3. Lo scenario economico internazionale:
crisi finanziaria, mercato del lavoro
e capitale umano
Ad oltre un anno di distanza dal crollo delle borse del 15 settembre 2008 ci si interroga in merito
agli effetti della crisi economica sull’occupazione e sul capitale umano, nel quadro di un contesto
caratterizzato da grandi mutamenti che hanno profondamente condizionato l’evoluzione delle eco-
nomie industrializzate negli ultimi venti anni. In particolare, ci si riferisce a tre principali tenden-
ze: il cambiamento tecnologico, il processo di globalizzazione, le riforme del mercato del lavoro e
del mercato dei beni e servizi, nell’ottica di una progressiva deregolamentazione. Tali fenomeni han-
no amplificato il ruolo del capitale umano nel favorire la competitività delle imprese e, al tempo
stesso, hanno determinato una spinta verso l’aumento delle opportunità di occupazione e di red-
dito per i lavoratori qualificati, soprattutto nei settori ad alta intensità tecnologica.
La crisi si è inserita in questo scenario complessivo, interagendo con le diverse dinamiche dei si-
stemi economici e determinando impatti sul mercato del lavoro a seconda delle peculiarità spe-
cifiche di ciascun paese.
Alcuni aspetti del sistema bancario italiano considerati elementi di debolezza strutturale, come
la ridotta propensione al rischio sul mercato del credito, sembra abbiano protetto il nostro Pae-
se dagli effetti della crisi più che altrove. D’altro canto, tali elementi possono divenire un freno
alla ripresa dell’economia, rallentando il necessario flusso di liquidità per le imprese.
Quanto al nostro sistema produttivo, nel corso dell’ultimo ventennio l’aumento della compe-
tizione internazionale legata al processo di globalizzazione ha fatto emergere alcune debolezze,
quali un certo rallentamento della dinamica della produttività e una perdita di competitività del-
le imprese a partire dalla metà degli anni Novanta. Tutto ciò si è verificato in un quadro segna-
to da un ampio dualismo territoriale. Le Regioni settentrionali si trovano in una posizione più
vantaggiosa rispetto alla media comunitaria (tassi di specializzazione produttiva, di disoccupa-
zione, di occupazione, ecc.), mentre quelle meridionali appaiono fortemente penalizzate. Di con-
seguenza, i valori medi degli indicatori nazionali riflettono questa polarizzazione, nasconden-
do situazioni di eccellenza nel Centro-Nord e sacche di forte criticità nel Mezzogiorno.
Sempre a partire dalla seconda metà degli anni Novanta, sul fronte del mercato del lavoro - an-
che grazie alle norme introdotte dalle riforme Treu e Biagi - si è comunque registrato un con-
sistente e generalizzato incremento dell’occupazione. Contestualmente è aumentata l’offerta di
lavoro, con un incremento del tasso di attività, una più alta partecipazione femminile e crescenti
flussi migratori. È seguita una riduzione del tasso di disoccupazione e, in particolare, della du-
rata della disoccupazione giovanile.
3
4. rapporto isfol 2009
Da registrare, inoltre, come il numero di occupati a termine e la durata media di trasformazio-
ne dei contratti a tempo determinato in contratti a tempo indeterminato siano sostanzialmen-
te in linea con la media europea.
Relativamente al capitale umano, nella realtà italiana (produzioni tradizionali, limitata capacità
innovativa, dimensioni medio-piccole delle imprese) si registrano dinamiche almeno in parte
in controtendenza rispetto alle evoluzioni di scenario sopra evidenziate. Sono diminuiti, infat-
ti, i rendimenti dell’investimento in istruzione da parte degli individui e non si è verificato un
aumento delle opportunità occupazionali della forza lavoro più qualificata. In sostanza, la do-
manda di high skilled workers non si è incrementata in misura sufficiente ad assorbire l’offerta.
I mismatch tra profili richiesti dalle imprese e quelli offerti dalla forza lavoro in ingresso nel-
l’occupazione hanno ulteriormente pesato sulla bassa dinamica salariale dei lavoratori con ele-
vate competenze.
A ciò si affianca la ancora scarsa diffusione della formazione sul lavoro, fenomeno anch’esso con-
nesso alle caratteristiche della realtà produttiva italiana in termini di settori produttivi, inten-
sità di innovazione e dimensioni d’impresa.
La crisi economica rende urgente l’attivazione di interventi in grado di fare della formazione un
elemento strutturale di politica economica, per diffondere conoscenze e competenze professio-
nali collegate al sistema produttivo, alle sue dinamiche innovative, allo sviluppo compatibile, e
per favorire al contempo l’acquisizione di competenze di base capaci di facilitare processi di ap-
prendimento lungo tutto il corso della vita.
La polarizzazione territoriale che caratterizza il nostro Paese impone comunque un’articolazione
delle politiche economiche, del lavoro e della formazione in modo tale da potere attivare stru-
menti differenziati tra le Regioni del Centro-Nord e Regioni del Mezzogiorno.
4
5. sezione formazione
capitolo 1
Contesto ed evoluzione delle politiche
1.1 Il contesto nazionale e internazionale
Il processo di integrazione economica internazionale genera un vantaggio strategico per le pro-
duzioni caratterizzate da maggiore intensità di lavoro qualificato e un rischio di espulsione per
quelle contrassegnate da lavoro poco qualificato e minore innovazione tecnologica. Si prevede
che entro il 2015 quasi il 30% dei posti di lavoro in Europa richiederà un alto titolo di studio,
mentre il 50% necessiterà di qualifiche di medio livello e il 20% basse qualifiche. I paesi euro-
pei devono quindi aumentare i loro sforzi per garantire a tutti i cittadini l’accesso al Lifelong Lear-
ning ed essere più in sintonia con i bisogni del mercato del lavoro.
L’apprendimento lungo tutta l’arco della vita coinvolge soprattutto i cittadini europei con un ele-
vato livello di istruzione. Nel nostro Paese lo scarto è particolarmente ampio: si va dall’8,2% di
chi possiede la licenza media al 51,4% di chi è laureato. Significativo è anche il divario tra le op-
portunità degli occupati (27,7%) e quelle dei disoccupati (16,9%).
Il programma di lavoro europeo Istruzione e Formazione 2010, varato nel 2002 a Barcellona ed
inserito nella strategia di Lisbona, si conclude senza purtroppo avere pienamente compiuto i pro-
gressi auspicati. È infatti ormai assodato che gli obiettivi fissati non saranno in buona parte rag-
giunti. Nessuno tra i paesi in ritardo nel 2000 è riuscito a colmare il divario con quelli meglio
posizionati ed anzi in alcuni casi il gap si è addirittura allargato. Per quel che riguarda l’Italia, si
è comunque ridotto lo scarto con il dato medio europeo relativamente all’abbandono scolasti-
co e formativo e al grado di scolarizzazione secondaria di secondo grado.
5
6. rapporto isfol 2009
Stato di avanzamento degli obiettivi di Lisbona in materia di istruzione e formazione*. Alcuni benchmark ed indicatori struttura-
li (val. %)
Anni
Benchmark ed Indicatori 2000 2007 2008
UE27 Italia UE27 Italia UE27 Italia
Abbandono scolastico e formativo (a) 17,6 25,3 15,2 19,3 15,1 19,7
Conseguimento dell’istruzione secondaria su-
76,6 69,4 78,1 76,3 78,5 76,5
periore dei giovani (b)
Partecipazione degli adulti ad attività di LLL (c) 7,1 4,8 9,5 6,2 9,6 6,3
Tasso di istruzione secondaria superiore della
64,4 45,2 70,8 52,3 n.d. 52,8
popolazione 25-64enne (d)
Tasso di istruzione terziaria della popolazione
19,4 9,6 23,0 13,6 n.d. 14,4
25-64enne (e)
* Programma Istruzione e Formazione 2010. I nuovi indicatori e benchmark sono ancora in fase di proposta e discussione.
(a) Percentuale della popolazione 18-24enne in possesso al massimo della licenza media (ISCED 2) che non partecipa ad alcuna attività di istruzione e
formazione. Entro il 2010 non oltre il 10%.
(b) Percentuale della popolazione 20-24enne che ha completato con esito favorevole almeno il ciclo di scuola secondaria superiore o un equivalente
percorso formativo (ISCED 3). Il parametro è stato originariamente tarato sulla popolazione 22enne ma è misurato sulla più ampia classe di età 20-24enne
per garantirne la rappresentatività statistica, poiché si tratta di un dato campionario. Entro il 2010 l’85%.
(c) Percentuale della popolazione 25-64enne che ha partecipato ad attività di istruzione e formazione nelle settimane precedenti la settimana di rife-
rimento dell’indagine. Entro il 2010 il 12,5%.
(d) Percentuale della popolazione 25-64enne che ha completato con esito favorevole almeno il ciclo di scuola secondaria superiore o un equivalente
percorso formativo (ISCED 3).
(e) Percentuale della popolazione 25-64enne che ha conseguito un titolo di istruzione terziaria (ISCED 5-6).
Fonte: Commissione europea DGEAC, EUROSTAT, elaborazione ISFOL su dati ISTAT
Sarà necessario che gli Stati membri implementino le loro azioni volte a realizzare un rappor-
to virtuoso e reciprocamente di rinforzo tra nuove competenze e nuovi lavori. Anche in relazione
a tale obiettivo si inquadra in Italia la strategia delineata nel documento ITALIA 2020. Piano di
azione per l’occupabilità dei giovani attraverso l’integrazione tra apprendimento e lavoro, presen-
tato nel settembre 2009 congiuntamente dal Ministero del Lavoro e il Ministero dell’Istruzione.
Le priorità delineate nel Piano puntano, infatti, a superare definitivamente la frattura tra istru-
zione, formazione e lavoro facilitando e rafforzando i processi di transizione.
