempre
stata la peste della società e quando è stato maggiore, tanto peggiore è stata la condizione
della società»16
. Con il termine Peste Brune (Peste Bruna) si indicava il nazismo, per
analogia al colore delle camicie del primo gruppo paramilitare (Sturmabteilung) del Partito
Nazionalsocialista. Questo soprannome paragonava il nazismo, e il fascismo in genere, a una
malattia politica, contagiosa ed infettiva molto pericolosa.17
Nel secolo scorso la peste come
male apocalittico è stato evocato più volte, ma il nazismo, come Apocalisse, più di ogni altro
male è stato associato alla peste. Non solo Daniel Guérin con la “La peste bruna”18
, ma anche
Karl Kraus parla di nazismo come peste dei cervelli, una peste che «distrugge i concetti
fondamentali» del pensiero «come se già fossero in azione le bombe batteriologiche della
moderna guerra aerea» e che spalanca le porte alla barbarie. La pestilenza del linguaggio
viene denunciata da Victor Klemperer nello studio del linguaggio totalitario rileva che «il
nazismo si insinuava nella carne e nel sangue della folla attraverso le singole parole, le
locuzioni, la forma delle frasi ripetute milioni di volte, imposte a forza alla massa e da questa
accettate meccanicamente e inconsciamente»19
. Il termine peste era usato anche da Hitler
quando dichiarava che avrebbe sconfitto la peste giudaico-bolscevica. La paura della bomba
atomica nel dopoguerra ha fatto parlare di peste nucleare. Il terrorismo internazionale,
secondo il presidente russo Putin, è la peste del XXI secolo.20
Per denunciare i rischi del calo
demografico e la carenza di manodopera nel Vecchio continente Pierre Chaunu e Georges
Suffert nel 1976 hanno scritto La peste bianca. “Come evitare il suicidio dell'Occidente?”21
in
riferimento all’involuzione rapida etnico-demografica della società europea. Il tema dello
sbilanciamento della popolazione verso le classi di età più anziane, ha fatto parlare di peste
grigia, alludendo al “colore dei capelli”. L’aumento della vita media e quindi l’aumento delle
persone anziane secondo il settimanale The Economist, 1999 porterebbe a effetti paragonabili
all’epidemia di peste dell’Europa del XIV secolo. Perfino nella crisi economica del 2008 si è
parlato di “contagio economico”, cioè di un flagello che si diffonde come una malattia
15
Cantù, Cesare. Gli Eretici d'Italia: Discorsi Storici. 1899. Reprint. London: Forgotten Books, 2013 DISC.
XLIII p.82.
16
Giacomo Leopardi, Zibaldone di pensieri, in Pensieri di varia filosofia e di bella letteratura, Le Monnier,
Firenze 1921.
17
Daniel Guérin, La peste bruna, Verona, Bertani, 1975.
18
C.f.r. nota n.6
19
V.Klemperer, LTI, la lingua del Terzo Reich: taccuino di un filologo, s.l., Giuntina, 1998, p. 32.
20
http://italian.ruvr.ru/2014_09_04/Il-terrorismo-internazionale-la-peste-del-XXI-secolo-2392/, 24/12/2014.
epidemica. La storia del disastro ambientale in Campania22
e in generale il degrado ambientale
è stato definito la pestilenza chimica. Uno dei flagelli più classici dell’umanità come le
cavallette non potevano non essere accostato alla peste e infatti in Australia con il significato
di peste dell’agricoltura, le locali cavallette sono chiamate Australian plague locust. Così
come sempre è attuale la questione morale e si parla quindi di rivolta morale contro la peste
delle tangenti. Nella sua denuncia ai “peccati collettivi razionalizzati” il Cardinale Martini
ritorna a un sentire antico della peste come male dell’anima.23
Su un fronte forse opposto nel
1880 Johan Most parlò di peste religiosa24
per denunciare che fra tutte le malattie mentali, la
religione è certamente la più orribile. «In principio, c’è il Dio della Bibbia che invia la peste
bubbonica ai Filistei (cfr. Primo libro di Samuele)… Discende anche da tale mitica iattura e
prevale in un ‘inconscio collettivo’ da sempre schiavo della superstizione la fede dogmatica o
credulità ideologica, ossia quella metafisica “peste religiosa” stigmatizzata dal socialista
anarchico americano Johann Most [...]»25
. Per amore di completezza non può mancare un
riferimento alla polemica politica recente, che ha visto Grillo, il leader del Movimento 5
Stelle, definire gli avversari come peste rossa.26
La peste è quindi da sempre e ancor oggi il
simbolo di una piaga collettiva e il termine viene utilizzato da opposte fazioni per raffigurare
la perniciosità degli ideali del nemico. Nel prossimo capitolo attraverso lo studio della
malattia e dei suoi rimedi fin dall’antichità si cercherà di comprendere l’importanza che può
aver avuto e ha questa malattia per l’umanità. Poi verrà esaminato l’impatto storico della peste
nei secoli per giungere alle conclusioni anche con l’aiuto della letteratura. La peste quindi
come metafora del male aiuta a comprendere la capacità di reazione collettiva alle calamità e
alle crisi, che possono determinare cambiamenti e forse il progresso dell’umanità.
Attraverso l’esame di alcuni aspetti scientifici, storici, artistici, economici, religiosi e culturali
relativi alla peste nel mondo Occidentale27
, fin dalle sue origini, il presente lavoro di tesi ha
come scopo valutare l’impatto sulla società umana di una malattia dalle caratteristiche uniche.
21
Chaunu Pierre, Suffert Georges, La Peste blanche. Comment éviter le suicide de l'Occident. Paris, Gallimard,
1976.
22
Sodano Tommaso, Trocchia Nello, La peste. La mia battaglia contro i rifiuti della politica italiana, s.l.,
Rizzoli, 2010.
23
http://www.atma-o-jibon.org/italiano7/martini_ritrovaresestessi3.htm, 26/12/2014.
24
Johann Most, Sebastian Fauro, La peste religiosa. Dio non esiste: dodici prove dell'inesistenza di Dio, s.l., La
Fiaccola, 1987.
25
http://www.retididedalus.it/Archivi/2013/febbraio/FILOSOFIE_PRESENTE/1_pensiero.htm Il Pensiero sul
Male, Le scritture di mille e una peste di Stefano Lanuzza, 26/12/2014.
26
http://www.beppegrillo.it/2014/05/la_peste_rossa.html, 26/12/2014.
27
La peste è nota da almeno 3000 anni. In Cina sono registrate epidemie fin dal 224 a.C. La letteratura indiana è
ricca di riferimenti fin dall’antichità.
Pieter Bruegel il Vecchio, Trionfo della Morte,1562, Museo del Prado, Madrid
2 LA MALATTIA, LA CURA E LA PREVENZIONE
Lucrezio nel I secolo a.C. nel poema De rerum natura descrive la semeiotica della malattia
con sintomi non del tutto specifici, ma la drammaticità della sofferenza descritta, pur come
esperienza soggettiva e carente di conoscenze scientifiche, è così toccante e coinvolgente da
darci un immagine indimenticabile del malato di peste. Nel VI libro Lucrezio dà spiegazioni
naturali di fenomeni fisici e fra l’altro descrive, con occhio che potremmo definire scientifico
per l’epoca, la peste ad Atene. I versi qui riprodotti sono tratti dalla descrizione dei malati:
«Da principio avevano il capo in fiamme per la febbre e gli occhi accesi di una luce rossastra.
La gola inoltre, nera all'interno, sudava sangue, e occluso dalle ulcere il passaggio della voce
si serrava, e l'interprete dell'animo, la lingua, stillava gocce di sangue, infiacchita dal male,
pesante nei movimenti, ruvida al tatto. Poi, quando la forza della malattia aveva invaso il petto
passando dalla gola ed era affluita fin nel cuore oppresso dei malati, allora davvero
vacillavano tutte le barriere della vita. Il fiato che usciva dalla bocca spargeva un puzzo
ributtante, simile al fetore emanato dai cadaveri abbandonati e in putrefazione. Poi le forze
dell'animo intero e tutto il corpo languivano, già sul limitare stesso della morte.»
Un'altra descrizione “storica” dei malati di peste viene dal Boccaccio (Decameron, Giornata
Prima, Introduzione): «[...] nascevano nel cominciamento d’essa a’ maschi e alle femine
parimente o nella anguinaia o sotto le ditella certe enfiature, [...] le quali i volgari nominavan
gavoccioli. E dalle due parti del corpo predette infra brieve spazio cominciò il già detto
gavocciolo mortifero indifferentemente in ogni parte di quello a nascere e a venire: e da
questo appresso s’incominciò la qualità della predetta infermità a permutare in macchie nere o
livide [...] E come il gavocciolo primieramente era stato e ancora era certissimo indizio di
futura morte, così erano queste a ciascuno a cui venieno.»
Una delle ragioni principali che hanno giocato in passato a sfavore dell’individuazione
nosologica della peste è il suo manifestarsi sindromico complesso. Fino all’Ottocento per
quasi tutte le malattie la limitatezza delle conoscenze eziologiche e fisiopatologiche hanno
impedito l’identificazione di sindromi, cioè di pattern sintomatologici, che non sono un
semplice aggregarsi casuale di sintomi, ma che talvolta esprimono un qualcosa di unitario che
li lega tra loro a definire un’entità autonoma e distinta. Prima della fine del XVII secolo non
era stato compreso che le malattie fossero entità specifiche. Si credeva che una malattia
potesse trasformarsi in un’altra, che una febbre esantematica tifoide, potesse diventare una
febbre pestilenziale. Per oltre 2000 anni il superamento della medicina magica non andò oltre
all’opinione di Ipocrate con le aggiunte di Galeno e Avicenna. Ippocrate di Coo (Cos o Kos)
(Kos, 460 a.C. circa – Larissa, 377 a.C. terminus post quem) è considerato il padre della
medicina occidentale. La teoria umorale, concepita da Ippocrate, rappresenta il più antico
tentativo, sempre nel mondo occidentale, di ipotizzare una spiegazione eziologica
dell'insorgenza delle malattie, superando la concezione superstiziosa, magica o religiosa. La
teoria umorale unificava la concezione fisica dei quattro elementi fondamentali (aria, acqua,
terra, fuoco), con una nuova visione medica basata su fenomeni osservabili in natura. Gli
elementi del corpo umano corrispondevano, in base ad alcune qualità comuni, degli umori:
all’aria, che è calda e umida ed è dappertutto, corrispondeva il sangue; al fuoco, caldo e secco,
corrispondeva la bile gialla; alla terra, fredda e secca, corrispondeva la bile nera; all’acqua,
fredda e umida, corrispondeva il flegma. Ippocrate stabilì che c’era una relazione tra l’eccesso
di uno dei quattro umori e la predisposizione a un tipo di costituzione fisica e a un certo
temperamento. Nell’opera De aere, aquis et locis contenuta nel Corpus Hippocraticum viene
data una spiegazione “razionale” alle forme epidemiche come la peste, «… allorché molti
uomini son colti da una sola malattia nello stesso tempo, occorre imputarne la causa a ciò che
v’è di più comune e di cui tutti in primo luogo ci serviamo: e questo è ciò che respiriamo».28
Era quindi l’aria che in certe condizioni quali il clima umido, corrompeva e avvelenava chi la
respirava; è questa la Dottrina Aerista giunta fino al 1700. Galeno di Pergamo (Pergamo, 129
– Roma, 199 circa), riferimento fondamentale fino in epoca moderna, sviluppò le teorie
ippocratiche indicando come causa predisponente di malattia lo squilibrio fra gli umori e
individuò come contaminanti dell’aria: l’acqua stagnante, i liquami e i cadaveri insepolti.29
Il
medico persiano Abd Allāh ibn Sīnā più noto in Occidente come Avicenna (Balkh, 980 –
Hamadan, giugno 1037), aggiunse altre cause di inquinamento dell’aria. La congiunzione
astrale dei cinque astri maggiori provocherebbe i terremoti, che liberano dalle viscere della
terra vapori infernali e in mare morie e putrefazione di grandi quantità di pesce e conseguente
inquinamento dell’aria. Nel Medioevo gli studi di medicina potevano quindi basarsi sul fattore
ambientale e sulle caratteristiche dell’individuo, a cui si aggiungevano vaghe conoscenze
empiriche relative al contagio da persona a persona attraverso l’alito, il contatto fisico e il
vestiario o qualunque oggetto venuto a contatto con l’appestato.
28
Ippocrate, Opere. Sez.Terza: La Natura dell’Uomo. Vegetti M. (a cura di), Torino, UTET, 1976: 445.
29
Pazzini A, “In pestilenti vero aeris statu inspiratio plurimum est causa. Fit enim aliquando ob eos qui sunt in
corpore humano ad putrescendum paratos …”, Storia dell’Arte Sanitaria dalle origini a oggi. Roma, Min Med
1973;I:363
La Dottrina degli Umori
Cognizioni eziologiche lontane dal vero con l’assenza di strumenti terapeutici biologicamente
attivi non potevano che generare rimedi inutili e spesso dannosi. Taluni medicamenti
divennero famosi, è il caso dell’aceto dei quattro ladri30
durante l’epidemia di peste del 1722 a
Marsiglia.31
La composizione è variata nel tempo e nelle diverse città, ma alla base vi era
sempre aceto forte, assenzio ed erbe aromatiche. Ben più antica è la tradizione del
medicamento universale chiamato Triaca.32
Marsilio Ficino nel 1481 ne decantava le virtù e la
30 http://www.secretofthieves.com/four-thieves-vinegar.cfm “Four Thieves Vinegar: Evolution of a Medieval
Medicine”, 26/12/2014.
31 “La tradizione diffusa vuole che un gruppo di ladri, durante una delle numerose epidemie di peste in Europa, si
aggirassero a depredare morti ed ammalati. Quando vennero arrestati, in cambio della grazia essi offrirono di
rivelare la loro ricetta segreta, che permetteva loro di commettere ruberie senza essere contagiati dal male.
Un'altra versione narra che i ladri fossero già stati arrestati prima dello scoppio delle peste e, condannati a
seppellire i corpi delle vittime, inventassero quest'aceto per sopravvivere al contagio. Le leggende collocano tali
avvenimenti nelle città di Tolosa o Marsiglia, in un periodo compreso fra il XIV ed il XVIII secolo. Pare che i
ladri di Tolosa siano stati ugualmente impiccati, mentre sorte migliore toccò a quelli di Marsiglia. In ogni caso,
nel 1748 l'aceto dei quattro ladri venne inserito nella Farmacopea del Corpo Medico francese, e venduto in
farmacia come antisettico, per poi esserne eliminato nel 1884 con l'affermarsi della medicina moderna.”
http://it.wikipedia.org/wiki/Aceto_dei_quattro_ladri, 26/12/2014.
32 “Il termine Triaca (o Teriaca) era già in uso in Egitto nel IV-III sec. a.C. per un antidoto contro i morsi degli
animali velenosi e come tale fu “ufficializzato” da Nicandro di Colofone che ne titolò un suo trattato. La Triaca
famosa per molti secoli è però quella di Andromaco il Vecchio, medico di Nerone, che la compose aggiungendo
al Mitridato, il polifarmaco usato come antidoto dal Re del Ponto, la carne di vipera. La fama di essa crebbe a
dismisura e, pur tra qualche autorevole parere dissenziente, tutti i maggiori Medici ne decantarono i benefici: da
Galeno ad Avicenna, da Maimonide alla Scuola Salernitana. Questo perché dall’originaria funzione di
contravveleno, le indicazioni erano via via aumentate fino a comprendere l’epilessia, la peste, le pleuriti, l’ictus
apoplettico, etc. etc. Di pari passo il numero dei componenti era salito dagli originari cinquantasette fino a cento
e più, né erano sempre ed ovunque gli stessi, in base alle difficoltà del loro reperimento ed all’inventiva di
Medici e Spetiali. L’alto costo e l’elevata richiesta indusse diverse Repubbliche (Venezia, Bologna, Genova,
Pisa, Napoli) a farne un proprio monopolio; perché poi ne potessero usare anche i meno abbienti si fece la Triaca
di soli quattro ingredienti. Ciarlatani ed imbonitori da un lato ed il progredire delle conoscenze dall’altro
proponeva come profilattico nel suo “Consilio contro la pestilentia”.33
Consiglia di portare
«…in sul cuore questo sacchetto…»34
. Le misure di protezione individuale adottate dai medici
avevano una maggiore concretezza empirica anche se ci fa sorridere l’immagine simbolo del
medico della peste. A parte le sostanze aromatiche contenute nel becco, una qualche premura
ad evitare il contatto diretto era senz’altro efficace.
L'abito del medico della peste in un disegno del 1656
Nel Medioevo la situazione della medicina era la stessa descritta secoli prima da Tucidide. «I
medici non riuscivano a fronteggiare questo morbo ignoto ma, anzi, morivano più degli altri,
in quanto più degli altri si avvicinavano ai malati, né alcuna tecnica umana veniva loro in
soccorso. […] E oltre alla peste, nessun’altra malattia delle solite infieriva in quel tempo: e
anche se sorgeva, andava a risolversi in questa. E gli uni morivano per mancanza di cure, gli
appannarono prima e cancellarono poi il prestigio e la credibilità di un farmaco ricco di due millenni di storia.
L’aggettivo Teriacale, ad indicare crediamo soltanto un effetto “ricostituente”, è resistito fino al secolo scorso.
Potenza di una tradizione!” S. Signorelli, S. Tolomelli, E. Rota. Lo Spallanzani (2004) 18: 105-111
http://www.lospallanzani.it/wp-content/uploads/rivista/2_2004/Signorelli%20et%20al.pdf S. Signorelli, S.
Tolomelli, E. Rota. Lo Spallanzani (2004) 18: 105-111
33 Ficino M.: Sulla Vita. A cura di Tarabochia Canavero A. Milano, Rusconi Ed. 1995:121,229,270.
34
Ficino M, Contro la Pestilentia (in Collectanea). Firenze, Giunti, 1577:1-76.
altri anche se erano molto ben curati. Non esisteva, per così dire, nessuna medicina che si
potesse applicare in generale: quello che a uno era di giovamento, per un altro era dannoso.»35
Come è accaduto in passato e talvolta accade oggi, la medicina accademica era la parte più
conservatrice della società. La figura del medico rimase quindi per secoli di secondo piano
rispetto alla gestione politica e amministrativa. Le autorità cittadine e di governo, non
vincolate all’assoluta fedeltà agli indiscutibili insegnamenti dei maestri antichi, per caso o per
necessità, provarono qualsiasi mezzo pur di raggiungere lo scopo di sconfiggere il flagello
della comunità, la selezione competitiva fra le città e i paesi fece il resto. La peste nera ebbe
quindi un ruolo importante nella nascita della sanità pubblica. E’ così che si va oltre la
semplice fuga dai centri urbani, considerato il miglior rimedio contro la peste. «L’alternativa è
di fronteggiare l’epidemia con norme di prevenzione atte a limitare il contagio ed a
circoscriverlo il più possibile. Si tratta in genere di provvedimenti che condizionano
pesantemente la vita delle comunità urbane, ma che raggiungono con ogni probabilità il loro
scopo. Nell’adozione di questi interventi, il sistema sanitario italiano nel Medioevo fu
all’avanguardia e, in effetti, la peste scompare dall’Italia alcuni decenni prima che negli altri
paesi europei. In caso di contagio, gli scambi di informazioni degli Ufficiali di Sanità dei
diversi Stati della penisola divennero frequenti e circostanziati. Si diffusero così i concetti di
“quarantena” e “cordone sanitario” o la pratica di “bandire” le località contagiate e di chiudere
le frontiere degli Stati o le porte delle città, impedendo la libera circolazione di uomini e
merci, se non per situazioni particolari e certificate da permessi degli Ufficiali di Sanità.»36
Già durante l’epidemia del 1300 vengono istituiti gli “Uffici di Sanità” o “Magisteri”, prima a
Milano, quindi a Venezia e Firenze e poi in ogni comune italiano (in Europa solo dopo il
1500). Viene regolamentato l’accesso alle città, l’approvvigionamento di cibo, di acqua e di
altre merci. La “quarantena” è codificata per la prima volta a Reggio Emilia nel 1374. Sono
previste norme per l’evacuazione ed il seppellimento dei cadaveri. Sono proibite le
manifestazioni pubbliche e le processioni religiose, poiché «dopo la processione s'accresce la
peste».37
Sono chiusi i locali pubblici e gli esercizi sospetti. Di fondamentale importanza
storica e sanitaria è la nascita dei lazzaretti. L’innovazione della fondazione di un ospedale
35
Tucidide, La guerra del Peloponneso II, Giuseppe Rosati (a cura di), Scrittori di Grecia. Il periodo attico,
Sansoni Editore, Firenze, 1972, pp.47-53
36
http://www.archiviostoricorovato.it/serie02_provvisioni/pestem/apparati/Studio_Storico_reg18.pdf,
26/12/2014.
37 La peste di Milano del 1630. Libri cinque cavati dagli annali della città e scritti per ordine dei LX decurioni
dal Canonico della Scala Giuseppe Ripamonti istoriografo milanese volgarizzati per la prima volta
speciale permanente da parte del Senato della Repubblica di Venezia avvenuta il 28 agosto del
1423 sotto il dogato di Francesco Foscari appena tre mesi dopo i primi casi di peste in laguna
è stata preceduta dall’antica pratica dei lebbrosari. «Nei confronti dei lebbrosi si era definita
fin dal 1300 la volontà di ricorrere al ricovero coatto o alla cacciata. Il 23 aprile il Maggior
Consiglio aveva infatti deciso di liberare Venezia dalla scomoda presenza di quanti, con il
corpo devastato delle infermità, stazionavano nelle chiese, sui ponti, sulle pubbliche vie,
“corrompendo” l’aria e provocando la nausea a chi li vedeva (viscere hominum commoventur).
Si stabilisce dunque di far accogliere lebbrosi e infermi dagli ospedali o altrimenti di cacciarli
dal centro abitato. Le isole marginali, circondate dagli ampi specchi lagunari, e funzionali alla
contemplazione dei numerosi e antichi insediamenti monastici, si rivelano ideali per ospitare
le attività protette dal segreto di stato come la lavorazione del vetro, ma soprattutto si
dimostrano adatte all’emarginazione dei corpi martoriati dalla malattia in uno spazio liminare
che nell’Occidente cristiano caratterizza la realtà del lebbrosario e a Venezia viene individuato
nell’isola di San Lazzaro, divenuto il lembo di terra per la città dei morti viventi.
Il Lazzaretto Vecchio di Venezia
Il lebbroso, infatti, in questa sorta di limbo lagunare vive il tempo della malattia cronica, lenta,
invalidante e orripilante, nella simulazione del tempo e della città dei sani.»38
L’originalità
veneziana della fondazione di un ospedale di isolamento per la peste sta soprattutto nella
volontà del governo cittadino di affrontare in modo organico l’epidemia, statalizzando una
struttura e una tradizione religiosa, compreso il personale assunto e stipendiato dallo stato.
dall'originale latino da Francesco Cusani con introduzione e note. Milano, Tipografia Libreria Perotta e C.,
1841, cap.XVII, p.51.
