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“…a quel punto la pasta tedesca circola liberamente in Italia.
Allora voi dite: va bene, ma io non la compro.
Invece no,
perché andate negli Hard Discount
(quando avete meno soldi)…”
(Professore ad una lezione)
Si ricorda che:
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Tappe storiche dell’Unione Europea (UE)
Nasce con il Trattato di Roma nel 1957 e questa fase preparatoria si conclude con il
Trattato di Nizza nel 2001.
È un aggregato di più Paesi (oggi 15) che con una loro storia nazionale, hanno deciso di
affrontare un processo di “Integrazione Economica Regionale”. Nell’ambito di tale
processo, la strategia adottata dall’UE ha sempre poggiato, anche se con accenti diversi,
su 4 linee di azione:
1. efficienza allocativa (raggiungimento di un mercato comune): fin dal Trattato di Roma (1957) si
è avuta l’esigenza di porre in essere una politica economica generale, affinché tutti i
Paesi, e quindi le imprese in essi presenti, avessero pari opportunità, cioè venissero
messi nelle stesse condizioni di concorrere sul mercato sia per le informazioni, sia per
la trasparenza, sia per la conoscenza del mercato;
2. sviluppo bilanciato: tale concetto è legato al fatto che, nel mettere in piedi una strategia
di efficienza allocativa, bisogna avere la piena consapevolezza delle diverse condizioni
strutturali di partenza dei vari Paesi partecipanti, e a come tutto ciò possa
rappresentare un ostacolo o comunque un rallentamento al processo di integrazione;
a fronte di tutto ciò sono quindi state poste in essere, da un lato una politica di
stabilizzazione attraverso le azioni della politica macro-economica, di quella
monetaria e di quella di bilancio, dall’altro una politica di coesione nell’ambito delle
politiche economiche e delle politiche sociali dei vari Paesi, ciò infatti rappresenta un
punto fondamentale del processo di integrazione ed anche un punto di partenza per
l’entrata nell’UE di altri Paesi;
3. qualità della vita: parliamo a questo punto dei consumatori ed in particolare del
concetto della loro tutela, quindi di politiche atte ad es. a garantire una stabilità dei
prezzi degli alimenti o negli approvvigionamenti;
4. relazioni esterne: tale linea d’azione si fonda principalmente su 3 elementi fondamentali:
a) regolare il commercio mondiale,
b) mettere in piedi una serie di accordi commerciali,
c) procedere ad una strategia di ampliamento dell’UE.
Quindi quando parliamo di politica economica europea dobbiamo considerare gli
elementi che la caratterizzano:
piccolo gruppo di partenza: 6 Nazioni;
creazione di un mercato comune: obbiettivo radicato già nel Trattato di Roma;
unica politica commerciale: alla cui base potremmo dire vi sia l’Unione Doganale (UD);
solidarietà finanziaria: punto di partenza del processo d’integrazione, nel senso che è
vero che tutti i Paesi dell’UE, in funzione del loro PIL e della loro ricchezza, devono
contribuire alla costituzione delle entrate di bilancio dell’UE, ma è anche vero che
bisogna mettere in piedi politiche di spesa che permettano a tutti i Paesi di entrare nel
Mercato Unico (MU), a tal proposito i più efficienti godranno di maggiori quote di
mercato, i meno efficienti verranno guidati verso una migliore allocazione produttiva
delle proprie risorse;
messa a punto di politiche settoriali comuni: ciò vuol dire che mentre prima ogni Stato
poneva in essere la propria politica economica di bilancio, la propria politica
monetaria – cercando di massimizzare ad es. la propria crescita economica o il
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4. Appunti di
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proprio livello di occupazione – ora, con l’avviarsi di un tale processo, gli Stati hanno
delegato all’UE la capacità di decidere gli obiettivi da perseguire attraverso politiche
comuni nell’ambito di alcuni settori, iniziando da quelli più disastrati, come il settore
dell’agricoltura; tale settore rappresentava un ottimo laboratorio in quanto da una
parte non era il settore portante per lo sviluppo industriale per le varie economie
europee, dall’altra era il settore in cui era forte l’intervento dello Stato e quindi
bisognava ridurlo e migliorarlo, infine, dopo la II Guerra Mondiale era il settore che
presentava la maggior parte della popolazione attiva impiegata e che quindi era la
base per lo sviluppo successivo di settori più strategici;
necessità (e nascita) delle istituzioni e degli organi di governo comuni: tale processo è ancora
tutt’oggi nel pieno del suo svolgimento, proprio con la nascita delle istituzioni e degli
organi di governo comuni è possibile ottenere una messa a punto di politiche
settoriali comuni.
