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INTRODUZIONE
Il presente lavoro si propone di ripercorrere il dibattito sulla costruzione
dell’incertezza come emerge dai contributi di tre autori europei
contemporanei di grande rilievo: Anthony Giddens, Zygmunt Bauman,
Ulrich Beck.
Nel primo capitolo presenterò la posizione di Giddens con particolare
riferimento alle analisi relative a ciò che egli identifica come conseguenze della
modernità. Per il sociologo inglese, infatti, viviamo in una fase della modernità
che egli definisce radicale perché caratterizzata dal processo di disembedding, cioè
da un vero e proprio sradicamento dei rapporti sociali dai contesti locali che
per millenni hanno contribuito alla loro produzione.
Nel secondo capitolo analizzerò il pensiero di Bauman, che riscontra
nell’incertezza la caratteristica principale della nostra società. Il sociologo
polacco muove dalle tesi freudiane relative al disagio della modernità per
studiare il cambiamento della categoria dell’incertezza nel suo passaggio dalla
modernità alla post-modernità. Secondo Bauman, l’analisi delle cause di questa
trasformazione è fondamentale per la valutazione delle conseguenze, oggi
riscontrate, nell’ambito sociale e in quello lavorativo.
Nel terzo capitolo valuterò la posizione di Beck con riferimento
all’ambivalenza    del   processo     che    egli   definisce   con    il   termine
individualizzazione. Tale processo, che per il sociologo tedesco ha luogo nel
passaggio dalla società del rischio globale a quella dell’incertezza individuale,
assegna una maggiore responsabilizzazione ad ogni uomo nel disegnare il
proprio percorso biografico.
CAPITOLO 1

LE CONSEGUENZE DELLA MODERNITÀ: IL CONTRIBUTO
DI ANTHONY GIDDENS

1.1 La modernità radicale

Nelle scienze sociali il termine modernità si riferisce a quei modi di vita e di
organizzazione sociale che sono affiorati in Europa intorno al XVII secolo e
che hanno progressivamente esteso la loro influenza al mondo occidentale.
Con la fine del XX secolo, all’ interno delle scienze sociali, si è sviluppato un
acceso dibattito riguardante l’avvenuto o meno superamento della modernità.
All’interno di tale confronto Giddens ed altri sociologi si sono chiesti se la
categoria del moderno, già conosciuta, sia ancora sufficiente per contenere al
proprio interno quei fenomeni sociali che caratterizzano sempre più i nostri
giorni oppure se essa sia superata a favore di altre categorie che considerano
la modernità come finita e conclusa.
Tra coloro che hanno accettato la tesi del superamento della modernità spicca
il nome di François Lyotard, il quale ha introdotto per la prima volta il
termine di post–modernità per indicare un periodo caratterizzato dal
“dissolversi della grande narrazione” e cioè di quella “trama generale
attraverso la quale troviamo una nostra collocazione nella storia come esseri
forniti di un passato ben definito e di un futuro prevedibile”. (Lyotard, 1990,
cit. in Giddens, 1990, 16)
Con il termine post-modernità, quindi, si vuole indicare l’avvenuto superamento
della modernità e l’entrata in una nuova epoca caratterizzata da un


                                       2
allontanamento dai tentativi di fondare una teoria della conoscenza relativa
all’organizzazione sociale e dalla perdita di fede in un progresso controllato
dall’uomo.
Per Giddens, invece, non è sufficiente inventare nuovi termini per indicare
l’avvenuto passaggio; infatti, egli sostiene che “non siamo ancora usciti dalla
modernità ma dobbiamo guardare di nuovo alla sua natura in quanto, anziché
andare incontro ad un’era post-moderna, stiamo entrando in un’era in cui le
conseguenze della modernità si fanno sempre più radicali ed universali”.
(Giddens, 1990, 16)
A suo avviso non abbiamo superato la modernità, al contrario siamo nel mezzo di una
fase di radicalizzazione durante la quale essa ha subito processi di cambiamento e di
modernizzazione talmente rapidi ed universali da impigliare l’individuo in un universo di
eventi, che in buona parte sembrano sottrarsi al suo controllo. Questi cambiamenti
sono la causa principale dell’affermarsi del processo di disembedding e cioè di
sradicamento dei rapporti sociali dai contesti locali di interazione per
ristrutturarli su archi spazio temporali indefiniti e globali.
Infatti, per Giddens i modi di vita introdotti dalla modernità hanno
allontanato l’individuo dai tipi tradizionali di ordinamento sociale, tanto per
estensione che per intensità, in quanto le trasformazioni legate alla modernità
hanno contribuito a stabilire sul piano estensionale forme di connessioni sociali
che interessano l’intero pianeta e, sul piano intensionale, hanno modificato
alcuni degli aspetti più intimi e personali della nostra esistenza quotidiana.
Pertanto il disorientamento presente nelle nostre società non dipende
dall’impossibilità di un sapere sistematico e continuo in riferimento all’orga-
nizzazione sociale, come affermava Lyotard, ma è causato dalla capacità che

                                            3
la modernità ha di pensare se stessa e, quindi, di cambiare continuamente per
adattarsi alle nuove esigenze.
È questo eterno cambiamento, unito ai processi di sradicamento che da esso
derivano, la causa principale del propagarsi di una sensazione di smarrimento
e di incertezza che posiziona l’uomo all’interno di un mondo denso di
pericoli in cui l’unica certezza è la combinazione tra rischi e opportunità.


1.2 Il processo di disembedding

Secondo Giddens il processo di disembedding decontestualizza l’individuo,
proiettandolo in una nuova dimensione globale, in cui le vecchie certezze,
che si basavano sulla tradizione e la consuetudine, vengono sostituite da altre
più idonee a regolamentare un mondo che cambia in continuazione.
Per l’autore questi processi dipendono:
1. dalla separazione del tempo e dello spazio e dalla loro ricombinazione in
   dimensioni standardizzate e vuote necessarie per una organizzazione
   razionalizzata della società. La separazione del tempo e dello spazio
   comporta, infatti, il declino delle interazioni faccia a faccia e favorisce i
   rapporti tra persone assenti in quanto localmente distanti.
   Queste relazioni che avvengono in condizioni di lontananza e
   contemporaneità hanno come conseguenza la creazione di un nuovo tipo
   di comunità slegata dal luogo e dalla compresenza fisica tra le persone.
   Nella società moderna, infatti, l’uomo è decontestualizzato e proiettato in
   una globalità spazio temporale in cui deve avere completa fiducia in una




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serie di processi per lui difficilmente comprensibili ma che, in ogni caso,
   regolano tutta la sua esistenza.
2. dalla disaggregazione dei sistemi sociali la quale proietta l’individuo in una
   società globale che si regge sulla fiducia in sistemi sempre più astratti. A
   questo proposito Giddens introduce i concetti di:
   •   emblemi simbolici per indicare quei “mezzi di interscambio che possono
       passare di mano senza tener conto delle caratteristiche specifiche degli
       individui o dei gruppi che li utilizzano in qualsiasi particolare
       frangente”. (Giddens, 1990, 32). Secondo Giddens, a titolo d’esempio,
       la moneta rappresenta il maggiore emblema simbolico poiché permette
       l’attuazione di transazioni economiche tra individui separati nel tempo
       e nello spazio.
   •   sistemi esperti per indicare quei “sistemi di realizzazione tecnica o di
       competenza professionale che organizzano ampie aree negli ambienti
       materiali e sociali nei quali viviamo oggi”, (Giddens, 1990, 37),
       influendo in maniera continuativa su molti aspetti del nostro agire.
       Infatti, ad esempio, quando usciamo di casa e saliamo in macchina
       entriamo in ambienti completamente pervasi di sapere esperto in
       quanto, pur sapendo molto poco di come si costruisce una automobile
       o una strada, ci fidiamo di coloro a cui viene riconosciuta una elevata
       competenza in merito.
   La separazione del tempo e dello spazio è quindi strettamente collegata
   all’esistenza degli emblemi simbolici e dei sistemi esperti: entrambi forniscono
   garanzie di aspettative attraverso lo spazio-tempo distanziato e non più



                                        5
locale permettendo lo stiramento dei sistemi sociali su archi spazio
   temporali indefiniti e globali che poggiano sulla categoria della fiducia.
3. dalla appropriazione riflessiva del sapere, cioè dalla capacità che la
   modernità ha di riordinare in modo riflessivo i rapporti sociali alla luce dei
   nuovi dati acquisiti. Nella modernità, infatti, la revisione delle certezze
   diviene un fenomeno radicale che si applica a tutti gli aspetti della vita
   umana, cambiandoli o modificandoli. A causa della capacità della
   modernità di comprendere sé stessa e, quindi, di cambiare in base alle
   necessità globali, l’equazione sapere = certezza si è rivelata impostata non
   correttamente; infatti, per Giddens, vivendo in un mondo interamente
   costituito da un sapere applicato riflessivamente, non si può “mai essere
   sicuri che qualsiasi elemento di questo sapere non venga messo in
   discussione”. (Giddens, 1990, 47)


1.3 Come il processo di disembedding crea incertezza

Giddens considera la modernità un fenomeno bivalente, in cui sicurezza e
pericolo, fiducia e rischio interagiscono ogni giorno fornendo agli individui
sia certezze che incertezze.
Lo sviluppo delle istituzioni sociali moderne (capitalismo, industrialismo,
capacità di sorveglianza, controllo dei mezzi della violenza) e la loro
diffusione mondiale hanno concesso all’uomo molte più opportunità di
trascorrere un’esistenza sicura, ma, allo stesso tempo, hanno creato un lato
oscuro in cui il rischio regna da padrone: “se da un lato i meccanismi di
disaggregazione hanno conferito al mondo attuale vasti spazi di sicurezza e


                                        6
fiducia, dall’altro i rischi e i pericoli che ne sono derivati sono davvero
formidabili.”. (Giddens, 1990, 126)
La decisione di assoggettare i propri interessi in nome di un’organizzazione
sociale in grado di regolare la vita di ogni individuo non è sufficiente per
coprire i lati oscuri della modernità. Al contrario, per Giddens, ne rappresenta
il fattore determinante, infatti:
1. l’organizzazione     del    lavoro    moderno    ha   come     conseguenza
   l’assoggettamento delle forze produttive ed il problema ecologico;
2. l’organizzazione del potere politico ha contribuito all’avvento del
   totalitarismo;
3. l’organizzazione del potere militare, inizialmente per uso pacifico, si è
   successivamente trasformato nel fenomeno dell’industrializzazione della
   guerra.
La tesi secondo cui l’avvento della modernità avrebbe portato alla nascita di
un ordine sociale più sicuro e più felice è, dunque, da rivedere e da
riconsiderare alla luce delle conseguenze che essa ha realmente introdotto e
che sono collegate ai processi di disembedding. L’uomo, subendo passivamente
questi meccanismi di distacco, è costretto a convivere con uno stato di
incertezza, in cui la fiducia nel progresso e nella necessità di affidare la
propria vita agli altri, viene oscurata da una sempre maggiore divisione spazio
temporale che lo allontana dalle certezze che prima regolavano la sua
esistenza.
Ogni uomo moderno è costretto a vivere un’esistenza piena di rischi dei quali
nessuno può essere ritenuto responsabile: tale assenza di responsabilità
rafforza il senso di incertezza e di insicurezza.