A livello europeo si prevede la ridefinizione degli obiettivi e il rilancio delle strategie di coope-
razione, da realizzarsi attraverso un programma che ha posto cinque nuovi criteri di riferimento
(benchmark) da raggiungersi entro il 2020:
• almeno il 95% dei bambini tra i 4 anni e l’età d’inizio della scuola primaria dovrebbero es-
sere inseriti in percorsi educativi;
• i 15enni con insufficienti livelli di lettura, matematica e scienze dovrà essere meno del 15%;
• i giovani che abbandonano in anticipo i percorsi di istruzione e formazione non dovranno
superare il 10%;
• i 30-34enni in possesso di un titolo superiore dovranno essere almeno il 40%;
• la percentuale di popolazione 25-64enne ogni anno coinvolta in un’attività di apprendimento
permanente non dovrà essere inferiore al 15%.
6
7. sintesi
Tali benchmark vanno sostenuti dallo sviluppo della qualità nei sistemi di istruzione e forma-
zione. La relativa Raccomandazione emanata dal Parlamento e dal Consiglio europeo impegna
in tal senso tutti gli Stati membri a definire entro 24 mesi un’apposita strategia nazionale.
Se l’accreditamento rappresenta un importante strumento di garanzia della qualità in entrata
al sistema (input), diventa ora necessario introdurre in modo più sistematico strumenti di ga-
ranzia di qualità degli esiti dei processi (output).
L’attenzione ai risultati dovrebbe significare la realizzazione di diverse tipologie di azione, tra cui
la valutazione degli esiti della formazione professionale e la determinazione degli standard di ri-
sultato (certificazione).
7
8. rapporto isfol 2009
1.2 L’evoluzione delle politiche nazionali e regionali per l’istruzione
e la formazione
L’istruzione e la formazione iniziale
Le politiche dell’istruzione e della formazione stanno progressivamente superando antiche con-
trapposizioni, in modo tale che la capacità di rispondere ai fabbisogni professionali emersi dai
cambiamenti degli assetti produttivi possa conciliarsi con lo sviluppo del capitale umano, come
fattore essenziale per la partecipazione alla cittadinanza attiva.
Tra le novità normative di quest’ultimo anno, le più rilevanti riguardano l’istruzione secondaria
superiore. Il quadro che emerge risulta semplificato rispetto al passato. I modi e i tempi di at-
tuazione del riordino dovrebbero decorrere dal 2010-2011, scadenza assai ravvicinata che por-
terà le scuole a misurarsi con nuovi modelli organizzativi, con la revisione dei curricula, la rior-
ganizzazione delle attività di orientamento degli allievi e l’acquisizione di nuove metodologie
didattiche.
Con i nuovi regolamenti dei licei, degli istituti tecnici e degli istituti professionali ci si attende
la ridefinizione complessiva dell’intero secondo ciclo, in modo da assicurare: una fisionomia ef-
fettivamente sistemica che contempli la coerenza dei curricula in tutti e tre i comparti, con l’ac-
quisizione delle competenze chiave per l’obbligo di istruzione; lo sviluppo della formazione scien-
tifica; la modernizzazione della formazione culturale dei licei attraverso l’integrazione nei cur-
ricula di componenti essenziali, quali le scienze sociali, l’informatica e la valorizzazione delle at-
tività di laboratorio; l’approccio didattico basato sull’apprendimento per competenze. Tutti aspet-
ti che sono stati rilevati anche dal Consiglio Nazionale della Pubblica Istruzione.
L’istruzione e formazione tecnica superiore
La riorganizzazione del sistema di istruzione e formazione superiore non accademica, così come
delineata a seguito dell’emanazione del d.p.c.m. del 25 gennaio 2008, segna la volontà di istituire
un canale alternativo finalizzato prioritariamente alla formazione di figure ad alta professiona-
lità tecnica. A questa esigenza si è dapprima risposto mediante l’istituzione degli ifts, successi-
vamente con l’introduzione dei Poli Formativi e recentemente con la riorganizzazione dell’in-
tero sistema di formazione tecnica superiore. Il suddetto d.p.c.m., in particolare, presenta due
percorsi: quello degli Istituti Tecnici Superiori (its) e quello dell’Istruzione e Formazione Tec-
nica Superiore, riproposto in una veste rinnovata. Gli ifts e gli its presentano macro obiettivi
comuni, ovvero; garantire interventi formativi fortemente ancorati ai fabbisogni territoriali; of-
frire percorsi formativi individualizzati; promuovere e garantire la partecipazione anche di adul-
ti occupati; rispondere a standard di qualificazione europea.
I processi di riforma nel sistema universitario
A livello europeo il Processo di Bologna ha rilanciato i suoi obiettivi per il prossimo decennio.
I Ministri dell’Istruzione superiore dei 46 Paesi aderenti hanno deciso, infatti, di proseguire fino
al 2020 l’impegno comune per la costruzione dello Spazio europeo dell’istruzione superiore.
Intanto, il sistema universitario del nostro Paese è stato interessato negli ultimi anni da consi-
stenti processi di trasformazione, nati dall’esigenza di adeguarsi al modello europeo di istruzione
superiore e, nel contempo, di sanare alcune lacune a livello nazionale. L’Italia è stata il Paese, tra
quelli firmatari la Dichiarazione di Bologna, che ha avviato le riforme strutturali più rapide e
radicali, attraverso un processo d’innovazione scandito da provvedimenti normativi che stan-
no incidendo profondamente sul funzionamento delle istituzioni didattiche.
A circa otto anni dall’applicazione del D.M. 509/1999 è possibile fare un primo bilancio del-
l’attuazione della riforma del 3+2, in termini di luci e ombre, anche in considerazione ed in con-
8
9. sintesi
nessione con il recente avvio di una seconda fase riformatrice. All’enorme proliferazione del-
la proposta didattica, soprattutto a livello di laurea triennale (i corsi attivi che nel 2000-2001
erano 2.444, nel 2006-2007 erano già passati a 5.734) è connessa un’ingente frammentazione
dei percorsi formativi, caratterizzata da un gran numero di insegnamenti anche con pochi cfu
e molte prove di valutazione, così come da molti corsi di studio con ridotto numero di imma-
tricolati. D’altro canto, sembra che la riforma abbia avvicinato all’università più giovani pro-
venienti da ambienti sociali meno favoriti ed abbia condotto ad una lieve diminuzione dell’età
di laurea e del numero dei fuori corso, oltre che ad un nuovo impulso nell’utilizzo di strumenti
quali tirocini e stage.
L’evoluzione normativa dell’apprendistato
La revisione della disciplina dell’apprendistato si colloca tra i primi provvedimenti adottati dal-
l’attuale Governo e l’attenzione per lo strumento ritorna anche nei documenti successivi, secondo
una strategia che mira al potenziamento del ruolo degli Enti bilaterali. Da una situazione di con-
correnzialità tra il sistema pubblico e quello privato bilaterale si attende certamente una cresci-
ta della quantità e della qualità della formazione erogata agli apprendisti. L’intenzione è di ri-
scoprire la vocazione formativa dell’impresa. Sulla base di tali obiettivi è stata modificata la pre-
cedente disciplina dell’apprendistato professionalizzante: i contratti collettivi stipulati a qualunque
livello possono oggi definire integralmente la disciplina della formazione svolta.
Anche nel Libro Bianco ci si è soffermati sul ruolo dell’apprendistato, che valorizzando le po-
tenzialità dell’impresa come luogo di apprendimento rappresenta uno degli strumenti fonda-
mentali del sapere professionale.
Il riordino dell’istruzione degli adulti
È in atto una profonda riforma del sistema per l’istruzione degli adulti, con la messa a punto del-
lo schema di regolamento recante norme generali per la ridefinizione dell’assetto organizzati-
vo-didattico. Il tutto è ricondotto ai nuovi Centri per l’istruzione degli adulti, che realizzeran-
no a partire dal 2010-2011 un’offerta formativa finalizzata al conseguimento dei titoli di studio
e di certificazioni, in riferimento al primo e al secondo ciclo di istruzione.
L’innovazione riguarda anche l’ampliamento delle tipologie di utenti.
Nella fase di messa a regime si assisterà comunque ad una situazione molto differenziata nelle
diverse realtà territoriali.
La formazione dei lavoratori
Nel maggio 2009 è stato presentato un progetto di legge che attribuisce una delega al Governo
per l’adozione di uno o più decreti legislativi recanti norme finalizzate a riconoscere e discipli-
nare il diritto dei lavoratori all’apprendimento e alla formazione. Il progetto si accompagna ad
altre due proposte di legge sull’apprendimento permanente, incentrate l’una sul diritto dei la-
voratori alla formazione e allo sviluppo professionale, l’altra sulla costruzione di un sistema per
l’apprendimento permanente che riconosca a tutti i soggetti adulti, occupati e non occupati, il
diritto di accedere a percorsi formali e non formali di istruzione, formazione, sviluppo cultu-
rale per l’occupabilità e per la cittadinanza attiva.
Concretamente, le attività rilevanti dell’ultimo anno consistono essenzialmente in un insieme
di misure finalizzate ad intervenire sugli effetti della crisi. Il cosiddetto Decreto anti-crisi ha am-
pliato il sistema degli ammortizzatori in deroga, prevedendo l’erogazione di un insieme inte-
grato di misure di politica attiva e passiva a favore dei lavoratori in esubero. Sulla stessa lunghezza
d’onda si è mosso l’accordo sancito dalla Conferenza Stato-Regioni del 26 febbraio 2009 e il D.L.
78/2009.
9
10. rapporto isfol 2009
L’impianto complessivo così delineato rappresenta un valido esempio di un mix di politiche in
cui la formazione ha un ruolo centrale, anche rispetto alla tutela e alla protezione del lavorato-
re. Si tratta, quindi, di un importante modello innovativo.
Una criticità riguarda, invece, la partecipazione finanziaria degli Enti bilaterali e dei Fondi pa-
ritetici interprofessionali per quanto riguarda, in modo particolare, il sostegno al reddito.
