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Comunicazione in alto mare. Dati e coordinate di rotta
Rapporto di ricerca Scienze.com (a.a. 2012-2013)
Abstract
1. Obiettivi e metodi
Dopo anni di intenso riformismo del sistema formativo universitario, siamo finalmente giunti in un periodo
nel quale è possibile effettuare studi su un impianto didattico oramai “normalizzato”. Ciò ha consentito di
osservare l’andamento lineare nell’arco di un triennio dei percorsi formativi che sono riusciti a concludere il
loro naturale ciclo di vita senza “transitare” lungo il “tragitto” da una trasformazione normativa all’altra.
L’analisi ha, dunque, permesso di cogliere a pieno potenzialità e criticità determinate dai recenti
cambiamenti, ma anche di avviare riflessioni su orientamenti e prospettive future.
Accanto al monitoraggio annuale, volto a fotografare lo stato dell’arte dei corsi di comunicazione in Italia,
l’Osservatorio Scienze.com1
ha sentito l’esigenza di estendere i suoi orizzonti di osservazione a livello
nazionale e internazionale, al fine di fornire alla Conferenza, ulteriori spunti di dibattito, anche alla luce
delle sfide attuali in termini di internazionalizzazione e di una maggiore apertura dei corsi di studio verso
l’esterno. A tal proposito, è stato costruito un iter di indagine multilevel: accanto all’analisi dell’offerta
formativa, è stata realizzata una websurvey che ha coinvolto i presidenti dei corsi di laurea, mirata ad
approfondire le tematiche più avanzate e a cogliere tendenze e opportunità di miglioramento, oltre a studi
sulla composizione delle proposte didattiche erogate negli Stati Uniti e sulle strutture di comunicazione
delle imprese, al fine di rintracciare nel mercato e nel confronto universitario internazionale elementi utili
per ulteriori revisioni del progetto culturale in comunicazione.
Nello specifico, gli studi intrapresi nell’a.a. 2012-13 sono stati organizzati nel seguente modo:
1
Quest’anno hanno partecipato al gruppo di ricerca i dottorandi afferenti al Dottorato di Scienze della Comunicazione
della Sapienza, XXVIII ciclo, con il coordinamento scientifico di Gaia Peruzzi e Rosanna Consolo e la direzione scientifica
di Mario Morcellini e Barbara Mazza, il coordinamento organizzativo di Anna Angela Franchitto e Raffaele Lombardi.
Componenti gruppo di ricerca: Marta Almela Salvador, Giulia Andronico, Simona Arizia, Monika Bukat Katarzyna
Francesco Catarinozzi, Andressa Collet.
2
1.1 Analisi dell’offerta formativa dei corsi di laurea in comunicazione in Italia
Dopo aver raccolto una mole ingente di informazioni relative ad ogni singolo corso, a partire da quelle
presenti nel sito del Ministero dell’Università, dai piani di studi e dai portali dei singoli corsi, si è proceduto
alla sistematizzazione e alla loro analisi in termini quali-quantitativi. Il materiale raccolto ha consentito di
esaminare l’intera offerta formativa incentrata sullo studio dell’organizzazione dei corsi di laurea, sia in
termini di appeal sulla popolazione studentesca in ingresso, sia rispetto alla coerenza del progetto
formativo nei confronti della classe in cui si inscrivono e, ancor più, della proposta didattica presentata
all’utenza. Nel dettaglio, le indagini si sono focalizzate su alcune dimensioni principali relative alla
strutturazione dei percorsi formativi:
a) modalità e tipologie di accesso al fine di verificare la capacità di attrazione dei singoli corsi a partire
dalla trasparenza delle informazioni erogate, dalla valutazione della numerosità minima degli immatricolati,
nonché dei posti riservati dalla sede, ma anche in relazione al tasso di mobilità determinato dalla quota di
studenti residenti fuori provincia, stranieri/Erasmus e provenienti da altre sedi universitarie;
b) impianto della proposta formativa a partire da quanto dichiarato dai singoli corsi di laurea in
merito a obiettivi, risultati di apprendimento, sbocchi e profili professionali per verificare il rapporto tra
quanto promesso all’utenza in rapporto a quanto effettivamente erogato dal corso di studio;
c) articolazione delle attività didattiche del corso di studio per analizzare il peso delle aree
disciplinari e del relativo scostamento della composizione del piano didatticoa rispetto agli standard medi
della classe, della quota di docenti afferenti a un settore disciplinare che insegnano materie incardinate in
quel settore disciplinare, della quota di copertura dei docenti di ruolo, a partire dalle soglie minime indicate
dalla normativa (D.M. 31/10/2007 n. 544, DDL 25/11/2009 n. 1905, D.M. 22/10/2010 n. 17).
d) Ulteriori approfondimenti tesi a rilevare le differenze in termini di offerta fra atenei statali e non
statali, oltre che fra corsi in comunicazione ospitati da mega atenei e università pubbliche di dimensioni
grandi, medie e piccole, secondo la classificazione elaborata dal Censis nel 20112
: mega-Atenei con oltre
40.000 iscritti, Atenei grandi con 20.000-40.000 iscritti, Atenei medi con 10.000-20.000 iscritti, piccoli
Atenei con un massimo di 10.000 iscritti. Ciò al fine di comprendere, anche alla luce del più attuale dibattito
sui diversi standard qualitativi offerti allo studente, dove si possa rintracciare una proposta culturale e
didattica più competitiva e rispondente alle attese della platea studentesca.
e) Infine, si è proceduto a realizzare un focus sulle regioni e sulle “capitali” della comunicazione,
ovvero su quelle sedi alle quali accede quasi la metà dei nuovi ingressi nei corsi di comunicazione in Italia.
Ciò al fine di comprendere orientamenti e tendenze all’innovazione che si delineano in Lazio e in
Lombardia, specie a Roma e a Milano.
1.2 Ricognizione di approfondimento sull’offerta formativa in Scienze della comunicazione a livello
nazionale mediante websurvey
Al fine di acquisire ulteriori informazioni, non sempre facilmente ricavabili dai siti, sulle strategie di
governance delle singole sedi e sugli orientamenti di revisione dell’offerta in relazione a dimensioni che
attengono il rapporto con studenti, stakeholder e la questione dell’internazionalizzazione, è stata realizzata
una websurvey destinata ai presidenti dei Corsi di laurea.
Il questionario semistrutturato è stato organizzato in quattro sezioni tematiche. Ad una prima area
destinata alla raccolta delle informazioni generali sul singolo corso di studio, segue una sezione dedicata
all’organizzazione delle attività di orientamento, di gestione della didattica e della prova finale. La terza
parte del questionario è finalizzata a cogliere alcuni aspetti sui quali si concentrano maggiormente gli effetti
della riforma e che vanno dall’internazionalizzazione all’incidenza delle lingue straniere nell’articolazione
degli insegnamenti, dalla mobilità ai rapporti con le imprese, al monitoraggio dell’inserimento
occupazionale dei propri laureati.
2 CFR: Classifica 20011 degli Atenei italiani, http://www.censisservizi.com/.
3
Nell’ultima sezione, infine, si chiede di ricostruire il quadro dettagliato dell’offerta formativa tenendo conto
della composizione del corpo docente e dell’articolazione degli insegnamenti sulla base dei settori
disciplinari impiegati.
1.3 Analisi dell’offerta formativa dei corsi di laurea in comunicazione negli Stati Uniti
Il modello formativo statunitense viene di solito preso in considerazione come pietra di paragone, se non
addirittura quale input per la definizione dei processi di riforma, rispetto all’efficienza e all’efficacia dei
sistemi europei, in generale e, italiano, in particolare. Per tale motivo, si è deciso di approfondire la
conoscenza dell’impianto formativo mediante l’analisi dei piani di studio di un gruppo di corsi ritenuti tra i
migliori nell’ambito della formazione in comunicazione. A tal proposito, è stato realizzato un focus su 51
corsi di laurea attivi in 10 Atenei americani.
L’impianto analitico utilizzato ricalca, almeno nelle sue linee generali, quello adottato per l’analisi dei corsi
italiani (v. 1.1.) e si concentra sull’insieme di insegnamenti erogati nei Bachelor’s degree e nei Master’s
degree di 10 università statunitensi di “eccellenza”, in quanto erogano una formazione completa e
comprensiva dei corsi di Phd, selezionate sulla base dell’uso combinato dei ranking adottati dal National
Research Council e dall’Educational portal of Communication. L’obiettivo è rintracciare differenze e
similitudini rispetto all’impianto formativo italiano, anche al fine di comprendere, a partire dall’analisi delle
epigrafi, gli elementi che rendono l’offerta americana attrattiva e riconoscibile dagli studenti e dal mercato
del lavoro.
1.4 Focus sulle strutture di comunicazione presenti in alcune imprese italiane
L’ultima dimensione di analisi avviata quest’anno attiene a un focus sulle denominazioni adottate da alcune
imprese italiane per definire strutture e comparti nei quali si svolgono attività di comunicazione. In questo
caso la scelta è ricaduta su 12 aziende medio-grandi che operano nel mercato globale, selezionate tra le
prime 20 riconosciute come le migliori in termini di brand reputation a livello internazionale sulla base di
“2012 Country RepTrak™ Topline Report”. Lo studio, effettuato da Reputation Institute tra gennaio e
febbraio 2012, offre una fotografia della reputazione dei mercati di oltre 50 Paesi coinvolti nell’indagine in
base alla percezione testata su circa 36.000 consumatori nel mondo.
2. I principali risultati
In questo report sintetico, si riportano solo i risultati più significativi emersi dalla ricerca condotta da
Scienze.com nell’a.a 2012-2013, mentre il complesso dell’analisi verrà resa pubblica sul sito
dell’Osservatorio (www.unimonitor.it).
2.1 Il flusso dei nuovi ingressi nei corsi di comunicazione
L’andamento complessivo dell’università italiana registra, nell’ultimo quadriennio caratterizzato dall’effetto
crisi, un calo lieve, ma costante, di immatricolazioni e iscrizioni al primo anno delle lauree magistrali che si
attesta intorno a -6%. In questo scenario, la situazione dei corsi in comunicazione, per la prima volta,
evidenzia un segnale piuttosto preoccupante. Se, fino ad oggi le lauree triennali mostravano una
sostanziale tenuta, con valori che rimanevano addirittura in continua crescita, adesso appaiono in netta
caduta, con una perdita di nuovi ingressi del -13%. A ciò si aggiunge un peggioramento della decrescita di
iscritti al primo anno delle magistrali, passato da -14% dello scorso anno a -23% di quest’ultimo anno
accademico, sempre rispetto al triennio precedente (v. tab. 2). Una flessione complessiva della domanda
che si registra a saldo pressoché invariato dell’offerta, dato che il numero di corsi attivi è rimasto
sostanzialmente stabile rispetto allo scorso anno (v. tab.1): in Italia, vi sono al momento 53 corsi di laurea di
4
primo livello e 59 di secondo, con una lieve diminuzione del numero di curricula (-20%) attivati nelle sedi,
pure in conseguenza alla rimodulazione prevista dalla Riforma Gelmini. Nel complesso, dunque, la
comunicazione appare navigare, per la prima volta nella sua storia, in alto mare.