                                         7
Molti sociologi, tra cui Beck, su cui ci soffermeremo in seguito, considerano
tali rischi gli elementi chiave della natura travolgente e mostruosa della
modernità.
Lo stesso Giddens identifica la modernità con un “bisonte della strada, un
mostro di enorme potenza che collettivamente, come essere umani, riusciamo
in qualche modo a governare ma che minaccia di sfuggire al nostro controllo
e andarsi a schiantare. Il mostro schiaccia coloro che gli resistono e se a volte
sembra seguire un percorso regolare, in altre occasioni sterza bruscamente e
sbanda in direzioni che non possiamo prevedere". (Giddens, 1990, 138)
Il percorso della modernità non è certo privo di piaceri e compensi, ma allo
stesso tempo gli individui non saranno mai in grado di controllare la rotta del
viaggio e, quindi, non si troveranno mai nella condizione di sentirsi del tutto
al sicuro.




                                       8
CAPITOLO 2

 LA SOCIETÀ DELL’INCERTEZZA PER ZYGMUNT BAUMAN

2.1 Dal disagio della civiltà di Freud al disagio della post-modernità

Bauman nel libro La società dell’incertezza muove dal pensiero freudiano
contenuto nel saggio Il Disagio della civiltà per introdurre la questione del
disagio della post-modernità.
Freud, infatti, sottolinea come la modernità, intesa come cultura e civiltà, ha
a che fare con la bellezza, la pulizia e l’ordine. Queste categorie sono
acquisizioni a cui l’uomo non sa più rinunciare, ma può ottenerle solo in
cambio delle restrizioni alle pulsioni e alla libertà individuale di procurarsi il
piacere. Per Freud, infatti, l’uomo moderno ha sacrificato una parte della sua libertà
individuale in cambio di una esistenza più sicura.
In questo scambio l’uomo guadagna certezze e sicurezza, ma perde
irrimediabilmente qualcosa. In una civiltà che sceglie di limitare la libertà in
nome della sicurezza cresce, dunque, la frustrazione: “il disagio,
profondamente intrecciato alla modernità, nasce da un eccesso di ordine e
dalla sua inseparabile compagna la morte della libertà”. (Bauman, 1999, 9)
Esso nasce, quindi, da un tipo di sicurezza che assegna alla libertà un ruolo
troppo limitato nella ricerca della felicità individuale.
Bauman       articola    il   suo    pensiero        muovendo   da   considerazioni
diametralmente opposte rispetto a quelle di Freud. Per il sociologo, la libertà
individuale, nella post-modernità, è il valore in base al quale tutti gli altri valori
devono essere valutati e il metro di misura con cui è verificata l’adeguatezza


                                            9
di ogni norma e decisione. Nello scambio tra libertà e sicurezza qualcosa va
però irrimediabilmente perduto.
Per Bauman, la tesi di Freud mantiene la sua forza oggi come un tempo,
solo che i guadagni e le perdite hanno invertito le loro posizioni.
Nella post-modernità l’uomo scambia una parte della sua possibilità di
sicurezza per un po’ di felicità. Ad una maggiore libertà, però, corrisponde il
diffondersi di una sensazione di disagio dovuta ad una insaziabile ricerca di
un piacere che limita la sicurezza individuale.
Pur partendo da idee e considerazioni opposte i due autori arrivano alla
stessa conclusione: una condizione di libertà senza sicurezza non assicura
una quantità di felicità maggiore rispetto ad una sicurezza senza libertà.
“Se la noia e la monotonia pervadono le giornate di coloro che inseguono la
sicurezza, l’insonnia e gli incubi infestano le notti di chi persegue la libertà.
In entrambi i casi la felicità va perduta”. (Bauman, 1999, 10)
In questo eterno gioco di preferenze tra sicurezza e libertà non ci sono né
vincitori né vinti: chi ha perso si consola con la speranza di vincere la
prossima volta, facendo la scelta giusta, mentre, chi ha vinto convive con la
paura di perdere, facendo in futuro la scelta sbagliata.
I capricci della sorte rendono incerta la condizione di entrambi, ma
l’incertezza è portatrice di messaggi differenti: ai perdenti dice che non tutto
è ancora perduto, mentre ai vincenti sussurra che ogni trionfo tende ad
essere precario. Il perdente si ferma prima della disperazione, il vincitore si
ferma prima di raggiungere l’assoluta certezza dei propri mezzi. Entrambi
scommettono sulla libertà di scelta ma entrambi hanno motivo di



                                       10
lamentarsi: così Bauman può sostenere che nessuno accetta restrizioni alla libertà,
come nessuno è totalmente sordo al fascino della certezza.
D’altra parte, per il sociologo, non è per nulla scontata la soluzione che
l’uomo contemporaneo preferirebbe, se potesse, scegliere tra i tormenti
della libertà e la tranquillità della certezza che solo la mancanza di libertà
può offrirgli. Tale possibilità di scelta non gli è data: la libertà è il suo
destino.
L’uomo lotta strenuamente contro un mondo sempre più incerto; per
riuscire a viverci mette a punto e organizza senza sosta la ricerca febbrile di
mezzi per trarre il massimo vantaggio da una condizione di libertà non
scelta ma assolutamente reale.
Per Bauman questa ricerca febbrile è la causa dell’incertezza: la fonte di ansietà
o di disagio dominante deriva dal fatto che bisogna fare qualcosa. Questa è incertezza.
L’incertezza non è più vinta dalle fabbriche dell’ordine della modernità, ma
deve essere vinta da ogni individuo con i propri mezzi; qualsiasi rimedio o
soluzione parziale dovranno essere pensati per un mondo completamente
individualizzato.


2.2 Il cambiamento della categoria dell’incertezza nel passaggio dalla
modernità alla post-modernità

Bauman definisce la società contemporanea o postmoderna come la società
dell’incertezza, quella stessa incertezza il cui spettro era stato esorcizzato
nell’epoca moderna attraverso una rigida regolamentazione.




                                            11
La modernità è emersa come una risposta non scelta e non voluta al crollo
dell’ancien règime e può essere descritta come la storia di una lunga fuga dal
grande terrore che il crollo del vecchio regime ha generato.
Per Bauman questo terrore era dovuto all’incertezza e, cioè, all’incapacità di
comprendere ciò che accadeva e il non sapere come procedere. La paura
dell’ignoto si era diffusa liberamente non appena la rigida regolamentazione
era venuta meno.
Si rendeva quindi necessaria l’instaurazione di un nuovo ordine globale in
cui la certezza di una condizione uniforme e omogenea voluta dal potere e
costruita su misura doveva colmare il vuoto lasciato dalle certezze radicate
nella consuetudine.
Per questo motivo Freud sosteneva che l’uomo moderno ha rinunciato ad
un po’ di libertà per un po’ di sicurezza.
Nella modernità la società era controllata dalla torre centrale del moderno
Panopticon per mezzo delle fabbriche dell’ordine deliberatamente strutturate
per ottenere il risultato prestabilito, quello cioè di “restaurare la certezza,
eliminare la casualità, rendere i comportamenti dei propri membri regolari e
prevedibili, o ancora meglio certi”. (Bauman, 1999, 102). In altre parole
rendere più sicura la vita degli individui.
Le scuole, le caserme, gli ospedali e le cliniche psichiatriche, gli ospizi, le
prigioni, gli insediamenti industriali, tutte fabbriche della certezza, servivano
per formare le nuove generazioni, per curare i malati, per sorvegliare i pazzi,
per aiutare i deboli, per riformare i depravati ….. chiamateli soldati, monaci o
macchine, ma il prodotto delle fabbriche dell’ordine sarà sempre
l’instaurazione di una esistenza più certa, quindi più felice, perché

                                        12
l’incertezza era la fonte più profonda della loro infelicità. Eliminato
dall’esistenza lo spettro dell’incertezza e sostituito con la certezza della
necessità di una rigida regolamentazione, l’uomo è quasi alla meta: “il felice
mondo dell’ordine ricostituito”. (Bauman, 1999, 102).
In questo senso il rimedio moderno per l’incertezza si riassume in una
limitazione del dominio della scelta. Ristabilire l’ordine attraverso
l’imposizione di una rigida regolamentazione era un’idea attuabile solo se
tutti gli individui fossero stati messi sotto l’influenza di una o più istituzioni
panottiche.
La legislazione moderna ha fatto proprio questo principio, estendendo
l’obbligatorietà del periodo scolastico, rendendo obbligatorio il servizio
militare e mettendo in stretta connessione i mezzi di sussistenza con l’avere
un lavoro fisso. Tutte insieme, le numerose fabbriche della certezza e
dell’ordine, con le loro diverse funzioni di sorveglianza, addestramento,
regolamentazione, hanno sostituito la paura dell’incertezza con quella della
trasgressione delle norme, del timore della devianza e delle sanzioni punitive
esercitando così il controllo sull’intero corso della vita dell’uomo.
L’altra parte della popolazione, le donne, erano, invece, sottoposte alla
sorveglianza del maschio, che era di fatto il capofamiglia cui era dovuta
obbedienza e rispetto assoluto.
Attraverso la famiglia, speciale agenzia di sorveglianza, le organizzazioni
panottiche hanno esercitato un potere capillare e penetrante. Esse, infatti,
modellando gli uomini, prima di tutto, come loro membri effettivi o futuri,
erano le fonti più importanti di certezza.



                                       13
Per la maggior parte della popolazione maschile questo particolare aspetto
era rappresentato dalle fabbriche e dalle caserme. L’acquisizione della
certezza incominciava con il superamento dei tests di ingresso previsti per
l’assunzione al lavoro o per l’ammissione alla carriera militare. L’idoneità
prevedeva la capacità di eseguire lavori in fabbrica o di ricoprire incarichi
militari. In entrambi i casi si richiedeva un fisico sano e robusto. Lo
standard di forza e di debolezza era definito dalla tipologia di attività svolte
nelle fabbriche e nell’esercito.
Il timore di un presunto o vero degrado fisico delle classi più povere è stato
una delle maggiori preoccupazioni di politici, medici, educatori e militari del
XIX secolo non solo per le negative conseguenze sul potenziale economico
e militare della nazione, ma soprattutto perché metteva a rischio il
mantenimento della stessa struttura sociale: la legge e l’ordine erano
amministrati con l’aiuto delle fabbriche e delle caserme.
L’uomo che non aveva caratteristiche fisiche idonee per lavorare o per
essere arruolato era sostanzialmente fuori controllo e, quindi, rappresentava
un pericolo per il sistema. Il degrado fisico, se non fosse stato fermato in
tempo, sarebbe stato una sciagura per le nazioni civili.
Nel corso del XX secolo la richiesta di lavoratori e di soldati è andata via via
diminuendo in corrispondenza del progresso tecnologico che lo ha
significativamente caratterizzato.
Il progresso tecnologico, infatti, non ha creato nuova occupazione, anzi ha
reso sempre più inutile il lavoro di massa e ha favorito lo sviluppo di lavori
provvisori, part-time, flessibili, in gran parte eseguiti da donne e
scarsamente strutturati, che hanno inevitabilmente sostituito i lavori

