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"I Santi e i Beati sono gli autentici testimoni della fede. Sarà opportuno nell'Anno
della Fede diffondere la conoscenza dei Santi del proprio territorio, anche con i
mezzi di comunicazione sociale"
LA FEDE E I TESTIMONI - I SANTI DELLA NOSTRA TERRA
Relatore: Don Giovanni Amati
Responsabile Ufficio Comunicazioni Sociali
Sperimentare la Chiesa in questo modo e poter quasi toccare con le
mani la forza della sua verità e del suo amore, è motivo di gioia, in un
tempo in cui tanti parlano del suo declino. Ma vediamo come la Chiesa
è viva oggi“
Queste parole di Benedetto XVI pronunciate durante l'ultima udienza in
pazza San Pietro, il 27 febbraio 2013, dicono la ragione di questo Quaderno,
curato dall'Ufficio comunicazioni sociali e primo di una serie dedicata ai
testimoni di fede della nostra terra.
Dar voce ai testimoni significa amare la Chiesa come avvenimento, come
esperienza che tocca e coinvolge la nostra umanità, che ci dà ragioni
convincenti della fede. Il testimone porta e comunica un fascino e un metodo
di fede.
A tutti noi, se siamo ancora cristiani, prima o poi nella vita, è accaduto di
incontrare testimoni così.
don Giovanni Amati responsabile Ucs Forlì-Bertinoro
"Qui si può toccare con mano che cosa sia Chiesa, non
un'organizzazione, un'associazione per fini religiosi o
umanitari, ma un corpo vivo, una comunione di fratelli e
sorelle nel Corpo di Gesù Cristo, che ci unisce tutti.
Le origini
SAN MERCURIALE
Primo Vescovo di Forlì
Mercuriale, primo vescovo di Forlì, visse all'inizio
del V secolo, era originario dell'Oriente e fu
nominato dal Papa nella nostra città. Su questo
personaggio non si hanno molte notizie storiche
oltre al fatto che sia stato un vescovo molto
importante per le origini e la formazione della prima
comunità cristiana. Si narra che abbia reso innocuo
un drago che viveva nelle campagne della città
provocando disagi, malattie e morte degli abitanti e
che si recò in Spagna dove guarì il re goto Alarico
ottenendo da lui la liberazione di oltre duemila
schiavi forlivesi. A Rimini un giudice pagano di
nome Tauro scherniva i cristiani ed in particolare
irrideva l'eucarestia, che per lui era un cibo
comune da digerirsi come tutti gli altri. Assieme agli
altri Santi Vescovi della regione, Mercuriale,
perché non venisse meno la fede dei loro cristiani
accettò la sfida di Tauro, consacrò l'eucarestia e la
dette al giudice pagano che dopo averla ingerita
morì come l'eretico Ario, di dissenteria. La festa di
San Mercuriale si celebrava inizialmente il 30 aprile
ma per non sovrapporla a quella di San Pellegrino,
che ricorre l'1 maggio fu spostata prima in altre
date e poi fissata al 26 ottobre, giorno in cui nel
1601, le reliquie del Santo furono portate nella
cappella Mercuriali in fondo alla navata destra della
basilica. Le reliquie del capo del Santo sono invece
collocate in un altare laterale della chiesa della SS.
Trinità a Forlì.
Le origini - SAN RUFILLO
Primo Vescovo di Forlimpopoli
Vissuto nel V secolo, di origine orientale fu nominato dal Papa
vescovo di Forlimpopoli per organizzare la vita della comunità
cristiana.
La tradizione racconta l'episodio della vittoria su un drago,
che si annidava tra Forlimpopoli e Forlì. Il vescovo Rufillo
esortò i fedeli della diocesi a fare digiuni e pregare e assieme
a San Mercuriale, si recò alla tana del drago e lo gettò in un
profondo pozzo.
Anche lui come gli altri Vescovi del suo tempo fu pure
impegnato a contrastare l'eresia ariana.
Morì novantenne, a Forlimpopoli lasciando scritto nel suo
testamento spirituale: "Ciò che ognuno spende amando il
proprio prossimo lo spende per se stesso. Guardatevi, o
dilettisimi, dalle contese, amate la pace, siate testimoni di
carità, affinché fregiati di questi ornamenti possiate
presentarvi sereni davanti alla potenza del sommo giudice".
Nel 1362 dopo la distruzione della città da parte delle truppe
comandate dal cardinale spagnolo Albornoz, le sue reliquie
furono trasportate a Forlì nella chiesa di Santa Lucia.
Da lì nel maggio 1964 esse ritornarono nella basilica di
Forlimpopoli dove sono ancora custodite sotto l'altar maggiore
e venerate in particolare in occasione della sua festa il 16
maggio.
SANT’ELLERO il monaco che sfidava gli Imperatori
Ellero nacque in Toscana nel 476
e a dodici anni lasciò la sua casa
per dedicarsi alla vita eremitica, si
inoltrò sull'Appennino e scelse
per propria dimora un monte della
valle del Bidente, poco sopra il
paese di Galeata.
A vent'anni si formò attorno a lui
la prima comunità: la regola che
egli fece osservare era
semplicissima, basata sulla
preghiera comune, sul digiuno,
sul lavoro dei campi, sulla pratica
della carità.
L'imperatore Teodorico stesso aveva fatto costruire un palazzo non lontano dal monastero di
Ellero e pretendeva che i monaci lavorassero per lui. Al rifiuto di Ellero pieno di rabbia salì al
monastero ma si perse in una fitta nebbia che era improvvisamente salita. E quando Ellero gli
andò incontro non riuscì a scendere da cavallo finché il santo monaco non glielo permise. Da
allora diventarono amici, Teodorico si mostrò assai benevolo verso i monaci e donò loro beni e
terreni. Ellero morì all'età di ottantadue anni, il 15 maggio del 558.
Dell'antico monastero resta in piedi la chiesa dove per tutto il mese di maggio, e in particolare il
15, giorno della festa, tante persone vanno in pellegrinaggio per pregare il Santo venerato in
particolare contro il mal di testa.
PELLEGRINO LAZIOSI
Pellegrino, nato a Forlì nel 1265 circa, trascorse la giovinezza
partecipando alle lotte politiche locali tra guelfi e ghibellini e
nel 1282, dopo l'incontro con San Filippo Benizi, uno dei
fondatori dei Servi di Maria, in missione a Forlì per conto del
Papa, decise di entrare nell'ordine.