Le principali tappe dell’evolversi del processo di integrazione sono:
1) trattati;
2) vertici intergovernativi: possono comportare la stesura o la firma di un nuovo trattato
o l’integrazione di trattati precedenti;
3) atti delle Istituzioni comunitarie: la Commissione infatti rappresenta il nucleo delle
varie strategie attuate e, attraverso i propri funzionari, ha potere decisionale sulla
stesura, revisione, eliminazione di un trattato;
4) messa a punto di politiche comuni: oggetto delle conferenze intergovernative;
5) passaggio dei poteri dagli Stati all’UE: oggetto dei vertici intergovernativi;
6) sviluppo di incentivi ed ammortizzatori socio-economici: globalizzazione,
liberalizzazione, ecc. dei mercati;
7) voce unica sulla scena internazionale: in realtà non è stata ancora raggiunta visto il
nazionalismo di alcuni Paesi (come l’Inghilterra), ad es. negli attacchi in Iraq
l’Inghilterra si è mossa come potenza mondiale alleata degli USA ma non come
membro dell’UE.
Oggigiorno le tematiche della politica economica europea sono: moneta unica,
allargamento, coesione economico-sociale, sicurezza alimentare, solidarietà
internazionale (cooperazione allo sviluppo), sostenibilità dello sviluppo economico,
cooperazione economica internazionale degli scambi.
Il processo di formazione dell’UE prese sviluppo nel periodo post-bellico per 3 esigenze:
1. la volontà di riconversione dell’economia americana,
2. la necessità di ricostruire l’Europa,
3. cercare di gettare le basi che potessero evitare futuri conflitti.
Le tappe principali di tale processo:
1) ricostruzione post-bellica;
2) piano Shuman e costituzione della CECA (maggio 1950);
3) Trattato di Roma (con la creazione della CEE e dell’EURATOM).
Gli USA si posero alla base di questo processo di integrazione tramite il piano Marshall,
il cui obiettivo era l’uso efficiente dei fondi concessi a la promozione del processo di
integrazione europea. Nel maggio del ’50 viene fatto il piano Shuman che aveva al centro
dell’attenzione il problema tedesco: la Germania infatti era il Paese che aveva scatenato la
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5. Appunti di
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seconda guerra mondiale, che aveva perso e che ne era venuto fuori diviso oltre che
distrutto. Il piano Shuman condusse al Trattato di Parigi e alla creazione della CECA
(Comunità Europea Carbone ed Acciaio); questa non era una vera e propria istituzione,
ma aveva forte valenza sia economica che militare: i primi Paesi che aderirono furono
Germania Occidentale, Benelux, Italia e Francia (N.B. l’Inghilterra ne rimase fuori).
Parallelamente alla CECA, attraverso il Trattato di Bruxelles del 1948, venne stabilito un
patto di mutua assistenza tra UK, Francia e Benelux.
Nel ’49 viene sancito il Trattato NATO che viene siglato dai Paesi vincitori della Guerra
(USA e Canada) più quelli del Trattato di Bruxelles e via via si aggiunsero anche
Danimarca, Islanda, Italia, Norvegia e Portogallo.
Nel 1952 nasce la Comunità per la Difesa Europea (EDC). Pian piano dunque si
comincia ad avviare questo tipo di processo e tutto ciò porta al punto cruciale: il trattato
di Roma (1957). Con questo Trattato nacque la CEE (Comunità Economica Europea) e
l’EURATOM (Comunità Europea per l’Energia Atomica). Il pilastro centrale per la CEE
fu la creazione di un mercato comune. L’obbiettivo fondamentale era quello di allargare
le dimensioni del mercato per rendere l’UE una potenza economica e nel tempo stesso
ottenere la libera circolazione dei fattori (merci, persone e capitali).