38 http://lazzarettovr.jimdo.com/storia-del-lazzaretto-deutsch-und-englisch-version/ 27.12.2014
«La trasformazione del nome non fu casuale, ma assecondò il processo di laicizzazione
dell’antico complesso monastico le cui originarie funzioni vennero cancellate nel 1436
assieme alla primitiva denominazione per ordine del papa, che formalizzò l’oramai avvenuta
trasformazione del monastero di Santa Maria di Nazareth nel Lazzaretto dei veneziani.»39
Al
Lazzaretto di Venezia seguirono Milano nel 1488 e quelli istituiti dalle maggiori città italiane.
Sotto la pressione dell’emergenza e della paura della peste fu assunta una decisione
impegnativa e delicata, che è stata di esempio per gli altri governi delle città di Italia e fonte di
ispirazione anche per quello che diverrà il primo grande ospedale pubblico moderno per acuti,
la Ca’ Granda di Milano, fondato da Francesco Sforza nel 1456.40
L’"Ospedale Maggiore" di Milano, tradizionalmente noto come "Ca’ Granda"
Gli ospedali cominciarono infatti a cambiare e ad assumere l’aspetto moderno di luogo di cura
e non solamente di isolamento in attesa della morte. Dopo la peste, gli ospedali tentarono di
curare gli ammalati, anche se, ancora, coloro che venivano dimessi lo erano più per le loro
difese immunitarie che per le cure ricevute. La professione medica, che aveva visto diminuire
il proprio prestigio, fu stimolata a innovarsi. Venne dato maggior rilievo alla medicina pratica
orientata clinicamente, un cambiamento che rifletteva l’importanza del chirurgo e il declino
del medico teorico. I testi di anatomia divennero più accurati, perché la pratica dell’autopsia
diventava più comune e nelle scuole di medicina ci fu uno spostamento verso le scienze
applicate. Questi cambiamenti contribuirono a creare i presupposti verso una medicina più
scientifica dal momento che sempre più il medico, invece di limitarsi a trarre conclusioni dalla
semplice lettura dei testi antiche, formulava nuove teorie, le sottoponeva alla prova
dell’osservazione, analizzando i risultati per vedere se confermavano la teoria stessa.
39 http://lazzarettovr.jimdo.com/storia-del-lazzaretto-deutsch-und-englisch-version/ 27.12.2014
40 Giorgio Cosmacini, La Ca' Granda dei milanesi. Storia dell'Ospedale Maggiore, s.l., Laterza, 1999.
Indipendentemente e molto prima che i progressi della medicina abbiano dato risultati
tangibili, le comunità cittadine con la loro organizzazione sociale ottennero buoni risultati in
termini di qualità e durata di vita. Sembra che in alcuni momenti, per alcune città si possa
parlare addirittura di casi clamorosi se pur poco conosciuti. «Milano vanta una vocazione,
radicata nei secoli, alla partecipazione collettiva, alla vita di vicinato, al soccorrere il
prossimo. A testimoniarlo, a partire dal XV secolo, sono i dati statistici che si evincono dai
Registri dei Morti, ossia la registrazione anagrafica del decesso di tutti i suoi abitanti
(residenti, domiciliati temporanei, di qualsiasi nazione, età, religione e condizione sociale):
oggi, è convinzione comune che la durata media di vita, in epoche antiche, si attestasse
intorno ai 25-30 anni; a Milano, sappiamo invece che, nella seconda metà del Quattrocento,
più del 30% della popolazione era ultrasettantenne; non solo, si vantavano anche decine di
centenari e di ultracentenari, come ad esempio Maddalena Portaluppi, deceduta nel 1474, alla
veneranda età di 110 anni, manifestando qualche lieve problema respiratorio. Questi dati, che
non sono frutto di fantasie letterarie, ma provengono da una fonte ufficiale di proto-statistica
clinica, implicano la presenza di un fenomeno sociale di lunga durata e di forte tenuta:
affinché un così elevato numero di anziani potesse sopravvivere, considerati i disagi
materiali ascrivibili all’epoca e la pressoché totale assenza di strumenti tecnologici a
disposizione, non solo doveva essere elevato il livello di assistenza sanitaria e medica
accessibile a una larga fascia della popolazione, ma ci doveva essere anche una rete di
vicinato, un senso della collettività e della comunità estremamente efficace e per noi, oggi,
straordinario.»41
Non sempre e non per tutti è andata così. Se i paesi e le nazioni hanno
imparato dal Medioevo a sopravvivere e a svilupparsi nonostante terribili calamità, la gran
parte del popolo ha migliorato in modo sostanziale le proprie condizioni di sopravvivenza
solo molti secoli dopo. Ancora oggi le condizioni dei poveri sono spesso disperate in molti
paesi non sviluppati. Ma fino al IXX secolo erano condizioni comuni anche in Europa. La
Commissione Salute (Board of Health), che contribuì all’emanazione del Public Health Act
(1848), la legge inglese di istituzione del servizio nazionale di sanità pubblica, rivelò che a
Liverpool l’aspettativa di vita media per classe alla nascita variava dai 15 anni per i
disoccupati e i poveri a 35 anni per i cosiddetti benestanti.42
Per cui le condizioni non erano
41 AA.VV., Le periferie dell'umano, Biblioteca Univ. Rizzoli, Milano, 2014. Stralcio dell’intervento della
prof.ssa F. Vaglienti, Docente di Storia Medievale per Beni Culturali - Università degli Studi di Milano, durante
il Ca’ Granda Seminar del 21 ottobre 2014, dal titolo: “Il caso della Ca’ Granda di Milano. Storia e attualità”.
42 «In Liverpool average life expectancy by class ranged from 15 years for the unemployed or poor to 35 years
for the well to do.» G. Mooney, S. Szreter, Urbanization, mortality, and the standard of living debate: new
estimates of life at birth in nineteenth century British cities, Econ. Hist. Rev. 1998; 51:84-112
molto dissimili dal Medioevo e forse peggiori a quelle dell’età Antica. Secondo gli archivi
ufficiali della famiglia reale britannica, l'aspettativa di vita media nel 1276 era di 35,28 anni
per la parte più agiata della società. Tra il 1301 e il 1325, durante la Grande carestia, la
speranza di vita si era ridotta a 29,84 anni, mentre tra il 1348 e il 1378, durante la Morte Nera
scese a 17,33. Solo nel XX secolo si sono avuti risultati stabili e generalizzati e solo in parte
dovuti ai progressi della medicina. La popolazione del mondo ha superato nell’anno 2011 i 7
miliardi di individui e siamo ancora in una fase di espansione demografica seppure attenuata
dal calo di natalità effetto della transizione demografica presente pressoché in tutte le
popolazioni. Secondo il CIA World Factbook (stime 2014) la speranza di vita alla nascita ha
raggiunto la media mondiale di 68,35 anni, anche la distanza fra il paese peggiore e quello
migliore si è ridotta, se a Monaco ci si aspetta di vivere fino a 90 anni, nel Ciad si sfiorano i
50 anni. Per la sopravvivenza e la qualità della vita dalla seconda metà del XX secolo la
medicina scientifica ha portato enormi benefici a un numero sempre maggiore di persone in
tutto il mondo. Vaccini e antibiotici hanno cambiato la storia delle malattie, ma fino
all’Ottocento ben poco si sapeva e si poteva fare per curare l’individuo malato. Sembra
incredibile che tre secoli prima, nel 1546 a Venezia sia stato pubblicato il De contagione et
contagiosis morbis et curatione eorum di Girolamo Fracastoro, forse l’intuizione più geniale
di tutta la storia della medicina. Soltanto il XVII secolo fu testimone, non consapevole, della
scoperta di microrganismi: nel 1673 un mercante di stoffe che viveva in Olanda, Van
Leeuwenhoek, descrisse, di fronte alla British Royal Society, le sue osservazioni ottenute con
l'aiuto di un microscopio elementare, confezionato da sé, rivelarono “animaletti” sui liquidi
più diversi. Per più di un secolo, offuscate dalle dottrine a sfondo mistico di Paracelso,
rimasero nell’ombra le teorie scientifiche di Fracastoro, vero fondatore della moderna
patologia, che ipotizzò l’esistenza di organismi viventi invisibili, detti seminaria, e intuì
inoltre che questi erano agenti di malattia: corpuscoli che si trasmettevano o per contatto
diretto o attraverso materiali o attraverso l’aria. «Tutta la patologia delle malattie infettive è
giudicata per la prima volta con grande acutezza di giudizio, frutto di un'osservazione
accuratissima: le ipotesi del Fracastoro sulle cause e le vie delle infezioni sono state quasi
integralmente convalidate dalle moderne ricerche scientifiche.»43
Solo nell’Ottocento la
moderna scienza batteriologica grazie alle scoperte di Bassi, Pasteur e Kock renderà possibile
scoprire l’agente responsabile della peste. Nel 1894 il medico svizzero Alexandre John-Émile
Yersin, durante l'epidemia di Hong Kong, isolò il bacillo della peste e lo nominò Pasteurella
43 http://www.treccani.it/enciclopedia/girolamo-fracastoro_(Enciclopedia-Italiana)/, 27.12.2014
pestis, in onore di Louis Pasteur, suo maestro. Lo stesso anno anche il medico giapponese
Shibasaburō Kitasato, discepolo di Robert Koch, ottenne indipendentemente gli stessi
risultati. Ma in Occidente si ricorda solo Yersin e in suo onore il bacillo della peste verrà
chiamato anziché Pasteurella, Yersinia pestis. Questo coccobacillo Gram-negativo ha una
caratteristica rara e cioè la capacità di moltiplicarsi a temperature vicine a quella corporea (36-
37°C), ma anche a 25-28°C; questa proprietà può forse avere importanza per alcune modalità
diffusive del germe. La Y. pestis appartiene al genere Yersinia composto da numerose
specie.44
A sua volta, la Y. pestis viene abitualmente distinta in tre varianti (ceppi) sulla base
di caratteristiche biologiche45
, che hanno un interesse filogenetico e sono indubbiamente
suggestive dal punto di vista storiografico:
– Y. pestis Antiqua, ritenuta l’agente eziologico delle antiche epidemie di peste (“Peste
di Giustiniano” del VI secolo);
– Y. pestis Medievalis, sospettata quale agente eziologico della “Peste Nera” del 1348;
– Y. pestis Orientalis, agente eziologico dell'attuale pandemia di peste (la cosiddetta
“terza pandemia”).
Il dibattito sull’eziologia delle grandi pestilenze storiche è stato arricchito recentemente da
importanti studi di paleogenetica.46
Gli agenti causali delle tre grandi pandemie sono stati
confermati dallo studio dei resti scheletrici provenienti da scavi archeologici, mediante
l’analisi del DNA. Nel 2013 analizzando il DNA antico in due laboratori indipendenti47
, è
stato confermato in modo inequivocabile la presenza del DNA della Y. pestis nei resti di
scheletri umani provenienti dal cimitero altomedievale del VI secolo di Aschheim-
Bajuwarenring (Germany). I risultati confermano che la Y. pestis è stata responsabile della
peste di Giustiniano e dovrebbero porre fine alla controversia riguardante l'eziologia di questa
pandemia. I genotipi isolati suggeriscono che la prima pandemia ha avuto origine in Asia,
come per le altre due pandemie. Uno studio genetico pubblicato nel 2014 suggerisce che la
Peste di Giustiniano (e altre epidemie dall'antichità) è dovuta a ceppi ormai estinti di Y. pestis,
44
Al genere Yersinia appartengono 12 specie a se stanti: Y. aldovae, Y. aleksiciae, Y. bercovieri, Y.
enterocolitica, Y. frederiksenii, Y. intermedia, Y. kristensenii, Y. mollaretii, Y. pestis, Y. pseudotuberculosis, Y.
rohdei, Y. ruckeri. Le tre patogene umane sono: Yersinia pestis, Y. pseudotuberculosis, Y. enterocolitica.
45
Capacità di fermentare il glicerolo e di ridurre il nitrato.
46 La paleogenetica è lo studio del passato attraverso l'esame del materiale genetico preservato proveniente dai
resti di antichi organismi. Il termine "paleogenetica" fu introdotto nel 1963 da Emile Zuckerkandl e dal chimico
fisico Linus Carl Pauling, in riferimento all'esame delle possibili applicazioni nella ricostruzione di sequenze di
polipeptidi del passato. Nel 1984 da Allan Wilson e altri fu isolato, da un campione museale del quagga estinto,
la prima sequenza di un DNA antico.
geneticamente distinti dal ceppo che causò la scoppiò nel XIV secolo, ma che forse
sopravvivono ancora oggi in popolazioni di roditori.48
Global phylogeny for Y. pestis49
Alcuni titoli giornalistici propongo la tesi che le epidemie del passato siano da attribuire ai
ceppi estinti di Y. Pestis, ma ancora presenti nelle 200 specie di roditori in tutto il mondo,
pronti a scatenare la prossima pandemia. A sostegno della diversità degli episodi storici
rispetto ad oggi viene segnalato che durante l’epidemia del ‘300 non sono state segnalate
morie di topi; inoltre sorprende l’alto tasso di morbosità, cioè la capacità diffusiva
caratteristica delle grandi epidemie, nonché la rapidissima evoluzione verso l’exitus e l’alto
tasso mortalità. La ricerca genetica, come descritto sopra nell’articolo di Wagner, ha per ora
confermato che il ceppo della Peste di Giustiniano non è quello delle pandemie successive, ma
il ceppo della Peste Nera ha caratteristiche sovrapponibili a quello di oggi.50
47
Harbeck, Michaela; Seifert, Lisa; Hänsch, Stephanie; Wagner, David M.;et al. «Yersinia pestis DNA from
Skeletal Remains from the 6th Century AD Reveals Insights into Justinianic Plague ». in PLoS Pathogens 9 (5).
2013.
48
David M Wagner, Michaela Harbeck, Alison Devault et al. Yersinia pestis and the Plague of Justinian 541–
543 AD: a genomic analysis. in «Lancet Infect Dis», 2014; 14: 319–26. Published Online January 28, 2014
http://dx.doi.org/10.1016/S1473-3099(13)70323-2
49
Harbeck, Michaela op. cit. nota 14.
50 Kirsten I. Bos et al., A draft genome of Yersinia pestis from victims of the Black Death, in «Nature», 478, 27
October 2011, pp. 506–510.
Kirsten I. Bos et al., Phylogenetic placement and historical context for the East Smithfield strain51
L’esordio acuto, la rapida ingravescenza e l’altissima mortalità sono le caratteristiche cliniche
comuni alle tante pestilenze storiche. Dopo un’incubazione di 2-12 giorni esordisce in modo
brusco e in forme cliniche molto diverse: dalla pestis minor che si risolve con una breve
episodio febbrile alle manifestazioni che un tempo erano, in altissima percentuale, mortali. Le
classiche forme gravi sono le seguenti:
– La peste bubbonica è la forma più frequente di peste umana; compare un “bubbone”
(tumefazione dura, liscia, di piccole dimensioni ed estremamente dolorosa) che si
accompagna a febbre elevata (40-42°C), a malessere generale, mal di testa e talvolta
vomito. I bubboni si formano prevalentemente a livello delle stazioni linfonodali
inguinale, ascellare, sottoclavicolare. Si verificano anche emorragie sottocutanee
causate dall’ostruzione dei capillari; appaiono quindi macchie sottocutanee scure, che
diedero nome alla peste “morte nera”.52
51 Phylogenetic tree using 1,694 variable positions. Divergence time intervals are shown in calendar years, with
neighbour-joining bootstrap support (blue italic) and Bayesian posterior probability (blue). Grey box indicates
known human pathogenic strains.
52
c.f.r. nota n. 56
La Scandalosa, bassorilievo in cera policroma,
ignoto del XVII secolo. Napoli, Congrega di
Santa Maria.
An inguinal bubo on the upper thigh of person infected
with bubonic plague. Swollen lymph glands (buboes)
often occur in the neck, armpit and groin (inguinal)
regions of plague victims.53
– La peste setticemica primaria si manifesta come ogni setticemia causata da batteri
Gram negativi con febbre a 40-42° C, lesioni del sistema nervoso, violenti disturbi
gastrointestinali ed estrema gravità prognostica.
– La peste polmonare presenta grave insufficienza respiratoria e rapide ripercussioni
generali; senza trattamento ha una mortalità del 100%; si trasmette da uomo a uomo
tramite il respiro (goccioline di escreato).
Due sono le vie di trasmissione del contagio: attraverso la pelle e attraverso i polmoni.
L'infezione contratta per via cutanea, nel modo "classico", ossia attraverso il morso della
pulce, porta normalmente alla peste bubbonica. La peste polmonare si contrae per “via aerea”.
Già nel 1365 nella Chirurgia Magna, Guy de Chauliac, medico personale di tre papi e del re
di Francia, distingueva in modo puramente empirico, senza sapere nulla sulle cause, la peste
polmonare dalla peste bubbonica: «La malattia durò [ad Avignone, n.d.r.] sette mesi. Due
erano le forme. La prima durò due mesi e fu caratterizzata da febbre persistente ed emottisi e
la morte sopraggiungeva entro tre giorni. La seconda durò a lungo, anche questa con febbre
persistente e fu caratterizzata dalla formazione sulla pelle di pustole e bubboni, in particolar
modo nelle regioni ascellari ed inguinali. Se ne moriva dopo cinque giorni».
Il serbatoio della peste sono numerose specie di animali selvatici, soprattutto roditori, che
sono particolarmente resistenti. I focolai di peste selvatica sono definiti “focolai primari” e si
trovano in tutti i continenti. La peste è dunque una zoonosi. Le epidemie di peste umana sono
solitamente precedute da un’epizoozia e si manifestano nelle aree densamente popolate in cui
le condizioni socio-economico-sanitarie sono disastrose. La pulce del ratto orientale,
Xenopsylla cheopis, è uno dei vettori principali della trasmissione del bacillo pestoso tra i ratti
e sono vettori efficienti anche nella trasmissione dell’infezione all’uomo.
Il ciclo della peste54
Oggi i trattamenti antibiotici55
e i presidi sanitari moderni hanno ridotto la mortalità anche nei
casi più gravi. La presenza endemica è circoscritta ad area geografiche remote o comunità in
condizioni igieniche e nutrizionali estreme. Gli interventi di prevenzione più efficaci sono
rivolti alla lotta ai roditori e agli ectoparassiti ematofagi. Il vaccino per la breve immunità
conferita, da 6 a 12 mesi, è consigliato in particolari categorie a rischio, fra cui il personale
sanitario nelle zone endemiche ed è stato indicato anche in caso di attacchi di bioterrorismo.
53
http://en.wikipedia.org/wiki/Bubonic_plague, 29/1/2015.
54 Dirección General de Epidemiología. Ministerio de Salud. Perù. http://www.dge.gob.pe/peste/peste_epi.php
55 “Per ridurre le probabilità di morte è essenziale trattare con antibiotici entro le prime 24 ore dalla comparsa dei
sintomi, con streptomicina, gentamicina, tetracicline o cloramfenicolo. Il trattamento con antibiotici è
raccomandato, secondo i CDC americani, per sette giorni anche nelle persone che entrano potenzialmente a
contatto con il malato, per prevenire l’insorgenza della malattia. I CDC americani hanno pubblicato, nel 1996,
una serie di Raccomandazioni sulla prevenzione della peste, sul bollettino settimanale Morbidity and Mortality
Weekly Report, con indicazioni messe a punto dal Comitato per le pratiche immunitarie.”
http://www.epicentro.iss.it/problemi/peste/peste.asp, 27.12.2014. Il portale dell'epidemiologia per la sanità
pubblica a cura del Centro Nazionale di Epidemiologia, Sorveglianza e Promozione della Salute.
3 LA PESTE DA ATENE AI GIORNI NOSTRI
La storia della peste ha origini antiche, anche se gran parte delle epidemie, che hanno preso il
nome di pestilenza, hanno probabilmente un’eziologia diversa dalla malattia che la nosologia
moderna definisce peste. Numerose sono le citazioni bibliche di significato simbolico più che
strettamente clinico. La quinta piaga d'Egitto detta “peste di pestilenza”, che sterminò il
bestiame egiziano era quindi una epizoozia. Di seguito vengono ripresi alcuni altri riferimenti
biblici fra i più citati:
«Il Signore ti attaccherà la peste.» (Deuteronomio 28, 21).
«…e diedero la loro vita in preda alla peste…» (Salmi 78, 50).
«…lo punirò con peste e sangue…» (Ezechiele 38, 22).
«Gad entrò da Davide e lo informò dicendogli: “Vuoi che vengano per te sette anni di fame…
o tre giorni di peste nel tuo paese? Davide scelse la peste… Il Signore mandò la peste in
Israele. Da quella mattina fino al tempo fissato. Morirono tra il popolo… settantamila
uomini…» (2 Samuele 24, 13-15).
«Poi il Signore fece pesare la sua mano sugli abitanti di Asdod e il suo territorio… Egli colpì
gli abitanti di quella città dal più piccolo al più grande; scoppiarono bubboni anche ad essi.
Gli uomini che non erano morti furono colpiti dai bubboni e il gemito della città salì al cielo.»
(I Samuele 5,6-12).
La peste di Azoth di Nicolas Poussin 1631, Louvre.
In questo caso sembra verosimile che non si tratti di una malattia generica, ma precisamente
della peste; il riferimento ai bubboni e ai topi è in anticipo rispetto a secoli di ignoranza:
«Dovete inviare un dono espiatorio, allora guarirete: cinque bubboni d’oro e cinque topi
d’oro… Farete figurine dei vostri bubboni e figurine dei vostri topi che mandano in rovina il
vostro paese…» (I Samuele 6,4-5).
La prima descrizione storica di un’epidemia “pestosa”, tra il 430 e il 425 a.C., risale alla Peste
Attica o di Atene. Dall’Etiopia passò all’Egitto, poi colpì l’Impero Persiano e quindi la
Grecia con l’inizio delle Guerre del Peloponneso. Lo storico Tucidide si ammalò, vide altri
ammalarsi, descrisse con precisione i sintomi e si rese conto del contagio, che veniva negato
dalle concezioni ippocratiche. Egli scrive: «Subito all’inizio dell’estate i Peloponnesi e gli
alleati […] Non erano passati ancora molti giorni da quando costoro erano giunti in Attica,
che la pestilenza cominciò a sorgere in Atene; […] i medici, i quali non conoscendo la natura
del male, […] loro stessi morivano più degli altri, in quanto più degli altri si accostavano al
malato […] per curarsi a vicenda si contagiavano e morivano l’uno dopo l’altro, come le
pecore […]»56
. Della “Sindrome di Tucidide” di cui morì Pericle si sono proposte altre cause
fra le diverse malattie epidemiche, ma non vi sono evidenze certe di conferma o smentita.57
Galeno e Ippocrate in un dipinto del XII secolo (Cattedrale di Anagni).
56 Tucidide, La Guerra del Peloponneso. Ferrari F (trad. di). Milano, BUR,1985;338-45.
57 Langmuir AD, Worthen TD, Solomon J, Ray CG, Petersen E, The Thucydides Sindrome. A New
Hypothesis for the Cause of the Plague of Athens. New Engl J Med 1985;313:1027-30.