                                      14
industriali, in gran parte svolti dai maschi. Questa nuova tipologia di lavoro
non è sufficiente a garantire all’ordine sociale quella stessa funzione
fondante e disciplinante che la precedente aveva assicurato.
Lo stesso cambiamento si è verificato per la carriera militare. Gli eserciti di
massa sono stati sostituiti da quelli high-tech con conseguenti tagli al
personale, ma molto più efficaci e adatti di quelli precedenti all’attuale modo
di fare guerra.
L’industria e l’esercito, intesi come fabbriche di certezze che esorcizzavano
la paura, come agenzie di controllo capaci di dare solidi fondamenti e
disciplina, hanno definitivamente perso la loro utilità.
Pertanto, nel tempo della post-modernità, la paura dell’incertezza non è più
tenuta sotto controllo dalle fabbriche dell’ordine, ma deve essere vinta da
ogni individuo con i propri mezzi: l’insufficienza di rimedi esterni deve
essere compensata da quelli costruiti in proprio.
Il timore di non poter portare a termine il processo di autoformazione di tali
rimedi genera la paura dell’inadeguatezza che sostituisce quella della
devianza.
L’inadeguatezza post-moderna deve essere interpretata, infatti, come
l’incapacità di acquisire la forma e l’immagine desiderate, la difficoltà di
rimanere sempre in movimento e di mantenersi sempre flessibili e pronti ad
assumere modelli di comportamento differenti in base alle esigenze.
Con il venir meno delle figure del capo, dell’insegnante, del sovrintendente,
classiche figure dell’ordine moderno, sparisce anche la loro capacità di
liberare l’individuo dal peso della responsabilità: ogni individuo è
responsabile di sé stesso e delle proprie azioni.

                                       15
L’individuo ha il compito, il dovere di autogestirsi e di badare alla propria
formazione, diventa, insieme, il sorvegliante e l’insegnante di sé stesso:
l’individuo è libero nella prigione che si è liberamente costruito.
Alla privatizzazione della gestione dell’incertezza corrisponde, comunque, la
forza del mercato che provvede a servire il consumo privato. Il sentirsi
inadeguati fa nascere l’ansia di prendere in considerazione, spontaneamente
e non sotto coercizione, le molteplici proposte che il mercato offre per
migliorare l’adeguatezza.
L’individuo sfrattato dalla condizione di abitatore del Panopticon, in cui
assumeva il ruolo di fornitore di beni, si è ritrovato nella condizione di
consumatore di merci in cui assume il ruolo di cercatore di sensazioni.
L’essere fornitore o consumatore rimanda a due differenti metodi di
contrastare la paura dell’incertezza: collettivo nella modernità, individuale
nella post-modernità. La paura dell’incertezza è l’unico aspetto che rimane
immutato        sebbene       ora    abbia      preso      le    sembianze   di   “paura
dell’inadeguatezza” (Bauman, 1999, 109) piuttosto che paura della devianza.


2.3 Le conseguenze della post-modernità

Per Bauman, nell’era post-moderna, la libertà dell’individuo è il valore
dominante cui tutte le norme sociali devono adeguarsi.
Una delle conseguenze più importanti della progressiva emancipazione della
libertà individuale di scelta è la divisione sempre più profonda tra i ricchi e
chi non possiede nulla.




                                               16
Per il sociologo nella nostra epoca la povertà è un problema che viene
rimosso culturalmente, attraverso la costruzione di un paradigma negativo
del povero, non più considerato persona da aiutare, ma da catalogare nociva
per la società in quanto limita l’esercizio delle libertà dei ricchi.
I tentativi di risolvere il problema della povertà hanno risentito della crisi
degli Stati moderni. La decostruzione delle fabbriche della certezza e
dell’ordine ha causato la fine del welfare e l’affermarsi di un modello di
risoluzione incentrato sulla degradazione del povero e sulla sua conseguente
criminalizzazione. Il taglio delle spese per il welfare e per i sussidi sociali è
inversamente proporzionale ai fondi investiti per la polizia, le prigioni, i
servizi di sicurezza, i sistemi di allarme.
Chi è già escluso dal “banchetto del consumismo” (Bauman, 1999, 18) o chi
si trova sulla soglia dell’esclusione è rinchiuso, secondo Bauman, all’interno
di muri invisibili, ma del tutto tangibili che delimitano i nuovi territori
dell’emarginazione.
Tagliare e restringere gli aiuti agli esclusi, incatenati alle manette
dell’emarginazione, non aumenta tuttavia la libertà di chi è libero; al
contrario sottrae a molti altri la possibilità di sentirsi liberi e di godere della
propria libertà.
La libertà individuale non si ottiene solo con gli sforzi di ogni singolo uomo
ma con la creazione delle condizioni necessarie per estendere a tutti un
pieno riconoscimento delle proprie libertà.
Garantire a tutti un reddito sufficiente sarebbe, per Bauman, l’unica cura
preventiva contro la paura della povertà.



                                         17
Un'altra conseguenza del valore supremo riconosciuto alla libertà è, per
Bauman, la situazione che si avverte nel mondo del lavoro. I molti
cambiamenti che stanno interessando questo mondo hanno introdotto
profonde trasformazioni nella condizione occupazionale standard che
prevedeva la centralità del lavoro salariato dipendente a tempo pieno e
indeterminato.
Le trasformazioni che hanno seguito il declino della catena di montaggio
hanno prodotto un nuovo modello di produzione ed una nuova gestione del
lavoro incentrata sulla flessibilità e sulla capacità di adattamento alle
fluttuazioni della domanda e delle richieste dei consumatori.
Il concetto di flessibilità sembra non avere un significato definito ed
univoco: è il simbolo e la metafora delle attuali trasformazioni del mondo
del lavoro. Se, per alcuni, è sinonimo di autonomia, adattabilità e mobilità,
per Bauman è una condizione generatrice di incertezza e precarietà.
La flessibilità non è da considerare solo un continuo pellegrinaggio da un
lavoro all’altro, ma anche un mutamento significativo della percezione di sé,
visto che uomini e donne sperimentano quotidianamente l’impossibilità di
trasformare in un prossimo futuro le proprie esperienze lavorative in
certezze durature. La flessibilità non è dunque un’opportunità, ma, per il
sociologo, un rischio, un salto nel buio senza rete di protezione.
Il capitalismo flessibile è segnato, quindi, da una sensazione di
disorientamento, di ansia e di angoscia che derivano da una presenza di
forme di lavoro atipico sempre crescente.




                                      18
Concludendo, Bauman sostiene che la flessibilità sembra essere oggi
l’imperativo di tutte le attività economiche al quale la società si deve
uniformare per obbedire alle regole del mercato.
Il risultato finale di questa strategia è il significativo aumento dell’incertezza
negli individui.




                                       19
CAPITOLO 3

I RISCHI DELLA LIBERTÀ: L’AMBIVALENZA DEL PROCESSO
DI INDIVIDUALIZZAZIONE IN ULRICH BECK

3.1 Dalla società del rischio globale alla società dell’incertezza
individuale

Il sociologo tedesco Ulrich Beck analizza due periodi storici consecutivi che
definisce rispettivamente prima e seconda modernità.
La prima modernità è un’epoca caratterizzata da modelli di vita collettivi,
dalla piena occupazione, dallo Stato nazione e dallo Stato sociale. Le basi di
questo modello riguardano essenzialmente la negazione di determinati diritti
fondamentali, un sistema corporativistico chiuso e classista e una
organizzazione locale delle economie dei singoli paesi.
La seconda modernità, invece, è caratterizzata dalle crisi ecologiche, dalla
diminuzione del lavoro salariato, dall’individualismo, dalla globalizzazione e
dal mutamento dei ruoli tra uomo e donna.
Nel passaggio dalla prima alla seconda modernità, per Beck, vanno in crisi lo
stato sociale e il modello della piena occupazione a favore di mercati globali;
finisce la sicurezza assicurata dalla gerarchia, dalla burocrazia, dalle carriere
preordinate, dalle occupazioni fisse e cresce l’esposizione ai rischi globali.
Alla luce della universalizzazione dei rischi e, soprattutto, della loro
percezione, Beck introduce negli anni ’80 la dizione Società del rischio come
conseguenza dell’ormai incontrollabile potenza tecnologica, dell’eccezionale



                                        20
complessità della società contemporanea e dell’interdipendenza mondiale che
trasferisce su scala globale i rischi locali.
Dai rischi ecologici alla crescita di pericoli tradizionali come le guerre, dalla
difficoltà di poter prevedere le conseguenze delle applicazioni scientifiche alla
vulnerabilità di fronte a crisi che scoppiano in parti lontanissime del globo e
sulle quali non si ha alcun controllo, l’uomo contemporaneo è sempre più
consapevole di vivere in un mondo pieno di minacce.
Ogni società ha avuto pericoli e ha corso rischi, probabilmente maggiori della
nostra, ma, per il sociologo, oggi è aumentata la percezione del rischio nello
stesso tempo in cui è aumentata la sua intangibilità e l’ansia di fronte ad esso.
In particolare è cresciuta la percezione della nostra responsabilità: i rischi
attuali sono generati da noi, sono il frutto della nostra modernità e
producono sentimenti di ansia e di incertezza, ben diversi dal sentimento di
fatalismo che contraddistingueva le società della prima modernità di fronte
alle catastrofi.
Negli anni ’90 il concetto di società del rischio, per Beck, si è allargato sino a
definire una specifica condizione esistenziale dell’uomo nella società della
seconda modernità.
La flessibilità, nuovo credo della società postindustriale, le conseguenti
trasformazioni del sistema produttivo e, in particolare, i tagli del welfare
mettono oggi a rischio aspetti della vita individuale, come il lavoro, la
pensione, la stessa salute. I rischi diventano individuali e i soggetti devono
assumersi le responsabilità che prima erano gestite collettivamente dalle reti
solidaristiche, comunitarie, parentali o dallo Stato.



