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Simone Cerrina Feroni
Note per una discussione su un tema chiave
I SERVIZI ALL'IMPIEGO: "TARDO MODERNI" SERVIZI DI
COMUNITA' ?
In Italia, nonostante una crisi internazionale comparabile con quella degli anni '30, e nonostante
l'inequivocabile dettato costituzionale dell'Art.1 e quello delle delle convenzioni internazionali,
appare singolare che pochi riflettano sulle riforme e sulla evoluzione dei servizi per l'impiego.
L'argomento pare quasi rimosso: c'è scarsa attenzione anche da parte di attori chiave per la messa a
punto e l'erogazione di questo primario servizio pubblico, come ad esempio Istituti Scolastici,
Università, Comuni, Camere di Commercio, le decine di migliaia di associazioni e il mondo del
volontariato. Molte domande attendono una risposta. La privatizzazione dei servizi per l'impiego:
quale bilancio? Le Agenzie per il Lavoro servono? Il sistema delle conferenze tripartite serve? Quali
nuovi raccordi fra i sistemi educazione, formazione e lavoro ? I servizi al lavoro erogati dutante la
gestione della crisi sono stati soddisfacenti ? Non si è verificata una rivolta sociale, ma solo una
rivolta elettorale: c'è un nesso fra la sfiducia nella politica e gli scarsi servizi/attenzione al tema del
lavoro?
Manca una legge quadro nazionale, ma il Decreto 276 era poco attento ai servizi per l'impiego, e nel
complesso anche le Regioni non appaiono interessate come ad esempio sulla sanità. La delega
legislativa (Fornero in questo caso), come l'esperienza del settore istruzione ci ricorda, spesso si
arena. La complessità del tema richiede altri strumenti, come ad esempio (forse) un più elevato
decentramento normativo. La Riforma Treu è del 1997, le Agenzie per il Lavoro del 2003, cioè di
anni ne sono passati, ma il sistema appare debole, frastagliato, a fronte di una domanda crescente di
servizi. I servizi al lavoro orientano meno della metà dei disoccupati e intermediano, a essere
ottimisti, un 10% della popolazione target, comprendendo i servizi privati strutturati.
L'inadeguatezza evidente di risorse non è comparabile con altri paesi, nei quali peraltro la
disoccupazione è maggiormente coperta da sistemi di welfare. I Centri per l'impiego appaiono
"fermi" e le Agenzie per il lavoro in crisi. Il legislatore si preoccupa dello status di disoccupato e del
rifiuto di accettare offerte di lavoro distante, ma il punto oggi è ben altro, fare incontrare domanda e
offerta, il che nell'era del Web 2.0 (o successivi) non dovrebbe essere tecnicamente impossibile. La
Riforma Fornero ribadisce la centralità dei servizi per il lavoro, collegando l'ASP a servizi reali, ma:
1. La base sono gli avviamenti e le cessazioni, e l'andamento del mercato del lavoro ?
2. Come organizzare meglio reti territoriali pubblico-privato?
Occorre una area vasta per pianificare e una area distrettuale intercomunale (o infracomunale nelle
aree metropolitane) per erogare i servizi, e la Provincia? Troppo piccola e troppo grande allo stesso
tempo: occorre una ATO Lavoro, una area vasta di occupabilità, ad esempio tre in Toscana, occorre
prevedere e favorire emigrazione/immigrazione fra stati e fra regioni.
I 20 sistemi regionali sono giustamente diversi, ma occorre mantenere una ferma distinzione fra
soggetto accreditante, la Regione, e soggetto accreditato. Occorre un saldo presidio dei Centri per
l'Impiego, con funzioni nazionali, regionali e locali, e una gamma di servizi modulabile attorno a
imprescindibili LEP, finanziati e di cui sia meglio precisata la funzione pubblica di governance.
Non c'è necessaria coincidenza fra Centro e servizi, che possono ben essere forniti da chiunque,
competente, ma è necessaria una regia nazionale, regionale e locale. I fondi comunitari sono
regionali, ma al sud in parte nazionali.
Le Regioni appaiono disattente al nesso chiave Iscrizione Centro per l'Impiego- fornitura di servizi
personalizzati. Il dato medio parla di un 4% di capacità di incrocio domanda-offerta tramite i servizi
all'impiego: un dato ridicolo, che segnala una sostanziale insignificanza. Ma anche
l'intermediazione privata (la somministrazione è intorno al 3% del mercato) ha un peso limitato. Il
mercato del lavoro cambia molto rapidamente, i laureati non vengono assorbiti, disincentivando in
un ciclo vizioso l'alta formazione. Altri elementi "viziosi" sono l'aumento massiccio
dell'emigrazione, anche all'estero, l'aumento del lavoro precario, la scarsa occupazione femminile,
l'inadeguatezza salariale, la scarsa produttività e innovazione, un declino economico e sociale che
parte e si autoalimenta dai primi anni 90. Ma, soprattutto, perchè ragionare solo su utenti individuali
? Il tema del lavoro intacca la carne e la vita delle comunità, delle imprese e delle famiglie. Il
ragionamento riguarda cioè sia il singolo impiego, che la tenuta di interi territori, e infatt i servizi al
lavoro sono un servizio locale, territoriale. Da questo punto di vista la difficoltà di intermediare
domanda e offerta di lavoro mediante servizi pubblici moderni (penso alle opportunità inutizzate del
web) è una "spia rossa del cruscotto" che segnala un gravissimo disfunzionamento, sia nazionale
che relativo all'intervento pubblico su singoli territori locali.
La materia "servizi al lavoro" : normativa e competenza
Sono passati 15 anni dal decentramento bassaniniano del 1997 (anno anche della Strategia di
Lisbona), e 10 dal Decreto Biagi, che ha avuto invece scarso impatto sulle politiche attive del
lavoro, esetndendo invece la precarizzazione iniziata col pacchetto Treu. La frettolosa delega
legislativa della fine del 2007 è a tuttoggi inattuata, come pure quella, altrettanto frettolosa, del
Decreto Fornero. Nella sostanza l'ordinamento di dettaglio è fermo al 2003, cioè a un legislatore che
mostra scarso interesse al rafforzamento dei servizi all'impiego, né il secondo Governo Prodi ha
avuto tempo e forza per riformare “in melius” la normativa. Attenzione: "in melius" non solo per il
lavoratore ma anche per i sistemi economici locali, a mio avviso, per i quali la precarizzazione del
lavoro appare una risposta più tattica che strategica, per lo sviluppo.
Il decreto 469 del 1997 rimane inoltre il testo di riferimento in materia di conferimento alle regioni
della preselezione e incontro domanda/offerta, e mancano tuttora principi statali generali, i
cosiddetti Livelli essenziali delle Prestazioni, cioè i livelli minimi nazionali. Ad esempio manca una
indicazione nazionale su come rendere il servizio in parte a pagamento per le imprese.
Tecnicamente, cioè la norma lo prevede, i Centri per l'Impiego potrebbero offrire ulteriori servizi a
titolo oneroso alle imprese. Previsione interessante, che ricorda l'extra moenia sanitaria, previsione
però rimasta totalmente inattuata, come totalmente inattuata è rimasta quella che prevede la
partecipazione dei Comuni, delle Camere di Commercio e deller parti socaili ai servizi all'impiego.
Il problema che potrebbe sorgere è: quanto i servizi possono differenziarsi da regione a regione? Ad
esempio la competenza in materia di servizi all'impiego affidata, in parte, ai comuni e non alle
province, come in Emilia Romagma, non dovrebbe essere, a rigore, uguale in tutto il paese? E'
possibile, e se si, dove sono i limiti, differenziare servizi, modalità di erogazione, competenze?
Le politiche attive del lavoro è materia anch'essa conferita alle regioni nel 1997, in cui mancano
principi nazionali, quali ad esempio le priorità per quali fasce sociali "deboli". La Formazione
Professionale è invece materia regionale, con unico limite i LEP nazionali.
Il Long Life Learning è materia concorrente o residuale ? Non è facile definire LEP nazionali in
questo campo. E l'orientamento? Deve essere uguale in ogni regione o no, in termini di LEP? Cosa
potrebbe aggiungere una regione a sviluppo differenziato ? Il centralismo - o diciamo meglio la
chiamata in sussidiarietà verso l'alto - non è detto che sia più economico né più efficace, ma è di
tutta evidenza che se la materia è concorrente le decisioni operative sono rallentate.
Appare difficile, come ora evidenziato, fissare principi e LEP nazionali perchè la materia è nei fatti
locale, e infatti è spesso sottratta, dalle parti sociali, all'influenza pubblica, cioè è materia troppo
contigua al contratto e alle ragioni della libera contrattazione fra le parti. In Toscana c'è un
Masterplan dei Centri per l'Impiego, ma è da aggiornare. Anche perchè il modello deve poter valere
anche per i servizi privati. Nel complesso sono deboli i sistemi territoriali di intervento in materia di
lavoro, e c'è quindi una scarsa competitività delle regioni, di cui solo quattro (Veneto, Toscana,
Emilia Romagna, e Trento-Bolzano) hanno indicatori positivi di competitività sul governo del
mercato del lavoro.
Tutela e sicurezza del lavoro, ricordiamolo, sono competenze concorrenti: allo Stato spetta fissare i
principi generali e alle Regioni la norma di dettaglio. Il Mercato del Lavoro sembrerebbe dunque
una materia concorrente. Si potrebbe discutere se le politiche attive del lavoro siano o meno
comprese nella materia "tutela e sicurezza", ma mi pare comunque indiscutibile avere una tutela e
un quadro di riferimento nazionale. Il servizio locale di incontro domanda-offerta, ovvero il servizio
di sostegno e attivazione di impiegabilità, lato cittadino ma anche lato datore di lavoro, rientra
anch'esso nella materia tutela e sicurezza, ma con un po' di forzatura. Comunque finora il fatto che
la materia sia stata considerata concorrente ha fatto comodo, perchè è stato garantito un sostegno
finanziario nazionale. Occorre anche evidenziare la distinzione fra politiche passive (ex nazionali,
ora affidate alle Province) e politiche attive (affidate alle Regioni che possono, come peraltro in
ogni materia regionale, delegarle alle Province o no). Questa distinzione attivo-passivo oggi ha
ormai poco senso, è un residuo di forme di tutela del lavoro ormai ovunque superate.
L'orientamento, come detto, sembrerebbe a prima vista una materia regionale, come il Long Life
Learning, e questo per differenza, non essendo espressamente nè tutela del lavoro nè istruzione.
Anche se si potrebbe discutere se l'orientamento e la formazione professionale ormai non rientrino
(di nuovo) nella materia concorrente di tutela e sicureza del lavoro. Il termine "tutela" e ancorpiù
quello "sicurezza" direi che ambigui, datati, da riemprie di nuovi contenuti, riletti in una nuova
chiave di Long Life Learning e Orientamento LifeLong.
Costuzionalmente e anche a livello comunitario, è ammessa una deroga ai rapporti giuridici privati,
per esigenze connesse a finalità pubbliche. Si potrebbero cioè introdurre tramite legge, anche
regionale, derogare alle libere contrattazioni lavorative fra le parti (es. patti territoriali, tirocini
oltre i 6 mesi, sostegno all'inserimento lavorativo non solo mediante incentivi, organizzazione di
LSU, estendere il numero di colloqui orientativi, fornrie database di iscritti al Centro per l'Impiego
alle aziende). Ma questo punto è controverso. La norma regionale può differire ma entro i principi
statali, in materia di ordinamento civile. Anche gli ammortizzatori sociali potrebebro essere
modulati? La competenza concorrente/residuale è sottoposta al vaglio di
proporzionalità/adeguatezza ovvero deve obbedire alla minima compressione delle competenze di
altri livelli o perseguire diritti superiori. Ad esempio il diritto al lavoro non può essere compresso
in alcune regioni. Sui tirocini la durata non può essere innalzata, sequesto riduce il diritto al lavoro
?
Il turbocambiamento
Un secolo fa i primi servizi pubblici locali di tipo sociale, evoluzione dell'intervento prima affidato
alla Chiesa, riguardavano il welfare, cioè salute e sicurezza sociale, diritti che oggi sono
indiscutibilmente garantiti a livello costituzionale. Questi diritti nel tempo si sono “estesi”, e in
parte i servizi si sono privatizzati. Oggi, nell'era del cosidetto "turboconsumismo", investono, quale
contraltare alla necessità di sempre più rapida innovazione, i nuovi diritti di Life Long Learning,
quali il diritto all'orientamento e all'apprendimento per tutto l'arco della vita. Diritto-dovere, si
badi, perchè il ragionamento è in realtà più complesso di come appare a prima vista, e il
parallelismo welfare di prima e seconda generazione ci aiuta a capire meglio.
Prendiamo ad esempio l'accordo Stato-Regioni sul sistema nazionale di orientamento permanente.
L'orientamento “longlife” è un servizio “trasversale” al Long Life Learning, ad esso integrato, in
grado di migliorare l'efficacia dei sistemi di istruzione, formazione e lavoro, in quanto servizio di
tipo preventivo. Servizio dunque da integrare nei sistemi locali di welfare e di sostegno allo
sviluppo economico. Per analogia coi sistemi sociosanitari, si tratta davvero di una sorta di servizio
di prevenzione, e quindi di ottimizzazione e migliore pianificazione dei servizi successivi di aiuto e
cura, che sono in questo caso i servizi per l'occupabilità e i servizi al lavoro.
Una “estensione”, una seconda generazione di welfare, una sfera che si aggiunge mentre un'altra si
affida in parte al mercato. E' evidente oggi il nesso causale fra la materia salute/sicurezza sociale e
la materia occupazione. Lavorare, non-lavorare, lavorare in modo precario dipende dalla capacità,
dalla messa al lavoro di emozioni, cognizioni e relazioni (individuali, ma anche microgruppali,
organizzativi e sociali). Queste competenze si accumulano (e si disperdono) socialmente nei
territori locali e nelle pratiche lavorative, e dunque dipendono strettamente da servizi avanzati
locali di orientamento e formazione. In altre parole ciò che prima era “naturale”, ad esempio lo
sviluppo di capacità microimprenditoriali, di civicness o lo sviluppo di distretti economci locali,
ora va sostenuto con policies, e quindi servizi, locali. E questi servizi sono l'equivalente
postmoderno dei servizi (diritti-doveri) di welfare novecenteschi (orario di lavoro, pensione,
retribuzione, salute e sicurezza sui luoghi di lavoro) , cioè sono un elemento ormai indispensabile di
contesto.
