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InFormaMIBollettino dell’OMCeOMI
1 . 2017 anno LXX
360°
pag. 5
La gestione
del paziente
cronico e fragileprofessione
Dove è finita
la ricetta rossa?
pag. 17
sanità
I nuovi LEA sono
arrivati, finalmente
pag. 20
l’intervista
Elena Cattaneo:
scienza e politica
non si intendono
pag. 30
I telefoni dell’Ordine
Ricordiamo che, ai sensi dell’art. 16 comma 7 D.P.R. 185/2008, sei tenuto a comunicarci il tuo indirizzo di
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sommario
editoriale
360°
	 3	 La strada della pillola rossa
	 LA GESTIONE DEL PAZIENTE CRONICO E FRAGILE
	 5	 Il cambio di marcia lombardo
	 7	 Le perplessità dell’Ordine	
	 10	 Paese che vai, modello che trovi	
	
Professione
	 13	 Do you speak medichese?
	 15	 Sull’olio di palma tanto rumore per nulla (o forse no?)
	 17	 Gioie e dolori della ricetta online
Sanità
	 20	 Nuovi LEA: così la sanità pubblica punta al rilancio	
	 22	 LEA odontoiatrici: poche luci, solite ombre
	 24 	 Rapporto OASI: alla ricerca di un equilibrio fra investimenti,
		 sostenibilità e tutela della salute	
	 26	 Gli ospedali milanesi visti attraverso gli occhi del Programma Nazionale Esiti	
	 29	 PNE: come non perdersi alla ricerca dei dati	
L’intervista
	 30	 Elena Cattaneo: “Scienza e politica in Italia si parlano,
		 ma spesso non si capiscono” 	
diritto
	 34	 Prelievo ematico forzoso: quali i termini della coazione
		 per il personale medico?
ClinicommeDia ieri e oggi
	 36	 Non più quello di una volta
	 38	 Dalla diagnosi clinica a quella di laboratorio	
Storia e storie
	 39	 Le lotte intestine, quelle con i sindacati e le beffe della politica	
	 42	 Casa del Sole: da scuola speciale a modello di salute
44	 Da leggere, vedere e ascoltare
46	 Scuola di comunicazione in sanità	
47	 Corsi ECM	
48	 In ricordo di
	 SmartFAD
	I 	 La diagnosi di ipertensione arteriosa
	 II 	 Sempre di corsa
	 IV 	 Tacco 13
	 VI 	 Era una notte buia e quasi tempestosa…
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Commissione Albo odontoiatri
Presidente
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Collegio Revisori dei conti
Presidente
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Revisori
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Revisore Supplente
Alessandra Carreri
INFORMAMIBollettino dell’OMCeOMI
1 . 2017 ANNO LXX
360°
pag. 5
La gestione
del paziente
cronico e fragilePROFESSIONE
Dove è finita
la ricetta rossa?
pag. 17
SANITÀ
I nuovi LEA sono
arrivati, finalmente
pag. 20
L’INTERVISTA
Elena Cattaneo:
scienza e politica
non si intendono
pag. 30
Nota per gli autori
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31 . 2017
Editoriale
POCHI GIORNI FA ho partecipato a un incontro con diversi colleghi Direttori di reparti ospedalieri
di un noto nosocomio milanese. Il tema era una chiacchierata informale sulle DGR lombarde di presa in
carico della cronicità. Le critiche emerse al riguardo sono state diverse, soprattutto dirette al fatto che il
personale medico (e non solo) è sempre di meno e preoccupa davvero la possibilità di sobbarcarsi anche
corsie preferenziali di cronici che devono eseguire in tempi rapidi alcuni esami e visite specialistiche.
Accanto a chi era perplesso ci sono anche (poche) voci favorevoli o meno critiche, soprattutto dovute al
fatto che così, seguendo percorsi predeterminati per le singole patologie, potrebbe aumentare di molto
l’appropriatezza (ma di sicuro diminuirebbe la libertà del cittadino e del suo terapeuta, commento io). In
particolare, mi ha colpito quanto detto da un autorevole collega, che più o meno suonava così: fidiamoci
di quanto fatto dalla Regione poiché così si seguiranno sempre di più i percorsi diagnostico-terapeutici,
si ridurranno gli esami inutili e quindi gli sprechi. L’affermazione mi ha fatto venire alla mente una
celeberrima scena del film Matrix, quella dove, vi ricorderete, il protagonista si trova a un bivio: se
sceglie la pillola blu metterà a tacere il suo senso critico, si risveglierà nel suo letto e tutto continuerà
come prima; scegliendo la pillola rossa, al contrario, verrà intrapresa la difficile e scomoda strada della
consapevolezza.
In queste due consiliature ordinistiche, nelle quali ho avuto la fortuna e il privilegio di
presiedere l’Ordine dei Medici e degli Odontoiatri di Milano, ho sempre scelto la strada più difficile
della critica costruttiva ai poteri forti, in parallelo con la doverosa collaborazione con tutti gli altri
soggetti del panorama sanitario ambrosiano. Sono cioè consapevole di essere il presidente di un Ente
dello Stato, ma anche di essere l’espressione di chi desidera che questo ruolo pubblico e tecnico allo
stesso tempo dia voce alla categoria medica e odontoiatrica, ovviamente sempre e soltanto nel supremo
interesse del cittadino. Infatti, le mie/nostre critiche e la fermezza si sono sempre accompagnate con le
azioni di collaborazione con le istituzioni. In questi anni, solo per ricordare poche tra le tante cose fatte,
abbiamo intessuto un fitto dialogo con l’Università Statale di Milano con la quale abbiamo realizzato e
realizzeremo importanti eventi formativi; abbiamo realizzato importanti partnership con alcune Aziende
ospedaliere, siamo andati a parlare e abbiamo collaborato con i Magistrati, con la Procura della Corte dei
Conti, con il Comune di Milano, con la stessa Regione Lombardia, eccetera.
Roberto Carlo Rossi
La strada della pillola rossa
This is your last chance. After this, there is no turning back.
You take the blue pill – the story ends, you wake up in your bed and
believe whatever you want to believe. You take the red pill – you stay in
wonder land and I show you how deep the rabbit-hole goes.
Matrix, dir. Lilly & Lana Wachowski, 1999
4 InFormaMI
Editoriale
Per la verità, gli ultimi presidenti che mi hanno preceduto si sono tutti mossi nella medesima direzione.
Da Bergonzini ad Anzalone a Garbarini. Ovverosia, il Consiglio dell’Ordine di Milano, per bocca del suo
presidente, ha sempre detto ciò che doveva dire a Ministri, Federazione, ENPAM, INPS, INAIL, Regione,
Autorità garante della concorrenza, potentati economici e politici di varia natura, pur nel pieno rispetto
istituzionale dei ruoli che ognuno ricopre. Credo sia il caso di riaffermarlo, in vicinanza della tornata
elettorale, che probabilmente si svolgerà nel prossimo autunno.
Invece, osservo come qualcuno, che prima si professava convinto assertore della nostra
filosofia e delle nostre idee, abbia clamorosamente cambiato idea negli ultimi mesi. Si moltiplicano i
distinguo: costoro affermano che l’Ordine dovrebbe essere molto più condiscendente con l’ENPAM,
anche se la rendita previdenziale dei nostri contributi è in progressivo calo; non dovrebbe permettersi
di criticare le delibere regionali, neppure se sembrano platealmente violare il codice deontologico;
non dovrebbe osare a portare in tribunale il Ministro, anche se emana un decreto sull’appropriatezza
che non contiene neppure lo straccio di una bibliografia che ne giustifichi i contenuti; non dovrebbe
istituire i registri delle medicine non convenzionali, anche se questo è oramai, di fatto, un obbligo di
Legge, eccetera. Ebbene, io non ho intenzione di cambiare atteggiamento, e chiunque mi vorrà seguire è
avvertito. Per me, la scelta, sarà sempre quella più rischiosa, in salita e poco remunerativa della
“pillola rossa”.
51 . 2017
360°
Il cambio di marcia lombardo
cristina gaviraghi
La riforma sanitaria della Regione Lombardia
porta a una trasformazione del modo di
assistere il paziente cronico: si abbandona la
logica verticale a favore di un vero e proprio
percorso di cura, deframmentato.
Rimane qualche zona d’ombra
In principio erano i CReG, i Chronic Related Group avviati in
via sperimentale cinque anni fa dall’allora giunta Formigoni come
nuovo modello di assistenza per i pazienti con patologie croniche.
Secondo tale progetto, partito coinvolgendo 40mila malati e 415
medici di famiglia (o MMG), questi ultimi, organizzati in cooperative,
erano tenuti a istituire percorsi di cura personalizzati per il malato
cronico, seguendolo anche a distanza e diventando, a tutti gli effetti, i
gestori del suo percorso di cura.
Con l’avvento della riforma sanitaria lombarda, esplicitata dalla
l.r. n° 23 dell’agosto 2015, tale modello viene, però, superato.
La d.g.r. n° X/6164, approvata il 30 gennaio scorso, ha dato il via
all’attuazione dell’art. 9 di tale legge che dettava i principi per i nuovi
modelli di presa in carico del paziente cronico e fragile.
la gestione del 
paziente 
cronico e fragile
6 InFormaMI
Il provvedimento puntava a una maggiore integrazione tra le varie
componenti del Servizio Sanitario Regionale e affidava il paziente cronico
a dei gestori, erogatori di servizi sanitari pubblici o privati appositamente
accreditati e ritenuti adatti alla presa in carico degli assistiti cronici.
La scelta di tali gestori veniva demandata alle ATS, le Agenzie di tutela
della salute che, con la riforma sanitaria, hanno sostituito le vecchie ASL.
Se a gennaio le caratteristiche dei gestori e i criteri di valutazione, che
avrebbero dovuto adottare le ATS per selezionarli, sembravano ancora
vaghi e incerti, la d.g.r. n° X/6551, del 4 maggio scorso, ha reso tutto
più chiaro. Potranno diventare gestori le strutture sanitarie e
sociosanitarie pubbliche e private accreditate e a contratto con il Sistema
Sanitario Lombardo, le cooperative o associazioni di MMG e il MMG
singolo, quest’ultimo, però, solo come co-gestore di una struttura
accreditata e a contratto.
I potenziali attori della presa in carico del paziente cronico avranno tempo
fino al 31 luglio per presentare la manifestazione di interesse a ricoprire
il ruolo di gestore alle ATS. Queste valuteranno la loro idoneità in base a
parametri indicati dalla Regione, tra cui la modalità di erogazione delle
attività di presa in carico, la completezza della filiera erogativa, la copertura
dell’area territoriale e il coinvolgimento dei MMG e pediatri di libera scelta
e degli erogatori (per i gestori MMG). Ogni gestore potrà avere in carico
fino a un massimo di 200.000 pazienti contemporaneamente.
A partire dall’autunno, poi, le ATS invieranno l’elenco dei gestori ai pazienti
cronici, stratificati dalla Regione in tre livelli, basati sulla complessità e la
fragilità della loro condizione (vedi tabella).
La gestione del paziente cronico e fragile360°
Livelli di cronicità secondo la d.g.r. n° X/6164/2017
Livello N° pazienti Domanda Bisogni Pertinenza prevalente
1 150.000
fragilità clinica e/o
funzionale con bisogni
prevalenti di tipo
ospedaliero, residenziale,
assistenziale a domicilio
integrazione dei percorsi
ospedale/domicilio/riabilitazione/
socio-sanitari
• struttura di erogazione
• strutture sanitarie e socio-
sanitarie pubbliche e
private accreditate
2 1.300.000
cronicità polipatologica con
prevalenti bisogni extra-
ospedalieri, alta richiesta
di accessi ambulatoriali
integrati/frequent user e
fragilità socio-sanitarie di
grado moderato
coordinamento e promozione
del percorso di terapia
(prevalentemente farmacologica e
di supporto psicologico-educativo)
e gestione proattiva del follow-up
(più visite ed esami all’anno)
• struttura di erogazione
• strutture sanitarie e socio-
sanitarie pubbliche e
private accreditate
• MMG in associazione
3 1.900.000
cronicità in fase iniziale,
prevalentemente
monopatologica e fragilità
socio-sanitarie in fase
iniziale, a richiesta
medio-bassa di accessi
ambulatoriali integrati e/o
domiciliari/frequent user
garanzia di percorsi ambulatoriali
riservati e controllo e promozione
dell’aderenza terapeutica
• MMG co-gestore
Grazie a un “patto di cura”, il paziente verrà
accompagnato lungo tutto un percorso
individuale di assistenza
71 . 2017
I livelli di cronicità
Si parte da un primo livello che coinvolge circa
150mila assistiti, caratterizzati da un’elevata
fragilità clinica e funzionale che, oltre a quella
principale, presentano almeno altre tre patologie. Nel
secondo livello rientrano 1 milione e 300mila pazienti con una cronicità
polipatologica, costituita da due o tre malattie complessive, mentre al
terzo livello appartengono tutti quegli individui, 1 milione e 900mila,
che presentano una cronicità in fase iniziale, basata su una patologia
principale.
A questo punto sarà il paziente a scegliere il gestore a cui affidarsi e
questi, una volta verificata la congruità tra la sua offerta e le necessità del
paziente stesso, lo prenderà in carico, stipulerà con lui un “patto di cura” e
predisporrà il piano di assistenza individuale (PAI) della durata di un anno
che apparirà anche sul fascicolo sanitario elettronico. Il medico di famiglia,
se diverso dal gestore, potrà prendere visione del PAI ed eventualmente
integrarlo con altre informazioni, ma non potrà modificarlo, essendone il
gestore l’unico responsabile.
Sarà dunque quest’ultimo ad accompagnare il paziente nel suo percorso
di cura costituito da visite specialistiche, controlli, terapie, indagini
diagnostiche, eventuali ricoveri e sedute riabilitative, degenze, richiesta
di presidi sanitari, erogando le varie prestazioni e monitorando
l’aderenza al PAI.
Il gestore non potrà inoltre prescindere, secondo la delibera, da due grandi
funzioni: una tecnologica e una organizzativa. La prima dovrà garantire al
paziente un accesso rapido e facilitato a tutte le prestazioni programmate e
l’integrazione dei suoi dati con i data-base regionali e il Fascicolo Sanitario
Elettronico, mentre la seconda dovrà prevedere la presenza di figure
professionali come personale infermieristico e amministrativo e assistenti
sociali.
Il sistema dovrà infine consentire la condivisione di tutte le informazioni
relative al percorso di cura tra i diversi operatori sanitari, quali erogatore,
MMG, medici specialisti, Rsa e centri diurni.
Uno scenario nuovo
Una grande rivoluzione, dunque, che tocca anche la sfera amministrativa.
La Regione ha individuato 65 patologie principali stratificate in base al
livello di complessità e ha istituito i set di riferimento, l’insieme delle
attività correlate alla patologia cronica che contribuiscono a individuare
la tariffa. Tali set derivano dall’analisi dei dati presenti nella Banca dati
assistito (BDA) regionale e si basano sulle prestazioni erogate nel 2016 ad
almeno il 5 per cento dei pazienti appartenenti a una specifica patologia
principale.
In funzione dei set di riferimento sono state stabilite delle tariffe di presa in
carico che dovrebbero servire a coprire i costi per la nuova gestione della
cronicità: 35 euro per gli assistiti mono-patologici, 40 euro per quelli con
2/3 patologie e 45 euro per i poli-patologici, con più di 4 malattie.
Questo, in sintesi, lo scenario che si prospetta per la gestione del paziente
Le perplessità dell’Ordine
Il nuovo modello regionale della gestione del
paziente cronico e fragile, contemplato nella
riforma della Sanità lombarda, sta entrando
sempre più nel vivo, non senza, però, sollevare
dubbi e critiche, anche da parte dell’Ordine.
“E non siamo i soli a essere scettici su alcuni
aspetti della riforma”, dichiara il presidente
Roberto Carlo Rossi, “anche il Coordinamento
Regionale degli OMCeO lombardi ha espresso
qualche perplessità in merito”. Se, secondo
Rossi, rispetto alla d.g.r. n° 6164 dello scorso
gennaio, la nuova d.g.r. n° 6551, approvata
a maggio, ha apportato dei miglioramenti,
eliminando il discusso aspetto della
remunerazione dei gestori ad avanzo di budget,
restano ancora delle questioni non risolte.
“Uno dei punti più critici è la limitazione della
libertà di scelta del cittadino insita nella
delibera, che contrasta anche con il codice
deontologico. Se il paziente non accetta di
seguire ogni passo previsto dal percorso di
presa in carico viola il patto di cura che, la
Regione tiene a precisare, ha una valenza
civilistica. Se decidesse di operare scelte
diverse non avrebbe più corsie preferenziali
e resterebbe escluso dall’assistenza messa
in campo dalla delibera, una limitazione
della libertà che il cittadino percepisce
chiaramente”, sostiene Rossi.
Desta perplessità anche l’eccessiva
rigidità del sistema delineato riforma. “E’
comprensibile l’esigenza di ricercare una
maggiore appropriatezza delle cure, ma
incanalare la gestione della cronicità in
binari standard predefiniti, limitando così
le possibilità di manovra del terapeuta,
non credo possa migliorare la qualità
dell’assistenza sanitaria”, continua il
presidente, “di troppa libertà si può abusare,
ma esistono già adeguati sistemi di controllo
e il medico non deve diventare un orpello”.
“Da ultimo”, conclude Rossi, “temo il dilagare
del precariato medico anche a livello del
territorio. Questa piaga affligge molti ospedali
lombardi ma, con l’introduzione di numerosi
clinical manager nell’ambito dei “gestori” e dei
“gestori-erogatori”, pavento che il problema si
aprirà anche nell’ambito delle cure primarie”.
8 InFormaMI
cronico in Lombardia. Un progetto che segue i binari tracciati da precedenti
delibere regionali tra cui la n° X/4662 del 24 dicembre 2015 che descriveva
le linee guida per la presa in carico dei malati cronici nel triennio 2016-
2018, per finanziare le quali la Regione mise sul piatto oltre 28 milioni di
euro. Una cifra destinata a potenziare, implementare e riorganizzare una
serie di strumenti per la gestione della cronicità, ridefinita sulla base del
rischio e della severità clinica, come per esempio le cooperative di medici
di famiglia, i presidi ospedalieri territoriali (POT), i presidi socio sanitari
territoriali (PreSST) e le residenze sanitarie assistenziali. Tutto in un’ottica di
semplificare il percorso clinico del paziente, migliorare la qualità delle cure
e la sostenibilità generale del sistema.
UNA RIFORMA IN DIVENIRE
Più integrazione tra le figure professionali coinvolte, taglio delle liste di
attesa, minori accessi al pronto soccorso, maggior appropriatezza delle
cure e aderenza a esse, una più alta responsabilizzazione e consapevolezza
del paziente per contenere anche l’insorgenza di altre patologie: questi
i principali obiettivi del progetto che implica, secondo l’assessore al
welfare Giulio Gallera, un cambiamento culturale in cui si passa dal
curare al prendersi cura e si abbandona la logica verticale dell’assistenza,
rappresentata dalla somma delle singole prestazioni, per accompagnare
il paziente in tutto il suo percorso, spostando l’accento dall’offerta alla
domanda di salute e rispondendo ai bisogni della persona. Nobili e
condivisibili propositi che, lentamente, sembrano prendere forma.
“Se la delibera dello scorso gennaio aveva l’aspetto di un sasso gettato
nello stagno, la d.g.r. n° X/6551 di maggio chiarisce finalmente molti
punti”, dichiara Fabrizio Giunco, direttore medico dei servizi socio-sanitari
dell’Istituto Palazzolo di Milano, Fondazione Don Gnocchi. “Certo la
riforma avrà ancora bisogno di aggiustamenti e altri atti implementativi
sono già previsti, ma ora si è iniziato a mettere qualche punto fermo su
un percorso complesso e che è ancora in divenire. Per avere un quadro
completo si dovranno aspettare gli altri provvedimenti, specialmente per
quanto riguarda l’offerta socio-sanitaria, per ora solo abbozzata e che
verrà esplicitata nel dettaglio in seguito. E’ positivo, inoltre, che sia stato
messo a fuoco il ruolo del MMG, figura pubblica su cui la Regione sembra
puntare, anche se la complessità della presa in carico al momento favorisce
i potenziali gestori più strutturati”.
Il provvedimento ha nel modello culturale proposto il suo punto di forza,
che segna il passaggio da una gestione frammentata della persona/paziente
a una logica di presa in carico complessiva del suo percorso, ma la sua
attuazione dovrà affrontare una serie di problematiche organizzative,
attuative ed economiche che andranno soppesate, comprese e rielaborate
nel corso del tempo. Non ultima quella riguardante il ruolo dell’informatica
che dovrà consentire la comunicazione tra i vari gestori e tra la Regione e
i gestori stessi, veicolando una grande mole di dati sensibili. “La delibera
n° X/6551 ha gettato le basi per gestire anche questo aspetto, ma restano
perplessità su quale sarà il periodo di rodaggio necessario per andare a
regime”, puntualizza Giunco.
La gestione del paziente cronico e fragile360°
La riforma porta a un cambiamento
culturale in cui si passa dal curare al
prendersi cura; sposta l’accento dall’offerta
alla domanda di salute, rispondendo ai
bisogni della persona
91 . 2017
OCCHIO AI CALCOLI
La nuova modalità di presa in carico prevede, inoltre, l’istituzione della
figura del case manager, che svolge una funzione di coordinamento di
tipo principalmente gestionale-organizzativo sulle attività assistenziali
di uno o più pazienti, e quella del clinical manager, il medico
responsabile della presa in carico e incaricato di predisporre e
aggiornare il PAI. Figure che, insieme ad altre, operano nella
gestione del paziente cronico i cui costi difficilmente potranno
essere coperti dalle tariffe fisse di 35, 40 e 45 euro.
“C’è un gran fermento tra gli erogatori di servizi che dovranno
decidere se candidarsi al ruolo di gestore”, continua Giunco,
“dovranno dichiarare già entro luglio di essere in grado di fornire tutte
le prestazioni previste dal set di riferimento, o da soli o con l’aiuto di terzi
con cui dovranno essersi già accordati. Al momento, però, hanno costi
certi, mentre le entrate sono incerte e stimate verso il basso”.
I gestori avranno infatti inizialmente a disposizione un budget di offerta,
assegnato sulla base di dati storici, che verrà poi nel tempo corretto in
base alle prestazioni effettivamente consumate, trasformandosi così in un
budget effettivo di presa in carico. Un sistema remunerativo che potrebbe
non allettare gli erogatori chiamati, però, a decidere se entrare subito nel
sistema o restarne fuori.
Altra perplessità deriva, secondo Giunco, dall’aver calcolato, a partire
dalle informazioni della BDA derivate principalmente dall’attività
ambulatoriale, il costo medio per linea di patologia e di complessità.
Questo è, però, solo una delle modalità di rappresentazione statistica
della distribuzione della spesa, che dovrebbe invece tenere conto della
variabilità associata alle sottopopolazioni identificate da una determinata
diagnosi principale ed essere in grado di governarla. Considerare variabili
come l’età del paziente e lo stadio delle patologie croniche più diffuse,
darebbe una rappresentazione più fedele della realtà di spesa.
Una riforma della gestione della cronicità di questa portata ha molte
sfaccettature e c’è il rischio che si inneschino crisi di sostenibilità e
progettualità. “E’ bene ponderare attentamente i cambiamenti da attuare,
come sta facendo la Regione ma, al contempo, se si vuole arrivare
all’obiettivo finale di effettivo cambiamento, occorrerà investire in nuove
figure, ruoli, servizi e modalità di relazione e non solo operare piccoli
aggiustamenti al sistema”, conclude Giunco, che individua inoltre un altro
punto critico della riforma.
La delibera regionale n° X/6551 affronta principalmente la cronicità intesa
come malattia cronica ambulatoriale. Le patologie in fase più avanzata
e la cronicità legata alla disabilità e alla fragilità, che rappresentano
il vero mondo della cronicità territoriale oggi, non vengono ancora
compiutamente affrontate, anche se si intravede un’apertura per il futuro.