                                          21
La società del rischio globale è sempre più anche società dell’incertezza
individuale.
Il concetto di società dell’incertezza non sottende solo negativamente la
convivenza con nuovi e imprevedibili pericoli sociali, politici o tecnologici,
ma anche quella positiva di opportunità: l’idea di rischio individuale si lega
indissolubilmente all’idea di incertezza e di azzardo, alla possibilità di vincere
o di perdere. La condizione post-moderna, infatti, è una condizione di libertà
nella quale le reti protettive tradizionali sono saltate e ciascuno deve
provvedere autonomamente e individualmente alla costruzione del proprio
futuro. In essa non esiste più un sistema di certezze economiche e
ideologiche a cui ancorare queste scelte, le quali, pertanto, contengono
sempre più una quota di azzardo e di incertezza. La libertà di scelta comporta
la responsabilità di scegliere: ad ogni scelta sono collegati nuove possibilità e
nuovi rischi, possibilità di successo e rischi di sconfitta. Il rischio implicito in
ogni scelta genera insicurezza e pericolo, ma rappresenta anche una sfida e
un’opportunità. La conseguenza è un necessario aumento della responsabilità
individuale.
L’individuo contemporaneo, dunque, si trova costretto a scrivere la biografia
della propria vita che si trasforma in biografia della scelta, in biografia riflessiva, in
biografia del fai da te: deve pensare sempre più da solo al proprio futuro, alla
propria formazione, alla propria salute e alla propria vecchiaia. Così aumenta
la gestione di sé stessi nel lavoro come nella vita, ma aumentano anche la
responsabilità e la possibilità di fare scelte sbagliate: “la biografia del fai da te
può degenerare molto rapidamente in una biografia del fallimento”. (Beck,
1994, 6)

                                           22
3.2 Il processo di individualizzazione nelle società moderne

Il valore attribuito all’individualismo è un tratto costante della modernità, ma
se inizialmente consisteva nel passaggio da un mondo del destino ad un mondo
della scelta, come sosteneva Weber, con Beck si trasforma in obbligo di scelta.
Il processo di individualizzazione consiste, dunque, in una crescente
responsabilizzazione di ogni individuo nel disegnare il proprio percorso
biografico. In esso si sovrappongono continuamente e ripetutamente due
aspetti:
1. la dissoluzione di forme di vita sociale tradizionali e precostituite: la classe
   sociale, il ceto, la famiglia, il partito, la chiesa.
2. l’incombenza sui singoli di nuove pretese istituzionali, di nuovi controlli e
   di nuove costrizioni. L’accesso ad ogni diritto è sempre più condizionato
   dalla dimostrazione del possesso di determinati requisiti: il diritto alla
   pensione, la copertura assicurativa, il sussidio per l’educazione, l’aliquote
   d’imposta. Questi requisiti acquistano la caratteristica di un’esortazione a
   condurre una vita propria.
La novità storica del processo di individualizzazione sta nella sua
democratizzazione: ciò interessa non solo poche persone, ma è richiesto a
molti, se non proprio a tutti.
L’individuo è chiamato sempre più a costruire la propria biografia attraverso
le proprie azioni, scelte e decisioni; non è più inserito in uno schema
predefinito, ad esempio, dal ceto o dalla religione, ma è impegnato ogni
giorno nel programmare la propria vita.




                                           23
Tutte le sue esigenze, il lavoro, i diritti, la partecipazione al reddito non sono
imposti, ma lo esortano a programmare, a capire, a progettare, ad agire
assumendosi le responsabilità anche dei possibili fallimenti.
La biografia di ogni individuo si trasforma in riflessiva, in biografia del fai da
te: non ci sono più limiti e condizioni date, ma tutto deve essere scelto e
deciso individualmente, non una volta per tutte ma costantemente.
L’individuo, chiamato a realizzarsi e a progettarsi senza più l’ombrello
protettivo della tradizione e dei moderni sistemi di appartenenza, si trova a
raccogliere la sfida di una biografia del fai da te, che unisce elevati livelli di
libertà, di rischio e provoca una crescente insicurezza.
In questo modo ogni biografia può facilmente degenerare da biografia del
successo a biografia del fallimento.
L’individuo è oggi artefice dei suoi successi e dei suoi fallimenti, niente e
nessuno lo alleggerisce, dunque, dal peso delle proprie decisioni.
Questa situazione obbligata confina l’individuo in una posizione in cui
l’incertezza che scaturisce dall’aver fatto la scelta giusta o sbagliata lo rende
sempre più insicuro: “stiamo diventando, nelle cose che più abbiamo in
comune così come in quelle più private, titubanti come funamboli sotto il
tendone del circo” (Beck, 1994, 6), perché non si è mai certi di aver
programmato, scelto e lottato per qualcosa che realmente migliori la nostra
situazione.
La condanna a decidere, a ricominciare sempre da capo ed il rischio sempre
presente del fallimento generano paure nell’individuo che possono
provocare forme crescenti di incertezza.



                                       24
Per meglio sottolineare la presenza nelle società moderne del processo di
individualizzazione, l’autore descrive il cambiamento verificatosi nella
società cinese.
Per Beck, quando in Cina vigeva il sistema collettivistico, era impossibile
fare delle scelte sia nella vita privata che in quella lavorativa. La rete di
sicurezza del sistema comunista garantiva la ciotola di riso, la casa, la
formazione, la copertura sanitaria a tutti. Questa forma di tutela dalla culla
alla bara, legata ai collettivi di fabbrica o all’agricoltura, si sta dissolvendo e
ad essa stanno subentrando contratti di lavoro che legano il reddito e il
posto assicurato alle capacità e alla produttività. Oggi, anche in Cina, ci si
aspetta che le persone prendano in mano la propria vita. Gli abitanti delle
città cinesi, però, non si stancano di ripetere che non ce la fanno a reggere
ritmi di vita così serrati, sono disorientati dal mutamento dei valori e delle
prospettive nelle questioni fondamentali del lavoro, della famiglia e del
matrimonio.


3.3 L’ambivalenza del processo di individualizzazione

Il processo di individualizzazione confina l’individuo in una posizione
ambivalente in cui gli aspetti positivi e negativi della scelta lo rendono
responsabile in prima persona delle proprie azioni.
L’individuo, infatti, è oggi artefice dei propri successi e dei propri fallimenti.
Niente e nessuno possono restringere la sua libertà di scelta come niente e
nessuno lo alleggerisce dal peso delle sue decisioni.




                                        25
Nella società contemporanea aumenta, per Beck, l’autogestione di sé stessi
nel lavoro come nella vita e di conseguenza crescono anche le aspettative
dell’ambiente come dei singoli.
In un mondo che si autorappresenta come liberato dai vincoli, vittoria e
sconfitta sociale vengono viste come dipendenti dal singolo e quindi sono
l’immediato specchio del suo valore.
La separazione tra economia e politica, la diffusione del neo-liberalismo, il
venir meno in Europa dello stato sociale mostrano che l’uomo è chiamato a
realizzarsi come individuo isolato contando solo sulle proprie forze.
Emerge, quindi, l’idea di un individuo impegnato nel laborioso e solitario
lavoro di costruzione e cura della propria individualità, del proprio stare e
vivere   bene,     del   proprio     equilibrio   psico-fisico,   resi   necessari
dall’obbligatorietà di costruire il proprio futuro.
Fare la scelta giusta genera in chi la compie la soddisfazione di sentirsi
realizzato per aver sviluppato le proprie potenzialità in piena autonomia
senza aiuti o costrizioni dall’esterno.
Nella costruzione dell’individualità, però, possono nascere sensazioni di
vuoto interiore, di solitudine e di mancanza di autenticità dovute alle
condizioni inumane che permeano le società contemporanee, ai pericoli e
all’incertezza che sovrastano l’individuo e alla perdita di fiducia nel futuro e
nella politica. È, infatti, in atto un processo in virtù del quale il permanere
delle disuguaglianze e il sempre più diffuso disagio dell’uomo contemporaneo
a vivere in una società complessa, è vissuto come fallimento o insuccesso
individuale.



                                          26
Il narcisismo, l’edonismo, l’egoismo dell’uomo contemporaneo ma anche una
nuova fiducia nelle proprie forze e capacità e un senso inedito di
responsabilità rispetto a quanto avviene nel mondo non sono l’esito di una
piena affermazione del sé, ma il prodotto di un complesso di norme e di
regole che impongono agli attori sociali di progettarsi, di riflettere e vivere
come individui responsabili in toto della propria vita individuale come di
quella collettiva.




                                      27
CONSIDERAZIONI CONCLUSIVE


In questo lavoro ho cercato di analizzare il dibattito relativo alla costruzione
della categoria dell’incertezza facendo riferimento al pensiero di tre
importanti sociologi contemporanei: Anthony Giddens, Zygmunt Bauman e
Ulrich Beck, attenti osservatori della contemporaneità che definiscono
utilizzando diverse dizioni. Giddens usa la dizione di modernità radicale,
Bauman di post-modernità, Beck di seconda modernità.
Nonostante le differenze terminologiche, il loro pensiero converge nella
constatazione che l’incertezza è sempre più presente nella nostra società fino
a diventarne l’elemento caratterizzante. Infatti il rischio, la flessibilità, gli
squilibri socio-economici, le crisi del mondo e delle sue istituzioni, uniti ad
una faticosa transizione verso assetti globali sempre meno stabili, segnano in
ogni caso, per tutti e tre, l’ingresso in un’epoca sempre più incerta.
I tre autori, quindi, concordano nel definire il presente come società
dell’incertezza mentre si differenziano nei percorsi teorici attraverso i quali essa
si costruisce.
Nel presentare la produzione sull’incertezza e le tesi ad essa relative di ogni
singolo autore non è stata casuale la decisione di iniziare il mio lavoro
muovendo dalle posizioni di Giddens. Infatti, il sociologo inglese pone le
premesse per un’analisi dei motivi che sottendono l’entrata del mondo
contemporaneo in una modernità radicale durante la quale essa produce
processi di cambiamento e di modernizzazione talmente rapidi e globali da
far sì che l’individuo viva costantemente in un universo di eventi che sono
sottratti al suo controllo.

                                        28
Secondo Giddens questi cambiamenti sono la causa principale dell’affermarsi
del processo di disembedding, cioè dello sradicamento dei rapporti sociali dai
contesti locali di interazione e della loro ristrutturazione su archi spazio
temporali indefiniti e globali. L’eterno cambiamento, unito ai processi di
sradicamento che da esso derivano, rappresentano per Giddens la causa
principale del propagarsi dello smarrimento e dell’incertezza che, per
l’individuo contemporaneo, rappresentano la quotidianità con cui convivere.
Nel proseguire nella disanima dei modi attraverso i quali si è venuta
costruendo la categoria dell’incertezza, la mia attenzione si è rivolta alle teorie
sviluppate da Bauman.
Il sociologo polacco, muovendo dal pensiero freudiano, sottolinea come la
caratteristica principale della società contemporanea sia la presenza di un
forte senso di incertezza. L’autore attribuisce la causa di tale incertezza alla
dissoluzione delle stesse fabbriche della certezza. Infatti la chiesa, la scuola,
l’esercito, gli stabilimenti industriali, che definivano le regole di vita nella
modernità, coercizzavano tutti gli individui, ma li liberavano anche
dall’incertezza di un futuro non prevedibile. Quindi, se per Freud il disagio
dell’uomo moderno dipendeva da una rigida regolamentazione della libertà
individuale, in nome della sicurezza sociale, per Bauman nella post-modernità la
libertà individuale regna sovrana: ad ogni individuo, infatti, spetta il compito,
il dovere di autogestirsi nelle proprie attività, di controllare sé stesso e di
badare alla propria autoformazione attraverso processi crescenti di riflessività.
L’incertezza della società contemporanea è generata, quindi, dal diffondersi di
una sensazione di disagio strutturalmente propria di una ricerca individuale
connotata dalla perdita delle sicurezze e delle certezze.