10
11. sezione formazione
capitolo 2
I fenomeni
2.1 L’istruzione e la formazione dei giovani
I percorsi del secondo ciclo
Nell’analisi del sistema italiano di istruzione e formazione un dato consolidato è quello relati-
vo al tasso di passaggio dalla scuola media inferiore al secondo ciclo, anche in considerazione
del vigente obbligo di istruzione fino ai 16 anni. Il tasso di scolarità dei giovani tra i 14 e i 18
anni è così arrivato al 93%. Si registra comunque un calo del tasso di scolarità in relazione al
crescere dell’età ed in particolare in corrispondenza temporale con la conclusione del ciclo di
istruzione obbligatoria. Un fattore critico rimane, quindi, la permanenza nel sistema educati-
vo e formativo fino alla conclusione del percorso intrapreso. Altro aspetto problematico è la re-
golarità degli studi: il relativo tasso è molto buono nei licei mentre negli istituti professionali
solo 55 studenti su 100 risultano in regola con il percorso scolastico. Quanto al tasso di pro-
duttività (numero di maturi in rapporto agli iscritti al 1° anno di scuola secondaria superiore
5 anni prima) su 100 studenti iscritti nel 2003/2004 sono 66 quelli che hanno conseguito la ma-
turità nel 2007/2008.
11
12. rapporto isfol 2009
Evoluzione degli indicatori di scolarizzazione
Anni
Indicatori
2000/2001 2005/2006 2006/2007 2007/2008
Tasso di scolarità scuola secondaria superiore (a) 86,3 92,4 92,5 93,0
Tasso di qualifica (b) 12,6 16,6 16,8 16,8
Tasso di maturità (c) 72,4 78,0 76,5 73,9
Tasso di produttività scuola secondaria superiore (d) 67,4 70,4 68,6 66,6
Tasso di partecipazione alla FP iniziale (e) 3,9 3,3 4,3 4,7
Tasso di partecipazione alla FP post secondaria (f) 1,4 2,0 4,4 3,2
Forza lavoro in possesso di almeno un titolo ISCED 3 52,0 59,2 60,0 61,0
(a) Frequentanti in totale in rapporto alla popolazione di giovani 14-18enni. Tale indicatore ha un valore diverso rispetto ai tassi di scolarità calcolati
per le singole età, poichè nel numero degli iscritti sono compresi anche 19-20 enni in ritardo e ancora iscritti nella scuola secondaria di II grado.
(b) Percentuale di qualificati degli istituti professionali di Stato in rapporto alla media della popolazione 16-17enne.
(c) Numero di maturi in rapporto alla media della popolazione 19-20enne.
(d) Numero di maturi - interni - in rapporto al numero degli iscritti al 1° anno di scuola secondaria superiore 5 anni prima.
(e) Iscritti in complesso ai corsi di formazione iniziale sul totale dei giovani 14-18enni.
(f) Iscritti in complesso ai corsi di formazione post secondaria e IFTS sul totale dei giovani 19-24enni.
Fonte: Elaborazione ISFOL su dati ISTAT, MIUR ed Amministrazioni di Regioni e Province autonome
Gli studenti iscritti alla scuola secondaria di II grado nell’anno scolastico 2008/2009 sono com-
plessivamente 2.716.688, il 33,8% agli istituti tecnici, il 34,1% ai licei, il 20,3% agli istituti pro-
fessionali. Dal 2000 ad oggi gli studenti iscritti ai licei sono aumentati del 22,2%, mentre si è pro-
dotta un’importante flessione del 6,8% nella scelta di un percorso di istruzione tecnica. È il fe-
nomeno della licealizzazione dell’istruzione. Nell’ultimo biennio si osserva, tuttavia, nel quadro
di una generalizzata diminuzione delle iscrizioni da attribuire a fenomeni demografici, una fles-
sione più consistente proprio nei licei.
Continua a contrarsi nell’anno scolastico 2007-2008 il numero dei diplomati presso gli istituti
tecnici (-2,9%) e presso gli istituti professionali (-3,8%), mentre è in crescita il numero degli stu-
denti che conseguono la maturità liceale (+3,4%).
I percorsi triennali di istruzione e formazione professionale
Il bilancio dei percorsi triennali di istruzione e formazione professionale è sostanzialmente po-
sitivo, a giudicare dalle richieste provenienti dal territorio e dall’apprezzamento delle imprese.
Emerge un progressivo radicamento delle sperimentazioni in quasi tutte le realtà regionali: dai
1.329 percorsi del 2003-2004 si passa ai 7.642 del 2008-2009. Il numero degli allievi è aumen-
tato di cinque volte in sei anni.
Sul piano organizzativo, l’impostazione tradizionale del vecchio Centro di formazione profes-
sionale (cfp), con una struttura direttore-docente esclusivamente impostata sull’erogazione del-
la formazione, ha ceduto il posto alla multifunzionalità delle attuali Agenzie, che alla formazio-
ne uniscono analisi dei fabbisogni, progettazione, orientamento, monitoraggio e valutazione. Un’im-
postazione che permette una maggiore penetrazione nel territorio; ne è prova anche la particolare
attrattività per le giovani generazioni di immigrati.
Analizzando il rapporto tra il numero dei qualificati e gli iscritti al primo anno dei percorsi di
iefp, risulta un’apprezzabile percentuale del 78,4% di allievi che non abbandonano, nonostan-
te l’estrema “fragilità” sociale e scolastica del target di riferimento.
12
13. sintesi
In continuità con i percorsi triennali si sviluppa l’esperienza dei quarti anni sperimentali, fino-
ra visti come un prolungamento dei percorsi di formazione professionale e, dunque, non in for-
ma di percorsi integrati con la scuola. Tale esperienza ha dato i migliori risultati nelle realtà lo-
cali che presentano un maggior radicamento nel tessuto produttivo del territorio (Lombardia,
Provincia di Bolzano e Provincia di Trento).
Quanto alla richiesta delle aziende, si assiste ad una crescita costante delle preferenze relative alle
assunzioni a “livello formazione professionale regionale” (fino a 4 anni), mentre decresce quel-
la a “livello istruzione professionale di Stato”. Proprio nel 2009 si è realizzato un sorpasso delle
prime sulle seconde.
La dispersione e gli strumenti di contrasto
Il tasso di abbandono dei percorsi di istruzione e formazione professionale senza il conseguimento
di una qualifica o di un titolo di studio è nel 2008 pari al 5,4%, sul totale della popolazione tra
i 14 e i 17 anni, cioè la fascia d’età che risulta maggiormente colpita dal fenomeno della disper-
sione formativa. Si tratta di quasi 126 mila giovani, di cui fanno parte anche quei ragazzi occu-
pati con un contratto di apprendistato che non hanno tuttavia svolto alcuna attività formativa.
Stato formativo dei giovani 14-17enni, a.s.f. 2008/2009 per ripartizione territoriale (v.a. e composizione %)
Valore assoluto Nord-Ovest Nord-Est Centro Sud Isole Totale Totale%
Iscritti nei licei 151.321 110.422 156.094 217.699 100.147 735.683 31,6
Iscritti negli istituti tecnici 153.684 118.425 112.654 183.606 77.097 645.466 27,8
Iscritti negli istituti professionali 83.873 65.223 67.549 116.611 48.813 382.069 16,4
Iscritti nell’istruzione magistrale (a) 35.763 25.202 26.030 56.204 26.721 169.920 7,3
Iscritti nell’istruzione artistica (b) 17.622 12.087 14.155 18.004 9.845 71.713 3,1
Iscritti alla secondaria di I grado 24.036 17.080 17.630 18.728 15.655 93.129 4,0
Iscritti alle agenzie formative 44.683 30.100 8.162 4.382 8.489 95.816 4,1
Apprendisti in formazione 1.470 4.860 242 77 0 6.649 0,3
Fuori di percorsi formativi 27.198 10.844 16.536 51.428 19.847 125.853 5,4
Totale popolazione 14-17enne 539.650 394.243 419.052 666.739 306.614 2.326.298 100,0
(a) Licei ed istituti psicopedagogici e dei servizi rivolti alla persona.
(b) Istituti d’arte e licei artistici.
Fonte: Elaborazione ISFOL su dati MLSPS, MIUR, regionali, ISTAT
A livello territoriale la percentuale più elevata è quella relativa al Sud e alle Isole: rispettivamente
7,7% e 6,5%, pari ad un totale complessivo di 71 mila “dispersi”. Il Nord-Est è invece l’area meno
penalizzata (2,8%), anche considerando che una quota rilevante dei quasi 11 mila “dispersi” ri-
guarda gli occupati con contratto di apprendistato.
Tutto ciò invita a riflettere sulle possibili piste di lavoro finalizzate alla riduzione della disper-
sione formativa che dovrebbero, se si vuole impattare su un numero significativo di giovani, con-
centrarsi verso le regioni meridionali, dove i sistemi informativi sono meno efficienti, lo stru-
mento dell’apprendistato quasi inutilizzato e il tessuto produttivo meno in grado di assorbire
lavoratori privi di qualifica.
È poi essenziale lavorare sul fronte delle azioni di sistema. In tal senso, la disponibilità presso le
amministrazioni locali di informazioni sullo stato scolastico-formativo dei 14-17enni rappre-
senta uno dei principali strumenti per garantire l’assolvimento del diritto-dovere, nonché la base
13
14. rapporto isfol 2009
di riferimento obbligato per la costruzione dell’Anagrafe nazionale degli studenti gestita dal miur,
come previsto dal decreto 76/2005. Il presidio del territorio interessa tuttora circa la metà del-
le amministrazioni regionali: ammontano, infatti, a 11 le regioni che dispongono di un proprio
sistema informativo. Vi è ancora un ritardo molto netto delle regioni del Sud, dove la carenza
informativa interessa più del 60% del territorio (contro il 30% delle regioni del Nord e circa il
40% di quelle del Centro). È evidente che tale debolezza del sistema abbia come contraccolpo
il limitato potere di intervento dei servizi per l’impiego.
L’istruzione e la formazione tecnica superiore
In un decennio sono stati programmati 3.500 percorsi di istruzione e formazione tecnica supe-
riore, pari a circa la metà delle iniziative di raccordo formazione-lavoro e dei corsi di formazione
professionale di II livello organizzati dalle Regioni in un solo anno formativo.