Come già successo per i DGR, c’è il rischio
che i modelli tariffari stabiliti dai LEA possano
favorire comportamenti opportunistici
Bibliografia
Regione Lombardia. Deliberazione n° X/6164 del 30 gennaio 2017. https://goo.gl/rZNmGo
Regione Lombardia. Deliberazione n° X/4662 del 23 dicembre 2015. https://goo.gl/w9B9en
Regione Lombardia. Legge Regionale n° 23, 11 agosto 2015. https://goo.gl/i0g2qh
10 InFormaMI
Il modello può non piacere, si possono
sottolineare le sue criticità e metterne in dubbio la
sostenibilità. Di certo, però, non si può negare che,
con il varo della nuova riforma sanitaria, la Regione
Lombardia abbia conquistato un primato, piazzandosi
tra le prime aree in Europa ad aver fatto della cronicità
il bisogno di salute su cui modellare l’intero sistema
dell’assistenza.
Tutto il continente (ma non solo) da almeno un
ventennio cerca di trovare risposte alla cronicità e alla
comorbilità. In breve tempo si sono affermate decine
di descrizioni teoriche e di applicazioni pratiche che
cercano di rispondere in modo lievemente diverso
l’una dall’altra a uno stesso problema: come soddisfare
i bisogni di salute di una tipologia di paziente che,
quando è stata varata la gran parte dei sistemi sanitari
continentali, era una rarità e che invece oggi è il tipo di
malato prevalente?
E’ ormai chiaro che la gestione della cronicità sia la
priorità per i sistemi sanitari. Nell’Unione Europea la
popolazione con più di 65 anni è passata da meno del
10% nel 1960 a quasi il 20% nel 2015 e ci si aspetta che
raggiunga il 30% entro il 2060. Nel frattempo almeno 50
milioni di cittadini europei soffrono di almeno 2 malattie
croniche. Si farebbe un grosso sbaglio, però, pensando
che la cronicità sia una prerogativa dei pazienti anziani.
Malattie mentali (depressione e disordini d’ansia),
disturbi muscolo-scheletrici (si pensi al solo impatto
del mal di schiena), BPCO o asma e diabete compaiono
La gestione del paziente cronico e fragile360°
in pazienti giovani, nel pieno della loro vita lavorativa,
familiare e sociale e li accompagnano per il resto della
loro esistenza.
In questi casi, così come per i pazienti anziani con più
patologie concomitanti, non si tratta di curare, ma di
migliorare lo stato funzionale, di ridurre i sintomi, di
rendere più semplice e serena la convivenza con la
malattia, prolungare l’aspettativa e la qualità di vita.
Obiettivi che non è possibile raggiungere con il
tradizionale modello pensato per pazienti affetti
da una patologia acuta e che ha un meccanismo di
funzionamento molto semplice: la presa in carico di
un paziente passivo, la messa in atto di un intervento
terapeutico che lo riconduca a uno stato di normalità,
l’“espulsione” del paziente dall’ambiente sanitario.
I modelli orientati alla cronicità sono tutt’altra cosa:
per la durata, per il coinvolgimento di un’ampia
gamma di professionisti, per il ruolo del paziente
(attivo) che in qualche modo è esso stesso produttore
di assistenza sanitaria.
Le tendenze
Modelli di questo tipo ne sono stati varati molti
negli ultimi due decenni in tutto il mondo. Nel 2014,
l’European Observatory on Health Systems and
Policies ha provato ad analizzare i modelli di presa in
carico della cronicità più diffusi in Europa. Ne è venuta
fuori una mappa con molti punti in comune.
Tanto per cominciare, sono rari i casi in cui siano
In tutta Europa da 20 anni a questa parte
si cerca di dare risposta alla gestione delle
malattie croniche. Esistono modelli diversi ma
con molti punti in comune
Paese che vai, modello che trovi
antonino michienzi
111 . 2017
adottati piani per la gestione globale della cronicità;
molto più spesso i Paesi hanno adottato progetti
focalizzati su specifiche patologie, in genere quelle a più
alto impatto: diabete di tipo 2, asma o BPCO, malattie
cardiovascolari, cancro e malattie mentali. Si tratta di
un tipo di risposta molto efficiente, ma che in Paesi in
cui l’offerta sanitaria è più rigida sta creando non pochi
problemi nella gestione dei pazienti con comorbilità.
Molto vari sono anche i modelli organizzativi: tutti
prevedono il coinvolgimento di più attori sanitari e
la gran parte di essi ha attualmente al centro, come
coordinatore della rete di assistenza, il medico di
famiglia. Si osserva, tuttavia, un progressivo spostamento
delle responsabilità verso gli infermieri. In particolare
la presenza di infermieri come figure con responsabilità
di gestione del paziente è più frequente nei sistemi in
cui l’assistenza al paziente è tradizionalmente erogata in
maniera multidisciplinare.
Salvo sporadiche iniziative, in tutti i Paesi l’adozione di
percorsi destinati alla gestione delle malattie croniche
non ha comportato un ripensamento dei servizi sanitari
dal punto di vista organizzativo o di governance. Nei fatti,
quasi sempre, la gestione della cronicità si è concretizzata
nella messa a punto di sistemi di coordinamento dei
servizi esistenti. Ciò ha reso più semplice e veloce
l’implementazione di piani per la cronicità, tuttavia
spesso ha costituito un limite nella costruzione di servizi
che meglio si adattassero ai bisogni dei pazienti cronici.
Infine, quasi ovunque, l’attenzione alla cronicità è stata
incoraggiata con incentivi economici che in molti casi
hanno rappresentato il vero volano per la diffusione
delle iniziative.
Quella che segue è una carrellata, non esaustiva, su alcuni
modelli di gestione della cronicità adottati in Europa.
Danimarca
Tra il 2005 e il 2007 il Paese ha adottato una serie di riforme che hanno ridisegnato l’articolazione istituzionale e
ridefinito l’attribuzione delle competenze sanitarie, che sono divise tra regioni e municipalità. In questo contesto si
sono adottate strategie per la gestione della cronicità, in particolare il varo di disease management programmes (DMP)
non dissimili dai nostri percorsi diagnostico-terapeutico-assistenziali, da applicare alle principali malattie croniche.
Ogni Regione (cinque in tutto) è responsabile dello sviluppo dei propri piani da realizzare in collaborazioni con le
municipalità.
Non esistono vincoli sulle modalità di adozione dei DMP, ma in genere le Regioni si sono ispirate ai modelli base forniti
nel 2008 dalle autorità nazionali che prevedono piani per patologia personalizzati sulla base del rischio del paziente e
un ruolo di coordinamento da parte del medico di famiglia che può essere condiviso con lo specialista di riferimento in
caso di patologia particolarmente severa.
A oggi, l’adozione dei DMP è a buon punto. Quasi tutto il territorio nazionale è coperto da programmi per diabete,
BPCO, demenza, malattie cardiovascolari, disturbi muscolo-scheletrici, cancro e malattie mentali.
Attenzione a non perdere per strada
la continuità di cura
Aldo Lupo è presidente dell’UEMO (Unione europea
dei medici di famiglia), organizzazione che raccoglie
i medici di medicina generale di 23 paesi europei.
E, forse proprio per il ruolo che riveste e che gli
consente di toccare con mano quanto sia frastagliato
il panorama europeo dell’assistenza sanitaria, non se
la sente di fare confronti.
“La riforma lombarda, che prevede anche
l’immissione nel sistema di privati, non è fuori linea
rispetto al contesto europeo”, dice. “Ci sono molti
sistemi basati su commistioni tra pubblico e privato.
Quello che non so se venga conservato è la continuità
di cura rappresentata dal rapporto con un singolo
medico: dieci consultazioni con lo stesso medico
danno di più dello stesso numero di consultazioni con
dieci operatori diversi”, continua.
E’ una questione che finora nel sistema italiano, in
cui il medico di famiglia è il cardine dell’assistenza
primaria, non si era posta. Neanche con il diffondersi
di iniziative di medicina di gruppo. In altri Paesi, che
da tempo hanno adottato modelli diversi, invece,
comincia a essere avvertita come urgente.
“Nel sistema britannico − continua Lupo − da tempo
si è andati verso una medicina di gruppo. L’evoluzione
ha portato a sviluppare economie di scala con la
formazione di gruppi di medici sempre più grandi
e perfino associazioni tra gruppi diversi. Il paziente
non è più ‘nella lista’ del medico, ma in quella del
gruppo. Apparentemente, ciò porta a un guadagno
dal punto di vista quantitativo. Ma è bastato poco
per rendersi conto che si verifica una perdita netta
in termini di continuità. Così negli ultimi anni si sta
tornando indietro, verso l’adozione della figura di un
medico dedicato, almeno per i pazienti più anziani e
fragili”, dice ancora Lupo. “Un percorso analogo si sta
verificando in Francia, dove l’intero servizio sanitario
si sta avvicinando ai sistemi Beveridge”. Esperienze
emblematiche, che fanno dire a Lupo: “C’è una
domanda che mi pongo: conviene al nostro sistema
percorrere questa strada?”.
12 InFormaMI
La gestione del paziente cronico e fragile360°
Bibliografia
Regione Lombardia. Deliberazione n° X/4662 del 23 dicembre 2015. https://goo.gl/w9B9en
Tidoli R. Gli indirizzi regionali per la presa in carico della cronicità in Regione Lombardia. 2016. https://goo.gl/88m3GI
Nolte E, Knai C, Saltman RB. Assessing chronic disease management in European health systems: concepts and approaches (2014).
https://goo.gl/CUKpA5
Nolte E, Knai C. Assessing chronic disease management in European health systems: country reports (2015). https://goo.gl/T4XQGb
Regno Unito
Negli ultimi 15 anni il Regno Unito è stato scenario di diverse
iniziative per la gestione ottimale dei pazienti cronici e fragili.
Probabilmente, però, la cifra distintiva del modello britannico è il
ruolo decisivo svolto dal personale infermieristico nella gestione
della cronicità. I primi passi in questa direzione furono mossi nei
primi anni ’90, quando l’adozione del nuovo contratto di servizio
rese più conveniente per i medici di famiglia dare vita a strutture
e gruppi in cui all’assistenza di base fosse affiancata l’erogazione
di servizi di supporto (la gestione di malattie croniche o le
vaccinazioni, per esempio). In questo ambito si cominciò ad
ampliare lo spazio degli infermieri che furono sempre più
coinvolti nella gestione della cronicità. Nel 2004, traendo spunto
da modelli già adottati negli Stati Uniti, l’NHS Improvement
Plan ha ufficializzato il ruolo della community matron, una figura
infermieristica concepita come fulcro del sistema di gestione
dei pazienti fragili. Alla community matron spettano compiti di
educazione del paziente, di programmazione e gestione della
patologia in collaborazione con il medico di famiglia e gli altri
specialisti. La gran parte di esse erano alle dirette dipendenze
dei Primary care trust (PCT) la dorsale
dell’erogazione dell’assistenza sanitaria
britannica.
I PCT, con la riforma che nel 2012 ha
ridisegnato il NHS, sono stati però
aboliti. Non è chiaro quindi in che modo
si evolverà la gestione della cronicità.
Germania
La Germania, negli ultimi 20 anni, ha adottato diversi
interventi normativi finalizzati a ottimizzare la
gestione della cronicità ma, soprattutto, a contrastare
il principale ostacolo alla presa in carico dei pazienti
cronici, vale a dire la frammentazione dell’assistenza,
in particolare tra ambulatori e ospedali. Quello tedesco
è infatti un sistema piuttosto articolato, in cui convivono
erogatori pubblici e privati ed esistono limitazioni
nell’accesso all’assistenza ospedaliera.
All’inizio del millennio il primo passo è stato l’adozione
di disease management programmes (DMP). I DMP sono
principalmente offerti dalle assicurazioni, attraverso
contratti con provider, rappresentati il più delle volte
da associazioni regionali. L’inserimento del paziente
nei DMP non è obbligatorio, ma gode di significativi
incentivi economici per i provider, che ne hanno
agevolato la diffusione.
Nel 2004, con un nuovo contratto, è stato rafforzato
il ruolo del medico di famiglia. Il medico, laddove il
paziente lo scelga, è fortemente incoraggiato con
incentivi economici a svolgere il ruolo di case manager o
assumere personale con questa funzione. In questi casi
è inoltre l’unico a prescrivere l’accesso all’assistenza
specialistica (salvo che per prestazioni oftalmologiche e
ginecologiche).
Francia
Il primo piano per la cronicità in Francia si ha solo nel 2007. Tuttavia, fin dagli anni Novanta si lavora a
un’armonizzazione del sistema finalizzato a una migliore gestione della cronicità, come in Germania, per
contrastare soprattutto la frammentazione tra i vari livelli dell’assistenza.
Nel tempo sono stati messi a punto numerosi interventi, ma probabilmente ciò che meglio rappresenta la
modalità francese di affrontare la cronicità sono le reti di provider. Di questi ultimi ne esistono un migliaio,
alcuni indirizzati a specifici target (per esempio gli anziani), altri a specifiche patologie. Solo quelli per il diabete
sono un centinaio; prevedono il coinvolgimento, oltre che del medico di famiglia, di diabetologo, dietologo,
infermieri e podologo. Il paziente vi accede volontariamente attraverso il medico di famiglia (ma può farlo
anche in autonomia); l’assistenza è gratuita, anche se è possibile acquistare servizi extra a pagamento.
Si tratta di un modello molto flessibile ed efficiente, la cui attuazione è lasciata in buona parte alla volontà degli
erogatori (che godono di incentivi economici); tuttavia, la presenza dei network è ancora limitata alle aree con
alta densità abitativa.
131 . 2017
PROFESSIONE debora serra
Do you speak medichese?
Fino a poco tempo fa il linguaggio tecnico, la
dimensione e i testi fitti e scritti in piccolo sono
stati il minimo comune
denominatore dei
bugiardini. Grazie
a un’indagine di
AIFA del 2004
e, qualche
anno dopo, il
recepimento nel
nostro paese
di una direttiva
europea,
i foglietti
illustrativi dei
farmaci stanno
finalmente
diventando
comprensibili per tutti
quante volte è capitato di trovarci di fronte a pazienti
che, bugiardino alla mano, chiedevano spiegazioni
sul significato di termini tecnici come apatia, alopecia,
aritmia, cheratite o trombocitopenia? O di dover
spiegare l’espressione “evitare l’uso prolungato”, che per
loro poteva significare da qualche giorno ad alcuni mesi
o addirittura anni? Situazioni comuni, fino a qualche
anno fa, quando i foglietti illustrativi dei farmaci erano
scritti in puro “medichese”, una lingua tecnica le cui
difficoltà di comprensione da parte dei pazienti sono
state ben evidenziate da un’indagine AIFA del 2004. La
lista dei problemi spaziava dall’uso di un linguaggio
poco accessibile alla popolazione media all’assenza di
informazioni utili (come il momento della giornata in cui
assumere il farmaco, le modalità di conservazione del
prodotto e la percentuale delle possibilità di incorrere
negli effetti collaterali) e comprendeva anche difficoltà
di lettura dovute all’impostazione grafica (caratteri di
stampa molto piccoli, interlinee compatte e troppo fitte,
carta troppo sottile e trasparente).
La nuova normativa
L’indagine del 2004 è stata parte di un cambiamento
iniziato nel 2001 con l’approvazione di una direttiva
europea,1
recepita in Italia nel 2006,2
che ha reso
necessario scrivere bugiardini “facilmente leggibili,
chiaramente comprensibili e indelebili” i cui testi
siano “il risultato di indagini compiute su gruppi
mirati di pazienti, al fine di assicurare che essi
siano leggibili, chiari e di facile impiego”. Come ci
spiega Laura Braghiroli, coordinatore procedure
RMS (Reference Member State) e variazioni all’AIC
(Autorizzazione immissione in commercio) dell’AIFA
“il foglietto illustrativo si rivolge a un pubblico
eterogeneo che va dall’età scolare alla quarta età, e
ha livelli di scolarizzazione e istruzione estremamente
differenti. Per questo motivo bisogna evitare che le
barriere linguistiche possano impedire alle persone
di comprendere le informazioni sui medicinali; per
l’AIFA, che insieme alle altre autorità competenti, deve
garantire la tutela della salute pubblica a qualsiasi
14 InFormaMI
PROFESSIONE
livello, il foglietto illustrativo in formato leggibile
è una delle misure di minimizzazione del rischio a
disposizione per assicurare la corretta lettura del testo
e quindi il corretto uso del farmaco”.
Come sono cambiati i bugiardini?
A partire dal 2013 l’AIFA ha definito le modalità relative
all’applicazione del decreto legislativo 219/2006 per
i medicinali autorizzati con procedura nazionale e,
come spiega Braghiroli “a oggi, su 9.662 medicinali
autorizzati in Italia, circa l’80% ha un foglietto
illustrativo in formato leggibile e per i restanti l’AIFA
sta lavorando alle verifiche della correttezza degli
user test e all’autorizzazione dei relativi nuovi testi del
foglietto informativo in formato leggibile”.
Le semplificazioni hanno comportato un grande
lavoro, a tutti i livelli. Si è lavorato sulla lunghezza,
sul linguaggio e sulla grafica in modo che nessuna
informazione fosse omessa, neanche la più complessa,
sottoponendo il risultato a test di leggibilità.
Infatti, aggiunge l’esperta, “la normativa vigente
prevede che il foglio illustrativo rifletta il risultato
di indagini compiute su gruppi mirati di pazienti al
fine di assicurare che esso sia leggibile, chiaro e di
facile impiego. Per il foglietto illustrativo di ciascun
medicinale in commercio viene eseguito, da parte
di società specializzate nel settore e a nome del
titolare di AIC, una “consultation with target patient
group test” (lo user test) con un gruppo di soggetti,
appositamente selezionati, al fine di verificare se
l’informazione, così come viene presentata
nel foglietto informativo, fornisce il
corretto messaggio a coloro ai quali
è diretta”.
Ogni bugiardino presente nelle
confezioni in commercio è stato
dunque rielaborato in modo
che le frasi abbiano meno di 20
parole, presentino un basso
grado di subordinazione,
venga preferita la forma
attiva e diretta, siano
presenti espressioni vicine
alla lingua comune
Perché bugiardino?
L’origine del nome è incerta ma tra le ipotesi più
plausibili due affondano le loro radici in ambito
giornalistico: nel senese il bugiardo era la locandina dei
quotidiani esposta fuori dalle edicole e il bugiardello
era il nome con il quale gli antifascisti chiamavano
il giornale Il Telegrafo. Sembra invece non esserci
dubbio nel fatto che il nome voglia puntare l’attenzione
sull’abitudine passata di sorvolare su difetti ed effetti
indesiderati dei farmaci attraverso testi che non si
potevano considerare vere e proprie “bugie”, ma
nell’insieme trasformavano il foglietto in
un “bugiardino”.
(i tecnicismi invece sono preferibilmente tra parentesi),
e vengano spiegati i nomi anatomici degli organi. Per
questo motivo, a fianco di una semplificazione che ha
trasformato “epatico”, “cardiaco”, “ematico” nei più
comuni “del fegato”, “del cuore” e “del sangue”, e che ha
abbandonato espressioni come “accusare”, “riscontrare”,
“domanda” ed “episodio” a favore rispettivamente di
“manifestare un sintomo”, “valutare”, “fabbisogno da
parte dell’organismo” ed “evento acuto della malattia”,
il nuovo foglietto illustrativo è stato anche notevolmente
ridotto nelle dimensioni e nel tipo di informazioni da
presentare. Anche i criteri di layout sono stati ripensati
e vi sono indicazioni precise su dimensione e tipo
di carattere, utilizzo di corsivi, testi sottolineati, uso
della spaziatura e dello spazio bianco, giustificazione
del testo, utilizzo di colonne, intestazioni, colore e
contrasto. Inoltre, come sottolinea Braghiroli “Il foglietto
illustrativo può prevedere anche l’uso di immagini,
pittogrammi e altri simboli al solo scopo di chiarire o
evidenziare alcuni aspetti del testo e non per sostituirlo,
ma anche questi devono essere autorizzati da AIFA”.
Infine, “una novità verso la quale molte aziende
farmaceutiche si stanno indirizzando per migliorare
l’informazione del medicinale al paziente è
l’introduzione nella confezione o nel foglietto
illustrativo di un codice QR (codice bidimensionale a
barre) attraverso il quale è possibile accedere, tramite
smartphone o tablet, a informazioni del foglietto
informativo in formato evidenziato, ingrandito,
multilingue o anche in forma di video/audio”.
Bibliografia
1
Direttiva 2001/83/CE del Parlamento europeo e del Consiglio del 6 novembre 2001 recante un codice
comunitario relativo ai medicinali per uso umano. https://goo.gl/iPKMKN
2
Decreto Legislativo 24 aprile 2006, n. 219. https://goo.gl/BKLodF
Laura
Braghiroli,
Coordinatore
procedure RMS
e variazioni
all’AIC
dell’AIFA.
151 . 2017
c’era una volta l’olio
di palma. Un grasso vegetale
economico e di estrema comodità
di impiego per le aziende
alimentari al punto da essere
presente in migliaia di prodotti
confezionati.
Oggi in Italia non c’è più. O quasi.
La gran parte delle aziende ha
deciso di modificare le ricette per
assecondare un movimento di
opinione che ha contagiato il Paese
(vedi box a pag. 16) emettendo
sull’olio di palma una sentenza di
condanna a furor di popolo.
Ma quanto erano giustificati quei
timori? Cosa dice la scienza?
Muoversi nell’incertezza
I capi d’accusa emersi negli ultimi
anni sul grasso tropicale sono due:
che, visto il suo elevato tenore
di grassi saturi (circa il 50% del
volume), sia particolarmente
dannoso per la salute
cardiovascolare e che il processo
di raffinazione porti allo sviluppo
di contaminanti potenzialmente
cancerogeni.
Su entrambi i temi la ricerca si
è espressa più volte, ma chi si
aspettasse risposte definitive
rimarrebbe deluso. A oggi le
evidenze su questo prodotto sono
tutt’altro che definitive e il massimo
Sull’olio di palma tanto rumore
per nulla (o forse no?)
In poco più di due anni l’Italia è diventato il primo paese al mondo quasi
completamente palma free. Colpa (o merito) di una campagna di stampa
con pochi precedenti che ha giocato sui timori che il grasso tropicale
possa essere dannoso per la salute. Ma cosa c’è di vero?
antonino michienzi
che si può dire è che propendono
per un uso moderato della sostanza
all’interno di un regime alimentare
equilibrato.
Gran parte dell’incertezza deriva
dalla tipologia e qualità degli studi
fino a oggi realizzati: come ha
fatto notare l’Istituto Superiore
di Sanità (ISS) chiamato dal
Ministero della Salute a rilasciare
un parere1
sull’argomento “non
sono stati effettuati studi che
riportino gli effetti dell’assunzione
dietetica dell’olio di palma su
mortalità e prevalenza di malattie
cardio e cerebro-vascolari. Tutti
gli studi selezionati paragonano
gli effetti dell’uso alimentare
dell’olio di palma con quello degli
altri grassi alimentari, vegetali
e animali, sul profilo lipidico
plasmatico (colesterolo totale,
colesterolo HDL, colesterolo LDL
e trigliceridi) in soggetti sani”.
Chiarito questo aspetto, a oggi
resta valido quanto si leggeva
nel rapporto ISS più di un anno
fa: “Non ci sono evidenze dirette
nella letteratura scientifica che
l’olio di palma, come fonte di acidi
grassi saturi, abbia un effetto
diverso sul rischio cardiovascolare
rispetto agli altri grassi con simile
composizione percentuale di
grassi saturi e mono/polinsaturi,
quali, per esempio, il burro”.
Lo stesso vale per gli effetti
sull’insorgenza di cancro: le
evidenze disponibili sono tutte
indirette. Il rapporto tra olio
di palma e tumori è emerso
soprattutto da un report della
European Food Safety Authority
(EFSA)2
dedicato alla presenza
di contaminanti prodotti nel
processo di raffinazione in tutti gli
oli vegetali esposti a temperature
elevate (più di 200 °C). L’olio di
palma spiccava perché contiene
16 InFormaMI
PROFESSIONE
livelli di contaminanti almeno 5
volte più alti degli altri oli analizzati.
I contaminanti analizzati sono il
3-monocloropropandiolo (3-MCPD),
il 2-monocloropropandiolo
(2-MCPD) e il glicidolo.