Questo non poteva essere un processo raggiungibile immediatamente perché c’erano
Stati che tradizionalmente erano fortemente protezionisti. Nel Trattato di Roma esiste
questo obiettivo fondamentale, tuttavia il passaggio per avviare questa fase è stato lungo.
Il primo traguardo (l’UD) fu raggiunto abbastanza velocemente, ma bisogna aspettare
ben 10 anni prima di dire che sia stato compiuto. I cardini del processo formativo scritto
nel Trattato di Roma sono:
• eliminazione prelievi e restrizioni quantitative: nella realtà l’eliminazione delle barriere
tariffarie è avvenuta nel giro di pochi anni, ma non si è riusciti, invece, ad eliminare le
barriere di altro tipo, cioè le barriere non tariffarie (tecniche, fisiche e fiscali); anche se
nel 1968 si era completato il processo di UD, ancora non eravamo in un MU, non
solo perché ancora non circolavano le persone ed i capitali, ma perché neanche le
merci potevano liberamente circolare ostacolate dalle c.d. barriere non tariffarie;
• tariffa comune esterna (TCE): ogni Stato membro rimandava all’Istituzione comunitaria
la decisione di quale potesse essere la politica protezionistica o quella di penetrazione
sui mercati terzi attraverso gli strumenti classici di politica commerciale;
• eliminazione degli ostacoli alla libera circolazione dei fattori: si passa qui dall’UD al MU;
• politiche settoriali: come la PAC (Politica Agricola Comune), che per l’agricoltura è l’es.
emblematico di politica di integrazione settoriale, poi si ebbe per i trasporti (PCT);
• fair competition nel Mercato Comune: non è possibile integrare il mercato e poi lasciarlo al
libero gioco delle forze preponderanti, ma bisogna costruire una politica che dia
regole certe non solo nell’interesse delle imprese medio-grandi, ma anche in quello
delle piccole imprese e del consumatore;
• coordinamento delle politiche economiche e contenimento degli squilibri della bilancia dei pagamenti: è
chiaro che in un vasto mercato in cui tutti possono competere liberamente,
inevitabilmente ci sarebbero stati degli squilibri nella competizione, nella
distribuzione dei redditi e nella bilancia dei pagamenti, perché lo Stato più efficiente
avrebbe esportato di più, conquistando le quote di mercato degli altri Paesi (portando
squilibri anche di carattere territoriale);
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6. Appunti di
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• armonizzazione delle legislazioni nazionali inerenti al Mercato Comune: si cerca un unico
standard tecnico che è una sorta di mediazione di tutti quelli già esistenti, questa è
stata la morte del MU dal 1957 al 1993,
• creazione Fondo sociale comune: non si è avuto a causa dell’Inghilterra che lo voleva
portare solo a suo vantaggio;
• Banca degli Investimenti europei: istituzione europea dove le imprese possono avere una
base di possibili fonti di finanziamento;
• associazione ex-colonie: il problema era quella della Francia che aveva colonie in cui era
fortemente radicata la cultura francese e facevano dell’agricoltura l’unica loro fonte di
vita, inoltre i prodotti delle colonie dovevano essere trattati come prodotti nazionali o
in maniera preferenziale.
Un elemento portante del Trattato di Roma è l’UD; teoricamente si è arrivati
all’abbattimento delle barriere tariffarie nel 1968, ma, in pratica, continuarono ad esserci
barriere non tariffarie fino al 1992. Un altro elemento portante è il limitato numero di
politiche settoriali, tra le varie la più importante è quella agricola (PAC – Politica Agraria
Comunitaria). Sebbene fosse stato enunciato un coordinamento delle politiche, questo
nei fatti venne disconosciuto perché non si mise in piedi nessuna vera politica di
redistribuzione: ad es. non ci fu una politica dei trasporti, questi ultimi infatti in Europa
erano diversi tra Paese e Paese e quindi le risorse spese in questo campo sarebbero state
immense e difformi (stessa cosa per l’agricoltura).