Fece il noviziato e la professione a Siena e fu poi inviato nel
convento di Forlì dove visse tuta la vita. Si narra che alla
notizia della sua morte - avvenuta nel 1345 - fu tale e tanta la
gente accorsa da ogni parte per cui non fu possibile chiudere
le porte della città. La salma fu esposta nel coro della chiesa:
tutti volevano avvicinarsi per toccarla con oggetti e reliquie
preziose. Tra gli altri, un cieco implorava aiuto, quand'ecco
Pellegrino sembrò risvegliarsi e guarirlo all'istante. E anche
una donna, posseduta dal demonio, fu liberata dal maligno.
Nel 1325 fu colpito da cancrena ad una gamba, causata dalla
penitenza che Pellegrino si era imposto di non sedersi e
distendersi mai, ma la notte prima dell'amputazione fu
miracolosamente guarito mentre pregava davanti al
Crocifisso, che si trova ancora oggi nel convento. Il mattino
dopo il medico Paolo Salaghi venuto per seguire
l'amputazione poté solo constatare il fatto straordinario.
Per questo San Pellegrino è invocato dagli ammalati e in particolare da quelli colpiti da tumore. Patrono
della città di Forlì dal 1942, la sua festa si celebra l' 1 maggio.
Il culto del Santo si è esteso in tutto il mondo e a lui sono dedicate chiese anche nelle Filippine e cappelle
come nel santuario di Pietralba e a San Marcello al Corso di Roma, la chiesa dove si radunano i forlivesi
che abitano nella Capitale.
il Santo ghibellino patrono degli
ammalati di tumore
Don PIPPO - il santo dei forlivesi
Mons. Giuseppe Prati, il familiare don Pippo dei forlivesi fu
sacerdote e parroco, educatore, musicista, giornalista e
comunicatore.
Era nato il 4 novembre 1885 e fu ordinato sacerdote nel
1908. Fu uno straordinario educatore prima ai
Cappuccinini, poi all'Istituto San Luigi, mettendo a frutto
tutte le sue capacità, l'oratoria, la passione per il teatro e
per la musica. Compose tra l'altro la melodia di "La vivida
fiamma", l'inno dedicato alla Madonna del Fuoco, Patrona
di Forlì. Fu anche padre spirituale del seminario, poi
parroco a Santa Lucia e nel 1944, a San Mercuriale. La
voce popolare ha sempre attribuito a don Pippo anche il
salvataggio del campanile di San Mercuriale dove non
esplosero le mine che erano state collocate dai tedeschi.
Don Pippo nel 1919 fondò il settimanale il Momento che
diresse fino al febbraio del 1952 e insegnava ai suoi
giovani ad essere presenti come cristiani nella vita sociale,
nella cultura e nella politica.
Morì improvvisamente il 9 novembre 1952. La notizia fece
subito il giro della città e accorsero migliaia di persone per
rendergli omaggio e partecipare ai funerali nella basilica di
San Mercuriale. La straordinaria partecipazione popolare
si ripetè 5 anni dopo, quando la salma fu portata a San
Mercuriale per essere tumulata nella cappella dei Ferri.
Nel 1994 è stata intitolata don Pippo la piazzetta accanto
alla basilica di San Mercuriale.
Ha scritto nel suo testamento spirituale
"Mi perdoni il Signore, perché ho solo
bisogno del suo perdono. Potevo farmi
santo e non l'ho fatto e mi accuso così
come un colpevole. Pregate per me".
Padre PIETRO LEONI
testimone di fede nei gulag staliniani
La copertina dell’autobiografia di
padre Leoni “Spia del Vaticano!”
(Roma 1959) riedita in Russia
nell’ottobre 2012
L’1 gennaio 1909, nasceva a Montaltovecchio di Premilcuore padre Pietro
Leoni, gesuita, missionario in Ucraina che dal 1945 al 1955 fu condannato
dal regime comunista a 10 anni di lavori forzati nei gulag staliniani.
Padre Leoni dopo l’ingresso nel seminario di Modigliana, nel 1922 era
entrato a far parte della Compagnia di Gesù. Studiò poi al collegio Russicum
voluto dal Papa per preparare i sacerdoti che avrebbero svolto il ministero in
Unione Sovietica e nel 1936 partì per la Russia. Nel 1945 viene arrestato
assieme a padre Nicolas, un religioso francese che era rimasto con lui ad
Odessa dopo l’arrivo dei Russi, e dopo la lunga inchiesta, fu condannato
senza processo a 10 anni di lavori forzati, che con la seconda condanna
diventeranno poi 25. Fu portato davanti a padre Nicolas per il confronto: il
sacerdote francese lo aveva accusato ingiustamente di essere una spia, ma
padre Leoni, pur proclamando la sua innocenza, non ebbe mai parole di
condanna nei suoi confronti e tra lo stupore dell’ufficiale russo e dello stesso
padre Nicolas si gettò ai suoi piedi per chiedere l’assoluzione.
Nelle terribili condizioni dei gulag, con la temperatura che arriva anche a 60
gradi sotto zero, il gesuita si distinse per il coraggio con cui continuò a
testimoniare la verità e ad esercitare il suo ministero, stupendo i compagni di
prigionia e anche i suoi aguzzini per la sua fede e la sua libertà. Rischiando
varie volte di essere ucciso padre Leoni prega, celebra i sacramenti,
catechizza e converte diversi compagni di prigionia vivendo nel gulag,
racconta lui stesso, come se fosse la “sua parrocchia”.
Tornato in Italia nel 1955 fu accolto trionfalmente. Era però il tempo del
“disgelo” e padre Leoni si accorse ben presto che la sua presenza dava
fastidio, chiese di tornare in missione. Andò in Canada tra i profughi russi
dove continuò la sua missione per la verità con la stessa tenacia e la stessa
passione.
Morì in Canada il 26 luglio 1995 a causa di un malore.
La Badia di Bertinoro casa madre delle Clarisse
francescane missionarie del SS. Sacramento fondate
dalla Venerabile Madre Serafina Farolfi
La Venerabile madre Serafina Farolfi, fondatrice delle Clarisse
francescane missionarie del SS. Sacramento della Badia di Bertinoro,
nacque a Tossignano, in provincia di Bologna il 7 ottobre 1853. Entrò nelle
suore Terziarie Francescane di via Achille Cantoni, a Forlì, nel 1873 dove
nel 1875 fece la professione religiosa e dove la seguirono anche due
sorelle. Durante il noviziato aveva già iniziato le attività del Collegio, del
quale fu direttrice e insegnante e che grazie alla sua opera divenne una
delle scuole più ricercate di Forlì. Dal 1893 maturò la decisone di aprire un
nuovo Istituto alla Badia di Bertinoro che fu riconosciuto l’1 maggio 1898.