L’esposizione ai primi due ha come
effetto principale danni ai reni,
quella al glicidolo è stata associata
soprattutto all’insorgenza di tumori.
Per questa ragione l’autorità
europea ha stabilito delle soglie
massime di esposizione, che, sulla
base dei modelli adottati, nella
quasi totalità della popolazione non
vengono superati. Inoltre, la stessa
agenzia sottolineava che
negli ultimi anni era stato osservato
un miglioramento nei processi
produttivi che aveva portato
a una riduzione consistente dei
contaminanti.
Il problema dei bambini
I risultati tranquillizzanti
della ricerca, tuttavia, hanno
un’eccezione: i bambini.
Il rapporto dell’ISS ha osservato
che nei bambini tra i 3 e i 10 anni di
età circa un terzo dei grassi saturi
deriva dall’olio di palma. Non solo:
in questa fascia d’età il rapporto tra
calorie derivanti da grassi saturi e
calorie totali è ben oltre la soglia
del 10% indicata dalle linee guida.
Infine, quando questo rapporto
si normalizza, intorno ai 10 anni,
ciò avviene più per un calo nei
consumi di alimenti come latte,
carne, uova o formaggi che per
una riduzione dell’impatto degli
alimenti con olio di palma. Uno
scenario preoccupante, che tuttavia
non incrimina l’olio di palma in sé
ma un modello alimentare poco
salutare.
Per quel che concerne i
contaminanti, il problema riguarda
soprattutto i lattanti alimentati
con latte artificiale. L’olio di palma
ne costituisce infatti uno dei
componenti principali per mimare
l’elevato apporto di acido palmitico
naturalmente presente nel latte
materno. Per l’EFSA in questa
specifica fetta della popolazione
le soglie di esposizione vengono
sistematicamente superate. Il dato,
peraltro, è confermato nella vita
reale da una recente indagine di
Altroconsumo.3
Il problema, dunque, esiste e
potrebbe arrivare a breve una
decisione della Commissione
Europea che metta paletti più
stringenti ai processi produttivi.
A oggi, però, sulla base dei dati
disponibili, i rischi reali restano
molto bassi.
A oggi le evidenze sull’olio di palma sono
tutt’altro che definitive, se ne può solo
consigliare un uso moderato all’interno di un
regime alimentare equilibrato
Dal web alla TV: così è esploso il fenomeno palma
E’ il 2014. Alla fine dell’anno in Italia entrerà in vigore il regolamento
europeo 1169/11 che obbliga i produttori di alimenti a una maggiore
chiarezza nelle etichette: il più generico “grassi vegetali aggiunti” fino ad
allora in vigore andrà sostituito con l’indicazione precisa della tipologia di
grasso. Questo cambiamento normativo innescherà in Italia il fenomeno
olio di palma.
Tra i primi a prendere sul serio l’argomento e a farne una vera e propria
campagna è una testata online specializzata in alimentazione, Il Fatto
Alimentare. Dall’analisi delle etichette scopre che l’olio di palma è una
delle componenti principali di una miriade di cibi che mettiamo tutti i
giorni sulle nostre tavole. Di lì a poco il giornale lancerà sulla piattaforma
di petizioni online www.change.org una campagna attraverso cui chiede
lo stop “all’invasione dell’olio di palma”.
E’ un successo: la petizione raccoglie quasi 180 mila firme in pochi
mesi, dilaga sui social, contagia la stampa e finisce in TV. In breve salta
sul carro del “no” all’olio di palma anche la politica: prima il Movimento
5 Stelle e poi un gruppo di deputati del PD chiedono al governo di
escludere dagli appalti le ditte fornitrici di prodotti a base di olio di palma.
Lentamente la vicenda si spegne, ma ha sortito i suoi effetti: la gran
parte delle aziende, compresi i big dell’alimentazione, decidono di
seguire il vento dell’opinione e cambiano le ricette. Il “senza olio di
palma” diventa una medaglia di cui fregiarsi.
Bibliografia
1
Istituto Superiore di Sanità. Parere sulle conseguenze per la salute dell’utilizzo dell’olio di
palma come ingrediente alimentare, febbraio 2016. https://goo.gl/GYRD7s
2
European Food Safety Authority (EFSA). Risks for human health related to the presence of
3- and 2-monochloropropanediol (MCPD), and their fatty acid esters, and glycidyl fatty acid
esters in food. EFSA Journal 2016;14:4426. https://goo.gl/EhNccV
3
Ovadia S. Merende indigeste. Altroconsumo 2016;305:10-13. https://goo.gl/QXBuXw
171 . 2017
Gioie e dolori della ricetta online
margherita martini
La dematerializzazione della ricetta
elettronica porta con sé alcuni vantaggi ma
non senza un po’ di confusione e qualche altro
effetto collaterale, dovuto soprattutto alle
disomogeneità del nostro SSN. Rappresenta
un’eccezione la Provincia autonoma di Trento,
esempio di buona pratica sull’applicazione
dell’ePrescription
regime della cosiddetta ricetta
elettronica nazionale (1 marzo
2016), ci si interroga su criticità
e punti di forza di questa nuova
modalità. Ciò che emerge è forse
un po’ di confusione, sia da
parte dei cittadini sia degli stessi
operatori sanitari.
Parlare, per esempio, di
ricetta elettronica o di ricetta
dematerializzata non è esattamente
la stessa cosa. La prima è intesa
come l’invio telematico delle
ricette da parte dei medici al
Ministero dell’Economia e delle
Finanze (MEF) ai fini della verifica
dei volumi e della congruità
delle prescrizioni; per ricetta
dematerializzata, invece, si intende
la sostituzione dei supporti cartacei
con dei codici numerici: i medici
e i pediatri di famiglia, infatti, non
ricevono più dalle ASL i blocchi
delle vecchie “ricette rosse”
ma solo i numeri delle ricette
elettroniche (NRE), prodotti dal
sistema centrale gestito da Sogei
(società in house del MEF).
Ma come funziona?
Al momento della prescrizione
di un farmaco, di una visita
specialistica o di un esame,
L’ultimo rapporto OsMed,
relativo all’uso dei farmaci in Italia,
fa riflettere sulla mole di dati che,
nel nostro Paese, gira intorno
alle prescrizioni di farmaci, visite
specialistiche ed esami clinici
da parte di medici e pediatri di
famiglia. Per promuovere una
razionalizzazione delle procedure
prescrittive e dello scambio di
informazioni tra medici e pediatri,
farmacie ed erogatori di servizi,
il Governo italiano all’inizio degli
anni 2000 ha avviato un lungo
percorso di sincronizzazione e
digitalizzazione (vedi box a pag.
19) che è confluito nel processo
di trasformazione delle ricette da
cartacee a elettroniche.
A circa un anno dalla messa a
FONTE: WIKIPEDIA,
https://goo.gl/DyAE03;
https://goo.gl/SQPXL4;
https://goo.gl/lu3OWF
18 InFormaMI
PROFESSIONE
di famiglia di Milano (Zona 9),
psicoterapeuta e consigliere del
sindacato Snami. “Inoltre, non si
può non considerare la complessità
della realtà milanese data la grande
diversità dei medici (dimestichezza
con i sistemi informatici, l’essere
o meno associati in un gruppo di
lavoro, eccetera) e del territorio in
cui operano” continua l’esperta. Alla
base della digitalizzazione sanitaria
non corrisponde infatti ancora un
sistema perfettamente funzionante
e sono quindi ancora troppi gli
“intoppi” che il medico si trova a
dover risolvere quotidianamente,
a discapito di una maggiore
attenzione alle questioni cliniche del
proprio paziente:
• differenze di “linguaggio” tra le
diverse parti coinvolte. Infatti, non
sempre i codici di una prestazione
corrispondono (medici, laboratori
analisi, pronto soccorso, si
trovano quindi in situazioni di
impasse)
• codici a barre troppo lunghi e
spesso non leggibili
• problemi informatici legati ai
software di gestione della ricetta
elettronica
• necessità di aprire un ticket di
assistenza ogni volta che si verifica
un problema con il sistema.
Tutti aspetti problematici
considerando anche che le
ricette dematerializzate non sono
correggibili.
“Inoltre, per i medici non c’è
stato un vantaggio economico”
continua Geltrude Consalvo.
“Oltre a doverci munire di carta
e stampante laser (l’unica che
stampa i codici a barre leggibili)
abbiamo anche dovuto pagare
un aggiornamento informatico
extra affinché l’applicativo per le
cartelle cliniche potesse gestire
il medico si connette tramite
computer al portale dedicato, si
identifica ed effettua la prescrizione
online utilizzando un numero
di ricetta elettronica. Grazie
all’associazione di questo numero
al codice fiscale dell’assistito, il
sistema verifica automaticamente
se il paziente ha diritto a eventuali
esenzioni; quindi, il medico
completa la ricetta virtuale e la
conferma online (sul server di
Sogei) apponendo la firma digitale.
Bisogna però considerare che
esistono diversi modelli di accesso
a seconda delle realtà regionali.
In alcune, per esempio, non c’è
un sistema/portale dedicato alla
prescrizione, tutto è integrato
e i medici procedono con le
prescrizioni dal proprio gestionale,
né più né meno di come facevano
con la ricetta rossa.
Per ora, nella maggior parte
dei casi, il medico deve ancora
stampare un “promemoria” per
l’assistito; questo garantisce la
possibilità di ottenere il farmaco/
prestazione anche in caso di assenza
di linea o in presenza di qualsiasi
altro inconveniente tecnico e
permette al farmacista, in alcune
Regioni, di apporre le fustelle
del farmaco. Ma, con il sistema
di dematerializzazione a piena
operatività, anche quest’ultimo
foglietto scomparirà, rendendo la
procedura totalmente virtuale e
quindi, appunto, dematerializzata.
L’assistito può recarsi dal
farmacista che, collegandosi
a sua volta al sistema, accede
alla ricetta elettronica, eroga il
farmaco e invia al server di Sogei
i dati relativi all’erogazione e i
codici che identificano la singola
confezione. Sono per ora esclusi da
questa procedura alcuni farmaci
per i quali c’è ancora bisogno
della ricetta rossa (stupefacenti,
ossigeno, farmaci con piano
terapeutico, sostanze psicotrope e
farmaci prescritti a domicilio
del paziente).
Il procedimento alla base
delle ricette elettroniche per la
prescrizione di visite specialistiche
e di analisi da effettuare nei
laboratori è lo stesso di quello
previsto per i farmaci.
Ricadute: vantaggi
e diversità locali
Una prima ricaduta positiva di
questo sistema è che, essendo
la ricetta dematerializzata valida
in tutte le farmacie italiane, è
possibile utilizzarla anche fuori
dalla Regione di residenza.
Tuttavia, la frammentazione del
nostro SSN ha messo in evidenza
una grande diversità regionale per
quanto riguarda la messa a regime
delle procedure.
“Nonostante l’importanza e i
vantaggi riconosciuti al progresso
informatico in sanità, quello
che forse è mancato, e che ha
aumentato la conflittualità tra
medico e paziente, è probabilmente
la costruzione di percorsi di
cambiamento condivisi basati
sull’integrazione reale dei diversi
attori che concorrono a formare
il SSN, che avrebbero ottimizzato
la fase di transizione e affiancato
all’obiettivo del controllo quello
della partecipazione attiva a
un sistema evoluto”, racconta
Geltrude Consalvo, medico
Alla digitalizzazione sanitaria non
corrisponde ancora un sistema
perfettamente funzionante e sono quindi
ancora troppi gli ‘intoppi’ che il medico si
trova a dover risolvere quotidianamente
191 . 2017
anche le ricette dematerializzate.
Comunque, al di là delle diverse
problematiche legate alla (più o
meno riuscita) diffusione della
ePrescription nel nostro Paese”,
conclude Geltrude Consalvo,
“per evitare un vero e proprio
burnout dei prescrittori, decisori e
istituzioni non possono trascurare
che, dietro alla dematerializzazione
della ricetta non deve esserci una
dematerializzazione del ruolo del
medico, che deve rimanere il primo
punto di riferimento per il proprio
assistito e non essere distratto da
problematiche burocratiche invece
che cliniche”.
L’eccezione Trentina
Complice forse anche una gestione
più semplice rispetto ad altre
realtà regionali, sia in termini
di copertura territoriale sia a
livello demografico, la Provincia
autonoma di Trento rappresenta
un esempio di buona pratica
sull’applicazione della ricetta
farmaceutica dematerializzata.
“Al fine di perseguire l’obiettivo di
un’effettiva dematerializzazione”
racconta Diego Conforti, sostituto
Direttore del Dipartimento salute
e solidarietà sociale dell’Ufficio
innovazione e ricerca della
Provincia Autonoma di Trento, “già
dal 2012, presentando il proprio
Piano di diffusione, la PA di Trento
ha manifestato il proprio intento
di sfruttare il sistema messo a
disposizione dei cittadini per
gestire il proprio fascicolo sanitario
elettronico (TreC), proponendo
metodologie tecnico/organizzative
innovative”.
Il TreC – progettato per garantire
sicurezza in termini di privacy –
permette ai cittadini l’accesso al
fascicolo personale, consentendo la
consultazione dei propri documenti
sanitari prodotti dalle strutture
del Servizio Sanitario Provinciale.
Il sistema, accessibile attraverso
il portale trec.trentinosalute.net,
prevede l’autenticazione tramite
la nuova tessera sanitaria/carta
provinciale dei servizi. “Con
questo strumento” continua
Conforti, “si è inteso mettere a
disposizione strumenti diretti
di interazione tra popolazione
generale e sistema sanitario
che, nello specifico del progetto
di dematerializzazione della
ricetta sanitaria, sono costituiti
dalla possibilità di visualizzare
e stampare le impegnative,
nonché di gestirne il livello di
oscuramento”. Infatti, il cittadino
ha la possibilità di rilasciare uno
specifico consenso per abilitare
tutte le farmacie del territorio
provinciale (152 più 5 farmacie di
confine) ad accedere alle proprie
prescrizioni farmaceutiche con la
sola presentazione della tessera
sanitaria. L’autorizzazione può
essere data dal proprio medico
di famiglia, in farmacia, in APSS
(Azienda provinciale per i servizi
sanitari) sul portale online,
sulla propria TreC. Inoltre il
consenso, registrato dal sistema
di accoglienza regionale, è
modificabile in negativo dal
cittadino stesso, o dal proprio
medico, è restringibile a una, due o
tre farmacie, ed è anche possibile
oscurare alle farmacie le singole
prescrizioni.
“In Provincia, la graduale
dematerializzazione
dell’impegnativa cartacea è stata
avviata dal 3 dicembre 2013,
estendendo la sperimentazione a
tutti i medici prescrittori e a tutte
le farmacie del territorio
provinciale (deliberazione g.p.
n. 2409 del 22 novembre 2013).
Attualmente, il servizio è da
considerarsi a regime” aggiunge
Conforti che sottolinea anche
l’utilità della campagna informativa
che ha coperto capillarmente
l’intero territorio provinciale
attraverso la collaborazione dei
medici di famiglia, delle farmacie
e delle strutture della APSS. “La
sperimentazione ha dimostrato
il forte gradimento verso questa
innovazione da parte sia dei medici
prescrittori sia dei cittadini, con
particolare apprezzamento della
soluzione introdotta dalla Provincia
che prevede la possibilità di non
produrre il promemoria cartaceo.
A oggi, oltre il 90% delle ricette
farmaceutiche sono erogate
secondo tale modalità”.
Tappe principali del processo di
digitalizzazione
2003: disposizioni in materia di monitoraggio
della spesa nel settore sanitario e di
appropriatezza delle prescrizioni sanitarie.
https://goo.gl/kuKLFQ
2008: collegamento in rete dei medici del SSN
per la trasmissione telematica dei dati.
https://goo.gl/zBFmBf
2010: accelerazione dell’adozione delle modalità
telematiche per la trasmissione delle ricette
mediche; avvio della diffusione della suddetta
procedura telematica; sostituzione della
prescrizione medica in formato cartaceo con
l’invio telematico.
https://goo.gl/nygqOa
2011: dematerializzazione della ricetta medica
cartacea.
https://goo.gl/nHAEc4
I singoli Piani regionali attuativi sono stati
scaglionati negli anni successivi:
2010: Lombardia
2011: Valle d’Aosta, Emilia-Romagna, Abruzzo,
Campania, Molise, Piemonte, Provincia
Autonoma di Bolzano, Calabria, Liguria,
Basilicata, Provincia Autonoma di Trento,
Toscana
2012: Veneto, Marche, Sicilia, Lazio, Friuli
Venezia Giulia, Umbria.
20 InFormaMI
sanità stefano menna
NuoviLEA:
così la sanità pubblica punta al rilancio
Il 2017 si è aperto con il via ai nuovi livelli essenziali di assistenza
(LEA), un passo importante per garantire la continuità dei
percorsi diagnostici e terapeutici; il testo è finalmente organico,
completo e si basa sui principi di evidence
e appropriatezza. Tante le novità,
con qualche punto debole
Il via libera ai nuovi livelli
essenziali di assistenza (LEA) lo ha
dato lo scorso 12 gennaio il premier
Paolo Gentiloni, direttamente
dal Policlinico Gemelli dove era
ricoverato per l’impianto di uno
stent. Una firma anticipata da un
tweet del ministro della salute
Beatrice Lorenzin, che ha definito
“storico” il passaggio per la sanità
italiana. Dopo il varo nel 2001,
è il primo vero aggiornamento
della lista di attività, dispositivi,
prestazioni e cure che il Servizio
Sanitario Nazionale (SSN) è tenuto
a erogare a tutti i cittadini, gratis o
dietro il pagamento di una quota di
partecipazione alla spesa (il ticket),
indipendentemente da reddito e
luogo di residenza.
Sulla base dei principi emanati
dall’art. 32 della Costituzione e della
legge che ha istituito il SSN nel
1978, i LEA consentono di tradurre
l’idea teorica di sanità pubblica
– universale, accessibile ed equa –
nell’effettiva pratica clinica.
Un passaggio non sempre lineare
e scontato, come testimoniano le
quotidiane inefficienze del
sistema: liste di attesa
infinite, disparità
di trattamento da
regione a regione, esami
sbagliati o inappropriati. Eppure
di sanità pubblica c’è un gran
211 . 2017
zoster nei sessantacinquenni. Tutti
questi vaccini saranno gratuiti, per
le classi d’età e i gruppi a rischio
indicati.
E’ stato aggiornato il nomenclatore
per la specialistica ambulatoriale
(fermo dal 1996) con la consulenza
genetica, la fecondazione assistita
– anche eterologa – fino a oggi
erogata solo in regime di ricovero
e con costi più alti, e attività a
elevato contenuto tecnologico o
innovativo come l’adroterapia,
l’enteroscopia con microcamera
ingeribile e la radioterapia
stereotassica. Assicurate la terapia
del dolore, l’epidurale per travaglio
e parto vaginale, la chirurgia
estetica in caso di malformazioni
congenite e incidenti. In una
prospettiva di tutela universale
del diritto alla salute, l’elenco delle
malattie rare si arricchisce di 110
patologie che riguardano 300mila
malati, oggi privi di copertura.
Entra lo screening neonatale per le
malattie metaboliche ereditarie, la
sordità e la cataratta congenita.
Il provvedimento affronta la
cronicità garantendo terapie per
malattie sinora escluse, come
endometriosi e BPCO. Spostate
tra le croniche alcune patologie
già esenti come rare: celiachia,
sindrome di Down e Klinefelter e
connettiviti indifferenziate. Ridotto,
invece, il pacchetto di prestazioni
per l’ipertensione, quando
non comporti danno d’organo.
Assicurati i metodi più aggiornati
per diagnosi, cura e trattamento
dell’autismo. Il SSN non dimentica
le dipendenze e offre il recupero
nei SerT e terapie farmacologiche
sostitutive. Per la prima volta
entrano servizi di neuropsichiatria
infantile e cure palliative domiciliari.
Aggiornato infine il nomenclatore
di protesi e ausili, con i dispositivi
tecnologicamente più avanzati
che migliorano la qualità della vita
di tanti disabili: dai comunicatori
oculari alle barelle adattate
per la doccia, fino ai kit per la
motorizzazione delle carrozzine.
I limiti del testo
Eppure non mancano aspetti
insufficienti o critici. A iniziare
dall’approccio culturale, ancora
molto settoriale. “In tema di
cronicità e disabilità serviva un
maggiore sforzo di integrazione
con il sociale: i riferimenti al valore
dell’autonomia del paziente e al
coinvolgimento attivo delle famiglie
sono carenti. Manca una cultura
della ‘domiciliarità’: riconoscere
che il paziente cronico, finché può,
deve essere curato a casa, negli
ambienti di vita dove le relazioni
quotidiane sono parte costitutiva
del proprio benessere. E non c’è
nemmeno un’attenzione ai budget
di salute, i piani personalizzati per
i malati cronici e con disabilità in
cui si mettono a sistema le risorse
del paziente, della famiglia e della
comunità”, nota la senatrice.
Le stesse modifiche al nomenclatore
avranno conseguenze delicate,
tutte da valutare. “Le scelte sono
state guidate da un criterio di
L’elenco delle malattie rare si arricchisce di 110 patologie
che riguardano 300mila malati oggi privi di copertura.
bisogno, se è vero che la spesa
privata tocca quota 34 miliardi di
euro e ben 11 milioni di cittadini
rinuncia a curarsi (dati Censis). “A
differenza di quello del 2001, che
era una sorta di ricognizione della
normativa vigente, questo testo è
organico e completo. C’è attenzione
anche alle modalità e ai processi
di erogazione delle prestazioni:
un passo avanti importante, per
garantire la continuità dei percorsi
diagnostici e terapeutici”, commenta
Nerina Dirindin, capogruppo PD
in Commissione sanità al Senato
e docente di Scienza della finanza
all’Università di Torino. “La sanità
si conferma settore all’avanguardia
della pubblica amministrazione.
I principi che hanno ispirato la
stesura del testo sono evidence e
appropriatezza: una risposta forte e
coraggiosa alla crisi di oggi, in cui
dilaga la mancanza di fiducia nelle
istituzioni e sembra prevalere una
scarsa cultura della tutela
della salute”.
Che cosa cambia
Tante le novità previste dal decreto.
Si parte dalle vaccinazioni, con
l’inserimento nei LEA del piano
nazionale vaccini 2017-2019: il
nuovo calendario introduce il
vaccino anti meningococco B,
rotavirus e varicella nei nuovi nati;
estende l’immunizzazione anti-HPV
ai maschi undicenni; prevede la
vaccinazione antimeningococcica
tetravalente e il richiamo anti polio
negli adolescenti, oltre a quelle
contro pneumococco ed herpes
Tweet di Beatrice Lorenzin sul via ai LEA
del 12 gennaio 2017.
22 InFormaMI
prioritarizzazione: accontentare
tutte le (pur legittime) richieste
di inclusione sarebbe stato
impossibile. Ma quali parametri
etici, organizzativi, clinici ed
economici hanno ispirato queste
scelte? Si tratta di criteri sempre
uniformi e coerenti? Per esempio,
l’esclusione dall’esenzione dal
ticket degli ipertesi senza danni
d’organo risponde a un criterio di
minore gravità e priorità rispetto
ad altre patologie; ma come si
giustifica, rispetto alla necessità
di promuovere una cultura della
prevenzione attiva? O ancora:
dal nomenclatore della protesica
escono dispositivi per cui il SSN
spendeva circa 65 milioni, come
i plantari o alcuni modelli di
carrozzelle ormai superati. Ma
siamo sicuri di aver sostituito questi
presidi (su cui, in effetti, ci sono
stati comportamenti opportunistici
e prescrizioni troppo ‘generose’)
con alternative valide ed efficaci?”
si chiede Dirindin. Solo la pratica
clinica chiarirà come stanno
effettivamente le cose. Sarà dunque
fondamentale il lavoro della
commissione per il monitoraggio
dei LEA, che ogni anno avrà il
compito di aggiornare il paniere
dei servizi. Anche qui, però,
sono auspicabili correzioni di
rotta. “Il sistema di valutazione è
ancora poco sviluppato e viziato
da possibili conflitti di interessi: la
commissione è formata anche da
rappresentanti delle regioni, ossia
gli stessi che dovrebbero essere
valutati” continua Dirindin.