In sostanza c'è stato un cambiamento di velocità, un cambio di passo, dovuto alla maggiore
concorrenza mondiale, un turbocambiamento nella velocità di aggiornamento di capacità e
competenze necessarie, al singolo lavoratore/imprenditore e al territorio, per sviluppare lavoro e
sviluppo, cioè saper rapidamente inventare, progettare, produrre, vendere e erogare nuovi
beni/servizi, e conseguentemenet saperli consumare rapidamente, per creare il bisogno di nuovi.
Il turbocambiamento delle competenze implica però che molti (individui e soggetti collettivi)
rimangano “indietro”, non siano più adatti alla turbocompetizione, diventino “soprannumerari”. Si
tratta di un disagio e di una paura che non dipende dai soggetti, ma dalla velocità, indotta, con cui si
devono adeguare ai sempre più rapidi mutamenti produttivi e sociali. Parliamo dunque di soggetti e
gruppi sociali non giovani (ma anche di estese fasce giovanili), di bassa scolarità (o di scolarità a
bassa riconvertibilità), isolati, di imprese e territori che per per tradizione familiare o sociale sono
rimasti a un modello "moderno", cioè a un “impiego” ben distinto dal non lavoro o dalla vita
personale. Si tratta di numeri di soggetti e territori rimasti indietro non distribuiti ugualmente sul
territorio, e ai quali è difficile anche solo immaginare quale “servizio” offrire: si tratta di ragionare
caso per caso, territorio per territorio, intervenire senza sbagliare proprio nel punto più delicato del
sistema. L'errore fondamentale che si compie è considerarli come singoli individui. Sono imprese,
organizzazioni e interi territori locali: i livelli individuale, organizzativo e sociale sono intrecciati e
l'intervento richiede un analogo intreccio di competenze.
C'è da aggiungere per la verità che l'attenzione oggi è sempre più sulla qualità della vita e del
lavoro, sul benessere socio-lavorativo, ma che tali elementi sono incorporati in prodotti e servizi (il
wellness è ovviamente anche un prodotto), di cui siamo a nostra volta i turbo consumatori che
alimentano il ciclo. Il miglioramento di competenze di individui, gruppi e organizzazioni si traduce
in sempre nuovi prodotti o servizi. In sostanza l'elemento nuovo è un sistema socioeconomico che
si caratterizza da;
1. Un troppo rapido turnover di competenze e flessibilità di orario/sede di lavoro
2. Una troppo rapida capacità di produrre e consumare nuovi prodotti e servizi
3. Una domanda spinta da produttori-consumatori stessi
4. Un perenne e sempre più accentuato turnover di impiego, mestiere e competenze
Più che di flessibilità si parla infatti di “vite al lavoro”, ad esempio uffici che diventano case e case
che diventano uffici, un LongLife eLongWide pervasivo: un processo indotto e direi "quasiforzato"
che accade per la prima volta nella storia dell'umanità con tempi così rapidi rispetto alle vite
stesse. Non è infatti paragonabile al lavoro a domicilio preindustriale, che aveva ritmi ben più lenti
e "umani".
Se questa ipotesi è vera, ad essa non può che corrispondere a un analogo e rapido
ampliamento/riorganizzazione dei servizi pubblici correlati. E' come se emergesse una nuova
epidemia e il servizio di prevenzione e cura socio-sanitaria dovesse rapidamente adeguarsi con cure
adeguate.
A chi vanno rivolte le "cure", l'aiuto ? Ai disoccupati/precari e alle aziende in crisi, ma il loro
“restar fuori” dal sistema "vite al lavoro" si autoalimenta in modo molto pericoloso. Infatti oltre
agli aiuti alle imprese si parla, in Italia, di basic income, cioè si ipotizza che a lungo termine molti
soggetti non saranno più “recuperabili” alla turboproduzione e al turboconsumo, saranno soggetti
assistiti. Facciamo un esempio per capire meglio: una grande azienda o un intero distretto
industriale va in crisi e potremmo citare centinaia di casi recenti. Anziché aspettare "passivamente"
cassa integrazione, mobilità e disoccupazione, i servizi (pubblici e privati) e il territorio locale (cioè
i suoi attori chiave) si attiva in anticipo (così dice la Riforma Fornero, ma questa è da tempo la
pratica nelle Regioni più avvertite) e “prende in carico” il problema, iniziando un rapido processo di
riconversione, cioè di Long Life Learning, riorientamento, perchè la riconversione non è solo
produttiva, ma soprattutto psico-sociale, di gruppo, educativa. E' di tutta evidenza che un intervento
del genere, che è collettivo e basato su interventi su piccoli gruppi, ha – lewinianamente- una prima
azione di “unfreezing”, di scioglimento di legami psico-sociali e emotivi precedenti. Un intervento
"psicochirurgico" di una tale delicatezza che non può che essere gestito da esperti, esperti non solo
di sviluppo locale, ma anche di dinamiche di interventi psico-sociali, e quindi da team professionali,
non certo da servizi burocratico-amministrativi o di mero sportello informativo-consulenziale. Ma
nemmeno da molti degli attuali servizi di orientamento e assistenza alla creazione d'impresa o
all'autoimpiego, o da progetti ad hoc, che spesso rimasti alla semplice logica
dell'autoimprenditorialità degli anni 90. Non è nemmeno pensabile poi ogni volta - per evidenti
ragioni economiche- azionare progetti ad hoc per situazioni che in fondo sono nella sostanza
abbastanza simili, non come soluzioni ma come approccio di intervento. Ma soprattutto un servizio
e, a maggior ragione, un progetto ad hoc di riconversione è un intervento di dimensioni enormi, che
richiede perciò supporto e coinvolgimento di enti locali, parti sociali, scuole, volontari,
associazioni, società civile, enti correlati , e una poderosa sussidiarietà orizzontale e mobilitazione
locale per "stare in piedi" economicamente. Come avviene (con sempre maggior fatica a fatica) nel
settore socio-sanitario.
Occorre inoltre, nel pensare a quali servizi offrire, partire più dai desideri, che dai bisogni. Il lavor+,
per quanto detto prima sul le "vite al lavoro" è vita, è quindi desiderio di essere riconosciuto, ha
sempre più una funzione vitale di riconoscimento sociale, non solo per i maschi, come era
tradizionalmente, ma per tutti. Non sempre infatti si cerca, si cambia o si sceglie un lavoro per la
sua remunerazione, la sua localizzazione o per le competenze richieste: il lavoro è identità sociale,
fare impresa è identità collettiva spesso locale.
Manca invece, oltre ai LEP, una consapevolezza e strumentazione professionale diffusa e adeguata
alla sfida nei Servizi all'Impiego, e in genere manca la mobilitazione dei corpi sociali intermedi
locali. I servizi sono stati pensati negli anni 90, non molto tempo fa per i tempi della politica, ma
ormai non sono più “tarati” sul mercato del lavoro attuale, stentano nell'interpretare il nuovo tipo di
lavoro e imprese, i nuovi bacini di impiego, i desideri di nuove competenze, la nuova domanda dei
lavoratori e degli imprenditori, ad esempio quella dei lavoratori autonomi. Domande e desideri,
individuali e collettivi, sono gli assi su cui fondare un intervento professionale, ma la loro fluidità e
fluttuabilità strutturale, rende difficile un tradizionale percorso di analisi e progettazione di servizi.
Oltre alla tradizionale differenziazione fra aree industriali dismesse, aree agricole, aree di
emigrazione/immigrazione, aree turistiche, aree metropolitane, aree interne ecc, la differenziazione
e individualizzazione degli interventi è ormai strutturale.
Al legislatore e ai policymakers pubblici, pare non sia chiaro quello che a mio avviso è il punto
chiave della questione: formazione, orientamento e consulenza nei servizi al lavoro sono attività
ormai integrate e professionalmente molto complesse, che richiedono anche competenze psico-
sociali, e non si esauriscono, come era prima, in attività formative o di consulenza tradizionali.
Sono servizi innovativi e molto costosi, come del resto sono ormai costosi e semrpe più innovativi i
macchinari e le competenze in sanità. Ma per realizzare quel minimo di economia di scala che la
compatibilità finanziaria oggi richiede occorre progettare servizi ripetibili e molto integrati, almeno
a livello regionale. E' esattamente lo stesso tema che si pone in sanità, solo che le cifre dei budget
sono molto diverse. Occorre definire con maggiore chiarezza le competenze degli operatori nei
servizi per l'impiego, e il ruolo degli attori sociali locali. Per analogia: oggi serve una laurea per
fare il medico, l'infermiere o l'assistente sociale, ma non fare il formatore, il consulente, il tutor o
l'orientatore, cioè al momento chiunque lo potrebbe fare. Questo è chiaramente assurdo, è come se
non si richiedesse una laurea a un medico, qeusto è inadeguato alle sfide dei prossimi anni.
La Riforma Fornero
La Riforma recente stabilisce:
1. Orientamento collettivo (prima era individuale) tra i 3 e i 6 mesi di disoccupazione
2. Formazione minima di 2 settimane, fra i 6 e i 12 mesi di disoccupazione
3. Proposta di adesione entro la scadenza del trattamento di sostegno al reddito
4. Offerta di formazione minima di 2 settimane per i lavoratori sospesi da più di 6 mesi
5. Un sistema premiale dei servizi all'impiego
6. L'inasprimento della decadenza dello status disoccupazione e un collegamento con INPS
L'orientamento collettivo, di piccolo gruppo, appare una metodologia sicuramente efficace (e anche
efficiente) rispetto ai colloqui individuali, ma richiede competenze superiori.
Sono stati dunque fissati alcuni LEP minimi (per la mobilità), ma non si sono garantite né le risorse
finanziarie né, come detto sopra, fissate le competenze degli operatori. E' evidente che nel 2014
termini come “formazione” e “proposta di adesione” appaiano vaghe, e l'indicazione temporale non
è di alcun aiuto nella progettazione (da tempo per obiettivi), sia di interventi formativi che
orientativi.
Chi garantirà i LEP avrà più risorse: viene introdotto un importante sistema di premialità. Certo,
indicare LEP così vaghi non aiuta molto a valutare, ma va riconosciuto un passo in avanti.
La formazione di almeno due settimane sembra richiamare, vista la durata così esigua, un intervento
in piccolo gruppo di formazione orientativa, ma in Italia le azioni di orientamento sono
frammentate, come competenza, su molti soggetti, e sono sostanzialmente inesistenti da un punto
di vista giuridico-istituzionale. O, per meglio dire, ciò che esiste, sparso e spesso disordinato, è di
ottimo livello metodologico, ma non è adeguamente valorizzato e messo a sistema e a regime, come
invece è avvento ad esempio in Francia.
La definizione di orientamento permanente data dal legislatore, ovvero lo sviluppo di competenze
per definire obiettivi personali, cioè lo sviluppo di una metacompetenza "trasversale" di “messa a
fuoco” di potenziali progettualità, come detto è oggi di tipo Longlife. Il lavoro non è dato una volta
per tutte (mestiere), ma occorre sapersi reinventare nuove professionalità, per similitudine peraltro a
ciò che avviene al lavoratore autonomo e al piccolo o grande imprenditore, ma direi anche al
manager. Inoltre si passa dal lavoro autonomo a quello dipendente e viceversa più volte. Dal punto
di vista di chi vuole ottimizzare e semplificare i servizi all'impiegabilità c'è quindi una interessante
convergenza fra lavoro dipendente e autonomo (e tutte le gamme intermedie). Occorre invece una
più marcata differenziazione per target (es. maschi over 45 espulsi dal mercato del lavoro, donne in
processi di difficile riconversione, under25 poco scolarizzati) e per vocazione territoriale al lavoro
autonomo/piccola impresa. O meglio differenziare i servizi al lavoro in base alla capacità
progettuale che emerge dal soggetto, o dei soggetti collettivi. Mi riferisco ai distretti industriali e a
una minore/maggiore propensione a formule collettive, cooperative e sociali (col sostegno e
l'attivazione quindi di reti sociali) o invece a una propensione più individualistica.
In genere l'orientamento di secondo livello, ad esempio il Bilancio di Competenze, riguarda i sogetti
più deboli. L'approccio va forse rovesciato: un intervento di secondo livello dovrebbe invece
riguardare i soggetti ad elevata impiegabilità. Inoltre è evidente che il servizio di nuova
imprenditoria affidato alle associazioni di categoria stesse presenta un parziale conflitto di interessi,
mentre ben diverso è il caso del servziio di incontro domanda-offerta.
La Riforma Fornero, in ritardo di dieci anni (tempi normali per la politica italiana) in sostanza si
caratterizza per un contrappeso fra politiche di maggiore flessibilità in uscita e migliori politiche
attive del lavoro, durante le prestazioni assistenziali. In un mercato del lavoro dinamico c'è
evidentemente uno stretto parallelismo fra questi due obiettivi, ma ciò è più discutibile in una fase
recessiva o di stasi/decrescita occupazionale, come appare lo scenario futuro italiano. Se a questo
aspetto sommiamo i dubbi già sottolineati sulla evidente insostenibilità della spesa per i servizi al
reimpiego, i dubbi sulla scarsa definizione dei LEP, il persistere di una distinzione ormai superata
fra politiche attive e passive del lavoro, e i dubbi sulla governance dei Servizi per l'Impiego stessi,
abbiamo un quadro generale incerto.