Fasi dell’integrazione economica europea
Perché i Paesi puntano alla liberalizzazione del commercio e all’aumento delle
dimensioni del mercato? Secondo una definizione di Adam Smith, ciò consente di
aumentare la produzione e la produttività, in più determina un aumento della ricchezza e
del benessere. Anche David Ricardo, con la teoria dei vantaggi comparati, sosteneva che
con un sistema di assoluta libertà di scambi, ogni nazione indirizza il proprio capitale ed
il proprio lavoro verso gli impieghi più vantaggiosi. Stuart Mill sostenne che il
commercio internazionale (considerato come una sorta di rivoluzione industriale), oltre
agli effetti diretti, determina anche effetti indiretti: creazione di condizioni socio-culturali
per un impiego economico di lavoro e capitale, quindi i vari Paesi vengono a contatto
con culture diverse e con livelli d’innovazione e processi tecnologici diversi. Il
commercio internazionale influenza l’allocazione delle risorse interessando il movimento
di scambio di prodotti, fattori ed imprese.
Integrazione economica internazionale: è il processo che coinvolge l’amalgama di economie
separate (nazioni) in regioni più ampie, tramite:
rimozione discriminatoria di tutti gli impedimenti agli scambi,
instaurazione di alcuni elementi di cooperazione e di coordinamento.
Su questo punto bisogna distinguere tra integrazione negativa (quando si elimina
qualcosa) e positiva (quando invece si costruisce qualcosa): la prima riguarda
l’eliminazione di ogni restrizione del processo di liberalizzazione degli scambi (ad es.
barriere tariffarie e non), la seconda modifica strumenti ed istituzioni esistenti, ne crea di
nuovi e come finalità ha il funzionamento dell’area integrata (ad es. i fondi strutturali).
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7. Appunti di
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In più all’interno di ciascun tipo di integrazione ne può nascere una settoriale che si
configura come forma di cooperazione e/o coordinamento. Un es. classico si ha quando
nacque la CEE, nella prima fase, venne fatta la nuova PAC; mettendo insieme
l’agricoltura di tutti i Paesi della CEE i problemi divennero diversi e tali problematiche
imposero la nascita di strumenti nuovi: le c.d. politiche di accordi preferenziali.
Forme di integrazione economica internazionale
1) Area di libero scambio: tramite la rimozione di tutti gli impedimenti agli scambi tra i
Paesi aderenti ed il mantenimento della propria autonomia nella politica commerciale
esterna. Tra i vari Paesi aderenti si eliminano tutti gli ostacoli per il commercio,
tuttavia ciascuno di questi Paesi rimane sovrano nell’applicazione sulle proprie
frontiere dei dazi, nell’attuare politiche di accordi preferenziali, di operare una sorta di
competizione artificiale attraverso gli aiuti di Stato volti a sostenere le esportazioni,
(tramite il dumping). Un es. di area di libero scambio, nata in contrapposizione alla
CEE, fu fatta dall’Inghilterra che non volle entrare nella stessa CEE: l’EFTA.
2) Unione doganale: come prima condizione ci dev’essere l’area di libero scambio di merci,
poi si deve attuare una politica commerciale esterna comune, cioè si cerca di trovare
un livello medio di protezionismo verso il resto del mondo.
3) Mercato Comune: prima condizione è l’UD, allora si può avere libera circolazione dei
fattori (capitale, imprese, lavoro); il Mercato Comune è una strategia più complessa
che va oltre l’abbattimento delle barriere e la libera circolazione di tutti i fattori
produttivi, ma punta anche sull’armonizzazione e sulla difesa di quelle imprese che
sarebbero tagliate fuori dal mercato, del consumatore e dell’ambiente (tramite le
politiche: della concorrenza, del consumatore, dell’ambiente e dei fondi strutturali).
4) Unione Monetaria ed Economica Completa: prima condizione è il Mercato Comune e poi si
può avere la completa unificazione delle politiche monetarie e fiscali, cioè i Governi
perdono la sovranità sulla politica monetaria, delegandola ad una istituzione centrale.