Il nodo delle risorse
Il provvedimento è stato vidimato
dal Ministero dell’Economia
e dalla Corte dei Conti (800
milioni i fondi stanziati dal
Governo), ma la sostenibilità
economica è oggetto di dibattito.
Per esempio, stando alle stime
del Ministero della Salute, la
specialistica ambulatoriale del
nuovo nomenclatore costerebbe
1,7 miliardi di euro. Eppure è
contabilizzata solo per 380 milioni.
“Probabilmente si è sottostimato
il maggior costo dei LEA e si sono
sovrastimate le ulteriori entrate a
compensazione dei maggiori oneri.
Quasi 600 milioni rappresentano
minori costi risparmiati dalla
derubricazione da altri regimi
assistenziali più onerosi, come il
day hospital o il day surgery. Altre
voci di minore spesa (per poco
meno di 500 milioni) vengono
dalle regioni che avevano già
inserito nella loro offerta i nuovi
servizi. E’ passata così l’idea che
sanità
“In tema di cronicità e disabilità serviva un
maggiore sforzo di integrazione con il sociale
[…] Manca una cultura della ‘domiciliarità’ […]
E non c’è nemmeno un’attenzione ai budget di
salute, i piani personalizzati per i malati cronici
e con disabilità in cui si mettono a sistema
le risorse del paziente, della famiglia e della
comunità”
“L’odontoiatria pubblica si conferma la cenerentola
dei nuovi LEA. Capisco che le priorità sono altre, manca
però una visione della salute del cavo orale come fattore
di benessere globale, in linea con quanto sostiene l’OMS.
E anche sulla prevenzione, soprattutto con i ragazzi in
età scolastica, si sarebbe potuto fare di più”. L’analisi di
Antonio Carrassi, docente di malattie odontostomatologiche
all’Università Statale di
Milano, è severa. Del
resto, nel nostro Paese
l’odontoiatria pubblica
è praticata pochissimo:
secondo l’ISTAT, appena il
5% degli italiani si affida
al SSN per curare i propri
denti. Tutti gli altri – chi può,
ovviamente – sono costretti
a rivolgersi alla libera
professione.
I nuovi LEA glissano sul piano odontoiatrico:
manca un quadro delle risorse e delle forze a disposizione
per gli interventi previsti e, in fatto di prevenzione,
si poteva fare di più
LEA odontoiatrici: poche
luci, solite ombre
stefano menna
231 . 2017
“In una società in cui si diffondono cronicità e fragilità, un censimento
del comparto pubblico dell’odontoiatria oggi sarebbe utilissimo”
Censire le risorse pubbliche
Limiti che si riflettono nel testo del nuovo
provvedimento, dove a tutti i cittadini sono garantiti la
visita per la diagnosi precoce di tumori e le urgenze:
infezioni e dolore acuti, emorragie, molaggio di denti
fratturati. “L’offerta generalista del trattamento in
emergenza è positiva e condivisibile, ma rischia di
rimanere una dichiarazione di intenti sulla carta: si fa
fatica a capire come le strutture sanitarie e gli ospedali
possano attrezzarsi per rispondere efficacemente a
questa domanda”, commenta Carrassi. “Al momento non
conosciamo nemmeno quali e quante risorse abbiamo
a disposizione in ambito pubblico, sul territorio”.
Gli ultimi dati pubblicati dal Ministero della Salute
risalgono al 2006. Informazioni che, invece, sarebbe
fondamentale aggiornare, soprattutto per la popolazione
più vulnerabile, che ha diritto a cure gratuite. Terapie
conservative e canalari, protesi removibili ed estrazioni
sono infatti offerte ai pazienti con labiopalatoschisi
o altre malformazioni congenite, malattie rare e
tossicodipendenze: tutte condizioni per cui le cure
odontoiatriche sono indispensabili. Così come a chi
vive in stato di marginalità, esclusione sociale o disagio
economico. “In una società in cui si diffondono cronicità
e fragilità, un censimento del comparto pubblico
dell’odontoiatria oggi sarebbe utilissimo: capire su quali
forze (ambulatori periferici, strutture specialistiche,
ospedali, medici) il SSN può contare, consentirebbe di
programmare in modo più appropriato ed efficiente gli
interventi previsti dai LEA”, spiega Carrassi.
Più prevenzione per i giovani
C’è poi la partita chiave della prevenzione. I LEA
confermano l’attivazione di programmi di tutela
in età evolutiva (0-14 anni), con il monitoraggio di
carie e malocclusioni e la correzione delle patologie
ortognatodontiche a maggior rischio. “Gli interventi su
bambini e ragazzi sono prioritari. Esistono ormai misure
efficaci di profilassi per ridurre l’incidenza di carie e
gengiviti, patologie note e di facile diagnosi. Sarebbe
stato quindi opportuno ampliare l’offerta fino a 18 anni,
collegandola a un adeguato programma di educazione e
informazione sanitaria nelle scuole sui fattori di rischio
principali, a iniziare dal fumo”, continua il professore.
Un segnale positivo arriva dall’estensione agli adolescenti
maschi della vaccinazione anti HPV. “Ogni anno, in Italia,
registriamo 3.500-4.000 nuovi casi di cancro del cavo
orale, gran parte dei quali provocati da HPV 16 e 18”,
sottolinea Carrassi. “Ora, grazie all’incremento della
platea dei vaccinati contro il papillomavirus, ci attendiamo
un progressivo calo dell’incidenza di questa malattia, sia
nell’uomo sia nelle donne. Finalmente un investimento
concreto in prevenzione, su cui però avremmo bisogno di
ancora più risorse”.
l’anticipazione dell’aggiornamento
dei LEA produce una riduzione
del finanziamento a carico dello
Stato: un messaggio che rischia
di scoraggiare l’innovazione”
spiega la senatrice. A questo si
aggiunge l’aumento dei ticket
sulla specialistica, che rischia di
scaricare sui cittadini il costo di
alcune prestazioni. Tema che si
incrocia con la mancata revisione
del sistema di esenzione e
compartecipazione alla spesa.
“Una riforma ancora da avviare,
ma urgente. Ci vuole più attenzione
per le fasce sociali deboli e
svantaggiate, come gli inoccupati,
che non sono esenti ticket e
sarebbero quindi scoperti. Qualche
regione si è mossa in autonomia
e ha previsto agevolazioni, ma
oggi i giovani che non hanno
mai lavorato sono davvero tanti”,
sottolinea la senatrice.
Dopo la pubblicazione in Gazzetta
Ufficiale, perché il nuovo
nomenclatore sia valido dovrà
essere approvato il tariffario di
specialistica e protesica. Anche
l’elenco delle malattie rare sarà
operativo solo 180 giorni dopo
l’entrata in vigore dei LEA: gli
enti locali hanno 6 mesi di tempo
per adeguare la rete territoriale.
“Verosimilmente, le nuove
prestazioni saranno via via esigibili
nella seconda metà del 2017”,
prevede Dirindin. Ciò non toglie
che le regioni più rapide e pronte
riescano a organizzarsi prima,
con il rischio che si riproponga
l’annoso problema di una sanità a
differenti velocità.
24 InFormaMI
sanità patrizia salvaterra
Il rapporto OASI mostra la sanità
come un settore promettente
che si evolve tra alti e bassi: in
questa sintesi alcuni dei punti più
rilevanti del documento
“Disponiamo oggi in Italia
di una piattaforma unica per la
sanità?”. Se la riposta è “no”, ci
sarebbe poi da chiedersi se tale
piattaforma serve, e se vale la
pena progettarla perché potrebbe
diventare un buon volano per
attrarre chiunque voglia investire
nel nostro paese in questo settore,
il sesto del PIL nazionale con 149
miliardi di euro di spesa corrente.
Da qui è partito l’ultimo rapporto
dell’Osservatorio aziende sanitarie
italiane (OASI) di Cergas, Sda
Bocconi e Bocconi Alumni
Association (BAA) presentato in un
recente convegno dall’ambizioso
titolo Italy, a Healthy Investment.
Il rapporto OASI sviluppa una
tesi: il settore è ad alto potenziale,
in evoluzione, ma per poterlo
promuovere su scala internazionale
vanno analizzati i suoi punti
di forza – messe a sistema le
esperienze positive e trasferite
le buone pratiche alle strutture
sanitarie nazionali lungo tutto
lo stivale – e resi noti quelli di
debolezza, fotografando “senza
photoshop” l’esistente, per porvi
rimedio al più presto. Eccone
alcuni.
Rapporto OASI: alla ricerca di
un equilibrio fra investimenti, sostenibilità
e tutela della salute
Il cambiamento dell’assetto
istituzionale
In quasi tutte le regioni si è avviato
un processo di razionalizzazione
dell’offerta: 1) accorpando le
diverse Asl in un’unica realtà
amministrativa; 2) semplificando
le strutture organizzative interne;
3) integrando e mettendo in rete
i servizi ospedalieri e territoriali,
e diminuendo i punti fisici di
accesso. Sulla razionalizzazione
degli ospedali va spesa una
precisazione. Negli ultimi tre
anni sono calati i ricoveri a bassa
complessità, con la conseguente
riduzione dei posti letto (standard
minimo di casistica, d.m. 70/2015); segue a pagina 25
non solo per il recupero di risorse
contro le inefficienze, ma come
garanzia per il cittadino di essere
curato in modo omogeneo su tutto
il territorio. Si è infatti registrato
dal 2010 un aumento dell’1,5%
della mobilità interregionale – dal
Sud al Nord – alla ricerca di servizi
di cura migliori. “Perché oggi,
nascere e crescere in Campania
o Sicilia significa avere
un’aspettativa di vita in
buona salute di 4 anni
di meno rispetto
a Lombardia,
Veneto e altre
regioni del Nord,
e accedere a livelli
di assistenza inferiori in
termini quantitativi e
qualitativi” affermano Elio
Borgonovi e Rosanna Tarricone,
presidente e direttore Cergas.
Ciò ha ulteriormente rafforzato il
ruolo istituzionale delle regioni,
incentivate sulla qualità dei servizi
garantiti, sul numero di pazienti
curati, sul livello di soddisfazione
dell’utenza e rispetto dei budget.
L’obiettivo punta alla salute
della finanza pubblica e della
popolazione; al centro di questa
trasformazione c’è il paziente con i
suoi bisogni di prevenzione e cura,
nel rispetto di una mission ormai
definita: “la tutela della salute
costo-efficace, economicamente
sostenibile” (Borgonovi e
Tarricone, cit.).
I1 . 2017
LA DIAGNOSI DI
IPERTENSIONE ARTERIOSA
Come iscriversi
aL corso
Partecipare al corso FAD
è semplice. Una volta letto
questo dossier, tutti gli iscritti
all’OMCeO Milano, medici e
odontoiatri, possono rispondere
al questionario online e acquisire
i crediti ECM. Ecco come fare:
1. registrarsi sulla piattaforma
www.saepe.it per ricevere via
email ID e PIN per l’accesso
2. entro 48 ore ricollegarsi alla
piattaforma e inserire ID e PIN
ricevuti
3. cliccare al piede della pagina
sul banner Smart FAD
4. cliccare il titolo del corso
5. cliccare sul questionario e
rispondere alle domande ECM;
si ricorda che le domande sono
randomizzate, quindi variano nei
tentativi successivi (non c’è un
limite massimo)
6. rispondere al questionario di
customer satisfaction
7. scaricare l’attestazione dei
crediti cliccando in alto a destra
su “Crediti” e quindi sulla
stampantina vicino al titolo del
corso
Per qualunque dubbio o difficoltà
scrivere a:
gestione@saepe.it
1.2017
Siccome in ogni visita viene misurata la pressione arteriosa spesso subentra l’abitudine
e non si pensa quanto sia fondamentale eseguire correttamente questa misurazione, con
strumenti adeguati e seguendo alcuni accorgimenti. La diagnosi di ipertensione arteriosa
è semplice, ma per farla occorre avere a disposizione rilevazioni multiple e accurate.
Evento ECM n. 184478 ; Provider Zadig (n. 103)
Autore: Maria Rosa Valetto
Revisore: Nicola Montano, Presidente eletto della Federazione europea
delle Società di medicina interna, Divisione di medicina interna,
Dipartimento di scienze cliniche e di comunità, Università degli Studi di Milano
Destinatari: medici e odontoiatri
Durata prevista: 2 ore (compresa la lettura di questo dossier)
Durata: dall’1 marzo 2017 al 28 febbraio 2018
II SmartFad
“Buongiorno, dottore”.
“Buongiorno a lei, si accomodi. Se non sbaglio non ci conosciamo”. Il medico di me-
dicina generale fa entrare in ambulatorio Dario, un nuovo assistito, quarantenne,
dirigente di un’importante multinazionale.
“Infatti, mi sono trasferito a Milano da pochi mesi”.
“Mi dica, c’è un motivo preciso per questa visita?”.
“Per fortuna no, non ho problemi di salute, almeno credo. Mi serve solo un certifi-
cato medico, sono un runner”.
“Amatoriale?”.
“Sì, sì. Con il mio lavoro sempre in viaggio e spesso all’estero il podismo è l’unico modo per mantener-
mi un po’ in forma. Una scelta legata alla flessibilità di orario, nessuna ambizione di agonismo”.
“Capisco, condivido il ragionamento e la pratica”.
“Davvero?”.
“Sì, rispetto a lei ho il vantaggio di una residenza fissa, ma anche io devo sfruttare i ritagli di tempo.
Sempre di corsa, anche senza scarpette ai piedi”. Il medico raccoglie un’accurata anamnesi da cui ri-
sulta che Dario ha uno stile di vita molto regolare, non fuma, beve moderatamente in qualche cena di
lavoro, ha una familiarità per malattie cardiovascolari in linea paterna.
“Ora la voglio visitare, solo un attimo scusi…”, il medico solleva il ricevitore del telefono e chiama
l’interno della segreteria. “Sono rientrati gli sfigmo dalla manutenzione? Bene, quindi in studio mi ha
messo già quello ricalibrato... Perfetto, grazie”.
Il medico poggia lo sfigmomanometro a mercurio sul piano del tavolo all’altezza del torace del paziente
e lo invita, indicando i braccioli della poltroncina su cui è seduto: “Appoggi qui le braccia, per favore”.
Effettua una prima misurazione dal braccio destro, poi sfila e arrotola il manicotto per svuotarlo com-
pletamente dell’aria. Dario accenna ad alzarsi, ma: “Stia ancora seduto dove è, solo un attimo. Sul letti-
no si corica dopo”. La determinazione della pressione viene ripetuta dal braccio sinistro.
“C’è qualcosa che non va?” chiede il paziente un po’ allarmato.
Sempre di corsa
la storia
parte I
commento
Qualsiasi misurazione della pressione arteriosa deve essere ef-
fettuata standardizzando e stabilizzando l’ambiente in termini di
temperatura, stimoli esterni e tranquillità. Bisogna utilizzare un
apparecchio validato e sottoposto a ricalibratura periodica.
Rilevare la pressione con il paziente seduto da almeno 3-5 minuti, il
braccio rilassato e disteso e utilizzando un manicotto di misura ade-
guata per il braccio del paziente. Lo sfigmomanometro deve essere
posizionatoalivellodelcuore.Perladiagnosi,misurarelapressione
arteriosa almeno due volte a distanza di 1-3 minuti, in entrambe
le braccia e ripetere la determinazione se la differenza è 10-20
mmHg. Se tale differenza è confermata considerare come valore di
pressione di riferimento quella del braccio con i livelli più alti.
Mancia G, Fagard R, et al. 2013 ESH/ESC Guidelines for the management
of arterial hypertension: The Task Force for the management of arterial
hypertension of the European Society of Hypertension (ESH) and of the
European Society of Cardiology (ESC). Eur Heart J 2013;34:2159-219.
https://goo.gl/aGLomR
The National Institute for Health and Care Excellence (NICE). Hyperten-
sion in adults: diagnosis and management. NICE guideline 127, aggior-
namento novembre 2016.
https://goo.gl/S3x2Gi
“No, stia tranquillo. Misurare la pressione da entrambe le braccia quando si visita un
nuovo paziente risponde solo a una buona pratica, anche se pochi lo fanno”.
“Infatti non mi era mai capitato”.
“Ha fatto molte gare amatoriali?”.
“Si contano sulle dita della mano. Tutte nel Nord Europa, scenari di una bellezza
incredibile: distese innevate, lungofiume immersi nella nebbia. Quasi ogni fine set-
timana ne organizzano una, ma anche qui l’offerta sta aumentando. Questa è la mia
prima Maratona di Milano. Ormai manca poco al due di aprile, non sono particolarmente
la storia
parte II
III1 . 2017
LA diagnosi di ipertensione arteriosa
La definizione di ipertensione sulla base di un valore soglia è una
convenzione:
• stadio 1: prima determinazione 140/90 mmHg, controlli succes-
sivi ambulatoriali o automisurazione a domicilio (media) 135/85
mmHg
• stadio 2: prima determinazione 160/100 mmHg, controlli succes-
sivi ambulatoriali o automisurazione a domicilio (media) 150/95
mmHg
• stadio 3: ipertensione grave, valori sistolici 180 mmHg o valori
diastolici 110 mmHg
Mancia G, Fagard R, et al. 2013 ESH/ESC Guidelines for the management
of arterial hypertension: The Task Force for the management of arterial
hypertension of the European Society of Hypertension (ESH) and of the
European Society of Cardiology (ESC). Eur Heart J 2013;34:2159-219.
https://goo.gl/aGLomR
The National Institute for Health and Care Excellence (NICE). Hyperten-
sion in adults: diagnosis and management. NICE guideline 127, aggior-
namento novembre 2016.
https://goo.gl/S3x2Gi
commento
Se una volta completato un processo diagnostico accurato con una
misurazione dei livelli pressori secondo la buona pratica clinica la
diagnosidiipertensione è esclusa, la determinazione successivava
programmata entro 5 anni, più spesso con livelli pressori prossimi
a 140/90 mmHg.
The National Institute for Health and Care Excellence (NICE). Hyper-
tension in adults: diagnosis and management. NICE guideline 127,
aggiornamento novembre 2016.
https://goo.gl/S3x2Gi
commento
la storia
conclusione
“Beh, con quei valori perfetti, le linee guida ammettono che si controlli ogni cinque anni” risponde il
medico. Ma Dario commenta: “Mi sembra un periodo veramente lungo”.
“Tanto se dovrà esibire il certificato medico per le gare non aspetteremo così tanto. La validità è an-
nuale.
“Magari ci incontriamo anche prima in tuta e scarpette”.
“Io mi alleno sui Navigli. Lei che sente il fascino delle vie d’acqua e della nebbia…”.
“Ottimo suggerimento!”.
“Valori normali?” chiede Dario.
“Perfettamente normali. La minima differenza tra le due braccia non ha nessun si-
gnificato”.
Il medico riprende la visita e la chiacchierata: “Mi diceva della sua corsa di inizio
primavera”.
“Lungo il Danubio, ero a Vienna. Ma la primavera lì non è ancora arrivata. Meglio
così perché io soffro di raffreddore da fieno. Ah già, prima non le ho detto che prendo
qualche antistaminico, specie prima di correre”.
“Spray?”.
“No, non ho mai avuto difficoltà a respirare”.
“Va bene”.
“Quindi con la pressione siamo a posto. Non devo neppure misurarla ogni tanto adesso che ho supe-
rato gli anta?”.
la storia
parte III
allenato ma l’esperienza della staffetta mi incuriosisce ed è un buon modo per socializzare con i nuovi
colleghi”.
“Giusto, la formula è divertente. Poi per il 2017 hanno disegnato un percorso nuovo, passa per tutto il
centro, sono curioso di provarlo. La Stramilano di domenica scorsa l’ha fatta?”.
“No, ero via per lavoro, quella domenica mi trovavo…” il medico interrompe Dario: “Adesso un attimo
di silenzio che ausculto cuore e polmoni”. E dopo qualche minuto: “Tutto a posto. Ah dimenticavo, pre-
so dalla nostra comune passione non le ho detto i valori di pressione: 130 su 85 e 125 su 80”.
IV SmartFad
Tacco 13
la storia
parte I
la storia
parte II
commento
Se in occasione della determinazione da parte di un medico si
riscontrano livelli pressori ≥140/90 mmHg, bisogna ripetere la
determinazione durante la visita e, in caso di una sostanziale
differenza, ripeterla una terza volta. Fare riferimento al valore più
basso tra gli ultimi due.
The National Institute for Health and Care Excellence (NICE). Hyperten-
sion in adults: diagnosis and management. NICE guideline 127, aggior-
namento novembre 2016.
https://goo.gl/S3x2Gi
Sabato pomeriggio, Mara entra zoppicante nel Pronto soccorso affollato.
“Te l’avevo detto che non dovevamo venire qui” le dice il marito. “Guarda quanta
gente, chissà quando passerai, visto che hai solo una banale storta!”.
“Beppe, guarda, se proprio ti dà fastidio aspettare, non hai che tornare a casa,
sederti sul divano e guardare il derby in santa pace” risponde secca la moglie. “Io
adesso sto qui tutto il tempo necessario. Queste storte se non si curano subito dan-
no problemi per sempre”.
“Sai sempre tutto tu, vero?”.
“E’ successa la stessa cosa all’Adriana, ormai è più di un anno, non l’hanno ingessata appena successo
e ora non cammina ancora bene”.
“Anche lei sfilando sotto i portici in centro col tacco 13?”.
“No lei era andata a ballare”.
“Alta acrobazia! Mara, ma la carta d’identità non la guardate mai?”.
“Senti eh, cosa deve fare una dopo i 60 anni? Mettersi in poltrona a fare la maglia?”.
“Non dico questo, ma darsi una calmata…”
“Veramente bastava che tu mi sorreggessi quando sono inciampata, invece di controllare dal telefoni-
no i risultati delle partite. Senti vai a casa e ti chiamo io quando ho finito”.
Beppe si congeda senza insistere minimamente e nel giro di pochi minuti la donna viene convocata per
il triage. Ovviamente le viene assegnato un codice verde.
“Nulla di grave, ma un controllo dell’ortopedico ci vuole e forse anche una lastra” le dice l’infermiere.
“Sì, sì, lo immaginavo. Come vorrei che ci fosse qui mio marito a sentire le sue parole. Secondo lui non
era neanche il caso di venire in ospedale” risponde Mara. “C’è tanta gente prima di me, ma pazienza”.
“Guardi oggi l’attesa non è neppure così lunga, non si faccia ingannare dalla folla dei parenti” la rassi-
cura l’infermiere mentre misura la pressione. Poi aggiunge sgonfiando il manicotto “Centocinquanta
su 95, un po’ alta. Ha mai misurato la pressione?”. “Sì, ma anni e anni fa giusto per curiosità in farmacia.
Era perfettamente normale”.
“Bene, abbiamo trovato una valida giustificazione per farle passare un po’ di tem-
po qui con noi. E’ prudente misurare di nuovo la pressione, ma dopo un’adeguata
attesa”.
“Ma non può essere stata l’arrabbiatura con mio marito a farla alzare?”
“Come no, la colpa è sempre dei mariti. Sono sposato da poco ma questa regola
l’ho già imparata” risponde il giovane infermiere con un largo sorriso. “Battute a
parte, l’emotività gioca, e magari anche il dolore alla caviglia”.
“A dir la verità, adesso con il ghiaccio è quasi passato”.
“In ogni caso durante la visita il medico ripeterà la misurazione. Intanto lei stia qui seduta e cerchi di
rilassarsi. Lo so che con questo via vai non è facile”.
“Non si preoccupi, mi piace stare in mezzo alla gente. Sarebbe l’occasione giusta per fare la maglia”.
“Come?”
“No, nulla, pensavo a una cosa detta prima, con mio marito”.
Passa poco meno di un’ora e la sedia a rotelle di Mara viene introdotta in sala visita.