Un’epidemia di immani proporzioni che durò dal 164 al 180 d.C. è stata la cosiddetta Peste
Antonina o di Galeno, che forse non fu peste, ma vaiolo58
oppure morbillo.59
Per la
sintomatologia descritta e per le modalità di diffusione è molto dubbia la causa epidemica, ma
per l’interpretazione storica dell’impatto dell’evento e l’importanza culturale ha forti elementi
in comune con la storia della peste che si intende narrare. «Cito, longe, tarde era l'aforisma
antipestoso risalente a Claudio Galeno, il medico greco-romano che l'aveva personalmente
messo in pratica fuggendo da Roma in occasione della “grande peste” — mègas loimòs — del
167-170 d.C.: “Fuggi presto, va' lontano, torna più tardi che puoi”. A Galeno seguirono i
medici medievali di Provenza, che di fronte alla “peste nera” — atra mors — del 1347-48
avevano ribadito l'adagio: “Queste tre piccole parole scacciano la peste: vite, loin et
longtemps”. Il che voleva dire60
: “Partir veloci, andar lungi e [star via] per lungo tempo”.»61
La Peste Antonina determinò un indebolimento della struttura imperiale? Indubbiamente in
questo periodo ha avuto termine il lungo ciclo di crescita iniziato due-tre secoli avanti Cristo,
ma le cause stratificatesi in un così lungo periodo non possono che essere molteplici e
l’epidemia sembra più una conseguenza che una causa primaria.62
Nel periodo di espansione
la popolazione romana aumentò insieme alla produzione di beni. Forse il cambiamento
climatico, lo sfruttamento delle risorse, il rendimento decrescente del lavoro, la rilassatezza di
costumi si accompagnò ad un aumento eccessivo della popolazione con peggioramento delle
condizioni di vita. Lo scoppio della pestilenza e la mortalità molto elevata pare che abbiano
riportato un qualche equilibrio fra popolazione e risorse. «La pensava così Tertulliano, che,
nel suo trattato De anima, del 211, scriveva che onerosi sumus mundo: “siamo di peso al
mondo”, a stento ci bastano le materie prime, e quanto più stringenti sono le necessità, tanto
più si alzano i nostri lamenti, dal momento che la natura è incapace di sostenerci. Le
pestilenze, le carestie, le guerre e la scomparsa di intere città, rappresentano un rimedio, uno
sfoltimento del genere umano divenuto eccessivo, tonsura insolescentis generis humani. …
Come sembra sia accaduto successivamente con la Peste Nera del 1348-50, riportò equilibrio
in una struttura economica nella quale il numero era aumentato ben più delle risorse e delle
58 Gilliam, JF "The Plague sotto Marco Aurelio." The American Journal of Philology 82,3 (luglio 1961), pp.
225-251.
59 McNeill non opta per l’una o l’altra ipotesi. - William H. McNeill, La peste nella storia. Epidemie, morbi e
contagio dall’antichità all’età contemporanea, Einaudi, Torino, 1981.
60 John Nohl, La mort noire, Payot, Paris 1986, p. 96.
61
Giorgio Cosmacini Il medico saltimbanco. Vita e avventure di Buonafede Vitali, giramondo instancabile,
chimico di talento, istrione di buona creanza. s.l., Ed. Laterza, 2008, pp. 25-26.
62
Paolo Malanima, The Economic Consequences of the Black Death, in «L’impatto della “peste antonina”»,
Bari, edipuglia s.r.l., 2012, pp. 311-312.
conoscenze tecniche che consentivano di sfruttare a proprio vantaggio quelle risorse.
Entrambe ebbero come conseguenza per le nuove generazioni un miglioramento delle
condizioni di vita. Dopo la Peste Antonina sembra che anche le stature siano aumentate, in
conseguenza al miglioramento dell’alimentazione. Una differenza, però, è importante rilevare,
come ha fatto più volte Elio Lo Cascio, fra le conseguenze della Peste Antonina e della Peste
Nera. La Peste Antonina determinò un indebolimento della struttura imperiale. Dal momento
che nell’Europa del Trecento una struttura di queste dimensioni non esisteva, ma esistevano,
invece, stati di dimensioni piccole e piccolissime, questo effetto non si ebbe. Se è vero, infatti,
che i redditi medi aumentarono dopo la Peste Antonina perché ognuno disponeva di risorse
più abbondanti, non così fu per le entrate complessive dello Stato romano come struttura di
coordinamento politico, amministrativo, militare. Lo spopolamento – ha scritto Lo Cascio –
ebbe com’è ovvio effetti decisivi sulla produzione globale e dunque sulla possibilità di
mantenere una struttura statuale che, per quanto rudimentale, richiedeva dei costi comunque
notevoli di gestione.»63
La Peste Antonina ha coinciso con una fase storica di cambiamenti,
ma non sembra aver avuto un effetto catastrofico sulla società d’allora.64
Le tre pandemie
Le pandemie65
storiche sicuramente di origine pestosa, da Giustiniano ad oggi, sono costituite
da una serie di epidemie raggruppate in tre grandi periodi, ciascuno preceduto da un’epidemia
e seguito da una fase in cui la malattia sembrava scomparsa.66
La Prima Pandemia ca. 541 – ca. 750 nel Mediterraneo
e in Europa
Le grandi epidemie iniziali:
La Peste di Giustiniano, 541-544
La Seconda Pandemia 1347 – ca. 1771 in Europa Le grandi epidemie iniziali:
La Morte Nera, 1347-1352
La Terza Pandemia ca. 1894 - ? Le grandi epidemie iniziali:
India, Cina, 1894-1922
63 Paolo Malanima, “Un crac nell’impero. La Peste Antonina e la fine del mondo antico”, 02/01/2015,
http://www.multiversoweb.it/rivista/n-08-09-crac/un-crac-nell%E2%80%99impero-la-peste-antonina-e-la-fine-
del-mondo-antico-2614/
64
Christer Bruun, La mancanza di prove di un effetto catastrofico della “Peste Antonina” (dal 166 d.c. in poi),
in «L’impatto della “peste antonina”», Bari, edipuglia s.r.l., 2012, pp. 123-159.
65
Pandemia è una epidemia la cui diffusione interessa più aree geografiche del mondo, con un alto numero di
casi gravi ed una mortalità elevata.
66
Paul Slack, La peste, s.l., Il Mulino, 2014, p.23.
La Peste di Giustiniano e la prima pandemia
La prima e la seconda pandemia sembrano fare da cornice al Medioevo. L’andamento
demografico ed economico sono profondamente collegati e la sintesi può essere contenuta
nell’osservazione che “il Medioevo inizia e finisce con un calo della popolazione”. «L’Alto
Medioevo è caratterizzato da un costante calo della popolazione europea, che nel secolo VIII,
secondo calcoli che sono, per carenza delle fonti, largamente ipotetici, doveva essere di 15-
20.000.000 di abitanti, a confronto degli oltre trenta milioni del tardo Impero romano, prima
che una decina di pestilenze colpissero a ondate le regioni che si affacciavano sul
Mediterraneo dalla metà del secolo VI alla metà dell’VIII.»67
Il declino demografico iniziato
in epoca tardo-antica raggiunge il livello più basso in Italia nel VI secolo d.C., quando la
penisola fu interessata da serie di epidemie pestilenziali in contemporanea ad invasioni e
guerre, cui seguirono il collasso dell’amministrazione centrale e il disfacimento economico
della società romana. A Roma si stima che il crollo demografico abbia portato la popolazione
da 100.000 abitanti di inizio VI secolo a non più di 30.000 alla fine della Guerra Gotica. Così
descrive Procopio l’assedio di Roma: «Ormai al principio del solstizio d'estate, piombarono
sulla città la carestia e la peste. I soldati avevano ancora il pane, ma nient’altro del necessario,
67
Giuseppe Sergi, L'idea di Medioevo: fra storia e senso comune, s.l., Donzelli, 2005, p.63.
mentre gli altri Romani non avevano più neppure il pane ed erano appunto oppressi dalla fame
e dalla peste nel medesimo tempo.»68
Procopio di Cesarea è stato un cronista anche della peste
di Costantinopoli e con stime forse gonfiate dallo stato generale di allarme o dalla scarsezza di
dati oggettivi o ancora dal suo interesse polemico nei confronti della famiglia imperiale
riferisce che l'epidemia uccideva 10.000 persone al giorno. Storici moderni parlano comunque
di circa 5.000 morti al giorno, arrivando a dimezzare la popolazione cittadina, mentre nel
Mediterraneo orientale la riduzione di popolazione superò il 25%. I cadaveri dovevano spesso
essere lasciati all'aperto. Giustiniano dovette promulgare nuove leggi per snellire le procedure
legate alle pratiche ereditarie. Le difficoltà di ricostruzione degli andamenti demografici
dell’Italia medievale, ancora basati sui lavori riassuntivi di Beloch (1908) e Russell (1958),
oggi si arricchiscono del contributo dell’archeologia, seppure limitato da una serie di ostacoli
metodologici. I dati bioarcheologici, che Fabio Giovannini definisce ‘segnalatori archeologici’
per le ricostruzioni demografiche, sono soprattutto relativi al rapporto tra età e picchi della
carie dentaria, gli stress nutrizionali infantili e la sex ratio dei gruppi, come anche la
disponibilità alimentare e la morbilità generale. La crisi demografica fu particolarmente
incisiva nelle città. «Le città si ripresero lentamente solo grazie alla ruralizzazione di molte
aree urbane abbandonate, ma la gran parte della popolazione si organizzò in villaggi isolati e
posti spesso in aree marginali, dediti a produzioni agricole semplici…»69
. La fine dell’Impero
coincise con la scomparsa o riduzione delle città romane. Nulla fu più come prima; i Cavalieri
dell’Apocalisse: morte, guerra, carestia e peste cavalcarono insieme e determinarono il
definitivo crollo della civiltà urbana. Con l’unica città sopravvissuta in occidente,
Costantinopoli, avvenne il definitivo passaggio dall'antichità al medioevo. «Divisa in due
sfere culturali e politiche, quella longobarda nel nord e quella bizantina sulla costa, la
popolazione italiana rimase demograficamente stabile per alcuni secoli fino alla ripresa che si
ebbe solo con il rilancio della cultura urbana e lo sviluppo di nuove tecniche con ricadute
produttive e commerciali a partire dai secoli XII-XIII, quando le popolazioni italiane
acquisirono importanti ritmi di crescita fino ad un popolamento che – nonostante il crollo
della metà del XIV secolo (a seguito della Peste Nera e delle cicliche epidemie successive) –
riportò l’Italia rinascimentale, nel complesso, sui livelli della piena età romana imperiale».70
68
Procopio di Cesarea, a cura di Filippo Maria Pontani, La Guerra Gotica, Newton Compton Italiana, Roma,
1974, Libro Secondo, 3, p.122-123.
69
Fabio Giovannini, Archeologia e demografia dell’Italia medievale, in SIDeS, «Popolazione e Storia», 2/2002,
pp. 63-81.
70
Fabio Giovannini, op. cit., p. 63.
Paolucci, Signorini • L'ora di storia • edizione
rossa © 2010 Zanichelli editore S.p.A. Bologna.
http://online.scuola.zanichelli.it/paolucci/volume
2/archivio/paolucci_civilta-medioevo.pdf
Storia economica dell'Europa. Renata Allio
Livi Bacci ha elaborato una sintesi estrema dell’andamento
della popolazione nell’arco degli ultimi mille anni,
indicando le principali cause che hanno contribuito a
modificarne l’andamento.
http://www.farcampus.unito.it/storia_economia/corso.aspx
?mod=1&uni=2&arg=1&pag=5
Non abbiamo dati certi sulla distribuzione geografica della Peste di Giustiniano. Come era
stato per la Peste di Atene si parla di un inizio in Etiopia, poi il passaggio in Egitto e con le
navi cariche di grano approda alla capitale e da qui a tutto l’Impero e oltre. In merito alle
regioni e alle popolazioni colpite un indizio particolare proviene da Paolo Diacono che nella
Historia Langobardorum avanza l’ipotesi che la pestilenza colpisce solo le popolazioni di
stirpe romana, mentre Goti e Longobardi ne sarebbero immuni. Questa informazione è stata
ripresa tredici secoli dopo a seguito di studi genetici relativi alla distribuzione nelle
popolazioni nordiche della variante allelica delta 32 di CCR5. La CCR5 è una proteina
presente sulla membrana dei leucociti e coinvolta nel sistema immunitario come recettore per
le chemochine, con il ruolo di attivare i linfociti T. L’allele CCR5-Delta3271
è associato a una
maggiore resistenza ad alcune malattie infettive virali, in particolare al vaiolo e all’HIV,72
ma
non è stato confermato un ruolo protettivo e quindi una selezione naturale delle popolazioni
71 Novembre J1, Galvani AP, Slatkin M, The geographic spread of the CCR5 Delta32 HIV-resistance allele.
PLoS Biol. 2005 Nov;3(11):e339. Epub 2005 Oct 18.
72
Faure E1, Royer-Carenzi M, Is the European spatial distribution of the HIV-1-resistant CCR5-Delta32 allele
formed by a breakdown of the pathocenosis due to the historical Roman expansion?, Infect Genet Evol. 2008
Dec;8(6):864-74. doi: 10.1016/j.meegid.2008.08.007. Epub 2008 Aug 27.
colpite da pestilenza. Si osserva inoltre che la peste del ‘30073
e del ‘600 hanno colpito
pesantemente i paesi del Nord Europa.
Peste di Giustiniano. Le mura di Teodosio divennero un punto strategico per il lancio dei cadaveri.
La Peste Nera e la seconda pandemia
Per totum orbem maxima pestis mortalitatis fuit.74
73
Il nome Peste Nera per indicare l’epidemia del ‘300 nasce proprio al nord. «Nel medioevo non si usava questa
denominazione, e si parlava della "grande morìa" o della "grande pestilenza". Furono cronisti danesi e svedesi a
impiegare per primi il termine "morte nera" (mors atra, che in realtà deve essere intesa come "morte atroce")
riferendolo alla peste del 1347-53, per sottolineare il terrore e le devastazioni di questa epidemia. "Nero" è
quindi impiegato in senso metaforico, anche se il termine odierno per indicare la peste in norvegese è "den svarte
dauden". Nel 1832 questa definizione venne ripresa dal medico tedesco J.F.K. Hecker. Il suo articolo
sull'epidemia di peste del 1347-1353, intitolato "La morte nera", ebbe grande risonanza, anche perché venne
pubblicato durante un'epidemia di colera. L'articolo fu tradotto in inglese nel 1833 e pubblicato numerose volte.
Da allora i termini "Black Death" o "Schwarzer Tod" (Morte nera) vennero impiegati, soprattutto nelle aree
anglofone e germanofone, per indicare l'epidemia di peste del XIV secolo.»
http://kiarasite.altervista.org/la_peste_nera.html, 2/2/2015.
La Peste Nera ha rappresentato per l’Europa un periodo fondamentale della sua storia. Forse
non fu il più grande dei disastri naturali della storia dell’umanità, ma un insieme di fattori la
rende unica. Per l’Occidente “il flagello arrivò dall’Oriente”. Si racconta che i Tartari alla
conquista di Caffa nel 1346 abbiano inventato la guerra biologica scagliando dentro alle mura
i cadaveri degli appestati. Il probabile focolaio d’origine della epidemia fu lo Yunnan nella
Cina meridionale. Ibn Battuta75
dice di averla già incontrata nel 1332 alle pendici meridionali
dell'Himalaya. La rapida diffusione del contagio è dovuta se non favorita dall’esistenza in
quell’epoca del più grande impero continentale nella storia dell’umanità, che ha unito per due
secoli il Mare della Cina al Mare Mediterraneo.76
«…furono proprio l’espansione mongola e il
lungimirante interesse dei Khan per le varie religioni, le scienze, le tecnologie e le arti a
condurre tra il XIII e il XIV secolo alla pax mongolica, un periodo di vivace scambio di idee,
conoscenze, specialisti e oggetti tra le diverse aree culturali del continente euroasiatico,
Occidente e Italia compresi.»77
L’Impero mongolo disponeva di un efficiente e veloce servizio
di corrieri a cavallo, che può aver diffuso il contagio rapidamente fra i roditori delle steppe per
arrivare poi a contagiare l’uomo in vaste aree dell’Asia e giungere in Crimea dove veneziani e
genovesi avevano le loro basi navali. La globalizzazione dell’epoca moderna non ha forse
ancora uguagliato “per via terra” la corrente di traffici che per un secolo ha collegato le
estreme propaggini dell’Occidente e dell’Oriente in un solo sistema di scambi di vastissimo
raggio. Sete, spezie, perle e gioielli dell’Asia si scambiavano con tessuti di lana, tele, cristalli,
pelli, ambra e argento europei, in un intersecarsi di affari che coinvolgeva la Francia, le
Fiandre, la Germania, l’Italia, le regioni della Russia, il Medio Oriente, la Persia, l’Asia
centrale, l’India, l’Indonesia e la Cina. La via per la Cina secondo Francesco Balducci
Pegolotti prevedeva un itinerario di circa 7.550 km percorso in 261 giorni, alla media di 28,9
km/giorno da Tana (Tanais nel Mar d’Azov) a Gamalecco (la Cambulac di Marco Polo,
Pechino).78
74
Chronicon Estense cum additamentis usque ad annum 1478, edd. G. Bertoni - E. P. Vicini, «Rerum Italicarum
Scriptores» Chronicon Estense, p. 159, forse ripetendo Patrizio Ravennate Cronica.
75
Ibn Battuta, Tangeri, 24 febbraio 1304 – Fez, 1368-69, è stato un esploratore e viaggiatore marocchino. Nato a
Tangeri in Marocco da una famiglia di etnia berbera, per quasi trent'anni si avventurò tra Africa, India, Sud-est
asiatico e Cina, è considerato uno dei più grandi viaggiatori ed esploratori della storia.
76
Non è mai più accaduto nella storia dell’umanità che come si diceva allora "una vergine con un piatto d'oro
poteva girare indisturbata da un angolo all'altro dell'impero".
77
Emanuela Parisi, Il cammino del contagio in un mondo ‘globalizzato’,
http://www.treccani.it/scuola/tesine/virus_e_batteri/parisi.html, 03/01/2015.
78
Piero Zattoni, La via per la Cina secondo Francesco Balducci Pegolotti in «La Porta d’Oriente, » n.12/2011,
pag. 91-99.
L’espansione mongola e l’unità euroasiatica.79
A tutto questo la Peste Nera non ha posto fine. I traffici continuarono finché rimase l’unità
politica dei territori della via della seta. Le conseguenze del flagello furono più significative
per l’evoluzione dell’Europa. I Cavalieri dell’Apocalisse tornarono ad accanirsi favorendo se
non determinando la fine al mondo medievale e ponendo le basi per il rinascimento.80
Ma «“il
crepuscolo del medioevo” o “l'alba del rinascimento” non è però la sua caratteristica
essenziale. Il fatto essenziale è che l'Europa sormonta la crisi. Non vi sarà un'età barbarica
dopo il 1350 come ve n'era stata mille anni prima.»81
, anche se in questo secolo alle guerre,
alle carestie e alla peste si affiancarono altre sventure. Dopo tre secoli d’espansione e di
progresso furono innumerevoli i sintomi dell’imminente crisi. In occasione della crisi
economica del 2008 sono stati frequenti i confronti, ma non tutti gli eventi che occorsero nel
XIV secolo hanno avuto effetti universali e forse fra di loro molti fatti sono solo contestuali e
non avuto alcun effetto sinergico. L’Europa indubbiamente fu però teatro di notevoli
cambiamenti. Innanzitutto fu il primo secolo dopo l’età tardo antica dove venne a meno o fu
fortemente indebolita l’autorità indiscussa dei poteri universali dell’Impero e del Papato.
79
http://spazioinwind.libero.it/popoli_antichi/Mongoli/Mongoli.html, 2/2/2015.
80 Per Jacques Le Goff il Rinascimento è un momento di fioritura culturale del “lungo Medioevo”, nota come la
peste nera continuò a imperversare in Europa fino al Settecento e che il feudalesimo si protrasse fino alla
rivoluzione industriale. Fino all’ultimo quest’epoca conserva i suoi caratteri di fondo e innanzitutto, la visione
cristiana della vita. Jacques Le Goff, Faut-il vraiment découper l’histoire en tranches? Paris, Seuil,
2014, (Bisogna davvero tagliare la storia a fette?).
81 Roberto S. Lopez, La nascita dell'Europa. Secoli V-XIV, Einaudi, 1966.
Il Papa di Roma dal 1309 al 1377 lasciò perfino la sede di Pietro per la cattività avignonese.
La crisi dell'autorità papale si manifestò anche con lo scisma d’Occidente fra papi e antipapi.
Federico II, puer Apuliae, ultimo Imperatore con una visione universale muore nel 1250. Nel
1356 il Reichstag presieduto dall'Imperatore Carlo IV emette la Bolla d’oro. Con tale edito si
stabiliva la natura elettiva della carica imperiale, ponendo fine al controllo diretto del papato
sull'Impero, che però diveniva una monarchia germanica. Le monarchie si affermarono
definitivamente in Francia, Inghilterra, Castiglia e Aragona. L’impatto sulla cristianità della
fine della teoria dei “due soli” favorì la nascita delle nazioni, ma il venir meno della
“provvidenzialità dell’Impero”, unico in grado di porsi come arbitro e restauratore di pace,
ordine e giustizia tra gli uomini ebbe effetti destabilizzanti. Le guerre e le invasioni furono
frequenti e lunghe, tanto da far parlare di “stato di guerra”. La cosiddetta guerra del Vespro
scoppiata nell’aprile 1282 durò novanta anni. Dagli Aragonesi furono impiegate truppe
mercenarie: gli Almugàveri. Francesco Petrarca nella canzone Italia mia esprime lo scempio,
che dell’Italia facevano le milizie mercenarie.82
Addirittura la Guerra dei Cent’anni tra il
Regno d'Inghilterra e il Regno di Francia durò, seppure non continuativamente, 116 anni, dal
1337 al 1453. La guerra da sola forse non avrebbe comportato cambiamenti generalizzati e
permanenti. Ma un fatto nuovo in ambito militare si verificò in questo periodo. Ebbe inizio un
seppur limitato uso delle armi da fuoco, ma soprattutto si verificò il declino della cavalleria
feudale a seguito dell’impiego di quadrati di fanteria armati di picca.83
I cavalieri non
dominarono più i campi di battaglia, persone del popolo anche di scarsa pratica militare
potevano tener testa agli eserciti aristocratici. Forse queste nuove tecniche militari favorirono
il manifestarsi di rivolte popolari, l’emulazione come sempre fece il resto. Già nel primo
trentennio del Trecento vi furono rivolte nelle Fiandre; le campagne francesi vennero battute,
tra il 1356 e il 1358, dalla jacquerie, dove i contadini inferociti misero al rogo parecchi
castelli ed aggravarono la situazione già difficile durante la Guerra dei Cent'anni.
Successivamente tra il 1351 e il 1378 a Perugia, a Siena e a Firenze si ebbero le rivolte
dei Ciompi (lavoratori tessili); nel Canavese si ebbe il fenomeno del tuchinaggio e in
Inghilterra la rivolta dei contadini. Inoltre l’espansione commerciale si stava arrestando. A
tutto questo si accompagna un’eccezionale crisi economico-finaziaria. Dal fallimento delle
82
Francesco Petrarca, Italia mia, «bavarico inganno ch’alzando il dito con la morte scherza».