Quel giorno, con Madre Serafina 8 suore e 5 novizie, nacque il nuovo
ordine delle Clarisse Francescane missionarie del SS. Sacramento. Madre
Serafina aprì anche nuove case in Italia e anche all’estero, come in India,
dando così sviluppo all’opera educativa che aveva voluto per il nuovo
Istituto da lei sintetizzato nel suo motto “Andate, accendete portate l’amore
di Gesù Eucaristia a tutti”. La Venerabile morì il 18 giugno 1917 ed è
sepolta dal 1970 nella cappella della Badia. L’1 maggio 1968 la diocesi di
Bertinoro aprì il processo diocesano di beatificazione e il 19 dicembre 2009
è stata dichiarata Venerabile assieme a personaggi illustri come papa
Giovanni Paolo II e Papa Pio XII, e al sacerdote polacco padre Jerzy
Popieluszko, cappellano di Solidarnosc.
Ven. Madre SERAFINA FAROLFI
educatrice e fondatrice delle suore della Badia di Bertinoro
La Chiesa italiana ha indicato tre forlivesi tra i testimoni di
speranza del XX secolo al convegno ecclesiale di Verona del 2006
DON FRANCESCO RICCI
VENERABILE
BENEDETTA BIANCHI
PORRO
ANNALENA
TONELLI
Don FRANCESCO RICCI
educatore missionario comunicatore
Dal telegramma di papa Giovanni Paolo II in
ricordo di don Francesco:
“Anche nel dolore per il distacco, possiamo
veramente essere grati al Signore per la
testimonianza cristiana che don Francesco ha
dato a coloro che ha potuto avvicinare”
Originario di Faenza dove era nato nel 1930 don Francesco Ricci
trascorse l’infanzia a Premilcuore. Qui conobbe padre Pietro Leoni, il
gesuita missionario in Russia, che fu condannato a 10 anni di prigionia
nei gulag stalinisti.
Trasferitosi a Forlì don Ricci, che fu allievo di don Pippo a il Momento e
all’oratorio San Luigi, educò intere generazioni di forlivesi con il suo lavoro
culturale, editoriale e missionario.
Fondò a Forlì Gioventù Studentesca, incontrò e iniziò comunità cristiane in vari
continenti prima nei Paesi dell’Europa Orientale, poi in Africa, in Sud America e
infine in Asia.
Agli anni sessanta, quando i muri erano ancora ben alti, risalgono i primi viaggi
di don Ricci nei paesi dell’Est europeo oppressi dai regini comunisti.
Fondò a Forlì il Centro Studi Europa orientale e attraverso la pubblicazione di
Cseo Documentazione e Il Nuovo Areopago fece conoscere documenti inediti
sulla vita della Chiesa, la cultura e la società dei Paesi dell’Est.
Conobbe molti testimoni fra cui il cardinale di Cracovia, Karol Wojtyla, divenuto
poi papa Giovanni Paolo II. Il ricco materiale raccolto e pubblicato costituisce il
patrimonio della cooperativa La Nuova Agape, anch’essa fondata da don Ricci e
che oggi continua il suo lavoro culturale.
Morì a Forlì il 30 maggio 1991, dopo lunga malattia e nel 1998 si è costituita
l’associazione a lui intitolata, presieduta dalla sorella Eugenia.
“Anche nel dolore per il distacco, possiamo veramente essere grati al Signore
per la testimonianza cristiana che don Francesco ha dato a coloro che ha potuto
avvicinare”
Ven. BENEDETTA
BIANCHI PORRO
Benedetta Bianchi Porro nacque a Dovadola l’8
agosto 1936 da Guido e da Elsa Giammarchi. Nel
novembre dello stesso anno venne colpita da
poliomielite e progressivamente si manifestarono i
sintomi della malattia che lei stessa, studente in
medicina, diagnosticò nel 1956 e che la portò alla
morte. Si trattava di neurofibromatosi, una malattia
al sistema nervoso che provoca progressivamente
la paralisi totale. Mentre si susseguivano numerosi
e dolorosi gli interventi chirurgici, Benedetta
approfondì, grazie anche al rapporto con alcuni
amici, la sua esperienza di fede scoprendo la
“grazia” della sua condizione, come raccontò lei
stessa dopo i pellegrinaggi a Lourdes nel 1962 e
1963: “Io mi sono accorta più che mai della
ricchezza del mio stato - scrisse - non desidero
altro che conservarlo. E’ stato questo per me il
miracolo di Lourdes quest’anno”.
Tante persone che andavano a trovarla, soprattutto
giovani rimanevano stupiti della gioia di vivere e
della felicità che comunicava.
Benedetta, che morì, a 27 anni, il 23 gennaio 1964 a Sirmione, sussurrando “grazie”, dal 22 marzo 1969 è
sepolta alla Badia di Dovadola. Il 23 dicembre 1993 papa Giovanni Paolo II ha emesso il decreto per il
riconoscimento dell’eroicità delle virtù dichiarandola Venerabile. Dopo la morte il suo messaggio di
speranza è giunto in tutto il mondo attraverso i libri tradotti oggi in oltre venti lingue, compresi il
giapponese, l’arabo e l’ebraico e grazie all’opera di Anna Cappelli, morta nel 2005, degli Amici di
Benedetta, dell’Associazione per Benedetta Bianchi Porro e della Fondazione intitolata alla Venerabile. In
occasione del convegno ecclesiale di Verona del 2006 la Chiesa italiana ha indicato Benedetta tra i
testimoni di speranza assieme ad Annalena Tonelli e don Francesco Ricci.
testimone di fede e speranza nella
sofferenza
ANNALENA TONELLI
missionaria dei brandelli di umanità ferita
Annalena ha detto: “Io impazzisco
per i brandelli di umanità ferita, più
son feriti, più sono maltrattati, più di
nessun conto agli occhi del mondo,
più io li amo. Questo non è un
merito, è una esigenza della mia
natura”
Nata a Forlì nel 1943, dopo sei anni di servizio ai poveri della sua
città nel 1969 la venticinquenne Annalena Tonelli parte per l’
Africa grazie alle attività del Comitato per la lotta contro la fame
del mondo di Forlì, che aveva contribuito a fondare, e che ancora
oggi è attivo.
Inizialmente lavora come insegnante in una scuola a Wajir,
nell'estremo nord-est del Kenya, dove approfondisce le sue
conoscenze mediche per curare la tubercolosi e la lebbra.