L’ortopedico si informa sulle modalità della caduta e poi dice a Mara: “Prima di visitarla, prendo un’al-
Informami n1-2017 omceomi
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Informami n1-2017 omceomi

  • 1. InFormaMIBollettino dell’OMCeOMI 1 . 2017 anno LXX 360° pag. 5 La gestione del paziente cronico e fragileprofessione Dove è finita la ricetta rossa? pag. 17 sanità I nuovi LEA sono arrivati, finalmente pag. 20 l’intervista Elena Cattaneo: scienza e politica non si intendono pag. 30
  • 2. I telefoni dell’Ordine Ricordiamo che, ai sensi dell’art. 16 comma 7 D.P.R. 185/2008, sei tenuto a comunicarci il tuo indirizzo di Posta Elettronica Certificata (PEC). Se non lo hai già fatto, segnalalo inviandolo a: segreteria@pec.omceomi.it Grazie. Direzione Dott. Marco CAVALLO tel. 02.86471.1 Segreteria del Presidente Giusy PECORARO tel. 02.86471410 Segreteria consigliere medicina generale Cinzia PARLANTI tel. 02.86471400 Segreteria del vice presidente Marina ZAFFARONI tel. 02.86471448 Segreteria del consigliere segretario Laura CAZZOLI tel. 02.86471413 Segreteria commissioni Maria FLORIS tel. 02.86471417 Area giuridica amministrativa Avv. Mariateresa GARBARINI tel. 02.86471414 Segreterie organi collegiali Ufficio deontologia procedimenti disciplinari Dott.ssa Daniela MORANDO tel. 02.86471405 Ufficio iscrizioni, cancellazioni, certificati Alessandra GUALTIERI tel. 02.86471402 Cinzia PARLANTI tel. 02.86471400 Maria FLORIS tel. 02.86471417 Marina ZAFFARONI tel. 02.86471448 Front office Cinzia PARLANTI (Stampa) tel. 02.86471400 Maria FLORIS tel. 02.86471417 Amministrazione e contabilità Antonio FERRARI tel. 02.86471407 Contabilità - visti d’equità Gabriella BANFI tel. 02.86471409 Rossana RAVASIO tel. 02.86471419 Ufficio Stampa - sito istituzionale Mariantonia FARINA tel. 02.86471449 Aggiornamento ECM Sarah BALLARÈ tel. 02.86471401 Mariantonia FARINA tel. 02.86471449 Segreteria commissione odontoiatri Silvana BALLAN tel. 02.86471423 Pubblicità sanitaria e psicoterapeuti Lorena COLOMBO tel. 02.86471420 CED Lucrezia CANTONI tel. 02.86471424 Loris GASLINI tel. 02.86471412 Centralino Fabio SORA tel. 02.864711 ENPAM - Pratiche pensioni Stefania PARROTTA tel. 02.86471404 Ricevimento telefonico: lunedì e mercoledì h 14:00-16:00 martedì e giovedì h 10:00-12:00 Ricevimento in sede (su appuntamento) lunedì e mercoledì h 10:00-12:00 martedì e giovedì h 14:00-16:00 Per prenotare il proprio appuntamento, chiamare il numero di telefono: 02.86471404 Una segreteria telefonica è sempre attiva per lasciare eventuali messaggi; il referente d’ufficio provvederà a rispondere appena possibile. Sportello ENPAM, modalità di ricevimento www.omceomi.it Collegati con l’Ordine
  • 3. sommario editoriale 360° 3 La strada della pillola rossa LA GESTIONE DEL PAZIENTE CRONICO E FRAGILE 5 Il cambio di marcia lombardo 7 Le perplessità dell’Ordine 10 Paese che vai, modello che trovi Professione 13 Do you speak medichese? 15 Sull’olio di palma tanto rumore per nulla (o forse no?) 17 Gioie e dolori della ricetta online Sanità 20 Nuovi LEA: così la sanità pubblica punta al rilancio 22 LEA odontoiatrici: poche luci, solite ombre 24 Rapporto OASI: alla ricerca di un equilibrio fra investimenti, sostenibilità e tutela della salute 26 Gli ospedali milanesi visti attraverso gli occhi del Programma Nazionale Esiti 29 PNE: come non perdersi alla ricerca dei dati L’intervista 30 Elena Cattaneo: “Scienza e politica in Italia si parlano, ma spesso non si capiscono” diritto 34 Prelievo ematico forzoso: quali i termini della coazione per il personale medico? ClinicommeDia ieri e oggi 36 Non più quello di una volta 38 Dalla diagnosi clinica a quella di laboratorio Storia e storie 39 Le lotte intestine, quelle con i sindacati e le beffe della politica 42 Casa del Sole: da scuola speciale a modello di salute 44 Da leggere, vedere e ascoltare 46 Scuola di comunicazione in sanità 47 Corsi ECM 48 In ricordo di SmartFAD I La diagnosi di ipertensione arteriosa II Sempre di corsa IV Tacco 13 VI Era una notte buia e quasi tempestosa…
  • 4. 2 InFormaMI Registrazione al Tribunale di Milano n° 366 del 14 agosto 1948 Iscritta al Registro degli operatori di comunicazione (ROC) al n. 20573 (delibera AGCOM n. 666/08/CONS del 26 novembre 2008). Direttore Responsabile Roberto Carlo Rossi Comitato di Redazione Giuseppe Bonfiglio, Giulia Lavinia Allegra Borromeo, Luigi Di Caprio, Costanzo Gala, Ugo Garbarini, Dalila Patrizia Greco, Maria Grazia Manfredi, Luigi Paglia, Alberto Scanni, Ugo Giovanni Tamborini, Martino Massimiliano Trapani Redazione e realizzazione Zadig Srl via Ampère 59, 20131 Milano tel. 02 7526131 - fax 02 76113040 segreteria@zadig.it www.zadig.it Direttore: Pietro Dri Redazione: Tommaso Saita, Maria Rosa Valetto (coordinamento) Grafica: Luisa Goglio Autori degli articoli di questo numero: Claudia Arcari, Paolo Beck-Peccoz, Cristina Da Rold, Ugo Falcando, Ugo Garbarini, Cristina Gaviraghi, Angelica Giambelluca, Luigi Isolabella, Margherita Martini, Stefano Menna, Antonino Michienzi, Nicola Pietrantoni, Tommaso Saita, Patrizia Salvaterra, Debora Serra, Maria Rosa Valetto Segreteria Mariantonia Farina Via Lanzone 31, 20123 Milano tel. 02 86471449 stampa@omceomi.it Stampa Cartostampa Chiandetti Srl, Stamperia a Reana del Rojale, Italia Trimestrale Spedizione a cura di Nexive SpA Via Fantoli 6/3, 20138 Milano Dati generali relativi all’Ordine Consiglio Direttivo Presidente Roberto Carlo Rossi Vice Presidente Giuseppe Bonfiglio Segretario Ugo Giovanni Tamborini Tesoriere Luigi Di Caprio Presidenti Onorari Ugo Garbarini Consiglieri Luciana Maria Bovone, Giovanni Campolongo, Giovanni Canto, Costanzo Gala, Maria Grazia Manfredi, Pietro Marino, Arnaldo Stanislao Migliorini, Massimo Parise, Giordano Pietro Pochintesta, Alberto Scanni, Maria Teresa Zocchi Commissione Albo odontoiatri Presidente Andrea Senna Segretario Luigi Paglia Componenti Giulia Lavinia Allegra Borromeo, Jason Motta Jones, Claudio Giovanni Pagliani Collegio Revisori dei conti Presidente Martino Trapani Revisori Giuseppe Brundusino Revisore Supplente Alessandra Carreri INFORMAMIBollettino dell’OMCeOMI 1 . 2017 ANNO LXX 360° pag. 5 La gestione del paziente cronico e fragilePROFESSIONE Dove è finita la ricetta rossa? pag. 17 SANITÀ I nuovi LEA sono arrivati, finalmente pag. 20 L’INTERVISTA Elena Cattaneo: scienza e politica non si intendono pag. 30 Nota per gli autori Gli articoli e la relativa iconografia impegnano esclusivamente la responsabilità degli autori. I materiali inviati non verranno restituiti. Il Comitato di Redazione si riserva il diritto di apportare modifiche a titoli, testi e immagini degli articoli pubblicati. I testi dovranno pervenire in redazione in formato word, le illustrazioni su supporto elettronico dovranno essere separate dal testo in formato TIFF, EPS o JPG, con risoluzione non inferiore a 300 dpi.
  • 5. 31 . 2017 Editoriale POCHI GIORNI FA ho partecipato a un incontro con diversi colleghi Direttori di reparti ospedalieri di un noto nosocomio milanese. Il tema era una chiacchierata informale sulle DGR lombarde di presa in carico della cronicità. Le critiche emerse al riguardo sono state diverse, soprattutto dirette al fatto che il personale medico (e non solo) è sempre di meno e preoccupa davvero la possibilità di sobbarcarsi anche corsie preferenziali di cronici che devono eseguire in tempi rapidi alcuni esami e visite specialistiche. Accanto a chi era perplesso ci sono anche (poche) voci favorevoli o meno critiche, soprattutto dovute al fatto che così, seguendo percorsi predeterminati per le singole patologie, potrebbe aumentare di molto l’appropriatezza (ma di sicuro diminuirebbe la libertà del cittadino e del suo terapeuta, commento io). In particolare, mi ha colpito quanto detto da un autorevole collega, che più o meno suonava così: fidiamoci di quanto fatto dalla Regione poiché così si seguiranno sempre di più i percorsi diagnostico-terapeutici, si ridurranno gli esami inutili e quindi gli sprechi. L’affermazione mi ha fatto venire alla mente una celeberrima scena del film Matrix, quella dove, vi ricorderete, il protagonista si trova a un bivio: se sceglie la pillola blu metterà a tacere il suo senso critico, si risveglierà nel suo letto e tutto continuerà come prima; scegliendo la pillola rossa, al contrario, verrà intrapresa la difficile e scomoda strada della consapevolezza. In queste due consiliature ordinistiche, nelle quali ho avuto la fortuna e il privilegio di presiedere l’Ordine dei Medici e degli Odontoiatri di Milano, ho sempre scelto la strada più difficile della critica costruttiva ai poteri forti, in parallelo con la doverosa collaborazione con tutti gli altri soggetti del panorama sanitario ambrosiano. Sono cioè consapevole di essere il presidente di un Ente dello Stato, ma anche di essere l’espressione di chi desidera che questo ruolo pubblico e tecnico allo stesso tempo dia voce alla categoria medica e odontoiatrica, ovviamente sempre e soltanto nel supremo interesse del cittadino. Infatti, le mie/nostre critiche e la fermezza si sono sempre accompagnate con le azioni di collaborazione con le istituzioni. In questi anni, solo per ricordare poche tra le tante cose fatte, abbiamo intessuto un fitto dialogo con l’Università Statale di Milano con la quale abbiamo realizzato e realizzeremo importanti eventi formativi; abbiamo realizzato importanti partnership con alcune Aziende ospedaliere, siamo andati a parlare e abbiamo collaborato con i Magistrati, con la Procura della Corte dei Conti, con il Comune di Milano, con la stessa Regione Lombardia, eccetera. Roberto Carlo Rossi La strada della pillola rossa This is your last chance. After this, there is no turning back. You take the blue pill – the story ends, you wake up in your bed and believe whatever you want to believe. You take the red pill – you stay in wonder land and I show you how deep the rabbit-hole goes. Matrix, dir. Lilly & Lana Wachowski, 1999
  • 6. 4 InFormaMI Editoriale Per la verità, gli ultimi presidenti che mi hanno preceduto si sono tutti mossi nella medesima direzione. Da Bergonzini ad Anzalone a Garbarini. Ovverosia, il Consiglio dell’Ordine di Milano, per bocca del suo presidente, ha sempre detto ciò che doveva dire a Ministri, Federazione, ENPAM, INPS, INAIL, Regione, Autorità garante della concorrenza, potentati economici e politici di varia natura, pur nel pieno rispetto istituzionale dei ruoli che ognuno ricopre. Credo sia il caso di riaffermarlo, in vicinanza della tornata elettorale, che probabilmente si svolgerà nel prossimo autunno. Invece, osservo come qualcuno, che prima si professava convinto assertore della nostra filosofia e delle nostre idee, abbia clamorosamente cambiato idea negli ultimi mesi. Si moltiplicano i distinguo: costoro affermano che l’Ordine dovrebbe essere molto più condiscendente con l’ENPAM, anche se la rendita previdenziale dei nostri contributi è in progressivo calo; non dovrebbe permettersi di criticare le delibere regionali, neppure se sembrano platealmente violare il codice deontologico; non dovrebbe osare a portare in tribunale il Ministro, anche se emana un decreto sull’appropriatezza che non contiene neppure lo straccio di una bibliografia che ne giustifichi i contenuti; non dovrebbe istituire i registri delle medicine non convenzionali, anche se questo è oramai, di fatto, un obbligo di Legge, eccetera. Ebbene, io non ho intenzione di cambiare atteggiamento, e chiunque mi vorrà seguire è avvertito. Per me, la scelta, sarà sempre quella più rischiosa, in salita e poco remunerativa della “pillola rossa”.
  • 7. 51 . 2017 360° Il cambio di marcia lombardo cristina gaviraghi La riforma sanitaria della Regione Lombardia porta a una trasformazione del modo di assistere il paziente cronico: si abbandona la logica verticale a favore di un vero e proprio percorso di cura, deframmentato. Rimane qualche zona d’ombra In principio erano i CReG, i Chronic Related Group avviati in via sperimentale cinque anni fa dall’allora giunta Formigoni come nuovo modello di assistenza per i pazienti con patologie croniche. Secondo tale progetto, partito coinvolgendo 40mila malati e 415 medici di famiglia (o MMG), questi ultimi, organizzati in cooperative, erano tenuti a istituire percorsi di cura personalizzati per il malato cronico, seguendolo anche a distanza e diventando, a tutti gli effetti, i gestori del suo percorso di cura. Con l’avvento della riforma sanitaria lombarda, esplicitata dalla l.r. n° 23 dell’agosto 2015, tale modello viene, però, superato. La d.g.r. n° X/6164, approvata il 30 gennaio scorso, ha dato il via all’attuazione dell’art. 9 di tale legge che dettava i principi per i nuovi modelli di presa in carico del paziente cronico e fragile. la gestione del paziente cronico e fragile
  • 8. 6 InFormaMI Il provvedimento puntava a una maggiore integrazione tra le varie componenti del Servizio Sanitario Regionale e affidava il paziente cronico a dei gestori, erogatori di servizi sanitari pubblici o privati appositamente accreditati e ritenuti adatti alla presa in carico degli assistiti cronici. La scelta di tali gestori veniva demandata alle ATS, le Agenzie di tutela della salute che, con la riforma sanitaria, hanno sostituito le vecchie ASL. Se a gennaio le caratteristiche dei gestori e i criteri di valutazione, che avrebbero dovuto adottare le ATS per selezionarli, sembravano ancora vaghi e incerti, la d.g.r. n° X/6551, del 4 maggio scorso, ha reso tutto più chiaro. Potranno diventare gestori le strutture sanitarie e sociosanitarie pubbliche e private accreditate e a contratto con il Sistema Sanitario Lombardo, le cooperative o associazioni di MMG e il MMG singolo, quest’ultimo, però, solo come co-gestore di una struttura accreditata e a contratto. I potenziali attori della presa in carico del paziente cronico avranno tempo fino al 31 luglio per presentare la manifestazione di interesse a ricoprire il ruolo di gestore alle ATS. Queste valuteranno la loro idoneità in base a parametri indicati dalla Regione, tra cui la modalità di erogazione delle attività di presa in carico, la completezza della filiera erogativa, la copertura dell’area territoriale e il coinvolgimento dei MMG e pediatri di libera scelta e degli erogatori (per i gestori MMG). Ogni gestore potrà avere in carico fino a un massimo di 200.000 pazienti contemporaneamente. A partire dall’autunno, poi, le ATS invieranno l’elenco dei gestori ai pazienti cronici, stratificati dalla Regione in tre livelli, basati sulla complessità e la fragilità della loro condizione (vedi tabella). La gestione del paziente cronico e fragile360° Livelli di cronicità secondo la d.g.r. n° X/6164/2017 Livello N° pazienti Domanda Bisogni Pertinenza prevalente 1 150.000 fragilità clinica e/o funzionale con bisogni prevalenti di tipo ospedaliero, residenziale, assistenziale a domicilio integrazione dei percorsi ospedale/domicilio/riabilitazione/ socio-sanitari • struttura di erogazione • strutture sanitarie e socio- sanitarie pubbliche e private accreditate 2 1.300.000 cronicità polipatologica con prevalenti bisogni extra- ospedalieri, alta richiesta di accessi ambulatoriali integrati/frequent user e fragilità socio-sanitarie di grado moderato coordinamento e promozione del percorso di terapia (prevalentemente farmacologica e di supporto psicologico-educativo) e gestione proattiva del follow-up (più visite ed esami all’anno) • struttura di erogazione • strutture sanitarie e socio- sanitarie pubbliche e private accreditate • MMG in associazione 3 1.900.000 cronicità in fase iniziale, prevalentemente monopatologica e fragilità socio-sanitarie in fase iniziale, a richiesta medio-bassa di accessi ambulatoriali integrati e/o domiciliari/frequent user garanzia di percorsi ambulatoriali riservati e controllo e promozione dell’aderenza terapeutica • MMG co-gestore Grazie a un “patto di cura”, il paziente verrà accompagnato lungo tutto un percorso individuale di assistenza
  • 9. 71 . 2017 I livelli di cronicità Si parte da un primo livello che coinvolge circa 150mila assistiti, caratterizzati da un’elevata fragilità clinica e funzionale che, oltre a quella principale, presentano almeno altre tre patologie. Nel secondo livello rientrano 1 milione e 300mila pazienti con una cronicità polipatologica, costituita da due o tre malattie complessive, mentre al terzo livello appartengono tutti quegli individui, 1 milione e 900mila, che presentano una cronicità in fase iniziale, basata su una patologia principale. A questo punto sarà il paziente a scegliere il gestore a cui affidarsi e questi, una volta verificata la congruità tra la sua offerta e le necessità del paziente stesso, lo prenderà in carico, stipulerà con lui un “patto di cura” e predisporrà il piano di assistenza individuale (PAI) della durata di un anno che apparirà anche sul fascicolo sanitario elettronico. Il medico di famiglia, se diverso dal gestore, potrà prendere visione del PAI ed eventualmente integrarlo con altre informazioni, ma non potrà modificarlo, essendone il gestore l’unico responsabile. Sarà dunque quest’ultimo ad accompagnare il paziente nel suo percorso di cura costituito da visite specialistiche, controlli, terapie, indagini diagnostiche, eventuali ricoveri e sedute riabilitative, degenze, richiesta di presidi sanitari, erogando le varie prestazioni e monitorando l’aderenza al PAI. Il gestore non potrà inoltre prescindere, secondo la delibera, da due grandi funzioni: una tecnologica e una organizzativa. La prima dovrà garantire al paziente un accesso rapido e facilitato a tutte le prestazioni programmate e l’integrazione dei suoi dati con i data-base regionali e il Fascicolo Sanitario Elettronico, mentre la seconda dovrà prevedere la presenza di figure professionali come personale infermieristico e amministrativo e assistenti sociali. Il sistema dovrà infine consentire la condivisione di tutte le informazioni relative al percorso di cura tra i diversi operatori sanitari, quali erogatore, MMG, medici specialisti, Rsa e centri diurni. Uno scenario nuovo Una grande rivoluzione, dunque, che tocca anche la sfera amministrativa. La Regione ha individuato 65 patologie principali stratificate in base al livello di complessità e ha istituito i set di riferimento, l’insieme delle attività correlate alla patologia cronica che contribuiscono a individuare la tariffa. Tali set derivano dall’analisi dei dati presenti nella Banca dati assistito (BDA) regionale e si basano sulle prestazioni erogate nel 2016 ad almeno il 5 per cento dei pazienti appartenenti a una specifica patologia principale. In funzione dei set di riferimento sono state stabilite delle tariffe di presa in carico che dovrebbero servire a coprire i costi per la nuova gestione della cronicità: 35 euro per gli assistiti mono-patologici, 40 euro per quelli con 2/3 patologie e 45 euro per i poli-patologici, con più di 4 malattie. Questo, in sintesi, lo scenario che si prospetta per la gestione del paziente Le perplessità dell’Ordine Il nuovo modello regionale della gestione del paziente cronico e fragile, contemplato nella riforma della Sanità lombarda, sta entrando sempre più nel vivo, non senza, però, sollevare dubbi e critiche, anche da parte dell’Ordine. “E non siamo i soli a essere scettici su alcuni aspetti della riforma”, dichiara il presidente Roberto Carlo Rossi, “anche il Coordinamento Regionale degli OMCeO lombardi ha espresso qualche perplessità in merito”. Se, secondo Rossi, rispetto alla d.g.r. n° 6164 dello scorso gennaio, la nuova d.g.r. n° 6551, approvata a maggio, ha apportato dei miglioramenti, eliminando il discusso aspetto della remunerazione dei gestori ad avanzo di budget, restano ancora delle questioni non risolte. “Uno dei punti più critici è la limitazione della libertà di scelta del cittadino insita nella delibera, che contrasta anche con il codice deontologico. Se il paziente non accetta di seguire ogni passo previsto dal percorso di presa in carico viola il patto di cura che, la Regione tiene a precisare, ha una valenza civilistica. Se decidesse di operare scelte diverse non avrebbe più corsie preferenziali e resterebbe escluso dall’assistenza messa in campo dalla delibera, una limitazione della libertà che il cittadino percepisce chiaramente”, sostiene Rossi. Desta perplessità anche l’eccessiva rigidità del sistema delineato riforma. “E’ comprensibile l’esigenza di ricercare una maggiore appropriatezza delle cure, ma incanalare la gestione della cronicità in binari standard predefiniti, limitando così le possibilità di manovra del terapeuta, non credo possa migliorare la qualità dell’assistenza sanitaria”, continua il presidente, “di troppa libertà si può abusare, ma esistono già adeguati sistemi di controllo e il medico non deve diventare un orpello”. “Da ultimo”, conclude Rossi, “temo il dilagare del precariato medico anche a livello del territorio. Questa piaga affligge molti ospedali lombardi ma, con l’introduzione di numerosi clinical manager nell’ambito dei “gestori” e dei “gestori-erogatori”, pavento che il problema si aprirà anche nell’ambito delle cure primarie”.