Anche nel dettaglio delle lauree di secondo livello, si nota come tutte registrino un segno negativo,
compreso le classi di laurea che, ancora l’anno precedente, mostravano una maggior capacità di tenuta
come lnformazione e sistemi editoriali (-17%) e Comunicazione pubblica, d’impresa e pubblicità (-24%). La
classe che sembra perdere meno sul triennio, rispetto all’a.a. precedente, è Teorie della comunicazione,
nonostante registri una flessione di -33%. Un dato influenzato, almeno in parte, dal fatto che è l’unica
classe di laurea in crescita per numero di corsi di laurea attivi, tanto da aver effettuato per la prima volta il
sorpasso sulla LM19 (17 vs 15 CdLm in Informazione e sistemi editoriali).
Tab. 1 – I corsi di laurea in regime 270 nell’ultimo triennio
Corsi di laurea a.a. 2010-2011 a.a. 2011-2012 a.a. 2012-2013
Cdl 270 56 53 53
CdlM 270 65 63 59
Fonte: Miur 2012
Tab. 2 - I nuovi ingressi ai corsi di Comunicazione
Classi
di laurea
Matricole e iscritti al
primo anno
a.a. 2010-2011
Matricole e iscritti al
primo anno
a.a. 2011-2012
Matricole e iscritti
al primo anno
a.a. 2012-13
Var. %
sul triennio
L 20 7.509 7.841 6.522 -13%
LM 19 1.312 1.238 1.087 -17%
LM 59 2.055 1.892 1.566 -24%
LM 91 22 16 8 -64%
LM 92 660 386 440 -33%
LM 93 231 175 98 -58%
LM Tot. 4.168 3.721 3.199 -23%
Fonte: Miur 2012
Sempre rispetto al quadro generale, va rilevato che le migliori performance in termini di tenuta dei nuovi
ingressi la registrano i mega Atenei e le Università private che, come già emerso nello studio condotto nel
2012, vengono ritenute dalla platea studentesca più vicine al mercato del lavoro e, dunque, in grado di
offrire maggiori opportunità di inserimento professionale al termine degli studi.
Di contro, l’impianto della proposta formativa, nel suo complesso, si mantiene migliore nel pubblico. Le
università statali riescono a garantire con maggiore efficienza gli standard di qualità previsti dagli
ordinamenti e la loro struttura didattica risulta molto più rispondente al progetto culturale inscritto nella
classe di appartenenza. Nello specifico, la combinazione dei macrosettori disciplinari impartiti garantisce
una proposta più coerente e meglio organizzata nelle università pubbliche (57% vs. 43% università private)
e negli Atenei medio-piccoli rispetto ai grandi e ai mega (59% vs. 54%). Allo stesso modo, la sostenibilità del
5
corpo docente è decisamente più elevata nel pubblico (52% vs. 11% università private), pure nel pieno
rispetto dei requisiti imposti dalla normativa alle università statali e non altrettanto vincolanti nelle private.
2.2 Luci e ombre dell’offerta formativa in comunicazione
Sulla base di quanto emerso sinora appare evidente che, per fronteggiare il calo della domanda, non è
sufficiente garantire un impianto formativo coerente e ben strutturato. I dati ci impongono di prendere in
considerazione almeno due aspetti di criticità che non sembrano giocare a nostro favore, almeno nel
medio-lungo termine.
Il primo attiene alla questione della capacità di attrarre studenti stranieri e fuori sede che risulta piuttosto
bassa, specie per i corsi di primo livello (23% vs 27% nel secondo livello). In entrambi i livelli il bacino di
provenienza è costituito per lo più dagli studenti residenti nelle regioni limitrofe (70% nel primo livello e
80% nel secondo livello) ed è pressoché inesistente quello composto dagli studenti stranieri: la quota si
attesta al 3% solo nel caso delle lauree magistrali.
Il secondo aspetto ha, invece, un carattere previsionale e riguarda l’effetto sulla riconoscibilità delle
strutture derivante dalla recente ristrutturazione dei Dipartimenti ai quali corsi di laurea in Comunicazione
fanno capo. Da un’osservazione condotta sui 46 Dipartimenti coinvolti risulta che in appena 15 delle
epigrafi compare il riferimento alla comunicazione. Nei restanti 34 casi viene ricompresa nelle
denominazioni Scienze umanistiche/studi umanistici, Scienze della formazione, Scienze cognitive, Scienze
politiche e sociali, Lingue, lettere e letterature. Nel passaggio recentemente avvenuto della gestione
didattica dalle Facoltà ai Dipartimenti si evidenzia un processo di “riassorbimento” dentro contenitori
disciplinari più ampi che denota come la comunicazione sappia attraversare diversi saperi formativi e forse,
proprio per questo, ci si potrebbe chiedere se ciò non sia una possibile risposta agli attacchi subiti dalla
comunicazione in questi ultimi anni. Di certo, il problema emergente e destinato a generare inevitabili
conseguenze, almeno per qualche anno, attiene al rischio dell’effetto “spaesamento” che non aiuta i nuovi
studenti a destreggiarsi nella ricerca delle proposte formative. Sebbene i corsi di laurea mantengano la loro
identità, sarà comunque fondamentale orientare con maggiore cura e attenzione i ragazzi interessati ad
iscriversi e, in tal senso, sarebbe di sicuro utile progettare nuove etichette, capaci di raccontare in maniera
chiara e immediata le peculiarità della formazione in comunicazione.
A tal proposito, continua a far riflettere lo scarso utilizzo di strumenti di orientamento mirati e differenziati
rispetto alla segmentazione della platea studentesca. Come già emerso lo scorso anno, le strutture si
affidano più agli sportelli informativi e all’organizzazione di incontri pubblici (80%) che alla rete (4%). Anche
i dati emersi dalla websurvey, alla quale ha risposto il 38% dei corsi di laurea, confermano tale tendenza,
sebbene il campione esaminato mostri una maggiore sensibilità verso l’uso dei siti dedicati e dei social
network (rispettivamente 18% e 7%). La metà degli intervistati ha, inoltre, in progetto di differenziare nel
prossimo futuro le strategie di orientamento e di curare maggiormente sia il segmento dei fuori sede che
quello degli studenti stranieri.
Va, inoltre, sottolineata l’attenzione riservata all’introduzione della lingua inglese nell’erogazione degli
insegnamenti: 35 su 41 dei presidenti intervistati ha confermato l’impiego della lingua straniera nel corso di
studio, sebbene, nella maggior parte dei casi, ad un livello “discrezionale” e privo di qualsiasi obbligatorietà.
A fronte di una quota contenuta che riserva corsi in lingua per gli studenti Erasmus (6), la scelta, in quasi la
metà dei casi (14) si è orientata verso l’inserimento di parti di programma che possono essere preparate in
inglese. Tra quanti hanno invece optato per una presenza più strutturata (12), la maggior parte (7) ha
previsto l’attivazione nel corso di alcuni insegnamenti obbligatori in lingua.
L’attenzione al tema dell’internazionalizzazione risulta piuttosto rilevante nonostante, come confermano i
risultati della websurvey, gli sforzi intrapresi sino ad ora richiedono di essere ulteriormente potenziati. Sono
ancora piuttosto bassi - a parte sporadiche eccezioni – le medie relative ai numeri di docenti e di studenti in
mobilità: nell’a.a. 2011-12 la quota media di docenti visiting, sia in entrata sia in uscita, per ciascun corso di
laurea è inferiore a 5 e anche il numero di studenti coinvolti in progetti Erasmus non supera le 25 unità per
corso di studio nella maggioranza dei casi considerati. I numeri più consistenti si registrano solo nei grandi e
nei mega Atenei e, per lo più, nei corsi di secondo livello.
6
2.3 La questione delle denominazioni: il “biglietto da visita” dei corsi.
Il focus sulle parole chiave connotanti le denominazioni dei corsi di laurea è oramai un approfondimento
che l’Osservatorio svolge con costanza in quanto lo ritiene di particolare rilevanza. Negli anni si è rivelato
un contributo utile in fase di riprogettazione dell’offerta per molte sedi, in quanto consente di monitorare –
mediante la sintesi estrema nelle etichette dei corsi – la capacità dell’offerta formativa in comunicazione
nel rispondere ai cambiamenti culturali, professionali e del mercato.
In questa breve rassegna dei principali risultati emersi dall’indagine, ci si limiterà a fornire indicazioni sugli
aspetti più innovativi emersi dalle analisi condotte quest’anno, rinviando maggiori approfondimenti al
rapporto di ricerca integrale. Rispetto allo scorso anno, accanto ad un confronto con le epigrafi utilizzate
dalle imprese, si restituirà anche l’esito di un’analisi condotta sui corsi di laurea in comunicazione in alcune
università statunitensi, al fine di individuare elementi di differenza e di convergenza nella declinazione dei
saperi specifici.
Nella consapevolezza che la denominazione è di per sé un fattore di attrattività, in quanto costituisce il
primo richiamo per lo studente in ingresso, l’analisi di quest’anno ha dedicato un approfondimento sulle
etichette nominali che si rivelano più aderenti agli andamenti del mercato del lavoro di riferimento, ma
anche più attente a rappresentare le logiche di internazionalizzazione (si rintracciano casi in tutte le classi,
anche se in misura esigua), in quanto tali aspetti costituiscono una tra le sfide attuali dell’accademia
italiana.
Per l’analisi delle denominazioni nei corsi di laurea in Italia, lo studio è stata condotto sui corsi di secondo
livello ricompresi nelle classi più numerose in termini di proposte formative attive sul territorio nazionale:
Informazione e sistemi editoriali (LM19), Comunicazione pubblica, d’impresa e pubblicità (LM59), Teorie
della comunicazione (LM92).
Per ciascuno di essi è stato poi effettuato uno screening dei titoli degli insegnamenti, al fine di
comprendere in quale direzione vengono declinate le etichette generali dei corsi e dei curricula.
Per quanto attiene all’epigrafe dei corsi di studio emerge come la loro composizione richiami in maniera
immediata e molto aderente la denominazione della classe di appartenenza (informazione, giornalismo
editoria, sistema editoriale, comunicazione d’impresa, comunicazione pubblica, comunicazione istituzionale,
pubblicità, teoria, culture, comunicazione, 73%) quasi a volerne confermare l’adesione. Al contempo, vi
sono richiami agli ambiti sui quali insiste maggiormente la composizione dell’offerta formativa (specie nel
caso della LM59: organizzazioni, imprese, editoria, marketing, management, comunicazione
integrata/strategica, comunicazione politica, consumi, non profit, 20%) e il riferimento alle tecniche e alle
tecnologie, ai metodi e ai linguaggi di cui si compone la “cassetta degli attrezzi” (specie nel caso della LM19-
LM92: multimediale, digitale, tecnologie dell’informazione, scrittura, metodi e linguaggi, strategie, design,
22%). In maniera trasversale alle denominazioni dei corsi di studio, gli elementi più ricorrenti sono l’uso del
termine ombrello “comunicazione” e il riferimento alla multimedialità.