L’istituzione dei Poli formativi ha rappresentato un momento di cesura evidente, con differen-
ti scelte attuate dalle amministrazioni regionali. Alcune hanno preferito procedere alla pro-
grammazione esclusivamente all’interno dei Poli; altre hanno invece scelto di proseguire nella
programmazione annuale dei percorsi ifts a bando e, contestualmente, avviare il processo di co-
stituzione dei Poli. In alcuni casi il Polo si configura come soggetto deputato esclusivamente al
segmento dell’istruzione e formazione tecnica superiore, in altri i soggetti hanno interpretato
il settore di riferimento trasversalmente ai differenti livelli di istruzione e formazione.
I percorsi universitari
Si registra un aumento del tasso di passaggio all’università (+2,7%) e del tasso di immatricola-
zione (+1,2%), a conferma di una ripresa della propensione dei giovani a proseguire gli studi.
In generale, la partecipazione ai percorsi universitari non è trascurabile, ma comunque ancora
insufficiente: la quota di immatricolati rispetto alla media teorica dei giovani di età corrispon-
dente è il 52,5%.
I livelli di istruzione della forza lavoro sono in lenta ma costante crescita: i laureati sono il 16,6%,
valore che rimane però ancora al di sotto della media dei paesi europei.
Partecipazione al sistema universitario - anni vari
Anni
Indicatori
2000/2001 2006/2007 2007/2008 2008/2009
Tasso di passaggio all’università (a) 63,9 68,6 68,4 71,1
Immatricolati per 100 coetanei (b) 43,8 53,0 51,3 52,5
Tasso di iscrizione all’università (c) 49,6 59,8 59,3 59,1
Fuori corso su 100 iscritti 37,3 36,9 35,6 n.d
Laureati su popolazione 23 enne (d) 2,5 28,1 27,7 n.d
Laureati su popolazione 25 enne (e) 23,1 19,0 18,6 n.d
Forza di lavoro in possesso di un titolo universitario (ISCED 5-6) 11,9 15,7 16,6 n.d
(a) Numero di immatricolati per la prima volta nel sistema universitario in rapporto al numero di quanti hanno conseguito la maturità al termine del
precedente anno scolastico.
(b) Immatricolati in complesso in rapporto alla media dei giovani 19-20enni.
(c) Numero complessivo di iscritti all’università in rapporto alla popolazione 19-23enne.
(d) Ad eccezione dell’a.a. 2000/2001, comprendono i corsi di laurea del I ciclo, i diplomi universitari e le scuole dirette a fini speciali.
(e) Comprendono i corsi di laurea biennale specialistici o magistrali, del vecchio ordinamento ed i corsi di laurea specialistica a ciclo unico.
Fonte: Elaborazione ISFOL su dati ISTAT e MIUR
14
15. sintesi
Si conferma preponderante il numero degli studenti che scelgono un corso di laurea triennale,
mentre continuano a diminuire le iscrizioni ai corsi di diploma universitario (-36,2%) e alle lau-
ree del vecchio ordinamento (-26,3%). Vi è anche una riduzione degli iscritti alla laurea specialistica
(di 2° livello). Parte di questa diminuzione viene assorbita dai nuovi corsi di laurea magistrale
(ex D.M. 270/2004) che presentano un numero di iscritti pari al 2% del totale. Aumenta il gra-
do di attrazione delle lauree a ciclo unico.
Quanto agli indicatori di esito, nel 2007-2008 diminuisce il numero di laureati in rapporto alla
popolazione dei 23enni e 25enni. Fenomeno che potrebbe essere causato dalla scarsa regolarità
degli studi: sempre nel biennio in questione, quasi 36 iscritti su 100 risultavano fuori corso.
L’integrazione tra istruzione, formazione e lavoro nell’apprendistato
Nel 2008 l’occupazione in apprendistato, pur confermando un incremento positivo, evidenzia
segnali di rallentamento. Le più ampie criticità si rilevano con riferimento all’area del Mezzo-
giorno, dove si verifica una riduzione del 6,4% rispetto al 2007. Nel resto d’Italia la crescita pro-
segue ma a ritmi ridotti rispetto al passato.
La filiera della formazione per l’apprendistato raccoglie annualmente un’utenza di circa 165 mila
soggetti, di cui 40 mila tutor aziendali. Si tratta di una quota significativa nel panorama della for-
mazione professionale pubblica: un sesto rispetto al totale. Ma la probabilità di essere inclusi in
attività formative presenta forti differenziazioni territoriali: nel Nord-Est sale al 35% e nel Nord-
Ovest si attesta al 25%; precipita al 10% nel Centro e si dimezza ancora nelle regioni del Sud (5,1%),
mentre nelle Isole è ferma all’1%.
A livello nazionale si è avviata una nuova modalità di formazione regolamentata esclusivamen-
te dalle Parti sociali. Si è infatti aperta la possibilità per le imprese di optare per una formazio-
ne “esclusivamente aziendale”. È questa una delle strade sulle quali si gioca la sfida per il rinno-
vamento della formazione lanciata attraverso il Libro Bianco.
Per quanto riguarda l’apprendistato per l’espletamento del diritto-dovere è ancora poco utiliz-
zato e rimane al momento privo di una disciplina che ne consenta l’utilizzo. Tuttavia, proprio
recentemente si è riacceso l’interesse su tale tipologia, sia da parte delle istituzioni centrali sia di
qualche amministrazione territoriale.
Ancora debole è anche l’apprendistato per il conseguimento di un diploma o di un titolo di alta
formazione, nonostante sia uno strumento strategico per le relazioni tra sistema delle imprese e
delle università. In tal senso ne è stato ampliato il campo di applicazione ai dottorati di ricerca.
15
16. rapporto isfol 2009
2.2 La formazione degli adulti
I livelli di qualificazione delle forze di lavoro
In Italia i lavoratori in possesso di titoli di studio universitari sono poco più della metà di altri
paesi simili per dimensione e sistemi produttivi (Francia, Spagna, Regno Unito, Germania). Fra
i dipendenti solo il 16% ha un titolo alto, il 47,1% medio e il 36,9% basso.
Analizzando congiuntamente istruzione e inquadramento professionale dei lavoratori dipendenti
è evidente la forte correlazione tra le due dimensioni.
Lavoratori dipendenti: distribuzione per livello di istruzione e inquadramento professionale (v.a.)
Livello di istruzione Operai Impiegati Quadri/Dirigenti Totale
Basso 5.282.355 1.079.228 65.358 6.426.941
Medio 2.953.176 4.676.518 590.247 8.219.941
Alto 180.211 1.545.632 1.073.134 2.798.977
Totale 8.415.742 7.301.378 1.728.739 17.445.859
Fonte: Elaborazione ISFOL su dati ISTAT (Forze di lavoro), media 2008
Gli operai hanno principalmente un livello di istruzione basso (62,8%); gli impiegati medio (64%)
e i dirigenti/quadri alto (62,1%).
Emergono anche elementi di squilibrio: oltre 65 mila dirigenti/quadri con livello di istruzione
basso ed oltre 180 mila lavoratori in possesso di titoli di studio universitari ma occupati come
operai. Nella fascia d’età 25-34 anni i laureati inquadrati come operai raggiungono quasi il 10%
del totale dei laureati che lavorano.
La domanda e l’offerta di formazione delle imprese e dei lavoratori
Cresce nel 2008 la partecipazione della popolazione adulta alle attività formative, arrivando a più
di sei milioni di individui 15-64enni. La media annuale, pur mostrando un’incidenza ancora bas-
sa (15,5%), mette in evidenza una tendenza positiva, con un incremento di circa 370 mila unità
(+0,8%) nel triennio 2006-2008, prevalentemente registrato nell’ultimo anno (+216 mila unità).
Relativamente alla fascia dei 25-64enni la partecipazione ad attività di apprendimento perma-
nente - indicatore utilizzato per il benchmark della strategia di Lisbona e fissato al 12,5% entro
il 2010 - raggiunge nel 2008 il 6,3%.
Considerando i dati della Rilevazione istat sulle forze di lavoro, circa un milione e 700 mila oc-
cupati (7,4%) hanno svolto corsi di formazione professionale o corsi di studio. A livello nazio-
nale, il 74,2% dei corsi di formazione professionale frequentati dagli occupati sono stati preva-
lentemente organizzati in ambito aziendale mentre per appena il 10,6% si è trattato di forma-
zione professionale regionale.
16
17. sintesi
Popolazione di 15-64 anni per frequenza di corsi di studio e/o di formazione, condizione e ripartizione geografica - media 2008
(v.a in migliaia e incidenza %)
Frequenta corsi di studio e/o Frequenta corsi di studio e/o
di formazione (v.a.) di formazione (%)
Area geografica
Totale Totale
Occupati Occupati
popolazione popolazione
Nord-Ovest 494 1.410 7,2 13,7
Nord-Est 411 1.108 8,2 15,0
Centro 380 1.244 8,0 16,4
Sud e Isole 411 2.298 6,4 16,5
Italia 1.696 6,06 7,4 15,5
Fonte: ISTAT (RCFL - Rilevazione Continua Forze di Lavoro)
I tassi di partecipazione risultano più elevati se consideriamo i dati relativi all’indagine isfol-in-
daco, che utilizza una metodologia diversa da quella della Rilevazione istat forze di lavoro. È una
metodologia in linea con la rilevazione europea Adult Education Survey. Nel 2008 gli occupati che
hanno avuto in Italia nell’arco di un anno l’opportunità di partecipare ad almeno un’attività di for-
mazione collegata al proprio lavoro risultano in questo caso il 42,8% del totale, con una crescita
in quattro anni di oltre dieci punti. Tale valore sale al 58,3% per i dipendenti pubblici.