  • 10. 8 InFormaMI cronico in Lombardia. Un progetto che segue i binari tracciati da precedenti delibere regionali tra cui la n° X/4662 del 24 dicembre 2015 che descriveva le linee guida per la presa in carico dei malati cronici nel triennio 2016- 2018, per finanziare le quali la Regione mise sul piatto oltre 28 milioni di euro. Una cifra destinata a potenziare, implementare e riorganizzare una serie di strumenti per la gestione della cronicità, ridefinita sulla base del rischio e della severità clinica, come per esempio le cooperative di medici di famiglia, i presidi ospedalieri territoriali (POT), i presidi socio sanitari territoriali (PreSST) e le residenze sanitarie assistenziali. Tutto in un’ottica di semplificare il percorso clinico del paziente, migliorare la qualità delle cure e la sostenibilità generale del sistema. UNA RIFORMA IN DIVENIRE Più integrazione tra le figure professionali coinvolte, taglio delle liste di attesa, minori accessi al pronto soccorso, maggior appropriatezza delle cure e aderenza a esse, una più alta responsabilizzazione e consapevolezza del paziente per contenere anche l’insorgenza di altre patologie: questi i principali obiettivi del progetto che implica, secondo l’assessore al welfare Giulio Gallera, un cambiamento culturale in cui si passa dal curare al prendersi cura e si abbandona la logica verticale dell’assistenza, rappresentata dalla somma delle singole prestazioni, per accompagnare il paziente in tutto il suo percorso, spostando l’accento dall’offerta alla domanda di salute e rispondendo ai bisogni della persona. Nobili e condivisibili propositi che, lentamente, sembrano prendere forma. “Se la delibera dello scorso gennaio aveva l’aspetto di un sasso gettato nello stagno, la d.g.r. n° X/6551 di maggio chiarisce finalmente molti punti”, dichiara Fabrizio Giunco, direttore medico dei servizi socio-sanitari dell’Istituto Palazzolo di Milano, Fondazione Don Gnocchi. “Certo la riforma avrà ancora bisogno di aggiustamenti e altri atti implementativi sono già previsti, ma ora si è iniziato a mettere qualche punto fermo su un percorso complesso e che è ancora in divenire. Per avere un quadro completo si dovranno aspettare gli altri provvedimenti, specialmente per quanto riguarda l’offerta socio-sanitaria, per ora solo abbozzata e che verrà esplicitata nel dettaglio in seguito. E’ positivo, inoltre, che sia stato messo a fuoco il ruolo del MMG, figura pubblica su cui la Regione sembra puntare, anche se la complessità della presa in carico al momento favorisce i potenziali gestori più strutturati”. Il provvedimento ha nel modello culturale proposto il suo punto di forza, che segna il passaggio da una gestione frammentata della persona/paziente a una logica di presa in carico complessiva del suo percorso, ma la sua attuazione dovrà affrontare una serie di problematiche organizzative, attuative ed economiche che andranno soppesate, comprese e rielaborate nel corso del tempo. Non ultima quella riguardante il ruolo dell’informatica che dovrà consentire la comunicazione tra i vari gestori e tra la Regione e i gestori stessi, veicolando una grande mole di dati sensibili. “La delibera n° X/6551 ha gettato le basi per gestire anche questo aspetto, ma restano perplessità su quale sarà il periodo di rodaggio necessario per andare a regime”, puntualizza Giunco. La gestione del paziente cronico e fragile360° La riforma porta a un cambiamento culturale in cui si passa dal curare al prendersi cura; sposta l’accento dall’offerta alla domanda di salute, rispondendo ai bisogni della persona
  • 11. 91 . 2017 OCCHIO AI CALCOLI La nuova modalità di presa in carico prevede, inoltre, l’istituzione della figura del case manager, che svolge una funzione di coordinamento di tipo principalmente gestionale-organizzativo sulle attività assistenziali di uno o più pazienti, e quella del clinical manager, il medico responsabile della presa in carico e incaricato di predisporre e aggiornare il PAI. Figure che, insieme ad altre, operano nella gestione del paziente cronico i cui costi difficilmente potranno essere coperti dalle tariffe fisse di 35, 40 e 45 euro. “C’è un gran fermento tra gli erogatori di servizi che dovranno decidere se candidarsi al ruolo di gestore”, continua Giunco, “dovranno dichiarare già entro luglio di essere in grado di fornire tutte le prestazioni previste dal set di riferimento, o da soli o con l’aiuto di terzi con cui dovranno essersi già accordati. Al momento, però, hanno costi certi, mentre le entrate sono incerte e stimate verso il basso”. I gestori avranno infatti inizialmente a disposizione un budget di offerta, assegnato sulla base di dati storici, che verrà poi nel tempo corretto in base alle prestazioni effettivamente consumate, trasformandosi così in un budget effettivo di presa in carico. Un sistema remunerativo che potrebbe non allettare gli erogatori chiamati, però, a decidere se entrare subito nel sistema o restarne fuori. Altra perplessità deriva, secondo Giunco, dall’aver calcolato, a partire dalle informazioni della BDA derivate principalmente dall’attività ambulatoriale, il costo medio per linea di patologia e di complessità. Questo è, però, solo una delle modalità di rappresentazione statistica della distribuzione della spesa, che dovrebbe invece tenere conto della variabilità associata alle sottopopolazioni identificate da una determinata diagnosi principale ed essere in grado di governarla. Considerare variabili come l’età del paziente e lo stadio delle patologie croniche più diffuse, darebbe una rappresentazione più fedele della realtà di spesa. Una riforma della gestione della cronicità di questa portata ha molte sfaccettature e c’è il rischio che si inneschino crisi di sostenibilità e progettualità. “E’ bene ponderare attentamente i cambiamenti da attuare, come sta facendo la Regione ma, al contempo, se si vuole arrivare all’obiettivo finale di effettivo cambiamento, occorrerà investire in nuove figure, ruoli, servizi e modalità di relazione e non solo operare piccoli aggiustamenti al sistema”, conclude Giunco, che individua inoltre un altro punto critico della riforma. La delibera regionale n° X/6551 affronta principalmente la cronicità intesa come malattia cronica ambulatoriale. Le patologie in fase più avanzata e la cronicità legata alla disabilità e alla fragilità, che rappresentano il vero mondo della cronicità territoriale oggi, non vengono ancora compiutamente affrontate, anche se si intravede un’apertura per il futuro. Come già successo per i DGR, c’è il rischio che i modelli tariffari stabiliti dai LEA possano favorire comportamenti opportunistici Bibliografia Regione Lombardia. Deliberazione n° X/6164 del 30 gennaio 2017. https://goo.gl/rZNmGo Regione Lombardia. Deliberazione n° X/4662 del 23 dicembre 2015. https://goo.gl/w9B9en Regione Lombardia. Legge Regionale n° 23, 11 agosto 2015. https://goo.gl/i0g2qh
  • 12. 10 InFormaMI Il modello può non piacere, si possono sottolineare le sue criticità e metterne in dubbio la sostenibilità. Di certo, però, non si può negare che, con il varo della nuova riforma sanitaria, la Regione Lombardia abbia conquistato un primato, piazzandosi tra le prime aree in Europa ad aver fatto della cronicità il bisogno di salute su cui modellare l’intero sistema dell’assistenza. Tutto il continente (ma non solo) da almeno un ventennio cerca di trovare risposte alla cronicità e alla comorbilità. In breve tempo si sono affermate decine di descrizioni teoriche e di applicazioni pratiche che cercano di rispondere in modo lievemente diverso l’una dall’altra a uno stesso problema: come soddisfare i bisogni di salute di una tipologia di paziente che, quando è stata varata la gran parte dei sistemi sanitari continentali, era una rarità e che invece oggi è il tipo di malato prevalente? E’ ormai chiaro che la gestione della cronicità sia la priorità per i sistemi sanitari. Nell’Unione Europea la popolazione con più di 65 anni è passata da meno del 10% nel 1960 a quasi il 20% nel 2015 e ci si aspetta che raggiunga il 30% entro il 2060. Nel frattempo almeno 50 milioni di cittadini europei soffrono di almeno 2 malattie croniche. Si farebbe un grosso sbaglio, però, pensando che la cronicità sia una prerogativa dei pazienti anziani. Malattie mentali (depressione e disordini d’ansia), disturbi muscolo-scheletrici (si pensi al solo impatto del mal di schiena), BPCO o asma e diabete compaiono La gestione del paziente cronico e fragile360° in pazienti giovani, nel pieno della loro vita lavorativa, familiare e sociale e li accompagnano per il resto della loro esistenza. In questi casi, così come per i pazienti anziani con più patologie concomitanti, non si tratta di curare, ma di migliorare lo stato funzionale, di ridurre i sintomi, di rendere più semplice e serena la convivenza con la malattia, prolungare l’aspettativa e la qualità di vita. Obiettivi che non è possibile raggiungere con il tradizionale modello pensato per pazienti affetti da una patologia acuta e che ha un meccanismo di funzionamento molto semplice: la presa in carico di un paziente passivo, la messa in atto di un intervento terapeutico che lo riconduca a uno stato di normalità, l’“espulsione” del paziente dall’ambiente sanitario. I modelli orientati alla cronicità sono tutt’altra cosa: per la durata, per il coinvolgimento di un’ampia gamma di professionisti, per il ruolo del paziente (attivo) che in qualche modo è esso stesso produttore di assistenza sanitaria. Le tendenze Modelli di questo tipo ne sono stati varati molti negli ultimi due decenni in tutto il mondo. Nel 2014, l’European Observatory on Health Systems and Policies ha provato ad analizzare i modelli di presa in carico della cronicità più diffusi in Europa. Ne è venuta fuori una mappa con molti punti in comune. Tanto per cominciare, sono rari i casi in cui siano In tutta Europa da 20 anni a questa parte si cerca di dare risposta alla gestione delle malattie croniche. Esistono modelli diversi ma con molti punti in comune Paese che vai, modello che trovi antonino michienzi
  • 13. 111 . 2017 adottati piani per la gestione globale della cronicità; molto più spesso i Paesi hanno adottato progetti focalizzati su specifiche patologie, in genere quelle a più alto impatto: diabete di tipo 2, asma o BPCO, malattie cardiovascolari, cancro e malattie mentali. Si tratta di un tipo di risposta molto efficiente, ma che in Paesi in cui l’offerta sanitaria è più rigida sta creando non pochi problemi nella gestione dei pazienti con comorbilità. Molto vari sono anche i modelli organizzativi: tutti prevedono il coinvolgimento di più attori sanitari e la gran parte di essi ha attualmente al centro, come coordinatore della rete di assistenza, il medico di famiglia. Si osserva, tuttavia, un progressivo spostamento delle responsabilità verso gli infermieri. In particolare la presenza di infermieri come figure con responsabilità di gestione del paziente è più frequente nei sistemi in cui l’assistenza al paziente è tradizionalmente erogata in maniera multidisciplinare. Salvo sporadiche iniziative, in tutti i Paesi l’adozione di percorsi destinati alla gestione delle malattie croniche non ha comportato un ripensamento dei servizi sanitari dal punto di vista organizzativo o di governance. Nei fatti, quasi sempre, la gestione della cronicità si è concretizzata nella messa a punto di sistemi di coordinamento dei servizi esistenti. Ciò ha reso più semplice e veloce l’implementazione di piani per la cronicità, tuttavia spesso ha costituito un limite nella costruzione di servizi che meglio si adattassero ai bisogni dei pazienti cronici. Infine, quasi ovunque, l’attenzione alla cronicità è stata incoraggiata con incentivi economici che in molti casi hanno rappresentato il vero volano per la diffusione delle iniziative. Quella che segue è una carrellata, non esaustiva, su alcuni modelli di gestione della cronicità adottati in Europa. Danimarca Tra il 2005 e il 2007 il Paese ha adottato una serie di riforme che hanno ridisegnato l’articolazione istituzionale e ridefinito l’attribuzione delle competenze sanitarie, che sono divise tra regioni e municipalità. In questo contesto si sono adottate strategie per la gestione della cronicità, in particolare il varo di disease management programmes (DMP) non dissimili dai nostri percorsi diagnostico-terapeutico-assistenziali, da applicare alle principali malattie croniche. Ogni Regione (cinque in tutto) è responsabile dello sviluppo dei propri piani da realizzare in collaborazioni con le municipalità. Non esistono vincoli sulle modalità di adozione dei DMP, ma in genere le Regioni si sono ispirate ai modelli base forniti nel 2008 dalle autorità nazionali che prevedono piani per patologia personalizzati sulla base del rischio del paziente e un ruolo di coordinamento da parte del medico di famiglia che può essere condiviso con lo specialista di riferimento in caso di patologia particolarmente severa. A oggi, l’adozione dei DMP è a buon punto. Quasi tutto il territorio nazionale è coperto da programmi per diabete, BPCO, demenza, malattie cardiovascolari, disturbi muscolo-scheletrici, cancro e malattie mentali. Attenzione a non perdere per strada la continuità di cura Aldo Lupo è presidente dell’UEMO (Unione europea dei medici di famiglia), organizzazione che raccoglie i medici di medicina generale di 23 paesi europei. E, forse proprio per il ruolo che riveste e che gli consente di toccare con mano quanto sia frastagliato il panorama europeo dell’assistenza sanitaria, non se la sente di fare confronti. “La riforma lombarda, che prevede anche l’immissione nel sistema di privati, non è fuori linea rispetto al contesto europeo”, dice. “Ci sono molti sistemi basati su commistioni tra pubblico e privato. Quello che non so se venga conservato è la continuità di cura rappresentata dal rapporto con un singolo medico: dieci consultazioni con lo stesso medico danno di più dello stesso numero di consultazioni con dieci operatori diversi”, continua. E’ una questione che finora nel sistema italiano, in cui il medico di famiglia è il cardine dell’assistenza primaria, non si era posta. Neanche con il diffondersi di iniziative di medicina di gruppo. In altri Paesi, che da tempo hanno adottato modelli diversi, invece, comincia a essere avvertita come urgente. “Nel sistema britannico − continua Lupo − da tempo si è andati verso una medicina di gruppo. L’evoluzione ha portato a sviluppare economie di scala con la formazione di gruppi di medici sempre più grandi e perfino associazioni tra gruppi diversi. Il paziente non è più ‘nella lista’ del medico, ma in quella del gruppo. Apparentemente, ciò porta a un guadagno dal punto di vista quantitativo. Ma è bastato poco per rendersi conto che si verifica una perdita netta in termini di continuità. Così negli ultimi anni si sta tornando indietro, verso l’adozione della figura di un medico dedicato, almeno per i pazienti più anziani e fragili”, dice ancora Lupo. “Un percorso analogo si sta verificando in Francia, dove l’intero servizio sanitario si sta avvicinando ai sistemi Beveridge”. Esperienze emblematiche, che fanno dire a Lupo: “C’è una domanda che mi pongo: conviene al nostro sistema percorrere questa strada?”.
  • 14. 12 InFormaMI La gestione del paziente cronico e fragile360° Bibliografia Regione Lombardia. Deliberazione n° X/4662 del 23 dicembre 2015. https://goo.gl/w9B9en Tidoli R. Gli indirizzi regionali per la presa in carico della cronicità in Regione Lombardia. 2016. https://goo.gl/88m3GI Nolte E, Knai C, Saltman RB. Assessing chronic disease management in European health systems: concepts and approaches (2014). https://goo.gl/CUKpA5 Nolte E, Knai C. Assessing chronic disease management in European health systems: country reports (2015). https://goo.gl/T4XQGb Regno Unito Negli ultimi 15 anni il Regno Unito è stato scenario di diverse iniziative per la gestione ottimale dei pazienti cronici e fragili. Probabilmente, però, la cifra distintiva del modello britannico è il ruolo decisivo svolto dal personale infermieristico nella gestione della cronicità. I primi passi in questa direzione furono mossi nei primi anni ’90, quando l’adozione del nuovo contratto di servizio rese più conveniente per i medici di famiglia dare vita a strutture e gruppi in cui all’assistenza di base fosse affiancata l’erogazione di servizi di supporto (la gestione di malattie croniche o le vaccinazioni, per esempio). In questo ambito si cominciò ad ampliare lo spazio degli infermieri che furono sempre più coinvolti nella gestione della cronicità. Nel 2004, traendo spunto da modelli già adottati negli Stati Uniti, l’NHS Improvement Plan ha ufficializzato il ruolo della community matron, una figura infermieristica concepita come fulcro del sistema di gestione dei pazienti fragili. Alla community matron spettano compiti di educazione del paziente, di programmazione e gestione della patologia in collaborazione con il medico di famiglia e gli altri specialisti. La gran parte di esse erano alle dirette dipendenze dei Primary care trust (PCT) la dorsale dell’erogazione dell’assistenza sanitaria britannica. I PCT, con la riforma che nel 2012 ha ridisegnato il NHS, sono stati però aboliti. Non è chiaro quindi in che modo si evolverà la gestione della cronicità. Germania La Germania, negli ultimi 20 anni, ha adottato diversi interventi normativi finalizzati a ottimizzare la gestione della cronicità ma, soprattutto, a contrastare il principale ostacolo alla presa in carico dei pazienti cronici, vale a dire la frammentazione dell’assistenza, in particolare tra ambulatori e ospedali. Quello tedesco è infatti un sistema piuttosto articolato, in cui convivono erogatori pubblici e privati ed esistono limitazioni nell’accesso all’assistenza ospedaliera. All’inizio del millennio il primo passo è stato l’adozione di disease management programmes (DMP). I DMP sono principalmente offerti dalle assicurazioni, attraverso contratti con provider, rappresentati il più delle volte da associazioni regionali. L’inserimento del paziente nei DMP non è obbligatorio, ma gode di significativi incentivi economici per i provider, che ne hanno agevolato la diffusione. Nel 2004, con un nuovo contratto, è stato rafforzato il ruolo del medico di famiglia. Il medico, laddove il paziente lo scelga, è fortemente incoraggiato con incentivi economici a svolgere il ruolo di case manager o assumere personale con questa funzione. In questi casi è inoltre l’unico a prescrivere l’accesso all’assistenza specialistica (salvo che per prestazioni oftalmologiche e ginecologiche). Francia Il primo piano per la cronicità in Francia si ha solo nel 2007. Tuttavia, fin dagli anni Novanta si lavora a un’armonizzazione del sistema finalizzato a una migliore gestione della cronicità, come in Germania, per contrastare soprattutto la frammentazione tra i vari livelli dell’assistenza. Nel tempo sono stati messi a punto numerosi interventi, ma probabilmente ciò che meglio rappresenta la modalità francese di affrontare la cronicità sono le reti di provider. Di questi ultimi ne esistono un migliaio, alcuni indirizzati a specifici target (per esempio gli anziani), altri a specifiche patologie. Solo quelli per il diabete sono un centinaio; prevedono il coinvolgimento, oltre che del medico di famiglia, di diabetologo, dietologo, infermieri e podologo. Il paziente vi accede volontariamente attraverso il medico di famiglia (ma può farlo anche in autonomia); l’assistenza è gratuita, anche se è possibile acquistare servizi extra a pagamento. Si tratta di un modello molto flessibile ed efficiente, la cui attuazione è lasciata in buona parte alla volontà degli erogatori (che godono di incentivi economici); tuttavia, la presenza dei network è ancora limitata alle aree con alta densità abitativa.
  • 15. 131 . 2017 PROFESSIONE debora serra Do you speak medichese? Fino a poco tempo fa il linguaggio tecnico, la dimensione e i testi fitti e scritti in piccolo sono stati il minimo comune denominatore dei bugiardini. Grazie a un’indagine di AIFA del 2004 e, qualche anno dopo, il recepimento nel nostro paese di una direttiva europea, i foglietti illustrativi dei farmaci stanno finalmente diventando comprensibili per tutti quante volte è capitato di trovarci di fronte a pazienti che, bugiardino alla mano, chiedevano spiegazioni sul significato di termini tecnici come apatia, alopecia, aritmia, cheratite o trombocitopenia? O di dover spiegare l’espressione “evitare l’uso prolungato”, che per loro poteva significare da qualche giorno ad alcuni mesi o addirittura anni? Situazioni comuni, fino a qualche anno fa, quando i foglietti illustrativi dei farmaci erano scritti in puro “medichese”, una lingua tecnica le cui difficoltà di comprensione da parte dei pazienti sono state ben evidenziate da un’indagine AIFA del 2004. La lista dei problemi spaziava dall’uso di un linguaggio poco accessibile alla popolazione media all’assenza di informazioni utili (come il momento della giornata in cui assumere il farmaco, le modalità di conservazione del prodotto e la percentuale delle possibilità di incorrere negli effetti collaterali) e comprendeva anche difficoltà di lettura dovute all’impostazione grafica (caratteri di stampa molto piccoli, interlinee compatte e troppo fitte, carta troppo sottile e trasparente). La nuova normativa L’indagine del 2004 è stata parte di un cambiamento iniziato nel 2001 con l’approvazione di una direttiva europea,1 recepita in Italia nel 2006,2 che ha reso necessario scrivere bugiardini “facilmente leggibili, chiaramente comprensibili e indelebili” i cui testi siano “il risultato di indagini compiute su gruppi mirati di pazienti, al fine di assicurare che essi siano leggibili, chiari e di facile impiego”. Come ci spiega Laura Braghiroli, coordinatore procedure RMS (Reference Member State) e variazioni all’AIC (Autorizzazione immissione in commercio) dell’AIFA “il foglietto illustrativo si rivolge a un pubblico eterogeneo che va dall’età scolare alla quarta età, e ha livelli di scolarizzazione e istruzione estremamente differenti. Per questo motivo bisogna evitare che le barriere linguistiche possano impedire alle persone di comprendere le informazioni sui medicinali; per l’AIFA, che insieme alle altre autorità competenti, deve garantire la tutela della salute pubblica a qualsiasi
  • 16. 14 InFormaMI PROFESSIONE livello, il foglietto illustrativo in formato leggibile è una delle misure di minimizzazione del rischio a disposizione per assicurare la corretta lettura del testo e quindi il corretto uso del farmaco”. Come sono cambiati i bugiardini? A partire dal 2013 l’AIFA ha definito le modalità relative all’applicazione del decreto legislativo 219/2006 per i medicinali autorizzati con procedura nazionale e, come spiega Braghiroli “a oggi, su 9.662 medicinali autorizzati in Italia, circa l’80% ha un foglietto illustrativo in formato leggibile e per i restanti l’AIFA sta lavorando alle verifiche della correttezza degli user test e all’autorizzazione dei relativi nuovi testi del foglietto informativo in formato leggibile”. Le semplificazioni hanno comportato un grande lavoro, a tutti i livelli. Si è lavorato sulla lunghezza, sul linguaggio e sulla grafica in modo che nessuna informazione fosse omessa, neanche la più complessa, sottoponendo il risultato a test di leggibilità. Infatti, aggiunge l’esperta, “la normativa vigente prevede che il foglio illustrativo rifletta il risultato di indagini compiute su gruppi mirati di pazienti al fine di assicurare che esso sia leggibile, chiaro e di facile impiego. Per il foglietto illustrativo di ciascun medicinale in commercio viene eseguito, da parte di società specializzate nel settore e a nome del titolare di AIC, una “consultation with target patient group test” (lo user test) con un gruppo di soggetti, appositamente selezionati, al fine di verificare se l’informazione, così come viene presentata nel foglietto informativo, fornisce il corretto messaggio a coloro ai quali è diretta”. Ogni bugiardino presente nelle confezioni in commercio è stato dunque rielaborato in modo che le frasi abbiano meno di 20 parole, presentino un basso grado di subordinazione, venga preferita la forma attiva e diretta, siano presenti espressioni vicine alla lingua comune Perché bugiardino? L’origine del nome è incerta ma tra le ipotesi più plausibili due affondano le loro radici in ambito giornalistico: nel senese il bugiardo era la locandina dei quotidiani esposta fuori dalle edicole e il bugiardello era il nome con il quale gli antifascisti chiamavano il giornale Il Telegrafo. Sembra invece non esserci dubbio nel fatto che il nome voglia puntare l’attenzione sull’abitudine passata di sorvolare su difetti ed effetti indesiderati dei farmaci attraverso testi che non si potevano considerare vere e proprie “bugie”, ma nell’insieme trasformavano il foglietto in un “bugiardino”. (i tecnicismi invece sono preferibilmente tra parentesi), e vengano spiegati i nomi anatomici degli organi. Per questo motivo, a fianco di una semplificazione che ha trasformato “epatico”, “cardiaco”, “ematico” nei più comuni “del fegato”, “del cuore” e “del sangue”, e che ha abbandonato espressioni come “accusare”, “riscontrare”, “domanda” ed “episodio” a favore rispettivamente di “manifestare un sintomo”, “valutare”, “fabbisogno da parte dell’organismo” ed “evento acuto della malattia”, il nuovo foglietto illustrativo è stato anche notevolmente ridotto nelle dimensioni e nel tipo di informazioni da presentare. Anche i criteri di layout sono stati ripensati e vi sono indicazioni precise su dimensione e tipo di carattere, utilizzo di corsivi, testi sottolineati, uso della spaziatura e dello spazio bianco, giustificazione del testo, utilizzo di colonne, intestazioni, colore e contrasto. Inoltre, come sottolinea Braghiroli “Il foglietto illustrativo può prevedere anche l’uso di immagini, pittogrammi e altri simboli al solo scopo di chiarire o evidenziare alcuni aspetti del testo e non per sostituirlo, ma anche questi devono essere autorizzati da AIFA”. Infine, “una novità verso la quale molte aziende farmaceutiche si stanno indirizzando per migliorare l’informazione del medicinale al paziente è l’introduzione nella confezione o nel foglietto illustrativo di un codice QR (codice bidimensionale a barre) attraverso il quale è possibile accedere, tramite smartphone o tablet, a informazioni del foglietto informativo in formato evidenziato, ingrandito, multilingue o anche in forma di video/audio”. Bibliografia 1 Direttiva 2001/83/CE del Parlamento europeo e del Consiglio del 6 novembre 2001 recante un codice comunitario relativo ai medicinali per uso umano. https://goo.gl/iPKMKN 2 Decreto Legislativo 24 aprile 2006, n. 219. https://goo.gl/BKLodF Laura Braghiroli, Coordinatore procedure RMS e variazioni all’AIC dell’AIFA.