In questo senso, Comunicazione pubblica d’impresa e pubblicità, è la classe nella quale gli insegnamenti
articolano in maniera più estesa l’eterogeneità degli ambiti della comunicazione all’insegna
dell’innovazione dei saperi e dei processi (accanto ai settori già indicati nella denominazione della classe
40%, gli insegnamenti afferiscono anche alla comunicazione multimediale e visiva, politica e sociale,
all’organizzazione di eventi e alle pubbliche relazioni e sottolineano l’importanza operativa e di processo di
metodi e tecniche relative al city marketing e al marketing politico e sociale, al brand e alla corporate
image, all’opinione pubblica, al territorio e allo sviluppo locale, ecc., 30%).
Nel complesso, la disamina delle parole chiave che compongono il nome dei singoli insegnamenti per
ciascuna classe è volto a sottolineare i settori della comunicazione, sia da un punto di vista teorico, sia in
una prospettiva applicativa, con particolare attenzione ai comparti produttivi e alle procedure di
confezionamento dei prodotti/servizi della comunicazione. Nello specifico delle tre classi esaminate,
emerge come il lessico degli insegnamenti di Informazione e sistemi editoriali tenda a contestualizzare
formati, generi e stili della pratica giornalistica nella cornice teorica di riferimento (23%), al contempo,
esalti lo scenario digitale nel quale il professionista dell’informazione si trova ad operare (la società delle
reti e i new media, 12%) e metta in rilievo l’insieme di saperi e tecniche per il confezionamento dei
7
contenuti (storytelling, narrazione transmediale, linguaggio giornalistico, processi creativi, tecniche di
produzione e postproduzione, ecc., 20%).
Le teorie della comunicazione, come emerso negli ultimi anni, tendono ad assumere un taglio sempre
meno interdisciplinare, in favore di una mission coerente con la denominazione della classe e, al contempo,
con forti tratti di interculturalità. Accanto ad una formazione teorica incentrata sulle teorie classiche della
comunicazione e sugli Internet studies (42%) gli insegnamenti articolano i diversi saperi della comunicazione
(pubblica, pubblicitaria audiovisiva, giornalistica, artistica e politica, 30%). I nuovi media costituiscono uno
scenario centrale, approfondito nei linguaggi, nelle tecniche e nei metodi di ricerca propri della disciplina
(tra i quali, metodi di ricerca non standard, analisi del contenuto).
Rispetto alla possibilità di richiamare in maniera diretta processi produttivi, almeno come declinati dal
mercato, le denominazioni che appaiono più originali, rintracciate nell’analisi delle parole chiave degli
insegnamenti, si rivelano quelle capaci di incrociare segmenti di mercato del lavoro della comunicazione e,
in tal senso, la loro appetibilità è proporzionale alla maggior opportunità di essere “riconoscibili” agli occhi
delle imprese e “assonanti” ai comparti produttivi (Art direction, Branding, Corporate identity, Immagine
di marca, Lobbyng, Media planning, Promozione d’immagine, Pubbliche Relazioni, Public affairs,
Shopping behavior).
Tale connotazione applicativa risulta ancora più evidente se si effettua un confronto con le epigrafi delle
strutture di comunicazione di alcune tra le imprese italiane più quotate in termini di brand reputation nel
mercato nazionale e internazionale (v. 1.1). L’analisi condotta sui comparti di comunicazione di 12 aziende
del calibro di Armani, Ferrero, BMW, Mercedes, Barilla, Luxottica, Hp, Piaggio, Artsana, Pirelli, Alpitour,
Coop, evidenziano che la terminologia più utilizzata – per lo più in lingua inglese per la vocazione globale -
fa riferimento ai seguenti settori:
• Advertising
• After sales
• Buying
• Business
Development
• Corporate brand
• Customer Service
• Experential marketing
• Internal Auditing
• Investor Relations
• Institutonal Affairs
• Personal Affairs
• Pianificazione
aziendale
• Planning
• Product Development
• Product Management
• Product Sales
Management
• Relazioni esterne
• Retail
• Sponsorizzazioni
• Strategia
• Trade
• Visual Merchandising
Alla luce di queste riflessioni è, senza dubbio, utile perseguire la strada del rinnovamento delle epigrafi,
perché costituisce un modo per rendere le competenze erogate direttamente riconoscibili dal mercato. Del
resto, ciascuno di questi saperi appartiene da tempo ai curricula di comunicazione. Si tratta, a questo
punto, solo di renderli visibili, avvicinando il lessico accademico ai linguaggi del mondo produttivo. In tal
modo, è possibile delineare il terreno semantico e operativo su cui configurare i curricula formativi dei
laureati in modo che risultino più competitivi in fase di accesso e selezione da parte del mercato del lavoro.
2.4 Dall’Italia all’America: l’analisi delle denominazioni dei corsi di laurea nelle università U.S.A.
La formazione universitaria americana viene ritenuta di eccellenza perché capace di attrarre investimenti, i
migliori docenti e i migliori studenti da ogni parte del mondo e di favorire l’ingresso dei suoi laureati nel
mercato del lavoro. Analizzare il naming dei corsi in comunicazione erogati negli States costituisce quindi,
un’occasione per cogliere ulteriori spunti di riflessione in vista di eventuali revisioni delle denominazioni dei
corsi e di progettazione di insegnamenti, nell’ottica di potenziare la capacità attrattiva dei corsi di studio
8
italiani. Nei prossimi anni, si cercherà di estendere il lavoro, esaminando pure i corsi di studio attivi in
Europa, così da poter fornire alla Conferenza una visione ancora più ampia delle divrse impostazioni
culturali e di progettazione dei cori di studio in comunicazione.
In merito al caso della formazione in Usa sono state prese in considerazione 10 università americane
(University of Florida, Michigan State University, University of Illinois at Urbana – Champaign, New York
University, Indiana University – Bloomington, Temple University – Philadelphia, University of Southern
California, North Carolina State University at Raleigh, Texas Tech University, University of Pennsylvania) i cui
corsi in comunicazione sono ritenuti tra i migliori offerti negli Stati Uniti, sulla base del Ranking elaborato
dal National Research Council. La selezione è stata effettuata, confrontando la lista con quella inscritta nel
ranking adottato come punto di riferimento sul portale dedicato alla formazione universitaria e pensato
come guida proprio per la scelta degli studenti americani. Le suddette università sono, inoltre, tra quelle
che offrono corsi più avanzati, compresi i Phd. Si tratta di un aspetto importante da segnalare in quanto, le
università americane si distinguono in quelle che offrono solo didattica e quelle che coniugano didattica e
ricerca e dunque, sono ritenute le più complete, oltre, di solito, ad essere le più grandi e, quindi, capaci di
accogliere quote significative di studenti.
L’analisi effettuata ha preso in considerazione 51 corsi di studio tra Bachelor’s degree e Master’s degree,
equivalenti rispettivamente alle lauree triennali e magistrali dell’ordinamento italiano e un totale di 1.468
insegnamenti. L’intenzione iniziale era di concentrare il monitoraggio solo sui Master’s degree
(corrispondente al secondo livello) ma, in favore di una maggiore completezza dell’informazione, è stato
impossibile separare i due livelli della formazione in maniera del tutto coincidente con il sistema italiano.
Negli Stati Uniti, infatti, si prevede una maggiore destrutturazione del percorso, la cui organizzazione è
affidata alle scelte dello studente. Per questo motivo, i Dipartimenti mettono ogni anno a disposizione una
lista di insegnamenti fra i quali definire il proprio percorso di studi indipendentemente dal ciclo di laurea.
Solo in rari casi, accanto alla denominazione dell’insegnamento è indicato, in maniera specifica il suo rigido
incardinamento in un ciclo.
A conferma di una maggiore aderenza tra il nome dei corsi di laurea e il lessico del mercato è emersa, sin
dal primo screening, la volontà, da parte delle sedi, di posizionare i corsi di studio in maniera chiara rispetto
ai settori produttivi di riferimento, utilizzando epigrafi che connotano in modo esplicito la mission
formativa e il bagaglio di competenze e conoscenze spendibili in segmenti di mercato ben definiti e
riconoscibili. Dall’analisi dei Dipartimenti e delle denominazioni dei corsi di studio è stato così possibile
classificare in 6 macrocategorie i corsi di studio dedicati alla comunicazione nel seguente modo:
- Communications and Media studies (11 corsi): si tratta di quei corsi dedicati allo studio teorico della
comunicazione, con particolare attenzione alle scienze della comunicazione, agli aspetti relazionali, culturali
e interculturali, all’analisi dei processi sociali e del rapporto tra le principali istituzioni sociali (politica e
legge), all’approfondimento dei media studies e della comunicazione visuale. Le parole chiave che
compongono le denominazioni dei corsi sono: Science of Communication, Communication, Global and
Transcultural Communication, Interaction and Social Processes, Persuasion and Politics, Law and Media
Policy, Media and Communication, Media Culture and Communication, Telecommunication, Information
Studies and Media, Images and Screen Studies. Tra le parole chiave che compongono le etichette degli
insegnamenti si evidenziano soprattutto quelle dell’industria culturale per i quali gli studenti vengono
preparati professionalmente (30%): Film, journalism, Organization and Public Relations, Theater, Television,
Campaign, Music, Advertising, Mobile Technology, Events/spectacles, Gaming, Photography.
- Journalism (10 corsi): i corsi dedicati al giornalismo hanno una denominazione specifica ed esclusiva. Tutti i
corsi esaminati, infatti, si chiamano Giornalismo ad eccezione di un paio di casi nei quali si tende comunque
ad evidenziare la peculiarità del settore formativo e professionale di riferimento. In un caso la
denominazione Journalism specialized è volta a sottolineare la vasta gamma di forme di giornalismo
specializzato che compongono l’offerta formativa (investigativo, radiotelevisivo della carta stampata, ecc.),
nell’altro, l'etichetta scelta Print and Digital Journalism Requirements, evidenzia come la preparazione
erogata tenga conto dei processi operativi nell’ambito dell’informazione tradizionale rispetto a quello
digitale. In sostanza, il patto comunicativo che viene instaurato con lo studente è chiaro e diretto e ben
orientato rispetto al settore professionale di riferimento. Pure tra le parole chiave che compongono le
etichette degli insegnamenti si evidenziano soprattutto quelle volte a sottolineare le branche del
9
giornalismo e i suoi processi produttivi specifici (65%): Journalism specialized (radio, television, visual,
Environment, Science and Health, investigating, non-fiction television, arts, youth, education and learning),
News/newsgathering (presentation, radio production, social media, television, audio-visual, international
news and Government Regional Dynamics, reporting decisions, opinion writing, Press and Modern
Presidency, fact finding), Multimedia journalism (storytelling, digital, text. Video and audio, multiplatform
news), Editing/design (magazine, newspaper, news, photojournalism), Professional (project, Art and Craft
of Personal Journalism, educational advising/visual), Print and online publishing (newswriting, reporting In-
Depth Research Techniques for Print) Photojournalism, Documentary (on television and film, pre-production,
production, video).