Già nel 1976 Annalena Tonelli diviene responsabile di un progetto
pilota dell'Organizzazione Mondiale della Sanità per la cura della
tubercolosi, ma accoglie anche ciechi, sordomuti, disabili fisici e
mentali. Nel 1984, a seguito di lotte politico-tribali intestine,
l'esercito del Kenya compie azioni repressive sulle tribù somale
intorno a Wajir. Le denunce pubbliche di Annalena Tonelli aiutano
a fermare le uccisioni. Arrestata e portata davanti alla corte
marziale, è costretta ad abbandonare il Kenya.
Annalena si sposta allora in Somalia, prima a Merca e poi a
Borama, nel Somaliland. Qui le sue attività includono un ospedale
con 250 posti letto, una scuola di Educazione Speciale (263
studenti) per bambini sordi, ciechi e disabili (unica in tutta la
Somalia), un programma contro le mutilazioni genitali femminili
(infibulazione), cura e prevenzione dell’aids, assistenza ai fuori
casta, orfani, poveri.
Nel giugno 2003 è insignita dall'Alto Commissariato delle Nazioni
Unite per i Rifugiati del prestigioso premio Nansen per l'assistenza
ai profughi.
Il 5 ottobre 2003, a Borama, Annalena è uccisa a colpi d'arma da
fuoco da un commando islamico somalo.
In occasione del convegno ecclesiale di Verona è stata indicata
dalla Chiesa italiana tra i testimoni di speranza del XX secolo
assieme ad altri due forlivesi, la Venerabile Benedetta Bianchi
Porro e don Francesco Ricci.
Don Giulio Facibeni
Don Giulio Facibeni, nacque a Galeata il 29 luglio 1884.
Dopo gli studi nel seminario di Faenza si spostò
all’Università di Firenze iscrivendosi alla Facoltà di Lettere. Il
21 dicembre 1907 fu ordinato sacerdote e dopo cinque anni,
nel 1912, fu mandato come viceparroco a Rifredi nella pieve
di S. Stefano in Pane, zona popolare e operaia di Firenze.
Allo scoppio della Prima Guerra Mondiale don Giulio aprì il
1° luglio 1915, presso la pieve di S. Stefano, un ‘nido per i
figli dei richiamati’, un asilo gratuito e gestito dai volontari
della parrocchia.
Anche don Facibeni dovette partire per la zona di guerra,
come cappellano militare e nel luglio 1916 era sul fronte
dell’Isonzo e poi sul Monte Grappa. Per la sua dedizione sul
fronte bellico gli fu concessa la medaglia d’argento. Ritornò
a Rifredi nel 1919, nel 1923 pensò di occuparsi dei bambini
bisognosi e pose la prima pietra dell’Opera della Divina
Provvidenza “Madonnina del Grappa”. L’Istituto fu
inaugurato il 4 novembre 1924, diventando la famiglia degli
orfani di guerra e di altre disagiati. Colpito da una
progressiva e grave malattia don Facibeni morì a Rifredi di
Firenze il 2 giugno 1958. Il processo per la sua
beatificazione fu aperto il 10 agosto 1989.
Don Giulio Facibeni con il sindaco di Firenze
Giorgio La Pira e alcuni dei suoi ragazzi
Servo di Dio, fondatore dell’Opera
Madonnina del Grappa
MONS. ADALBERTO MAMBELLI
Don Mambelli era nato a Rocca San Casciano nel 1927 e venne ordinato sacerdote il 7 aprile
1950.
Nel 1955 fu nominato parroco di Castrocaro dove svolse il suo ministero per 47 anni, fino alla
morte avvenuta il 6 maggio 2002. Insegnante per molti anni aveva fondato l’associazione Don
Bosco e la casa di riposo Ziani-Venturini. Nel 1973 fu tra i soci fondatori della cooperativa “Scuola
aperta” che promosse il liceo linguistico “Adamo Pasini” e la “Nuova scuola media libera” della
quale fu anche preside.
Assistente dell’Azione Cattolica, dell’Unione provinciale di Confcooperative, dell’Agesc e
dell’Unitalsi guidò numerosi pellegrinaggi al santuario Lourdes. Sacerdote di profonda cultura
teologica e umanistica era anche fine oratore. Il giorno delle esequie centinaia di parrocchiani e di
amici parteciparono al funerale e alla sepoltura nel cimitero di Castrocaro.
DON ARTURO FEMICELLI
Don Arturo era nato a San Martino in Villafranca, il 14 dicembre 1925. Entrato in
seminario nel 1936 ebbe come padre spirituale mons. Giuseppe Prati, il familiare don
Pippo dei forlivesi e fu ordinato sacerdote il 27 giugno 1948.
Fu cappellano in varie parrocchie della città, insegnante di religione all’Istituto Magistrale
per 33 anni e nel 1972 iniziò il ministero a Santa Caterina, in via Gervasi, dove fu
parroco fino alla morte avvenuta il 4 ottobre 2002. Pittore e musicista, organizzava
pellegrinaggi e utilizzava i nuovi mezzi di comunicazione per incontrare le persone e
comunicare la speranza a tante persone che grazie a lui si sono riavvicinate alla fede e
MONS. GIAN MICHELE FUSCONI
Mons. Gian Michele Fusconi, parroco di Regina Pacis dal 1965 fino alla morte avvenuta
improvvisamente il 28 dicembre 1996, uomo di cultura e studioso di storia locale, fu, tra
l'altro, il "regista" della visita di Giovanni Paolo II a Forlì l'8 maggio 1986. Sacerdote di
profonda cultura, era stato insegnante per molti anni, aveva tra l'altro curato e pubblicato i
primi due volumi di"Forlì e i suoi vescovi" ordinando le schede raccolte dallo zio, mons.
Calandrini. Svolse ricerche anche di storia locali con pubblicazioni su San Mercuriale e sulla
permanenza di Sant’Antonio a Montepaolo.
Pochi mesi prima della sua morte i media nazionali
avevano parlato di lui perché la domenica prima di
Pasqua aveva distribuito nella sua chiesa rami di palma
al posto dei rami d'ulivo, che in quel periodo era
utilizzato come simbolo da alcune formazioni politiche.