Occupati che hanno partecipato ad attività di formazione continua sul totale degli occupati, per condizione occupazionale, area
geografica e settore di attività - anno 2008 (incidenza %)
Occupati
Dipendenti Dipendenti Media
Autonomi
privati pubblici
Nord-Ovest 41,6 36,4 61,5 43,7
Nord-Est 44,3 26,8 64,0 43,6
Centro 33,3 38,3 59,0 40,2
Sud e Isole 37,3 41,7 53,2 43,1
Media 39,5 36,3 58,3 42,8
Fonte: ISFOL (INDACO - Lavoratori)
Più evidenti i divari interni a ciascuna categoria professionale: la partecipazione dei lavoratori
appare fortemente legata all’inquadramento professionale, alle caratteristiche socio-demogra-
fiche e alla dimensione d’impresa, favorendo una distribuzione delle opportunità formative che
di fatto genera forti disparità e ulteriori ineguaglianze nel mondo del lavoro. Sappiamo, ad esem-
pio, che il livello di istruzione rappresenta un’evidente discriminante nell’accesso alla formazione
continua. Al tempo stesso, il livello di istruzione del lavoratore è ancora oggi fortemente legato
alla scolarità della famiglia di origine.
Un altro esempio di disuguaglianza è quello relativo al forte ruolo svolto dalla posizione ricoperta
nella gerarchia aziendale, con le maggiori opportunità formative concentrate nelle fasce medio-alte.
17
18. rapporto isfol 2009
Sul fronte delle imprese, una su quattro coinvolge i propri dipendenti in corsi di formazione. Il
divario tra le grandi e le piccole rimane consistente. In quelle con più di 250 dipendenti si va dal
57,8% di imprese formatrici nel 2000 all’80,2% nel 2008. Le micro imprese hanno comunque
finalmente raggiunto un valore superiore al 20%.
L’offerta di formazione finanziata
Le adesioni ai Fondi paritetici interprofessionali evidenziano un aumento maggiore di quello re-
gistrato lo scorso anno, sia in termini di imprese (8,1%), sia in termini di lavoratori (9,3%). Il
contributo all’aumento delle adesioni sembra provenire soprattutto da imprese di piccola o pic-
colissima dimensione. Inoltre, il peso percentuale del Sud, per la prima volta in cinque anni, au-
menta a scapito del Nord e del Centro.
Distribuzione delle adesioni e dei lavoratori delle imprese aderenti, esclusi i Fondi per dirigenti* - anno 2009
Adesioni % Lavoratori %
Nord-Ovest 154.236 30,3 2.566.613 38,1
Nord-Est 168.140 33,1 1.917.085 28,5
Centro 74.373 14,6 1.256.701 18,7
Sud 67.063 13,2 669.843 10,0
Isole 44.293 8,7 319.625 4,7
Non attribuibili 88 - 327 -
Italia 508.193 100,0 6.730.194 100,0
* Al netto delle cessazioni e delle revoche.
Fonte: Elaborazione ISFOL su dati MLSPS/INPS e ISTAT (ASIA 2006)
Dall’avvio nel 2004 all’aprile 2009 si può stimare che i Fondi paritetici hanno ricevuto com-
plessivamente circa 1.726 milioni di euro. Di questi, circa 1.000 sono stati impegnati per il fi-
nanziamento di attività formative. Nel quinquennio sono stati finanziati circa 10 mila Piani for-
mativi che hanno coinvolto 57 mila imprese e circa 1,1 milioni di lavoratori, raggiungendo quin-
di il 16% dell’utenza potenziale, che ammonta attualmente a 6,7 milioni di lavoratori.
Venendo agli strumenti nazionali di sostegno (legge 236/1993), nell’arco temporale 2004-2008
il Ministero del Lavoro ha ripartito tra le Regioni e le Province autonome di Trento e Bolzano
circa 464 milioni di euro. Le amministrazioni regionali hanno emanato i relativi avvisi pubbli-
ci per un ammontare di circa 385 milioni (pari all’82,9% del totale). A questo importo vanno
inoltre aggiunti ulteriori 100 milioni di euro, relativi ai residui di precedenti decreti di riparto.
Complessivamente, sono stati quindi emanati avvisi regionali per un importo pari a circa 483
milioni di euro. Di questi, circa 380 milioni sono stati utilizzati per finanziare Piani formativi
concordati (aziendali, settoriali e territoriali); i restanti 103 hanno contribuito al finanziamen-
to di Piani formativi a domanda individuale (attraverso lo strumento del voucher). Al riguardo,
si evidenzia una preferenza dello strumento del voucher individuale da parte delle Regioni del
Nord-Est (ed in particolare Emilia Romagna e Veneto) e una sua scarsa diffusione nelle Regio-
ni del Mezzogiorno.
Inoltre, in alcune Regioni del Centro-Nord accanto alle forme tradizionali si stanno diffonden-
do pratiche più complesse relative sia all’aggregazione della domanda, sia alle tecniche di fi-
nanziamento, sia alle metodologie formative.
18
19. sintesi
Il numero stimato di beneficiari coinvolti nelle attività formative è stato pari ad oltre 800 mila
lavoratori, di cui circa 725 mila in azioni formative sviluppate nei piani concordati e più di 90
mila in voucher formativi individuali.
Risorse e beneficiari dei Piani formativi concordati e i Piani individuali finanziati attraverso la L. 236/1993 dal 2004 al 2008 (v.a.
e composizione % per area georgrafica)
Piani formativi concordati Piani formativi individuali
Area geografica Risorse Risorse Risorse Risorse
Beneficiari Beneficiari Beneficiari Beneficiari
messe a messe a messe a messe a
(v.a.) % (v.a.) %
bando (v.a.) bando % bando (v.a.) bando %
Nord-Ovest 139.525.065 36,8 472.130 65,0 28.533.800 27,6 24.064 26,2
Nord-Est 53.094.884 14,0 62.765 8,6 51.290.583 49,5 42.209 45,9
Centro 88.933.424 23,5 96.744 13,4 15.017.530 14,5 18.725 20,4
Sud e Isole 97.531.775 25,7 94.276 13,0 8.680.080 8,4 6.900 7,5
Italia 379.085.148 100,0 725.915 100,0 103.521.993 100,0 91.897 100,0
Fonte: Elaborazione ISFOL su dati regionali
Relativamente al Fondo sociale europeo, nella programmazione 2000-2006 sono stati spesi in Ita-
lia per la formazione dei lavoratori 2 milioni e 171 mila euro, di cui il 74,4% ha riguardato la for-
mazione continua mentre la restante quota è stata spesa per l’attuazione di azioni di sistema re-
lativi alla filiera. Nelle Regioni del Centro-nord la formazione per occupati ha riguardato in mi-
sura nettamente prevalentemente i lavoratori del settore privato (86,6% delle risorse erogate),
mentre nel Mezzogiorno la spesa per la formazione nella pubblica amministrazione assume con-
notati più robusti.
In termini di beneficiari, sono stati coinvolti oltre 1,7 milioni di occupati, di cui solo 364 mila
nel Mezzogiorno, dove in compenso c’è un maggiore coinvolgimento degli operatori della for-
mazione e dei Servizi per l’impiego.
Si tratta soprattutto di lavoratori con titoli di studio medio-alti. Tra i beneficiari solo il 20,5%
risulta in possesso di licenza media e l’8% di certificato di qualifica professionale.
La formazione nei Centri territoriali permanenti e nelle scuole
L’offerta formativa dei Centri territoriali permanenti (ctp) e degli istituti scolastici gestori di cor-
si serali presenta un trend in crescita relativamente al numero dei corsi complessivamente rea-
lizzati, ma soprattutto un costante e progressivo aumento degli iscritti, passati da 423.937 nel-
l’anno scolastico 2004/2005 a 482.570 nell’anno scolastico 2007/2008. In quest’ultimo i reali fre-
quentanti sono stati quasi 386 mila.
I Centri territoriali permanenti e i corsi serali per il conseguimento di titoli di studio attualmente
in funzione saranno ricondotti ai Centri per l’istruzione degli adulti (una tipologia di istituzione
scolastica autonoma, articolata in reti territoriali di servizio, di norma su base provinciale), che
realizzeranno a partire dall’a.s. 2010/2011 un’offerta formativa finalizzata al conseguimento del
titolo di studio e di certificazioni riferiti al primo ciclo e al secondo ciclo di istruzione in rela-
zione ai percorsi degli istituti tecnici, degli istituti professionali e dei licei artistici.
19
20. rapporto isfol 2009
Frequentanti per provenienza a.s. 2007/2008
di cui
Tipologie di corso Frequentanti
Italiani Stranieri
Corsi del primo ciclo di istruzione (CA+CSI) 64.221 17.711 46.510
Corsi a favore dei cittadini stranieri per l’Integrazione Linguistica e Sociale (CILS) 67.102 1.509 65.573
Corsi brevi modulari, di alfabetizzazione funzionale (CBM) 185.294 166.316 18.978
Corsi serali finalizzati al conseguimento del diploma di istruzione superiore e/o
69.246 60.002 9.244
di qualifica (CSII) - inclusi quelli erogati dai CTP
di cui erogati dai CTP 5.090 4.106 984
Totale 385.863 245.538 140.305
Fonte: Elaborazione ISFOL su dati MIUR (Monitoraggio Nazionale EdA) Agenzia per lo sviluppo dell’autonomia scolastica (ex INDIRE)
20
21. sintesi
2.3 Le caratteristiche della formazione professionale nei sistemi regionali
L’offerta e la partecipazione: un quadro complessivo
In merito alle attività formative realizzate dalle Regioni si evidenzia un livello di partecipazione piut-
tosto consistente: nell’anno formativo 2007/2008 sono stati realizzati circa 53 mila corsi. Emerge un
numero elevato di interventi in favore degli adulti occupati e degli apprendisti (rispettivamente 19.245
e 12.300 corsi). Significativa anche la quota dedicata alla formazione iniziale: 7.600 corsi, il più alto
numero di corsi realizzati in questa tipologia formativa dall’avvio delle sperimentazioni dei precorsi
triennali di Istruzione e formazione professionale. Risultano in continuo aumento i corsi per disoccupati
(ora a quota 4.173), forse anche come iniziale risposta di contrasto alle difficoltà legate alla crisi. La
formazione post-secondaria fa registrare un valore pari a 4.662 corsi.