- Library, Media and Telecommunication production (9 corsi): si tratta di quei corsi dedicati ad approfondire
la conoscenza delle teorie e delle tecniche per la gestione di processi manageriali e produttivi nei settori
tipici dell’industria culturale: dai media all’editoria, dall’audiovisivo alle telecomunicazioni, dall’industria
cinematografica a quella musicale, dalla produzione di informazione alla comunicazione sportiva, e così via,
in maniera anche molto specialistica e parcellizzata. Tali corsi erogano un solido fondamento teorico negli
studi della comunicazione e nei media studies e dedicano particolare attenzione al ruolo delle tecnologie e
della multimedialità. Tra le parole chiave che compongono le denominazioni dei corsi si segnalano:
Broadcast/ing, Telecommunications, Mass Media, Electronic Media, Entertainment Communication
Management, Information and Library Science, Media and Library Sciences, Media Strategies, Sports media
studies, Technology and Society. Tra le parole chiave che compongono le etichette degli insegnamenti si
evidenziano proprio i settori dell’industria culturale di riferimento (Broadcast, news, media, Cinema,
Advertising , Photography , Telecommunication, Sports, Music, 24%) e, in particolare, al settore editoriale
(Art Librarianship, health sciences, manuscripts, music, perspective, rare books, descriptive Bibliography,
reader, literacy, cataloging, youth literature 9%), con un’attenzione mirata ai processi di organizzazione e
gestione delle attività produttive (Media Markets and Managers: Innovative to Traditional Models, public
relations management, managing communication, leadership skills, International Relations, development,
media planning and Campaigns, Library management 11%).
- Public Relations and Management (12 corsi): se nell’offerta formativa italiana la “comunicazione
d’impresa” è una terminologia “ombrello” che tende a racchiudere l’insieme di processi che attengono alla
governance e alla gestione di processi, le denominazioni adottate nei corsi americani risultano molto più
focalizzate rispetto al complesso di skills e competenze e alla loro spendibilità in ambiti professionali
specifici. In primo luogo, in questo gruppo di corsi emerge una netta centralità delle Pubbliche relazioni,
tanto che, spesso, la denominazione è unica e non abbinata ad altre parole chiave. In alcuni casi si combina
con il termine management o con l’aggettivo strategic, a sottolinearne la funzionalità nella definizione di
politiche aziendali. In questo gruppo, rientrano anche i corsi di studio dedicati alla formazione nella
comunicazione d’impresa propriamente intesa, esplicitata nelle accezioni: Communication Management,
Corporate Communication, talvolta abbinati al termine Marketing o all’aggettivo strategic o agli aggettivi
organizational, international e global. Gli insegnamenti che compongono questi corsi sono dedicati
soprattutto allo studio delle relazioni pubbliche e alla progettazione di campagne di comunicazione (23%) e,
per questo, hanno un solido fondamento teorico nello studio del management e della comunicazione di
massa (13%).
- Advertising (6 corsi): tutti i corsi dedicati allo studio della pubblicità, come già emerso nel caso del
giornalismo, hanno lo stesso nome: Advertising. Ulteriore particolarità è il fatto che non risulta nemmeno
l’abbinamento con aggettivi, demandati invece a supportare e precisare ulteriormente gli insegnamenti
ricompresi nel corso di studio. Advertising, Sales and Retail sono gli ambiti principali nei quali si orientano
gli insegnamenti volti all’approfondimento dei processi produttivi nell’ambito della pubblicità e della
promozione, con una prospettiva gestionale e manageriale (Promotion, organizations, interactive,
corporations, non-profits, portfolio preparation, directing, sponsorship, management, design media,
educational multimedia, tv, news, story, sound, motion, editing, web authoring, multi-platform
programming, tecnniques, media plan/ning, account planning, Advertising, classic, competition, integrate,
Processes, Strategy and Tactics, 28%). Altrettanto fondamentali nella composizione dell’offerta formativa
risultano quegli insegnamenti dedicati alla conoscenza delle industrie culturali, dei media e del loro
sviluppo nel mondo (Media: british, settings, youth, literacy, genres, global, theory, criticism, latin america,
10
performance, public, images, environment, business, videogame, tv, music/recording, photography, sports,
radio, Information society, ITC, Internet studies, telecommunication, innovations, tecnologies 30%).
- Other Communication sectors (3 corsi): in questo raggruppamento rientrano quei corsi di studio “di
frontiera” dedicati a quei settori, a maggior carattere di interdisciplinarietà, nei quali il ruolo della
comunicazione sta diventando sempre più centrale: in combinazione con i saperi medici, la comunicazione
della salute (Health and Risk Communication) lo studio dei disturbi del linguaggio e della comunicazione
(Communicative Science and Disorders) e, in combinazione con conoscenze scientifiche, la comunicazione
per l’agricoltura (Agricultural Communications) dedicato alla formazione nel campo della divulgazione
delle conoscenze in materia di nutrizione, alimentazione, produzione alimentare e gestione ambientale. Le
denominazioni degli insegnamenti attivi in questi corsi evidenziano una formazione incentrata sullo studio
dei saperi della comunicazione in particolari settori e tenendo conto delle implicazioni sociali, relazionali e
comportamentali (integrated strategies, mass communication, human animal interactions, enviroment
communication, agricultural communication, nutrition communication, public health communication,
attitudes, behaviour, values, diverse population, social change, social movements, 57%), oltre all’analisi dei
media e dei target di riferimento, specie i bambini e i giovani (children, social services, relations, social,
entertainment, educational, 27%) e agli aspetti gestionali della produzione e della divulgazione di contenuti
comunicativi (farm enterprises, advocacy, campaigns, educational planning, design, evaluation 16%).
Rispetto all’impianto dell’offerta formativa italiana, gli ambiti disciplinari risultano rispecchiare in maniera
più chiara e immediata i mercati di riferimento e, dunque, in tal senso, è evidente il minor rischio di
apparire troppo teorici e poco capaci di preparare i giovani alle esigenze del mercato.
Allo stesso modo, è tempo di sfatare lo stereotipo di una preparazione iper-specialistica. In realtà, la
composizione dei corsi prevede, accanto agli insegnamenti Major field, ovvero, inscritti nei territori
specifici della disciplina, materie relative alla cultura di base, nella quale è prevista l’erogazione di
conoscenze relative alla storia, alla letteratura, alla filosofia e alla scienze umane, alle lingue straniere,
all’economia, al diritto, alle scienze politiche, alla matematica, e alle scienze fisiche e naturali. Accanto a tali
insegnamenti si segnalano quelli della retorica, nei quali si inscrivono le soft skills tipiche della
comunicazione, che vanno dallo sviluppo della scrittura professionale al public speaking. Tali conoscenze e
abilità appaiono fondanti per l’intera formazione universitaria poiché su queste poggia lo sviluppo delle
capacità critiche, oltre che argomentative ed espositive. In tal senso, il valore della comunicazione diviene
anche quello di concorrere alla definizione di un metodo di analisi e interpretazione della realtà, oltre che di
approccio al lavoro e alla risoluzione delle problematiche. Si tratta di ambiti sempre più richiesti e
monitorati anche negli studi sui profili professionali a livello europeo e nazionale e, in tal senso,
richiederebbero, probabilmente, di essere valorizzati e potenziati pure nei percorsi accademici nazionali.
Certo, con questo non si vuole affermare che il modello americano sia da ritenersi necessariamente il
migliore (al di là di quanto indicato dai ranking internazionali) e, dunque, applicabile, o comunque imitabile,
in Italia. È, parimenti, impossibile importarne alcune parti senza una visione progettuale definita in una
prospettiva a lungo termine che tenga conto pure delle differenze contestuali, normative e finanziarie. Ma
non è questo il compito dello screening effettuato, piuttosto, l’intento è di fornire alcuni spunti alla
riflessione della Conferenza a partire dagli elementi di confronto emersi con maggior nitidezza. In primo
luogo, dal monitoraggio condotto non emergono differenze strutturali significative nell’organizzazione
dell’impianto formativo, pure in virtù del fatto che il fondamento dell’impostazione statunitense poggia
sull’intenzione di equilibrare una preparazione culturale generale di base con quella specialistica, a partire
dal tentativo di riprendere lo schema della cultura classica. Lo dimostra il fatto che, se si confrontano le
quote di insegnamenti dedicati alla formazione teorica e a quella applicativa non emergono differenze
particolari. Il peso delle materie dedicate allo studio delle teorie della comunicazione (24% nei corsi usa vs.
23% nei corsi italiani), così come il numero di insegnamenti destinato agli aspetti dell’innovazione
tecnologica e allo studio dei media (17% corsi americani vs. 19% corsi italiani) addirittura si equivalgono. I
corsi di laurea in Italia pongono maggiore attenzione allo studio dei linguaggi, dei metodi e delle tecniche di
analisi di supporto alle fasi successive di progettazione di processi e creazione di contenuti comunicativi
(2% corsi americani vs. 10% corsi italiani), mentre quelli statunitensi hanno una seppur lieve concentrazione
di insegnamenti settoriali orientati verso i diversi ambiti produttivi (47% corsi americani vs. 43% corsi
11
italiani) e soprattutto dedicano maggiore spazio all’approfondimento di aspetti culturali e relativi agli
scenari contestuali e internazionali nel quale si determinano i fenomeni sociali (per esempio, violenza,
criminalità, disabilità, ecc.; 10% corsi americani vs. 5% corsi italiani.) Si tratta, q, di differenze minime che
non giustificano, di certo, la considerazione di un modello americano molto differente dal nostro e, per
questo, da ritenersi superiore. Posta la questione in altri termini, si può sostenere e ribadire che l’offerta
italiana non è di certo meno equilibrata e attenta ai contenuti di innovazione e aggiornamento dei saperi di
quella americana di “eccellenza”.
L’aspetto sul quale può essere utile soffermare la riflessione ed, eventualmente, prendere spunto,
dall’approccio statunitense non attiene, dunque, alla sostanza dei contenuti, quanto alla scelta delle
etichette con le quali presentarli. Specie per quanto concerne le denominazioni dei corsi, un approccio più
“divulgativo” e orientato al brand potrebbe forse rendere più accattivanti le proposte formative, anche alla
luce dell’esigenza del mercato di definire percorsi e profili in maniera sempre più nitida e specifica. La
sensibilità nei confronti delle attese del sistema produttivo non vuole essere uno stimolo al mero
’”adeguamento” alle esigenze del mercato ma, al contrario, una modalità di valorizzazione di un progetto
culturale, quale è quello della comunicazione in Italia, che, nonostante debba troppo spesso fare i conti con
stereotipi, critiche e attacchi, si conferma – nel suo complesso - al passo con le incessanti trasformazioni
della società contemporanea e, capace di fornire professionalità strategiche e funzionali a padroneggiare il
cambiamento.