83
Le Battaglie più significative che segnarono il ritorno della fanteria furono: La battaglia degli speroni d'oro o
battaglia di Courtrai, svoltasi l'11 luglio 1302 dove le milizie delle città fiamminghe insorte contro il re di Francia
Filippo IV il Bello fecero strage di cavalieri. La battaglia di Bannockburn (23 giugno, 1314 – 24 giugno, 1314)
con schiltron scozzesi che ebbero la meglio contro la cavalleria inglese. Divennero famosi anche i quadrati di
picchieri degli svizzeri e dei lanzichenecchi.
grandi e piccole banche fiorentine nel 134584
alla crisi monetaria85
del “bimetallismo”86
: oro e
argento. Giovanni Villani riferisce che «tutte le monete d’argento si fondieno e portavansi
oltremare» dove il rapporto con l'oro era rimasto più stabile e quindi si potevano realizzare
buoni guadagni sul cambio tra i due metalli. Inoltre ovunque le tasse pesavano e sembra che i
prelievi forzosi fatti da clero e aristocrazia sui contadini raggiunsero i limiti massimi.87
La
crisi finanziaria, divenne economica e le carestie divennero frequenti e diffuse. Nel frattempo
i raccolti calavano a causa di cambiamenti climatici. Una piccola glaciazione, accompagnata
da pioggia eccessiva fece marcire i raccolti (in Europa settentrionale) e nell’Europa
meridionale si manifestò una siccità eccessiva. I terreni davano segni di esaurimento e nuovi
terreni non erano più così disponibili, se non i terreni marginali. «Le crisi di sussistenza
avevano in realtà interessato l’Europa anche nel passato, in quanto elemento strutturale delle
società preindustriali. Esse però, assunsero dimensioni di carattere generale e di particolare
gravità negli anni 1313-1317.»88
Una coincidenza che rafforzò le “successivamente”
riesumate tesi di Avicenna furono i terremoti con migliaia di morti, che colpirono l’Europa nel
1348, avvertiti da Ravenna a Praga89
e del 1349 con danni alla basilica di San Pietro. «Simili
calamità contribuirono notevolmente a inasprire quei disordini sociali, che fanno del XIV un
secolo tanto diverso dal XIII. Ma la causa principale della nuova situazione va ricercata nella
stessa organizzazione economica, la quale era giunta a un tal punto di disfunzione, da
provocare uno scontento evidente sia tra le popolazioni urbane sia tra quelle rurali.»90
La
destabilizzazione politica, le guerre, le rivolte popolari, la crisi economica, le carestie possono
essere state solo di accompagnamento a quanto doveva comunque accadere per il
sovrappopolamento e lo squilibrio fra popolazione e risorse. La spietata legge di Malthus
prevede che la popolazione cresca in proporzione geometrica e le risorse (soprattutto
84 Nel 1345 i banchi dei Peruzzi e dei Bardi falliscono. Il fallimento delle banche più grandi si trascina gli
Antellesi, gli Acciaioli e altre 350 famiglie fiorentine. Crolla anche il mercato immobiliare. Giovanni Villani
riferisce che è peggio di una guerra perduta: mai a Firenze c'è stata «maggiore ruina e sconfitta … non rimane
quasi sostanza di pecunia ne’ nostri cittadini».
85
«… la moneta francese fu soggetta a tutta una serie di frenetiche e drastiche svalutazioni e rivalutazioni. La
ragione principale fu la Guerra dei Cent’anni.» Carlo M. Cipolla, op. cit., p.228.
86
«Se poi i metalli sono più di uno (come nei Paesi e nei momento storici in cui venne adottato il bimetallismo,
vale a dire, la circolazione di monete differenti, come ad es. oro e argento), i cambiamenti nella disponibilità
relativa di un metallo rispetto all’altro possono influire sul rispettivo valore di mercato, e scardinare il sistema
monetario.» Fabio Nuti Giovanetti, Corso di Economia Politica, Seconda Edizione, Torino, G. Giappichelli,
2013, p. 577.
87
La poll-tax in Inghilterra per finanziare la guerra dei Cent’anni triplicò nel solo anno 1381.
88
Giovani Vitolo, Medioevo. I caratteri originali di un’età di transizione, Sansoni, Milano, 2012, p.317
89
Giovani Vitolo, op.cit.
90
Henri Pirenne, Storia economica e sociale del medioevo, Garzanti, 1967.
alimentari) crescano in proporzione aritmetica; la tonsura di Tertulliano incombeva.
L’occasione fu data dalla peste.
La crisi del ‘30091
Le navi genovesi provenienti da Caffa diffusero la peste nell'autunno del 1347 a
Costantinopoli, a ottobre giunse a Messina a novembre era già a Marsiglia. In gennaio
risultavano colpiti i tre maggiori porti italiani (Pisa, Genova e Venezia). Anche per gli autori
di cultura islamica contemporanei il 1348 fu l’Anno della Distruzione. Per tutto il 1348
continuò ad avanzare rapidamente, ma si arrestò di fronte all'inverno 1348-49. La peste venne,
infatti, segnalata a Parigi nell'estate 1348, scomparve durante l'inverno e ricomparve nel
marzo 1349. Anche nel nord Europa comparve prima nei porti e poi nel retroterra
continentale. Danzica fu colpita nel 1350 e la peste si arrestò nel successivo inverno di fronte
all'Oder; nel 1351 vennero colpite le regioni baltiche interne. Nel 1352 comparve anche in
Russia.
91 http://cmapspublic.ihmc.us/rid=1L3B94ZGP-1R2BS1H-2ZSD/crisi%20del%201300.cmap, 01/01/2015.
Luoghi di provenienza e vie di diffusione della Seconda Pandemia: la Peste Nera.92
Per quanto rapida, la diffusione della malattia non avvenne di colpo o per lo meno la
percezione di essa. Nessuno allora né conosceva né poteva immaginare l’estrema facilità del
contagio, ed in particolare la pericolosità estrema di quel flagello. Le cronache tutte, italiane
ed europee, concordano sul fatto che quel tipo di malattia era fino ad allora totalmente ignoto.
Come descrive Giovanni Villani «i poveri e impotenti» erano già stati falcidiati in gran
numero nella primavera del 1347 dalla grande carestia. All’inizio non era nulla di eccezionale.
Le Goff dà un’interpretazione diversa dell’iniziale indifferenza al flagello: Il clima religioso in
cui la gente era incline ad affrontare l’epidemia con sorprendente apatia e rassegnazione, la
considerava un castigo di Dio. «Alla fine del secolo XIII il Purgatorio è ovunque».93
«Nulla
avrebbe potuto provvedere un terreno migliore per il proliferare del contagio».94
Di tutt’altro
avviso sembra essere Lopez. «Non c'è traccia, nel crepuscolo del Medioevo, di quella tetra
rassegnazione, di quel disfacimento del carattere che avevano contrassegnato l'alto Medioevo.
Se si incontrano ancora profeti di calamità e flagellanti, la maggior parte di coloro che
deplorano i vizi del secolo non rinnegano la società terrena ma cercano la strada della virtù
92
S. Signorelli, S. Tolomelli, La Peste: dai Dardi di Apollo al Bioterrorismo, in Storia della Medicina, Lo
Spallanzani 21-2007, p.40
93 J. Le Goff, La nascita del Purgatorio, trad. di E. De Angeli, Einaudi, Torino, 1982, p. 327
94 Philip Ziegler, The Black Death, EPUB, 1998.
nella devozione privata, nel misticismo, o semplicemente in una vita onesta. Se le ribellioni
dei poveri falliscono, se gli organi democratici cittadini soccombono, se le istituzioni
rappresentative dei regni hanno raramente un 'influenza decisiva, queste resistenze contro gli
abusi di potere segnano confini che il tramonto dell'antichità e l'alba del medioevo non
avevano conosciuto. … La crisi che accompagnò il tramonto temperò i caratteri invece di
abbatterli».95
Le conseguenze della multifattoriale crisi del ‘300 sono numerose quanto le
cause. Il dibattito storico sulla crisi del Trecento ha visto contrapporsi nell’Ottocento alla
legge di Malthus la visione evoluzionistica teorica di Marx, per il quale la fine del Medioevo
non è altro che l’inizio della crisi, lenta, plurisecolare del modo di produzione feudale, al
quale sarebbe subentrato il sistema di produzione capitalistico. Alcuni medievalisti come
Paolo Cammarosano sottolineano però la strumentale comparazione con l’età moderna. Gli
storici “depressionisti” come Wilhem Abel ritengono che il calo demografico era già iniziato
prima della peste. Le tesi degli “ottimisti” affermano che il calo demografico determinò un
miglioramento del tenore di vita dei sopravvissuti. Michael Postan parla addirittura di una “età
dell’oro dei contadini”. Le conseguenze sono state probabilmente estremamente diverse a
seconda delle aree geografiche,96
popolazioni, città, famiglie e individui. «La peste nera fu una
tipica epidemia “proletaria”; vogliamo dire con ciò che essa colpì molto di più l'elemento
meno abbiente, e quindi più denutrito, dei ricchi. I ricchi infatti cercavano di sfuggire al
flagello rifugiandosi nelle isolate abitazioni di campagna dove attendevano, restando senza
alcun contatto con l'esterno, che il morbo terminasse. È proprio questa, come tutti ricorderete,
l'ambientazione che dà il Boccaccio al suo Decamerone.»97
«Il tema pittorico della danza
macabra (ossia del trionfo della morte) era senz’altro un tentativo di affrontare la paura
psichica e spirituale di fronte a una di tipo nuovo che colpiva a tradimento, grande livellatrice
che metteva sullo stesso piano tutti i ceti, dai poveri ai ricchi, dai laici agli ecclesiastici,
compreso il papa.»98
Queste immagini, più frequenti nel Nord Europa, possono quindi avere
un significato più che altro ironico nei confronti delle gerarchie sociali dell'epoca oppure
appartenere al moralismo ed alla sfera religioso-sacrale cristiana con la funzione di memento
mori "ricordati che devi morire".
95
Roberto S. Lopez, op.cit.
96
L’impostazione più convincente è quella dei “regionalisti”, fra i quali Stephan Epstein, Potere e mercati in
Sicilia. Secoli XIII-XIV, Torino, Einaudi, 1996.
97
Antonio Ivan Pini, La società italiana prima e dopo lo «peste nera», 1981 ("Incontri pistoiesi di storia, arte,
cultura", n. 8).
98 Storia medievale, Manuale Donzelli, 1998, p.582.
Frammento della Danza macabra di Bernt Notke conservata presso la Chiesa di San Nicolò a Tallinn.
Si stima che la popolazione dell’Europa prima della peste fosse di circa 80 milioni di persone,
mentre dopo la peste scese a 55 milioni circa. La peste si diffonde più facilmente lungo le
linee commerciali e dove è maggiore la concentrazione di persone. L’Italia aveva allora il più
alto tasso di urbanizzazione con oltre 150 centri con 5000 e più abitanti. Le città più grandi
d’Europa, a parte Parigi, erano tutte italiane (Venezia, Milano, Genova, Firenze, Bologna,
Napoli). Gran parte delle città persero dalla metà a due terzi degli abitanti. Alcune città, per
cause ancora da definire, furono poco colpite come Milano e Forlì. Firenze subì un calo
progressivo e continuo da 100.000 abitanti a 37.000 a inizio del Quattrocento, ma nonostante
questo successivamente Firenze conquistò Pisa, Pistoia, Arezzo e un larga parte di Toscana.
Venezia ritornò agli abitanti pre-peste agli inizi del Cinquecento più rapidamente di altre città.
In Europa la peste arrivò più tardi e durò più a lungo. In Olanda però le città continuarono a
crescere. Complesso è il dibattito europeo sui villaggi abbandonati in questo periodo. La
storiografia francese ha evidenziato un naturale fenomeno di selezione degli abitati, per lo più
indipendente dalla congiuntura (Duby, Higounet, Toubert). La storiografia inglese e tedesca
riporta i segni di una cospicua crisi agraria, originatasi all’inizio del Trecento e aggravatasi
dopo la grande depressione demografica successiva alla peste (Abel e Postan). La Francia subì
un impatto più grave dalle epidemie successive; nel 1380 ad Avignone e in Normandia la
popolazione fu però dimezzata. In Gran Bretagna da 5 milioni si giunge a circa 2 milioni nel
Quattrocento. Le distruzioni del Trecento quindi non furono così generalizzate da cancellare
la civiltà urbana del Duecento, ma scompaginando l’ordine costituito consentirono un
rinnovamento, che in chiave moderna potremmo definire “distruzione creativa”.99
Cambiò la
concezione stessa della vita e la cultura. L’esperienza della peste aveva evidenziato in modo
drammatico l’incertezza del domani e fu una spinta al rinnovamento culturale che caratterizzò
il periodo successivo dell’Umanesimo e del Rinascimento. Lo sviluppo dell’ingegno, il
sorgere della borghesia, il moltiplicarsi delle università, lo studio della filosofia e del diritto,
la più vasta conoscenza del mondo determinarono un allargamento delle mentalità. L’uomo
colto si scrollò di dosso gli impedimenti etici, mise in dubbio le verità imposte dalla religione,
non considerò peccato godere delle bellezze della natura e dell’arte e la nuova libertà risvegliò
la sua potenza creativa. La grande peste del 1348 determinò cambiamenti radicali nello
sviluppo delle città, dell’economia, della produzione, della scienza e della società e,
soprattutto, mutò il modo di pensare degli uomini del tempo. Dopo il 1348 non fu più
possibile mantenere i modelli culturali del XIII secolo. Le gravissime perdite in vite umane
causarono una ristrutturazione della società che, a lungo termine, avrebbe avuto effetti
positivi. David Herlihy100
definisce la peste "l'ora degli uomini nuovi": il crollo demografico
rese possibile ad una percentuale significativa della popolazione la disponibilità di terreni
agricoli e di posti di lavoro remunerativi. I terreni meno redditizi vennero abbandonati, il che,
in alcune zone, comportò l'abbandono di interi villaggi. Le corporazioni ammisero nuovi
membri, cui prima si negava l'iscrizione. I fitti agricoli crollarono, mentre le retribuzioni nelle
città aumentarono sensibilmente. Per questo un gran numero di persone godette, dopo la peste,
di un benessere che in precedenza era irraggiungibile. L'aumento del costo della manodopera
favorì un'accentuata meccanizzazione del lavoro. Così il tardo Medioevo divenne un'epoca di
notevoli innovazioni tecniche. Herlihy cita l'esempio della stampa. Fino a quando i compensi
degli amanuensi erano rimasti bassi, la copia a mano era una soluzione soddisfacente per la
riproduzione delle opere. L'aumento del costo del lavoro diede il via a una serie di esperimenti
che sfociò nell'invenzione della stampa a caratteri mobili di Gutenberg. Sempre Herlihy
ritiene che l'evoluzione della tecnica delle armi da fuoco sia da ricondurre alla carenza di
soldati. Per Egon Friedell,101
la peste nera causò la crisi delle concezioni medievali di uomo e
99
Il riferimento alla Teoria schumpeteriana del ciclo economico in questo contesto non si ritiene possa andare
oltre al concetto di spinta all’innovazione.
100 David Herlihy, Der Schwarze Tod und die Verwandlung Europas, Berlino, 1997, ISBN 3-8031-3596-6.
101 Egon Friedell, Kulturgeschichte der Neuzeit. Die Krisis der Europäischen Seele von der Schwarzen Pest bis
zum Ersten Weltkrieg, Monaco di Baviera, 1996 ISBN 3-406-40988-1 (prima edizione 1927–31).
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  • 2. La peste (dal latino pestis, "distruzione, rovina, epidemia") è una malattia infettiva acuta e molto grave causata da uno schizomicete, Yersinia pestis, che trova la sua riserva naturale nei Roditori (zoonosi), ma può colpire l'uomo (antropozoonosi), fino a determinare epidemie. L'infezione viene abitualmente trasmessa tra i Roditori e dai Roditori all'uomo da un ectoparassita ematofago: la pulce. Nel passato, le epidemie di peste diffuse in tutto il mondo (pandemia pestosa) hanno prodotto veri e propri genocidi, tanto da meritare la citazione nell'invocazione cristiana "Libera nos Domine a peste, a fame et bello" 1 1 http://www.treccani.it/enciclopedia/peste_(Universo_del_Corpo)/ di Antonio Sebastiani, Giorgio Quaranta
  • 3. INDICE 1. INTRODUZIONE Pag. 1 2. LA MALATTIA, LA CURA E LA PREVENZIONE Pag. 11 3. LA PESTE DA ATENE AI GIORNI NOSTRI Pag. 25 4. CONCLUSIONI Pag. 57 5. BIBLIOGRAFIA Pag. 61
  • 4. 1 INTRODUZIONE Perché la peste? Perché la peste è il simbolo del male e una fonte inesauribile di ispirazione per l’arte e la letteratura? Perché la peste fra tutte le malattie ha avuto una forza così straordinaria da determinare cambiamenti radicali, momenti di rottura e di rinascita? Per secoli e ancor oggi il termine “peste”2 viene associato ad ogni calamità vera o presunta. Non è solo una malattia del singolo individuo, ma coinvolge l’intera comunità. La peste n'est pas la peste, elle est bien plus qu'une maladie.3 Se l'uomo non ha inventato il tifo o il colera, ha però inventato la peste, vale a dire, l'idea di una piaga collettiva, che solo un’unica azione collettiva può combattere. Quello che oggi chiamiamo epidemia e che per secoli l'Occidente ha chiamato Peste colpisce una comunità in quanto tale, a differenza della malattia che colpisce l'individuo, a prescindere dalla appartenenza ad una comunità.4 Per i greci il termine che definiva la pestilenza era loimos,5 il flagello, la piaga. «… non solo gli uomini, ma gli animali e la terra stessa, come fonte fertile di nutrimento, sono colpiti dal flagello. Ne deriva che, così intesa, la pestilenza presenta caratteristiche al di fuori della natura.»6 Attraverso i contributi delle diverse discipline, che hanno rappresentato nella forma più varia il significato allegorico e morale della peste si può comprendere perché la peste sia un male antico dal significato moderno. La scienza medica, gli argomenti letterari e le rappresentazioni artistiche ci possono aiutare a spiegare l’impatto degli eventi epidemici, il fascino della metafora e la dimensione culturale nel presente. «In tutte le società le malattie gravi spingono gli uomini e le donne a confrontarsi con la dimensione morale della vita … è dovere e privilegio dell’antropologia medica ridestare l’attenzione verso l’esperienza dell’uomo, verso 2 Pestis in latino e Loimos in greco designavano in antichità un generico flagello di carattere epidemico; anche successivamente il termine pestis non perse questa valenza generica. In francese designava un’infinità di morbi contagiosi; oggi il termine peste viene usato solamente in presenza della malattia specifica e del bacillo che la identifica (J. Ruffié, J. C. Sournia, Le epidemie nella storia, Roma 1986, p.85). 3 Florence Dupont, Pestes d'hier, pestes d'aujourd'hui, in «Histoire, économie et société», Vol. 3, N. 3-4, 1984, pp. 511-524 4 Si «l'homme n'a pas inventé la typhoide, la peste ou la choléra», en revanche il a inventé la Peste, c'est-à-dire la notion d'un fléau collectif que seule une action collective peut combattre. Ce que nous appelons aujourd'hui épidémie et que pendant des siècles l'Occident a appelé Peste frappe une communauté en tant que telle à la différence de la maladie qui n'atteint que l'individu, indépendamment de son appartenance à une communauté. Florence Dupont, op. cit. 5 I greci associavano alla parola loimos, oltre al significato di peste, anche quello di carestia, dato che il contagio colpiva più duramente coloro che si trovavano sprovvisti di difese fisiologiche a causa di lunghi digiuni. I latini, invece, discesero la parola pestis da peius, ovvero peggiore, per indicare appunto la peggior malattia. 6 Raffaele Ghirardi, La febbre cattiva. Storia di un'epidemia e del suo passaggio per Mantova, s.l., Bruno Mondadori, 2013, p.2.
  • 5. la sofferenza, il significato e l’interpretazione, verso il ruolo della narrazione e della storicità, come pure verso il ruolo delle formazioni e delle istituzioni sociali»7 . La medicina “ufficiale” è stata per secoli sconfitta, smarrita su false piste e pregiudizi, dalla dottrina aerista di Ippocrate alle cause astrali di Avicenna. Giovanni Boccaccio nel Decameron (I giornata, Introduzione) così descrive l’impotenza dei medici di allora: «…a cura delle quali infermità né consiglio medico, né virtù di medicina alcuna pareva che valesse o facesse profitto: anzi, o che la natura del malora nol patisse, o che la ignoranza de’ medicanti (de’ quali… grandissimo) non conoscesse da che si muovesse e, per conseguente, debito argomento non vi prendesse». Ben prima della nascita della microbiologia gli interventi di sanità pubblica promossi pragmaticamente dalle autorità attraverso gli uffici di sanità, i lazzaretti, l’isolamento e la quarantena hanno avuto una certa efficacia. Le epidemie di peste così come i provvedimenti delle autorità (isolamenti, cordoni sanitari e bandi) hanno avuto grandi conseguenze sul commercio e l’economia con enormi danni per alcuni e vantaggi per altri. Le carestie, gli sconvolgimenti sociali e le reazioni umane che accompagnavano la peste hanno provocato altre morti tanto da far dire che “ne uccise più la paura che il contagio”. Le grandi pandemie hanno stravolto la demografia di interi continenti, molte città hanno perso oltre la metà degli abitanti in ricorrenti epidemie. Le malattie epidemiche hanno avuto nella storia un’importanza fondamentale secondo Jared Diamond. «I peggiori killer dell'umanità nella nostra storia recente (vaiolo, influenza, tubercolosi, malaria, peste, morbillo e colera) sono sette malattie evolutesi a partire da infezioni degli animali, anche se i microbi che le causano sono al giorno d'oggi esclusivamente caratteristici della specie umana. Poiché queste sono state le principali cause di morte per lungo tempo, sono anche state fattori decisivi nel corso della storia. Nelle guerre fino alla seconda mondiale, le epidemie facevano molte più vittime delle armi, e le cronache che esaltano la strategia dei grandi generali dimenticano una verità ben poco lusinghiera: gli eserciti vincitori non erano sempre quelli meglio armati e con i migliori strateghi, ma spesso quelli che diffondevano le peggiori malattie con cui infettare il nemico. L'esempio più tristemente famoso viene dalla conquista dell'America seguita al viaggio di Colombo del 1492. Gli indiani che caddero sotto le armi dei feroci conquistadores furono molto meno di quelli che rimasero vittime degli altrettanto feroci bacilli spagnoli.»8 7 J. Byron Good. Narrare la malattia. Lo sguardo antropologico sul rapporto medico-paziente. Torino. Einaudi. 2006. p. 39 (edizione originale: Medicine, Rationality and Experience: An Anthropological Perspective, Cambridge University Press, Cambridge 1994). 8 Jared Diamond, Armi, Acciaio e Malattie, Einaudi, Torino, 2006, p. 150.