5) Unione Politica: di fatto i Paesi partecipanti diventano regioni di una stessa nazione.
Vi sono 3 aspetti fondamentali nella politica economica nazionale: la politica
commerciale esterna, la politica di settore, le politiche macro-economiche.
Prima di tutto si doveva decidere quale dovesse essere la TCE, cioè il dazio prevalente e
comune verso i Paesi terzi, e poi la redistribuzione del ricavo derivato dalla TCE tra i vari
Paesi. Si doveva inoltre decidere, in modo nuovo, come dovesse essere impostata la
politica di relazioni verso i Paesi terzi e quella dei sussidi interni ed alle esportazioni.
Per quanto riguarda la politica di settore bisogna allocare gli aiuti di Stato in una logica
comunitaria: mentre prima ciascun Paese era padrone di decidere di quali settori e di
quanti aiuti fare uso, ora gli aiuti di Stato diventano dominio di una politica di
coordinamento comunitario.
Infine l’impatto di un processo di integrazione sulle politiche macro-economiche porta
alla centralizzazione delle politiche monetarie e di bilancio, ad una politica di coesione,
alla stabilizzazione dei tassi di cambio ed infine alla moneta unica.
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8. Appunti di
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Integrazione regionale e politica economica nazionale
Politica Commerciale Politica di settore Politica macro-economica
- fissazione TCE - redefinizione - centralizzazione politiche
- redistribuzione ricavo TCE politiche di monetarie e di bilancio
- coordinamento relazioni esterne sostegno settoriale - politiche di coesione
- modifica sussidi interni ed alle - aiuti di Stato sotto - stabilizzazione tassi di cambio
exp coordinamento - moneta unica
Tappe storiche e GATT
1945.Prime proposte USA sull’organizzazione post-bellica del commercio mondiale.
1946.Londra: comitati preparatori.
1947.Ginevra: stipula del GATT (General Agreement on Trade and Tarif).
1948.Avana: viene elaborata la Carta dell’Avana che conteneva i principi informatori
dell’organizzazione del commercio mondiale e prevedeva la costituzione dell’ITO
(International Trade Organmization).
1950.Gli USA non ratificano la Carta dell’Avana. Iniziano i negoziati multilaterali per la
riduzione delle tariffe in applicazione del GATT.
1950.Torquay: tematica fondata sulle tariffe.
1956.Ginevra: tematica fondata sulle tariffe.
1960.61. Dillon: tematica fondata sulle tariffe.
1964-67. Kennedy: tematica fondata sulle tariffe e sull’anti-dumping.
1973-79. Tokyo: tematica fondata sulle tariffe, su accordi non tariffari e giuridici.
1986-94. Uruguay: attenzione su tariffe, accordi non tariffari, giuridici e agricoltura.
Da notare che man mano si sono aggiunti sempre più Paesi fino all’Uruguay Round al
quale parteciparono 105 Paesi; si cominciò ad abbassare le tariffe dal 40% (1947), al 5%
(anni ’80) ed infine al 3% (nel 2000).
Il GATT è un’istituzione che nasce nel dopoguerra per regolamentare le varie forme di
protezionismo che i vari Stati avevano posto in essere ed ha come regole fondamentali:
• liberalismo: abbattimento delle barriere protezionistiche;
• stabilità e trasparenza: impossibilità di tornare indietro, mantenere coerenza del
processo di liberalizzazione;
• non discriminazione: un Paese che decide di impostare verso il resto del mondo una
politica protezionistica non può discriminare verso nessun altro Paese del mondo
(clausola della nazione più favorita);
• reciprocità: qualunque azione di apertura dev’essere corrisposta in modo analogo da
Paesi che godono di questo tipo di apertura.
Le forme di integrazione sono compatibili con le regole del GATT nella misura in cui
non possono attivare politiche che accrescano il livello di discriminazione verso i Paesi
terzi; quindi sotto le regole del GATT si possono far nascere forme di integrazione
regionale posto che una forma di integrazione regionale non vada a peggiorare il livello
di benessere di quest’area; tuttavia aree di integrazione economiche internazionali
possono condurre a forme di riallocazione internazionale delle risorse non sempre
economicamente efficienti (trade diversion).