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Abstract Rapporto di Ricerca Scienze.com - Luglio 2013

  • 1. Comunicazione in alto mare. Dati e coordinate di rotta Rapporto di ricerca Scienze.com (a.a. 2012-2013) Abstract 1. Obiettivi e metodi Dopo anni di intenso riformismo del sistema formativo universitario, siamo finalmente giunti in un periodo nel quale è possibile effettuare studi su un impianto didattico oramai “normalizzato”. Ciò ha consentito di osservare l’andamento lineare nell’arco di un triennio dei percorsi formativi che sono riusciti a concludere il loro naturale ciclo di vita senza “transitare” lungo il “tragitto” da una trasformazione normativa all’altra. L’analisi ha, dunque, permesso di cogliere a pieno potenzialità e criticità determinate dai recenti cambiamenti, ma anche di avviare riflessioni su orientamenti e prospettive future. Accanto al monitoraggio annuale, volto a fotografare lo stato dell’arte dei corsi di comunicazione in Italia, l’Osservatorio Scienze.com1 ha sentito l’esigenza di estendere i suoi orizzonti di osservazione a livello nazionale e internazionale, al fine di fornire alla Conferenza, ulteriori spunti di dibattito, anche alla luce delle sfide attuali in termini di internazionalizzazione e di una maggiore apertura dei corsi di studio verso l’esterno. A tal proposito, è stato costruito un iter di indagine multilevel: accanto all’analisi dell’offerta formativa, è stata realizzata una websurvey che ha coinvolto i presidenti dei corsi di laurea, mirata ad approfondire le tematiche più avanzate e a cogliere tendenze e opportunità di miglioramento, oltre a studi sulla composizione delle proposte didattiche erogate negli Stati Uniti e sulle strutture di comunicazione delle imprese, al fine di rintracciare nel mercato e nel confronto universitario internazionale elementi utili per ulteriori revisioni del progetto culturale in comunicazione. Nello specifico, gli studi intrapresi nell’a.a. 2012-13 sono stati organizzati nel seguente modo: 1 Quest’anno hanno partecipato al gruppo di ricerca i dottorandi afferenti al Dottorato di Scienze della Comunicazione della Sapienza, XXVIII ciclo, con il coordinamento scientifico di Gaia Peruzzi e Rosanna Consolo e la direzione scientifica di Mario Morcellini e Barbara Mazza, il coordinamento organizzativo di Anna Angela Franchitto e Raffaele Lombardi. Componenti gruppo di ricerca: Marta Almela Salvador, Giulia Andronico, Simona Arizia, Monika Bukat Katarzyna Francesco Catarinozzi, Andressa Collet.
  • 2. 2 1.1 Analisi dell’offerta formativa dei corsi di laurea in comunicazione in Italia Dopo aver raccolto una mole ingente di informazioni relative ad ogni singolo corso, a partire da quelle presenti nel sito del Ministero dell’Università, dai piani di studi e dai portali dei singoli corsi, si è proceduto alla sistematizzazione e alla loro analisi in termini quali-quantitativi. Il materiale raccolto ha consentito di esaminare l’intera offerta formativa incentrata sullo studio dell’organizzazione dei corsi di laurea, sia in termini di appeal sulla popolazione studentesca in ingresso, sia rispetto alla coerenza del progetto formativo nei confronti della classe in cui si inscrivono e, ancor più, della proposta didattica presentata all’utenza. Nel dettaglio, le indagini si sono focalizzate su alcune dimensioni principali relative alla strutturazione dei percorsi formativi: a) modalità e tipologie di accesso al fine di verificare la capacità di attrazione dei singoli corsi a partire dalla trasparenza delle informazioni erogate, dalla valutazione della numerosità minima degli immatricolati, nonché dei posti riservati dalla sede, ma anche in relazione al tasso di mobilità determinato dalla quota di studenti residenti fuori provincia, stranieri/Erasmus e provenienti da altre sedi universitarie; b) impianto della proposta formativa a partire da quanto dichiarato dai singoli corsi di laurea in merito a obiettivi, risultati di apprendimento, sbocchi e profili professionali per verificare il rapporto tra quanto promesso all’utenza in rapporto a quanto effettivamente erogato dal corso di studio; c) articolazione delle attività didattiche del corso di studio per analizzare il peso delle aree disciplinari e del relativo scostamento della composizione del piano didatticoa rispetto agli standard medi della classe, della quota di docenti afferenti a un settore disciplinare che insegnano materie incardinate in quel settore disciplinare, della quota di copertura dei docenti di ruolo, a partire dalle soglie minime indicate dalla normativa (D.M. 31/10/2007 n. 544, DDL 25/11/2009 n. 1905, D.M. 22/10/2010 n. 17). d) Ulteriori approfondimenti tesi a rilevare le differenze in termini di offerta fra atenei statali e non statali, oltre che fra corsi in comunicazione ospitati da mega atenei e università pubbliche di dimensioni grandi, medie e piccole, secondo la classificazione elaborata dal Censis nel 20112 : mega-Atenei con oltre 40.000 iscritti, Atenei grandi con 20.000-40.000 iscritti, Atenei medi con 10.000-20.000 iscritti, piccoli Atenei con un massimo di 10.000 iscritti. Ciò al fine di comprendere, anche alla luce del più attuale dibattito sui diversi standard qualitativi offerti allo studente, dove si possa rintracciare una proposta culturale e didattica più competitiva e rispondente alle attese della platea studentesca. e) Infine, si è proceduto a realizzare un focus sulle regioni e sulle “capitali” della comunicazione, ovvero su quelle sedi alle quali accede quasi la metà dei nuovi ingressi nei corsi di comunicazione in Italia. Ciò al fine di comprendere orientamenti e tendenze all’innovazione che si delineano in Lazio e in Lombardia, specie a Roma e a Milano. 1.2 Ricognizione di approfondimento sull’offerta formativa in Scienze della comunicazione a livello nazionale mediante websurvey Al fine di acquisire ulteriori informazioni, non sempre facilmente ricavabili dai siti, sulle strategie di governance delle singole sedi e sugli orientamenti di revisione dell’offerta in relazione a dimensioni che attengono il rapporto con studenti, stakeholder e la questione dell’internazionalizzazione, è stata realizzata una websurvey destinata ai presidenti dei Corsi di laurea. Il questionario semistrutturato è stato organizzato in quattro sezioni tematiche. Ad una prima area destinata alla raccolta delle informazioni generali sul singolo corso di studio, segue una sezione dedicata all’organizzazione delle attività di orientamento, di gestione della didattica e della prova finale. La terza parte del questionario è finalizzata a cogliere alcuni aspetti sui quali si concentrano maggiormente gli effetti della riforma e che vanno dall’internazionalizzazione all’incidenza delle lingue straniere nell’articolazione degli insegnamenti, dalla mobilità ai rapporti con le imprese, al monitoraggio dell’inserimento occupazionale dei propri laureati. 2 CFR: Classifica 20011 degli Atenei italiani, http://www.censisservizi.com/.
  • 3. 3 Nell’ultima sezione, infine, si chiede di ricostruire il quadro dettagliato dell’offerta formativa tenendo conto della composizione del corpo docente e dell’articolazione degli insegnamenti sulla base dei settori disciplinari impiegati. 1.3 Analisi dell’offerta formativa dei corsi di laurea in comunicazione negli Stati Uniti Il modello formativo statunitense viene di solito preso in considerazione come pietra di paragone, se non addirittura quale input per la definizione dei processi di riforma, rispetto all’efficienza e all’efficacia dei sistemi europei, in generale e, italiano, in particolare. Per tale motivo, si è deciso di approfondire la conoscenza dell’impianto formativo mediante l’analisi dei piani di studio di un gruppo di corsi ritenuti tra i migliori nell’ambito della formazione in comunicazione. A tal proposito, è stato realizzato un focus su 51 corsi di laurea attivi in 10 Atenei americani. L’impianto analitico utilizzato ricalca, almeno nelle sue linee generali, quello adottato per l’analisi dei corsi italiani (v. 1.1.) e si concentra sull’insieme di insegnamenti erogati nei Bachelor’s degree e nei Master’s degree di 10 università statunitensi di “eccellenza”, in quanto erogano una formazione completa e comprensiva dei corsi di Phd, selezionate sulla base dell’uso combinato dei ranking adottati dal National Research Council e dall’Educational portal of Communication. L’obiettivo è rintracciare differenze e similitudini rispetto all’impianto formativo italiano, anche al fine di comprendere, a partire dall’analisi delle epigrafi, gli elementi che rendono l’offerta americana attrattiva e riconoscibile dagli studenti e dal mercato del lavoro. 1.4 Focus sulle strutture di comunicazione presenti in alcune imprese italiane L’ultima dimensione di analisi avviata quest’anno attiene a un focus sulle denominazioni adottate da alcune imprese italiane per definire strutture e comparti nei quali si svolgono attività di comunicazione. In questo caso la scelta è ricaduta su 12 aziende medio-grandi che operano nel mercato globale, selezionate tra le prime 20 riconosciute come le migliori in termini di brand reputation a livello internazionale sulla base di “2012 Country RepTrak™ Topline Report”. Lo studio, effettuato da Reputation Institute tra gennaio e febbraio 2012, offre una fotografia della reputazione dei mercati di oltre 50 Paesi coinvolti nell’indagine in base alla percezione testata su circa 36.000 consumatori nel mondo. 