  • 6. La peste tra mitologia, arte e letteratura Dai dardi di Apollo ai flagelli biblici la peste ha avuto innumerevoli citazioni nei testi antichi e nella mitologia. Nella tradizione ebraico-cristiana la peste è la «giusta ira di Dio a nostra correzione mandata» (Boccaccio); è la pena per la degradazione e la corruzione di cui gli uomini si erano macchiati. Durante la peste nera la “compagnia dei disciplinati di Cristo” conobbe un nuovo vigore, prese il nome di movimento dei “flagellanti” e si diffuse con straordinaria rapidità ed intensità, in Italia, Francia, Svizzera, Germania, Ungheria, Boemia e Olanda, come pratica religiosa e mortificatrice, ma anche come mezzo attraverso cui ottenere da Dio la cessazione di catastrofi, guerre o epidemie. La peste come evento causato dalla volontà divina è però un concetto ancora più antico. «La peste compare nel proemio de l’Iliade. Ancora non ha un nome proprio, ma quello generico di “morbo maligno”, e non è ancora considerata come una malattia causata da batteri in seguito a scarsa igiene e infezioni, ma è opera di un dio adirato con gli uomini. La peste è quindi in origine la collera di Dio, la punizione di Febo Apollo nei confronti di Agamennone; non ha un’eziologia di natura organica, né sintomi precisi se non la morte, che colpisce dapprima gli animali e poi giunge tra gli uomini, essa esiste in quanto emanazione del divino, metafora della punizione.»9 «Il figlio di Zeus e Latona; egli, irato col re, mala peste fe' nascer nel campo, la gente moriva, perché Crise l'Atride trattò malamente.»10 Anche Ovidio, quando narra della crudele pestilenza che si abbatté su Egina per volere di Giunone ricorre all’interpretazione religiosa del morbo e pur nella presenza degli elementi tradizionali i sintomi sono irriconoscibili e si sono trasformati in veri e propri luoghi comuni. «Una terribile pestilenza, dovuta all’ira di Giunone, spietata contro questa terra [...], si abbatté sulla popolazione. Finché parve un male naturale, finché era oscuro cosa nuocesse, quale fosse la causa dell’immane sciagura, si combatté con le armi della medicina. Ma il flagello era tale che ogni soccorso era vano, e arrendersi bisognava. Da principio calò sulla terra una caligine spessa, opprimente; una cappa di nubi formò una morsa d’afa spossante, e per tutto il tempo che la luna impiegò a colmare quattro volte il disco pieno, soffiò un caldo Austro dalle folate mortali. Risulta che l’infezione si propagò anche alle fonti e ai laghi, e che molte migliaia di serpenti, errando per campi desolati, contaminarono i fiumi con i loro veleni.»11 Nell’Edipo 9 https://manfredprinceotranto.files.wordpress.com/2014/05/emiliano-gennaro-ii.pdf, Roma, Università La Sapienza 24/01/2015. Seminario Prof. G. Massara, Intervento E. Gennaro. 10 Omero, Iliade, traduzione di Rosa Calzecchi Onesti, Einaudi, 1990. 11 Ovidio, Metamorfosi VII, 523-535; trad. in prosa P. Bernardini Marzolla.
  • 7. Re Sofocle parla di una pestilenza che tormenta la città di Tebe e l’oracolo di Apollo, dice che causa di questa peste è Edipo che ha assassinato il re Laio. «E il dio del fuoco, il dio della febbre, la pestilenza nemica, si avventa sulla città e la devasta; e le case dei Cadmei si svuotano, e le nere vie dell’Ade si riempiono di gemiti e di lamenti»12 Charles François Jalabert, La peste di Tebe, XIX secolo, Marsiglia, Musée des Beaux – Arts Se non è Dio che manda la peste, la responsabilità è di qualcun altro. In varie epoche l’isterismo collettivo della “folla manzoniana” ha avuto bisogno di far ricadere la responsabilità di ogni tragedia su qualcuno, meglio se “diverso”, una psicosi collettiva culminata nell'individuazione di “capri espiatori”: gli ebrei, le streghe e gli untori. La peste diviene un motivo ricorrente nella letteratura occidentale; un topos letterario dove compare come relazione scientifica o come sfida alla ragione e ai timori della morte o come segno della fragilità dell’uomo e metafora del male. La vastissima letteratura sulla peste va da Tucidide a Virgilio, da Ovidio al Leopardi; con Boccaccio una cornice che lega la trama, per Petrarca la causa della perdita dell’amata, per Manzoni e Camus l’argomento fondamentale e morale del romanzo. La peste è un argomento ricorrente nel cinema, talvolta tema escatologico come nel film “Il settimo sigillo”, di Ingmar Bergman (1956). 12 Sofocle, Edipo Re, vv. 22-30, trad. Valgimigli.
  • 8. Ingmar Bergman, Una scena del film Il Settimo Sigillo, Il cavaliere gioca a scacchi con la morte. Le opere di tema apocalittico o post apocalittico in cui si narra il contagio che annienta la civiltà umana hanno origine dalla letteratura sulla peste. Jack London scrive nel 1912 La peste scarlatta (The Scarlet Plague), un romanzo di fantascienza apocalittica, testo visionario in cui l'autore anticipa temi destinati ad avere larga diffusione nei decenni successivi. Oltre alla filmografia e alla narrativa, oggi sono ampiamente rappresentative del genere le serie televisive, i fumetti, l’animazione e i video giochi. Anche i pittori, come gli scrittori e i cronisti, hanno raccontato il flagello in ogni suo aspetto e con modalità diverse. Nelle varie epoche la rappresentazione della peste ha assunto significati allegorici diversi, frutto di complesse elaborazioni intellettuali. Sono spesso rappresentati gli effetti che la peste produce sulla società e le persone. I Santi protettori San Rocco, San Sebastiano e San Cristoforo sono raffigurati in numerosissimi dipinti e le loro immagini presentano dopo la Peste Nera e nei secoli successivi inconfondibili richiami alla peste e ai suoi simboli.13 La leggenda non comprovata di San Rocco e dei suoi miracoli di guarigioni risale alla Peste Nera. La storia di San Sebastiano è molto più antica, trafitto da frecce ricorda il patimento dei bubboni e i dardi di Apollo. San Cristoforo, ancora più antico, essendo stato decapitato è ritenuto protettore di tutti gli eventi acuti e quindi la peste che provoca una morte quasi improvvisa. 13 San Rocco presenta quasi sempre un bubbone inguinale, San Sebastiano è trafitto da frecce a ricordare i dardi di Apollo, nelle immagini più antiche di Ravenna e Roma non compaiono i segni del martirio.
  • 9. Parmigianino, San Rocco e un donatore, Basilica di San Petronio, Bologna, 1527 S. Sebastiano, Processione dei martiri, VI sec., Chiesa di S. Apollinare Nuovo, Ravenna San Cristoforo Cinocefalo, icona bizantina nel Museo Bizantino e Cristiano di Atene. Dal 1300 si diffondo poi in tutta Europa i temi iconografici medievali del Trionfo della Morte, della Danza Macabra e dell’Incontro tra i Tre Vivi e tra i Tre Morti ispirati a quel senso di caducità umana al termine di secoli di guerre, carestie e pestilenze. Il Trionfo della Morte di Palazzo Abatellis a Palermo, 1445 La Signora del mondo, Oratorio dei Disciplini a Clusone, 1485 Incontro dei tre vivi e dei tre morti, Buonamico di Martino detto Buffalmacco, affreschi del Camposanto di Pisa ora al Museo delle Sinopie di Pisa,1330 Le conseguenze della peste sono talvolta antitetiche con risultati opposti di sovvertimento della morale. Invece del pentimento i ricchi «pensavano di dover godere rapidamente di ciò che avevano e di servirsene a lor piacere, considerando le loro vite e le loro ricchezze ugualmente effimere» (Tucidide, V sec. a.C.). Anche i poveri avendo improvvisamente a
  • 10. disposizione i beni dei morti si davano ad eccessi nel mangiare e nel bere, comportamenti sessuali ritenuti fino allora immorali e il lusso nell'abbigliamento. «Vestendo le fanti e le vili femmine tutte le belle e care robe delle orrevoli donne morte» (Matteo Villani, 1300). Per Boccaccio la peste è infine l'occasione per poter di nuovo iniziare da capo e bene; il ritirarsi della brigata in campagna è l'occasione di una rinascita, è un modo per avviare la catarsi, liberandosi piano piano della solitudine e della paura. La peste può essere dunque anche all’origine della rinascita. La peste come male sociale A peste, fame et bello, libera nos, Domine, o Signore. “Liberaci dalla peste, dalla fame e dalla guerra”: era questa la principale invocazione che nel medioevo il popolo elevava a Dio. La peste, metafora del male, con la guerra e la fame è uno dei fattori di annientamento dell’ordine precostituito e quindi preludio al cambiamento della società. Così nel ‘300 così nel ‘500: «d’improvviso, tra il 1494 e il 1538, sull’Italia si abbatterono i Cavalieri dell’Apocalisse. Il paese divenne campo di battaglia di un conflitto internazionale che coinvolse spagnoli, francesi e germanici. Con la guerra vennero le carestie, le epidemie, le distruzioni di capitale e le interruzioni dei traffici».14 La metafora della peste giunge quindi fino ai nostri giorni. Se in antichità i termini usati per indicare una pestilenza coincidevano spesso con calamità, epidemia o contagio, in epoca moderna per qualificare un evento con ripercussioni negative su tutta la popolazione si usa altrettanto spesso il termine peste con associata un’altra parola che contestualizza il fenomeno che si vuole identificare. Nell’ottocento la tubercolosi è il mal du siècle, ma viene chiamata anche la peste bianca. La pandemia influenzale del 1918 chiamata “spagnola” è la peste del XX secolo. Il bioterrorismo ha preso spunto da fatti del passato, ma anche dalla metafora della peste come male incontrollabile. L’AIDS è la peste del 2000. In questi giorni la nuova peste è l’infezione da virus Ebola, ma la manifestazione clinica è associata alle condizioni socio-economiche dei paesi colpiti. In contesti completamente diversi da quello sanitario si utilizza da sempre in termini metaforici la parola peste. Torquato Tasso ne Il Nifo ovvero del Piacere accosta il flagello della peste a quello dell’idolatria: «benché il mondo avesse ricevuta la fede di Cristo, nondimeno la pestilenza de l'idolatria non era men sospetta ch'or sia quella de l'eresia luterana». A Basilea Calvino incontrò il vecchio 14 C.M.Cipolla, Storia economica dell’Europa pre-industriale, Bologna, Il Mulino, 1975, p. 293.
  • 11. Erasmo che esclamò: «Vedo una gran peste nascer nella Chiesa contro la Chiesa»15 . Per Giacomo Leopardi, che protesta contro lo stato della società presente, «l'egoismo è sempre stata la peste della società e quando è stato maggiore, tanto peggiore è stata la condizione della società»16 . Con il termine Peste Brune (Peste Bruna) si indicava il nazismo, per analogia al colore delle camicie del primo gruppo paramilitare (Sturmabteilung) del Partito Nazionalsocialista. Questo soprannome paragonava il nazismo, e il fascismo in genere, a una malattia politica, contagiosa ed infettiva molto pericolosa.17 Nel secolo scorso la peste come male apocalittico è stato evocato più volte, ma il nazismo, come Apocalisse, più di ogni altro male è stato associato alla peste. Non solo Daniel Guérin con la “La peste bruna”18 , ma anche Karl Kraus parla di nazismo come peste dei cervelli, una peste che «distrugge i concetti fondamentali» del pensiero «come se già fossero in azione le bombe batteriologiche della moderna guerra aerea» e che spalanca le porte alla barbarie. La pestilenza del linguaggio viene denunciata da Victor Klemperer nello studio del linguaggio totalitario rileva che «il nazismo si insinuava nella carne e nel sangue della folla attraverso le singole parole, le locuzioni, la forma delle frasi ripetute milioni di volte, imposte a forza alla massa e da questa accettate meccanicamente e inconsciamente»19 . Il termine peste era usato anche da Hitler quando dichiarava che avrebbe sconfitto la peste giudaico-bolscevica. La paura della bomba atomica nel dopoguerra ha fatto parlare di peste nucleare. Il terrorismo internazionale, secondo il presidente russo Putin, è la peste del XXI secolo.20 Per denunciare i rischi del calo demografico e la carenza di manodopera nel Vecchio continente Pierre Chaunu e Georges Suffert nel 1976 hanno scritto La peste bianca. “Come evitare il suicidio dell'Occidente?”21 in riferimento all’involuzione rapida etnico-demografica della società europea. Il tema dello sbilanciamento della popolazione verso le classi di età più anziane, ha fatto parlare di peste grigia, alludendo al “colore dei capelli”. L’aumento della vita media e quindi l’aumento delle persone anziane secondo il settimanale The Economist, 1999 porterebbe a effetti paragonabili all’epidemia di peste dell’Europa del XIV secolo. Perfino nella crisi economica del 2008 si è parlato di “contagio economico”, cioè di un flagello che si diffonde come una malattia 15 Cantù, Cesare. Gli Eretici d'Italia: Discorsi Storici. 1899. Reprint. London: Forgotten Books, 2013 DISC. XLIII p.82. 16 Giacomo Leopardi, Zibaldone di pensieri, in Pensieri di varia filosofia e di bella letteratura, Le Monnier, Firenze 1921. 17 Daniel Guérin, La peste bruna, Verona, Bertani, 1975. 18 C.f.r. nota n.6 19 V.Klemperer, LTI, la lingua del Terzo Reich: taccuino di un filologo, s.l., Giuntina, 1998, p. 32. 20 http://italian.ruvr.ru/2014_09_04/Il-terrorismo-internazionale-la-peste-del-XXI-secolo-2392/, 24/12/2014.
  • 12. epidemica. La storia del disastro ambientale in Campania22 e in generale il degrado ambientale è stato definito la pestilenza chimica. Uno dei flagelli più classici dell’umanità come le cavallette non potevano non essere accostato alla peste e infatti in Australia con il significato di peste dell’agricoltura, le locali cavallette sono chiamate Australian plague locust. Così come sempre è attuale la questione morale e si parla quindi di rivolta morale contro la peste delle tangenti. Nella sua denuncia ai “peccati collettivi razionalizzati” il Cardinale Martini ritorna a un sentire antico della peste come male dell’anima.23 Su un fronte forse opposto nel 1880 Johan Most parlò di peste religiosa24 per denunciare che fra tutte le malattie mentali, la religione è certamente la più orribile. «In principio, c’è il Dio della Bibbia che invia la peste bubbonica ai Filistei (cfr. Primo libro di Samuele)… Discende anche da tale mitica iattura e prevale in un ‘inconscio collettivo’ da sempre schiavo della superstizione la fede dogmatica o credulità ideologica, ossia quella metafisica “peste religiosa” stigmatizzata dal socialista anarchico americano Johann Most [...]»25 . Per amore di completezza non può mancare un riferimento alla polemica politica recente, che ha visto Grillo, il leader del Movimento 5 Stelle, definire gli avversari come peste rossa.26 La peste è quindi da sempre e ancor oggi il simbolo di una piaga collettiva e il termine viene utilizzato da opposte fazioni per raffigurare la perniciosità degli ideali del nemico. Nel prossimo capitolo attraverso lo studio della malattia e dei suoi rimedi fin dall’antichità si cercherà di comprendere l’importanza che può aver avuto e ha questa malattia per l’umanità. Poi verrà esaminato l’impatto storico della peste nei secoli per giungere alle conclusioni anche con l’aiuto della letteratura. La peste quindi come metafora del male aiuta a comprendere la capacità di reazione collettiva alle calamità e alle crisi, che possono determinare cambiamenti e forse il progresso dell’umanità. Attraverso l’esame di alcuni aspetti scientifici, storici, artistici, economici, religiosi e culturali relativi alla peste nel mondo Occidentale27 , fin dalle sue origini, il presente lavoro di tesi ha come scopo valutare l’impatto sulla società umana di una malattia dalle caratteristiche uniche. 21 Chaunu Pierre, Suffert Georges, La Peste blanche. Comment éviter le suicide de l'Occident. Paris, Gallimard, 1976. 22 Sodano Tommaso, Trocchia Nello, La peste. La mia battaglia contro i rifiuti della politica italiana, s.l., Rizzoli, 2010. 23 http://www.atma-o-jibon.org/italiano7/martini_ritrovaresestessi3.htm, 26/12/2014. 24 Johann Most, Sebastian Fauro, La peste religiosa. Dio non esiste: dodici prove dell'inesistenza di Dio, s.l., La Fiaccola, 1987. 25 http://www.retididedalus.it/Archivi/2013/febbraio/FILOSOFIE_PRESENTE/1_pensiero.htm Il Pensiero sul Male, Le scritture di mille e una peste di Stefano Lanuzza, 26/12/2014. 26 http://www.beppegrillo.it/2014/05/la_peste_rossa.html, 26/12/2014. 27 La peste è nota da almeno 3000 anni. In Cina sono registrate epidemie fin dal 224 a.C. La letteratura indiana è ricca di riferimenti fin dall’antichità.
  • 13. Pieter Bruegel il Vecchio, Trionfo della Morte,1562, Museo del Prado, Madrid
  • 14. 2 LA MALATTIA, LA CURA E LA PREVENZIONE Lucrezio nel I secolo a.C. nel poema De rerum natura descrive la semeiotica della malattia con sintomi non del tutto specifici, ma la drammaticità della sofferenza descritta, pur come esperienza soggettiva e carente di conoscenze scientifiche, è così toccante e coinvolgente da darci un immagine indimenticabile del malato di peste. Nel VI libro Lucrezio dà spiegazioni naturali di fenomeni fisici e fra l’altro descrive, con occhio che potremmo definire scientifico per l’epoca, la peste ad Atene. I versi qui riprodotti sono tratti dalla descrizione dei malati: «Da principio avevano il capo in fiamme per la febbre e gli occhi accesi di una luce rossastra. La gola inoltre, nera all'interno, sudava sangue, e occluso dalle ulcere il passaggio della voce si serrava, e l'interprete dell'animo, la lingua, stillava gocce di sangue, infiacchita dal male, pesante nei movimenti, ruvida al tatto. Poi, quando la forza della malattia aveva invaso il petto passando dalla gola ed era affluita fin nel cuore oppresso dei malati, allora davvero vacillavano tutte le barriere della vita. Il fiato che usciva dalla bocca spargeva un puzzo ributtante, simile al fetore emanato dai cadaveri abbandonati e in putrefazione. Poi le forze dell'animo intero e tutto il corpo languivano, già sul limitare stesso della morte.» Un'altra descrizione “storica” dei malati di peste viene dal Boccaccio (Decameron, Giornata Prima, Introduzione): «[...] nascevano nel cominciamento d’essa a’ maschi e alle femine parimente o nella anguinaia o sotto le ditella certe enfiature, [...] le quali i volgari nominavan gavoccioli. E dalle due parti del corpo predette infra brieve spazio cominciò il già detto gavocciolo mortifero indifferentemente in ogni parte di quello a nascere e a venire: e da questo appresso s’incominciò la qualità della predetta infermità a permutare in macchie nere o livide [...] E come il gavocciolo primieramente era stato e ancora era certissimo indizio di futura morte, così erano queste a ciascuno a cui venieno.» Una delle ragioni principali che hanno giocato in passato a sfavore dell’individuazione nosologica della peste è il suo manifestarsi sindromico complesso. Fino all’Ottocento per quasi tutte le malattie la limitatezza delle conoscenze eziologiche e fisiopatologiche hanno impedito l’identificazione di sindromi, cioè di pattern sintomatologici, che non sono un semplice aggregarsi casuale di sintomi, ma che talvolta esprimono un qualcosa di unitario che li lega tra loro a definire un’entità autonoma e distinta. Prima della fine del XVII secolo non era stato compreso che le malattie fossero entità specifiche. Si credeva che una malattia potesse trasformarsi in un’altra, che una febbre esantematica tifoide, potesse diventare una
  • 15. febbre pestilenziale. Per oltre 2000 anni il superamento della medicina magica non andò oltre all’opinione di Ipocrate con le aggiunte di Galeno e Avicenna. Ippocrate di Coo (Cos o Kos) (Kos, 460 a.C. circa – Larissa, 377 a.C. terminus post quem) è considerato il padre della medicina occidentale. La teoria umorale, concepita da Ippocrate, rappresenta il più antico tentativo, sempre nel mondo occidentale, di ipotizzare una spiegazione eziologica dell'insorgenza delle malattie, superando la concezione superstiziosa, magica o religiosa. La teoria umorale unificava la concezione fisica dei quattro elementi fondamentali (aria, acqua, terra, fuoco), con una nuova visione medica basata su fenomeni osservabili in natura. Gli elementi del corpo umano corrispondevano, in base ad alcune qualità comuni, degli umori: all’aria, che è calda e umida ed è dappertutto, corrispondeva il sangue; al fuoco, caldo e secco, corrispondeva la bile gialla; alla terra, fredda e secca, corrispondeva la bile nera; all’acqua, fredda e umida, corrispondeva il flegma. Ippocrate stabilì che c’era una relazione tra l’eccesso di uno dei quattro umori e la predisposizione a un tipo di costituzione fisica e a un certo temperamento. Nell’opera De aere, aquis et locis contenuta nel Corpus Hippocraticum viene data una spiegazione “razionale” alle forme epidemiche come la peste, «… allorché molti uomini son colti da una sola malattia nello stesso tempo, occorre imputarne la causa a ciò che v’è di più comune e di cui tutti in primo luogo ci serviamo: e questo è ciò che respiriamo».28 Era quindi l’aria che in certe condizioni quali il clima umido, corrompeva e avvelenava chi la respirava; è questa la Dottrina Aerista giunta fino al 1700. Galeno di Pergamo (Pergamo, 129 – Roma, 199 circa), riferimento fondamentale fino in epoca moderna, sviluppò le teorie ippocratiche indicando come causa predisponente di malattia lo squilibrio fra gli umori e individuò come contaminanti dell’aria: l’acqua stagnante, i liquami e i cadaveri insepolti.29 Il medico persiano Abd Allāh ibn Sīnā più noto in Occidente come Avicenna (Balkh, 980 – Hamadan, giugno 1037), aggiunse altre cause di inquinamento dell’aria. La congiunzione astrale dei cinque astri maggiori provocherebbe i terremoti, che liberano dalle viscere della terra vapori infernali e in mare morie e putrefazione di grandi quantità di pesce e conseguente inquinamento dell’aria. Nel Medioevo gli studi di medicina potevano quindi basarsi sul fattore ambientale e sulle caratteristiche dell’individuo, a cui si aggiungevano vaghe conoscenze empiriche relative al contagio da persona a persona attraverso l’alito, il contatto fisico e il vestiario o qualunque oggetto venuto a contatto con l’appestato. 28 Ippocrate, Opere. Sez.Terza: La Natura dell’Uomo. Vegetti M. (a cura di), Torino, UTET, 1976: 445. 29 Pazzini A, “In pestilenti vero aeris statu inspiratio plurimum est causa. Fit enim aliquando ob eos qui sunt in corpore humano ad putrescendum paratos …”, Storia dell’Arte Sanitaria dalle origini a oggi. Roma, Min Med 1973;I:363
  • 16. La Dottrina degli Umori Cognizioni eziologiche lontane dal vero con l’assenza di strumenti terapeutici biologicamente attivi non potevano che generare rimedi inutili e spesso dannosi. Taluni medicamenti divennero famosi, è il caso dell’aceto dei quattro ladri30 durante l’epidemia di peste del 1722 a Marsiglia.31 La composizione è variata nel tempo e nelle diverse città, ma alla base vi era sempre aceto forte, assenzio ed erbe aromatiche. Ben più antica è la tradizione del medicamento universale chiamato Triaca.32 Marsilio Ficino nel 1481 ne decantava le virtù e la 30 http://www.secretofthieves.com/four-thieves-vinegar.cfm “Four Thieves Vinegar: Evolution of a Medieval Medicine”, 26/12/2014. 31 “La tradizione diffusa vuole che un gruppo di ladri, durante una delle numerose epidemie di peste in Europa, si aggirassero a depredare morti ed ammalati. Quando vennero arrestati, in cambio della grazia essi offrirono di rivelare la loro ricetta segreta, che permetteva loro di commettere ruberie senza essere contagiati dal male. Un'altra versione narra che i ladri fossero già stati arrestati prima dello scoppio delle peste e, condannati a seppellire i corpi delle vittime, inventassero quest'aceto per sopravvivere al contagio. Le leggende collocano tali avvenimenti nelle città di Tolosa o Marsiglia, in un periodo compreso fra il XIV ed il XVIII secolo. Pare che i ladri di Tolosa siano stati ugualmente impiccati, mentre sorte migliore toccò a quelli di Marsiglia. In ogni caso, nel 1748 l'aceto dei quattro ladri venne inserito nella Farmacopea del Corpo Medico francese, e venduto in farmacia come antisettico, per poi esserne eliminato nel 1884 con l'affermarsi della medicina moderna.” http://it.wikipedia.org/wiki/Aceto_dei_quattro_ladri, 26/12/2014. 32 “Il termine Triaca (o Teriaca) era già in uso in Egitto nel IV-III sec. a.C. per un antidoto contro i morsi degli animali velenosi e come tale fu “ufficializzato” da Nicandro di Colofone che ne titolò un suo trattato. La Triaca famosa per molti secoli è però quella di Andromaco il Vecchio, medico di Nerone, che la compose aggiungendo al Mitridato, il polifarmaco usato come antidoto dal Re del Ponto, la carne di vipera. La fama di essa crebbe a dismisura e, pur tra qualche autorevole parere dissenziente, tutti i maggiori Medici ne decantarono i benefici: da Galeno ad Avicenna, da Maimonide alla Scuola Salernitana. Questo perché dall’originaria funzione di contravveleno, le indicazioni erano via via aumentate fino a comprendere l’epilessia, la peste, le pleuriti, l’ictus apoplettico, etc. etc. Di pari passo il numero dei componenti era salito dagli originari cinquantasette fino a cento e più, né erano sempre ed ovunque gli stessi, in base alle difficoltà del loro reperimento ed all’inventiva di Medici e Spetiali. L’alto costo e l’elevata richiesta indusse diverse Repubbliche (Venezia, Bologna, Genova, Pisa, Napoli) a farne un proprio monopolio; perché poi ne potessero usare anche i meno abbienti si fece la Triaca di soli quattro ingredienti. Ciarlatani ed imbonitori da un lato ed il progredire delle conoscenze dall’altro
  • 17. proponeva come profilattico nel suo “Consilio contro la pestilentia”.33 Consiglia di portare «…in sul cuore questo sacchetto…»34 . Le misure di protezione individuale adottate dai medici avevano una maggiore concretezza empirica anche se ci fa sorridere l’immagine simbolo del medico della peste. A parte le sostanze aromatiche contenute nel becco, una qualche premura ad evitare il contatto diretto era senz’altro efficace. L'abito del medico della peste in un disegno del 1656 Nel Medioevo la situazione della medicina era la stessa descritta secoli prima da Tucidide. «I medici non riuscivano a fronteggiare questo morbo ignoto ma, anzi, morivano più degli altri, in quanto più degli altri si avvicinavano ai malati, né alcuna tecnica umana veniva loro in soccorso. […] E oltre alla peste, nessun’altra malattia delle solite infieriva in quel tempo: e anche se sorgeva, andava a risolversi in questa. E gli uni morivano per mancanza di cure, gli appannarono prima e cancellarono poi il prestigio e la credibilità di un farmaco ricco di due millenni di storia. L’aggettivo Teriacale, ad indicare crediamo soltanto un effetto “ricostituente”, è resistito fino al secolo scorso. Potenza di una tradizione!” S. Signorelli, S. Tolomelli, E. Rota. Lo Spallanzani (2004) 18: 105-111 http://www.lospallanzani.it/wp-content/uploads/rivista/2_2004/Signorelli%20et%20al.pdf S. Signorelli, S. Tolomelli, E. Rota. Lo Spallanzani (2004) 18: 105-111 33 Ficino M.: Sulla Vita. A cura di Tarabochia Canavero A. Milano, Rusconi Ed. 1995:121,229,270. 34 Ficino M, Contro la Pestilentia (in Collectanea). Firenze, Giunti, 1577:1-76.