Inoltre quello che non torna sono i numeri. Il totale di persone iscritte ai Centri per l'Impiego (che
sono solo una parte di chi cerca o vuole cambiare lavoro), anche depurando i dati da chi in realtà
lavora ma in modo precario, sommati agli iscritti alle liste di mobilità e ai cassaintegrati, arriva a
molte migliaia (per provincia media) di persone. Ma gli operatori (sempre per provincia media)
sono invece dell'ordine di grandezza delle decine, perdipiù essi stessi spesso precari. Parliamo di un
valore medio e parliamo di operatori dedicati e professionali presso i servizi pubblici: i dati possono
essere variamente calcolati e interpretati, ma possiamo dire che, grosso modo, c'è almeno un
rapporto 1:100, cioè un operatore per 100 persone in cerca di lavoro, un rapporto che se può andar
certo bene per il medico di famiglia perchè non tutti vanno sempre dal medico, chiaramente non
"torna" per un servizio all'impiego, cha va attivato subito per tutti. E la disoccupazione è
raddoppiata negli ultimi tempi, e non accenna diminuiore nel breve periodo.
Si tratta di una utenza con numeri significativi e che per definizione ha bisogno, spesso, di un
intervento immediato: a tutti va garantito un servizio minimo di "pronto soccorso". Al momento,
inoltre, come detto, i Centri per l'Impiego coprono circa il il 4% della domanda, come
intermediazione. O meglio: il 96% della domanda si rivolge ad altri canali: dal bar al clan
familiare/amicale, dalla parrocchia alla ricerca personale, dall'invio di CV al passaparola e a
Internet. Strumenti un tempo molto efficaci, nel contesto italiano, ma inadeguati a una società che
pone il Life Log Learning come diritto universale: è come se il bisogno di cure mediche fosse
soddisfatto nel 96% da un amico o parente medico, o cercando la malattia su internet.
Quale governance per i Servizi all'Impiego ?
La Riforma Fornero cita le Province, per le competenze sulle Politiche del Lavoro, ma questo
attualmente accade solo laddove le Regioni abbiano delegato queste competenze - chi più chi meno
- alle Province. Manca spesso una cabina di regia regionale, un Consiglio delle Autonomie Locali
sulla materia formazione e lavoro, o una Agenzia del Lavoro regionale. Oppure la regia è affidata a
una Commissione Tripartita regionale e provinciale, dove le tre parti sono la parte pubblica e le due
Parti Sociali, o direttamente alle due parti sociali. Anche le funzioni dei Centri per l'Impiego, o
come variamente sono chiamati, spaziano da compiti minimi (poi espansi col decreto 276 del 2003),
alla gestione delle politiche del lavoro, ma le risorse provengono in larga parte da fondi comunitari
o nazionali.
Attualmente abbiamo 20 sistemi regionali diversi e un sistema nazionale sostanzialmente
inesistente. I servizi cosiddetti "ex collocamento" nazionale sono oggi provinciali: il modello del
Decreto 496 è ancora l'impianto di base. I Centri per l'Impiego attualmente sono gli ex uffici
nazionali del collocamente più una serie di competenze e servizi espansi sulle Politiche del Lavoro
e Formative, ma la norma assegna ufficialmente alle Province solo gli adempimenti per la
disoccupazione, mentre affida alla Regione il resto. La delega regionale alle province cioè non è
garantita, e anzi ora col ridimensionamento delle province appare in forse. La governance quindi è
tutta da inventare: anche se una riorganizzazione rispetto a quella attuale si impone, come detto, per
motivi di sostenibilità dei costi e di risorse.
I livelli di delega alle province sono diversi da regione a regione: questo complica non poco la
definizione di LEP nazionali. Non sempre ci sono Agenzie Regionali, mentre a volte ci sono
addirittura Agenzie Provinciali. Anche la sussidiarietà orizzontale è variamente interpretata da
Regione a Regione. In sostanza il Centro per l'Impiego svolge funzioni statali, funzioni regionali e
funzioni provinciali/locali, ma non coordina le fondamentali politiche, in genere comunali o
intercomunali, di Long Life Learning ed è spesso anche poco integrato, funzionalmente, coi Servizi
Formativi, e quasi per nulla con quelli sociali o culturali. Il Centro per l'Impiego si integra invece
più spesso (perchè lo impone la norma) col sistema scolastico, per l'obbligo formativo, o le imprese,
per l'apprendistato, ma in entrambi i casi il legame coi sistemi educativi e i sistemi economici è
abbastanza lasco. I Sistemi Economici Locali per la verità a volte sono addirittura subprovinciali (e
a volte interprovinciali): non sempre cioè l'unità economico-produttiva è l'area provinciale, ma
certamente lo dovrebbe essere il Centro per l'Impiego, che dovrebbe coincidere con una area
economica che sia un potenziale bacino occupazionale.
L'Ente Provincia, in via di ristrutturazione e in alcune aree di trasformazone in Città Metropolitana,
ha, giustamente, interesse a incrementare l'occupazione nel suo territorio e sostenere le aziende con
unità locali, ma in realtà i bacini d'impiego oggi sono spesso infraprovinciali o interprovinciali, se
non internazionali. Se la regia complessiva invece è regionale, con un polo locale di aservizi al
lavoro e al Long Life Learning integrato con gli altri ma differenziato, rileva invece l'occupazione a
livello regionale, indicatore che è ben più significativo di quello locale o provinciale. Indicatore
segmentato ma che consente di spostare l'attenzione sulle aziende o i settori economici di interesse
o taglia quantomeno regionale.
Ad oggi non sappiamo se la competenza, e le policies, sulle Politiche Attive del Lavoro, da alcune
Regioni affidate alle Province e al momento sottratte alle Province stesse come funzione
fondamentale - andranno alle Regioni, o le Regioni le affideranno, in parte, alle gestioni associate di
Comuni/Unioni di Comuni/Città Metropolitane, o queste torneranno, sempre in parte, alle nuove
Province "dimezzate". Le Province potrebbero anche essere costrette dal legislatore regionale alla
gestione associata del servizio su aree vaste. Quest'ultima, perlomeno in Toscana, appare la strada
più praticabile, perchè già operante su altri servizi, non analoghi, anche se manca in questo caso il
soggetto di area vasta, privato o pubblico, gestore del servizio di politiche del lavoro. Stesso
discorso segue, o precede, per le fonti finanziarie.
Il riordino delle Province prevede, come detto, che le Regioni debbano conferire la funzione lavoro
ai Comuni, alle Unioni di Comuni o a sé stesse. Escludendo ovviamente le funzioni proprie.
Occorre evidenziare questo punto, perlomeno a Costituzione vigente. La funzione dei Servizi
all'Impiego è una funzione propria (delle Province), ovvero indefettibile perchè ormai storicamente
consolidata ? Occorre ricordare che le funzioni proprie di un ente locale sono quelle non attribuite
(dai livelli superiori) perchè tradizionalmente svolte (in questo caso, parlando di Province, solo dal
1997) e dunque incomprimibili dalle Regioni. Tutto il ragionamento salterebbe se sparissero le
Province come Enti costitutivi della Repubblica, ma a oggi ci sono e la Costituzione non è di facile
modifica. I servizi di formazione e lavoro sono svolti dalle Province (non tutte e in modo variegato
e nel complesso debole), solo da 15 anni e dunque - mi pare - ampiamente sottraibili alle Province
perchè non consolidati nell'opinione pubblica. Ma d'altronde, sempre se ci riferiamo alla funzione
formazione/lavoro, la Regione in taluni casi è troppo vasta, mentre i comuni sono in genere troppo
piccoli: l'ideale sono Aree Vaste o aree di Sistemi Economici locali, stimati in circa 100.000
abitanti, a cui corrisponderà un Centro per l'Impiego/long Life Learning con servizi regionali ma
personalizzati per quell'ambito territoriale.
Analoga incerta sorte di attribuzione di competenza seguiranno le funzioni in materia di cultura e
anche quelle dello sviluppo economico, materie a mio avviso molto intrecciate a quelle
dell'orientamento e della formazione al lavoro. Si pensi, per quanto riguarda la cultura, alla
creazione di opportunità lavorative di autoimpiego/microimpresa in campo educativo, formativo e
culturale, al ruolo di biblioteche a associazioni culturali nello sviluppare competenze, servizi e
anche impiego. Il nesso è autoevidente nella materia "sviluppo economico", che, lo ricordiamo, è
anch'essa funzione da ricollocare fra Regione e Enti Locali. Analogo intreccio e analoga divisione,
regionale e a volte nazionale, esiste nei Fondi Struttulai e nei Progetti Comunitari.
Come ricordato c'è un nesso primario con la materia Istruzione (in questo caso ben più uniforme sul
territorio, ma con significative differenziazioni sul piano dell'alternanza scuola-lavoro) e la materia
Attività Produttive (regionale ma con sportelli intercomunali). A quest'ultimo proposito il SUAP e
le funzioni di sviluppo economico sono al momento sottratte alle Province (e ai singoli Comuni),
ma sono a mio avviso "funzioni proprie", direi svolte ormai da secoli. "Last but not least" c'è un
evidente nesso con la materia Sociale, regionale come competenza e sovracomunale, in genere,
come gestione.
Se ragioniamo quindi di governance di tardomoderni servizi all'impiego, le materie e funzioni
Formazione/Lavoro, Istruzione, Welfare, Sviluppo economico, Sociale e Cultura sono ormai
talmente intrecciate che potremmo parlare di un'unica macromateria e macrofunzione, che
chiamerei a questo punto Sviluppo Territoriale o Sviluppo Locale. La governance ideale è che tutte
queste competenze, funzioni e funzionari (e la società civile di riferimento) si "parlino" di più fra
loro, si coordino, si riconoscano, usino lo stesso linguaggio e rispondano possibilmente a un solo
livello di governo, di area vasta subregionale o distrettuale. E penso anche che nei Fondi e nei
Programmi Comunitari, nei cui bandi è arduo distinguere le singole materie, tanto sono intrecciate,
ad esempio obiettivi di sviluppo locale inclusivo, di sostenibilità ambientale e di Long Life
Learning o Capacity Building dei territori. L'uno sostiene l'altro in una spirale virtuosa.
Segnalo qui un curioso slittamento del termine "competenza" , che significa sia chi è responsabile
di una funzione, termine giuridico nato nell'800, sia con terminologia di area formativa più recente
chi mostra una performance lavorativa adeguata agli standard minimi professionali (e tralascio le
altre ben due note interpretazioni di Bresciani e le altre decine). Responsabile oggi è diventato chi
mostra di essere capace.
Un elemento trsacurato da inquadrare è il ruolo del privato, profit o meno, nell'erogazione dei
servizi al lavoro. In ogni caso non può, per espressa disposizione del 1948 sui diritti fondamentali
del lavoratore, ricavare profitti con l'intermediazione "lato cittadino", nè questo servizio è
“appetibile” per il mercato profit, tanto che le Agenzie di somministrazione e le società di
recruiting, ricollocazione e selezione offrono servizi alle imprese, non ai lavoratori. Anche se il
confine servizio al cittadino-servizio alle imprese non è molto netto, e basta pensare alla selezione,
alla formazione al lavoro o alla certificazione di competenze. Certamente i servizi al cittadino in
ambito lavoro sono molto meno remunerativi per il privato rispetto ai servizi sociosanitari, e il
servizio al lavoro si colloca a un livello di "appetibilità" simile piuttosto ai servizi
formativi/educativi di base o a quelli socioculturali. E' quindi un tipo di servizio per sua natura
pubblico o privato no profit, e si presta semmai alla sussidiarietà orizzontale e non al mercato puro.
La sussidiarietò orizzontale, per espressa previsione costituzionale, è da preferire laddove risponda
meglio all'interesse pubblico, anzi il servizio pubblico dovrebbe preferibilmente (la Costituzone usa
il termine "favorire") essere concesso a un privato in sussidiarietà orizzontale. Solo se il privato non
offra garanzie di trasparenza e economicità, efficacia e efficienza la pubblica amministrazione fà da
sè. Attualmente vi è una vasta gamma di tipologie di autorizzazioni regionali ai servizi privati di
mediazione domanda-offerta, e un coordinamento provinciale, spesso informale. A questo proposito
lo sviluppo di cooperative, imprese e enti non profit, agenzie, associazioni, interventi di enti
religiosi o volontari, e il consolidamento di efficaci reti locali di servzii risponde meglio a esigenze
di impiegabilità e di sviluppo di competenze locali sulla tematica lavoro (cioè è a sua volta un
bacino di impiego non trascurabile).
Il Decreto Biagi pone correttamente sullo stesso piano, in una logica di sussidiarietà orizzontale,
pubblico e privato, ma un sistema misto pubblico-privato stenta a prender corpo in una forma
davvero efficace. Formatori e collocatori, parti sociali, Camere di Commercio e Agenzie locali per
l'occupazione o l'innovazione, scuole e Università, imprese, Istituzioni e associazioni agiscono in
modo separato: siamo agli albori di una minima economia di scala locale. Inoltre occorre
distinguere con maggiore nettezza la governance del sistema locale (regionale o locale) dalla
gestione dei servizi, affidata agli Enti Locali e/o ai privati o al privato sociale. Non è qui un
problema di pianificazione e controllo, in questo campo assai difficile perchè l'economia cambia
troppo rapidamente, ma di costituire e gestire una rete locale di progetti sperimentali e poi di servizi
a regime. Questa rete comprende, come detto, attori non dedicati, come associazioni non profit e di
volontariato, enti culturali e ricreativi, sportelli sociali ecc. Una iniziativa culturale o associativa
innovativa, ben progettata e gestita, come ad esempio un ciclo di film/dibattiti, un social trekking,
un convegno con modalità partecipative inclusive, un concorso per documentari ha ricadute
significative sul cambiamento di competenze di cui si parlava sopra a volte molto maggiore di una
azione di orientamento o di formazione “classica”.