I dati per ripartizione geografica restituiscono una distribuzione direttamente proporzionale al-
l’ampiezza del territorio di riferimento; nelle aree del Nord Italia si concentra il 55% dei corsi, al
Centro il 15% e al Sud e Isole il 30%. Tale scarto risulta più marcato se si considerano gli allievi,
con il Mezzogiorno a quota 16,2%. Complessivamente, gli allievi coinvolti sono 1.013.860, cui van-
no aggiunte circa 51.800 unità - quasi esclusivamente nel Centro-Nord - che hanno usufruito del-
la formazione attraverso tipologie di finanziamento individuali (voucher, dote formativa, ecc.).
Allievi per tipologia e ripartizione geografica - anno formativo 2007/2008
Formazione
Sogg. a
Formazione post Disoc- Appren-
Occupati rischio di Altri Totale
iniziale (a) secondaria cupati disti
esclusione
e IFTS (b)
Nord-Ovest 48.342 31.536 43.142 62.334 106.082 6.067 1.559 299.062
Nord-Est 45.426 29.898 17.268 75.562 219.056 4.377 16.167 407.754
Centro 19.634 21.974 10.425 9.169 45.474 10.180 25.969 142.825
Sud 5.259 30.751 13.635 12.834 26.954 3.699 3.007 96.139
Isole 20.368 5.576 16.132 219 22.455 2.826 504 68.080
Totale 139.029 119.735 100.602 160.118 420.021 27.149 47.206 1.013.860
(a) Formazione rivolta ai giovani finalizzata al conseguimento di una prima qualifica.
(b) Formazione rivolta ai qualificati di I livello, diplomati e laureati. Comprende il raccordo formazione - istruzione.
(c) Dati non disponibili.
Fonte: Elaborazione ISFOL su dati regionali e monitoraggi ISFOL
Nell’ambito della formazione rivolta ai giovani si registra un grado di copertura molto elevato, pari
al 43% del bacino potenziale (15-24enni in cerca di occupazione); mentre nella formazione rivol-
ta agli adulti occupati (oltre i 25 anni) la percentuale di incidenza scende al 2%. Nella formazione
destinata ad adulti disoccupati gli allievi sono il 10% dell’utenza potenzialmente interessata.
Il contributo del FSE per l’ingresso al lavoro
Relativamente alle politiche cofinanziate dal fse nel periodo di programmazione 2000-2006 (dati
al 31.12.2008), la spesa impegnata ammonta a poco meno di 17 miliardi di euro, di cui il 56,5%
(9,5 miliardi di euro) a beneficio delle Regioni dell’Obiettivo 3 e il restante 43,4% (7,3 miliardi
di euro) a favore delle Regioni dell’Obiettivo 1.
La forma principale attraverso cui l’utenza viene raggiunta dal fse continua ad essere la formazione.
21
22. rapporto isfol 2009
Numero di progetti e di destinatari per tipologia di azione
Obiettivo 3 Obiettivo 1 Totale
Progetti Destinat. Progetti Destinat. Progetti Destinat.
Tirocini 7.126 26.037 1.365 2.444 8.491 28.481
Piani d’inserimento lavorativo 378 3.384 10 - 388 3.384
Borse lavoro 2.827 5.402 - - 2.827 5.402
Altre forme di work experience 768 2.559 58 1.483 826 4.042
Totale work experience 11.099 37.382 1.433 3.927 12.532 41.309
Formazione all’interno dell’obbligo formativo 10.978 248.235 3.506 73.332 14.484 321.567
Formazione post obbligo formativo e post diploma 14.414 259.612 4.451 90.832 18.865 350.444
Formazione nell’ambito dell’apprendistato
1.144 48.938 59 4.525 1.203 53.463
post obbligo formativo
Alta formazione 210 3.912 285 4.859 495 8.771
Formazione finalizzata al reinserimento lavorativo 3.690 56.410 203 10.750 3.893 67.160
Formazione per la creazione di impresa 172 3.271 8 437 180 3.708
Totale formazione 30.608 620.378 8.512 184.735 39.120 805.113
Percorsi integrati per l’inserimento lavorativo 1.154 35.696 1.405 29.093 2.559 64.789
Percorsi integrati per la creazione di impresa 71 1.267 442 11.887 513 13.154
Totale percorsi integrati 1.225 36.963 1.847,00 40.980 3.072,00 77.943
Incentivi alle persone per la formazione 15.424 37.394 443 1.577 15.867 38.971
Incentivi alle persone per il lavoro autonomo 738 3.080 759 3.420 1.497 6.500
Incentivi alle imprese per l’occupazione 6.018 16.824 293 35.388 6.311 52.212
Totale incentivi 22.180 57.298 1.495 40.385 23.675 97.683
Totale 65.112 752.021 13.287 270.027 78.399 1.022.048
Fonte: Elaborazione ISFOL su dati MEF IGRUE (Monitweb)
La spesa regionale per la formazione professionale
Relativamente alla spesa per la formazione professionale sostenuta e preventivata dalle Regioni
e Province autonome, per il 2009 si registra un lieve decremento rispetto l’anno precedente. La
somma delle previsioni di spesa ammonta a 3,2 miliardi rispetto ai 3,4 miliardi del 2008, anno
in cui si era registrata una forte crescita dovuta essenzialmente alla assegnazione delle dotazio-
ni derivanti dal fse.
Per quanto concerne i dati dei bilanci consuntivi, nel 2007 le risorse disponibili ammontavano
a 3,4 miliardi di euro, registrando un decremento del 26% rispetto al 2006, dovuto principal-
mente alla mancanza delle risorse derivanti dal fse, essendo il 2007 l’anno di inizio della nuo-
va programmazione.
L’accreditamento delle strutture formative
L’isfol ha realizzato una ricognizione presso tutte le Regioni e le Province autonome sull’appli-
cazione dei criteri generali di accreditamento delle strutture formative che realizzano i percorsi
triennali di istruzione e formazione professionale. Dalla prima analisi delle schede pervenute si
può rilevare come a livello generale quasi tutte le amministrazioni regionali abbiano contemplato,
sebbene in forme diverse, i sette criteri generali previsti per l’obbligo di istruzione all’interno dei
propri sistemi di accreditamento e/o nei bandi per la selezione dei progetti formativi.
22
23. sintesi
In sintesi, i risultati suggeriscono l’esistenza di una certa omologia tra i fenomeni di sviluppo eco-
nomico e coesione sociale e quelli del governo regionale della formazione professionale attra-
verso l’accreditamento. Questo parallelismo rende plausibile l’ipotesi interpretativa che il fattore
determinante nello sviluppo del sistema di offerta formativa delle Regioni sia esogeno rispetto
al sistema formativo in quanto tale: se la formazione professionale funziona nelle Regioni più
ricche, con minore disoccupazione e maggiore capitale sociale, questo significa che le politiche
delle altre Regioni non sono state in grado di ridurre l’influenza negativa degli altri fattori di con-
testo in certa misura riconducibili a fenomeni appunto esogeni, legati alla qualità strutturale e
alla governance dei territori.
23
24.
25. sezione formazione
capitolo 3
Approfondimenti
3.1 Il rendimento della formazione del personale per le imprese
Le aziende che fanno formazione registrano in media performance migliori in termini di roi (Re-
turn On Investment, indice che esamina la redditività delle attività delle imprese). Ciò è vero fino
ad una percentuale di addetti formati compresa tra il 60% e l’80%. Sembra quindi esserci una
soglia critica, al di sotto della quale il rendimento è crescente e al di sopra torna invece a dimi-
nuire. Anche l’analisi della redditività aziendale per fasce di spesa pro-capite in formazione sem-
bra confermare questa ipotesi: la percentuale di imprese con un roi in aumento cresce fino a quan-
do la spesa per formazione non tocca i 100 euro per addetto, per poi diminuire tra 100 e 200 euro
e tornare a crescere in modo molto significativo solo per investimenti superiori ai 400 euro. In
alcune fasi del loro sviluppo, molte imprese potrebbero dunque trovarsi in una sorta di “trap-
pola della formazione”, ovvero in una situazione in cui un piccolo investimento marginale in for-
mazione non appare in connessione con il miglioramento delle performance. In queste condi-
zioni, un forte investimento sul capitale umano può contribuire ad accrescere i profitti.
È significativo, inoltre, che le aziende con un roi in miglioramento non si siano limitate a for-
mare il personale su aspetti puramente tecnici e organizzativi, ma abbiano avviato anche corsi
nell’ambito dei processi di certificazione sulla responsabilità sociale d’impresa, che sta diventando
uno dei punti di forza delle imprese più competitive e dinamiche.
I programmi di formazione del personale hanno un effetto sulla redditività aziendale molto si-
gnificativo nelle imprese innovative, mentre nelle altre sembra addirittura ridurre la redditività.
Questo risultato conferma come la formazione professionale possa svolgere un ruolo propulsi-
vo sulla performance e sullo sviluppo delle singole imprese, anche nel breve periodo, solo se è in-
quadrata in un programma organico di innovazioni di prodotto e di processo.
25
26. rapporto isfol 2009
Imprese per introduzione di innovazioni e attività di formazione continua (composizione % per andamento del ROI)
Andamento del ROI
Tipologia di azienda Attività di formazione
Aumentato Stabile Diminuito
nessuna azione 26,1 26,6 47,3
Ha introdotto innovazioni
almeno un’azione 31,8 35,6 32,6
nessuna azione 10,7 44,3 45,0
Non ha introdotto innovazioni
almeno un’azione 12,3 25,5 62,3
Fonte: ISFOL (INDACO - Indagine sulla conoscenza delle imprese)
26
27. sintesi
3.2 I benefici della formazione continua in termini di mobilità
professionale
Circa il 60% dei lavoratori riconosce la necessità di dovere aggiornare o acquisire nuove com-
petenze per poter svolgere efficacemente il proprio lavoro. Valori più alti si riscontrano nel pub-
blico impiego (79,6%).