  • 18. altri anche se erano molto ben curati. Non esisteva, per così dire, nessuna medicina che si potesse applicare in generale: quello che a uno era di giovamento, per un altro era dannoso.»35 Come è accaduto in passato e talvolta accade oggi, la medicina accademica era la parte più conservatrice della società. La figura del medico rimase quindi per secoli di secondo piano rispetto alla gestione politica e amministrativa. Le autorità cittadine e di governo, non vincolate all’assoluta fedeltà agli indiscutibili insegnamenti dei maestri antichi, per caso o per necessità, provarono qualsiasi mezzo pur di raggiungere lo scopo di sconfiggere il flagello della comunità, la selezione competitiva fra le città e i paesi fece il resto. La peste nera ebbe quindi un ruolo importante nella nascita della sanità pubblica. E’ così che si va oltre la semplice fuga dai centri urbani, considerato il miglior rimedio contro la peste. «L’alternativa è di fronteggiare l’epidemia con norme di prevenzione atte a limitare il contagio ed a circoscriverlo il più possibile. Si tratta in genere di provvedimenti che condizionano pesantemente la vita delle comunità urbane, ma che raggiungono con ogni probabilità il loro scopo. Nell’adozione di questi interventi, il sistema sanitario italiano nel Medioevo fu all’avanguardia e, in effetti, la peste scompare dall’Italia alcuni decenni prima che negli altri paesi europei. In caso di contagio, gli scambi di informazioni degli Ufficiali di Sanità dei diversi Stati della penisola divennero frequenti e circostanziati. Si diffusero così i concetti di “quarantena” e “cordone sanitario” o la pratica di “bandire” le località contagiate e di chiudere le frontiere degli Stati o le porte delle città, impedendo la libera circolazione di uomini e merci, se non per situazioni particolari e certificate da permessi degli Ufficiali di Sanità.»36 Già durante l’epidemia del 1300 vengono istituiti gli “Uffici di Sanità” o “Magisteri”, prima a Milano, quindi a Venezia e Firenze e poi in ogni comune italiano (in Europa solo dopo il 1500). Viene regolamentato l’accesso alle città, l’approvvigionamento di cibo, di acqua e di altre merci. La “quarantena” è codificata per la prima volta a Reggio Emilia nel 1374. Sono previste norme per l’evacuazione ed il seppellimento dei cadaveri. Sono proibite le manifestazioni pubbliche e le processioni religiose, poiché «dopo la processione s'accresce la peste».37 Sono chiusi i locali pubblici e gli esercizi sospetti. Di fondamentale importanza storica e sanitaria è la nascita dei lazzaretti. L’innovazione della fondazione di un ospedale 35 Tucidide, La guerra del Peloponneso II, Giuseppe Rosati (a cura di), Scrittori di Grecia. Il periodo attico, Sansoni Editore, Firenze, 1972, pp.47-53 36 http://www.archiviostoricorovato.it/serie02_provvisioni/pestem/apparati/Studio_Storico_reg18.pdf, 26/12/2014. 37 La peste di Milano del 1630. Libri cinque cavati dagli annali della città e scritti per ordine dei LX decurioni dal Canonico della Scala Giuseppe Ripamonti istoriografo milanese volgarizzati per la prima volta
  • 19. speciale permanente da parte del Senato della Repubblica di Venezia avvenuta il 28 agosto del 1423 sotto il dogato di Francesco Foscari appena tre mesi dopo i primi casi di peste in laguna è stata preceduta dall’antica pratica dei lebbrosari. «Nei confronti dei lebbrosi si era definita fin dal 1300 la volontà di ricorrere al ricovero coatto o alla cacciata. Il 23 aprile il Maggior Consiglio aveva infatti deciso di liberare Venezia dalla scomoda presenza di quanti, con il corpo devastato delle infermità, stazionavano nelle chiese, sui ponti, sulle pubbliche vie, “corrompendo” l’aria e provocando la nausea a chi li vedeva (viscere hominum commoventur). Si stabilisce dunque di far accogliere lebbrosi e infermi dagli ospedali o altrimenti di cacciarli dal centro abitato. Le isole marginali, circondate dagli ampi specchi lagunari, e funzionali alla contemplazione dei numerosi e antichi insediamenti monastici, si rivelano ideali per ospitare le attività protette dal segreto di stato come la lavorazione del vetro, ma soprattutto si dimostrano adatte all’emarginazione dei corpi martoriati dalla malattia in uno spazio liminare che nell’Occidente cristiano caratterizza la realtà del lebbrosario e a Venezia viene individuato nell’isola di San Lazzaro, divenuto il lembo di terra per la città dei morti viventi. Il Lazzaretto Vecchio di Venezia Il lebbroso, infatti, in questa sorta di limbo lagunare vive il tempo della malattia cronica, lenta, invalidante e orripilante, nella simulazione del tempo e della città dei sani.»38 L’originalità veneziana della fondazione di un ospedale di isolamento per la peste sta soprattutto nella volontà del governo cittadino di affrontare in modo organico l’epidemia, statalizzando una struttura e una tradizione religiosa, compreso il personale assunto e stipendiato dallo stato. dall'originale latino da Francesco Cusani con introduzione e note. Milano, Tipografia Libreria Perotta e C., 1841, cap.XVII, p.51. 38 http://lazzarettovr.jimdo.com/storia-del-lazzaretto-deutsch-und-englisch-version/ 27.12.2014
  • 20. «La trasformazione del nome non fu casuale, ma assecondò il processo di laicizzazione dell’antico complesso monastico le cui originarie funzioni vennero cancellate nel 1436 assieme alla primitiva denominazione per ordine del papa, che formalizzò l’oramai avvenuta trasformazione del monastero di Santa Maria di Nazareth nel Lazzaretto dei veneziani.»39 Al Lazzaretto di Venezia seguirono Milano nel 1488 e quelli istituiti dalle maggiori città italiane. Sotto la pressione dell’emergenza e della paura della peste fu assunta una decisione impegnativa e delicata, che è stata di esempio per gli altri governi delle città di Italia e fonte di ispirazione anche per quello che diverrà il primo grande ospedale pubblico moderno per acuti, la Ca’ Granda di Milano, fondato da Francesco Sforza nel 1456.40 L’"Ospedale Maggiore" di Milano, tradizionalmente noto come "Ca’ Granda" Gli ospedali cominciarono infatti a cambiare e ad assumere l’aspetto moderno di luogo di cura e non solamente di isolamento in attesa della morte. Dopo la peste, gli ospedali tentarono di curare gli ammalati, anche se, ancora, coloro che venivano dimessi lo erano più per le loro difese immunitarie che per le cure ricevute. La professione medica, che aveva visto diminuire il proprio prestigio, fu stimolata a innovarsi. Venne dato maggior rilievo alla medicina pratica orientata clinicamente, un cambiamento che rifletteva l’importanza del chirurgo e il declino del medico teorico. I testi di anatomia divennero più accurati, perché la pratica dell’autopsia diventava più comune e nelle scuole di medicina ci fu uno spostamento verso le scienze applicate. Questi cambiamenti contribuirono a creare i presupposti verso una medicina più scientifica dal momento che sempre più il medico, invece di limitarsi a trarre conclusioni dalla semplice lettura dei testi antiche, formulava nuove teorie, le sottoponeva alla prova dell’osservazione, analizzando i risultati per vedere se confermavano la teoria stessa. 39 http://lazzarettovr.jimdo.com/storia-del-lazzaretto-deutsch-und-englisch-version/ 27.12.2014 40 Giorgio Cosmacini, La Ca' Granda dei milanesi. Storia dell'Ospedale Maggiore, s.l., Laterza, 1999.
  • 21. Indipendentemente e molto prima che i progressi della medicina abbiano dato risultati tangibili, le comunità cittadine con la loro organizzazione sociale ottennero buoni risultati in termini di qualità e durata di vita. Sembra che in alcuni momenti, per alcune città si possa parlare addirittura di casi clamorosi se pur poco conosciuti. «Milano vanta una vocazione, radicata nei secoli, alla partecipazione collettiva, alla vita di vicinato, al soccorrere il prossimo. A testimoniarlo, a partire dal XV secolo, sono i dati statistici che si evincono dai Registri dei Morti, ossia la registrazione anagrafica del decesso di tutti i suoi abitanti (residenti, domiciliati temporanei, di qualsiasi nazione, età, religione e condizione sociale): oggi, è convinzione comune che la durata media di vita, in epoche antiche, si attestasse intorno ai 25-30 anni; a Milano, sappiamo invece che, nella seconda metà del Quattrocento, più del 30% della popolazione era ultrasettantenne; non solo, si vantavano anche decine di centenari e di ultracentenari, come ad esempio Maddalena Portaluppi, deceduta nel 1474, alla veneranda età di 110 anni, manifestando qualche lieve problema respiratorio. Questi dati, che non sono frutto di fantasie letterarie, ma provengono da una fonte ufficiale di proto-statistica clinica, implicano la presenza di un fenomeno sociale di lunga durata e di forte tenuta: affinché un così elevato numero di anziani potesse sopravvivere, considerati i disagi materiali ascrivibili all’epoca e la pressoché totale assenza di strumenti tecnologici a disposizione, non solo doveva essere elevato il livello di assistenza sanitaria e medica accessibile a una larga fascia della popolazione, ma ci doveva essere anche una rete di vicinato, un senso della collettività e della comunità estremamente efficace e per noi, oggi, straordinario.»41 Non sempre e non per tutti è andata così. Se i paesi e le nazioni hanno imparato dal Medioevo a sopravvivere e a svilupparsi nonostante terribili calamità, la gran parte del popolo ha migliorato in modo sostanziale le proprie condizioni di sopravvivenza solo molti secoli dopo. Ancora oggi le condizioni dei poveri sono spesso disperate in molti paesi non sviluppati. Ma fino al IXX secolo erano condizioni comuni anche in Europa. La Commissione Salute (Board of Health), che contribuì all’emanazione del Public Health Act (1848), la legge inglese di istituzione del servizio nazionale di sanità pubblica, rivelò che a Liverpool l’aspettativa di vita media per classe alla nascita variava dai 15 anni per i disoccupati e i poveri a 35 anni per i cosiddetti benestanti.42 Per cui le condizioni non erano 41 AA.VV., Le periferie dell'umano, Biblioteca Univ. Rizzoli, Milano, 2014. Stralcio dell’intervento della prof.ssa F. Vaglienti, Docente di Storia Medievale per Beni Culturali - Università degli Studi di Milano, durante il Ca’ Granda Seminar del 21 ottobre 2014, dal titolo: “Il caso della Ca’ Granda di Milano. Storia e attualità”. 42 «In Liverpool average life expectancy by class ranged from 15 years for the unemployed or poor to 35 years for the well to do.» G. Mooney, S. Szreter, Urbanization, mortality, and the standard of living debate: new estimates of life at birth in nineteenth century British cities, Econ. Hist. Rev. 1998; 51:84-112
  • 22. molto dissimili dal Medioevo e forse peggiori a quelle dell’età Antica. Secondo gli archivi ufficiali della famiglia reale britannica, l'aspettativa di vita media nel 1276 era di 35,28 anni per la parte più agiata della società. Tra il 1301 e il 1325, durante la Grande carestia, la speranza di vita si era ridotta a 29,84 anni, mentre tra il 1348 e il 1378, durante la Morte Nera scese a 17,33. Solo nel XX secolo si sono avuti risultati stabili e generalizzati e solo in parte dovuti ai progressi della medicina. La popolazione del mondo ha superato nell’anno 2011 i 7 miliardi di individui e siamo ancora in una fase di espansione demografica seppure attenuata dal calo di natalità effetto della transizione demografica presente pressoché in tutte le popolazioni. Secondo il CIA World Factbook (stime 2014) la speranza di vita alla nascita ha raggiunto la media mondiale di 68,35 anni, anche la distanza fra il paese peggiore e quello migliore si è ridotta, se a Monaco ci si aspetta di vivere fino a 90 anni, nel Ciad si sfiorano i 50 anni. Per la sopravvivenza e la qualità della vita dalla seconda metà del XX secolo la medicina scientifica ha portato enormi benefici a un numero sempre maggiore di persone in tutto il mondo. Vaccini e antibiotici hanno cambiato la storia delle malattie, ma fino all’Ottocento ben poco si sapeva e si poteva fare per curare l’individuo malato. Sembra incredibile che tre secoli prima, nel 1546 a Venezia sia stato pubblicato il De contagione et contagiosis morbis et curatione eorum di Girolamo Fracastoro, forse l’intuizione più geniale di tutta la storia della medicina. Soltanto il XVII secolo fu testimone, non consapevole, della scoperta di microrganismi: nel 1673 un mercante di stoffe che viveva in Olanda, Van Leeuwenhoek, descrisse, di fronte alla British Royal Society, le sue osservazioni ottenute con l'aiuto di un microscopio elementare, confezionato da sé, rivelarono “animaletti” sui liquidi più diversi. Per più di un secolo, offuscate dalle dottrine a sfondo mistico di Paracelso, rimasero nell’ombra le teorie scientifiche di Fracastoro, vero fondatore della moderna patologia, che ipotizzò l’esistenza di organismi viventi invisibili, detti seminaria, e intuì inoltre che questi erano agenti di malattia: corpuscoli che si trasmettevano o per contatto diretto o attraverso materiali o attraverso l’aria. «Tutta la patologia delle malattie infettive è giudicata per la prima volta con grande acutezza di giudizio, frutto di un'osservazione accuratissima: le ipotesi del Fracastoro sulle cause e le vie delle infezioni sono state quasi integralmente convalidate dalle moderne ricerche scientifiche.»43 Solo nell’Ottocento la moderna scienza batteriologica grazie alle scoperte di Bassi, Pasteur e Kock renderà possibile scoprire l’agente responsabile della peste. Nel 1894 il medico svizzero Alexandre John-Émile Yersin, durante l'epidemia di Hong Kong, isolò il bacillo della peste e lo nominò Pasteurella 43 http://www.treccani.it/enciclopedia/girolamo-fracastoro_(Enciclopedia-Italiana)/, 27.12.2014
  • 23. pestis, in onore di Louis Pasteur, suo maestro. Lo stesso anno anche il medico giapponese Shibasaburō Kitasato, discepolo di Robert Koch, ottenne indipendentemente gli stessi risultati. Ma in Occidente si ricorda solo Yersin e in suo onore il bacillo della peste verrà chiamato anziché Pasteurella, Yersinia pestis. Questo coccobacillo Gram-negativo ha una caratteristica rara e cioè la capacità di moltiplicarsi a temperature vicine a quella corporea (36- 37°C), ma anche a 25-28°C; questa proprietà può forse avere importanza per alcune modalità diffusive del germe. La Y. pestis appartiene al genere Yersinia composto da numerose specie.44 A sua volta, la Y. pestis viene abitualmente distinta in tre varianti (ceppi) sulla base di caratteristiche biologiche45 , che hanno un interesse filogenetico e sono indubbiamente suggestive dal punto di vista storiografico: – Y. pestis Antiqua, ritenuta l’agente eziologico delle antiche epidemie di peste (“Peste di Giustiniano” del VI secolo); – Y. pestis Medievalis, sospettata quale agente eziologico della “Peste Nera” del 1348; – Y. pestis Orientalis, agente eziologico dell'attuale pandemia di peste (la cosiddetta “terza pandemia”). Il dibattito sull’eziologia delle grandi pestilenze storiche è stato arricchito recentemente da importanti studi di paleogenetica.46 Gli agenti causali delle tre grandi pandemie sono stati confermati dallo studio dei resti scheletrici provenienti da scavi archeologici, mediante l’analisi del DNA. Nel 2013 analizzando il DNA antico in due laboratori indipendenti47 , è stato confermato in modo inequivocabile la presenza del DNA della Y. pestis nei resti di scheletri umani provenienti dal cimitero altomedievale del VI secolo di Aschheim- Bajuwarenring (Germany). I risultati confermano che la Y. pestis è stata responsabile della peste di Giustiniano e dovrebbero porre fine alla controversia riguardante l'eziologia di questa pandemia. I genotipi isolati suggeriscono che la prima pandemia ha avuto origine in Asia, come per le altre due pandemie. Uno studio genetico pubblicato nel 2014 suggerisce che la Peste di Giustiniano (e altre epidemie dall'antichità) è dovuta a ceppi ormai estinti di Y. pestis, 44 Al genere Yersinia appartengono 12 specie a se stanti: Y. aldovae, Y. aleksiciae, Y. bercovieri, Y. enterocolitica, Y. frederiksenii, Y. intermedia, Y. kristensenii, Y. mollaretii, Y. pestis, Y. pseudotuberculosis, Y. rohdei, Y. ruckeri. Le tre patogene umane sono: Yersinia pestis, Y. pseudotuberculosis, Y. enterocolitica. 45 Capacità di fermentare il glicerolo e di ridurre il nitrato. 46 La paleogenetica è lo studio del passato attraverso l'esame del materiale genetico preservato proveniente dai resti di antichi organismi. Il termine "paleogenetica" fu introdotto nel 1963 da Emile Zuckerkandl e dal chimico fisico Linus Carl Pauling, in riferimento all'esame delle possibili applicazioni nella ricostruzione di sequenze di polipeptidi del passato. Nel 1984 da Allan Wilson e altri fu isolato, da un campione museale del quagga estinto, la prima sequenza di un DNA antico.
  • 24. geneticamente distinti dal ceppo che causò la scoppiò nel XIV secolo, ma che forse sopravvivono ancora oggi in popolazioni di roditori.48 Global phylogeny for Y. pestis49 Alcuni titoli giornalistici propongo la tesi che le epidemie del passato siano da attribuire ai ceppi estinti di Y. Pestis, ma ancora presenti nelle 200 specie di roditori in tutto il mondo, pronti a scatenare la prossima pandemia. A sostegno della diversità degli episodi storici rispetto ad oggi viene segnalato che durante l’epidemia del ‘300 non sono state segnalate morie di topi; inoltre sorprende l’alto tasso di morbosità, cioè la capacità diffusiva caratteristica delle grandi epidemie, nonché la rapidissima evoluzione verso l’exitus e l’alto tasso mortalità. La ricerca genetica, come descritto sopra nell’articolo di Wagner, ha per ora confermato che il ceppo della Peste di Giustiniano non è quello delle pandemie successive, ma il ceppo della Peste Nera ha caratteristiche sovrapponibili a quello di oggi.50 47 Harbeck, Michaela; Seifert, Lisa; Hänsch, Stephanie; Wagner, David M.;et al. «Yersinia pestis DNA from Skeletal Remains from the 6th Century AD Reveals Insights into Justinianic Plague ». in PLoS Pathogens 9 (5). 2013. 48 David M Wagner, Michaela Harbeck, Alison Devault et al. Yersinia pestis and the Plague of Justinian 541– 543 AD: a genomic analysis. in «Lancet Infect Dis», 2014; 14: 319–26. Published Online January 28, 2014 http://dx.doi.org/10.1016/S1473-3099(13)70323-2 49 Harbeck, Michaela op. cit. nota 14. 50 Kirsten I. Bos et al., A draft genome of Yersinia pestis from victims of the Black Death, in «Nature», 478, 27 October 2011, pp. 506–510.