Ma perché nasce il protezionismo?
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9. Appunti di
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1) industria nascente che nella fase d’avvio va protetta rispetto alla competizione di altri
Paesi più dinamici ed efficienti;
2) protezione della salute pubblica (ad es. mucca pazza);
3) protezione da “unfair foreign trade policy” (non-equa politica commerciale) di un
Paese terzo che opera dando sussidi alle proprie esportazioni e conquista quote di
mercato in modo non equo;
4) sicurezza militare nazionale: in alcuni settori non si vuole dipendere da tecnologie di
altri Paesi;
5) difesa programmi nazionali;
6) migliorare la ragione di scambio: modificare il rapporto tra prezzo all’importazione e
prezzo all’esportazione;
7) creazione di entrate per bilancio pubblico;
8) proteggere la bilancia dei pagamenti.
Quali sono le politiche di impatto diretto od indiretto sugli scambi internazionali?
1. accesso ai mercati: il controllo del flusso delle importazioni determina un
miglioramento artificiale nel breve periodo della propria competitività rispetto a Paesi
terzi; misure di accesso ai mercati sono: i dazi, le quote all’importazione, la
limitazione volontaria all’esportazione, le regolamentazioni amministrative, i cartelli
internazionali, il prelievo variabile, il controllo sui cambi;
2. aiuti alle imprese nazionali per abbassare i costi di produzione;
3. aiuti alle esportazioni.
Differenze tra quote e dazi
Dazio Quota
S D S’ D’
a b a’ b’
2$
c h k d c’ h’ k’ d’
1$
0 1 2 3 4 0
1$2$bd = perdita surplus consumatore
0
1$2$ac = vantaggio per i produttori (ovvero surplus del produttore)
cah = inefficienza economica (cioè perdita efficienza produttiva)
abhk = entrate fiscali per lo Stato data da (2$-1$)*(3-2)
bdk = costo economico e sociale del protezionismo (perdita di efficienza o di benessere)
Nel momento in cui applico il dazio: si riduce il surplus del consumatore, perché questi
ultimi consumano un quantitativo inferiore al precedente; aumenta il surplus del
produttore grazie al fatto che si ha la possibilità di produrre di più; si crea un’area di
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10. Appunti di
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inefficienza dovuta al fatto di aver protetto un settore rispetto all’alternativa di acquistare
il prodotto sul mercato internazionale; si crea un’aera che rappresenta il costo economico
e sociale dell’operazione e la parte di benessere perduta di cui né lo Stato né il produttore
se ne impossessano; infine si avvantaggia lo Stato che vede delle entrate fiscali. Tutto ciò
provoca un peggioramento in termini di benessere, ma il danno è generato anche per il
resto del mondo che non esporta più lo stesso quantitativo di prodotto.
Nel momento in cui applico una quota all’importazione il p sale da 1 a 2 per 3 motivi:
1. perché più di tanto non si può importare sul mercato;
2. per la quantità complessiva consumata, data l’elasticità;
3. per la quantità complessiva offerta, data l’elasticità.
Quindi il p 2 è determinato dalle forze di mercato.
La differenza principale tra dazio e quota sta nell’area abhk che prima era ad avvantaggio
dello Stato, ora a’b’h’k’ può essere:
A. profitto del concessionario: la concessione di questa quota viene data ad un privato;
B. divisa tra Stato e concessionario: uno Stato può concedere la quota gratis o farsi
pagare la concessione (licenze telefoniche);
C. concessa ad un Paese terzo: rendendo questo strumento estremamente
discriminatorio;
D. lo Stato concede la quota in cambio di particolari clausole: ad es. se sei un Paese in via
di sviluppo, ti viene concessa la quota e ti impongo che i soldi ti servono per il tuo
sviluppo, poi ti metto la clausola che gli ospedali e le strade siano costruite da me.