Atteggiamenti dei lavoratori verso la formazione continua: lavoratori che ritengono utile la FC per aggiornare e/o acquisire le com-
petenze e le conoscenze (incidenza %)
Dip. Privato Autonomo Dip. Pubblico Totale
Settore
Industria 54,8 41,0 - 52,5
Costruzioni 40,8 49,2 - 43,9
Commercio 48,6 50,3 - 49,4
Servizi 66,4 71,1 - 67,8
P.A. 71,1 79,7 79,2
Titolo di studio
Elementare 20,2 25,9 32,1 23,4
Media inf. 44,5 44,1 57,1 46,0
Professionale 67,5 56,4 81,4 68,1
Diploma 68,7 65,1 85,4 72,1
Università 80,3 88,2 93,3 88,2
Fonte: ISFOL (INDACO - Lavoratori)
Le figure a più basso inquadramento professionale risultano le meno recettive alla percezione
dell’utilità di fare formazione. Inoltre, l’andamento generale della partecipazione dei lavorato-
ri alle attività di formazione continua si caratterizza per la difficoltà dei segmenti deboli (don-
ne, lavoratori con bassi titoli di studio, lavoratori maturi) ad esprimere una sufficiente doman-
da formativa.
I lavoratori ritengono prevalentemente che la formazione serva a favorire processi di mobilità
verticale, mentre in misura nettamente minore è percepita come strumento per favorire la mo-
bilità orizzontale (cambiare tipo di lavoro all’interno dell’azienda) o processi di mobilità ester-
na. Risulta poi un crescente divario tra il riconoscimento dell’utilità della formazione rispetto
ai benefici effetti della formazione stessa: il 75% dei lavoratori, tra quelli che hanno dichiarato
di avere partecipato nel corso dell’ultimo anno o nelle quattro settimane precedenti ad attività
formative, dichiara di non avere migliorato la propria posizione professionale. Ciò può essere
originato da un’insufficiente capacità di realizzare una formazione realmente efficace e spendi-
bile sul posto di lavoro; oppure dall’incapacità dell’azienda a valorizzare percorsi di accrescimento
delle competenze dei propri lavoratori.
I giovani fino a 24 anni indicano di riconoscere un miglioramento della posizione professiona-
le quale esito della formazione effettuata molto meno dei loro colleghi più anziani.
27
28. rapporto isfol 2009
3.3 La mobilità professionale e di studio
Tramontata l’era in cui l’esperienza all’estero costituiva un’eccezione a vantaggio di pochi, oggi
si “ripensa” alla mobilità come ad una parte essenziale del percorso formativo degli individui,
anche se in Italia la mobilità di studio e/o lavoro continua a interessare soprattutto la popola-
zione più giovane. La tendenza a proseguire gli studi all’estero o a completare ed ampliare le pro-
prie capacità professionali attraverso l’acquisizione di nuovi saperi è più tipica di una fascia di
età compresa fra 26 e 35 anni.
Quanto alla mobilità da parte dei più giovani (fascia di età 15-20) è vista come integrativa del
proprio ciclo formativo piuttosto che come mezzo per l’acquisizione di competenze al di fuori
di quelle che il proprio percorso formativo offre.
La mobilità che ricade nel programma settoriale Leonardo Da Vinci costituisce la gran parte del-
le esperienze dei flussi in uscita. Segue il programma di mobilità di apprendimento superiore Era-
smus, che nel 2007 registrava ancora un flusso molto consistente di studenti italiani, ma nelle an-
nualità successive ha invece registrato un “calo di popolarità”, proporzionale al successo ripor-
tato da un’altra iniziativa di mobilità nell’apprendimento superiore, il programma settoriale Era-
smus Placement. Le ragioni di questa inversione di tendenza sono essenzialmente riconducibili
al problema del riconoscimento e valutazione dell’esperienza compiuta. Vi è il timore che l’e-
sperienza all’estero si trasformi al rientro in una trafila estenuante per vedersi riconosciuto l’ap-
prendimento maturato. Ne è emersa la preferenza a concludere gli studi nel proprio paese di ori-
gine e a rimandare la partenza.
Una questione che negli ultimi tempi ha spinto studenti e lavoratori a riconsiderare la mobilità,
è la difficoltà a riconoscere le conoscenze che derivano da processi di apprendimento informa-
li, che avvengono cioè nell’ambito di contesti sociali, sul luogo di lavoro e nella società civile.
A fronte di un incremento dei livelli di competizione sul mercato del lavoro, accresciuti anche
dal congiunturale momento di crisi, l’arricchimento dei cv dei cittadini ma ancor di più l’ac-
quisizione precoce di competenze necessarie a svolgere operativamente un lavoro diventa par-
ticolarmente importante. Dai dati relativi al placement a seguito di esperienze di tirocinio all’e-
stero si evince che il mercato del lavoro comincia a premiare l’esperienza più di quanto non fac-
ciano i sistemi preposti alla sua certificazione.
28
29. sintesi
3.4 Validazione, certificazione e riconoscimento dell’apprendimento non
formale e informale
I provvedimenti di riforma in tema di validazione dell’apprendimento si possono ricondurre a
due distinte categorie:
1. iniziative di promozione dell’apprendimento esperienziale che pianificano a monte l’alter-
nanza tra aula ed esperienza;
2. iniziative di valorizzazione dell’apprendimento esperienziale che puntano invece a ricostruire
a valle l’apprendimento maturato in esperienze di lavoro o di vita.
La Commissione europea si è spesa molto negli ultimi cinque anni nel richiamare i Paesi mem-
bri ad istituire e rendere fruibili ai cittadini sistemi di validazione dell’apprendimento da espe-
rienza. Da tempo sta lavorando intorno all’idea di creare Piattaforme comuni e Tessere profes-
sionali che declinino i requisiti e le competenze necessarie all’esercizio di professioni regolamentate
e non regolamentate, che sostengano procedure di riconoscimento dell’esperienza concreta.
In Italia possiamo contare su una condivisione delle parti istituzionali e sociali nonché su alcu-
ne iniziative avviate negli scorsi anni, come ad esempio l’Istruzione e Formazione tecnica superiore
(per il riconoscimento di crediti da esperienza) e il Libretto formativo del cittadino (quale stru-
mento istruttorio e documentale che può intendersi preventivo alla certificazione dell’appren-
dimento da esperienza).
29
30.
31. sezione lavoro
capitolo 1
Contesto ed evoluzione delle politiche
1.1 Il quadro di contesto economico nazionale e comunitario
I mercati del lavoro dei diversi paesi europei sono fortemente eterogenei. Solo 8 dei 27 Stati mem-
bri sono allineati con l’obiettivo della Strategia di Lisbona che fissa un tasso di occupazione del
70% entro il 2010. E 16 sono quelli che ottemperano all’obiettivo del 60% di donne occupate
nella fascia di età 15-64 anni. Quasi tutti i paesi sono ancora caratterizzati da una marcata di-
sparità di genere. Nell’eu27 il differenziale nei tassi di occupazione ammonta al 13,7%. Tale gap
è inferiore ai cinque punti percentuali esclusivamente nelle economie fortemente inclusive, qua-
li Finlandia e Svezia, mentre raggiunge i valori più elevati nelle economie mediterranee, come
Grecia (26,3%), Italia (23,1%) e Spagna (18,6%).
In definitiva, in Europa convivono due tipologie di mercato:
• mercati inclusivi, che caratterizzano i paesi dove anche a costo di una riduzione d’orario ge-
neralizzata la partecipazione al mercato è molto elevata;
• mercati segmentati, dove il lavoro si esplica fondamentalmente nell’arco dell’intera giorna-
ta e la partecipazione delle persone è più limitata.
A questi due modelli contrapposti si legano spesso modelli di welfare altrettanto differenziati:
da una parte un welfare sociale di tipo partecipativo ma fortemente indirizzato agli individui,
dall’altra un welfare assistenziale di tipo familiare.
Occorre comunque considerare che nel confronto europeo, condotto tramite valori medi nazionali,
non emerge la polarizzazione Nord-Sud che caratterizza il nostro Paese. Il livello degli indica-
tori misurati nelle regioni settentrionali risulta, infatti, ben al di sopra delle corrispondenti me-
die riferite al contesto comunitario.
Quanto al capitale umano, c’è anche qui una forte eterogeneità della popolazione europea re-
lativamente ai percorsi formativi, fatte salve le possibili discrasie indotte da sistemi scolastici non
omogenei. La quota di laureati sul totale della popolazione attiva varia, ad esempio, da un mi-
nimo del 12-13% a valori che superano il 30%.
È evidente quanto sia importante la dotazione di capitale umano per lo sviluppo e la competi-
tività dell’intero sistema economico. Gli Stati europei con minore dotazione di capitale umano
(Italia, Polonia, Ungheria, Repubblica Ceca, Portogallo, Slovacchia, Grecia) sono anche quelli dove
la produttività del lavoro è sensibilmente più bassa.
31
32. rapporto isfol 2009
Livelli di produttività e di capitale umano in alcuni paesi europei
40,0
Belgium
Finland
Ireland
35,0 Spain United Kingdom
Denmark
Netherlands
% di laureati su occupati
30,0 Sweden France
Germany
25,0 Greece
Poland
Hungary
20,0 Austria
Italy
Slovak Republic
Czech Republic
15,0 Portugal
10,0
10 20 30 40 50 60 70
Produttività del lavoro
Fonte: Elaborazione ISFOL su dati EUROSTAT (2008) e OECD (2008)
Per quanto riguarda l’Italia occorre comunque evidenziare che i più recenti dati sulla produtti-
vità riportano il nostro Paese ai livelli dei principali partner europei. Inoltre, alla luce del mar-
cato dualismo territoriale, particolarmente considerevole è l’incremento delle regioni del Nord.
Per quanto attiene la congiuntura, dopo la profonda fase recessiva che ha colpito l’economia eu-
ropea, i dati più recenti mostrano l’insorgenza di segnali di inversione di tendenza. L’andamento
del pil migliora. Viceversa, la dinamica occupazionale è in via di peggioramento. Il dato italia-
no è in linea con questa tendenza, ma appare chiaro come la crisi abbia avuto da noi un impat-
to inferiore rispetto al resto d’Europa.