                                        29
Beck sembra portare a compimento il percorso cognitivo relativo
all’incertezza evidenziando le conseguenze che egli rende visibili descrivendo
il processo di individualizzazione.
Tale processo caratterizza la vita quotidiana di tutti gli individui attraverso
forti elementi di ambivalenza infatti, se da una parte l’individuo è costretto a
scrivere la propria biografia, dall’altra vive con angoscia gli esiti delle sue scelte.
L’individuo, così, diventando l’artefice del proprio destino, è responsabile sia
dei successi che dei fallimenti prodotti dalle sue scelte autonome.
La soddisfazione per aver fatto la scelta giusta, come l’angoscia per una
decisione rivelatasi sbagliata, condannano l’individuo in una posizione
eternamente ambivalente, in cui la biografia del fai da te può facilmente
degenerare in una biografia del fallimento.
L’incertezza, per i tre autori considerati, lungi dall’essere la conseguenza di
particolari eventi, rappresenta la condizione di normalità in cui hanno luogo i
diversi processi del tempo contemporaneo.
L’incertezza è, dunque, la condizione imprescindibile dentro la quale i
soggetti contemporanei vivono la propria esistenza.




                                            30

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La costruzione dell'incertezza nel dibattito contemporaneo

  • 1. INTRODUZIONE Il presente lavoro si propone di ripercorrere il dibattito sulla costruzione dell’incertezza come emerge dai contributi di tre autori europei contemporanei di grande rilievo: Anthony Giddens, Zygmunt Bauman, Ulrich Beck. Nel primo capitolo presenterò la posizione di Giddens con particolare riferimento alle analisi relative a ciò che egli identifica come conseguenze della modernità. Per il sociologo inglese, infatti, viviamo in una fase della modernità che egli definisce radicale perché caratterizzata dal processo di disembedding, cioè da un vero e proprio sradicamento dei rapporti sociali dai contesti locali che per millenni hanno contribuito alla loro produzione. Nel secondo capitolo analizzerò il pensiero di Bauman, che riscontra nell’incertezza la caratteristica principale della nostra società. Il sociologo polacco muove dalle tesi freudiane relative al disagio della modernità per studiare il cambiamento della categoria dell’incertezza nel suo passaggio dalla modernità alla post-modernità. Secondo Bauman, l’analisi delle cause di questa trasformazione è fondamentale per la valutazione delle conseguenze, oggi riscontrate, nell’ambito sociale e in quello lavorativo. Nel terzo capitolo valuterò la posizione di Beck con riferimento all’ambivalenza del processo che egli definisce con il termine individualizzazione. Tale processo, che per il sociologo tedesco ha luogo nel passaggio dalla società del rischio globale a quella dell’incertezza individuale, assegna una maggiore responsabilizzazione ad ogni uomo nel disegnare il proprio percorso biografico.
  • 2. CAPITOLO 1 LE CONSEGUENZE DELLA MODERNITÀ: IL CONTRIBUTO DI ANTHONY GIDDENS 1.1 La modernità radicale Nelle scienze sociali il termine modernità si riferisce a quei modi di vita e di organizzazione sociale che sono affiorati in Europa intorno al XVII secolo e che hanno progressivamente esteso la loro influenza al mondo occidentale. Con la fine del XX secolo, all’ interno delle scienze sociali, si è sviluppato un acceso dibattito riguardante l’avvenuto o meno superamento della modernità. All’interno di tale confronto Giddens ed altri sociologi si sono chiesti se la categoria del moderno, già conosciuta, sia ancora sufficiente per contenere al proprio interno quei fenomeni sociali che caratterizzano sempre più i nostri giorni oppure se essa sia superata a favore di altre categorie che considerano la modernità come finita e conclusa. Tra coloro che hanno accettato la tesi del superamento della modernità spicca il nome di François Lyotard, il quale ha introdotto per la prima volta il termine di post–modernità per indicare un periodo caratterizzato dal “dissolversi della grande narrazione” e cioè di quella “trama generale attraverso la quale troviamo una nostra collocazione nella storia come esseri forniti di un passato ben definito e di un futuro prevedibile”. (Lyotard, 1990, cit. in Giddens, 1990, 16) Con il termine post-modernità, quindi, si vuole indicare l’avvenuto superamento della modernità e l’entrata in una nuova epoca caratterizzata da un 2
  • 3. allontanamento dai tentativi di fondare una teoria della conoscenza relativa all’organizzazione sociale e dalla perdita di fede in un progresso controllato dall’uomo. Per Giddens, invece, non è sufficiente inventare nuovi termini per indicare l’avvenuto passaggio; infatti, egli sostiene che “non siamo ancora usciti dalla modernità ma dobbiamo guardare di nuovo alla sua natura in quanto, anziché andare incontro ad un’era post-moderna, stiamo entrando in un’era in cui le conseguenze della modernità si fanno sempre più radicali ed universali”. (Giddens, 1990, 16) A suo avviso non abbiamo superato la modernità, al contrario siamo nel mezzo di una fase di radicalizzazione durante la quale essa ha subito processi di cambiamento e di modernizzazione talmente rapidi ed universali da impigliare l’individuo in un universo di eventi, che in buona parte sembrano sottrarsi al suo controllo. Questi cambiamenti sono la causa principale dell’affermarsi del processo di disembedding e cioè di sradicamento dei rapporti sociali dai contesti locali di interazione per ristrutturarli su archi spazio temporali indefiniti e globali. Infatti, per Giddens i modi di vita introdotti dalla modernità hanno allontanato l’individuo dai tipi tradizionali di ordinamento sociale, tanto per estensione che per intensità, in quanto le trasformazioni legate alla modernità hanno contribuito a stabilire sul piano estensionale forme di connessioni sociali che interessano l’intero pianeta e, sul piano intensionale, hanno modificato alcuni degli aspetti più intimi e personali della nostra esistenza quotidiana. Pertanto il disorientamento presente nelle nostre società non dipende dall’impossibilità di un sapere sistematico e continuo in riferimento all’orga- nizzazione sociale, come affermava Lyotard, ma è causato dalla capacità che 3
  • 4. la modernità ha di pensare se stessa e, quindi, di cambiare continuamente per adattarsi alle nuove esigenze. È questo eterno cambiamento, unito ai processi di sradicamento che da esso derivano, la causa principale del propagarsi di una sensazione di smarrimento e di incertezza che posiziona l’uomo all’interno di un mondo denso di pericoli in cui l’unica certezza è la combinazione tra rischi e opportunità. 1.2 Il processo di disembedding Secondo Giddens il processo di disembedding decontestualizza l’individuo, proiettandolo in una nuova dimensione globale, in cui le vecchie certezze, che si basavano sulla tradizione e la consuetudine, vengono sostituite da altre più idonee a regolamentare un mondo che cambia in continuazione. Per l’autore questi processi dipendono: 1. dalla separazione del tempo e dello spazio e dalla loro ricombinazione in dimensioni standardizzate e vuote necessarie per una organizzazione razionalizzata della società. La separazione del tempo e dello spazio comporta, infatti, il declino delle interazioni faccia a faccia e favorisce i rapporti tra persone assenti in quanto localmente distanti. Queste relazioni che avvengono in condizioni di lontananza e contemporaneità hanno come conseguenza la creazione di un nuovo tipo di comunità slegata dal luogo e dalla compresenza fisica tra le persone. Nella società moderna, infatti, l’uomo è decontestualizzato e proiettato in una globalità spazio temporale in cui deve avere completa fiducia in una 4
  • 5. serie di processi per lui difficilmente comprensibili ma che, in ogni caso, regolano tutta la sua esistenza. 2. dalla disaggregazione dei sistemi sociali la quale proietta l’individuo in una società globale che si regge sulla fiducia in sistemi sempre più astratti. A questo proposito Giddens introduce i concetti di: • emblemi simbolici per indicare quei “mezzi di interscambio che possono passare di mano senza tener conto delle caratteristiche specifiche degli individui o dei gruppi che li utilizzano in qualsiasi particolare frangente”. (Giddens, 1990, 32). Secondo Giddens, a titolo d’esempio, la moneta rappresenta il maggiore emblema simbolico poiché permette l’attuazione di transazioni economiche tra individui separati nel tempo e nello spazio. • sistemi esperti per indicare quei “sistemi di realizzazione tecnica o di competenza professionale che organizzano ampie aree negli ambienti materiali e sociali nei quali viviamo oggi”, (Giddens, 1990, 37), influendo in maniera continuativa su molti aspetti del nostro agire. Infatti, ad esempio, quando usciamo di casa e saliamo in macchina entriamo in ambienti completamente pervasi di sapere esperto in quanto, pur sapendo molto poco di come si costruisce una automobile o una strada, ci fidiamo di coloro a cui viene riconosciuta una elevata competenza in merito. La separazione del tempo e dello spazio è quindi strettamente collegata all’esistenza degli emblemi simbolici e dei sistemi esperti: entrambi forniscono garanzie di aspettative attraverso lo spazio-tempo distanziato e non più 5
  • 6. locale permettendo lo stiramento dei sistemi sociali su archi spazio temporali indefiniti e globali che poggiano sulla categoria della fiducia. 3. dalla appropriazione riflessiva del sapere, cioè dalla capacità che la modernità ha di riordinare in modo riflessivo i rapporti sociali alla luce dei nuovi dati acquisiti. Nella modernità, infatti, la revisione delle certezze diviene un fenomeno radicale che si applica a tutti gli aspetti della vita umana, cambiandoli o modificandoli. A causa della capacità della modernità di comprendere sé stessa e, quindi, di cambiare in base alle necessità globali, l’equazione sapere = certezza si è rivelata impostata non correttamente; infatti, per Giddens, vivendo in un mondo interamente costituito da un sapere applicato riflessivamente, non si può “mai essere sicuri che qualsiasi elemento di questo sapere non venga messo in discussione”. (Giddens, 1990, 47) 1.3 Come il processo di disembedding crea incertezza Giddens considera la modernità un fenomeno bivalente, in cui sicurezza e pericolo, fiducia e rischio interagiscono ogni giorno fornendo agli individui sia certezze che incertezze. Lo sviluppo delle istituzioni sociali moderne (capitalismo, industrialismo, capacità di sorveglianza, controllo dei mezzi della violenza) e la loro diffusione mondiale hanno concesso all’uomo molte più opportunità di trascorrere un’esistenza sicura, ma, allo stesso tempo, hanno creato un lato oscuro in cui il rischio regna da padrone: “se da un lato i meccanismi di disaggregazione hanno conferito al mondo attuale vasti spazi di sicurezza e 6
