Il tutto nasce dal fatto che sono un po’ irritato da alcune/i giornaliste/i, sia che scrivano su giornali, riviste o blog, sia che intervengano in televisione o alla radio.
1. Estratto dal sito
www.ilfuturomigliore.org
L’INFERNO DEL GIORNALISMO
sergio benassai
Il tutto nasce dal fatto che sono un po’ irritato da alcune/i giornaliste/i, sia che
scrivano su giornali, riviste o blog, sia che intervengano in televisione o alla radio.
Se è giusto che sollecitino, anche con domande “cattive”, le/i loro interlocutrici/ori
(specialmente personaggi politici) ad esprimersi su aspetti non proprio
commendevoli delle loro attività, delle loro relazioni, delle loro dichiarazioni; se è
giusto che denuncino atti e comportamenti, norme e decisioni, che non sono coerenti
col pubblico interesse; se è giusto che facciano conoscere aspetti finora poco o male
indagati; se tutto ciò è giusto, non mi sembra però corrisponda al loro ruolo quello di
ergersi a fustigatrici/ori di più o meno presunti malcostumi, a sacerdotesse/i della
legalità, a paladine/i del popolo, o a portatrici/ori di verità.
Specialmente se sono loro talvolta ad essere discutibili in materia di coerenza, di
sincerità e, magari, di legalità (intendendo con ciò anche il rispetto delle leggi sulle
imposte: l’ovvio riferimento è ai loro non sempre trasparenti guadagni).
Per questo ho deciso di crearmi un “inferno dantesco” dove sistemare, secondo un
mio criterio (ovviamente del tutto soggettivo), alcuni (magari in futuro ci saranno
anche “alcune”) giornalisti.
Essendo un “inferno dantesco” non può essere rappresentato che da terzine di
endecasillabi a rima incatenata.
2. Canto I
“il Fatto quotidiano” serve forse
come mezzo mediale per Travaglio
per far quello che prima non gli occorse ?
Ognun può divenir per lui bersaglio
su ogni piccola cosa ironizzando
e se qualvolta prende qualche abbaglio
non importa. Ridendo e sghignazzando,
scudo si fa di essere suo mestiere
indagare. Con ciò giustificando
il pubblicare notiziole vere
che senza rilevanza invero sono
ma suscitano in tanti gran piacere;
perché le maldicenze sono un dono
per lettori che i loro gran difetti
potran giustificare, con l’abbuono
che degli altri è la colpa, e lor son retti.
Travaglio travagliò con Montanelli,
che forse non concesse a lui che infetti
scritti da pubblicar fossero belli.
E all’Unità di cui fu redattore
concesso non gli fu di far tranelli.
Ma adesso, divenuto direttore,
può finalmente rivelar se stesso:
malignar, criticar, e un riflettore
puntar verso qualcuno con successo
per dimostrar che quello certamente
se colpevol non è, è almeno fesso.
Non sarà quindi allora un accidente
se nell’inferno di un moderno Dante
troverà un posto di luogotenente.
3. Canto II
Luttwak, rumeno, or statunitense,
si diletta a parlar di gran scenari,
per cui riceve ampie ricompense.
Attento come sempre a far denari,
racconta fole e gran commenti avanza
a quanti sono del reale ignari.
Quanto dice non ha la rilevanza
di chi conosce i fatti. Non è questa
la base della sua nota arroganza.
Accuse e colpe ogni volta assesta
(non importa se ciò sia falso o vero)
come se sola fosse la sua testa
a capir quel ch’è bianco e quel ch’è nero.
Luttwak ama la guerra e il capitale.
Ma non vuole finire al cimitero
e di chi muore in guerra a lui non cale.
E neppur di chi povero diventa,
dollari guadagnar per lui sol vale.
4. Canto III
La città degli estensi forse ignora
che il suo nome (Ferrara) fu ripreso
da un tizio che davvero disonora
dei giornalisti l’ordin da lui leso.
Di Giuliano Ferrara fo menzione
e del suo ego ampiamente esteso
e della stratosferica ambizione
d’esser nel giusto. Vale com’esempio
il ritenere giusta posizione
il prostrarsi alla chiesa come tempio,
che solo rappresenta d’occidente
i valori. Facendo così scempio
della ragion, che pur è l’ingrediente
della storia d’Europa e dell’Italia.
Ben si sa di Ferrara ch’egli mente,
avendo a Berlusconi fatto balia.
Non conviene per questo a lui donare
come simbolo il fiore della dalia:
alla qual si concorda di associare
buon gusto ed eleganza, che davvero
in Ferrara difficile è trovare.
5. Canto IV
Di “Libero” una volta direttore.
Libero si ritien di proseguire
a violare le norme con ardore.
Dall’Ordin fu sospeso per l’ardire
di pubblicare scritti di un radiato
(Farina era colui da favorire).
Al carcere fu quindi condannato
per un anno e due mesi dalla Corte
per aver Cocilovo diffamato.
Ma subir non dovette tale sorte:
Napolitano grazia gli concesse
e libero tornò. Così le porte
sono aperte per lui (sempre le stesse)
del “Giornale”, che è da lui diretto.
E neppure ha provato a far promesse
per dir che d’ora in poi sarà corretto.
Alessandro Sallusti lui s’appella.
Ma come ? Non l’avevo ancora detto ?