2. I principali risultati In questo report sintetico, si riportano solo i risultati più significativi emersi dalla ricerca condotta da Scienze.com nell’a.a 2012-2013, mentre il complesso dell’analisi verrà resa pubblica sul sito dell’Osservatorio (www.unimonitor.it). 2.1 Il flusso dei nuovi ingressi nei corsi di comunicazione L’andamento complessivo dell’università italiana registra, nell’ultimo quadriennio caratterizzato dall’effetto crisi, un calo lieve, ma costante, di immatricolazioni e iscrizioni al primo anno delle lauree magistrali che si attesta intorno a -6%. In questo scenario, la situazione dei corsi in comunicazione, per la prima volta, evidenzia un segnale piuttosto preoccupante. Se, fino ad oggi le lauree triennali mostravano una sostanziale tenuta, con valori che rimanevano addirittura in continua crescita, adesso appaiono in netta caduta, con una perdita di nuovi ingressi del -13%. A ciò si aggiunge un peggioramento della decrescita di iscritti al primo anno delle magistrali, passato da -14% dello scorso anno a -23% di quest’ultimo anno accademico, sempre rispetto al triennio precedente (v. tab. 2). Una flessione complessiva della domanda che si registra a saldo pressoché invariato dell’offerta, dato che il numero di corsi attivi è rimasto sostanzialmente stabile rispetto allo scorso anno (v. tab.1): in Italia, vi sono al momento 53 corsi di laurea di
  • 4. 4 primo livello e 59 di secondo, con una lieve diminuzione del numero di curricula (-20%) attivati nelle sedi, pure in conseguenza alla rimodulazione prevista dalla Riforma Gelmini. Nel complesso, dunque, la comunicazione appare navigare, per la prima volta nella sua storia, in alto mare. Anche nel dettaglio delle lauree di secondo livello, si nota come tutte registrino un segno negativo, compreso le classi di laurea che, ancora l’anno precedente, mostravano una maggior capacità di tenuta come lnformazione e sistemi editoriali (-17%) e Comunicazione pubblica, d’impresa e pubblicità (-24%). La classe che sembra perdere meno sul triennio, rispetto all’a.a. precedente, è Teorie della comunicazione, nonostante registri una flessione di -33%. Un dato influenzato, almeno in parte, dal fatto che è l’unica classe di laurea in crescita per numero di corsi di laurea attivi, tanto da aver effettuato per la prima volta il sorpasso sulla LM19 (17 vs 15 CdLm in Informazione e sistemi editoriali). Tab. 1 – I corsi di laurea in regime 270 nell’ultimo triennio Corsi di laurea a.a. 2010-2011 a.a. 2011-2012 a.a. 2012-2013 Cdl 270 56 53 53 CdlM 270 65 63 59 Fonte: Miur 2012 Tab. 2 - I nuovi ingressi ai corsi di Comunicazione Classi di laurea Matricole e iscritti al primo anno a.a. 2010-2011 Matricole e iscritti al primo anno a.a. 2011-2012 Matricole e iscritti al primo anno a.a. 2012-13 Var. % sul triennio L 20 7.509 7.841 6.522 -13% LM 19 1.312 1.238 1.087 -17% LM 59 2.055 1.892 1.566 -24% LM 91 22 16 8 -64% LM 92 660 386 440 -33% LM 93 231 175 98 -58% LM Tot. 4.168 3.721 3.199 -23% Fonte: Miur 2012 Sempre rispetto al quadro generale, va rilevato che le migliori performance in termini di tenuta dei nuovi ingressi la registrano i mega Atenei e le Università private che, come già emerso nello studio condotto nel 2012, vengono ritenute dalla platea studentesca più vicine al mercato del lavoro e, dunque, in grado di offrire maggiori opportunità di inserimento professionale al termine degli studi. Di contro, l’impianto della proposta formativa, nel suo complesso, si mantiene migliore nel pubblico. Le università statali riescono a garantire con maggiore efficienza gli standard di qualità previsti dagli ordinamenti e la loro struttura didattica risulta molto più rispondente al progetto culturale inscritto nella classe di appartenenza. Nello specifico, la combinazione dei macrosettori disciplinari impartiti garantisce una proposta più coerente e meglio organizzata nelle università pubbliche (57% vs. 43% università private) e negli Atenei medio-piccoli rispetto ai grandi e ai mega (59% vs. 54%). Allo stesso modo, la sostenibilità del
  • 5. 5 corpo docente è decisamente più elevata nel pubblico (52% vs. 11% università private), pure nel pieno rispetto dei requisiti imposti dalla normativa alle università statali e non altrettanto vincolanti nelle private. 2.2 Luci e ombre dell’offerta formativa in comunicazione Sulla base di quanto emerso sinora appare evidente che, per fronteggiare il calo della domanda, non è sufficiente garantire un impianto formativo coerente e ben strutturato. I dati ci impongono di prendere in considerazione almeno due aspetti di criticità che non sembrano giocare a nostro favore, almeno nel medio-lungo termine. Il primo attiene alla questione della capacità di attrarre studenti stranieri e fuori sede che risulta piuttosto bassa, specie per i corsi di primo livello (23% vs 27% nel secondo livello). In entrambi i livelli il bacino di provenienza è costituito per lo più dagli studenti residenti nelle regioni limitrofe (70% nel primo livello e 80% nel secondo livello) ed è pressoché inesistente quello composto dagli studenti stranieri: la quota si attesta al 3% solo nel caso delle lauree magistrali. Il secondo aspetto ha, invece, un carattere previsionale e riguarda l’effetto sulla riconoscibilità delle strutture derivante dalla recente ristrutturazione dei Dipartimenti ai quali corsi di laurea in Comunicazione fanno capo. Da un’osservazione condotta sui 46 Dipartimenti coinvolti risulta che in appena 15 delle epigrafi compare il riferimento alla comunicazione. Nei restanti 34 casi viene ricompresa nelle denominazioni Scienze umanistiche/studi umanistici, Scienze della formazione, Scienze cognitive, Scienze politiche e sociali, Lingue, lettere e letterature. Nel passaggio recentemente avvenuto della gestione didattica dalle Facoltà ai Dipartimenti si evidenzia un processo di “riassorbimento” dentro contenitori disciplinari più ampi che denota come la comunicazione sappia attraversare diversi saperi formativi e forse, proprio per questo, ci si potrebbe chiedere se ciò non sia una possibile risposta agli attacchi subiti dalla comunicazione in questi ultimi anni. Di certo, il problema emergente e destinato a generare inevitabili conseguenze, almeno per qualche anno, attiene al rischio dell’effetto “spaesamento” che non aiuta i nuovi studenti a destreggiarsi nella ricerca delle proposte formative. Sebbene i corsi di laurea mantengano la loro identità, sarà comunque fondamentale orientare con maggiore cura e attenzione i ragazzi interessati ad iscriversi e, in tal senso, sarebbe di sicuro utile progettare nuove etichette, capaci di raccontare in maniera chiara e immediata le peculiarità della formazione in comunicazione. A tal proposito, continua a far riflettere lo scarso utilizzo di strumenti di orientamento mirati e differenziati rispetto alla segmentazione della platea studentesca. Come già emerso lo scorso anno, le strutture si affidano più agli sportelli informativi e all’organizzazione di incontri pubblici (80%) che alla rete (4%). Anche i dati emersi dalla websurvey, alla quale ha risposto il 38% dei corsi di laurea, confermano tale tendenza, sebbene il campione esaminato mostri una maggiore sensibilità verso l’uso dei siti dedicati e dei social network (rispettivamente 18% e 7%). La metà degli intervistati ha, inoltre, in progetto di differenziare nel prossimo futuro le strategie di orientamento e di curare maggiormente sia il segmento dei fuori sede che quello degli studenti stranieri. Va, inoltre, sottolineata l’attenzione riservata all’introduzione della lingua inglese nell’erogazione degli insegnamenti: 35 su 41 dei presidenti intervistati ha confermato l’impiego della lingua straniera nel corso di studio, sebbene, nella maggior parte dei casi, ad un livello “discrezionale” e privo di qualsiasi obbligatorietà. A fronte di una quota contenuta che riserva corsi in lingua per gli studenti Erasmus (6), la scelta, in quasi la metà dei casi (14) si è orientata verso l’inserimento di parti di programma che possono essere preparate in inglese. Tra quanti hanno invece optato per una presenza più strutturata (12), la maggior parte (7) ha previsto l’attivazione nel corso di alcuni insegnamenti obbligatori in lingua. L’attenzione al tema dell’internazionalizzazione risulta piuttosto rilevante nonostante, come confermano i risultati della websurvey, gli sforzi intrapresi sino ad ora richiedono di essere ulteriormente potenziati. Sono ancora piuttosto bassi - a parte sporadiche eccezioni – le medie relative ai numeri di docenti e di studenti in mobilità: nell’a.a. 2011-12 la quota media di docenti visiting, sia in entrata sia in uscita, per ciascun corso di laurea è inferiore a 5 e anche il numero di studenti coinvolti in progetti Erasmus non supera le 25 unità per corso di studio nella maggioranza dei casi considerati. I numeri più consistenti si registrano solo nei grandi e nei mega Atenei e, per lo più, nei corsi di secondo livello.