Innovazione dei servizi al lavoro
Occorre un charo obiettivo, ad esempio orientare l'80% dei disoccupati e intermediarne il 40%, con
azioni preventive alla francese. Certo, il costo sarebbemolto elevato, ma elevato il beneficio,
sociale, occupazionale anche indiretto e dunque alla fin fine si avrebbe un ritorno elevato di questo
tipo di investimento. Tre però mi paiono i temi chiave ineludibili, sia sul versante metodologico
che su quello normativo.
1. Incrocio domanda/offerta a prescindere dall'area provinciale o del singolo Centro per
l'Impiego (tenendo conto sia dei subterritori “di confine” fra province e fra regioni, sia del
fatto che la ricerca di lavoro avviene sempre più a distanza dall'abitazione
2. Servizi di nuova generazione di sollecitazione e mobilitazione di autoimpresa/autoimpiego
3. Sinergia con i servizi e il privato in area cultura, sviluppo economico, sociale e istruzione
Al legislatore, anche regionale, e ai soggetti pubblici sembra mancare la conoscenza del
meccanismo stesso di ricerca del lavoro
 si cerca qualsiasi lavoro e dovunque
 si cambia ormai spesso casa e lavoro: elemento che risulta evidente dai dati
 i servizi appaiono poco flessibili, rimasti agli anni 90, e anche la formazione professionale è
ancora troppo tradizionale, e anzi tende a ridiventarlo
 sono poco utilizzate tecnologie e modalità innovative (circoli di studio, job center,
videocurriculum, video richieste-offerte, baratto di servizi, utilizzo del web 2.0)
 l'utenza è ampia, ma è isolata, individuale
 il sistema è troppo burocratico e poco attento alla qualità del servizio, qualità peraltro
imposta dalla normativa di legge per ogni servizio pubblico locale fin dagli anni 90
 l'orientamento viene confuso con uno sbrigativo primo colloquio individuale di sportello
(che è invece informazione)
 vi è una scarsa integrazione con gli strumenti EURES, anche in entrata, e con il mondo del
volontariato
Un tema più di frontiera, da esplorare, è un ticket di compartecipazione per fasce sociali. So bene
che ciò è vietato esplicitamente dalle Convenzioni internazionali, ma in fondo il servizio al lavoro è
ormai l'analogo di quello socio-sanitario, che prevede servizi professionali a pagamento e ticket
rilevanti. Il ticket potrebbe essere un voucher, essere rimborsato o essere a carico di altri soggetti.
Ma infinite sarebbero le azioni che un servizio pubblico rinnovato potrebbe innestare in grado di
sostenere le transizioni lavorative, sviluppando capacità progettuali di lavoro e vita. Penso ad
esempio a forme partecipate in seminari/attività formative e culturali.
L'accordo Stato-Regioni sul sistema nazionale dell'apprendimento permanente del Dicembre 2012
definisce l'orientamento permanente come ciò che favorisce l'autonoma definizione di progetti e
obiettivi, e sostiene dunque la capacità di scegliere. Questo in linea con le più avanzate teorie
sull'empowerment e la “capacit-azione”. Da questo punto di vista ciò che è centrale è la garanzia di
accesso a servizi di orientamento permanente o l'innesco di un autoorientamento, visti come
attivazione di risorse. Attivazione più difficile per chi, per motivi individuali, geografici o socio-
culturali, parte svantaggiato perchè ha minore accesso alle risorse di orientamento permanente. Ne
consegue che occorre elaborare standard minimi di servizi di accessibilità, ad esempio quali risorse
sono accessibili in un comune di montagna o una area interna che dista un'ora dal capoluogo di
provincia e in cui oltre al Comune/Unione, alla Pro Loco e a poche associazioni non ci sono altri
soggetti facilitatori ? E nel quale pochi, ma davvero critici, sono anche i soggetti su cui intervenire,
critici perchè a rischio di "exit" dal territorio. Quali scelte hanno a disposizione ? E quali
competenze, minime davvero in questo caso, devono avere gli operatori del Comune o delle
associazioni, o a questo punto dei privati volontari, che in questi casi limite appaiono peraltro gli
unici che possono intervenire con competenza. Un operatore professionale che ha una casa in queste
aree, ma abita o lavora altrove. Competenze critiche, gestione di azioni individuali a elevato impatto
locale, apprendimento permanente nelle zone isolate, sono temi poco dibattuti su cui c'è tutto da
inventare, a partire dal modello di servizio, che sarà necessariamente diverso. All'inverso nelle aree
metropolitane o distrettuale si pone il problema di mettere in rete le competenze e fornire servizi più
differenziati, e rinnovati:
1. Nuovi luoghi, tempi e modalità dell'erogazione al posto dello sportello
2. Personalizzazione e flessibilizzazione del servizio
3. Lavoro di piccoli gruppi e non colloqui individuali
4. Integrazione con i molti servizi e sogegtti locali presenti di tipo informativo,
formativo, culturale e socioassistenziale
5. Integrazione con le politiche di sviluppo economico locale e la gestione delle crisi
aziendali con grandi mumeri
6. Sussidiarietà verticale da ritarare meglio: cosa fa chi
7. Incontro domanda-offerta via web, trasparente e veloce, su scala metropolitana,
regionale e nazionale
8. Interventi innovativi sul lato del lavoro autonomo (ad es. la tanto citata ma mai
attuata trasmissione intergenerazionale)
9. Strumenti di monitoraggio, verifica e controllo sulle azioni e sui servizi attuati
10. Strumenti di tutoraggio a bassso costo, con sussidiarietà orizzontale
Occorrono Centri di tipo diverso: riconversione, tirocini, stage, volontariato all'estero, lavoro
esecutivo, idee d'impresa, lavoro autonomo, settori produttivi specifici, fasce deboli, Centri
innovativi (Job cafè) che sfruttano le occasioni sociali d'incontro, quali convegni, cene, feste. Lo
sportello per acune fasce sociali è superato nell'era della rete tardomoderna della creazione del
capitale sociale. Occorre sfruttare Granovetter e la "forza dei legami deboli" (segnalazioni, social
networking, lettura casuale del web). Perchè non fornire servizi specializzati per settore ? Mediante
parti sociali, enti bilaterali, università/scuole e associazioni. Uno sportello di incontro
domanda/offerta nel turismo e commercio, e perchè a questo punto non un servizio nazionale, visto
che ci si sposta di norma stagionalmente per questo tipo di lavoro ?
Inoltre occorre una scelta politica fra due poli opposti:
1. Uno liberista, mercatista, basato sul laissez faire, modello che costa poco ma favorisce i soggetti
forti sul mercato del lavoro
2. Un modello opposto in cui il lavoro è un bene pubblico, e allora ben si potrebbe riconvertire
risorse, anche umane, pubbliche ormai poco adeguate, come alcune funzioni burocratico-
amministrative duplicate. Il Comune prima si occupava di latte, rifiuti, acqua e gas, ora vi sono
aziende di nuova generazione: creiamo al posto delle partecipate, aziende speciali, consorzi,
istituzioni più Centri Pubblici per l'Impiego, più biblioteche, più occasioni pubbliche e riduciamo,
contestualmente, il perimetro pubblico nei servizi economici che il privato può meglio gestire, se
controllato.
Una soluzione mista è la migliore: se tutto è lasciato al mercato e
all'improvvisazione/creatività/contati personali semplicemente non funziona, ma non funziona
nemmeno per le imprese, così come è impensabile un intervento pubblico in un settore a così
elevata variabilità.
Perchè non prevedere per i lavoratori precari (impossibilitati a seguire un corso di formazione
diurno feriale) una modalità di formazione specifica, ad esempio la domenica? Occorre
differenziare luoghi e tempi dell'orientamento, superando il concetto di struttura fissa (e perchè non
mobile?) e di sportello, derivate dalla scuola e dall'Ufficio di collocamento. Case private ad
esempio, le sedi RAI, le imprese, le associazioni, i cinema. Il cinema è orientamento. Il Comune o i
privati possono fornire spazi, locali, musei, o aprire le imprese la sera. Non è rilevante dove sia lo
sportello e se il servizio debba essere uno sportello: ci si può ben spostare ovunque o accedere via
web. Serve solo l'informazione su dove e quando andare, e meglio se si tratta di un evento e non di
un ufficio (siamo nella società dello spettacolo, l'ufficio è poco spettacolare!).
La soluzione si può trovare tramite il web, ma occorre saper cercare. Mi riferisco a opportunità che
incrocino rischio basso di fallimento, bassa barriera competitiva e elevato nesso con le competenze
attuali o potenziali. Il modello è identico a quello della creazione d'impresa. Un consulente di
orientamento esperto sa aiutare a trovare la risposta, ma la routinizzazione dei colloqui uccide e
fornisce risposte preconfezionate e burocratiche. Non è inusuale che la risposta sia: "uno bravo
come lei può trovare lavoro da sé".
Gli istituti “ponte” (stage, tirocinio, apprendistato) si presterebbero a intervenire in modo nuovo, ma
mancano professionalità e servizi adeguati. Ragioniamo ancora per analogia: chi è malato, cioè ha
bisogno di aiuto socio-sanitario sa (non sempre) dove deve andare, cosa lo aspetta, e cosa potrà
ottenere. Viceversa chi cerca lavoro o una azienda in crisi (è una malattia, cioè un malessere e un
bisogno di aiuto socio-psicologico e di desiderio di riconoscimento sociale) o se la deve cavare da
sè, ed è isolato, con poche risorse informative, Se in più è poco mobile (ad es. abita in montagna o
in area interna), è poco istruito e ha una età avanzata, è quasi perso. Il servizio socio-sanitario era
inizialmente privato, affidato alla Chiesa, e ora è, in Italia, prevalentemente pubblico. Il servizio al
lavoro è nella sostanza privato (e la Chiesa è un attore non trascurabile), cioè opaco e sconta una
visione pubblica rimasta al "collocamento" obbligatorio ante riforma 1997.
Occorre anche evidenziare che paiono sfumare alcune differenze politico-territoriali: una
amministrazione di centrodestra un tempo poteva essere più attenta ai datori di lavoro, ma non
sempre ai lavoratori autonomi, viceversa una di centrosinistra apapriva più orientata al punto di
vista del lavoratore dipendente. Ma oggi invece le differenziazioni più rilevanti attengono ai settori
produttivi trainanti locali, al tasso di disoccupazione, ovvero alla capacità competitiva, alla presenza
di forti tassi, cioè variazioni, di immigrazione/emigrazione.
Prendiano il tema dei lavoratori autonomi/precari (le due aree in realtà si sovrappongono). A questo
tipo di lavoratore, non disoccupato ma semplicemente precario a vita, serve un servizio di
riflessione sulle proprie esperienze per rimodulare meglio, in chiave di occupabilità, le proprie
competenze. A tal fine ben si potrebbe prevedere un colloquio obbligatorio di validazione delle
competenze, di certificazione del curriculum, perchè è di questo che questo cittadino ha più
bisogno. Questo lavoratore peraltro non è iscritto al Centro per l'Impiego ed è difficilmente
individuabile, se non proponendogli azioni che gli servano.
Spesso l'orientatore viene sovvraccaricato di troppi compiti, di utenze troppo differenziate. Ad
esempio si potrebbe prevedere un servizio di incontro domanda-offerta solo per le consulenze (mi
riferisco ovviamente a quelle contigue al precariato), prevedendo anche una tariffabilità. In questo
caso il freno è dovuto al tabu del lavoro precario, che ormai è la norma, non l'eccezione: inutile
nascondercelo. Il Centro per l'Impiego dovrebbe ormai ammettere che il servizio base non è la
collocazione dipendente ma quella precario/consulente, e badare anche a fluidificare e rendere più
trasparente quel canale. Stesso ragionamento per i tirocini retribuiti, dove invece ci si comincia a
muovere.
A mio avviso permane, soprattutto nei decisori pubblici, l'idea della monospecializzazione, l'idea
che al lavoratore è associata per sempre una attività lavorativa. Si badi: tale idea è molto presente
nel settore pubblico, anzi nè la causa principale di scarsa innovazione, ma la cosa curiosa è che
talòe pregiudizio è presente anche nelle aziende, e permane molto più a lungo dui qunto si pensi
anche come modello nello stesso lavoratore e nella società. L'apprendimento Long Life Learning fa
fatica a emergere perchè fa saltare questa impostazione rigida, ma questo salto è denso di rischi,
paure, ansie, viene esorcizzato e tenuto nascosto.
C'è la possibilità (lo prevede il Decreto 276) di servizi al lavoro forniti da altri Enti Pubblici
(Comuni, Università, Camere di Commercio). E perchè sono così scarsi e poco efficaci?
Mancano database ragionati di imprese, che indichino recapito, settore e tipo di figure professionali
impiegabili, utili a chi cerca lavoro o una consulenza. Perchè non sono gratuiti e forniti liberamente
sui web dalle Camere di Commercio? E perchè, viceversa, non fornire database di chi cerca lavoro
alle imprese, prevedendo una tariffa bassa, di preselezione o di vera e propria selezione ?
Un'altra possibilità poco sfruttata, come accennato nel caso delle aree interne, è creare "leve
civiche" di cittadini, lavoratori o pensionati, esperti sui temi di sviluppo e lavoro, su base volontaria
e ovviamente a bando. Ma anche un precario o un disoccupato, in qeusto caso non esperto,
potrebbe anzichè stare a casa, operare in un Centro per l'Impiego, in questo caso con un sussidio, e
arricchire le sue competenze fornendo anche un servizio alla collettività.
Il governo del mercato del lavoro implica adeguare domanda e/o offerta, aree di crisi e fasce di
debole occupabilità, ma perchè allora non prevedere un colloquio obbligatorio di orientamento
anche per gli occupati, pagato dalle aziende, che comunque ne ricavano un vantaggio.
Mancano servizi di validazione delle competenze. E perchè il Sistema Informativo per il Lavoro
nazionale è inesistente, e spesso pure quelli regionali ? Quest'ultimo elemento è davvero di
particolare criticità.