  • 7. fiducia, dall’altro i rischi e i pericoli che ne sono derivati sono davvero formidabili.”. (Giddens, 1990, 126) La decisione di assoggettare i propri interessi in nome di un’organizzazione sociale in grado di regolare la vita di ogni individuo non è sufficiente per coprire i lati oscuri della modernità. Al contrario, per Giddens, ne rappresenta il fattore determinante, infatti: 1. l’organizzazione del lavoro moderno ha come conseguenza l’assoggettamento delle forze produttive ed il problema ecologico; 2. l’organizzazione del potere politico ha contribuito all’avvento del totalitarismo; 3. l’organizzazione del potere militare, inizialmente per uso pacifico, si è successivamente trasformato nel fenomeno dell’industrializzazione della guerra. La tesi secondo cui l’avvento della modernità avrebbe portato alla nascita di un ordine sociale più sicuro e più felice è, dunque, da rivedere e da riconsiderare alla luce delle conseguenze che essa ha realmente introdotto e che sono collegate ai processi di disembedding. L’uomo, subendo passivamente questi meccanismi di distacco, è costretto a convivere con uno stato di incertezza, in cui la fiducia nel progresso e nella necessità di affidare la propria vita agli altri, viene oscurata da una sempre maggiore divisione spazio temporale che lo allontana dalle certezze che prima regolavano la sua esistenza. Ogni uomo moderno è costretto a vivere un’esistenza piena di rischi dei quali nessuno può essere ritenuto responsabile: tale assenza di responsabilità rafforza il senso di incertezza e di insicurezza. 7
  • 8. Molti sociologi, tra cui Beck, su cui ci soffermeremo in seguito, considerano tali rischi gli elementi chiave della natura travolgente e mostruosa della modernità. Lo stesso Giddens identifica la modernità con un “bisonte della strada, un mostro di enorme potenza che collettivamente, come essere umani, riusciamo in qualche modo a governare ma che minaccia di sfuggire al nostro controllo e andarsi a schiantare. Il mostro schiaccia coloro che gli resistono e se a volte sembra seguire un percorso regolare, in altre occasioni sterza bruscamente e sbanda in direzioni che non possiamo prevedere". (Giddens, 1990, 138) Il percorso della modernità non è certo privo di piaceri e compensi, ma allo stesso tempo gli individui non saranno mai in grado di controllare la rotta del viaggio e, quindi, non si troveranno mai nella condizione di sentirsi del tutto al sicuro. 8
  • 9. CAPITOLO 2 LA SOCIETÀ DELL’INCERTEZZA PER ZYGMUNT BAUMAN 2.1 Dal disagio della civiltà di Freud al disagio della post-modernità Bauman nel libro La società dell’incertezza muove dal pensiero freudiano contenuto nel saggio Il Disagio della civiltà per introdurre la questione del disagio della post-modernità. Freud, infatti, sottolinea come la modernità, intesa come cultura e civiltà, ha a che fare con la bellezza, la pulizia e l’ordine. Queste categorie sono acquisizioni a cui l’uomo non sa più rinunciare, ma può ottenerle solo in cambio delle restrizioni alle pulsioni e alla libertà individuale di procurarsi il piacere. Per Freud, infatti, l’uomo moderno ha sacrificato una parte della sua libertà individuale in cambio di una esistenza più sicura. In questo scambio l’uomo guadagna certezze e sicurezza, ma perde irrimediabilmente qualcosa. In una civiltà che sceglie di limitare la libertà in nome della sicurezza cresce, dunque, la frustrazione: “il disagio, profondamente intrecciato alla modernità, nasce da un eccesso di ordine e dalla sua inseparabile compagna la morte della libertà”. (Bauman, 1999, 9) Esso nasce, quindi, da un tipo di sicurezza che assegna alla libertà un ruolo troppo limitato nella ricerca della felicità individuale. Bauman articola il suo pensiero muovendo da considerazioni diametralmente opposte rispetto a quelle di Freud. Per il sociologo, la libertà individuale, nella post-modernità, è il valore in base al quale tutti gli altri valori devono essere valutati e il metro di misura con cui è verificata l’adeguatezza 9
  • 10. di ogni norma e decisione. Nello scambio tra libertà e sicurezza qualcosa va però irrimediabilmente perduto. Per Bauman, la tesi di Freud mantiene la sua forza oggi come un tempo, solo che i guadagni e le perdite hanno invertito le loro posizioni. Nella post-modernità l’uomo scambia una parte della sua possibilità di sicurezza per un po’ di felicità. Ad una maggiore libertà, però, corrisponde il diffondersi di una sensazione di disagio dovuta ad una insaziabile ricerca di un piacere che limita la sicurezza individuale. Pur partendo da idee e considerazioni opposte i due autori arrivano alla stessa conclusione: una condizione di libertà senza sicurezza non assicura una quantità di felicità maggiore rispetto ad una sicurezza senza libertà. “Se la noia e la monotonia pervadono le giornate di coloro che inseguono la sicurezza, l’insonnia e gli incubi infestano le notti di chi persegue la libertà. In entrambi i casi la felicità va perduta”. (Bauman, 1999, 10) In questo eterno gioco di preferenze tra sicurezza e libertà non ci sono né vincitori né vinti: chi ha perso si consola con la speranza di vincere la prossima volta, facendo la scelta giusta, mentre, chi ha vinto convive con la paura di perdere, facendo in futuro la scelta sbagliata. I capricci della sorte rendono incerta la condizione di entrambi, ma l’incertezza è portatrice di messaggi differenti: ai perdenti dice che non tutto è ancora perduto, mentre ai vincenti sussurra che ogni trionfo tende ad essere precario. Il perdente si ferma prima della disperazione, il vincitore si ferma prima di raggiungere l’assoluta certezza dei propri mezzi. Entrambi scommettono sulla libertà di scelta ma entrambi hanno motivo di 10
  • 11. lamentarsi: così Bauman può sostenere che nessuno accetta restrizioni alla libertà, come nessuno è totalmente sordo al fascino della certezza. D’altra parte, per il sociologo, non è per nulla scontata la soluzione che l’uomo contemporaneo preferirebbe, se potesse, scegliere tra i tormenti della libertà e la tranquillità della certezza che solo la mancanza di libertà può offrirgli. Tale possibilità di scelta non gli è data: la libertà è il suo destino. L’uomo lotta strenuamente contro un mondo sempre più incerto; per riuscire a viverci mette a punto e organizza senza sosta la ricerca febbrile di mezzi per trarre il massimo vantaggio da una condizione di libertà non scelta ma assolutamente reale. Per Bauman questa ricerca febbrile è la causa dell’incertezza: la fonte di ansietà o di disagio dominante deriva dal fatto che bisogna fare qualcosa. Questa è incertezza. L’incertezza non è più vinta dalle fabbriche dell’ordine della modernità, ma deve essere vinta da ogni individuo con i propri mezzi; qualsiasi rimedio o soluzione parziale dovranno essere pensati per un mondo completamente individualizzato. 2.2 Il cambiamento della categoria dell’incertezza nel passaggio dalla modernità alla post-modernità Bauman definisce la società contemporanea o postmoderna come la società dell’incertezza, quella stessa incertezza il cui spettro era stato esorcizzato nell’epoca moderna attraverso una rigida regolamentazione. 11
  • 12. La modernità è emersa come una risposta non scelta e non voluta al crollo dell’ancien règime e può essere descritta come la storia di una lunga fuga dal grande terrore che il crollo del vecchio regime ha generato. Per Bauman questo terrore era dovuto all’incertezza e, cioè, all’incapacità di comprendere ciò che accadeva e il non sapere come procedere. La paura dell’ignoto si era diffusa liberamente non appena la rigida regolamentazione era venuta meno. Si rendeva quindi necessaria l’instaurazione di un nuovo ordine globale in cui la certezza di una condizione uniforme e omogenea voluta dal potere e costruita su misura doveva colmare il vuoto lasciato dalle certezze radicate nella consuetudine. Per questo motivo Freud sosteneva che l’uomo moderno ha rinunciato ad un po’ di libertà per un po’ di sicurezza. Nella modernità la società era controllata dalla torre centrale del moderno Panopticon per mezzo delle fabbriche dell’ordine deliberatamente strutturate per ottenere il risultato prestabilito, quello cioè di “restaurare la certezza, eliminare la casualità, rendere i comportamenti dei propri membri regolari e prevedibili, o ancora meglio certi”. (Bauman, 1999, 102). In altre parole rendere più sicura la vita degli individui. Le scuole, le caserme, gli ospedali e le cliniche psichiatriche, gli ospizi, le prigioni, gli insediamenti industriali, tutte fabbriche della certezza, servivano per formare le nuove generazioni, per curare i malati, per sorvegliare i pazzi, per aiutare i deboli, per riformare i depravati ….. chiamateli soldati, monaci o macchine, ma il prodotto delle fabbriche dell’ordine sarà sempre l’instaurazione di una esistenza più certa, quindi più felice, perché 12
  • 13. l’incertezza era la fonte più profonda della loro infelicità. Eliminato dall’esistenza lo spettro dell’incertezza e sostituito con la certezza della necessità di una rigida regolamentazione, l’uomo è quasi alla meta: “il felice mondo dell’ordine ricostituito”. (Bauman, 1999, 102). In questo senso il rimedio moderno per l’incertezza si riassume in una limitazione del dominio della scelta. Ristabilire l’ordine attraverso l’imposizione di una rigida regolamentazione era un’idea attuabile solo se tutti gli individui fossero stati messi sotto l’influenza di una o più istituzioni panottiche. La legislazione moderna ha fatto proprio questo principio, estendendo l’obbligatorietà del periodo scolastico, rendendo obbligatorio il servizio militare e mettendo in stretta connessione i mezzi di sussistenza con l’avere un lavoro fisso. Tutte insieme, le numerose fabbriche della certezza e dell’ordine, con le loro diverse funzioni di sorveglianza, addestramento, regolamentazione, hanno sostituito la paura dell’incertezza con quella della trasgressione delle norme, del timore della devianza e delle sanzioni punitive esercitando così il controllo sull’intero corso della vita dell’uomo. L’altra parte della popolazione, le donne, erano, invece, sottoposte alla sorveglianza del maschio, che era di fatto il capofamiglia cui era dovuta obbedienza e rispetto assoluto. Attraverso la famiglia, speciale agenzia di sorveglianza, le organizzazioni panottiche hanno esercitato un potere capillare e penetrante. Esse, infatti, modellando gli uomini, prima di tutto, come loro membri effettivi o futuri, erano le fonti più importanti di certezza. 13
  • 14. Per la maggior parte della popolazione maschile questo particolare aspetto era rappresentato dalle fabbriche e dalle caserme. L’acquisizione della certezza incominciava con il superamento dei tests di ingresso previsti per l’assunzione al lavoro o per l’ammissione alla carriera militare. L’idoneità prevedeva la capacità di eseguire lavori in fabbrica o di ricoprire incarichi militari. In entrambi i casi si richiedeva un fisico sano e robusto. Lo standard di forza e di debolezza era definito dalla tipologia di attività svolte nelle fabbriche e nell’esercito. Il timore di un presunto o vero degrado fisico delle classi più povere è stato una delle maggiori preoccupazioni di politici, medici, educatori e militari del XIX secolo non solo per le negative conseguenze sul potenziale economico e militare della nazione, ma soprattutto perché metteva a rischio il mantenimento della stessa struttura sociale: la legge e l’ordine erano amministrati con l’aiuto delle fabbriche e delle caserme. L’uomo che non aveva caratteristiche fisiche idonee per lavorare o per essere arruolato era sostanzialmente fuori controllo e, quindi, rappresentava un pericolo per il sistema. Il degrado fisico, se non fosse stato fermato in tempo, sarebbe stato una sciagura per le nazioni civili. Nel corso del XX secolo la richiesta di lavoratori e di soldati è andata via via diminuendo in corrispondenza del progresso tecnologico che lo ha significativamente caratterizzato. Il progresso tecnologico, infatti, non ha creato nuova occupazione, anzi ha reso sempre più inutile il lavoro di massa e ha favorito lo sviluppo di lavori provvisori, part-time, flessibili, in gran parte eseguiti da donne e scarsamente strutturati, che hanno inevitabilmente sostituito i lavori 14