  • 25. Kirsten I. Bos et al., Phylogenetic placement and historical context for the East Smithfield strain51 L’esordio acuto, la rapida ingravescenza e l’altissima mortalità sono le caratteristiche cliniche comuni alle tante pestilenze storiche. Dopo un’incubazione di 2-12 giorni esordisce in modo brusco e in forme cliniche molto diverse: dalla pestis minor che si risolve con una breve episodio febbrile alle manifestazioni che un tempo erano, in altissima percentuale, mortali. Le classiche forme gravi sono le seguenti: – La peste bubbonica è la forma più frequente di peste umana; compare un “bubbone” (tumefazione dura, liscia, di piccole dimensioni ed estremamente dolorosa) che si accompagna a febbre elevata (40-42°C), a malessere generale, mal di testa e talvolta vomito. I bubboni si formano prevalentemente a livello delle stazioni linfonodali inguinale, ascellare, sottoclavicolare. Si verificano anche emorragie sottocutanee causate dall’ostruzione dei capillari; appaiono quindi macchie sottocutanee scure, che diedero nome alla peste “morte nera”.52 51 Phylogenetic tree using 1,694 variable positions. Divergence time intervals are shown in calendar years, with neighbour-joining bootstrap support (blue italic) and Bayesian posterior probability (blue). Grey box indicates known human pathogenic strains. 52 c.f.r. nota n. 56
  • 26. La Scandalosa, bassorilievo in cera policroma, ignoto del XVII secolo. Napoli, Congrega di Santa Maria. An inguinal bubo on the upper thigh of person infected with bubonic plague. Swollen lymph glands (buboes) often occur in the neck, armpit and groin (inguinal) regions of plague victims.53 – La peste setticemica primaria si manifesta come ogni setticemia causata da batteri Gram negativi con febbre a 40-42° C, lesioni del sistema nervoso, violenti disturbi gastrointestinali ed estrema gravità prognostica. – La peste polmonare presenta grave insufficienza respiratoria e rapide ripercussioni generali; senza trattamento ha una mortalità del 100%; si trasmette da uomo a uomo tramite il respiro (goccioline di escreato). Due sono le vie di trasmissione del contagio: attraverso la pelle e attraverso i polmoni. L'infezione contratta per via cutanea, nel modo "classico", ossia attraverso il morso della pulce, porta normalmente alla peste bubbonica. La peste polmonare si contrae per “via aerea”. Già nel 1365 nella Chirurgia Magna, Guy de Chauliac, medico personale di tre papi e del re di Francia, distingueva in modo puramente empirico, senza sapere nulla sulle cause, la peste polmonare dalla peste bubbonica: «La malattia durò [ad Avignone, n.d.r.] sette mesi. Due erano le forme. La prima durò due mesi e fu caratterizzata da febbre persistente ed emottisi e la morte sopraggiungeva entro tre giorni. La seconda durò a lungo, anche questa con febbre persistente e fu caratterizzata dalla formazione sulla pelle di pustole e bubboni, in particolar modo nelle regioni ascellari ed inguinali. Se ne moriva dopo cinque giorni». Il serbatoio della peste sono numerose specie di animali selvatici, soprattutto roditori, che sono particolarmente resistenti. I focolai di peste selvatica sono definiti “focolai primari” e si trovano in tutti i continenti. La peste è dunque una zoonosi. Le epidemie di peste umana sono
  • 27. solitamente precedute da un’epizoozia e si manifestano nelle aree densamente popolate in cui le condizioni socio-economico-sanitarie sono disastrose. La pulce del ratto orientale, Xenopsylla cheopis, è uno dei vettori principali della trasmissione del bacillo pestoso tra i ratti e sono vettori efficienti anche nella trasmissione dell’infezione all’uomo. Il ciclo della peste54 Oggi i trattamenti antibiotici55 e i presidi sanitari moderni hanno ridotto la mortalità anche nei casi più gravi. La presenza endemica è circoscritta ad area geografiche remote o comunità in condizioni igieniche e nutrizionali estreme. Gli interventi di prevenzione più efficaci sono rivolti alla lotta ai roditori e agli ectoparassiti ematofagi. Il vaccino per la breve immunità conferita, da 6 a 12 mesi, è consigliato in particolari categorie a rischio, fra cui il personale sanitario nelle zone endemiche ed è stato indicato anche in caso di attacchi di bioterrorismo. 53 http://en.wikipedia.org/wiki/Bubonic_plague, 29/1/2015. 54 Dirección General de Epidemiología. Ministerio de Salud. Perù. http://www.dge.gob.pe/peste/peste_epi.php 55 “Per ridurre le probabilità di morte è essenziale trattare con antibiotici entro le prime 24 ore dalla comparsa dei sintomi, con streptomicina, gentamicina, tetracicline o cloramfenicolo. Il trattamento con antibiotici è raccomandato, secondo i CDC americani, per sette giorni anche nelle persone che entrano potenzialmente a contatto con il malato, per prevenire l’insorgenza della malattia. I CDC americani hanno pubblicato, nel 1996, una serie di Raccomandazioni sulla prevenzione della peste, sul bollettino settimanale Morbidity and Mortality Weekly Report, con indicazioni messe a punto dal Comitato per le pratiche immunitarie.” http://www.epicentro.iss.it/problemi/peste/peste.asp, 27.12.2014. Il portale dell'epidemiologia per la sanità pubblica a cura del Centro Nazionale di Epidemiologia, Sorveglianza e Promozione della Salute.
  • 28. 3 LA PESTE DA ATENE AI GIORNI NOSTRI La storia della peste ha origini antiche, anche se gran parte delle epidemie, che hanno preso il nome di pestilenza, hanno probabilmente un’eziologia diversa dalla malattia che la nosologia moderna definisce peste. Numerose sono le citazioni bibliche di significato simbolico più che strettamente clinico. La quinta piaga d'Egitto detta “peste di pestilenza”, che sterminò il bestiame egiziano era quindi una epizoozia. Di seguito vengono ripresi alcuni altri riferimenti biblici fra i più citati: «Il Signore ti attaccherà la peste.» (Deuteronomio 28, 21). «…e diedero la loro vita in preda alla peste…» (Salmi 78, 50). «…lo punirò con peste e sangue…» (Ezechiele 38, 22). «Gad entrò da Davide e lo informò dicendogli: “Vuoi che vengano per te sette anni di fame… o tre giorni di peste nel tuo paese? Davide scelse la peste… Il Signore mandò la peste in Israele. Da quella mattina fino al tempo fissato. Morirono tra il popolo… settantamila uomini…» (2 Samuele 24, 13-15). «Poi il Signore fece pesare la sua mano sugli abitanti di Asdod e il suo territorio… Egli colpì gli abitanti di quella città dal più piccolo al più grande; scoppiarono bubboni anche ad essi. Gli uomini che non erano morti furono colpiti dai bubboni e il gemito della città salì al cielo.» (I Samuele 5,6-12). La peste di Azoth di Nicolas Poussin 1631, Louvre.
  • 29. In questo caso sembra verosimile che non si tratti di una malattia generica, ma precisamente della peste; il riferimento ai bubboni e ai topi è in anticipo rispetto a secoli di ignoranza: «Dovete inviare un dono espiatorio, allora guarirete: cinque bubboni d’oro e cinque topi d’oro… Farete figurine dei vostri bubboni e figurine dei vostri topi che mandano in rovina il vostro paese…» (I Samuele 6,4-5). La prima descrizione storica di un’epidemia “pestosa”, tra il 430 e il 425 a.C., risale alla Peste Attica o di Atene. Dall’Etiopia passò all’Egitto, poi colpì l’Impero Persiano e quindi la Grecia con l’inizio delle Guerre del Peloponneso. Lo storico Tucidide si ammalò, vide altri ammalarsi, descrisse con precisione i sintomi e si rese conto del contagio, che veniva negato dalle concezioni ippocratiche. Egli scrive: «Subito all’inizio dell’estate i Peloponnesi e gli alleati […] Non erano passati ancora molti giorni da quando costoro erano giunti in Attica, che la pestilenza cominciò a sorgere in Atene; […] i medici, i quali non conoscendo la natura del male, […] loro stessi morivano più degli altri, in quanto più degli altri si accostavano al malato […] per curarsi a vicenda si contagiavano e morivano l’uno dopo l’altro, come le pecore […]»56 . Della “Sindrome di Tucidide” di cui morì Pericle si sono proposte altre cause fra le diverse malattie epidemiche, ma non vi sono evidenze certe di conferma o smentita.57 Galeno e Ippocrate in un dipinto del XII secolo (Cattedrale di Anagni). 56 Tucidide, La Guerra del Peloponneso. Ferrari F (trad. di). Milano, BUR,1985;338-45. 57 Langmuir AD, Worthen TD, Solomon J, Ray CG, Petersen E, The Thucydides Sindrome. A New Hypothesis for the Cause of the Plague of Athens. New Engl J Med 1985;313:1027-30.
  • 30. Un’epidemia di immani proporzioni che durò dal 164 al 180 d.C. è stata la cosiddetta Peste Antonina o di Galeno, che forse non fu peste, ma vaiolo58 oppure morbillo.59 Per la sintomatologia descritta e per le modalità di diffusione è molto dubbia la causa epidemica, ma per l’interpretazione storica dell’impatto dell’evento e l’importanza culturale ha forti elementi in comune con la storia della peste che si intende narrare. «Cito, longe, tarde era l'aforisma antipestoso risalente a Claudio Galeno, il medico greco-romano che l'aveva personalmente messo in pratica fuggendo da Roma in occasione della “grande peste” — mègas loimòs — del 167-170 d.C.: “Fuggi presto, va' lontano, torna più tardi che puoi”. A Galeno seguirono i medici medievali di Provenza, che di fronte alla “peste nera” — atra mors — del 1347-48 avevano ribadito l'adagio: “Queste tre piccole parole scacciano la peste: vite, loin et longtemps”. Il che voleva dire60 : “Partir veloci, andar lungi e [star via] per lungo tempo”.»61 La Peste Antonina determinò un indebolimento della struttura imperiale? Indubbiamente in questo periodo ha avuto termine il lungo ciclo di crescita iniziato due-tre secoli avanti Cristo, ma le cause stratificatesi in un così lungo periodo non possono che essere molteplici e l’epidemia sembra più una conseguenza che una causa primaria.62 Nel periodo di espansione la popolazione romana aumentò insieme alla produzione di beni. Forse il cambiamento climatico, lo sfruttamento delle risorse, il rendimento decrescente del lavoro, la rilassatezza di costumi si accompagnò ad un aumento eccessivo della popolazione con peggioramento delle condizioni di vita. Lo scoppio della pestilenza e la mortalità molto elevata pare che abbiano riportato un qualche equilibrio fra popolazione e risorse. «La pensava così Tertulliano, che, nel suo trattato De anima, del 211, scriveva che onerosi sumus mundo: “siamo di peso al mondo”, a stento ci bastano le materie prime, e quanto più stringenti sono le necessità, tanto più si alzano i nostri lamenti, dal momento che la natura è incapace di sostenerci. Le pestilenze, le carestie, le guerre e la scomparsa di intere città, rappresentano un rimedio, uno sfoltimento del genere umano divenuto eccessivo, tonsura insolescentis generis humani. … Come sembra sia accaduto successivamente con la Peste Nera del 1348-50, riportò equilibrio in una struttura economica nella quale il numero era aumentato ben più delle risorse e delle 58 Gilliam, JF "The Plague sotto Marco Aurelio." The American Journal of Philology 82,3 (luglio 1961), pp. 225-251. 59 McNeill non opta per l’una o l’altra ipotesi. - William H. McNeill, La peste nella storia. Epidemie, morbi e contagio dall’antichità all’età contemporanea, Einaudi, Torino, 1981. 60 John Nohl, La mort noire, Payot, Paris 1986, p. 96. 61 Giorgio Cosmacini Il medico saltimbanco. Vita e avventure di Buonafede Vitali, giramondo instancabile, chimico di talento, istrione di buona creanza. s.l., Ed. Laterza, 2008, pp. 25-26. 62 Paolo Malanima, The Economic Consequences of the Black Death, in «L’impatto della “peste antonina”», Bari, edipuglia s.r.l., 2012, pp. 311-312.
  • 31. conoscenze tecniche che consentivano di sfruttare a proprio vantaggio quelle risorse. Entrambe ebbero come conseguenza per le nuove generazioni un miglioramento delle condizioni di vita. Dopo la Peste Antonina sembra che anche le stature siano aumentate, in conseguenza al miglioramento dell’alimentazione. Una differenza, però, è importante rilevare, come ha fatto più volte Elio Lo Cascio, fra le conseguenze della Peste Antonina e della Peste Nera. La Peste Antonina determinò un indebolimento della struttura imperiale. Dal momento che nell’Europa del Trecento una struttura di queste dimensioni non esisteva, ma esistevano, invece, stati di dimensioni piccole e piccolissime, questo effetto non si ebbe. Se è vero, infatti, che i redditi medi aumentarono dopo la Peste Antonina perché ognuno disponeva di risorse più abbondanti, non così fu per le entrate complessive dello Stato romano come struttura di coordinamento politico, amministrativo, militare. Lo spopolamento – ha scritto Lo Cascio – ebbe com’è ovvio effetti decisivi sulla produzione globale e dunque sulla possibilità di mantenere una struttura statuale che, per quanto rudimentale, richiedeva dei costi comunque notevoli di gestione.»63 La Peste Antonina ha coinciso con una fase storica di cambiamenti, ma non sembra aver avuto un effetto catastrofico sulla società d’allora.64 Le tre pandemie Le pandemie65 storiche sicuramente di origine pestosa, da Giustiniano ad oggi, sono costituite da una serie di epidemie raggruppate in tre grandi periodi, ciascuno preceduto da un’epidemia e seguito da una fase in cui la malattia sembrava scomparsa.66 La Prima Pandemia ca. 541 – ca. 750 nel Mediterraneo e in Europa Le grandi epidemie iniziali: La Peste di Giustiniano, 541-544 La Seconda Pandemia 1347 – ca. 1771 in Europa Le grandi epidemie iniziali: La Morte Nera, 1347-1352 La Terza Pandemia ca. 1894 - ? Le grandi epidemie iniziali: India, Cina, 1894-1922 63 Paolo Malanima, “Un crac nell’impero. La Peste Antonina e la fine del mondo antico”, 02/01/2015, http://www.multiversoweb.it/rivista/n-08-09-crac/un-crac-nell%E2%80%99impero-la-peste-antonina-e-la-fine- del-mondo-antico-2614/ 64 Christer Bruun, La mancanza di prove di un effetto catastrofico della “Peste Antonina” (dal 166 d.c. in poi), in «L’impatto della “peste antonina”», Bari, edipuglia s.r.l., 2012, pp. 123-159. 65 Pandemia è una epidemia la cui diffusione interessa più aree geografiche del mondo, con un alto numero di casi gravi ed una mortalità elevata. 66 Paul Slack, La peste, s.l., Il Mulino, 2014, p.23.
  • 32. La Peste di Giustiniano e la prima pandemia La prima e la seconda pandemia sembrano fare da cornice al Medioevo. L’andamento demografico ed economico sono profondamente collegati e la sintesi può essere contenuta nell’osservazione che “il Medioevo inizia e finisce con un calo della popolazione”. «L’Alto Medioevo è caratterizzato da un costante calo della popolazione europea, che nel secolo VIII, secondo calcoli che sono, per carenza delle fonti, largamente ipotetici, doveva essere di 15- 20.000.000 di abitanti, a confronto degli oltre trenta milioni del tardo Impero romano, prima che una decina di pestilenze colpissero a ondate le regioni che si affacciavano sul Mediterraneo dalla metà del secolo VI alla metà dell’VIII.»67 Il declino demografico iniziato in epoca tardo-antica raggiunge il livello più basso in Italia nel VI secolo d.C., quando la penisola fu interessata da serie di epidemie pestilenziali in contemporanea ad invasioni e guerre, cui seguirono il collasso dell’amministrazione centrale e il disfacimento economico della società romana. A Roma si stima che il crollo demografico abbia portato la popolazione da 100.000 abitanti di inizio VI secolo a non più di 30.000 alla fine della Guerra Gotica. Così descrive Procopio l’assedio di Roma: «Ormai al principio del solstizio d'estate, piombarono sulla città la carestia e la peste. I soldati avevano ancora il pane, ma nient’altro del necessario, 67 Giuseppe Sergi, L'idea di Medioevo: fra storia e senso comune, s.l., Donzelli, 2005, p.63.
  • 33. mentre gli altri Romani non avevano più neppure il pane ed erano appunto oppressi dalla fame e dalla peste nel medesimo tempo.»68 Procopio di Cesarea è stato un cronista anche della peste di Costantinopoli e con stime forse gonfiate dallo stato generale di allarme o dalla scarsezza di dati oggettivi o ancora dal suo interesse polemico nei confronti della famiglia imperiale riferisce che l'epidemia uccideva 10.000 persone al giorno. Storici moderni parlano comunque di circa 5.000 morti al giorno, arrivando a dimezzare la popolazione cittadina, mentre nel Mediterraneo orientale la riduzione di popolazione superò il 25%. I cadaveri dovevano spesso essere lasciati all'aperto. Giustiniano dovette promulgare nuove leggi per snellire le procedure legate alle pratiche ereditarie. Le difficoltà di ricostruzione degli andamenti demografici dell’Italia medievale, ancora basati sui lavori riassuntivi di Beloch (1908) e Russell (1958), oggi si arricchiscono del contributo dell’archeologia, seppure limitato da una serie di ostacoli metodologici. I dati bioarcheologici, che Fabio Giovannini definisce ‘segnalatori archeologici’ per le ricostruzioni demografiche, sono soprattutto relativi al rapporto tra età e picchi della carie dentaria, gli stress nutrizionali infantili e la sex ratio dei gruppi, come anche la disponibilità alimentare e la morbilità generale. La crisi demografica fu particolarmente incisiva nelle città. «Le città si ripresero lentamente solo grazie alla ruralizzazione di molte aree urbane abbandonate, ma la gran parte della popolazione si organizzò in villaggi isolati e posti spesso in aree marginali, dediti a produzioni agricole semplici…»69 . La fine dell’Impero coincise con la scomparsa o riduzione delle città romane. Nulla fu più come prima; i Cavalieri dell’Apocalisse: morte, guerra, carestia e peste cavalcarono insieme e determinarono il definitivo crollo della civiltà urbana. Con l’unica città sopravvissuta in occidente, Costantinopoli, avvenne il definitivo passaggio dall'antichità al medioevo. «Divisa in due sfere culturali e politiche, quella longobarda nel nord e quella bizantina sulla costa, la popolazione italiana rimase demograficamente stabile per alcuni secoli fino alla ripresa che si ebbe solo con il rilancio della cultura urbana e lo sviluppo di nuove tecniche con ricadute produttive e commerciali a partire dai secoli XII-XIII, quando le popolazioni italiane acquisirono importanti ritmi di crescita fino ad un popolamento che – nonostante il crollo della metà del XIV secolo (a seguito della Peste Nera e delle cicliche epidemie successive) – riportò l’Italia rinascimentale, nel complesso, sui livelli della piena età romana imperiale».70 68 Procopio di Cesarea, a cura di Filippo Maria Pontani, La Guerra Gotica, Newton Compton Italiana, Roma, 1974, Libro Secondo, 3, p.122-123. 69 Fabio Giovannini, Archeologia e demografia dell’Italia medievale, in SIDeS, «Popolazione e Storia», 2/2002, pp. 63-81. 70 Fabio Giovannini, op. cit., p. 63.
  • 34. Paolucci, Signorini • L'ora di storia • edizione rossa © 2010 Zanichelli editore S.p.A. Bologna. http://online.scuola.zanichelli.it/paolucci/volume 2/archivio/paolucci_civilta-medioevo.pdf Storia economica dell'Europa. Renata Allio Livi Bacci ha elaborato una sintesi estrema dell’andamento della popolazione nell’arco degli ultimi mille anni, indicando le principali cause che hanno contribuito a modificarne l’andamento. http://www.farcampus.unito.it/storia_economia/corso.aspx ?mod=1&uni=2&arg=1&pag=5 Non abbiamo dati certi sulla distribuzione geografica della Peste di Giustiniano. Come era stato per la Peste di Atene si parla di un inizio in Etiopia, poi il passaggio in Egitto e con le navi cariche di grano approda alla capitale e da qui a tutto l’Impero e oltre. In merito alle regioni e alle popolazioni colpite un indizio particolare proviene da Paolo Diacono che nella Historia Langobardorum avanza l’ipotesi che la pestilenza colpisce solo le popolazioni di stirpe romana, mentre Goti e Longobardi ne sarebbero immuni. Questa informazione è stata ripresa tredici secoli dopo a seguito di studi genetici relativi alla distribuzione nelle popolazioni nordiche della variante allelica delta 32 di CCR5. La CCR5 è una proteina presente sulla membrana dei leucociti e coinvolta nel sistema immunitario come recettore per le chemochine, con il ruolo di attivare i linfociti T. L’allele CCR5-Delta3271 è associato a una maggiore resistenza ad alcune malattie infettive virali, in particolare al vaiolo e all’HIV,72 ma non è stato confermato un ruolo protettivo e quindi una selezione naturale delle popolazioni 71 Novembre J1, Galvani AP, Slatkin M, The geographic spread of the CCR5 Delta32 HIV-resistance allele. PLoS Biol. 2005 Nov;3(11):e339. Epub 2005 Oct 18. 72 Faure E1, Royer-Carenzi M, Is the European spatial distribution of the HIV-1-resistant CCR5-Delta32 allele formed by a breakdown of the pathocenosis due to the historical Roman expansion?, Infect Genet Evol. 2008 Dec;8(6):864-74. doi: 10.1016/j.meegid.2008.08.007. Epub 2008 Aug 27.
  • 35. colpite da pestilenza. Si osserva inoltre che la peste del ‘30073 e del ‘600 hanno colpito pesantemente i paesi del Nord Europa. Peste di Giustiniano. Le mura di Teodosio divennero un punto strategico per il lancio dei cadaveri. La Peste Nera e la seconda pandemia Per totum orbem maxima pestis mortalitatis fuit.74 73 Il nome Peste Nera per indicare l’epidemia del ‘300 nasce proprio al nord. «Nel medioevo non si usava questa denominazione, e si parlava della "grande morìa" o della "grande pestilenza". Furono cronisti danesi e svedesi a impiegare per primi il termine "morte nera" (mors atra, che in realtà deve essere intesa come "morte atroce") riferendolo alla peste del 1347-53, per sottolineare il terrore e le devastazioni di questa epidemia. "Nero" è quindi impiegato in senso metaforico, anche se il termine odierno per indicare la peste in norvegese è "den svarte dauden". Nel 1832 questa definizione venne ripresa dal medico tedesco J.F.K. Hecker. Il suo articolo sull'epidemia di peste del 1347-1353, intitolato "La morte nera", ebbe grande risonanza, anche perché venne pubblicato durante un'epidemia di colera. L'articolo fu tradotto in inglese nel 1833 e pubblicato numerose volte. Da allora i termini "Black Death" o "Schwarzer Tod" (Morte nera) vennero impiegati, soprattutto nelle aree anglofone e germanofone, per indicare l'epidemia di peste del XIV secolo.» http://kiarasite.altervista.org/la_peste_nera.html, 2/2/2015.