Riassumendo, mi pare ci sia ampio materiale da dibattere fra esperti e non, anche confrontandosi
con le esperienze di altri paesi. L'innovazione dei sistemi, di servizi al lavoro è la più importante
leva di sviluppo sociale, civico e economico, di preminente interesse pubblico. Allora rivediamone
modelli, organizzazione, regole e norme, alla luce del Long Life Learning e dell'orientamento Long
Life. Le ovvie resistenze delle imprese e dei cittadini a essere "regolati", e le resistenze degli enti
pubblici a disinvestrie su altro e investire su questo, sono facilmente superabili se si coinvolge la
politica, i cittadini, i corpi sociali e la società civile in un dibattito pubblico di contenuto e non
ideologico, in ritardo, populista o solo normativo.

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Servizi all'impiego come tardomoderni servizi di comunità

  • 1. Simone Cerrina Feroni Note per una discussione su un tema chiave I SERVIZI ALL'IMPIEGO: "TARDO MODERNI" SERVIZI DI COMUNITA' ? In Italia, nonostante una crisi internazionale comparabile con quella degli anni '30, e nonostante l'inequivocabile dettato costituzionale dell'Art.1 e quello delle delle convenzioni internazionali, appare singolare che pochi riflettano sulle riforme e sulla evoluzione dei servizi per l'impiego. L'argomento pare quasi rimosso: c'è scarsa attenzione anche da parte di attori chiave per la messa a punto e l'erogazione di questo primario servizio pubblico, come ad esempio Istituti Scolastici, Università, Comuni, Camere di Commercio, le decine di migliaia di associazioni e il mondo del volontariato. Molte domande attendono una risposta. La privatizzazione dei servizi per l'impiego: quale bilancio? Le Agenzie per il Lavoro servono? Il sistema delle conferenze tripartite serve? Quali nuovi raccordi fra i sistemi educazione, formazione e lavoro ? I servizi al lavoro erogati dutante la gestione della crisi sono stati soddisfacenti ? Non si è verificata una rivolta sociale, ma solo una rivolta elettorale: c'è un nesso fra la sfiducia nella politica e gli scarsi servizi/attenzione al tema del lavoro? Manca una legge quadro nazionale, ma il Decreto 276 era poco attento ai servizi per l'impiego, e nel complesso anche le Regioni non appaiono interessate come ad esempio sulla sanità. La delega legislativa (Fornero in questo caso), come l'esperienza del settore istruzione ci ricorda, spesso si arena. La complessità del tema richiede altri strumenti, come ad esempio (forse) un più elevato decentramento normativo. La Riforma Treu è del 1997, le Agenzie per il Lavoro del 2003, cioè di anni ne sono passati, ma il sistema appare debole, frastagliato, a fronte di una domanda crescente di servizi. I servizi al lavoro orientano meno della metà dei disoccupati e intermediano, a essere ottimisti, un 10% della popolazione target, comprendendo i servizi privati strutturati. L'inadeguatezza evidente di risorse non è comparabile con altri paesi, nei quali peraltro la disoccupazione è maggiormente coperta da sistemi di welfare. I Centri per l'impiego appaiono "fermi" e le Agenzie per il lavoro in crisi. Il legislatore si preoccupa dello status di disoccupato e del rifiuto di accettare offerte di lavoro distante, ma il punto oggi è ben altro, fare incontrare domanda e offerta, il che nell'era del Web 2.0 (o successivi) non dovrebbe essere tecnicamente impossibile. La Riforma Fornero ribadisce la centralità dei servizi per il lavoro, collegando l'ASP a servizi reali, ma: 1. La base sono gli avviamenti e le cessazioni, e l'andamento del mercato del lavoro ? 2. Come organizzare meglio reti territoriali pubblico-privato? Occorre una area vasta per pianificare e una area distrettuale intercomunale (o infracomunale nelle aree metropolitane) per erogare i servizi, e la Provincia? Troppo piccola e troppo grande allo stesso tempo: occorre una ATO Lavoro, una area vasta di occupabilità, ad esempio tre in Toscana, occorre prevedere e favorire emigrazione/immigrazione fra stati e fra regioni. I 20 sistemi regionali sono giustamente diversi, ma occorre mantenere una ferma distinzione fra soggetto accreditante, la Regione, e soggetto accreditato. Occorre un saldo presidio dei Centri per l'Impiego, con funzioni nazionali, regionali e locali, e una gamma di servizi modulabile attorno a imprescindibili LEP, finanziati e di cui sia meglio precisata la funzione pubblica di governance. Non c'è necessaria coincidenza fra Centro e servizi, che possono ben essere forniti da chiunque, competente, ma è necessaria una regia nazionale, regionale e locale. I fondi comunitari sono regionali, ma al sud in parte nazionali.
  • 2. Le Regioni appaiono disattente al nesso chiave Iscrizione Centro per l'Impiego- fornitura di servizi personalizzati. Il dato medio parla di un 4% di capacità di incrocio domanda-offerta tramite i servizi all'impiego: un dato ridicolo, che segnala una sostanziale insignificanza. Ma anche l'intermediazione privata (la somministrazione è intorno al 3% del mercato) ha un peso limitato. Il mercato del lavoro cambia molto rapidamente, i laureati non vengono assorbiti, disincentivando in un ciclo vizioso l'alta formazione. Altri elementi "viziosi" sono l'aumento massiccio dell'emigrazione, anche all'estero, l'aumento del lavoro precario, la scarsa occupazione femminile, l'inadeguatezza salariale, la scarsa produttività e innovazione, un declino economico e sociale che parte e si autoalimenta dai primi anni 90. Ma, soprattutto, perchè ragionare solo su utenti individuali ? Il tema del lavoro intacca la carne e la vita delle comunità, delle imprese e delle famiglie. Il ragionamento riguarda cioè sia il singolo impiego, che la tenuta di interi territori, e infatt i servizi al lavoro sono un servizio locale, territoriale. Da questo punto di vista la difficoltà di intermediare domanda e offerta di lavoro mediante servizi pubblici moderni (penso alle opportunità inutizzate del web) è una "spia rossa del cruscotto" che segnala un gravissimo disfunzionamento, sia nazionale che relativo all'intervento pubblico su singoli territori locali. La materia "servizi al lavoro" : normativa e competenza Sono passati 15 anni dal decentramento bassaniniano del 1997 (anno anche della Strategia di Lisbona), e 10 dal Decreto Biagi, che ha avuto invece scarso impatto sulle politiche attive del lavoro, esetndendo invece la precarizzazione iniziata col pacchetto Treu. La frettolosa delega legislativa della fine del 2007 è a tuttoggi inattuata, come pure quella, altrettanto frettolosa, del Decreto Fornero. Nella sostanza l'ordinamento di dettaglio è fermo al 2003, cioè a un legislatore che mostra scarso interesse al rafforzamento dei servizi all'impiego, né il secondo Governo Prodi ha avuto tempo e forza per riformare “in melius” la normativa. Attenzione: "in melius" non solo per il lavoratore ma anche per i sistemi economici locali, a mio avviso, per i quali la precarizzazione del lavoro appare una risposta più tattica che strategica, per lo sviluppo. Il decreto 469 del 1997 rimane inoltre il testo di riferimento in materia di conferimento alle regioni della preselezione e incontro domanda/offerta, e mancano tuttora principi statali generali, i cosiddetti Livelli essenziali delle Prestazioni, cioè i livelli minimi nazionali. Ad esempio manca una indicazione nazionale su come rendere il servizio in parte a pagamento per le imprese. Tecnicamente, cioè la norma lo prevede, i Centri per l'Impiego potrebbero offrire ulteriori servizi a titolo oneroso alle imprese. Previsione interessante, che ricorda l'extra moenia sanitaria, previsione però rimasta totalmente inattuata, come totalmente inattuata è rimasta quella che prevede la partecipazione dei Comuni, delle Camere di Commercio e deller parti socaili ai servizi all'impiego. Il problema che potrebbe sorgere è: quanto i servizi possono differenziarsi da regione a regione? Ad esempio la competenza in materia di servizi all'impiego affidata, in parte, ai comuni e non alle province, come in Emilia Romagma, non dovrebbe essere, a rigore, uguale in tutto il paese? E' possibile, e se si, dove sono i limiti, differenziare servizi, modalità di erogazione, competenze? Le politiche attive del lavoro è materia anch'essa conferita alle regioni nel 1997, in cui mancano principi nazionali, quali ad esempio le priorità per quali fasce sociali "deboli". La Formazione Professionale è invece materia regionale, con unico limite i LEP nazionali. Il Long Life Learning è materia concorrente o residuale ? Non è facile definire LEP nazionali in questo campo. E l'orientamento? Deve essere uguale in ogni regione o no, in termini di LEP? Cosa potrebbe aggiungere una regione a sviluppo differenziato ? Il centralismo - o diciamo meglio la chiamata in sussidiarietà verso l'alto - non è detto che sia più economico né più efficace, ma è di tutta evidenza che se la materia è concorrente le decisioni operative sono rallentate.
  • 3. Appare difficile, come ora evidenziato, fissare principi e LEP nazionali perchè la materia è nei fatti locale, e infatti è spesso sottratta, dalle parti sociali, all'influenza pubblica, cioè è materia troppo contigua al contratto e alle ragioni della libera contrattazione fra le parti. In Toscana c'è un Masterplan dei Centri per l'Impiego, ma è da aggiornare. Anche perchè il modello deve poter valere anche per i servizi privati. Nel complesso sono deboli i sistemi territoriali di intervento in materia di lavoro, e c'è quindi una scarsa competitività delle regioni, di cui solo quattro (Veneto, Toscana, Emilia Romagna, e Trento-Bolzano) hanno indicatori positivi di competitività sul governo del mercato del lavoro. Tutela e sicurezza del lavoro, ricordiamolo, sono competenze concorrenti: allo Stato spetta fissare i principi generali e alle Regioni la norma di dettaglio. Il Mercato del Lavoro sembrerebbe dunque una materia concorrente. Si potrebbe discutere se le politiche attive del lavoro siano o meno comprese nella materia "tutela e sicurezza", ma mi pare comunque indiscutibile avere una tutela e un quadro di riferimento nazionale. Il servizio locale di incontro domanda-offerta, ovvero il servizio di sostegno e attivazione di impiegabilità, lato cittadino ma anche lato datore di lavoro, rientra anch'esso nella materia tutela e sicurezza, ma con un po' di forzatura. Comunque finora il fatto che la materia sia stata considerata concorrente ha fatto comodo, perchè è stato garantito un sostegno finanziario nazionale. Occorre anche evidenziare la distinzione fra politiche passive (ex nazionali, ora affidate alle Province) e politiche attive (affidate alle Regioni che possono, come peraltro in ogni materia regionale, delegarle alle Province o no). Questa distinzione attivo-passivo oggi ha ormai poco senso, è un residuo di forme di tutela del lavoro ormai ovunque superate. L'orientamento, come detto, sembrerebbe a prima vista una materia regionale, come il Long Life Learning, e questo per differenza, non essendo espressamente nè tutela del lavoro nè istruzione. Anche se si potrebbe discutere se l'orientamento e la formazione professionale ormai non rientrino (di nuovo) nella materia concorrente di tutela e sicureza del lavoro. Il termine "tutela" e ancorpiù quello "sicurezza" direi che ambigui, datati, da riemprie di nuovi contenuti, riletti in una nuova chiave di Long Life Learning e Orientamento LifeLong. Costuzionalmente e anche a livello comunitario, è ammessa una deroga ai rapporti giuridici privati, per esigenze connesse a finalità pubbliche. Si potrebbero cioè introdurre tramite legge, anche regionale, derogare alle libere contrattazioni lavorative fra le parti (es. patti territoriali, tirocini oltre i 6 mesi, sostegno all'inserimento lavorativo non solo mediante incentivi, organizzazione di LSU, estendere il numero di colloqui orientativi, fornrie database di iscritti al Centro per l'Impiego alle aziende). Ma questo punto è controverso. La norma regionale può differire ma entro i principi statali, in materia di ordinamento civile. Anche gli ammortizzatori sociali potrebebro essere modulati? La competenza concorrente/residuale è sottoposta al vaglio di proporzionalità/adeguatezza ovvero deve obbedire alla minima compressione delle competenze di altri livelli o perseguire diritti superiori. Ad esempio il diritto al lavoro non può essere compresso in alcune regioni. Sui tirocini la durata non può essere innalzata, sequesto riduce il diritto al lavoro ? Il turbocambiamento Un secolo fa i primi servizi pubblici locali di tipo sociale, evoluzione dell'intervento prima affidato alla Chiesa, riguardavano il welfare, cioè salute e sicurezza sociale, diritti che oggi sono indiscutibilmente garantiti a livello costituzionale. Questi diritti nel tempo si sono “estesi”, e in parte i servizi si sono privatizzati. Oggi, nell'era del cosidetto "turboconsumismo", investono, quale contraltare alla necessità di sempre più rapida innovazione, i nuovi diritti di Life Long Learning, quali il diritto all'orientamento e all'apprendimento per tutto l'arco della vita. Diritto-dovere, si badi, perchè il ragionamento è in realtà più complesso di come appare a prima vista, e il