  • 15. industriali, in gran parte svolti dai maschi. Questa nuova tipologia di lavoro non è sufficiente a garantire all’ordine sociale quella stessa funzione fondante e disciplinante che la precedente aveva assicurato. Lo stesso cambiamento si è verificato per la carriera militare. Gli eserciti di massa sono stati sostituiti da quelli high-tech con conseguenti tagli al personale, ma molto più efficaci e adatti di quelli precedenti all’attuale modo di fare guerra. L’industria e l’esercito, intesi come fabbriche di certezze che esorcizzavano la paura, come agenzie di controllo capaci di dare solidi fondamenti e disciplina, hanno definitivamente perso la loro utilità. Pertanto, nel tempo della post-modernità, la paura dell’incertezza non è più tenuta sotto controllo dalle fabbriche dell’ordine, ma deve essere vinta da ogni individuo con i propri mezzi: l’insufficienza di rimedi esterni deve essere compensata da quelli costruiti in proprio. Il timore di non poter portare a termine il processo di autoformazione di tali rimedi genera la paura dell’inadeguatezza che sostituisce quella della devianza. L’inadeguatezza post-moderna deve essere interpretata, infatti, come l’incapacità di acquisire la forma e l’immagine desiderate, la difficoltà di rimanere sempre in movimento e di mantenersi sempre flessibili e pronti ad assumere modelli di comportamento differenti in base alle esigenze. Con il venir meno delle figure del capo, dell’insegnante, del sovrintendente, classiche figure dell’ordine moderno, sparisce anche la loro capacità di liberare l’individuo dal peso della responsabilità: ogni individuo è responsabile di sé stesso e delle proprie azioni. 15
  • 16. L’individuo ha il compito, il dovere di autogestirsi e di badare alla propria formazione, diventa, insieme, il sorvegliante e l’insegnante di sé stesso: l’individuo è libero nella prigione che si è liberamente costruito. Alla privatizzazione della gestione dell’incertezza corrisponde, comunque, la forza del mercato che provvede a servire il consumo privato. Il sentirsi inadeguati fa nascere l’ansia di prendere in considerazione, spontaneamente e non sotto coercizione, le molteplici proposte che il mercato offre per migliorare l’adeguatezza. L’individuo sfrattato dalla condizione di abitatore del Panopticon, in cui assumeva il ruolo di fornitore di beni, si è ritrovato nella condizione di consumatore di merci in cui assume il ruolo di cercatore di sensazioni. L’essere fornitore o consumatore rimanda a due differenti metodi di contrastare la paura dell’incertezza: collettivo nella modernità, individuale nella post-modernità. La paura dell’incertezza è l’unico aspetto che rimane immutato sebbene ora abbia preso le sembianze di “paura dell’inadeguatezza” (Bauman, 1999, 109) piuttosto che paura della devianza. 2.3 Le conseguenze della post-modernità Per Bauman, nell’era post-moderna, la libertà dell’individuo è il valore dominante cui tutte le norme sociali devono adeguarsi. Una delle conseguenze più importanti della progressiva emancipazione della libertà individuale di scelta è la divisione sempre più profonda tra i ricchi e chi non possiede nulla. 16
  • 17. Per il sociologo nella nostra epoca la povertà è un problema che viene rimosso culturalmente, attraverso la costruzione di un paradigma negativo del povero, non più considerato persona da aiutare, ma da catalogare nociva per la società in quanto limita l’esercizio delle libertà dei ricchi. I tentativi di risolvere il problema della povertà hanno risentito della crisi degli Stati moderni. La decostruzione delle fabbriche della certezza e dell’ordine ha causato la fine del welfare e l’affermarsi di un modello di risoluzione incentrato sulla degradazione del povero e sulla sua conseguente criminalizzazione. Il taglio delle spese per il welfare e per i sussidi sociali è inversamente proporzionale ai fondi investiti per la polizia, le prigioni, i servizi di sicurezza, i sistemi di allarme. Chi è già escluso dal “banchetto del consumismo” (Bauman, 1999, 18) o chi si trova sulla soglia dell’esclusione è rinchiuso, secondo Bauman, all’interno di muri invisibili, ma del tutto tangibili che delimitano i nuovi territori dell’emarginazione. Tagliare e restringere gli aiuti agli esclusi, incatenati alle manette dell’emarginazione, non aumenta tuttavia la libertà di chi è libero; al contrario sottrae a molti altri la possibilità di sentirsi liberi e di godere della propria libertà. La libertà individuale non si ottiene solo con gli sforzi di ogni singolo uomo ma con la creazione delle condizioni necessarie per estendere a tutti un pieno riconoscimento delle proprie libertà. Garantire a tutti un reddito sufficiente sarebbe, per Bauman, l’unica cura preventiva contro la paura della povertà. 17
  • 18. Un'altra conseguenza del valore supremo riconosciuto alla libertà è, per Bauman, la situazione che si avverte nel mondo del lavoro. I molti cambiamenti che stanno interessando questo mondo hanno introdotto profonde trasformazioni nella condizione occupazionale standard che prevedeva la centralità del lavoro salariato dipendente a tempo pieno e indeterminato. Le trasformazioni che hanno seguito il declino della catena di montaggio hanno prodotto un nuovo modello di produzione ed una nuova gestione del lavoro incentrata sulla flessibilità e sulla capacità di adattamento alle fluttuazioni della domanda e delle richieste dei consumatori. Il concetto di flessibilità sembra non avere un significato definito ed univoco: è il simbolo e la metafora delle attuali trasformazioni del mondo del lavoro. Se, per alcuni, è sinonimo di autonomia, adattabilità e mobilità, per Bauman è una condizione generatrice di incertezza e precarietà. La flessibilità non è da considerare solo un continuo pellegrinaggio da un lavoro all’altro, ma anche un mutamento significativo della percezione di sé, visto che uomini e donne sperimentano quotidianamente l’impossibilità di trasformare in un prossimo futuro le proprie esperienze lavorative in certezze durature. La flessibilità non è dunque un’opportunità, ma, per il sociologo, un rischio, un salto nel buio senza rete di protezione. Il capitalismo flessibile è segnato, quindi, da una sensazione di disorientamento, di ansia e di angoscia che derivano da una presenza di forme di lavoro atipico sempre crescente. 18
  • 19. Concludendo, Bauman sostiene che la flessibilità sembra essere oggi l’imperativo di tutte le attività economiche al quale la società si deve uniformare per obbedire alle regole del mercato. Il risultato finale di questa strategia è il significativo aumento dell’incertezza negli individui. 19
  • 20. CAPITOLO 3 I RISCHI DELLA LIBERTÀ: L’AMBIVALENZA DEL PROCESSO DI INDIVIDUALIZZAZIONE IN ULRICH BECK 3.1 Dalla società del rischio globale alla società dell’incertezza individuale Il sociologo tedesco Ulrich Beck analizza due periodi storici consecutivi che definisce rispettivamente prima e seconda modernità. La prima modernità è un’epoca caratterizzata da modelli di vita collettivi, dalla piena occupazione, dallo Stato nazione e dallo Stato sociale. Le basi di questo modello riguardano essenzialmente la negazione di determinati diritti fondamentali, un sistema corporativistico chiuso e classista e una organizzazione locale delle economie dei singoli paesi. La seconda modernità, invece, è caratterizzata dalle crisi ecologiche, dalla diminuzione del lavoro salariato, dall’individualismo, dalla globalizzazione e dal mutamento dei ruoli tra uomo e donna. Nel passaggio dalla prima alla seconda modernità, per Beck, vanno in crisi lo stato sociale e il modello della piena occupazione a favore di mercati globali; finisce la sicurezza assicurata dalla gerarchia, dalla burocrazia, dalle carriere preordinate, dalle occupazioni fisse e cresce l’esposizione ai rischi globali. Alla luce della universalizzazione dei rischi e, soprattutto, della loro percezione, Beck introduce negli anni ’80 la dizione Società del rischio come conseguenza dell’ormai incontrollabile potenza tecnologica, dell’eccezionale 20
  • 21. complessità della società contemporanea e dell’interdipendenza mondiale che trasferisce su scala globale i rischi locali. Dai rischi ecologici alla crescita di pericoli tradizionali come le guerre, dalla difficoltà di poter prevedere le conseguenze delle applicazioni scientifiche alla vulnerabilità di fronte a crisi che scoppiano in parti lontanissime del globo e sulle quali non si ha alcun controllo, l’uomo contemporaneo è sempre più consapevole di vivere in un mondo pieno di minacce. Ogni società ha avuto pericoli e ha corso rischi, probabilmente maggiori della nostra, ma, per il sociologo, oggi è aumentata la percezione del rischio nello stesso tempo in cui è aumentata la sua intangibilità e l’ansia di fronte ad esso. In particolare è cresciuta la percezione della nostra responsabilità: i rischi attuali sono generati da noi, sono il frutto della nostra modernità e producono sentimenti di ansia e di incertezza, ben diversi dal sentimento di fatalismo che contraddistingueva le società della prima modernità di fronte alle catastrofi. Negli anni ’90 il concetto di società del rischio, per Beck, si è allargato sino a definire una specifica condizione esistenziale dell’uomo nella società della seconda modernità. La flessibilità, nuovo credo della società postindustriale, le conseguenti trasformazioni del sistema produttivo e, in particolare, i tagli del welfare mettono oggi a rischio aspetti della vita individuale, come il lavoro, la pensione, la stessa salute. I rischi diventano individuali e i soggetti devono assumersi le responsabilità che prima erano gestite collettivamente dalle reti solidaristiche, comunitarie, parentali o dallo Stato. 21
  • 22. La società del rischio globale è sempre più anche società dell’incertezza individuale. Il concetto di società dell’incertezza non sottende solo negativamente la convivenza con nuovi e imprevedibili pericoli sociali, politici o tecnologici, ma anche quella positiva di opportunità: l’idea di rischio individuale si lega indissolubilmente all’idea di incertezza e di azzardo, alla possibilità di vincere o di perdere. La condizione post-moderna, infatti, è una condizione di libertà nella quale le reti protettive tradizionali sono saltate e ciascuno deve provvedere autonomamente e individualmente alla costruzione del proprio futuro. In essa non esiste più un sistema di certezze economiche e ideologiche a cui ancorare queste scelte, le quali, pertanto, contengono sempre più una quota di azzardo e di incertezza. La libertà di scelta comporta la responsabilità di scegliere: ad ogni scelta sono collegati nuove possibilità e nuovi rischi, possibilità di successo e rischi di sconfitta. Il rischio implicito in ogni scelta genera insicurezza e pericolo, ma rappresenta anche una sfida e un’opportunità. La conseguenza è un necessario aumento della responsabilità individuale. L’individuo contemporaneo, dunque, si trova costretto a scrivere la biografia della propria vita che si trasforma in biografia della scelta, in biografia riflessiva, in biografia del fai da te: deve pensare sempre più da solo al proprio futuro, alla propria formazione, alla propria salute e alla propria vecchiaia. Così aumenta la gestione di sé stessi nel lavoro come nella vita, ma aumentano anche la responsabilità e la possibilità di fare scelte sbagliate: “la biografia del fai da te può degenerare molto rapidamente in una biografia del fallimento”. (Beck, 1994, 6) 22