La fede e i
testimoni
“Nel deserto si riscopre il valore di ciò che è essenziale per vivere; così nel
mondo contemporaneo sono innumerevoli i segni, spesso espressi in forma
implicita o negativa, della sete di Dio, del senso ultimo della vita. E nel deserto
c’è bisogno soprattutto di persone di fede che, con la loro stessa vita, indicano
la via verso la Terra promessa e così tengono desta la speranza”
(Benedetto XVI, omelia di apertura dell’Anno della Fede)
“La vita è come un viaggio sul mare della
storia, spesso oscuro ed in burrasca, un
viaggio nel quale scrutiamo gli astri che ci
indicano la rotta. Le vere stelle della nostra
vita sono le persone che hanno saputo
vivere rettamente. Esse sono luci di
speranza. Certo, Gesù Cristo è la luce per
antonomasia, il sole sorto sopra tutte le
tenebre della storia. Ma per giungere fino a
Lui abbiamo bisogno anche di luci vicine, di
persone che donano luce traendola dalla
sua luce ed offrono così orientamento per
la nostra traversata”
Benedetto XVI

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I SANTI di FORLI'

  • 1. "I Santi e i Beati sono gli autentici testimoni della fede. Sarà opportuno nell'Anno della Fede diffondere la conoscenza dei Santi del proprio territorio, anche con i mezzi di comunicazione sociale" LA FEDE E I TESTIMONI - I SANTI DELLA NOSTRA TERRA Relatore: Don Giovanni Amati Responsabile Ufficio Comunicazioni Sociali
  • 2. Sperimentare la Chiesa in questo modo e poter quasi toccare con le mani la forza della sua verità e del suo amore, è motivo di gioia, in un tempo in cui tanti parlano del suo declino. Ma vediamo come la Chiesa è viva oggi“ Queste parole di Benedetto XVI pronunciate durante l'ultima udienza in pazza San Pietro, il 27 febbraio 2013, dicono la ragione di questo Quaderno, curato dall'Ufficio comunicazioni sociali e primo di una serie dedicata ai testimoni di fede della nostra terra. Dar voce ai testimoni significa amare la Chiesa come avvenimento, come esperienza che tocca e coinvolge la nostra umanità, che ci dà ragioni convincenti della fede. Il testimone porta e comunica un fascino e un metodo di fede. A tutti noi, se siamo ancora cristiani, prima o poi nella vita, è accaduto di incontrare testimoni così. don Giovanni Amati responsabile Ucs Forlì-Bertinoro "Qui si può toccare con mano che cosa sia Chiesa, non un'organizzazione, un'associazione per fini religiosi o umanitari, ma un corpo vivo, una comunione di fratelli e sorelle nel Corpo di Gesù Cristo, che ci unisce tutti.
  • 3. Le origini SAN MERCURIALE Primo Vescovo di Forlì Mercuriale, primo vescovo di Forlì, visse all'inizio del V secolo, era originario dell'Oriente e fu nominato dal Papa nella nostra città. Su questo personaggio non si hanno molte notizie storiche oltre al fatto che sia stato un vescovo molto importante per le origini e la formazione della prima comunità cristiana. Si narra che abbia reso innocuo un drago che viveva nelle campagne della città provocando disagi, malattie e morte degli abitanti e che si recò in Spagna dove guarì il re goto Alarico ottenendo da lui la liberazione di oltre duemila schiavi forlivesi. A Rimini un giudice pagano di nome Tauro scherniva i cristiani ed in particolare irrideva l'eucarestia, che per lui era un cibo comune da digerirsi come tutti gli altri. Assieme agli altri Santi Vescovi della regione, Mercuriale, perché non venisse meno la fede dei loro cristiani accettò la sfida di Tauro, consacrò l'eucarestia e la dette al giudice pagano che dopo averla ingerita morì come l'eretico Ario, di dissenteria. La festa di San Mercuriale si celebrava inizialmente il 30 aprile ma per non sovrapporla a quella di San Pellegrino, che ricorre l'1 maggio fu spostata prima in altre date e poi fissata al 26 ottobre, giorno in cui nel 1601, le reliquie del Santo furono portate nella cappella Mercuriali in fondo alla navata destra della basilica. Le reliquie del capo del Santo sono invece collocate in un altare laterale della chiesa della SS. Trinità a Forlì.
  • 4. Le origini - SAN RUFILLO Primo Vescovo di Forlimpopoli Vissuto nel V secolo, di origine orientale fu nominato dal Papa vescovo di Forlimpopoli per organizzare la vita della comunità cristiana. La tradizione racconta l'episodio della vittoria su un drago, che si annidava tra Forlimpopoli e Forlì. Il vescovo Rufillo esortò i fedeli della diocesi a fare digiuni e pregare e assieme a San Mercuriale, si recò alla tana del drago e lo gettò in un profondo pozzo. Anche lui come gli altri Vescovi del suo tempo fu pure impegnato a contrastare l'eresia ariana. Morì novantenne, a Forlimpopoli lasciando scritto nel suo testamento spirituale: "Ciò che ognuno spende amando il proprio prossimo lo spende per se stesso. Guardatevi, o dilettisimi, dalle contese, amate la pace, siate testimoni di carità, affinché fregiati di questi ornamenti possiate presentarvi sereni davanti alla potenza del sommo giudice". Nel 1362 dopo la distruzione della città da parte delle truppe comandate dal cardinale spagnolo Albornoz, le sue reliquie furono trasportate a Forlì nella chiesa di Santa Lucia. Da lì nel maggio 1964 esse ritornarono nella basilica di Forlimpopoli dove sono ancora custodite sotto l'altar maggiore e venerate in particolare in occasione della sua festa il 16 maggio.
  • 5. SANT’ELLERO il monaco che sfidava gli Imperatori Ellero nacque in Toscana nel 476 e a dodici anni lasciò la sua casa per dedicarsi alla vita eremitica, si inoltrò sull'Appennino e scelse per propria dimora un monte della valle del Bidente, poco sopra il paese di Galeata. A vent'anni si formò attorno a lui la prima comunità: la regola che egli fece osservare era semplicissima, basata sulla preghiera comune, sul digiuno, sul lavoro dei campi, sulla pratica della carità. L'imperatore Teodorico stesso aveva fatto costruire un palazzo non lontano dal monastero di Ellero e pretendeva che i monaci lavorassero per lui. Al rifiuto di Ellero pieno di rabbia salì al monastero ma si perse in una fitta nebbia che era improvvisamente salita. E quando Ellero gli andò incontro non riuscì a scendere da cavallo finché il santo monaco non glielo permise. Da allora diventarono amici, Teodorico si mostrò assai benevolo verso i monaci e donò loro beni e terreni. Ellero morì all'età di ottantadue anni, il 15 maggio del 558. Dell'antico monastero resta in piedi la chiesa dove per tutto il mese di maggio, e in particolare il 15, giorno della festa, tante persone vanno in pellegrinaggio per pregare il Santo venerato in particolare contro il mal di testa.