  • 4. parallelismo welfare di prima e seconda generazione ci aiuta a capire meglio. Prendiamo ad esempio l'accordo Stato-Regioni sul sistema nazionale di orientamento permanente. L'orientamento “longlife” è un servizio “trasversale” al Long Life Learning, ad esso integrato, in grado di migliorare l'efficacia dei sistemi di istruzione, formazione e lavoro, in quanto servizio di tipo preventivo. Servizio dunque da integrare nei sistemi locali di welfare e di sostegno allo sviluppo economico. Per analogia coi sistemi sociosanitari, si tratta davvero di una sorta di servizio di prevenzione, e quindi di ottimizzazione e migliore pianificazione dei servizi successivi di aiuto e cura, che sono in questo caso i servizi per l'occupabilità e i servizi al lavoro. Una “estensione”, una seconda generazione di welfare, una sfera che si aggiunge mentre un'altra si affida in parte al mercato. E' evidente oggi il nesso causale fra la materia salute/sicurezza sociale e la materia occupazione. Lavorare, non-lavorare, lavorare in modo precario dipende dalla capacità, dalla messa al lavoro di emozioni, cognizioni e relazioni (individuali, ma anche microgruppali, organizzativi e sociali). Queste competenze si accumulano (e si disperdono) socialmente nei territori locali e nelle pratiche lavorative, e dunque dipendono strettamente da servizi avanzati locali di orientamento e formazione. In altre parole ciò che prima era “naturale”, ad esempio lo sviluppo di capacità microimprenditoriali, di civicness o lo sviluppo di distretti economci locali, ora va sostenuto con policies, e quindi servizi, locali. E questi servizi sono l'equivalente postmoderno dei servizi (diritti-doveri) di welfare novecenteschi (orario di lavoro, pensione, retribuzione, salute e sicurezza sui luoghi di lavoro) , cioè sono un elemento ormai indispensabile di contesto. In sostanza c'è stato un cambiamento di velocità, un cambio di passo, dovuto alla maggiore concorrenza mondiale, un turbocambiamento nella velocità di aggiornamento di capacità e competenze necessarie, al singolo lavoratore/imprenditore e al territorio, per sviluppare lavoro e sviluppo, cioè saper rapidamente inventare, progettare, produrre, vendere e erogare nuovi beni/servizi, e conseguentemenet saperli consumare rapidamente, per creare il bisogno di nuovi. Il turbocambiamento delle competenze implica però che molti (individui e soggetti collettivi) rimangano “indietro”, non siano più adatti alla turbocompetizione, diventino “soprannumerari”. Si tratta di un disagio e di una paura che non dipende dai soggetti, ma dalla velocità, indotta, con cui si devono adeguare ai sempre più rapidi mutamenti produttivi e sociali. Parliamo dunque di soggetti e gruppi sociali non giovani (ma anche di estese fasce giovanili), di bassa scolarità (o di scolarità a bassa riconvertibilità), isolati, di imprese e territori che per per tradizione familiare o sociale sono rimasti a un modello "moderno", cioè a un “impiego” ben distinto dal non lavoro o dalla vita personale. Si tratta di numeri di soggetti e territori rimasti indietro non distribuiti ugualmente sul territorio, e ai quali è difficile anche solo immaginare quale “servizio” offrire: si tratta di ragionare caso per caso, territorio per territorio, intervenire senza sbagliare proprio nel punto più delicato del sistema. L'errore fondamentale che si compie è considerarli come singoli individui. Sono imprese, organizzazioni e interi territori locali: i livelli individuale, organizzativo e sociale sono intrecciati e l'intervento richiede un analogo intreccio di competenze. C'è da aggiungere per la verità che l'attenzione oggi è sempre più sulla qualità della vita e del lavoro, sul benessere socio-lavorativo, ma che tali elementi sono incorporati in prodotti e servizi (il wellness è ovviamente anche un prodotto), di cui siamo a nostra volta i turbo consumatori che alimentano il ciclo. Il miglioramento di competenze di individui, gruppi e organizzazioni si traduce in sempre nuovi prodotti o servizi. In sostanza l'elemento nuovo è un sistema socioeconomico che si caratterizza da; 1. Un troppo rapido turnover di competenze e flessibilità di orario/sede di lavoro 2. Una troppo rapida capacità di produrre e consumare nuovi prodotti e servizi
  • 5. 3. Una domanda spinta da produttori-consumatori stessi 4. Un perenne e sempre più accentuato turnover di impiego, mestiere e competenze Più che di flessibilità si parla infatti di “vite al lavoro”, ad esempio uffici che diventano case e case che diventano uffici, un LongLife eLongWide pervasivo: un processo indotto e direi "quasiforzato" che accade per la prima volta nella storia dell'umanità con tempi così rapidi rispetto alle vite stesse. Non è infatti paragonabile al lavoro a domicilio preindustriale, che aveva ritmi ben più lenti e "umani". Se questa ipotesi è vera, ad essa non può che corrispondere a un analogo e rapido ampliamento/riorganizzazione dei servizi pubblici correlati. E' come se emergesse una nuova epidemia e il servizio di prevenzione e cura socio-sanitaria dovesse rapidamente adeguarsi con cure adeguate. A chi vanno rivolte le "cure", l'aiuto ? Ai disoccupati/precari e alle aziende in crisi, ma il loro “restar fuori” dal sistema "vite al lavoro" si autoalimenta in modo molto pericoloso. Infatti oltre agli aiuti alle imprese si parla, in Italia, di basic income, cioè si ipotizza che a lungo termine molti soggetti non saranno più “recuperabili” alla turboproduzione e al turboconsumo, saranno soggetti assistiti. Facciamo un esempio per capire meglio: una grande azienda o un intero distretto industriale va in crisi e potremmo citare centinaia di casi recenti. Anziché aspettare "passivamente" cassa integrazione, mobilità e disoccupazione, i servizi (pubblici e privati) e il territorio locale (cioè i suoi attori chiave) si attiva in anticipo (così dice la Riforma Fornero, ma questa è da tempo la pratica nelle Regioni più avvertite) e “prende in carico” il problema, iniziando un rapido processo di riconversione, cioè di Long Life Learning, riorientamento, perchè la riconversione non è solo produttiva, ma soprattutto psico-sociale, di gruppo, educativa. E' di tutta evidenza che un intervento del genere, che è collettivo e basato su interventi su piccoli gruppi, ha – lewinianamente- una prima azione di “unfreezing”, di scioglimento di legami psico-sociali e emotivi precedenti. Un intervento "psicochirurgico" di una tale delicatezza che non può che essere gestito da esperti, esperti non solo di sviluppo locale, ma anche di dinamiche di interventi psico-sociali, e quindi da team professionali, non certo da servizi burocratico-amministrativi o di mero sportello informativo-consulenziale. Ma nemmeno da molti degli attuali servizi di orientamento e assistenza alla creazione d'impresa o all'autoimpiego, o da progetti ad hoc, che spesso rimasti alla semplice logica dell'autoimprenditorialità degli anni 90. Non è nemmeno pensabile poi ogni volta - per evidenti ragioni economiche- azionare progetti ad hoc per situazioni che in fondo sono nella sostanza abbastanza simili, non come soluzioni ma come approccio di intervento. Ma soprattutto un servizio e, a maggior ragione, un progetto ad hoc di riconversione è un intervento di dimensioni enormi, che richiede perciò supporto e coinvolgimento di enti locali, parti sociali, scuole, volontari, associazioni, società civile, enti correlati , e una poderosa sussidiarietà orizzontale e mobilitazione locale per "stare in piedi" economicamente. Come avviene (con sempre maggior fatica a fatica) nel settore socio-sanitario. Occorre inoltre, nel pensare a quali servizi offrire, partire più dai desideri, che dai bisogni. Il lavor+, per quanto detto prima sul le "vite al lavoro" è vita, è quindi desiderio di essere riconosciuto, ha sempre più una funzione vitale di riconoscimento sociale, non solo per i maschi, come era tradizionalmente, ma per tutti. Non sempre infatti si cerca, si cambia o si sceglie un lavoro per la sua remunerazione, la sua localizzazione o per le competenze richieste: il lavoro è identità sociale, fare impresa è identità collettiva spesso locale. Manca invece, oltre ai LEP, una consapevolezza e strumentazione professionale diffusa e adeguata alla sfida nei Servizi all'Impiego, e in genere manca la mobilitazione dei corpi sociali intermedi locali. I servizi sono stati pensati negli anni 90, non molto tempo fa per i tempi della politica, ma ormai non sono più “tarati” sul mercato del lavoro attuale, stentano nell'interpretare il nuovo tipo di
  • 6. lavoro e imprese, i nuovi bacini di impiego, i desideri di nuove competenze, la nuova domanda dei lavoratori e degli imprenditori, ad esempio quella dei lavoratori autonomi. Domande e desideri, individuali e collettivi, sono gli assi su cui fondare un intervento professionale, ma la loro fluidità e fluttuabilità strutturale, rende difficile un tradizionale percorso di analisi e progettazione di servizi. Oltre alla tradizionale differenziazione fra aree industriali dismesse, aree agricole, aree di emigrazione/immigrazione, aree turistiche, aree metropolitane, aree interne ecc, la differenziazione e individualizzazione degli interventi è ormai strutturale. Al legislatore e ai policymakers pubblici, pare non sia chiaro quello che a mio avviso è il punto chiave della questione: formazione, orientamento e consulenza nei servizi al lavoro sono attività ormai integrate e professionalmente molto complesse, che richiedono anche competenze psico- sociali, e non si esauriscono, come era prima, in attività formative o di consulenza tradizionali. Sono servizi innovativi e molto costosi, come del resto sono ormai costosi e semrpe più innovativi i macchinari e le competenze in sanità. Ma per realizzare quel minimo di economia di scala che la compatibilità finanziaria oggi richiede occorre progettare servizi ripetibili e molto integrati, almeno a livello regionale. E' esattamente lo stesso tema che si pone in sanità, solo che le cifre dei budget sono molto diverse. Occorre definire con maggiore chiarezza le competenze degli operatori nei servizi per l'impiego, e il ruolo degli attori sociali locali. Per analogia: oggi serve una laurea per fare il medico, l'infermiere o l'assistente sociale, ma non fare il formatore, il consulente, il tutor o l'orientatore, cioè al momento chiunque lo potrebbe fare. Questo è chiaramente assurdo, è come se non si richiedesse una laurea a un medico, qeusto è inadeguato alle sfide dei prossimi anni. La Riforma Fornero La Riforma recente stabilisce: 1. Orientamento collettivo (prima era individuale) tra i 3 e i 6 mesi di disoccupazione 2. Formazione minima di 2 settimane, fra i 6 e i 12 mesi di disoccupazione 3. Proposta di adesione entro la scadenza del trattamento di sostegno al reddito 4. Offerta di formazione minima di 2 settimane per i lavoratori sospesi da più di 6 mesi 5. Un sistema premiale dei servizi all'impiego 6. L'inasprimento della decadenza dello status disoccupazione e un collegamento con INPS L'orientamento collettivo, di piccolo gruppo, appare una metodologia sicuramente efficace (e anche efficiente) rispetto ai colloqui individuali, ma richiede competenze superiori. Sono stati dunque fissati alcuni LEP minimi (per la mobilità), ma non si sono garantite né le risorse finanziarie né, come detto sopra, fissate le competenze degli operatori. E' evidente che nel 2014 termini come “formazione” e “proposta di adesione” appaiano vaghe, e l'indicazione temporale non è di alcun aiuto nella progettazione (da tempo per obiettivi), sia di interventi formativi che orientativi. Chi garantirà i LEP avrà più risorse: viene introdotto un importante sistema di premialità. Certo, indicare LEP così vaghi non aiuta molto a valutare, ma va riconosciuto un passo in avanti. La formazione di almeno due settimane sembra richiamare, vista la durata così esigua, un intervento in piccolo gruppo di formazione orientativa, ma in Italia le azioni di orientamento sono frammentate, come competenza, su molti soggetti, e sono sostanzialmente inesistenti da un punto di vista giuridico-istituzionale. O, per meglio dire, ciò che esiste, sparso e spesso disordinato, è di ottimo livello metodologico, ma non è adeguamente valorizzato e messo a sistema e a regime, come invece è avvento ad esempio in Francia.
  • 7. La definizione di orientamento permanente data dal legislatore, ovvero lo sviluppo di competenze per definire obiettivi personali, cioè lo sviluppo di una metacompetenza "trasversale" di “messa a fuoco” di potenziali progettualità, come detto è oggi di tipo Longlife. Il lavoro non è dato una volta per tutte (mestiere), ma occorre sapersi reinventare nuove professionalità, per similitudine peraltro a ciò che avviene al lavoratore autonomo e al piccolo o grande imprenditore, ma direi anche al manager. Inoltre si passa dal lavoro autonomo a quello dipendente e viceversa più volte. Dal punto di vista di chi vuole ottimizzare e semplificare i servizi all'impiegabilità c'è quindi una interessante convergenza fra lavoro dipendente e autonomo (e tutte le gamme intermedie). Occorre invece una più marcata differenziazione per target (es. maschi over 45 espulsi dal mercato del lavoro, donne in processi di difficile riconversione, under25 poco scolarizzati) e per vocazione territoriale al lavoro autonomo/piccola impresa. O meglio differenziare i servizi al lavoro in base alla capacità progettuale che emerge dal soggetto, o dei soggetti collettivi. Mi riferisco ai distretti industriali e a una minore/maggiore propensione a formule collettive, cooperative e sociali (col sostegno e l'attivazione quindi di reti sociali) o invece a una propensione più individualistica. In genere l'orientamento di secondo livello, ad esempio il Bilancio di Competenze, riguarda i sogetti più deboli. L'approccio va forse rovesciato: un intervento di secondo livello dovrebbe invece riguardare i soggetti ad elevata impiegabilità. Inoltre è evidente che il servizio di nuova imprenditoria affidato alle associazioni di categoria stesse presenta un parziale conflitto di interessi, mentre ben diverso è il caso del servziio di incontro domanda-offerta. La Riforma Fornero, in ritardo di dieci anni (tempi normali per la politica italiana) in sostanza si caratterizza per un contrappeso fra politiche di maggiore flessibilità in uscita e migliori politiche attive del lavoro, durante le prestazioni assistenziali. In un mercato del lavoro dinamico c'è evidentemente uno stretto parallelismo fra questi due obiettivi, ma ciò è più discutibile in una fase recessiva o di stasi/decrescita occupazionale, come appare lo scenario futuro italiano. Se a questo aspetto sommiamo i dubbi già sottolineati sulla evidente insostenibilità della spesa per i servizi al reimpiego, i dubbi sulla scarsa definizione dei LEP, il persistere di una distinzione ormai superata fra politiche attive e passive del lavoro, e i dubbi sulla governance dei Servizi per l'Impiego stessi, abbiamo un quadro generale incerto. Inoltre quello che non torna sono i numeri. Il totale di persone iscritte ai Centri per l'Impiego (che sono solo una parte di chi cerca o vuole cambiare lavoro), anche depurando i dati da chi in realtà lavora ma in modo precario, sommati agli iscritti alle liste di mobilità e ai cassaintegrati, arriva a molte migliaia (per provincia media) di persone. Ma gli operatori (sempre per provincia media) sono invece dell'ordine di grandezza delle decine, perdipiù essi stessi spesso precari. Parliamo di un valore medio e parliamo di operatori dedicati e professionali presso i servizi pubblici: i dati possono essere variamente calcolati e interpretati, ma possiamo dire che, grosso modo, c'è almeno un rapporto 1:100, cioè un operatore per 100 persone in cerca di lavoro, un rapporto che se può andar certo bene per il medico di famiglia perchè non tutti vanno sempre dal medico, chiaramente non "torna" per un servizio all'impiego, cha va attivato subito per tutti. E la disoccupazione è raddoppiata negli ultimi tempi, e non accenna diminuiore nel breve periodo. Si tratta di una utenza con numeri significativi e che per definizione ha bisogno, spesso, di un intervento immediato: a tutti va garantito un servizio minimo di "pronto soccorso". Al momento, inoltre, come detto, i Centri per l'Impiego coprono circa il il 4% della domanda, come intermediazione. O meglio: il 96% della domanda si rivolge ad altri canali: dal bar al clan familiare/amicale, dalla parrocchia alla ricerca personale, dall'invio di CV al passaparola e a Internet. Strumenti un tempo molto efficaci, nel contesto italiano, ma inadeguati a una società che pone il Life Log Learning come diritto universale: è come se il bisogno di cure mediche fosse soddisfatto nel 96% da un amico o parente medico, o cercando la malattia su internet.