  • 23. 3.2 Il processo di individualizzazione nelle società moderne Il valore attribuito all’individualismo è un tratto costante della modernità, ma se inizialmente consisteva nel passaggio da un mondo del destino ad un mondo della scelta, come sosteneva Weber, con Beck si trasforma in obbligo di scelta. Il processo di individualizzazione consiste, dunque, in una crescente responsabilizzazione di ogni individuo nel disegnare il proprio percorso biografico. In esso si sovrappongono continuamente e ripetutamente due aspetti: 1. la dissoluzione di forme di vita sociale tradizionali e precostituite: la classe sociale, il ceto, la famiglia, il partito, la chiesa. 2. l’incombenza sui singoli di nuove pretese istituzionali, di nuovi controlli e di nuove costrizioni. L’accesso ad ogni diritto è sempre più condizionato dalla dimostrazione del possesso di determinati requisiti: il diritto alla pensione, la copertura assicurativa, il sussidio per l’educazione, l’aliquote d’imposta. Questi requisiti acquistano la caratteristica di un’esortazione a condurre una vita propria. La novità storica del processo di individualizzazione sta nella sua democratizzazione: ciò interessa non solo poche persone, ma è richiesto a molti, se non proprio a tutti. L’individuo è chiamato sempre più a costruire la propria biografia attraverso le proprie azioni, scelte e decisioni; non è più inserito in uno schema predefinito, ad esempio, dal ceto o dalla religione, ma è impegnato ogni giorno nel programmare la propria vita. 23
  • 24. Tutte le sue esigenze, il lavoro, i diritti, la partecipazione al reddito non sono imposti, ma lo esortano a programmare, a capire, a progettare, ad agire assumendosi le responsabilità anche dei possibili fallimenti. La biografia di ogni individuo si trasforma in riflessiva, in biografia del fai da te: non ci sono più limiti e condizioni date, ma tutto deve essere scelto e deciso individualmente, non una volta per tutte ma costantemente. L’individuo, chiamato a realizzarsi e a progettarsi senza più l’ombrello protettivo della tradizione e dei moderni sistemi di appartenenza, si trova a raccogliere la sfida di una biografia del fai da te, che unisce elevati livelli di libertà, di rischio e provoca una crescente insicurezza. In questo modo ogni biografia può facilmente degenerare da biografia del successo a biografia del fallimento. L’individuo è oggi artefice dei suoi successi e dei suoi fallimenti, niente e nessuno lo alleggerisce, dunque, dal peso delle proprie decisioni. Questa situazione obbligata confina l’individuo in una posizione in cui l’incertezza che scaturisce dall’aver fatto la scelta giusta o sbagliata lo rende sempre più insicuro: “stiamo diventando, nelle cose che più abbiamo in comune così come in quelle più private, titubanti come funamboli sotto il tendone del circo” (Beck, 1994, 6), perché non si è mai certi di aver programmato, scelto e lottato per qualcosa che realmente migliori la nostra situazione. La condanna a decidere, a ricominciare sempre da capo ed il rischio sempre presente del fallimento generano paure nell’individuo che possono provocare forme crescenti di incertezza. 24
  • 25. Per meglio sottolineare la presenza nelle società moderne del processo di individualizzazione, l’autore descrive il cambiamento verificatosi nella società cinese. Per Beck, quando in Cina vigeva il sistema collettivistico, era impossibile fare delle scelte sia nella vita privata che in quella lavorativa. La rete di sicurezza del sistema comunista garantiva la ciotola di riso, la casa, la formazione, la copertura sanitaria a tutti. Questa forma di tutela dalla culla alla bara, legata ai collettivi di fabbrica o all’agricoltura, si sta dissolvendo e ad essa stanno subentrando contratti di lavoro che legano il reddito e il posto assicurato alle capacità e alla produttività. Oggi, anche in Cina, ci si aspetta che le persone prendano in mano la propria vita. Gli abitanti delle città cinesi, però, non si stancano di ripetere che non ce la fanno a reggere ritmi di vita così serrati, sono disorientati dal mutamento dei valori e delle prospettive nelle questioni fondamentali del lavoro, della famiglia e del matrimonio. 3.3 L’ambivalenza del processo di individualizzazione Il processo di individualizzazione confina l’individuo in una posizione ambivalente in cui gli aspetti positivi e negativi della scelta lo rendono responsabile in prima persona delle proprie azioni. L’individuo, infatti, è oggi artefice dei propri successi e dei propri fallimenti. Niente e nessuno possono restringere la sua libertà di scelta come niente e nessuno lo alleggerisce dal peso delle sue decisioni. 25
  • 26. Nella società contemporanea aumenta, per Beck, l’autogestione di sé stessi nel lavoro come nella vita e di conseguenza crescono anche le aspettative dell’ambiente come dei singoli. In un mondo che si autorappresenta come liberato dai vincoli, vittoria e sconfitta sociale vengono viste come dipendenti dal singolo e quindi sono l’immediato specchio del suo valore. La separazione tra economia e politica, la diffusione del neo-liberalismo, il venir meno in Europa dello stato sociale mostrano che l’uomo è chiamato a realizzarsi come individuo isolato contando solo sulle proprie forze. Emerge, quindi, l’idea di un individuo impegnato nel laborioso e solitario lavoro di costruzione e cura della propria individualità, del proprio stare e vivere bene, del proprio equilibrio psico-fisico, resi necessari dall’obbligatorietà di costruire il proprio futuro. Fare la scelta giusta genera in chi la compie la soddisfazione di sentirsi realizzato per aver sviluppato le proprie potenzialità in piena autonomia senza aiuti o costrizioni dall’esterno. Nella costruzione dell’individualità, però, possono nascere sensazioni di vuoto interiore, di solitudine e di mancanza di autenticità dovute alle condizioni inumane che permeano le società contemporanee, ai pericoli e all’incertezza che sovrastano l’individuo e alla perdita di fiducia nel futuro e nella politica. È, infatti, in atto un processo in virtù del quale il permanere delle disuguaglianze e il sempre più diffuso disagio dell’uomo contemporaneo a vivere in una società complessa, è vissuto come fallimento o insuccesso individuale. 26
  • 27. Il narcisismo, l’edonismo, l’egoismo dell’uomo contemporaneo ma anche una nuova fiducia nelle proprie forze e capacità e un senso inedito di responsabilità rispetto a quanto avviene nel mondo non sono l’esito di una piena affermazione del sé, ma il prodotto di un complesso di norme e di regole che impongono agli attori sociali di progettarsi, di riflettere e vivere come individui responsabili in toto della propria vita individuale come di quella collettiva. 27
  • 28. CONSIDERAZIONI CONCLUSIVE In questo lavoro ho cercato di analizzare il dibattito relativo alla costruzione della categoria dell’incertezza facendo riferimento al pensiero di tre importanti sociologi contemporanei: Anthony Giddens, Zygmunt Bauman e Ulrich Beck, attenti osservatori della contemporaneità che definiscono utilizzando diverse dizioni. Giddens usa la dizione di modernità radicale, Bauman di post-modernità, Beck di seconda modernità. Nonostante le differenze terminologiche, il loro pensiero converge nella constatazione che l’incertezza è sempre più presente nella nostra società fino a diventarne l’elemento caratterizzante. Infatti il rischio, la flessibilità, gli squilibri socio-economici, le crisi del mondo e delle sue istituzioni, uniti ad una faticosa transizione verso assetti globali sempre meno stabili, segnano in ogni caso, per tutti e tre, l’ingresso in un’epoca sempre più incerta. I tre autori, quindi, concordano nel definire il presente come società dell’incertezza mentre si differenziano nei percorsi teorici attraverso i quali essa si costruisce. Nel presentare la produzione sull’incertezza e le tesi ad essa relative di ogni singolo autore non è stata casuale la decisione di iniziare il mio lavoro muovendo dalle posizioni di Giddens. Infatti, il sociologo inglese pone le premesse per un’analisi dei motivi che sottendono l’entrata del mondo contemporaneo in una modernità radicale durante la quale essa produce processi di cambiamento e di modernizzazione talmente rapidi e globali da far sì che l’individuo viva costantemente in un universo di eventi che sono sottratti al suo controllo. 28
  • 29. Secondo Giddens questi cambiamenti sono la causa principale dell’affermarsi del processo di disembedding, cioè dello sradicamento dei rapporti sociali dai contesti locali di interazione e della loro ristrutturazione su archi spazio temporali indefiniti e globali. L’eterno cambiamento, unito ai processi di sradicamento che da esso derivano, rappresentano per Giddens la causa principale del propagarsi dello smarrimento e dell’incertezza che, per l’individuo contemporaneo, rappresentano la quotidianità con cui convivere. Nel proseguire nella disanima dei modi attraverso i quali si è venuta costruendo la categoria dell’incertezza, la mia attenzione si è rivolta alle teorie sviluppate da Bauman. Il sociologo polacco, muovendo dal pensiero freudiano, sottolinea come la caratteristica principale della società contemporanea sia la presenza di un forte senso di incertezza. L’autore attribuisce la causa di tale incertezza alla dissoluzione delle stesse fabbriche della certezza. Infatti la chiesa, la scuola, l’esercito, gli stabilimenti industriali, che definivano le regole di vita nella modernità, coercizzavano tutti gli individui, ma li liberavano anche dall’incertezza di un futuro non prevedibile. Quindi, se per Freud il disagio dell’uomo moderno dipendeva da una rigida regolamentazione della libertà individuale, in nome della sicurezza sociale, per Bauman nella post-modernità la libertà individuale regna sovrana: ad ogni individuo, infatti, spetta il compito, il dovere di autogestirsi nelle proprie attività, di controllare sé stesso e di badare alla propria autoformazione attraverso processi crescenti di riflessività. L’incertezza della società contemporanea è generata, quindi, dal diffondersi di una sensazione di disagio strutturalmente propria di una ricerca individuale connotata dalla perdita delle sicurezze e delle certezze. 29
  • 30. Beck sembra portare a compimento il percorso cognitivo relativo all’incertezza evidenziando le conseguenze che egli rende visibili descrivendo il processo di individualizzazione. Tale processo caratterizza la vita quotidiana di tutti gli individui attraverso forti elementi di ambivalenza infatti, se da una parte l’individuo è costretto a scrivere la propria biografia, dall’altra vive con angoscia gli esiti delle sue scelte. L’individuo, così, diventando l’artefice del proprio destino, è responsabile sia dei successi che dei fallimenti prodotti dalle sue scelte autonome. La soddisfazione per aver fatto la scelta giusta, come l’angoscia per una decisione rivelatasi sbagliata, condannano l’individuo in una posizione eternamente ambivalente, in cui la biografia del fai da te può facilmente degenerare in una biografia del fallimento. L’incertezza, per i tre autori considerati, lungi dall’essere la conseguenza di particolari eventi, rappresenta la condizione di normalità in cui hanno luogo i diversi processi del tempo contemporaneo. L’incertezza è, dunque, la condizione imprescindibile dentro la quale i soggetti contemporanei vivono la propria esistenza. 30