  • 6. PELLEGRINO LAZIOSI Pellegrino, nato a Forlì nel 1265 circa, trascorse la giovinezza partecipando alle lotte politiche locali tra guelfi e ghibellini e nel 1282, dopo l'incontro con San Filippo Benizi, uno dei fondatori dei Servi di Maria, in missione a Forlì per conto del Papa, decise di entrare nell'ordine. Fece il noviziato e la professione a Siena e fu poi inviato nel convento di Forlì dove visse tuta la vita. Si narra che alla notizia della sua morte - avvenuta nel 1345 - fu tale e tanta la gente accorsa da ogni parte per cui non fu possibile chiudere le porte della città. La salma fu esposta nel coro della chiesa: tutti volevano avvicinarsi per toccarla con oggetti e reliquie preziose. Tra gli altri, un cieco implorava aiuto, quand'ecco Pellegrino sembrò risvegliarsi e guarirlo all'istante. E anche una donna, posseduta dal demonio, fu liberata dal maligno. Nel 1325 fu colpito da cancrena ad una gamba, causata dalla penitenza che Pellegrino si era imposto di non sedersi e distendersi mai, ma la notte prima dell'amputazione fu miracolosamente guarito mentre pregava davanti al Crocifisso, che si trova ancora oggi nel convento. Il mattino dopo il medico Paolo Salaghi venuto per seguire l'amputazione poté solo constatare il fatto straordinario. Per questo San Pellegrino è invocato dagli ammalati e in particolare da quelli colpiti da tumore. Patrono della città di Forlì dal 1942, la sua festa si celebra l' 1 maggio. Il culto del Santo si è esteso in tutto il mondo e a lui sono dedicate chiese anche nelle Filippine e cappelle come nel santuario di Pietralba e a San Marcello al Corso di Roma, la chiesa dove si radunano i forlivesi che abitano nella Capitale. il Santo ghibellino patrono degli ammalati di tumore
  • 7. Don PIPPO - il santo dei forlivesi Mons. Giuseppe Prati, il familiare don Pippo dei forlivesi fu sacerdote e parroco, educatore, musicista, giornalista e comunicatore. Era nato il 4 novembre 1885 e fu ordinato sacerdote nel 1908. Fu uno straordinario educatore prima ai Cappuccinini, poi all'Istituto San Luigi, mettendo a frutto tutte le sue capacità, l'oratoria, la passione per il teatro e per la musica. Compose tra l'altro la melodia di "La vivida fiamma", l'inno dedicato alla Madonna del Fuoco, Patrona di Forlì. Fu anche padre spirituale del seminario, poi parroco a Santa Lucia e nel 1944, a San Mercuriale. La voce popolare ha sempre attribuito a don Pippo anche il salvataggio del campanile di San Mercuriale dove non esplosero le mine che erano state collocate dai tedeschi. Don Pippo nel 1919 fondò il settimanale il Momento che diresse fino al febbraio del 1952 e insegnava ai suoi giovani ad essere presenti come cristiani nella vita sociale, nella cultura e nella politica. Morì improvvisamente il 9 novembre 1952. La notizia fece subito il giro della città e accorsero migliaia di persone per rendergli omaggio e partecipare ai funerali nella basilica di San Mercuriale. La straordinaria partecipazione popolare si ripetè 5 anni dopo, quando la salma fu portata a San Mercuriale per essere tumulata nella cappella dei Ferri. Nel 1994 è stata intitolata don Pippo la piazzetta accanto alla basilica di San Mercuriale. Ha scritto nel suo testamento spirituale "Mi perdoni il Signore, perché ho solo bisogno del suo perdono. Potevo farmi santo e non l'ho fatto e mi accuso così come un colpevole. Pregate per me".
  • 8. Padre PIETRO LEONI testimone di fede nei gulag staliniani La copertina dell’autobiografia di padre Leoni “Spia del Vaticano!” (Roma 1959) riedita in Russia nell’ottobre 2012 L’1 gennaio 1909, nasceva a Montaltovecchio di Premilcuore padre Pietro Leoni, gesuita, missionario in Ucraina che dal 1945 al 1955 fu condannato dal regime comunista a 10 anni di lavori forzati nei gulag staliniani. Padre Leoni dopo l’ingresso nel seminario di Modigliana, nel 1922 era entrato a far parte della Compagnia di Gesù. Studiò poi al collegio Russicum voluto dal Papa per preparare i sacerdoti che avrebbero svolto il ministero in Unione Sovietica e nel 1936 partì per la Russia. Nel 1945 viene arrestato assieme a padre Nicolas, un religioso francese che era rimasto con lui ad Odessa dopo l’arrivo dei Russi, e dopo la lunga inchiesta, fu condannato senza processo a 10 anni di lavori forzati, che con la seconda condanna diventeranno poi 25. Fu portato davanti a padre Nicolas per il confronto: il sacerdote francese lo aveva accusato ingiustamente di essere una spia, ma padre Leoni, pur proclamando la sua innocenza, non ebbe mai parole di condanna nei suoi confronti e tra lo stupore dell’ufficiale russo e dello stesso padre Nicolas si gettò ai suoi piedi per chiedere l’assoluzione. Nelle terribili condizioni dei gulag, con la temperatura che arriva anche a 60 gradi sotto zero, il gesuita si distinse per il coraggio con cui continuò a testimoniare la verità e ad esercitare il suo ministero, stupendo i compagni di prigionia e anche i suoi aguzzini per la sua fede e la sua libertà. Rischiando varie volte di essere ucciso padre Leoni prega, celebra i sacramenti, catechizza e converte diversi compagni di prigionia vivendo nel gulag, racconta lui stesso, come se fosse la “sua parrocchia”. Tornato in Italia nel 1955 fu accolto trionfalmente. Era però il tempo del “disgelo” e padre Leoni si accorse ben presto che la sua presenza dava fastidio, chiese di tornare in missione. Andò in Canada tra i profughi russi dove continuò la sua missione per la verità con la stessa tenacia e la stessa passione. Morì in Canada il 26 luglio 1995 a causa di un malore.