32
33. sintesi
Tabella 11. Occupati in Europa al secondo trimestre 2009
Percentage change compared Percentage change compared
to the previous quarter to the same quarter of the previous year
2008 2009 2008 2009
Q3 Q4 Q1 Q2 Q3 Q4 Q1 Q2
EU27 -0,2 -0,3 -0,8 -0,6 0,7 0,2 -1,2 -1,9
BE Belgium 0,3 0,0 -0,5 -0,5 1,7 1,2 0,1 -0,7
BU Bulgaria - - - - 3,0 2,1 -0,3 -1,8
CZ Czech Republic 0,6 -0,1 -1,0 -0,8 1,3 0,9 0,3 -1,4
DK Denmark 0,1 -0,5 -1,3 - 0,9 -0,1 -1,8 -
DE Germany 0,2 0,1 -0,1 -0,3 1,4 1,1 0,4 -0,1
EE Estonia -0,2 -0,6 -7,2 -1,8 -0,3 -0,2 -7,2 -10,2
IE Ireland -1,5 -1,5 -3,8 - -1,8 -3,8 -7,5 -
GR Greece 0,1 0,6 -1,8 0,3 1,1 1,0 -0,6 -1,0
ES Spain -1,5 -2,0 -2,5 -1,3 -0,9 -3,1 -6,5 -7,1
FR France -0,1 -0,2 -0,5 -0,4 0,4 -0,1 -0,7 -1,1
IT Italy -0,4 -0,2 -0,2 0,0 -0,2 -0,2 -0,6 -0,9
CY Cyprus - - - - 3,5 1,9 1,4 -0,5
LV Latvia -2,3 -3,1 -3,3 -4,9 0,2 -5,4 -8,2 -13,1
LT Lithuania 0,2 -0,7 -4,5 -1,8 -1,0 -1,2 -5,1 -6,7
LU Luxembourg 0,8 0,5 -0,3 - 4,6 3,7 2,4 -
HU Hungary - - - - -0,7 -0,9 -3,0 -4,5
MT Malta - - - - 2,3 1,8 0,6 -0,8
NL Netherlands 0,0 0,3 -0,4 - 1,1 1,1 0,3 -
AT Austria -0,1 -0,2 -0,4 -0,4 1,5 1,4 -0,4 -1,1
PL Poland - - - - 3,7 3,0 -1,0 -0,7
PT Portugal -0,9 0,4 -1,3 -0,9 -0,2 -0,1 -1,6 -2,7
RO Romania - - - - - - - -
SI Slovenia 0,6 0,4 -1,2 -1,4 2,9 2,4 0,5 -1,6
SK Slovakia 1,7 -0,3 -1,9 -0,6 3,2 2,1 -0,4 -1,3
FI Finland -0,7 -0,2 -0,7 -1,2 1,0 0,8 -1,1 -3,0
SE Sweden - - - - 0,7 0,0 -1,2 -2,2
UK United Kingdom -0,3 -0,2 -0,5 -0,9 0,4 -0,2 -1,1 -2,0
Fonte: Nota EUROSTAT 130/2009 - 14 settembre 2009
La recente contrazione occupazionale ha colpito maggiormente la manodopera maschile. D’al-
tro canto le conseguenze occupazionali più pesanti della crisi si sono registrate in settori a for-
te presenza di uomini, quali la manifattura e le costruzioni. In Europa i servizi (esclusi quelli fi-
nanziari e commerciali) mostrano segnali di una seppur lieve crescita occupazionale.
Gli effetti della crisi economica sul mercato del lavoro non si riflettono solamente sul numero
di occupati, ma anche e più in generale sull’intensità di lavoro. Gli ultimi dati sull’orario di la-
voro in Europa mostrano una contrazione dell’orario medio di circa un quarto d’ora nell’ulti-
33
34. rapporto isfol 2009
mo anno. L’Italia è uno dei paesi dove la contrazione dell’orario di lavoro appare più marcata,
verosimilmente in ragione del robusto potenziamento degli ammortizzatori sociali: tra il primo
trimestre del 2008 ed il primo trimestre del 2009, infatti, il tempo medio di lavoro è calato di cir-
ca mezz’ora.
Venendo alle risposte di contrasto alla crisi, poiché i primi effetti si sono manifestati per il tra-
mite della stretta creditizia, nella fase iniziale in Europa così come nel resto delle economie mon-
diali ci si è adoperati per garantire la tenuta dei sistemi del credito e della finanza. A fronte del-
la flessione più grave dell’occupazione prevista nel 2010, l’Unione europea ha poi prodotto una
serie di iniziative rivolte a tamponare gli impatti sul mondo del lavoro. Oltre allo stanziamento
di risorse finanziarie, sono stati indicati alcuni approcci di policy e un’attenzione particolare è
stata posta al rafforzamento del capitale umano. Negli Stati membri l’integrazione tra fondi è
stato uno dei principali strumenti utilizzati, utilizzando in particolare il Fondo sociale europeo
(con la possibilità di spendere l’intero budget della programmazione 2007-2013 entro il 2011).
34
35. sintesi
1.2 L’evoluzione delle politiche nazionali e regionali per il lavoro
Tra i provvedimenti legislativi di maggiore interesse vi sono alcuni profili della disciplina del la-
voro a tempo determinato e del lavoro accessorio di tipo occasionale, il cui ambito di applica-
zione è stato ampliato in modo significativo. Su questi aspetti nel Libro Bianco è stata eviden-
ziata la necessità di estendere anche ai lavoratori assunti non a tempo indeterminato gli strumenti
di sostegno al reddito. Il tentativo è di favorire politiche di protezione attiva dell’occupazione,
spostando l’enfasi dal singolo posto di lavoro e dalla singola azienda (attraverso la Cassa inte-
grazione) agli investimenti nell’occupabilità di ciascun individuo (cui collegare un sussidio ge-
neralizzato). L’ottica è dunque quella della centralità della persona.
Anche il lavoro accessorio - che ha il fine di fare emergere attività sommerse o irregolari, garantendo
ai soggetti interessati copertura assicurativa e previdenziale - rientra in una logica di partecipa-
zione attiva del cittadino. Con la legge 102/2009 anche le pubbliche amministrazioni potranno
fare ricorso a questo tipo di contratto.
Altre novità riguardano il contratto di inserimento, con particolare rilevanza sulle dinamiche del-
l’occupazione femminile; nonché gli interventi di modifica del Testo Unico in materia di salute
e sicurezza sui luoghi di lavoro, che vede nella prevenzione uno dei suoi aspetti più qualificanti.
Sul fronte della contrattazione collettiva, la stipula dell’accordo-quadro del 22 gennaio 2009 (cui
è seguito l’accordo interconfederale di attuazione del 15 aprile 2009) ha confermato una strut-
tura incentrata sulla contrattazione collettiva nazionale ma con una forte attenzione all’obiet-
tivo di incentivare la contrattazione decentrata, per la promozione della produttività delle azien-
de e, con essa, dell’incremento delle retribuzioni. Tale obiettivo di incentivare la contrattazione
decentrata è stato evidenziato anche nel Libro Bianco.
Quanto alle misure di sostegno al reddito legate alla gestione dell’emergenza, la materia degli am-
mortizzatori sociali ha ricevuto preponderante attenzione durante tutto l’anno, con un ampliamento
della platea dei beneficiari. L’intervento legislativo nazionale si è focalizzato su misure dirette a
proteggere lavoratori ed imprese dagli effetti della crisi. Ci si riferisce in particolare al Decreto
anti-crisi, il cui fulcro è costituito dal potenziamento ed estensione degli strumenti di tutela del
reddito. Tra le misure adottate si segnalano i due canali dell’intervento integrativo affidato agli
Enti bilaterali e delle risorse messe a disposizione dalle Regioni, attraverso l’utilizzo del Fondo
sociale europeo e in base ad un approccio di politica attiva per il lavoro.
Al di là dell’emergenza, si profila quindi un nuovo modello di intervento, che vede le Regioni
come ulteriori finanziatori degli ammortizzatori in deroga.
Ed anche lo sforzo legislativo nazionale più recente, la cosiddetta manovra d’estate, si è soprat-
tutto concentrato nell’individuazione di innovative misure di politica attiva espressamente de-
dicate ai titolari di ammortizzatori sociali, al fine di reperire una sorta di controprestazione op-
pure una più veloce fuoriuscita dall’inattività.
35
36.
37. sezione lavoro
capitolo 2
I fenomeni
2.1 L’andamento del mercato del lavoro
Il tessuto produttivo italiano e la domanda di lavoro
Nel sistema produttivo italiano si conferma la prevalenza delle piccole e piccolissime imprese:
le aziende con un numero di addetti inferiore a 10 rappresentano poco meno del 95% del tota-
le, anche se occupano solo il 46% degli addetti. Alla dimensione delle imprese sono generalmente
correlati la distribuzione della forza lavoro secondo la forma di contratto e numerosi altri aspet-
ti particolarmente rilevanti per misurare l’impatto della crisi economico-finanziaria.
L’incidenza del lavoro a termine (pari all’11% del totale dei dipendenti) ha un andamento de-
crescente all’aumentare della dimensione di impresa: dal 15% delle imprese con meno di 10 ad-
detti, all’8% delle imprese con oltre 250 addetti.
La quota maggiore dell’occupazione dipendente a termine (68%) è assorbita dai contratti a tem-
po determinato inquadrati in un contratto collettivo; seguono i contratti di apprendistato (24,5%)
e i contratti di inserimento (3,8%).
Le imprese che utilizzano il contratto a tempo determinato giustificano tale scelta principalmente
con l’esigenza di fronteggiare la stagionalità programmata (33% dei casi), subito seguite dalle
imprese che invece vi ricorrono come periodo di prova in vista di una assunzione a tempo in-
determinato (31%); numerose sono anche le imprese che utilizzano il tempo determinato per
fronteggiare commesse e progetti temporanei (20%).
37