  • 36. La Peste Nera ha rappresentato per l’Europa un periodo fondamentale della sua storia. Forse non fu il più grande dei disastri naturali della storia dell’umanità, ma un insieme di fattori la rende unica. Per l’Occidente “il flagello arrivò dall’Oriente”. Si racconta che i Tartari alla conquista di Caffa nel 1346 abbiano inventato la guerra biologica scagliando dentro alle mura i cadaveri degli appestati. Il probabile focolaio d’origine della epidemia fu lo Yunnan nella Cina meridionale. Ibn Battuta75 dice di averla già incontrata nel 1332 alle pendici meridionali dell'Himalaya. La rapida diffusione del contagio è dovuta se non favorita dall’esistenza in quell’epoca del più grande impero continentale nella storia dell’umanità, che ha unito per due secoli il Mare della Cina al Mare Mediterraneo.76 «…furono proprio l’espansione mongola e il lungimirante interesse dei Khan per le varie religioni, le scienze, le tecnologie e le arti a condurre tra il XIII e il XIV secolo alla pax mongolica, un periodo di vivace scambio di idee, conoscenze, specialisti e oggetti tra le diverse aree culturali del continente euroasiatico, Occidente e Italia compresi.»77 L’Impero mongolo disponeva di un efficiente e veloce servizio di corrieri a cavallo, che può aver diffuso il contagio rapidamente fra i roditori delle steppe per arrivare poi a contagiare l’uomo in vaste aree dell’Asia e giungere in Crimea dove veneziani e genovesi avevano le loro basi navali. La globalizzazione dell’epoca moderna non ha forse ancora uguagliato “per via terra” la corrente di traffici che per un secolo ha collegato le estreme propaggini dell’Occidente e dell’Oriente in un solo sistema di scambi di vastissimo raggio. Sete, spezie, perle e gioielli dell’Asia si scambiavano con tessuti di lana, tele, cristalli, pelli, ambra e argento europei, in un intersecarsi di affari che coinvolgeva la Francia, le Fiandre, la Germania, l’Italia, le regioni della Russia, il Medio Oriente, la Persia, l’Asia centrale, l’India, l’Indonesia e la Cina. La via per la Cina secondo Francesco Balducci Pegolotti prevedeva un itinerario di circa 7.550 km percorso in 261 giorni, alla media di 28,9 km/giorno da Tana (Tanais nel Mar d’Azov) a Gamalecco (la Cambulac di Marco Polo, Pechino).78 74 Chronicon Estense cum additamentis usque ad annum 1478, edd. G. Bertoni - E. P. Vicini, «Rerum Italicarum Scriptores» Chronicon Estense, p. 159, forse ripetendo Patrizio Ravennate Cronica. 75 Ibn Battuta, Tangeri, 24 febbraio 1304 – Fez, 1368-69, è stato un esploratore e viaggiatore marocchino. Nato a Tangeri in Marocco da una famiglia di etnia berbera, per quasi trent'anni si avventurò tra Africa, India, Sud-est asiatico e Cina, è considerato uno dei più grandi viaggiatori ed esploratori della storia. 76 Non è mai più accaduto nella storia dell’umanità che come si diceva allora "una vergine con un piatto d'oro poteva girare indisturbata da un angolo all'altro dell'impero". 77 Emanuela Parisi, Il cammino del contagio in un mondo ‘globalizzato’, http://www.treccani.it/scuola/tesine/virus_e_batteri/parisi.html, 03/01/2015. 78 Piero Zattoni, La via per la Cina secondo Francesco Balducci Pegolotti in «La Porta d’Oriente, » n.12/2011, pag. 91-99.
  • 37. L’espansione mongola e l’unità euroasiatica.79 A tutto questo la Peste Nera non ha posto fine. I traffici continuarono finché rimase l’unità politica dei territori della via della seta. Le conseguenze del flagello furono più significative per l’evoluzione dell’Europa. I Cavalieri dell’Apocalisse tornarono ad accanirsi favorendo se non determinando la fine al mondo medievale e ponendo le basi per il rinascimento.80 Ma «“il crepuscolo del medioevo” o “l'alba del rinascimento” non è però la sua caratteristica essenziale. Il fatto essenziale è che l'Europa sormonta la crisi. Non vi sarà un'età barbarica dopo il 1350 come ve n'era stata mille anni prima.»81 , anche se in questo secolo alle guerre, alle carestie e alla peste si affiancarono altre sventure. Dopo tre secoli d’espansione e di progresso furono innumerevoli i sintomi dell’imminente crisi. In occasione della crisi economica del 2008 sono stati frequenti i confronti, ma non tutti gli eventi che occorsero nel XIV secolo hanno avuto effetti universali e forse fra di loro molti fatti sono solo contestuali e non avuto alcun effetto sinergico. L’Europa indubbiamente fu però teatro di notevoli cambiamenti. Innanzitutto fu il primo secolo dopo l’età tardo antica dove venne a meno o fu fortemente indebolita l’autorità indiscussa dei poteri universali dell’Impero e del Papato. 79 http://spazioinwind.libero.it/popoli_antichi/Mongoli/Mongoli.html, 2/2/2015. 80 Per Jacques Le Goff il Rinascimento è un momento di fioritura culturale del “lungo Medioevo”, nota come la peste nera continuò a imperversare in Europa fino al Settecento e che il feudalesimo si protrasse fino alla rivoluzione industriale. Fino all’ultimo quest’epoca conserva i suoi caratteri di fondo e innanzitutto, la visione cristiana della vita. Jacques Le Goff, Faut-il vraiment découper l’histoire en tranches? Paris, Seuil, 2014, (Bisogna davvero tagliare la storia a fette?). 81 Roberto S. Lopez, La nascita dell'Europa. Secoli V-XIV, Einaudi, 1966.
  • 38. Il Papa di Roma dal 1309 al 1377 lasciò perfino la sede di Pietro per la cattività avignonese. La crisi dell'autorità papale si manifestò anche con lo scisma d’Occidente fra papi e antipapi. Federico II, puer Apuliae, ultimo Imperatore con una visione universale muore nel 1250. Nel 1356 il Reichstag presieduto dall'Imperatore Carlo IV emette la Bolla d’oro. Con tale edito si stabiliva la natura elettiva della carica imperiale, ponendo fine al controllo diretto del papato sull'Impero, che però diveniva una monarchia germanica. Le monarchie si affermarono definitivamente in Francia, Inghilterra, Castiglia e Aragona. L’impatto sulla cristianità della fine della teoria dei “due soli” favorì la nascita delle nazioni, ma il venir meno della “provvidenzialità dell’Impero”, unico in grado di porsi come arbitro e restauratore di pace, ordine e giustizia tra gli uomini ebbe effetti destabilizzanti. Le guerre e le invasioni furono frequenti e lunghe, tanto da far parlare di “stato di guerra”. La cosiddetta guerra del Vespro scoppiata nell’aprile 1282 durò novanta anni. Dagli Aragonesi furono impiegate truppe mercenarie: gli Almugàveri. Francesco Petrarca nella canzone Italia mia esprime lo scempio, che dell’Italia facevano le milizie mercenarie.82 Addirittura la Guerra dei Cent’anni tra il Regno d'Inghilterra e il Regno di Francia durò, seppure non continuativamente, 116 anni, dal 1337 al 1453. La guerra da sola forse non avrebbe comportato cambiamenti generalizzati e permanenti. Ma un fatto nuovo in ambito militare si verificò in questo periodo. Ebbe inizio un seppur limitato uso delle armi da fuoco, ma soprattutto si verificò il declino della cavalleria feudale a seguito dell’impiego di quadrati di fanteria armati di picca.83 I cavalieri non dominarono più i campi di battaglia, persone del popolo anche di scarsa pratica militare potevano tener testa agli eserciti aristocratici. Forse queste nuove tecniche militari favorirono il manifestarsi di rivolte popolari, l’emulazione come sempre fece il resto. Già nel primo trentennio del Trecento vi furono rivolte nelle Fiandre; le campagne francesi vennero battute, tra il 1356 e il 1358, dalla jacquerie, dove i contadini inferociti misero al rogo parecchi castelli ed aggravarono la situazione già difficile durante la Guerra dei Cent'anni. Successivamente tra il 1351 e il 1378 a Perugia, a Siena e a Firenze si ebbero le rivolte dei Ciompi (lavoratori tessili); nel Canavese si ebbe il fenomeno del tuchinaggio e in Inghilterra la rivolta dei contadini. Inoltre l’espansione commerciale si stava arrestando. A tutto questo si accompagna un’eccezionale crisi economico-finaziaria. Dal fallimento delle 82 Francesco Petrarca, Italia mia, «bavarico inganno ch’alzando il dito con la morte scherza». 83 Le Battaglie più significative che segnarono il ritorno della fanteria furono: La battaglia degli speroni d'oro o battaglia di Courtrai, svoltasi l'11 luglio 1302 dove le milizie delle città fiamminghe insorte contro il re di Francia Filippo IV il Bello fecero strage di cavalieri. La battaglia di Bannockburn (23 giugno, 1314 – 24 giugno, 1314) con schiltron scozzesi che ebbero la meglio contro la cavalleria inglese. Divennero famosi anche i quadrati di picchieri degli svizzeri e dei lanzichenecchi.
  • 39. grandi e piccole banche fiorentine nel 134584 alla crisi monetaria85 del “bimetallismo”86 : oro e argento. Giovanni Villani riferisce che «tutte le monete d’argento si fondieno e portavansi oltremare» dove il rapporto con l'oro era rimasto più stabile e quindi si potevano realizzare buoni guadagni sul cambio tra i due metalli. Inoltre ovunque le tasse pesavano e sembra che i prelievi forzosi fatti da clero e aristocrazia sui contadini raggiunsero i limiti massimi.87 La crisi finanziaria, divenne economica e le carestie divennero frequenti e diffuse. Nel frattempo i raccolti calavano a causa di cambiamenti climatici. Una piccola glaciazione, accompagnata da pioggia eccessiva fece marcire i raccolti (in Europa settentrionale) e nell’Europa meridionale si manifestò una siccità eccessiva. I terreni davano segni di esaurimento e nuovi terreni non erano più così disponibili, se non i terreni marginali. «Le crisi di sussistenza avevano in realtà interessato l’Europa anche nel passato, in quanto elemento strutturale delle società preindustriali. Esse però, assunsero dimensioni di carattere generale e di particolare gravità negli anni 1313-1317.»88 Una coincidenza che rafforzò le “successivamente” riesumate tesi di Avicenna furono i terremoti con migliaia di morti, che colpirono l’Europa nel 1348, avvertiti da Ravenna a Praga89 e del 1349 con danni alla basilica di San Pietro. «Simili calamità contribuirono notevolmente a inasprire quei disordini sociali, che fanno del XIV un secolo tanto diverso dal XIII. Ma la causa principale della nuova situazione va ricercata nella stessa organizzazione economica, la quale era giunta a un tal punto di disfunzione, da provocare uno scontento evidente sia tra le popolazioni urbane sia tra quelle rurali.»90 La destabilizzazione politica, le guerre, le rivolte popolari, la crisi economica, le carestie possono essere state solo di accompagnamento a quanto doveva comunque accadere per il sovrappopolamento e lo squilibrio fra popolazione e risorse. La spietata legge di Malthus prevede che la popolazione cresca in proporzione geometrica e le risorse (soprattutto 84 Nel 1345 i banchi dei Peruzzi e dei Bardi falliscono. Il fallimento delle banche più grandi si trascina gli Antellesi, gli Acciaioli e altre 350 famiglie fiorentine. Crolla anche il mercato immobiliare. Giovanni Villani riferisce che è peggio di una guerra perduta: mai a Firenze c'è stata «maggiore ruina e sconfitta … non rimane quasi sostanza di pecunia ne’ nostri cittadini». 85 «… la moneta francese fu soggetta a tutta una serie di frenetiche e drastiche svalutazioni e rivalutazioni. La ragione principale fu la Guerra dei Cent’anni.» Carlo M. Cipolla, op. cit., p.228. 86 «Se poi i metalli sono più di uno (come nei Paesi e nei momento storici in cui venne adottato il bimetallismo, vale a dire, la circolazione di monete differenti, come ad es. oro e argento), i cambiamenti nella disponibilità relativa di un metallo rispetto all’altro possono influire sul rispettivo valore di mercato, e scardinare il sistema monetario.» Fabio Nuti Giovanetti, Corso di Economia Politica, Seconda Edizione, Torino, G. Giappichelli, 2013, p. 577. 87 La poll-tax in Inghilterra per finanziare la guerra dei Cent’anni triplicò nel solo anno 1381. 88 Giovani Vitolo, Medioevo. I caratteri originali di un’età di transizione, Sansoni, Milano, 2012, p.317 89 Giovani Vitolo, op.cit. 90 Henri Pirenne, Storia economica e sociale del medioevo, Garzanti, 1967.
  • 40. alimentari) crescano in proporzione aritmetica; la tonsura di Tertulliano incombeva. L’occasione fu data dalla peste. La crisi del ‘30091 Le navi genovesi provenienti da Caffa diffusero la peste nell'autunno del 1347 a Costantinopoli, a ottobre giunse a Messina a novembre era già a Marsiglia. In gennaio risultavano colpiti i tre maggiori porti italiani (Pisa, Genova e Venezia). Anche per gli autori di cultura islamica contemporanei il 1348 fu l’Anno della Distruzione. Per tutto il 1348 continuò ad avanzare rapidamente, ma si arrestò di fronte all'inverno 1348-49. La peste venne, infatti, segnalata a Parigi nell'estate 1348, scomparve durante l'inverno e ricomparve nel marzo 1349. Anche nel nord Europa comparve prima nei porti e poi nel retroterra continentale. Danzica fu colpita nel 1350 e la peste si arrestò nel successivo inverno di fronte all'Oder; nel 1351 vennero colpite le regioni baltiche interne. Nel 1352 comparve anche in Russia. 91 http://cmapspublic.ihmc.us/rid=1L3B94ZGP-1R2BS1H-2ZSD/crisi%20del%201300.cmap, 01/01/2015.
  • 41. Luoghi di provenienza e vie di diffusione della Seconda Pandemia: la Peste Nera.92 Per quanto rapida, la diffusione della malattia non avvenne di colpo o per lo meno la percezione di essa. Nessuno allora né conosceva né poteva immaginare l’estrema facilità del contagio, ed in particolare la pericolosità estrema di quel flagello. Le cronache tutte, italiane ed europee, concordano sul fatto che quel tipo di malattia era fino ad allora totalmente ignoto. Come descrive Giovanni Villani «i poveri e impotenti» erano già stati falcidiati in gran numero nella primavera del 1347 dalla grande carestia. All’inizio non era nulla di eccezionale. Le Goff dà un’interpretazione diversa dell’iniziale indifferenza al flagello: Il clima religioso in cui la gente era incline ad affrontare l’epidemia con sorprendente apatia e rassegnazione, la considerava un castigo di Dio. «Alla fine del secolo XIII il Purgatorio è ovunque».93 «Nulla avrebbe potuto provvedere un terreno migliore per il proliferare del contagio».94 Di tutt’altro avviso sembra essere Lopez. «Non c'è traccia, nel crepuscolo del Medioevo, di quella tetra rassegnazione, di quel disfacimento del carattere che avevano contrassegnato l'alto Medioevo. Se si incontrano ancora profeti di calamità e flagellanti, la maggior parte di coloro che deplorano i vizi del secolo non rinnegano la società terrena ma cercano la strada della virtù 92 S. Signorelli, S. Tolomelli, La Peste: dai Dardi di Apollo al Bioterrorismo, in Storia della Medicina, Lo Spallanzani 21-2007, p.40 93 J. Le Goff, La nascita del Purgatorio, trad. di E. De Angeli, Einaudi, Torino, 1982, p. 327 94 Philip Ziegler, The Black Death, EPUB, 1998.
  • 42. nella devozione privata, nel misticismo, o semplicemente in una vita onesta. Se le ribellioni dei poveri falliscono, se gli organi democratici cittadini soccombono, se le istituzioni rappresentative dei regni hanno raramente un 'influenza decisiva, queste resistenze contro gli abusi di potere segnano confini che il tramonto dell'antichità e l'alba del medioevo non avevano conosciuto. … La crisi che accompagnò il tramonto temperò i caratteri invece di abbatterli».95 Le conseguenze della multifattoriale crisi del ‘300 sono numerose quanto le cause. Il dibattito storico sulla crisi del Trecento ha visto contrapporsi nell’Ottocento alla legge di Malthus la visione evoluzionistica teorica di Marx, per il quale la fine del Medioevo non è altro che l’inizio della crisi, lenta, plurisecolare del modo di produzione feudale, al quale sarebbe subentrato il sistema di produzione capitalistico. Alcuni medievalisti come Paolo Cammarosano sottolineano però la strumentale comparazione con l’età moderna. Gli storici “depressionisti” come Wilhem Abel ritengono che il calo demografico era già iniziato prima della peste. Le tesi degli “ottimisti” affermano che il calo demografico determinò un miglioramento del tenore di vita dei sopravvissuti. Michael Postan parla addirittura di una “età dell’oro dei contadini”. Le conseguenze sono state probabilmente estremamente diverse a seconda delle aree geografiche,96 popolazioni, città, famiglie e individui. «La peste nera fu una tipica epidemia “proletaria”; vogliamo dire con ciò che essa colpì molto di più l'elemento meno abbiente, e quindi più denutrito, dei ricchi. I ricchi infatti cercavano di sfuggire al flagello rifugiandosi nelle isolate abitazioni di campagna dove attendevano, restando senza alcun contatto con l'esterno, che il morbo terminasse. È proprio questa, come tutti ricorderete, l'ambientazione che dà il Boccaccio al suo Decamerone.»97 «Il tema pittorico della danza macabra (ossia del trionfo della morte) era senz’altro un tentativo di affrontare la paura psichica e spirituale di fronte a una di tipo nuovo che colpiva a tradimento, grande livellatrice che metteva sullo stesso piano tutti i ceti, dai poveri ai ricchi, dai laici agli ecclesiastici, compreso il papa.»98 Queste immagini, più frequenti nel Nord Europa, possono quindi avere un significato più che altro ironico nei confronti delle gerarchie sociali dell'epoca oppure appartenere al moralismo ed alla sfera religioso-sacrale cristiana con la funzione di memento mori "ricordati che devi morire". 95 Roberto S. Lopez, op.cit. 96 L’impostazione più convincente è quella dei “regionalisti”, fra i quali Stephan Epstein, Potere e mercati in Sicilia. Secoli XIII-XIV, Torino, Einaudi, 1996. 97 Antonio Ivan Pini, La società italiana prima e dopo lo «peste nera», 1981 ("Incontri pistoiesi di storia, arte, cultura", n. 8). 98 Storia medievale, Manuale Donzelli, 1998, p.582.
  • 43. Frammento della Danza macabra di Bernt Notke conservata presso la Chiesa di San Nicolò a Tallinn. Si stima che la popolazione dell’Europa prima della peste fosse di circa 80 milioni di persone, mentre dopo la peste scese a 55 milioni circa. La peste si diffonde più facilmente lungo le linee commerciali e dove è maggiore la concentrazione di persone. L’Italia aveva allora il più alto tasso di urbanizzazione con oltre 150 centri con 5000 e più abitanti. Le città più grandi d’Europa, a parte Parigi, erano tutte italiane (Venezia, Milano, Genova, Firenze, Bologna, Napoli). Gran parte delle città persero dalla metà a due terzi degli abitanti. Alcune città, per cause ancora da definire, furono poco colpite come Milano e Forlì. Firenze subì un calo progressivo e continuo da 100.000 abitanti a 37.000 a inizio del Quattrocento, ma nonostante questo successivamente Firenze conquistò Pisa, Pistoia, Arezzo e un larga parte di Toscana. Venezia ritornò agli abitanti pre-peste agli inizi del Cinquecento più rapidamente di altre città. In Europa la peste arrivò più tardi e durò più a lungo. In Olanda però le città continuarono a crescere. Complesso è il dibattito europeo sui villaggi abbandonati in questo periodo. La storiografia francese ha evidenziato un naturale fenomeno di selezione degli abitati, per lo più indipendente dalla congiuntura (Duby, Higounet, Toubert). La storiografia inglese e tedesca riporta i segni di una cospicua crisi agraria, originatasi all’inizio del Trecento e aggravatasi dopo la grande depressione demografica successiva alla peste (Abel e Postan). La Francia subì un impatto più grave dalle epidemie successive; nel 1380 ad Avignone e in Normandia la popolazione fu però dimezzata. In Gran Bretagna da 5 milioni si giunge a circa 2 milioni nel
  • 44. Quattrocento. Le distruzioni del Trecento quindi non furono così generalizzate da cancellare la civiltà urbana del Duecento, ma scompaginando l’ordine costituito consentirono un rinnovamento, che in chiave moderna potremmo definire “distruzione creativa”.99 Cambiò la concezione stessa della vita e la cultura. L’esperienza della peste aveva evidenziato in modo drammatico l’incertezza del domani e fu una spinta al rinnovamento culturale che caratterizzò il periodo successivo dell’Umanesimo e del Rinascimento. Lo sviluppo dell’ingegno, il sorgere della borghesia, il moltiplicarsi delle università, lo studio della filosofia e del diritto, la più vasta conoscenza del mondo determinarono un allargamento delle mentalità. L’uomo colto si scrollò di dosso gli impedimenti etici, mise in dubbio le verità imposte dalla religione, non considerò peccato godere delle bellezze della natura e dell’arte e la nuova libertà risvegliò la sua potenza creativa. La grande peste del 1348 determinò cambiamenti radicali nello sviluppo delle città, dell’economia, della produzione, della scienza e della società e, soprattutto, mutò il modo di pensare degli uomini del tempo. Dopo il 1348 non fu più possibile mantenere i modelli culturali del XIII secolo. Le gravissime perdite in vite umane causarono una ristrutturazione della società che, a lungo termine, avrebbe avuto effetti positivi. David Herlihy100 definisce la peste "l'ora degli uomini nuovi": il crollo demografico rese possibile ad una percentuale significativa della popolazione la disponibilità di terreni agricoli e di posti di lavoro remunerativi. I terreni meno redditizi vennero abbandonati, il che, in alcune zone, comportò l'abbandono di interi villaggi. Le corporazioni ammisero nuovi membri, cui prima si negava l'iscrizione. I fitti agricoli crollarono, mentre le retribuzioni nelle città aumentarono sensibilmente. Per questo un gran numero di persone godette, dopo la peste, di un benessere che in precedenza era irraggiungibile. L'aumento del costo della manodopera favorì un'accentuata meccanizzazione del lavoro. Così il tardo Medioevo divenne un'epoca di notevoli innovazioni tecniche. Herlihy cita l'esempio della stampa. Fino a quando i compensi degli amanuensi erano rimasti bassi, la copia a mano era una soluzione soddisfacente per la riproduzione delle opere. L'aumento del costo del lavoro diede il via a una serie di esperimenti che sfociò nell'invenzione della stampa a caratteri mobili di Gutenberg. Sempre Herlihy ritiene che l'evoluzione della tecnica delle armi da fuoco sia da ricondurre alla carenza di soldati. Per Egon Friedell,101 la peste nera causò la crisi delle concezioni medievali di uomo e 99 Il riferimento alla Teoria schumpeteriana del ciclo economico in questo contesto non si ritiene possa andare oltre al concetto di spinta all’innovazione. 100 David Herlihy, Der Schwarze Tod und die Verwandlung Europas, Berlino, 1997, ISBN 3-8031-3596-6. 101 Egon Friedell, Kulturgeschichte der Neuzeit. Die Krisis der Europäischen Seele von der Schwarzen Pest bis zum Ersten Weltkrieg, Monaco di Baviera, 1996 ISBN 3-406-40988-1 (prima edizione 1927–31).