  • 17. 151 . 2017 c’era una volta l’olio di palma. Un grasso vegetale economico e di estrema comodità di impiego per le aziende alimentari al punto da essere presente in migliaia di prodotti confezionati. Oggi in Italia non c’è più. O quasi. La gran parte delle aziende ha deciso di modificare le ricette per assecondare un movimento di opinione che ha contagiato il Paese (vedi box a pag. 16) emettendo sull’olio di palma una sentenza di condanna a furor di popolo. Ma quanto erano giustificati quei timori? Cosa dice la scienza? Muoversi nell’incertezza I capi d’accusa emersi negli ultimi anni sul grasso tropicale sono due: che, visto il suo elevato tenore di grassi saturi (circa il 50% del volume), sia particolarmente dannoso per la salute cardiovascolare e che il processo di raffinazione porti allo sviluppo di contaminanti potenzialmente cancerogeni. Su entrambi i temi la ricerca si è espressa più volte, ma chi si aspettasse risposte definitive rimarrebbe deluso. A oggi le evidenze su questo prodotto sono tutt’altro che definitive e il massimo Sull’olio di palma tanto rumore per nulla (o forse no?) In poco più di due anni l’Italia è diventato il primo paese al mondo quasi completamente palma free. Colpa (o merito) di una campagna di stampa con pochi precedenti che ha giocato sui timori che il grasso tropicale possa essere dannoso per la salute. Ma cosa c’è di vero? antonino michienzi che si può dire è che propendono per un uso moderato della sostanza all’interno di un regime alimentare equilibrato. Gran parte dell’incertezza deriva dalla tipologia e qualità degli studi fino a oggi realizzati: come ha fatto notare l’Istituto Superiore di Sanità (ISS) chiamato dal Ministero della Salute a rilasciare un parere1 sull’argomento “non sono stati effettuati studi che riportino gli effetti dell’assunzione dietetica dell’olio di palma su mortalità e prevalenza di malattie cardio e cerebro-vascolari. Tutti gli studi selezionati paragonano gli effetti dell’uso alimentare dell’olio di palma con quello degli altri grassi alimentari, vegetali e animali, sul profilo lipidico plasmatico (colesterolo totale, colesterolo HDL, colesterolo LDL e trigliceridi) in soggetti sani”. Chiarito questo aspetto, a oggi resta valido quanto si leggeva nel rapporto ISS più di un anno fa: “Non ci sono evidenze dirette nella letteratura scientifica che l’olio di palma, come fonte di acidi grassi saturi, abbia un effetto diverso sul rischio cardiovascolare rispetto agli altri grassi con simile composizione percentuale di grassi saturi e mono/polinsaturi, quali, per esempio, il burro”. Lo stesso vale per gli effetti sull’insorgenza di cancro: le evidenze disponibili sono tutte indirette. Il rapporto tra olio di palma e tumori è emerso soprattutto da un report della European Food Safety Authority (EFSA)2 dedicato alla presenza di contaminanti prodotti nel processo di raffinazione in tutti gli oli vegetali esposti a temperature elevate (più di 200 °C). L’olio di palma spiccava perché contiene
  • 18. 16 InFormaMI PROFESSIONE livelli di contaminanti almeno 5 volte più alti degli altri oli analizzati. I contaminanti analizzati sono il 3-monocloropropandiolo (3-MCPD), il 2-monocloropropandiolo (2-MCPD) e il glicidolo. L’esposizione ai primi due ha come effetto principale danni ai reni, quella al glicidolo è stata associata soprattutto all’insorgenza di tumori. Per questa ragione l’autorità europea ha stabilito delle soglie massime di esposizione, che, sulla base dei modelli adottati, nella quasi totalità della popolazione non vengono superati. Inoltre, la stessa agenzia sottolineava che negli ultimi anni era stato osservato un miglioramento nei processi produttivi che aveva portato a una riduzione consistente dei contaminanti. Il problema dei bambini I risultati tranquillizzanti della ricerca, tuttavia, hanno un’eccezione: i bambini. Il rapporto dell’ISS ha osservato che nei bambini tra i 3 e i 10 anni di età circa un terzo dei grassi saturi deriva dall’olio di palma. Non solo: in questa fascia d’età il rapporto tra calorie derivanti da grassi saturi e calorie totali è ben oltre la soglia del 10% indicata dalle linee guida. Infine, quando questo rapporto si normalizza, intorno ai 10 anni, ciò avviene più per un calo nei consumi di alimenti come latte, carne, uova o formaggi che per una riduzione dell’impatto degli alimenti con olio di palma. Uno scenario preoccupante, che tuttavia non incrimina l’olio di palma in sé ma un modello alimentare poco salutare. Per quel che concerne i contaminanti, il problema riguarda soprattutto i lattanti alimentati con latte artificiale. L’olio di palma ne costituisce infatti uno dei componenti principali per mimare l’elevato apporto di acido palmitico naturalmente presente nel latte materno. Per l’EFSA in questa specifica fetta della popolazione le soglie di esposizione vengono sistematicamente superate. Il dato, peraltro, è confermato nella vita reale da una recente indagine di Altroconsumo.3 Il problema, dunque, esiste e potrebbe arrivare a breve una decisione della Commissione Europea che metta paletti più stringenti ai processi produttivi. A oggi, però, sulla base dei dati disponibili, i rischi reali restano molto bassi. A oggi le evidenze sull’olio di palma sono tutt’altro che definitive, se ne può solo consigliare un uso moderato all’interno di un regime alimentare equilibrato Dal web alla TV: così è esploso il fenomeno palma E’ il 2014. Alla fine dell’anno in Italia entrerà in vigore il regolamento europeo 1169/11 che obbliga i produttori di alimenti a una maggiore chiarezza nelle etichette: il più generico “grassi vegetali aggiunti” fino ad allora in vigore andrà sostituito con l’indicazione precisa della tipologia di grasso. Questo cambiamento normativo innescherà in Italia il fenomeno olio di palma. Tra i primi a prendere sul serio l’argomento e a farne una vera e propria campagna è una testata online specializzata in alimentazione, Il Fatto Alimentare. Dall’analisi delle etichette scopre che l’olio di palma è una delle componenti principali di una miriade di cibi che mettiamo tutti i giorni sulle nostre tavole. Di lì a poco il giornale lancerà sulla piattaforma di petizioni online www.change.org una campagna attraverso cui chiede lo stop “all’invasione dell’olio di palma”. E’ un successo: la petizione raccoglie quasi 180 mila firme in pochi mesi, dilaga sui social, contagia la stampa e finisce in TV. In breve salta sul carro del “no” all’olio di palma anche la politica: prima il Movimento 5 Stelle e poi un gruppo di deputati del PD chiedono al governo di escludere dagli appalti le ditte fornitrici di prodotti a base di olio di palma. Lentamente la vicenda si spegne, ma ha sortito i suoi effetti: la gran parte delle aziende, compresi i big dell’alimentazione, decidono di seguire il vento dell’opinione e cambiano le ricette. Il “senza olio di palma” diventa una medaglia di cui fregiarsi. Bibliografia 1 Istituto Superiore di Sanità. Parere sulle conseguenze per la salute dell’utilizzo dell’olio di palma come ingrediente alimentare, febbraio 2016. https://goo.gl/GYRD7s 2 European Food Safety Authority (EFSA). Risks for human health related to the presence of 3- and 2-monochloropropanediol (MCPD), and their fatty acid esters, and glycidyl fatty acid esters in food. EFSA Journal 2016;14:4426. https://goo.gl/EhNccV 3 Ovadia S. Merende indigeste. Altroconsumo 2016;305:10-13. https://goo.gl/QXBuXw
  • 19. 171 . 2017 Gioie e dolori della ricetta online margherita martini La dematerializzazione della ricetta elettronica porta con sé alcuni vantaggi ma non senza un po’ di confusione e qualche altro effetto collaterale, dovuto soprattutto alle disomogeneità del nostro SSN. Rappresenta un’eccezione la Provincia autonoma di Trento, esempio di buona pratica sull’applicazione dell’ePrescription regime della cosiddetta ricetta elettronica nazionale (1 marzo 2016), ci si interroga su criticità e punti di forza di questa nuova modalità. Ciò che emerge è forse un po’ di confusione, sia da parte dei cittadini sia degli stessi operatori sanitari. Parlare, per esempio, di ricetta elettronica o di ricetta dematerializzata non è esattamente la stessa cosa. La prima è intesa come l’invio telematico delle ricette da parte dei medici al Ministero dell’Economia e delle Finanze (MEF) ai fini della verifica dei volumi e della congruità delle prescrizioni; per ricetta dematerializzata, invece, si intende la sostituzione dei supporti cartacei con dei codici numerici: i medici e i pediatri di famiglia, infatti, non ricevono più dalle ASL i blocchi delle vecchie “ricette rosse” ma solo i numeri delle ricette elettroniche (NRE), prodotti dal sistema centrale gestito da Sogei (società in house del MEF). Ma come funziona? Al momento della prescrizione di un farmaco, di una visita specialistica o di un esame, L’ultimo rapporto OsMed, relativo all’uso dei farmaci in Italia, fa riflettere sulla mole di dati che, nel nostro Paese, gira intorno alle prescrizioni di farmaci, visite specialistiche ed esami clinici da parte di medici e pediatri di famiglia. Per promuovere una razionalizzazione delle procedure prescrittive e dello scambio di informazioni tra medici e pediatri, farmacie ed erogatori di servizi, il Governo italiano all’inizio degli anni 2000 ha avviato un lungo percorso di sincronizzazione e digitalizzazione (vedi box a pag. 19) che è confluito nel processo di trasformazione delle ricette da cartacee a elettroniche. A circa un anno dalla messa a FONTE: WIKIPEDIA, https://goo.gl/DyAE03; https://goo.gl/SQPXL4; https://goo.gl/lu3OWF
  • 20. 18 InFormaMI PROFESSIONE di famiglia di Milano (Zona 9), psicoterapeuta e consigliere del sindacato Snami. “Inoltre, non si può non considerare la complessità della realtà milanese data la grande diversità dei medici (dimestichezza con i sistemi informatici, l’essere o meno associati in un gruppo di lavoro, eccetera) e del territorio in cui operano” continua l’esperta. Alla base della digitalizzazione sanitaria non corrisponde infatti ancora un sistema perfettamente funzionante e sono quindi ancora troppi gli “intoppi” che il medico si trova a dover risolvere quotidianamente, a discapito di una maggiore attenzione alle questioni cliniche del proprio paziente: • differenze di “linguaggio” tra le diverse parti coinvolte. Infatti, non sempre i codici di una prestazione corrispondono (medici, laboratori analisi, pronto soccorso, si trovano quindi in situazioni di impasse) • codici a barre troppo lunghi e spesso non leggibili • problemi informatici legati ai software di gestione della ricetta elettronica • necessità di aprire un ticket di assistenza ogni volta che si verifica un problema con il sistema. Tutti aspetti problematici considerando anche che le ricette dematerializzate non sono correggibili. “Inoltre, per i medici non c’è stato un vantaggio economico” continua Geltrude Consalvo. “Oltre a doverci munire di carta e stampante laser (l’unica che stampa i codici a barre leggibili) abbiamo anche dovuto pagare un aggiornamento informatico extra affinché l’applicativo per le cartelle cliniche potesse gestire il medico si connette tramite computer al portale dedicato, si identifica ed effettua la prescrizione online utilizzando un numero di ricetta elettronica. Grazie all’associazione di questo numero al codice fiscale dell’assistito, il sistema verifica automaticamente se il paziente ha diritto a eventuali esenzioni; quindi, il medico completa la ricetta virtuale e la conferma online (sul server di Sogei) apponendo la firma digitale. Bisogna però considerare che esistono diversi modelli di accesso a seconda delle realtà regionali. In alcune, per esempio, non c’è un sistema/portale dedicato alla prescrizione, tutto è integrato e i medici procedono con le prescrizioni dal proprio gestionale, né più né meno di come facevano con la ricetta rossa. Per ora, nella maggior parte dei casi, il medico deve ancora stampare un “promemoria” per l’assistito; questo garantisce la possibilità di ottenere il farmaco/ prestazione anche in caso di assenza di linea o in presenza di qualsiasi altro inconveniente tecnico e permette al farmacista, in alcune Regioni, di apporre le fustelle del farmaco. Ma, con il sistema di dematerializzazione a piena operatività, anche quest’ultimo foglietto scomparirà, rendendo la procedura totalmente virtuale e quindi, appunto, dematerializzata. L’assistito può recarsi dal farmacista che, collegandosi a sua volta al sistema, accede alla ricetta elettronica, eroga il farmaco e invia al server di Sogei i dati relativi all’erogazione e i codici che identificano la singola confezione. Sono per ora esclusi da questa procedura alcuni farmaci per i quali c’è ancora bisogno della ricetta rossa (stupefacenti, ossigeno, farmaci con piano terapeutico, sostanze psicotrope e farmaci prescritti a domicilio del paziente). Il procedimento alla base delle ricette elettroniche per la prescrizione di visite specialistiche e di analisi da effettuare nei laboratori è lo stesso di quello previsto per i farmaci. Ricadute: vantaggi e diversità locali Una prima ricaduta positiva di questo sistema è che, essendo la ricetta dematerializzata valida in tutte le farmacie italiane, è possibile utilizzarla anche fuori dalla Regione di residenza. Tuttavia, la frammentazione del nostro SSN ha messo in evidenza una grande diversità regionale per quanto riguarda la messa a regime delle procedure. “Nonostante l’importanza e i vantaggi riconosciuti al progresso informatico in sanità, quello che forse è mancato, e che ha aumentato la conflittualità tra medico e paziente, è probabilmente la costruzione di percorsi di cambiamento condivisi basati sull’integrazione reale dei diversi attori che concorrono a formare il SSN, che avrebbero ottimizzato la fase di transizione e affiancato all’obiettivo del controllo quello della partecipazione attiva a un sistema evoluto”, racconta Geltrude Consalvo, medico Alla digitalizzazione sanitaria non corrisponde ancora un sistema perfettamente funzionante e sono quindi ancora troppi gli ‘intoppi’ che il medico si trova a dover risolvere quotidianamente
  • 21. 191 . 2017 anche le ricette dematerializzate. Comunque, al di là delle diverse problematiche legate alla (più o meno riuscita) diffusione della ePrescription nel nostro Paese”, conclude Geltrude Consalvo, “per evitare un vero e proprio burnout dei prescrittori, decisori e istituzioni non possono trascurare che, dietro alla dematerializzazione della ricetta non deve esserci una dematerializzazione del ruolo del medico, che deve rimanere il primo punto di riferimento per il proprio assistito e non essere distratto da problematiche burocratiche invece che cliniche”. L’eccezione Trentina Complice forse anche una gestione più semplice rispetto ad altre realtà regionali, sia in termini di copertura territoriale sia a livello demografico, la Provincia autonoma di Trento rappresenta un esempio di buona pratica sull’applicazione della ricetta farmaceutica dematerializzata. “Al fine di perseguire l’obiettivo di un’effettiva dematerializzazione” racconta Diego Conforti, sostituto Direttore del Dipartimento salute e solidarietà sociale dell’Ufficio innovazione e ricerca della Provincia Autonoma di Trento, “già dal 2012, presentando il proprio Piano di diffusione, la PA di Trento ha manifestato il proprio intento di sfruttare il sistema messo a disposizione dei cittadini per gestire il proprio fascicolo sanitario elettronico (TreC), proponendo metodologie tecnico/organizzative innovative”. Il TreC – progettato per garantire sicurezza in termini di privacy – permette ai cittadini l’accesso al fascicolo personale, consentendo la consultazione dei propri documenti sanitari prodotti dalle strutture del Servizio Sanitario Provinciale. Il sistema, accessibile attraverso il portale trec.trentinosalute.net, prevede l’autenticazione tramite la nuova tessera sanitaria/carta provinciale dei servizi. “Con questo strumento” continua Conforti, “si è inteso mettere a disposizione strumenti diretti di interazione tra popolazione generale e sistema sanitario che, nello specifico del progetto di dematerializzazione della ricetta sanitaria, sono costituiti dalla possibilità di visualizzare e stampare le impegnative, nonché di gestirne il livello di oscuramento”. Infatti, il cittadino ha la possibilità di rilasciare uno specifico consenso per abilitare tutte le farmacie del territorio provinciale (152 più 5 farmacie di confine) ad accedere alle proprie prescrizioni farmaceutiche con la sola presentazione della tessera sanitaria. L’autorizzazione può essere data dal proprio medico di famiglia, in farmacia, in APSS (Azienda provinciale per i servizi sanitari) sul portale online, sulla propria TreC. Inoltre il consenso, registrato dal sistema di accoglienza regionale, è modificabile in negativo dal cittadino stesso, o dal proprio medico, è restringibile a una, due o tre farmacie, ed è anche possibile oscurare alle farmacie le singole prescrizioni. “In Provincia, la graduale dematerializzazione dell’impegnativa cartacea è stata avviata dal 3 dicembre 2013, estendendo la sperimentazione a tutti i medici prescrittori e a tutte le farmacie del territorio provinciale (deliberazione g.p. n. 2409 del 22 novembre 2013). Attualmente, il servizio è da considerarsi a regime” aggiunge Conforti che sottolinea anche l’utilità della campagna informativa che ha coperto capillarmente l’intero territorio provinciale attraverso la collaborazione dei medici di famiglia, delle farmacie e delle strutture della APSS. “La sperimentazione ha dimostrato il forte gradimento verso questa innovazione da parte sia dei medici prescrittori sia dei cittadini, con particolare apprezzamento della soluzione introdotta dalla Provincia che prevede la possibilità di non produrre il promemoria cartaceo. A oggi, oltre il 90% delle ricette farmaceutiche sono erogate secondo tale modalità”. Tappe principali del processo di digitalizzazione 2003: disposizioni in materia di monitoraggio della spesa nel settore sanitario e di appropriatezza delle prescrizioni sanitarie. https://goo.gl/kuKLFQ 2008: collegamento in rete dei medici del SSN per la trasmissione telematica dei dati. https://goo.gl/zBFmBf 2010: accelerazione dell’adozione delle modalità telematiche per la trasmissione delle ricette mediche; avvio della diffusione della suddetta procedura telematica; sostituzione della prescrizione medica in formato cartaceo con l’invio telematico. https://goo.gl/nygqOa 2011: dematerializzazione della ricetta medica cartacea. https://goo.gl/nHAEc4 I singoli Piani regionali attuativi sono stati scaglionati negli anni successivi: 2010: Lombardia 2011: Valle d’Aosta, Emilia-Romagna, Abruzzo, Campania, Molise, Piemonte, Provincia Autonoma di Bolzano, Calabria, Liguria, Basilicata, Provincia Autonoma di Trento, Toscana 2012: Veneto, Marche, Sicilia, Lazio, Friuli Venezia Giulia, Umbria.
  • 22. 20 InFormaMI sanità stefano menna NuoviLEA: così la sanità pubblica punta al rilancio Il 2017 si è aperto con il via ai nuovi livelli essenziali di assistenza (LEA), un passo importante per garantire la continuità dei percorsi diagnostici e terapeutici; il testo è finalmente organico, completo e si basa sui principi di evidence e appropriatezza. Tante le novità, con qualche punto debole Il via libera ai nuovi livelli essenziali di assistenza (LEA) lo ha dato lo scorso 12 gennaio il premier Paolo Gentiloni, direttamente dal Policlinico Gemelli dove era ricoverato per l’impianto di uno stent. Una firma anticipata da un tweet del ministro della salute Beatrice Lorenzin, che ha definito “storico” il passaggio per la sanità italiana. Dopo il varo nel 2001, è il primo vero aggiornamento della lista di attività, dispositivi, prestazioni e cure che il Servizio Sanitario Nazionale (SSN) è tenuto a erogare a tutti i cittadini, gratis o dietro il pagamento di una quota di partecipazione alla spesa (il ticket), indipendentemente da reddito e luogo di residenza. Sulla base dei principi emanati dall’art. 32 della Costituzione e della legge che ha istituito il SSN nel 1978, i LEA consentono di tradurre l’idea teorica di sanità pubblica – universale, accessibile ed equa – nell’effettiva pratica clinica. Un passaggio non sempre lineare e scontato, come testimoniano le quotidiane inefficienze del sistema: liste di attesa infinite, disparità di trattamento da regione a regione, esami sbagliati o inappropriati. Eppure di sanità pubblica c’è un gran
  • 23. 211 . 2017 zoster nei sessantacinquenni. Tutti questi vaccini saranno gratuiti, per le classi d’età e i gruppi a rischio indicati. E’ stato aggiornato il nomenclatore per la specialistica ambulatoriale (fermo dal 1996) con la consulenza genetica, la fecondazione assistita – anche eterologa – fino a oggi erogata solo in regime di ricovero e con costi più alti, e attività a elevato contenuto tecnologico o innovativo come l’adroterapia, l’enteroscopia con microcamera ingeribile e la radioterapia stereotassica. Assicurate la terapia del dolore, l’epidurale per travaglio e parto vaginale, la chirurgia estetica in caso di malformazioni congenite e incidenti. In una prospettiva di tutela universale del diritto alla salute, l’elenco delle malattie rare si arricchisce di 110 patologie che riguardano 300mila malati, oggi privi di copertura. Entra lo screening neonatale per le malattie metaboliche ereditarie, la sordità e la cataratta congenita. Il provvedimento affronta la cronicità garantendo terapie per malattie sinora escluse, come endometriosi e BPCO. Spostate tra le croniche alcune patologie già esenti come rare: celiachia, sindrome di Down e Klinefelter e connettiviti indifferenziate. Ridotto, invece, il pacchetto di prestazioni per l’ipertensione, quando non comporti danno d’organo. Assicurati i metodi più aggiornati per diagnosi, cura e trattamento dell’autismo. Il SSN non dimentica le dipendenze e offre il recupero nei SerT e terapie farmacologiche sostitutive. Per la prima volta entrano servizi di neuropsichiatria infantile e cure palliative domiciliari. Aggiornato infine il nomenclatore di protesi e ausili, con i dispositivi tecnologicamente più avanzati che migliorano la qualità della vita di tanti disabili: dai comunicatori oculari alle barelle adattate per la doccia, fino ai kit per la motorizzazione delle carrozzine. I limiti del testo Eppure non mancano aspetti insufficienti o critici. A iniziare dall’approccio culturale, ancora molto settoriale. “In tema di cronicità e disabilità serviva un maggiore sforzo di integrazione con il sociale: i riferimenti al valore dell’autonomia del paziente e al coinvolgimento attivo delle famiglie sono carenti. Manca una cultura della ‘domiciliarità’: riconoscere che il paziente cronico, finché può, deve essere curato a casa, negli ambienti di vita dove le relazioni quotidiane sono parte costitutiva del proprio benessere. E non c’è nemmeno un’attenzione ai budget di salute, i piani personalizzati per i malati cronici e con disabilità in cui si mettono a sistema le risorse del paziente, della famiglia e della comunità”, nota la senatrice. Le stesse modifiche al nomenclatore avranno conseguenze delicate, tutte da valutare. “Le scelte sono state guidate da un criterio di L’elenco delle malattie rare si arricchisce di 110 patologie che riguardano 300mila malati oggi privi di copertura. bisogno, se è vero che la spesa privata tocca quota 34 miliardi di euro e ben 11 milioni di cittadini rinuncia a curarsi (dati Censis). “A differenza di quello del 2001, che era una sorta di ricognizione della normativa vigente, questo testo è organico e completo. C’è attenzione anche alle modalità e ai processi di erogazione delle prestazioni: un passo avanti importante, per garantire la continuità dei percorsi diagnostici e terapeutici”, commenta Nerina Dirindin, capogruppo PD in Commissione sanità al Senato e docente di Scienza della finanza all’Università di Torino. “La sanità si conferma settore all’avanguardia della pubblica amministrazione. I principi che hanno ispirato la stesura del testo sono evidence e appropriatezza: una risposta forte e coraggiosa alla crisi di oggi, in cui dilaga la mancanza di fiducia nelle istituzioni e sembra prevalere una scarsa cultura della tutela della salute”. Che cosa cambia Tante le novità previste dal decreto. Si parte dalle vaccinazioni, con l’inserimento nei LEA del piano nazionale vaccini 2017-2019: il nuovo calendario introduce il vaccino anti meningococco B, rotavirus e varicella nei nuovi nati; estende l’immunizzazione anti-HPV ai maschi undicenni; prevede la vaccinazione antimeningococcica tetravalente e il richiamo anti polio negli adolescenti, oltre a quelle contro pneumococco ed herpes Tweet di Beatrice Lorenzin sul via ai LEA del 12 gennaio 2017.