  • 6. 6 2.3 La questione delle denominazioni: il “biglietto da visita” dei corsi. Il focus sulle parole chiave connotanti le denominazioni dei corsi di laurea è oramai un approfondimento che l’Osservatorio svolge con costanza in quanto lo ritiene di particolare rilevanza. Negli anni si è rivelato un contributo utile in fase di riprogettazione dell’offerta per molte sedi, in quanto consente di monitorare – mediante la sintesi estrema nelle etichette dei corsi – la capacità dell’offerta formativa in comunicazione nel rispondere ai cambiamenti culturali, professionali e del mercato. In questa breve rassegna dei principali risultati emersi dall’indagine, ci si limiterà a fornire indicazioni sugli aspetti più innovativi emersi dalle analisi condotte quest’anno, rinviando maggiori approfondimenti al rapporto di ricerca integrale. Rispetto allo scorso anno, accanto ad un confronto con le epigrafi utilizzate dalle imprese, si restituirà anche l’esito di un’analisi condotta sui corsi di laurea in comunicazione in alcune università statunitensi, al fine di individuare elementi di differenza e di convergenza nella declinazione dei saperi specifici. Nella consapevolezza che la denominazione è di per sé un fattore di attrattività, in quanto costituisce il primo richiamo per lo studente in ingresso, l’analisi di quest’anno ha dedicato un approfondimento sulle etichette nominali che si rivelano più aderenti agli andamenti del mercato del lavoro di riferimento, ma anche più attente a rappresentare le logiche di internazionalizzazione (si rintracciano casi in tutte le classi, anche se in misura esigua), in quanto tali aspetti costituiscono una tra le sfide attuali dell’accademia italiana. Per l’analisi delle denominazioni nei corsi di laurea in Italia, lo studio è stata condotto sui corsi di secondo livello ricompresi nelle classi più numerose in termini di proposte formative attive sul territorio nazionale: Informazione e sistemi editoriali (LM19), Comunicazione pubblica, d’impresa e pubblicità (LM59), Teorie della comunicazione (LM92). Per ciascuno di essi è stato poi effettuato uno screening dei titoli degli insegnamenti, al fine di comprendere in quale direzione vengono declinate le etichette generali dei corsi e dei curricula. Per quanto attiene all’epigrafe dei corsi di studio emerge come la loro composizione richiami in maniera immediata e molto aderente la denominazione della classe di appartenenza (informazione, giornalismo editoria, sistema editoriale, comunicazione d’impresa, comunicazione pubblica, comunicazione istituzionale, pubblicità, teoria, culture, comunicazione, 73%) quasi a volerne confermare l’adesione. Al contempo, vi sono richiami agli ambiti sui quali insiste maggiormente la composizione dell’offerta formativa (specie nel caso della LM59: organizzazioni, imprese, editoria, marketing, management, comunicazione integrata/strategica, comunicazione politica, consumi, non profit, 20%) e il riferimento alle tecniche e alle tecnologie, ai metodi e ai linguaggi di cui si compone la “cassetta degli attrezzi” (specie nel caso della LM19- LM92: multimediale, digitale, tecnologie dell’informazione, scrittura, metodi e linguaggi, strategie, design, 22%). In maniera trasversale alle denominazioni dei corsi di studio, gli elementi più ricorrenti sono l’uso del termine ombrello “comunicazione” e il riferimento alla multimedialità. In questo senso, Comunicazione pubblica d’impresa e pubblicità, è la classe nella quale gli insegnamenti articolano in maniera più estesa l’eterogeneità degli ambiti della comunicazione all’insegna dell’innovazione dei saperi e dei processi (accanto ai settori già indicati nella denominazione della classe 40%, gli insegnamenti afferiscono anche alla comunicazione multimediale e visiva, politica e sociale, all’organizzazione di eventi e alle pubbliche relazioni e sottolineano l’importanza operativa e di processo di metodi e tecniche relative al city marketing e al marketing politico e sociale, al brand e alla corporate image, all’opinione pubblica, al territorio e allo sviluppo locale, ecc., 30%). Nel complesso, la disamina delle parole chiave che compongono il nome dei singoli insegnamenti per ciascuna classe è volto a sottolineare i settori della comunicazione, sia da un punto di vista teorico, sia in una prospettiva applicativa, con particolare attenzione ai comparti produttivi e alle procedure di confezionamento dei prodotti/servizi della comunicazione. Nello specifico delle tre classi esaminate, emerge come il lessico degli insegnamenti di Informazione e sistemi editoriali tenda a contestualizzare formati, generi e stili della pratica giornalistica nella cornice teorica di riferimento (23%), al contempo, esalti lo scenario digitale nel quale il professionista dell’informazione si trova ad operare (la società delle reti e i new media, 12%) e metta in rilievo l’insieme di saperi e tecniche per il confezionamento dei
  • 7. 7 contenuti (storytelling, narrazione transmediale, linguaggio giornalistico, processi creativi, tecniche di produzione e postproduzione, ecc., 20%). Le teorie della comunicazione, come emerso negli ultimi anni, tendono ad assumere un taglio sempre meno interdisciplinare, in favore di una mission coerente con la denominazione della classe e, al contempo, con forti tratti di interculturalità. Accanto ad una formazione teorica incentrata sulle teorie classiche della comunicazione e sugli Internet studies (42%) gli insegnamenti articolano i diversi saperi della comunicazione (pubblica, pubblicitaria audiovisiva, giornalistica, artistica e politica, 30%). I nuovi media costituiscono uno scenario centrale, approfondito nei linguaggi, nelle tecniche e nei metodi di ricerca propri della disciplina (tra i quali, metodi di ricerca non standard, analisi del contenuto). Rispetto alla possibilità di richiamare in maniera diretta processi produttivi, almeno come declinati dal mercato, le denominazioni che appaiono più originali, rintracciate nell’analisi delle parole chiave degli insegnamenti, si rivelano quelle capaci di incrociare segmenti di mercato del lavoro della comunicazione e, in tal senso, la loro appetibilità è proporzionale alla maggior opportunità di essere “riconoscibili” agli occhi delle imprese e “assonanti” ai comparti produttivi (Art direction, Branding, Corporate identity, Immagine di marca, Lobbyng, Media planning, Promozione d’immagine, Pubbliche Relazioni, Public affairs, Shopping behavior). Tale connotazione applicativa risulta ancora più evidente se si effettua un confronto con le epigrafi delle strutture di comunicazione di alcune tra le imprese italiane più quotate in termini di brand reputation nel mercato nazionale e internazionale (v. 1.1). L’analisi condotta sui comparti di comunicazione di 12 aziende del calibro di Armani, Ferrero, BMW, Mercedes, Barilla, Luxottica, Hp, Piaggio, Artsana, Pirelli, Alpitour, Coop, evidenziano che la terminologia più utilizzata – per lo più in lingua inglese per la vocazione globale - fa riferimento ai seguenti settori: • Advertising • After sales • Buying • Business Development • Corporate brand • Customer Service • Experential marketing • Internal Auditing • Investor Relations • Institutonal Affairs • Personal Affairs • Pianificazione aziendale • Planning • Product Development • Product Management • Product Sales Management • Relazioni esterne • Retail • Sponsorizzazioni • Strategia • Trade • Visual Merchandising Alla luce di queste riflessioni è, senza dubbio, utile perseguire la strada del rinnovamento delle epigrafi, perché costituisce un modo per rendere le competenze erogate direttamente riconoscibili dal mercato. Del resto, ciascuno di questi saperi appartiene da tempo ai curricula di comunicazione. Si tratta, a questo punto, solo di renderli visibili, avvicinando il lessico accademico ai linguaggi del mondo produttivo. In tal modo, è possibile delineare il terreno semantico e operativo su cui configurare i curricula formativi dei laureati in modo che risultino più competitivi in fase di accesso e selezione da parte del mercato del lavoro. 2.4 Dall’Italia all’America: l’analisi delle denominazioni dei corsi di laurea nelle università U.S.A. La formazione universitaria americana viene ritenuta di eccellenza perché capace di attrarre investimenti, i migliori docenti e i migliori studenti da ogni parte del mondo e di favorire l’ingresso dei suoi laureati nel mercato del lavoro. Analizzare il naming dei corsi in comunicazione erogati negli States costituisce quindi, un’occasione per cogliere ulteriori spunti di riflessione in vista di eventuali revisioni delle denominazioni dei corsi e di progettazione di insegnamenti, nell’ottica di potenziare la capacità attrattiva dei corsi di studio
  • 8. 8 italiani. Nei prossimi anni, si cercherà di estendere il lavoro, esaminando pure i corsi di studio attivi in Europa, così da poter fornire alla Conferenza una visione ancora più ampia delle divrse impostazioni culturali e di progettazione dei cori di studio in comunicazione. In merito al caso della formazione in Usa sono state prese in considerazione 10 università americane (University of Florida, Michigan State University, University of Illinois at Urbana – Champaign, New York University, Indiana University – Bloomington, Temple University – Philadelphia, University of Southern California, North Carolina State University at Raleigh, Texas Tech University, University of Pennsylvania) i cui corsi in comunicazione sono ritenuti tra i migliori offerti negli Stati Uniti, sulla base del Ranking elaborato dal National Research Council. La selezione è stata effettuata, confrontando la lista con quella inscritta nel ranking adottato come punto di riferimento sul portale dedicato alla formazione universitaria e pensato come guida proprio per la scelta degli studenti americani. Le suddette università sono, inoltre, tra quelle che offrono corsi più avanzati, compresi i Phd. Si tratta di un aspetto importante da segnalare in quanto, le università americane si distinguono in quelle che offrono solo didattica e quelle che coniugano didattica e ricerca e dunque, sono ritenute le più complete, oltre, di solito, ad essere le più grandi e, quindi, capaci di accogliere quote significative di studenti. L’analisi effettuata ha preso in considerazione 51 corsi di studio tra Bachelor’s degree e Master’s degree, equivalenti rispettivamente alle lauree triennali e magistrali dell’ordinamento italiano e un totale di 1.468 insegnamenti. L’intenzione iniziale era di concentrare il monitoraggio solo sui Master’s degree (corrispondente al secondo livello) ma, in favore di una maggiore completezza dell’informazione, è stato impossibile separare i due livelli della formazione in maniera del tutto coincidente con il sistema italiano. Negli Stati Uniti, infatti, si prevede una maggiore destrutturazione del percorso, la cui organizzazione è affidata alle scelte dello studente. Per questo motivo, i Dipartimenti mettono ogni anno a disposizione una lista di insegnamenti fra i quali definire il proprio percorso di studi indipendentemente dal ciclo di laurea. Solo in rari casi, accanto alla denominazione dell’insegnamento è indicato, in maniera specifica il suo rigido incardinamento in un ciclo. A conferma di una maggiore aderenza tra il nome dei corsi di laurea e il lessico del mercato è emersa, sin dal primo screening, la volontà, da parte delle sedi, di posizionare i corsi di studio in maniera chiara rispetto ai settori produttivi di riferimento, utilizzando epigrafi che connotano in modo esplicito la mission formativa e il bagaglio di competenze e conoscenze spendibili in segmenti di mercato ben definiti e riconoscibili. Dall’analisi dei Dipartimenti e delle denominazioni dei corsi di studio è stato così possibile classificare in 6 macrocategorie i corsi di studio dedicati alla comunicazione nel seguente modo: - Communications and Media studies (11 corsi): si tratta di quei corsi dedicati allo studio teorico della comunicazione, con particolare attenzione alle scienze della comunicazione, agli aspetti relazionali, culturali e interculturali, all’analisi dei processi sociali e del rapporto tra le principali istituzioni sociali (politica e legge), all’approfondimento dei media studies e della comunicazione visuale. Le parole chiave che compongono le denominazioni dei corsi sono: Science of Communication, Communication, Global and Transcultural Communication, Interaction and Social Processes, Persuasion and Politics, Law and Media Policy, Media and Communication, Media Culture and Communication, Telecommunication, Information Studies and Media, Images and Screen Studies. Tra le parole chiave che compongono le etichette degli insegnamenti si evidenziano soprattutto quelle dell’industria culturale per i quali gli studenti vengono preparati professionalmente (30%): Film, journalism, Organization and Public Relations, Theater, Television, Campaign, Music, Advertising, Mobile Technology, Events/spectacles, Gaming, Photography. - Journalism (10 corsi): i corsi dedicati al giornalismo hanno una denominazione specifica ed esclusiva. Tutti i corsi esaminati, infatti, si chiamano Giornalismo ad eccezione di un paio di casi nei quali si tende comunque ad evidenziare la peculiarità del settore formativo e professionale di riferimento. In un caso la denominazione Journalism specialized è volta a sottolineare la vasta gamma di forme di giornalismo specializzato che compongono l’offerta formativa (investigativo, radiotelevisivo della carta stampata, ecc.), nell’altro, l'etichetta scelta Print and Digital Journalism Requirements, evidenzia come la preparazione erogata tenga conto dei processi operativi nell’ambito dell’informazione tradizionale rispetto a quello digitale. In sostanza, il patto comunicativo che viene instaurato con lo studente è chiaro e diretto e ben orientato rispetto al settore professionale di riferimento. Pure tra le parole chiave che compongono le etichette degli insegnamenti si evidenziano soprattutto quelle volte a sottolineare le branche del