  • 9. La Badia di Bertinoro casa madre delle Clarisse francescane missionarie del SS. Sacramento fondate dalla Venerabile Madre Serafina Farolfi La Venerabile madre Serafina Farolfi, fondatrice delle Clarisse francescane missionarie del SS. Sacramento della Badia di Bertinoro, nacque a Tossignano, in provincia di Bologna il 7 ottobre 1853. Entrò nelle suore Terziarie Francescane di via Achille Cantoni, a Forlì, nel 1873 dove nel 1875 fece la professione religiosa e dove la seguirono anche due sorelle. Durante il noviziato aveva già iniziato le attività del Collegio, del quale fu direttrice e insegnante e che grazie alla sua opera divenne una delle scuole più ricercate di Forlì. Dal 1893 maturò la decisone di aprire un nuovo Istituto alla Badia di Bertinoro che fu riconosciuto l’1 maggio 1898. Quel giorno, con Madre Serafina 8 suore e 5 novizie, nacque il nuovo ordine delle Clarisse Francescane missionarie del SS. Sacramento. Madre Serafina aprì anche nuove case in Italia e anche all’estero, come in India, dando così sviluppo all’opera educativa che aveva voluto per il nuovo Istituto da lei sintetizzato nel suo motto “Andate, accendete portate l’amore di Gesù Eucaristia a tutti”. La Venerabile morì il 18 giugno 1917 ed è sepolta dal 1970 nella cappella della Badia. L’1 maggio 1968 la diocesi di Bertinoro aprì il processo diocesano di beatificazione e il 19 dicembre 2009 è stata dichiarata Venerabile assieme a personaggi illustri come papa Giovanni Paolo II e Papa Pio XII, e al sacerdote polacco padre Jerzy Popieluszko, cappellano di Solidarnosc. Ven. Madre SERAFINA FAROLFI educatrice e fondatrice delle suore della Badia di Bertinoro
  • 10. La Chiesa italiana ha indicato tre forlivesi tra i testimoni di speranza del XX secolo al convegno ecclesiale di Verona del 2006 DON FRANCESCO RICCI VENERABILE BENEDETTA BIANCHI PORRO ANNALENA TONELLI
  • 11. Don FRANCESCO RICCI educatore missionario comunicatore Dal telegramma di papa Giovanni Paolo II in ricordo di don Francesco: “Anche nel dolore per il distacco, possiamo veramente essere grati al Signore per la testimonianza cristiana che don Francesco ha dato a coloro che ha potuto avvicinare” Originario di Faenza dove era nato nel 1930 don Francesco Ricci trascorse l’infanzia a Premilcuore. Qui conobbe padre Pietro Leoni, il gesuita missionario in Russia, che fu condannato a 10 anni di prigionia nei gulag stalinisti. Trasferitosi a Forlì don Ricci, che fu allievo di don Pippo a il Momento e all’oratorio San Luigi, educò intere generazioni di forlivesi con il suo lavoro culturale, editoriale e missionario. Fondò a Forlì Gioventù Studentesca, incontrò e iniziò comunità cristiane in vari continenti prima nei Paesi dell’Europa Orientale, poi in Africa, in Sud America e infine in Asia. Agli anni sessanta, quando i muri erano ancora ben alti, risalgono i primi viaggi di don Ricci nei paesi dell’Est europeo oppressi dai regini comunisti. Fondò a Forlì il Centro Studi Europa orientale e attraverso la pubblicazione di Cseo Documentazione e Il Nuovo Areopago fece conoscere documenti inediti sulla vita della Chiesa, la cultura e la società dei Paesi dell’Est. Conobbe molti testimoni fra cui il cardinale di Cracovia, Karol Wojtyla, divenuto poi papa Giovanni Paolo II. Il ricco materiale raccolto e pubblicato costituisce il patrimonio della cooperativa La Nuova Agape, anch’essa fondata da don Ricci e che oggi continua il suo lavoro culturale. Morì a Forlì il 30 maggio 1991, dopo lunga malattia e nel 1998 si è costituita l’associazione a lui intitolata, presieduta dalla sorella Eugenia. “Anche nel dolore per il distacco, possiamo veramente essere grati al Signore per la testimonianza cristiana che don Francesco ha dato a coloro che ha potuto avvicinare”
  • 12. Ven. BENEDETTA BIANCHI PORRO Benedetta Bianchi Porro nacque a Dovadola l’8 agosto 1936 da Guido e da Elsa Giammarchi. Nel novembre dello stesso anno venne colpita da poliomielite e progressivamente si manifestarono i sintomi della malattia che lei stessa, studente in medicina, diagnosticò nel 1956 e che la portò alla morte. Si trattava di neurofibromatosi, una malattia al sistema nervoso che provoca progressivamente la paralisi totale. Mentre si susseguivano numerosi e dolorosi gli interventi chirurgici, Benedetta approfondì, grazie anche al rapporto con alcuni amici, la sua esperienza di fede scoprendo la “grazia” della sua condizione, come raccontò lei stessa dopo i pellegrinaggi a Lourdes nel 1962 e 1963: “Io mi sono accorta più che mai della ricchezza del mio stato - scrisse - non desidero altro che conservarlo. E’ stato questo per me il miracolo di Lourdes quest’anno”. Tante persone che andavano a trovarla, soprattutto giovani rimanevano stupiti della gioia di vivere e della felicità che comunicava. Benedetta, che morì, a 27 anni, il 23 gennaio 1964 a Sirmione, sussurrando “grazie”, dal 22 marzo 1969 è sepolta alla Badia di Dovadola. Il 23 dicembre 1993 papa Giovanni Paolo II ha emesso il decreto per il riconoscimento dell’eroicità delle virtù dichiarandola Venerabile. Dopo la morte il suo messaggio di speranza è giunto in tutto il mondo attraverso i libri tradotti oggi in oltre venti lingue, compresi il giapponese, l’arabo e l’ebraico e grazie all’opera di Anna Cappelli, morta nel 2005, degli Amici di Benedetta, dell’Associazione per Benedetta Bianchi Porro e della Fondazione intitolata alla Venerabile. In occasione del convegno ecclesiale di Verona del 2006 la Chiesa italiana ha indicato Benedetta tra i testimoni di speranza assieme ad Annalena Tonelli e don Francesco Ricci. testimone di fede e speranza nella sofferenza
  • 13. ANNALENA TONELLI missionaria dei brandelli di umanità ferita Annalena ha detto: “Io impazzisco per i brandelli di umanità ferita, più son feriti, più sono maltrattati, più di nessun conto agli occhi del mondo, più io li amo. Questo non è un merito, è una esigenza della mia natura” Nata a Forlì nel 1943, dopo sei anni di servizio ai poveri della sua città nel 1969 la venticinquenne Annalena Tonelli parte per l’ Africa grazie alle attività del Comitato per la lotta contro la fame del mondo di Forlì, che aveva contribuito a fondare, e che ancora oggi è attivo. Inizialmente lavora come insegnante in una scuola a Wajir, nell'estremo nord-est del Kenya, dove approfondisce le sue conoscenze mediche per curare la tubercolosi e la lebbra. Già nel 1976 Annalena Tonelli diviene responsabile di un progetto pilota dell'Organizzazione Mondiale della Sanità per la cura della tubercolosi, ma accoglie anche ciechi, sordomuti, disabili fisici e mentali. Nel 1984, a seguito di lotte politico-tribali intestine, l'esercito del Kenya compie azioni repressive sulle tribù somale intorno a Wajir. Le denunce pubbliche di Annalena Tonelli aiutano a fermare le uccisioni. Arrestata e portata davanti alla corte marziale, è costretta ad abbandonare il Kenya. Annalena si sposta allora in Somalia, prima a Merca e poi a Borama, nel Somaliland. Qui le sue attività includono un ospedale con 250 posti letto, una scuola di Educazione Speciale (263 studenti) per bambini sordi, ciechi e disabili (unica in tutta la Somalia), un programma contro le mutilazioni genitali femminili (infibulazione), cura e prevenzione dell’aids, assistenza ai fuori casta, orfani, poveri. Nel giugno 2003 è insignita dall'Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati del prestigioso premio Nansen per l'assistenza ai profughi. Il 5 ottobre 2003, a Borama, Annalena è uccisa a colpi d'arma da fuoco da un commando islamico somalo. In occasione del convegno ecclesiale di Verona è stata indicata dalla Chiesa italiana tra i testimoni di speranza del XX secolo assieme ad altri due forlivesi, la Venerabile Benedetta Bianchi Porro e don Francesco Ricci.