  • 8. Quale governance per i Servizi all'Impiego ? La Riforma Fornero cita le Province, per le competenze sulle Politiche del Lavoro, ma questo attualmente accade solo laddove le Regioni abbiano delegato queste competenze - chi più chi meno - alle Province. Manca spesso una cabina di regia regionale, un Consiglio delle Autonomie Locali sulla materia formazione e lavoro, o una Agenzia del Lavoro regionale. Oppure la regia è affidata a una Commissione Tripartita regionale e provinciale, dove le tre parti sono la parte pubblica e le due Parti Sociali, o direttamente alle due parti sociali. Anche le funzioni dei Centri per l'Impiego, o come variamente sono chiamati, spaziano da compiti minimi (poi espansi col decreto 276 del 2003), alla gestione delle politiche del lavoro, ma le risorse provengono in larga parte da fondi comunitari o nazionali. Attualmente abbiamo 20 sistemi regionali diversi e un sistema nazionale sostanzialmente inesistente. I servizi cosiddetti "ex collocamento" nazionale sono oggi provinciali: il modello del Decreto 496 è ancora l'impianto di base. I Centri per l'Impiego attualmente sono gli ex uffici nazionali del collocamente più una serie di competenze e servizi espansi sulle Politiche del Lavoro e Formative, ma la norma assegna ufficialmente alle Province solo gli adempimenti per la disoccupazione, mentre affida alla Regione il resto. La delega regionale alle province cioè non è garantita, e anzi ora col ridimensionamento delle province appare in forse. La governance quindi è tutta da inventare: anche se una riorganizzazione rispetto a quella attuale si impone, come detto, per motivi di sostenibilità dei costi e di risorse. I livelli di delega alle province sono diversi da regione a regione: questo complica non poco la definizione di LEP nazionali. Non sempre ci sono Agenzie Regionali, mentre a volte ci sono addirittura Agenzie Provinciali. Anche la sussidiarietà orizzontale è variamente interpretata da Regione a Regione. In sostanza il Centro per l'Impiego svolge funzioni statali, funzioni regionali e funzioni provinciali/locali, ma non coordina le fondamentali politiche, in genere comunali o intercomunali, di Long Life Learning ed è spesso anche poco integrato, funzionalmente, coi Servizi Formativi, e quasi per nulla con quelli sociali o culturali. Il Centro per l'Impiego si integra invece più spesso (perchè lo impone la norma) col sistema scolastico, per l'obbligo formativo, o le imprese, per l'apprendistato, ma in entrambi i casi il legame coi sistemi educativi e i sistemi economici è abbastanza lasco. I Sistemi Economici Locali per la verità a volte sono addirittura subprovinciali (e a volte interprovinciali): non sempre cioè l'unità economico-produttiva è l'area provinciale, ma certamente lo dovrebbe essere il Centro per l'Impiego, che dovrebbe coincidere con una area economica che sia un potenziale bacino occupazionale. L'Ente Provincia, in via di ristrutturazione e in alcune aree di trasformazone in Città Metropolitana, ha, giustamente, interesse a incrementare l'occupazione nel suo territorio e sostenere le aziende con unità locali, ma in realtà i bacini d'impiego oggi sono spesso infraprovinciali o interprovinciali, se non internazionali. Se la regia complessiva invece è regionale, con un polo locale di aservizi al lavoro e al Long Life Learning integrato con gli altri ma differenziato, rileva invece l'occupazione a livello regionale, indicatore che è ben più significativo di quello locale o provinciale. Indicatore segmentato ma che consente di spostare l'attenzione sulle aziende o i settori economici di interesse o taglia quantomeno regionale. Ad oggi non sappiamo se la competenza, e le policies, sulle Politiche Attive del Lavoro, da alcune Regioni affidate alle Province e al momento sottratte alle Province stesse come funzione fondamentale - andranno alle Regioni, o le Regioni le affideranno, in parte, alle gestioni associate di Comuni/Unioni di Comuni/Città Metropolitane, o queste torneranno, sempre in parte, alle nuove Province "dimezzate". Le Province potrebbero anche essere costrette dal legislatore regionale alla
  • 9. gestione associata del servizio su aree vaste. Quest'ultima, perlomeno in Toscana, appare la strada più praticabile, perchè già operante su altri servizi, non analoghi, anche se manca in questo caso il soggetto di area vasta, privato o pubblico, gestore del servizio di politiche del lavoro. Stesso discorso segue, o precede, per le fonti finanziarie. Il riordino delle Province prevede, come detto, che le Regioni debbano conferire la funzione lavoro ai Comuni, alle Unioni di Comuni o a sé stesse. Escludendo ovviamente le funzioni proprie. Occorre evidenziare questo punto, perlomeno a Costituzione vigente. La funzione dei Servizi all'Impiego è una funzione propria (delle Province), ovvero indefettibile perchè ormai storicamente consolidata ? Occorre ricordare che le funzioni proprie di un ente locale sono quelle non attribuite (dai livelli superiori) perchè tradizionalmente svolte (in questo caso, parlando di Province, solo dal 1997) e dunque incomprimibili dalle Regioni. Tutto il ragionamento salterebbe se sparissero le Province come Enti costitutivi della Repubblica, ma a oggi ci sono e la Costituzione non è di facile modifica. I servizi di formazione e lavoro sono svolti dalle Province (non tutte e in modo variegato e nel complesso debole), solo da 15 anni e dunque - mi pare - ampiamente sottraibili alle Province perchè non consolidati nell'opinione pubblica. Ma d'altronde, sempre se ci riferiamo alla funzione formazione/lavoro, la Regione in taluni casi è troppo vasta, mentre i comuni sono in genere troppo piccoli: l'ideale sono Aree Vaste o aree di Sistemi Economici locali, stimati in circa 100.000 abitanti, a cui corrisponderà un Centro per l'Impiego/long Life Learning con servizi regionali ma personalizzati per quell'ambito territoriale. Analoga incerta sorte di attribuzione di competenza seguiranno le funzioni in materia di cultura e anche quelle dello sviluppo economico, materie a mio avviso molto intrecciate a quelle dell'orientamento e della formazione al lavoro. Si pensi, per quanto riguarda la cultura, alla creazione di opportunità lavorative di autoimpiego/microimpresa in campo educativo, formativo e culturale, al ruolo di biblioteche a associazioni culturali nello sviluppare competenze, servizi e anche impiego. Il nesso è autoevidente nella materia "sviluppo economico", che, lo ricordiamo, è anch'essa funzione da ricollocare fra Regione e Enti Locali. Analogo intreccio e analoga divisione, regionale e a volte nazionale, esiste nei Fondi Struttulai e nei Progetti Comunitari. Come ricordato c'è un nesso primario con la materia Istruzione (in questo caso ben più uniforme sul territorio, ma con significative differenziazioni sul piano dell'alternanza scuola-lavoro) e la materia Attività Produttive (regionale ma con sportelli intercomunali). A quest'ultimo proposito il SUAP e le funzioni di sviluppo economico sono al momento sottratte alle Province (e ai singoli Comuni), ma sono a mio avviso "funzioni proprie", direi svolte ormai da secoli. "Last but not least" c'è un evidente nesso con la materia Sociale, regionale come competenza e sovracomunale, in genere, come gestione. Se ragioniamo quindi di governance di tardomoderni servizi all'impiego, le materie e funzioni Formazione/Lavoro, Istruzione, Welfare, Sviluppo economico, Sociale e Cultura sono ormai talmente intrecciate che potremmo parlare di un'unica macromateria e macrofunzione, che chiamerei a questo punto Sviluppo Territoriale o Sviluppo Locale. La governance ideale è che tutte queste competenze, funzioni e funzionari (e la società civile di riferimento) si "parlino" di più fra loro, si coordino, si riconoscano, usino lo stesso linguaggio e rispondano possibilmente a un solo livello di governo, di area vasta subregionale o distrettuale. E penso anche che nei Fondi e nei Programmi Comunitari, nei cui bandi è arduo distinguere le singole materie, tanto sono intrecciate, ad esempio obiettivi di sviluppo locale inclusivo, di sostenibilità ambientale e di Long Life Learning o Capacity Building dei territori. L'uno sostiene l'altro in una spirale virtuosa. Segnalo qui un curioso slittamento del termine "competenza" , che significa sia chi è responsabile di una funzione, termine giuridico nato nell'800, sia con terminologia di area formativa più recente chi mostra una performance lavorativa adeguata agli standard minimi professionali (e tralascio le
  • 10. altre ben due note interpretazioni di Bresciani e le altre decine). Responsabile oggi è diventato chi mostra di essere capace. Un elemento trsacurato da inquadrare è il ruolo del privato, profit o meno, nell'erogazione dei servizi al lavoro. In ogni caso non può, per espressa disposizione del 1948 sui diritti fondamentali del lavoratore, ricavare profitti con l'intermediazione "lato cittadino", nè questo servizio è “appetibile” per il mercato profit, tanto che le Agenzie di somministrazione e le società di recruiting, ricollocazione e selezione offrono servizi alle imprese, non ai lavoratori. Anche se il confine servizio al cittadino-servizio alle imprese non è molto netto, e basta pensare alla selezione, alla formazione al lavoro o alla certificazione di competenze. Certamente i servizi al cittadino in ambito lavoro sono molto meno remunerativi per il privato rispetto ai servizi sociosanitari, e il servizio al lavoro si colloca a un livello di "appetibilità" simile piuttosto ai servizi formativi/educativi di base o a quelli socioculturali. E' quindi un tipo di servizio per sua natura pubblico o privato no profit, e si presta semmai alla sussidiarietà orizzontale e non al mercato puro. La sussidiarietò orizzontale, per espressa previsione costituzionale, è da preferire laddove risponda meglio all'interesse pubblico, anzi il servizio pubblico dovrebbe preferibilmente (la Costituzone usa il termine "favorire") essere concesso a un privato in sussidiarietà orizzontale. Solo se il privato non offra garanzie di trasparenza e economicità, efficacia e efficienza la pubblica amministrazione fà da sè. Attualmente vi è una vasta gamma di tipologie di autorizzazioni regionali ai servizi privati di mediazione domanda-offerta, e un coordinamento provinciale, spesso informale. A questo proposito lo sviluppo di cooperative, imprese e enti non profit, agenzie, associazioni, interventi di enti religiosi o volontari, e il consolidamento di efficaci reti locali di servzii risponde meglio a esigenze di impiegabilità e di sviluppo di competenze locali sulla tematica lavoro (cioè è a sua volta un bacino di impiego non trascurabile). Il Decreto Biagi pone correttamente sullo stesso piano, in una logica di sussidiarietà orizzontale, pubblico e privato, ma un sistema misto pubblico-privato stenta a prender corpo in una forma davvero efficace. Formatori e collocatori, parti sociali, Camere di Commercio e Agenzie locali per l'occupazione o l'innovazione, scuole e Università, imprese, Istituzioni e associazioni agiscono in modo separato: siamo agli albori di una minima economia di scala locale. Inoltre occorre distinguere con maggiore nettezza la governance del sistema locale (regionale o locale) dalla gestione dei servizi, affidata agli Enti Locali e/o ai privati o al privato sociale. Non è qui un problema di pianificazione e controllo, in questo campo assai difficile perchè l'economia cambia troppo rapidamente, ma di costituire e gestire una rete locale di progetti sperimentali e poi di servizi a regime. Questa rete comprende, come detto, attori non dedicati, come associazioni non profit e di volontariato, enti culturali e ricreativi, sportelli sociali ecc. Una iniziativa culturale o associativa innovativa, ben progettata e gestita, come ad esempio un ciclo di film/dibattiti, un social trekking, un convegno con modalità partecipative inclusive, un concorso per documentari ha ricadute significative sul cambiamento di competenze di cui si parlava sopra a volte molto maggiore di una azione di orientamento o di formazione “classica”. Innovazione dei servizi al lavoro Occorre un charo obiettivo, ad esempio orientare l'80% dei disoccupati e intermediarne il 40%, con azioni preventive alla francese. Certo, il costo sarebbemolto elevato, ma elevato il beneficio, sociale, occupazionale anche indiretto e dunque alla fin fine si avrebbe un ritorno elevato di questo tipo di investimento. Tre però mi paiono i temi chiave ineludibili, sia sul versante metodologico che su quello normativo. 1. Incrocio domanda/offerta a prescindere dall'area provinciale o del singolo Centro per l'Impiego (tenendo conto sia dei subterritori “di confine” fra province e fra regioni, sia del