  • 9. 9 giornalismo e i suoi processi produttivi specifici (65%): Journalism specialized (radio, television, visual, Environment, Science and Health, investigating, non-fiction television, arts, youth, education and learning), News/newsgathering (presentation, radio production, social media, television, audio-visual, international news and Government Regional Dynamics, reporting decisions, opinion writing, Press and Modern Presidency, fact finding), Multimedia journalism (storytelling, digital, text. Video and audio, multiplatform news), Editing/design (magazine, newspaper, news, photojournalism), Professional (project, Art and Craft of Personal Journalism, educational advising/visual), Print and online publishing (newswriting, reporting In- Depth Research Techniques for Print) Photojournalism, Documentary (on television and film, pre-production, production, video). - Library, Media and Telecommunication production (9 corsi): si tratta di quei corsi dedicati ad approfondire la conoscenza delle teorie e delle tecniche per la gestione di processi manageriali e produttivi nei settori tipici dell’industria culturale: dai media all’editoria, dall’audiovisivo alle telecomunicazioni, dall’industria cinematografica a quella musicale, dalla produzione di informazione alla comunicazione sportiva, e così via, in maniera anche molto specialistica e parcellizzata. Tali corsi erogano un solido fondamento teorico negli studi della comunicazione e nei media studies e dedicano particolare attenzione al ruolo delle tecnologie e della multimedialità. Tra le parole chiave che compongono le denominazioni dei corsi si segnalano: Broadcast/ing, Telecommunications, Mass Media, Electronic Media, Entertainment Communication Management, Information and Library Science, Media and Library Sciences, Media Strategies, Sports media studies, Technology and Society. Tra le parole chiave che compongono le etichette degli insegnamenti si evidenziano proprio i settori dell’industria culturale di riferimento (Broadcast, news, media, Cinema, Advertising , Photography , Telecommunication, Sports, Music, 24%) e, in particolare, al settore editoriale (Art Librarianship, health sciences, manuscripts, music, perspective, rare books, descriptive Bibliography, reader, literacy, cataloging, youth literature 9%), con un’attenzione mirata ai processi di organizzazione e gestione delle attività produttive (Media Markets and Managers: Innovative to Traditional Models, public relations management, managing communication, leadership skills, International Relations, development, media planning and Campaigns, Library management 11%). - Public Relations and Management (12 corsi): se nell’offerta formativa italiana la “comunicazione d’impresa” è una terminologia “ombrello” che tende a racchiudere l’insieme di processi che attengono alla governance e alla gestione di processi, le denominazioni adottate nei corsi americani risultano molto più focalizzate rispetto al complesso di skills e competenze e alla loro spendibilità in ambiti professionali specifici. In primo luogo, in questo gruppo di corsi emerge una netta centralità delle Pubbliche relazioni, tanto che, spesso, la denominazione è unica e non abbinata ad altre parole chiave. In alcuni casi si combina con il termine management o con l’aggettivo strategic, a sottolinearne la funzionalità nella definizione di politiche aziendali. In questo gruppo, rientrano anche i corsi di studio dedicati alla formazione nella comunicazione d’impresa propriamente intesa, esplicitata nelle accezioni: Communication Management, Corporate Communication, talvolta abbinati al termine Marketing o all’aggettivo strategic o agli aggettivi organizational, international e global. Gli insegnamenti che compongono questi corsi sono dedicati soprattutto allo studio delle relazioni pubbliche e alla progettazione di campagne di comunicazione (23%) e, per questo, hanno un solido fondamento teorico nello studio del management e della comunicazione di massa (13%). - Advertising (6 corsi): tutti i corsi dedicati allo studio della pubblicità, come già emerso nel caso del giornalismo, hanno lo stesso nome: Advertising. Ulteriore particolarità è il fatto che non risulta nemmeno l’abbinamento con aggettivi, demandati invece a supportare e precisare ulteriormente gli insegnamenti ricompresi nel corso di studio. Advertising, Sales and Retail sono gli ambiti principali nei quali si orientano gli insegnamenti volti all’approfondimento dei processi produttivi nell’ambito della pubblicità e della promozione, con una prospettiva gestionale e manageriale (Promotion, organizations, interactive, corporations, non-profits, portfolio preparation, directing, sponsorship, management, design media, educational multimedia, tv, news, story, sound, motion, editing, web authoring, multi-platform programming, tecnniques, media plan/ning, account planning, Advertising, classic, competition, integrate, Processes, Strategy and Tactics, 28%). Altrettanto fondamentali nella composizione dell’offerta formativa risultano quegli insegnamenti dedicati alla conoscenza delle industrie culturali, dei media e del loro sviluppo nel mondo (Media: british, settings, youth, literacy, genres, global, theory, criticism, latin america,
  • 10. 10 performance, public, images, environment, business, videogame, tv, music/recording, photography, sports, radio, Information society, ITC, Internet studies, telecommunication, innovations, tecnologies 30%). - Other Communication sectors (3 corsi): in questo raggruppamento rientrano quei corsi di studio “di frontiera” dedicati a quei settori, a maggior carattere di interdisciplinarietà, nei quali il ruolo della comunicazione sta diventando sempre più centrale: in combinazione con i saperi medici, la comunicazione della salute (Health and Risk Communication) lo studio dei disturbi del linguaggio e della comunicazione (Communicative Science and Disorders) e, in combinazione con conoscenze scientifiche, la comunicazione per l’agricoltura (Agricultural Communications) dedicato alla formazione nel campo della divulgazione delle conoscenze in materia di nutrizione, alimentazione, produzione alimentare e gestione ambientale. Le denominazioni degli insegnamenti attivi in questi corsi evidenziano una formazione incentrata sullo studio dei saperi della comunicazione in particolari settori e tenendo conto delle implicazioni sociali, relazionali e comportamentali (integrated strategies, mass communication, human animal interactions, enviroment communication, agricultural communication, nutrition communication, public health communication, attitudes, behaviour, values, diverse population, social change, social movements, 57%), oltre all’analisi dei media e dei target di riferimento, specie i bambini e i giovani (children, social services, relations, social, entertainment, educational, 27%) e agli aspetti gestionali della produzione e della divulgazione di contenuti comunicativi (farm enterprises, advocacy, campaigns, educational planning, design, evaluation 16%). Rispetto all’impianto dell’offerta formativa italiana, gli ambiti disciplinari risultano rispecchiare in maniera più chiara e immediata i mercati di riferimento e, dunque, in tal senso, è evidente il minor rischio di apparire troppo teorici e poco capaci di preparare i giovani alle esigenze del mercato. Allo stesso modo, è tempo di sfatare lo stereotipo di una preparazione iper-specialistica. In realtà, la composizione dei corsi prevede, accanto agli insegnamenti Major field, ovvero, inscritti nei territori specifici della disciplina, materie relative alla cultura di base, nella quale è prevista l’erogazione di conoscenze relative alla storia, alla letteratura, alla filosofia e alla scienze umane, alle lingue straniere, all’economia, al diritto, alle scienze politiche, alla matematica, e alle scienze fisiche e naturali. Accanto a tali insegnamenti si segnalano quelli della retorica, nei quali si inscrivono le soft skills tipiche della comunicazione, che vanno dallo sviluppo della scrittura professionale al public speaking. Tali conoscenze e abilità appaiono fondanti per l’intera formazione universitaria poiché su queste poggia lo sviluppo delle capacità critiche, oltre che argomentative ed espositive. In tal senso, il valore della comunicazione diviene anche quello di concorrere alla definizione di un metodo di analisi e interpretazione della realtà, oltre che di approccio al lavoro e alla risoluzione delle problematiche. Si tratta di ambiti sempre più richiesti e monitorati anche negli studi sui profili professionali a livello europeo e nazionale e, in tal senso, richiederebbero, probabilmente, di essere valorizzati e potenziati pure nei percorsi accademici nazionali. Certo, con questo non si vuole affermare che il modello americano sia da ritenersi necessariamente il migliore (al di là di quanto indicato dai ranking internazionali) e, dunque, applicabile, o comunque imitabile, in Italia. È, parimenti, impossibile importarne alcune parti senza una visione progettuale definita in una prospettiva a lungo termine che tenga conto pure delle differenze contestuali, normative e finanziarie. Ma non è questo il compito dello screening effettuato, piuttosto, l’intento è di fornire alcuni spunti alla riflessione della Conferenza a partire dagli elementi di confronto emersi con maggior nitidezza. In primo luogo, dal monitoraggio condotto non emergono differenze strutturali significative nell’organizzazione dell’impianto formativo, pure in virtù del fatto che il fondamento dell’impostazione statunitense poggia sull’intenzione di equilibrare una preparazione culturale generale di base con quella specialistica, a partire dal tentativo di riprendere lo schema della cultura classica. Lo dimostra il fatto che, se si confrontano le quote di insegnamenti dedicati alla formazione teorica e a quella applicativa non emergono differenze particolari. Il peso delle materie dedicate allo studio delle teorie della comunicazione (24% nei corsi usa vs. 23% nei corsi italiani), così come il numero di insegnamenti destinato agli aspetti dell’innovazione tecnologica e allo studio dei media (17% corsi americani vs. 19% corsi italiani) addirittura si equivalgono. I corsi di laurea in Italia pongono maggiore attenzione allo studio dei linguaggi, dei metodi e delle tecniche di analisi di supporto alle fasi successive di progettazione di processi e creazione di contenuti comunicativi (2% corsi americani vs. 10% corsi italiani), mentre quelli statunitensi hanno una seppur lieve concentrazione di insegnamenti settoriali orientati verso i diversi ambiti produttivi (47% corsi americani vs. 43% corsi
  • 11. 11 italiani) e soprattutto dedicano maggiore spazio all’approfondimento di aspetti culturali e relativi agli scenari contestuali e internazionali nel quale si determinano i fenomeni sociali (per esempio, violenza, criminalità, disabilità, ecc.; 10% corsi americani vs. 5% corsi italiani.) Si tratta, q, di differenze minime che non giustificano, di certo, la considerazione di un modello americano molto differente dal nostro e, per questo, da ritenersi superiore. Posta la questione in altri termini, si può sostenere e ribadire che l’offerta italiana non è di certo meno equilibrata e attenta ai contenuti di innovazione e aggiornamento dei saperi di quella americana di “eccellenza”. L’aspetto sul quale può essere utile soffermare la riflessione ed, eventualmente, prendere spunto, dall’approccio statunitense non attiene, dunque, alla sostanza dei contenuti, quanto alla scelta delle etichette con le quali presentarli. Specie per quanto concerne le denominazioni dei corsi, un approccio più “divulgativo” e orientato al brand potrebbe forse rendere più accattivanti le proposte formative, anche alla luce dell’esigenza del mercato di definire percorsi e profili in maniera sempre più nitida e specifica. La sensibilità nei confronti delle attese del sistema produttivo non vuole essere uno stimolo al mero ’”adeguamento” alle esigenze del mercato ma, al contrario, una modalità di valorizzazione di un progetto culturale, quale è quello della comunicazione in Italia, che, nonostante debba troppo spesso fare i conti con stereotipi, critiche e attacchi, si conferma – nel suo complesso - al passo con le incessanti trasformazioni della società contemporanea e, capace di fornire professionalità strategiche e funzionali a padroneggiare il cambiamento.