  • 24. 22 InFormaMI prioritarizzazione: accontentare tutte le (pur legittime) richieste di inclusione sarebbe stato impossibile. Ma quali parametri etici, organizzativi, clinici ed economici hanno ispirato queste scelte? Si tratta di criteri sempre uniformi e coerenti? Per esempio, l’esclusione dall’esenzione dal ticket degli ipertesi senza danni d’organo risponde a un criterio di minore gravità e priorità rispetto ad altre patologie; ma come si giustifica, rispetto alla necessità di promuovere una cultura della prevenzione attiva? O ancora: dal nomenclatore della protesica escono dispositivi per cui il SSN spendeva circa 65 milioni, come i plantari o alcuni modelli di carrozzelle ormai superati. Ma siamo sicuri di aver sostituito questi presidi (su cui, in effetti, ci sono stati comportamenti opportunistici e prescrizioni troppo ‘generose’) con alternative valide ed efficaci?” si chiede Dirindin. Solo la pratica clinica chiarirà come stanno effettivamente le cose. Sarà dunque fondamentale il lavoro della commissione per il monitoraggio dei LEA, che ogni anno avrà il compito di aggiornare il paniere dei servizi. Anche qui, però, sono auspicabili correzioni di rotta. “Il sistema di valutazione è ancora poco sviluppato e viziato da possibili conflitti di interessi: la commissione è formata anche da rappresentanti delle regioni, ossia gli stessi che dovrebbero essere valutati” continua Dirindin. Il nodo delle risorse Il provvedimento è stato vidimato dal Ministero dell’Economia e dalla Corte dei Conti (800 milioni i fondi stanziati dal Governo), ma la sostenibilità economica è oggetto di dibattito. Per esempio, stando alle stime del Ministero della Salute, la specialistica ambulatoriale del nuovo nomenclatore costerebbe 1,7 miliardi di euro. Eppure è contabilizzata solo per 380 milioni. “Probabilmente si è sottostimato il maggior costo dei LEA e si sono sovrastimate le ulteriori entrate a compensazione dei maggiori oneri. Quasi 600 milioni rappresentano minori costi risparmiati dalla derubricazione da altri regimi assistenziali più onerosi, come il day hospital o il day surgery. Altre voci di minore spesa (per poco meno di 500 milioni) vengono dalle regioni che avevano già inserito nella loro offerta i nuovi servizi. E’ passata così l’idea che sanità “In tema di cronicità e disabilità serviva un maggiore sforzo di integrazione con il sociale […] Manca una cultura della ‘domiciliarità’ […] E non c’è nemmeno un’attenzione ai budget di salute, i piani personalizzati per i malati cronici e con disabilità in cui si mettono a sistema le risorse del paziente, della famiglia e della comunità” “L’odontoiatria pubblica si conferma la cenerentola dei nuovi LEA. Capisco che le priorità sono altre, manca però una visione della salute del cavo orale come fattore di benessere globale, in linea con quanto sostiene l’OMS. E anche sulla prevenzione, soprattutto con i ragazzi in età scolastica, si sarebbe potuto fare di più”. L’analisi di Antonio Carrassi, docente di malattie odontostomatologiche all’Università Statale di Milano, è severa. Del resto, nel nostro Paese l’odontoiatria pubblica è praticata pochissimo: secondo l’ISTAT, appena il 5% degli italiani si affida al SSN per curare i propri denti. Tutti gli altri – chi può, ovviamente – sono costretti a rivolgersi alla libera professione. I nuovi LEA glissano sul piano odontoiatrico: manca un quadro delle risorse e delle forze a disposizione per gli interventi previsti e, in fatto di prevenzione, si poteva fare di più LEA odontoiatrici: poche luci, solite ombre stefano menna
  • 25. 231 . 2017 “In una società in cui si diffondono cronicità e fragilità, un censimento del comparto pubblico dell’odontoiatria oggi sarebbe utilissimo” Censire le risorse pubbliche Limiti che si riflettono nel testo del nuovo provvedimento, dove a tutti i cittadini sono garantiti la visita per la diagnosi precoce di tumori e le urgenze: infezioni e dolore acuti, emorragie, molaggio di denti fratturati. “L’offerta generalista del trattamento in emergenza è positiva e condivisibile, ma rischia di rimanere una dichiarazione di intenti sulla carta: si fa fatica a capire come le strutture sanitarie e gli ospedali possano attrezzarsi per rispondere efficacemente a questa domanda”, commenta Carrassi. “Al momento non conosciamo nemmeno quali e quante risorse abbiamo a disposizione in ambito pubblico, sul territorio”. Gli ultimi dati pubblicati dal Ministero della Salute risalgono al 2006. Informazioni che, invece, sarebbe fondamentale aggiornare, soprattutto per la popolazione più vulnerabile, che ha diritto a cure gratuite. Terapie conservative e canalari, protesi removibili ed estrazioni sono infatti offerte ai pazienti con labiopalatoschisi o altre malformazioni congenite, malattie rare e tossicodipendenze: tutte condizioni per cui le cure odontoiatriche sono indispensabili. Così come a chi vive in stato di marginalità, esclusione sociale o disagio economico. “In una società in cui si diffondono cronicità e fragilità, un censimento del comparto pubblico dell’odontoiatria oggi sarebbe utilissimo: capire su quali forze (ambulatori periferici, strutture specialistiche, ospedali, medici) il SSN può contare, consentirebbe di programmare in modo più appropriato ed efficiente gli interventi previsti dai LEA”, spiega Carrassi. Più prevenzione per i giovani C’è poi la partita chiave della prevenzione. I LEA confermano l’attivazione di programmi di tutela in età evolutiva (0-14 anni), con il monitoraggio di carie e malocclusioni e la correzione delle patologie ortognatodontiche a maggior rischio. “Gli interventi su bambini e ragazzi sono prioritari. Esistono ormai misure efficaci di profilassi per ridurre l’incidenza di carie e gengiviti, patologie note e di facile diagnosi. Sarebbe stato quindi opportuno ampliare l’offerta fino a 18 anni, collegandola a un adeguato programma di educazione e informazione sanitaria nelle scuole sui fattori di rischio principali, a iniziare dal fumo”, continua il professore. Un segnale positivo arriva dall’estensione agli adolescenti maschi della vaccinazione anti HPV. “Ogni anno, in Italia, registriamo 3.500-4.000 nuovi casi di cancro del cavo orale, gran parte dei quali provocati da HPV 16 e 18”, sottolinea Carrassi. “Ora, grazie all’incremento della platea dei vaccinati contro il papillomavirus, ci attendiamo un progressivo calo dell’incidenza di questa malattia, sia nell’uomo sia nelle donne. Finalmente un investimento concreto in prevenzione, su cui però avremmo bisogno di ancora più risorse”. l’anticipazione dell’aggiornamento dei LEA produce una riduzione del finanziamento a carico dello Stato: un messaggio che rischia di scoraggiare l’innovazione” spiega la senatrice. A questo si aggiunge l’aumento dei ticket sulla specialistica, che rischia di scaricare sui cittadini il costo di alcune prestazioni. Tema che si incrocia con la mancata revisione del sistema di esenzione e compartecipazione alla spesa. “Una riforma ancora da avviare, ma urgente. Ci vuole più attenzione per le fasce sociali deboli e svantaggiate, come gli inoccupati, che non sono esenti ticket e sarebbero quindi scoperti. Qualche regione si è mossa in autonomia e ha previsto agevolazioni, ma oggi i giovani che non hanno mai lavorato sono davvero tanti”, sottolinea la senatrice. Dopo la pubblicazione in Gazzetta Ufficiale, perché il nuovo nomenclatore sia valido dovrà essere approvato il tariffario di specialistica e protesica. Anche l’elenco delle malattie rare sarà operativo solo 180 giorni dopo l’entrata in vigore dei LEA: gli enti locali hanno 6 mesi di tempo per adeguare la rete territoriale. “Verosimilmente, le nuove prestazioni saranno via via esigibili nella seconda metà del 2017”, prevede Dirindin. Ciò non toglie che le regioni più rapide e pronte riescano a organizzarsi prima, con il rischio che si riproponga l’annoso problema di una sanità a differenti velocità.
  • 26. 24 InFormaMI sanità patrizia salvaterra Il rapporto OASI mostra la sanità come un settore promettente che si evolve tra alti e bassi: in questa sintesi alcuni dei punti più rilevanti del documento “Disponiamo oggi in Italia di una piattaforma unica per la sanità?”. Se la riposta è “no”, ci sarebbe poi da chiedersi se tale piattaforma serve, e se vale la pena progettarla perché potrebbe diventare un buon volano per attrarre chiunque voglia investire nel nostro paese in questo settore, il sesto del PIL nazionale con 149 miliardi di euro di spesa corrente. Da qui è partito l’ultimo rapporto dell’Osservatorio aziende sanitarie italiane (OASI) di Cergas, Sda Bocconi e Bocconi Alumni Association (BAA) presentato in un recente convegno dall’ambizioso titolo Italy, a Healthy Investment. Il rapporto OASI sviluppa una tesi: il settore è ad alto potenziale, in evoluzione, ma per poterlo promuovere su scala internazionale vanno analizzati i suoi punti di forza – messe a sistema le esperienze positive e trasferite le buone pratiche alle strutture sanitarie nazionali lungo tutto lo stivale – e resi noti quelli di debolezza, fotografando “senza photoshop” l’esistente, per porvi rimedio al più presto. Eccone alcuni. Rapporto OASI: alla ricerca di un equilibrio fra investimenti, sostenibilità e tutela della salute Il cambiamento dell’assetto istituzionale In quasi tutte le regioni si è avviato un processo di razionalizzazione dell’offerta: 1) accorpando le diverse Asl in un’unica realtà amministrativa; 2) semplificando le strutture organizzative interne; 3) integrando e mettendo in rete i servizi ospedalieri e territoriali, e diminuendo i punti fisici di accesso. Sulla razionalizzazione degli ospedali va spesa una precisazione. Negli ultimi tre anni sono calati i ricoveri a bassa complessità, con la conseguente riduzione dei posti letto (standard minimo di casistica, d.m. 70/2015); segue a pagina 25 non solo per il recupero di risorse contro le inefficienze, ma come garanzia per il cittadino di essere curato in modo omogeneo su tutto il territorio. Si è infatti registrato dal 2010 un aumento dell’1,5% della mobilità interregionale – dal Sud al Nord – alla ricerca di servizi di cura migliori. “Perché oggi, nascere e crescere in Campania o Sicilia significa avere un’aspettativa di vita in buona salute di 4 anni di meno rispetto a Lombardia, Veneto e altre regioni del Nord, e accedere a livelli di assistenza inferiori in termini quantitativi e qualitativi” affermano Elio Borgonovi e Rosanna Tarricone, presidente e direttore Cergas. Ciò ha ulteriormente rafforzato il ruolo istituzionale delle regioni, incentivate sulla qualità dei servizi garantiti, sul numero di pazienti curati, sul livello di soddisfazione dell’utenza e rispetto dei budget. L’obiettivo punta alla salute della finanza pubblica e della popolazione; al centro di questa trasformazione c’è il paziente con i suoi bisogni di prevenzione e cura, nel rispetto di una mission ormai definita: “la tutela della salute costo-efficace, economicamente sostenibile” (Borgonovi e Tarricone, cit.).
  • 27. I1 . 2017 LA DIAGNOSI DI IPERTENSIONE ARTERIOSA Come iscriversi aL corso Partecipare al corso FAD è semplice. Una volta letto questo dossier, tutti gli iscritti all’OMCeO Milano, medici e odontoiatri, possono rispondere al questionario online e acquisire i crediti ECM. Ecco come fare: 1. registrarsi sulla piattaforma www.saepe.it per ricevere via email ID e PIN per l’accesso 2. entro 48 ore ricollegarsi alla piattaforma e inserire ID e PIN ricevuti 3. cliccare al piede della pagina sul banner Smart FAD 4. cliccare il titolo del corso 5. cliccare sul questionario e rispondere alle domande ECM; si ricorda che le domande sono randomizzate, quindi variano nei tentativi successivi (non c’è un limite massimo) 6. rispondere al questionario di customer satisfaction 7. scaricare l’attestazione dei crediti cliccando in alto a destra su “Crediti” e quindi sulla stampantina vicino al titolo del corso Per qualunque dubbio o difficoltà scrivere a: gestione@saepe.it 1.2017 Siccome in ogni visita viene misurata la pressione arteriosa spesso subentra l’abitudine e non si pensa quanto sia fondamentale eseguire correttamente questa misurazione, con strumenti adeguati e seguendo alcuni accorgimenti. La diagnosi di ipertensione arteriosa è semplice, ma per farla occorre avere a disposizione rilevazioni multiple e accurate. Evento ECM n. 184478 ; Provider Zadig (n. 103) Autore: Maria Rosa Valetto Revisore: Nicola Montano, Presidente eletto della Federazione europea delle Società di medicina interna, Divisione di medicina interna, Dipartimento di scienze cliniche e di comunità, Università degli Studi di Milano Destinatari: medici e odontoiatri Durata prevista: 2 ore (compresa la lettura di questo dossier) Durata: dall’1 marzo 2017 al 28 febbraio 2018
  • 28. II SmartFad “Buongiorno, dottore”. “Buongiorno a lei, si accomodi. Se non sbaglio non ci conosciamo”. Il medico di me- dicina generale fa entrare in ambulatorio Dario, un nuovo assistito, quarantenne, dirigente di un’importante multinazionale. “Infatti, mi sono trasferito a Milano da pochi mesi”. “Mi dica, c’è un motivo preciso per questa visita?”. “Per fortuna no, non ho problemi di salute, almeno credo. Mi serve solo un certifi- cato medico, sono un runner”. “Amatoriale?”. “Sì, sì. Con il mio lavoro sempre in viaggio e spesso all’estero il podismo è l’unico modo per mantener- mi un po’ in forma. Una scelta legata alla flessibilità di orario, nessuna ambizione di agonismo”. “Capisco, condivido il ragionamento e la pratica”. “Davvero?”. “Sì, rispetto a lei ho il vantaggio di una residenza fissa, ma anche io devo sfruttare i ritagli di tempo. Sempre di corsa, anche senza scarpette ai piedi”. Il medico raccoglie un’accurata anamnesi da cui ri- sulta che Dario ha uno stile di vita molto regolare, non fuma, beve moderatamente in qualche cena di lavoro, ha una familiarità per malattie cardiovascolari in linea paterna. “Ora la voglio visitare, solo un attimo scusi…”, il medico solleva il ricevitore del telefono e chiama l’interno della segreteria. “Sono rientrati gli sfigmo dalla manutenzione? Bene, quindi in studio mi ha messo già quello ricalibrato... Perfetto, grazie”. Il medico poggia lo sfigmomanometro a mercurio sul piano del tavolo all’altezza del torace del paziente e lo invita, indicando i braccioli della poltroncina su cui è seduto: “Appoggi qui le braccia, per favore”. Effettua una prima misurazione dal braccio destro, poi sfila e arrotola il manicotto per svuotarlo com- pletamente dell’aria. Dario accenna ad alzarsi, ma: “Stia ancora seduto dove è, solo un attimo. Sul letti- no si corica dopo”. La determinazione della pressione viene ripetuta dal braccio sinistro. “C’è qualcosa che non va?” chiede il paziente un po’ allarmato. Sempre di corsa la storia parte I commento Qualsiasi misurazione della pressione arteriosa deve essere ef- fettuata standardizzando e stabilizzando l’ambiente in termini di temperatura, stimoli esterni e tranquillità. Bisogna utilizzare un apparecchio validato e sottoposto a ricalibratura periodica. Rilevare la pressione con il paziente seduto da almeno 3-5 minuti, il braccio rilassato e disteso e utilizzando un manicotto di misura ade- guata per il braccio del paziente. Lo sfigmomanometro deve essere posizionatoalivellodelcuore.Perladiagnosi,misurarelapressione arteriosa almeno due volte a distanza di 1-3 minuti, in entrambe le braccia e ripetere la determinazione se la differenza è 10-20 mmHg. Se tale differenza è confermata considerare come valore di pressione di riferimento quella del braccio con i livelli più alti. Mancia G, Fagard R, et al. 2013 ESH/ESC Guidelines for the management of arterial hypertension: The Task Force for the management of arterial hypertension of the European Society of Hypertension (ESH) and of the European Society of Cardiology (ESC). Eur Heart J 2013;34:2159-219. https://goo.gl/aGLomR The National Institute for Health and Care Excellence (NICE). Hyperten- sion in adults: diagnosis and management. NICE guideline 127, aggior- namento novembre 2016. https://goo.gl/S3x2Gi “No, stia tranquillo. Misurare la pressione da entrambe le braccia quando si visita un nuovo paziente risponde solo a una buona pratica, anche se pochi lo fanno”. “Infatti non mi era mai capitato”. “Ha fatto molte gare amatoriali?”. “Si contano sulle dita della mano. Tutte nel Nord Europa, scenari di una bellezza incredibile: distese innevate, lungofiume immersi nella nebbia. Quasi ogni fine set- timana ne organizzano una, ma anche qui l’offerta sta aumentando. Questa è la mia prima Maratona di Milano. Ormai manca poco al due di aprile, non sono particolarmente la storia parte II
  • 29. III1 . 2017 LA diagnosi di ipertensione arteriosa La definizione di ipertensione sulla base di un valore soglia è una convenzione: • stadio 1: prima determinazione 140/90 mmHg, controlli succes- sivi ambulatoriali o automisurazione a domicilio (media) 135/85 mmHg • stadio 2: prima determinazione 160/100 mmHg, controlli succes- sivi ambulatoriali o automisurazione a domicilio (media) 150/95 mmHg • stadio 3: ipertensione grave, valori sistolici 180 mmHg o valori diastolici 110 mmHg Mancia G, Fagard R, et al. 2013 ESH/ESC Guidelines for the management of arterial hypertension: The Task Force for the management of arterial hypertension of the European Society of Hypertension (ESH) and of the European Society of Cardiology (ESC). Eur Heart J 2013;34:2159-219. https://goo.gl/aGLomR The National Institute for Health and Care Excellence (NICE). Hyperten- sion in adults: diagnosis and management. NICE guideline 127, aggior- namento novembre 2016. https://goo.gl/S3x2Gi commento Se una volta completato un processo diagnostico accurato con una misurazione dei livelli pressori secondo la buona pratica clinica la diagnosidiipertensione è esclusa, la determinazione successivava programmata entro 5 anni, più spesso con livelli pressori prossimi a 140/90 mmHg. The National Institute for Health and Care Excellence (NICE). Hyper- tension in adults: diagnosis and management. NICE guideline 127, aggiornamento novembre 2016. https://goo.gl/S3x2Gi commento la storia conclusione “Beh, con quei valori perfetti, le linee guida ammettono che si controlli ogni cinque anni” risponde il medico. Ma Dario commenta: “Mi sembra un periodo veramente lungo”. “Tanto se dovrà esibire il certificato medico per le gare non aspetteremo così tanto. La validità è an- nuale. “Magari ci incontriamo anche prima in tuta e scarpette”. “Io mi alleno sui Navigli. Lei che sente il fascino delle vie d’acqua e della nebbia…”. “Ottimo suggerimento!”. “Valori normali?” chiede Dario. “Perfettamente normali. La minima differenza tra le due braccia non ha nessun si- gnificato”. Il medico riprende la visita e la chiacchierata: “Mi diceva della sua corsa di inizio primavera”. “Lungo il Danubio, ero a Vienna. Ma la primavera lì non è ancora arrivata. Meglio così perché io soffro di raffreddore da fieno. Ah già, prima non le ho detto che prendo qualche antistaminico, specie prima di correre”. “Spray?”. “No, non ho mai avuto difficoltà a respirare”. “Va bene”. “Quindi con la pressione siamo a posto. Non devo neppure misurarla ogni tanto adesso che ho supe- rato gli anta?”. la storia parte III allenato ma l’esperienza della staffetta mi incuriosisce ed è un buon modo per socializzare con i nuovi colleghi”. “Giusto, la formula è divertente. Poi per il 2017 hanno disegnato un percorso nuovo, passa per tutto il centro, sono curioso di provarlo. La Stramilano di domenica scorsa l’ha fatta?”. “No, ero via per lavoro, quella domenica mi trovavo…” il medico interrompe Dario: “Adesso un attimo di silenzio che ausculto cuore e polmoni”. E dopo qualche minuto: “Tutto a posto. Ah dimenticavo, pre- so dalla nostra comune passione non le ho detto i valori di pressione: 130 su 85 e 125 su 80”.
  • 30. IV SmartFad Tacco 13 la storia parte I la storia parte II commento Se in occasione della determinazione da parte di un medico si riscontrano livelli pressori ≥140/90 mmHg, bisogna ripetere la determinazione durante la visita e, in caso di una sostanziale differenza, ripeterla una terza volta. Fare riferimento al valore più basso tra gli ultimi due. The National Institute for Health and Care Excellence (NICE). Hyperten- sion in adults: diagnosis and management. NICE guideline 127, aggior- namento novembre 2016. https://goo.gl/S3x2Gi Sabato pomeriggio, Mara entra zoppicante nel Pronto soccorso affollato. “Te l’avevo detto che non dovevamo venire qui” le dice il marito. “Guarda quanta gente, chissà quando passerai, visto che hai solo una banale storta!”. “Beppe, guarda, se proprio ti dà fastidio aspettare, non hai che tornare a casa, sederti sul divano e guardare il derby in santa pace” risponde secca la moglie. “Io adesso sto qui tutto il tempo necessario. Queste storte se non si curano subito dan- no problemi per sempre”. “Sai sempre tutto tu, vero?”. “E’ successa la stessa cosa all’Adriana, ormai è più di un anno, non l’hanno ingessata appena successo e ora non cammina ancora bene”. “Anche lei sfilando sotto i portici in centro col tacco 13?”. “No lei era andata a ballare”. “Alta acrobazia! Mara, ma la carta d’identità non la guardate mai?”. “Senti eh, cosa deve fare una dopo i 60 anni? Mettersi in poltrona a fare la maglia?”. “Non dico questo, ma darsi una calmata…” “Veramente bastava che tu mi sorreggessi quando sono inciampata, invece di controllare dal telefoni- no i risultati delle partite. Senti vai a casa e ti chiamo io quando ho finito”. Beppe si congeda senza insistere minimamente e nel giro di pochi minuti la donna viene convocata per il triage. Ovviamente le viene assegnato un codice verde. “Nulla di grave, ma un controllo dell’ortopedico ci vuole e forse anche una lastra” le dice l’infermiere. “Sì, sì, lo immaginavo. Come vorrei che ci fosse qui mio marito a sentire le sue parole. Secondo lui non era neanche il caso di venire in ospedale” risponde Mara. “C’è tanta gente prima di me, ma pazienza”. “Guardi oggi l’attesa non è neppure così lunga, non si faccia ingannare dalla folla dei parenti” la rassi- cura l’infermiere mentre misura la pressione. Poi aggiunge sgonfiando il manicotto “Centocinquanta su 95, un po’ alta. Ha mai misurato la pressione?”. “Sì, ma anni e anni fa giusto per curiosità in farmacia. Era perfettamente normale”. “Bene, abbiamo trovato una valida giustificazione per farle passare un po’ di tem- po qui con noi. E’ prudente misurare di nuovo la pressione, ma dopo un’adeguata attesa”. “Ma non può essere stata l’arrabbiatura con mio marito a farla alzare?” “Come no, la colpa è sempre dei mariti. Sono sposato da poco ma questa regola l’ho già imparata” risponde il giovane infermiere con un largo sorriso. “Battute a parte, l’emotività gioca, e magari anche il dolore alla caviglia”. “A dir la verità, adesso con il ghiaccio è quasi passato”. “In ogni caso durante la visita il medico ripeterà la misurazione. Intanto lei stia qui seduta e cerchi di rilassarsi. Lo so che con questo via vai non è facile”. “Non si preoccupi, mi piace stare in mezzo alla gente. Sarebbe l’occasione giusta per fare la maglia”. “Come?” “No, nulla, pensavo a una cosa detta prima, con mio marito”. Passa poco meno di un’ora e la sedia a rotelle di Mara viene introdotta in sala visita. L’ortopedico si informa sulle modalità della caduta e poi dice a Mara: “Prima di visitarla, prendo un’al-