  • 11. fatto che la ricerca di lavoro avviene sempre più a distanza dall'abitazione 2. Servizi di nuova generazione di sollecitazione e mobilitazione di autoimpresa/autoimpiego 3. Sinergia con i servizi e il privato in area cultura, sviluppo economico, sociale e istruzione Al legislatore, anche regionale, e ai soggetti pubblici sembra mancare la conoscenza del meccanismo stesso di ricerca del lavoro  si cerca qualsiasi lavoro e dovunque  si cambia ormai spesso casa e lavoro: elemento che risulta evidente dai dati  i servizi appaiono poco flessibili, rimasti agli anni 90, e anche la formazione professionale è ancora troppo tradizionale, e anzi tende a ridiventarlo  sono poco utilizzate tecnologie e modalità innovative (circoli di studio, job center, videocurriculum, video richieste-offerte, baratto di servizi, utilizzo del web 2.0)  l'utenza è ampia, ma è isolata, individuale  il sistema è troppo burocratico e poco attento alla qualità del servizio, qualità peraltro imposta dalla normativa di legge per ogni servizio pubblico locale fin dagli anni 90  l'orientamento viene confuso con uno sbrigativo primo colloquio individuale di sportello (che è invece informazione)  vi è una scarsa integrazione con gli strumenti EURES, anche in entrata, e con il mondo del volontariato Un tema più di frontiera, da esplorare, è un ticket di compartecipazione per fasce sociali. So bene che ciò è vietato esplicitamente dalle Convenzioni internazionali, ma in fondo il servizio al lavoro è ormai l'analogo di quello socio-sanitario, che prevede servizi professionali a pagamento e ticket rilevanti. Il ticket potrebbe essere un voucher, essere rimborsato o essere a carico di altri soggetti. Ma infinite sarebbero le azioni che un servizio pubblico rinnovato potrebbe innestare in grado di sostenere le transizioni lavorative, sviluppando capacità progettuali di lavoro e vita. Penso ad esempio a forme partecipate in seminari/attività formative e culturali. L'accordo Stato-Regioni sul sistema nazionale dell'apprendimento permanente del Dicembre 2012 definisce l'orientamento permanente come ciò che favorisce l'autonoma definizione di progetti e obiettivi, e sostiene dunque la capacità di scegliere. Questo in linea con le più avanzate teorie sull'empowerment e la “capacit-azione”. Da questo punto di vista ciò che è centrale è la garanzia di accesso a servizi di orientamento permanente o l'innesco di un autoorientamento, visti come attivazione di risorse. Attivazione più difficile per chi, per motivi individuali, geografici o socio- culturali, parte svantaggiato perchè ha minore accesso alle risorse di orientamento permanente. Ne consegue che occorre elaborare standard minimi di servizi di accessibilità, ad esempio quali risorse sono accessibili in un comune di montagna o una area interna che dista un'ora dal capoluogo di provincia e in cui oltre al Comune/Unione, alla Pro Loco e a poche associazioni non ci sono altri soggetti facilitatori ? E nel quale pochi, ma davvero critici, sono anche i soggetti su cui intervenire, critici perchè a rischio di "exit" dal territorio. Quali scelte hanno a disposizione ? E quali competenze, minime davvero in questo caso, devono avere gli operatori del Comune o delle associazioni, o a questo punto dei privati volontari, che in questi casi limite appaiono peraltro gli unici che possono intervenire con competenza. Un operatore professionale che ha una casa in queste aree, ma abita o lavora altrove. Competenze critiche, gestione di azioni individuali a elevato impatto locale, apprendimento permanente nelle zone isolate, sono temi poco dibattuti su cui c'è tutto da inventare, a partire dal modello di servizio, che sarà necessariamente diverso. All'inverso nelle aree metropolitane o distrettuale si pone il problema di mettere in rete le competenze e fornire servizi più differenziati, e rinnovati: 1. Nuovi luoghi, tempi e modalità dell'erogazione al posto dello sportello
  • 12. 2. Personalizzazione e flessibilizzazione del servizio 3. Lavoro di piccoli gruppi e non colloqui individuali 4. Integrazione con i molti servizi e sogegtti locali presenti di tipo informativo, formativo, culturale e socioassistenziale 5. Integrazione con le politiche di sviluppo economico locale e la gestione delle crisi aziendali con grandi mumeri 6. Sussidiarietà verticale da ritarare meglio: cosa fa chi 7. Incontro domanda-offerta via web, trasparente e veloce, su scala metropolitana, regionale e nazionale 8. Interventi innovativi sul lato del lavoro autonomo (ad es. la tanto citata ma mai attuata trasmissione intergenerazionale) 9. Strumenti di monitoraggio, verifica e controllo sulle azioni e sui servizi attuati 10. Strumenti di tutoraggio a bassso costo, con sussidiarietà orizzontale Occorrono Centri di tipo diverso: riconversione, tirocini, stage, volontariato all'estero, lavoro esecutivo, idee d'impresa, lavoro autonomo, settori produttivi specifici, fasce deboli, Centri innovativi (Job cafè) che sfruttano le occasioni sociali d'incontro, quali convegni, cene, feste. Lo sportello per acune fasce sociali è superato nell'era della rete tardomoderna della creazione del capitale sociale. Occorre sfruttare Granovetter e la "forza dei legami deboli" (segnalazioni, social networking, lettura casuale del web). Perchè non fornire servizi specializzati per settore ? Mediante parti sociali, enti bilaterali, università/scuole e associazioni. Uno sportello di incontro domanda/offerta nel turismo e commercio, e perchè a questo punto non un servizio nazionale, visto che ci si sposta di norma stagionalmente per questo tipo di lavoro ? Inoltre occorre una scelta politica fra due poli opposti: 1. Uno liberista, mercatista, basato sul laissez faire, modello che costa poco ma favorisce i soggetti forti sul mercato del lavoro 2. Un modello opposto in cui il lavoro è un bene pubblico, e allora ben si potrebbe riconvertire risorse, anche umane, pubbliche ormai poco adeguate, come alcune funzioni burocratico- amministrative duplicate. Il Comune prima si occupava di latte, rifiuti, acqua e gas, ora vi sono aziende di nuova generazione: creiamo al posto delle partecipate, aziende speciali, consorzi, istituzioni più Centri Pubblici per l'Impiego, più biblioteche, più occasioni pubbliche e riduciamo, contestualmente, il perimetro pubblico nei servizi economici che il privato può meglio gestire, se controllato. Una soluzione mista è la migliore: se tutto è lasciato al mercato e all'improvvisazione/creatività/contati personali semplicemente non funziona, ma non funziona nemmeno per le imprese, così come è impensabile un intervento pubblico in un settore a così elevata variabilità. Perchè non prevedere per i lavoratori precari (impossibilitati a seguire un corso di formazione diurno feriale) una modalità di formazione specifica, ad esempio la domenica? Occorre differenziare luoghi e tempi dell'orientamento, superando il concetto di struttura fissa (e perchè non mobile?) e di sportello, derivate dalla scuola e dall'Ufficio di collocamento. Case private ad esempio, le sedi RAI, le imprese, le associazioni, i cinema. Il cinema è orientamento. Il Comune o i privati possono fornire spazi, locali, musei, o aprire le imprese la sera. Non è rilevante dove sia lo sportello e se il servizio debba essere uno sportello: ci si può ben spostare ovunque o accedere via web. Serve solo l'informazione su dove e quando andare, e meglio se si tratta di un evento e non di un ufficio (siamo nella società dello spettacolo, l'ufficio è poco spettacolare!). La soluzione si può trovare tramite il web, ma occorre saper cercare. Mi riferisco a opportunità che
  • 13. incrocino rischio basso di fallimento, bassa barriera competitiva e elevato nesso con le competenze attuali o potenziali. Il modello è identico a quello della creazione d'impresa. Un consulente di orientamento esperto sa aiutare a trovare la risposta, ma la routinizzazione dei colloqui uccide e fornisce risposte preconfezionate e burocratiche. Non è inusuale che la risposta sia: "uno bravo come lei può trovare lavoro da sé". Gli istituti “ponte” (stage, tirocinio, apprendistato) si presterebbero a intervenire in modo nuovo, ma mancano professionalità e servizi adeguati. Ragioniamo ancora per analogia: chi è malato, cioè ha bisogno di aiuto socio-sanitario sa (non sempre) dove deve andare, cosa lo aspetta, e cosa potrà ottenere. Viceversa chi cerca lavoro o una azienda in crisi (è una malattia, cioè un malessere e un bisogno di aiuto socio-psicologico e di desiderio di riconoscimento sociale) o se la deve cavare da sè, ed è isolato, con poche risorse informative, Se in più è poco mobile (ad es. abita in montagna o in area interna), è poco istruito e ha una età avanzata, è quasi perso. Il servizio socio-sanitario era inizialmente privato, affidato alla Chiesa, e ora è, in Italia, prevalentemente pubblico. Il servizio al lavoro è nella sostanza privato (e la Chiesa è un attore non trascurabile), cioè opaco e sconta una visione pubblica rimasta al "collocamento" obbligatorio ante riforma 1997. Occorre anche evidenziare che paiono sfumare alcune differenze politico-territoriali: una amministrazione di centrodestra un tempo poteva essere più attenta ai datori di lavoro, ma non sempre ai lavoratori autonomi, viceversa una di centrosinistra apapriva più orientata al punto di vista del lavoratore dipendente. Ma oggi invece le differenziazioni più rilevanti attengono ai settori produttivi trainanti locali, al tasso di disoccupazione, ovvero alla capacità competitiva, alla presenza di forti tassi, cioè variazioni, di immigrazione/emigrazione. Prendiano il tema dei lavoratori autonomi/precari (le due aree in realtà si sovrappongono). A questo tipo di lavoratore, non disoccupato ma semplicemente precario a vita, serve un servizio di riflessione sulle proprie esperienze per rimodulare meglio, in chiave di occupabilità, le proprie competenze. A tal fine ben si potrebbe prevedere un colloquio obbligatorio di validazione delle competenze, di certificazione del curriculum, perchè è di questo che questo cittadino ha più bisogno. Questo lavoratore peraltro non è iscritto al Centro per l'Impiego ed è difficilmente individuabile, se non proponendogli azioni che gli servano. Spesso l'orientatore viene sovvraccaricato di troppi compiti, di utenze troppo differenziate. Ad esempio si potrebbe prevedere un servizio di incontro domanda-offerta solo per le consulenze (mi riferisco ovviamente a quelle contigue al precariato), prevedendo anche una tariffabilità. In questo caso il freno è dovuto al tabu del lavoro precario, che ormai è la norma, non l'eccezione: inutile nascondercelo. Il Centro per l'Impiego dovrebbe ormai ammettere che il servizio base non è la collocazione dipendente ma quella precario/consulente, e badare anche a fluidificare e rendere più trasparente quel canale. Stesso ragionamento per i tirocini retribuiti, dove invece ci si comincia a muovere. A mio avviso permane, soprattutto nei decisori pubblici, l'idea della monospecializzazione, l'idea che al lavoratore è associata per sempre una attività lavorativa. Si badi: tale idea è molto presente nel settore pubblico, anzi nè la causa principale di scarsa innovazione, ma la cosa curiosa è che talòe pregiudizio è presente anche nelle aziende, e permane molto più a lungo dui qunto si pensi anche come modello nello stesso lavoratore e nella società. L'apprendimento Long Life Learning fa fatica a emergere perchè fa saltare questa impostazione rigida, ma questo salto è denso di rischi, paure, ansie, viene esorcizzato e tenuto nascosto. C'è la possibilità (lo prevede il Decreto 276) di servizi al lavoro forniti da altri Enti Pubblici (Comuni, Università, Camere di Commercio). E perchè sono così scarsi e poco efficaci?
  • 14. Mancano database ragionati di imprese, che indichino recapito, settore e tipo di figure professionali impiegabili, utili a chi cerca lavoro o una consulenza. Perchè non sono gratuiti e forniti liberamente sui web dalle Camere di Commercio? E perchè, viceversa, non fornire database di chi cerca lavoro alle imprese, prevedendo una tariffa bassa, di preselezione o di vera e propria selezione ? Un'altra possibilità poco sfruttata, come accennato nel caso delle aree interne, è creare "leve civiche" di cittadini, lavoratori o pensionati, esperti sui temi di sviluppo e lavoro, su base volontaria e ovviamente a bando. Ma anche un precario o un disoccupato, in qeusto caso non esperto, potrebbe anzichè stare a casa, operare in un Centro per l'Impiego, in questo caso con un sussidio, e arricchire le sue competenze fornendo anche un servizio alla collettività. Il governo del mercato del lavoro implica adeguare domanda e/o offerta, aree di crisi e fasce di debole occupabilità, ma perchè allora non prevedere un colloquio obbligatorio di orientamento anche per gli occupati, pagato dalle aziende, che comunque ne ricavano un vantaggio. Mancano servizi di validazione delle competenze. E perchè il Sistema Informativo per il Lavoro nazionale è inesistente, e spesso pure quelli regionali ? Quest'ultimo elemento è davvero di particolare criticità. Riassumendo, mi pare ci sia ampio materiale da dibattere fra esperti e non, anche confrontandosi con le esperienze di altri paesi. L'innovazione dei sistemi, di servizi al lavoro è la più importante leva di sviluppo sociale, civico e economico, di preminente interesse pubblico. Allora rivediamone modelli, organizzazione, regole e norme, alla luce del Long Life Learning e dell'orientamento Long Life. Le ovvie resistenze delle imprese e dei cittadini a essere "regolati", e le resistenze degli enti pubblici a disinvestrie su altro e investire su questo, sono facilmente superabili se si coinvolge la politica, i cittadini, i corpi sociali e la società civile in un dibattito pubblico di contenuto e non ideologico, in ritardo, populista o solo normativo.