  • 14. Don Giulio Facibeni Don Giulio Facibeni, nacque a Galeata il 29 luglio 1884. Dopo gli studi nel seminario di Faenza si spostò all’Università di Firenze iscrivendosi alla Facoltà di Lettere. Il 21 dicembre 1907 fu ordinato sacerdote e dopo cinque anni, nel 1912, fu mandato come viceparroco a Rifredi nella pieve di S. Stefano in Pane, zona popolare e operaia di Firenze. Allo scoppio della Prima Guerra Mondiale don Giulio aprì il 1° luglio 1915, presso la pieve di S. Stefano, un ‘nido per i figli dei richiamati’, un asilo gratuito e gestito dai volontari della parrocchia. Anche don Facibeni dovette partire per la zona di guerra, come cappellano militare e nel luglio 1916 era sul fronte dell’Isonzo e poi sul Monte Grappa. Per la sua dedizione sul fronte bellico gli fu concessa la medaglia d’argento. Ritornò a Rifredi nel 1919, nel 1923 pensò di occuparsi dei bambini bisognosi e pose la prima pietra dell’Opera della Divina Provvidenza “Madonnina del Grappa”. L’Istituto fu inaugurato il 4 novembre 1924, diventando la famiglia degli orfani di guerra e di altre disagiati. Colpito da una progressiva e grave malattia don Facibeni morì a Rifredi di Firenze il 2 giugno 1958. Il processo per la sua beatificazione fu aperto il 10 agosto 1989. Don Giulio Facibeni con il sindaco di Firenze Giorgio La Pira e alcuni dei suoi ragazzi Servo di Dio, fondatore dell’Opera Madonnina del Grappa
  • 15. MONS. ADALBERTO MAMBELLI Don Mambelli era nato a Rocca San Casciano nel 1927 e venne ordinato sacerdote il 7 aprile 1950. Nel 1955 fu nominato parroco di Castrocaro dove svolse il suo ministero per 47 anni, fino alla morte avvenuta il 6 maggio 2002. Insegnante per molti anni aveva fondato l’associazione Don Bosco e la casa di riposo Ziani-Venturini. Nel 1973 fu tra i soci fondatori della cooperativa “Scuola aperta” che promosse il liceo linguistico “Adamo Pasini” e la “Nuova scuola media libera” della quale fu anche preside. Assistente dell’Azione Cattolica, dell’Unione provinciale di Confcooperative, dell’Agesc e dell’Unitalsi guidò numerosi pellegrinaggi al santuario Lourdes. Sacerdote di profonda cultura teologica e umanistica era anche fine oratore. Il giorno delle esequie centinaia di parrocchiani e di amici parteciparono al funerale e alla sepoltura nel cimitero di Castrocaro. DON ARTURO FEMICELLI Don Arturo era nato a San Martino in Villafranca, il 14 dicembre 1925. Entrato in seminario nel 1936 ebbe come padre spirituale mons. Giuseppe Prati, il familiare don Pippo dei forlivesi e fu ordinato sacerdote il 27 giugno 1948. Fu cappellano in varie parrocchie della città, insegnante di religione all’Istituto Magistrale per 33 anni e nel 1972 iniziò il ministero a Santa Caterina, in via Gervasi, dove fu parroco fino alla morte avvenuta il 4 ottobre 2002. Pittore e musicista, organizzava pellegrinaggi e utilizzava i nuovi mezzi di comunicazione per incontrare le persone e comunicare la speranza a tante persone che grazie a lui si sono riavvicinate alla fede e MONS. GIAN MICHELE FUSCONI Mons. Gian Michele Fusconi, parroco di Regina Pacis dal 1965 fino alla morte avvenuta improvvisamente il 28 dicembre 1996, uomo di cultura e studioso di storia locale, fu, tra l'altro, il "regista" della visita di Giovanni Paolo II a Forlì l'8 maggio 1986. Sacerdote di profonda cultura, era stato insegnante per molti anni, aveva tra l'altro curato e pubblicato i primi due volumi di"Forlì e i suoi vescovi" ordinando le schede raccolte dallo zio, mons. Calandrini. Svolse ricerche anche di storia locali con pubblicazioni su San Mercuriale e sulla permanenza di Sant’Antonio a Montepaolo. Pochi mesi prima della sua morte i media nazionali avevano parlato di lui perché la domenica prima di Pasqua aveva distribuito nella sua chiesa rami di palma al posto dei rami d'ulivo, che in quel periodo era utilizzato come simbolo da alcune formazioni politiche.
  • 16. La fede e i testimoni “Nel deserto si riscopre il valore di ciò che è essenziale per vivere; così nel mondo contemporaneo sono innumerevoli i segni, spesso espressi in forma implicita o negativa, della sete di Dio, del senso ultimo della vita. E nel deserto c’è bisogno soprattutto di persone di fede che, con la loro stessa vita, indicano la via verso la Terra promessa e così tengono desta la speranza” (Benedetto XVI, omelia di apertura dell’Anno della Fede) “La vita è come un viaggio sul mare della storia, spesso oscuro ed in burrasca, un viaggio nel quale scrutiamo gli astri che ci indicano la rotta. Le vere stelle della nostra vita sono le persone che hanno saputo vivere rettamente. Esse sono luci di speranza. Certo, Gesù Cristo è la luce per antonomasia, il sole sorto sopra tutte le tenebre della storia. Ma per giungere fino a Lui abbiamo bisogno anche di luci vicine, di persone che donano luce traendola dalla sua luce ed offrono così orientamento per la nostra traversata” Benedetto XVI