TURAZZA VOGUE
La pubblicazione nasce dalla collaborazione tra allievi dell'Istituto Turazza di Treviso, settore moda, e alcuni insegnanti. La finalità del progetto è quella di promuovere l'attività del CFP pubblicizzando i capolavori realizzati dai ragazzi durante l'anno 2013/2014.
Prof. Tiziano Pavan per la fotografia
Prof. Paola Bortoluzzi per la post produzione video
Prof. Anna Monforte per i testi
Prof. Giuseppina Menoncello, fashion consulting
Si ringrazia tutta la 3 moda
3. L’optical art, nota anche
come op art, è un movimento di arte
astratta nato intorno agli anni Sessanta e
sviluppatosi poi negli anni Settanta del
Novecento.A fondamento di tutto c’è il
concetto di “illusione ottica” basata sul
movimento, attraverso l’accostamento
opportuno di particolari soggetti astratti
o sfruttando il colore. Si tratta di una
corrente che viene spesso inclusa nel più
grande movimento dell’arte cinetica, della
quale approfondisce l’esame dell’illusione
bidimensionale. È un’arte essenzialmente
grafica in cui si cerca di ottenere effetti che
inducano uno stato di instabilità percettiva,
attraverso linee collocate in griglie modulari
e strutturali diverse. In tal modo, si stimola
il coinvolgimento dell’osservatore. La op
art riprende alcuni aspetti della concretezza
e della cinetica del Futurismo, dando risalto
ai puri valori visivi.
I primi esperimenti cinetici furono realizzati
dagli artisti Richard Anuszkiewicz, Bridget
Riley, Julio Le Parc e Victor Vasarely,
nelle cui composizioni l’effetto ottico è
fortissimo.
Da quei principi nasce poi il concetto di
Optical Flow (flusso ottico) che considera
il moto di un oggetto all’interno di una
rappresentazione visuale digitale.
Il moto è rappresentato come un vettore
che si origina da un pixel, ad esempio in
una sequenza di frame. L’Optical Flow è
molto utilizzata nella visione artificiale,
pattern recognition ed altre applicazioni del
processamento delle immagini.
10. SSi fa risalire la nascita
della moda futurista alla
pubblicazione da parte di
Giacomo Balla nel 1914 del
Manifesto della moda futurista
che uscì inizialmente con il
titolo Le vetement masculin
futuriste. Manifeste.
L’abito futurista rappresenta
una innovazione nel campo
della moda internazionale e
una direzione verso il futuro.
Questi abiti hanno lo scopo di
suscitare emozioni e stimolare
la libera creatività. Non
devono essere in relazione
con l’ambiente della società,
ma devono essere scioccanti e provocanti. Questa è una provocazione concreta, perché gli abiti
hanno come scopola praticità e l’essere adatti a tutte le attività di vita e quindi devono risultare
soprattutto comodi.
Gli abiti femminili includono spesso accessori quali cravatte di diverse fogge ma sempre molto
colorate, sciarpe con decorazioni e temi dinamici, cappelli e borse trasformabili .Le camicette e
i maglioni sono sempre di forme bizzarre e con combinazioni cromatiche azzardate. Questa loro
caratteristica fece si che la loro reale applicazione nel pret a porter risultasse impraticabile.
Fu poi il futurismo ad introdurre nella moda attraverso lo stilista Ernesto Thayaht l’utilizzo della
Tuta. Prevista sia ad uso maschile che femminile, fatta con stoffe semplici e tagli rettilinei, per la
cui realizzazione occorrevano quattro metri e cinquanta di tessuto alto settanta centimetri e sette
bottoni.
Il nome fu scelto in riferimento non al Tutus latino, ma, a “Tutta”, parola cui veniva tolta una “T”,
la quale somigliava molto al modello dell’abito.
L’intento di Thayaht era quello di dare un vestito decoroso alla folla “grigia” cercando di
soppiantare lo scomodo e costoso abito “di moda”.
Un’altra delle più famose creazioni della moda futurista è il gilet ad assemblage, realizzato
in diverse versioni da Giacomo Balla e Fortunato Depero negli anni Venti, con composizioni
geometriche e colori a contrasto.
18. “Non si può mai essere troppo chic” recitava un
famoso aforisma, anche se con il termine si entra in
un mondo dai contorni non ben definiti.
L’utilizzo della parola chic si fa spesso risalire
alla Francia dell’inizio del ventesimo secolo ed
inizialmente veniva scritta chique. Molte sono state
nei secoli le speculazioni sull’etimologia del termine:
c’è chi ne attribuisce l’origine al tedesco schick, che
altro non voleva dire se non abito, oppure si risale al
diciassettesimo secolo, cioè quando al tempo di Luigi
XIII, una persona abile a destreggiarsi con la legge
veniva soprannominato chicane, con il significato di
cavillo.
Il concetto che stava comunque alla base della
parola chic con il tempo è mutato, ed è stato adottato
da diversi paesi in tutto il mondo. Spesso la parola
viene utilizzata anche al di fuori del campo della
moda.
Si può assumere infatti un atteggiamento Radical
Chic, terminologia mutuata dall’inglese per definire
gli appartenenti alla ricca borghesia o gli snob
provenienti dalla classe media che, per seguire la
moda, per esibizionismo o per inconfessati interessi
personali, ostentano idee e tendenze opposte al
loro vero ceto di appartenenza sfoggiando un
atteggiamento di convinta superiorità culturale;
si può anche essere fanatici della musica folk ed
ascoltare gli Chic oppure semplicemente “darsi un
tono” e autodefinirsi molto chic!
28. si ringrazia:
Prof. Tiziano Pavan per la fotografia
Prof. Paola Bortoluzzi per la post produzione video
Prof. Anna Monforte per i testi
Prof. Luciano Ferrai per la consulenza grafica
Prof. Giuseppina Menoncello, fashion consulting
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