Altre differenze:
- la quota non è by-passabile, il dazio lo è tramite i sussidi alle esportazioni (dumping)
o con la riduzione dei margini di profitti da parte delle imprese;
- nella quota il p non si fissa a priori, ma è conseguenza degli aggiustamenti del
mercato a seguito dell’introduzione della stessa quota;
- se aumenta la domanda e lo strumento di protezionismo è il dazio, l’effetto
sull’equilibrio del mercato è semplicemente un aumento delle importazioni ed il
prezzo rimane quello precedente; nel caso della quota, se la domanda sale, non
aumentano le importazioni perché queste sono contingentate, allora l’aggiustamento
avviene sul prezzo che sale fino al punto in cui la quota all’importazione resta
identica alla precedente, quindi c’è solo un aumento del livello di produzione interna,
in questo caso tutto il danno si riversa sui consumatori ed è chiaro che la quota non
può portare benessere.
Si è detto che le forme di integrazione economica internazionale possono essere
compatibili con le regole del GATT nel momento in cui creano benessere all’interno di
queste aree integrate. Si è visto poi che le forme di protezionismo (dazio e quota) non
possono portare benessere. Il dazio può essere lo strumento che crea entrate certe, ma è
facilmente by-passabile; la quota è uno strumento più forte per l’interdizione dell’accesso
ai mercati, perché crea collegamenti con i Paesi in cui si intraprendono relazioni
commerciali, politiche e militari.
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11. Appunti di
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Norme tecniche amministrative
Questo elenco ha come motivazione ufficiale quella della tutela della salute o della
sicurezza pubblica, in realtà sono quelle norme che di solito definiamo barriere non-
tariffarie:
• licenze e visti;
• documenti d’accompagnamento;
• standard (controllo qualità e controllo sicurezza);
• regolamenti valutari (ad es. deposito temporaneo infruttifero sul valore delle
importazioni);
• norme igienico-sanitarie;
• norme sull’etichettatura;
• politiche per commesse pubbliche (si impone di fatto l’acquisto di prodotti nazionali).
Aiuti di Stato (strumento della politica economica)
Requisiti:
1. trasferimento dal settore pubblico a soggetti non del settore pubblico;
2. non devono consentire per lo Stato contropartita equivalente di qualcosa;
3. contengono almeno un elemento di specificità (cioè l’aiuto viene dato per il consumo
di un certo bene, per esportare un certo prodotto);
4. influenzano i risultati delle forze di mercato.
Ad un aiuto pubblico è connesso un
surplus economico, un incremento di S
A
P 2
prodotto, una sorta di ipotetico ed
artificiale spostamento verso dx della P
B S 1
curva d’offerta connessa con l’area C
dell’aiuto (P1P2AC). P 1
QQ1BC = incremento utilità sociale
QQ1AB = incremento costi sociali D
PP2AB = aumento rendita produttore
ABC = perdita d’efficienza Q Q 1
AC = aiuto unitario
QQ1 = incremento di prodotto PP1BC = aumento rendita consumatore
Tutto ciò ci dice che qualunque aiuto pubblico modifica la capacità di competere di
questo settore, di questo gruppo di produttori sul mercato che producono di più e
vendono di più alterando le quote di mercato. Complessivamente si determina una
perdita di efficienza del sistema che va a scapito anche dei Paesi terzi, perché vengono
spiazzati in conseguenza di questo aiuto erogato che genera un aumento di produzione
interna.
Aiuti pubblici alle imprese:
contributi in conto capitale (aiuti a fondo perduto o prestiti agevolati);
credito agevolato;
sgravi fiscali;
deficency payment (strumento classico della politica agraria inglese);
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12. Appunti di
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aiuti al consumo (negli USA le famiglie povere hanno dei buoni per l’acquisto di beni
alimentari), ai trasformatori ed al reddito.
Tipologie dei sussidi alle esportazioni:
- sovvenzioni dirette (concetto di dumping, cioè vendita sotto-costo);
- detrazioni imposte sul reddito da esportazione;
- mutui agevolati agli esportatori;
- prestiti a bassi interessi ad acquirenti esteri per stimolare le esportazioni.
Dumping:
a) persistente (discriminazione di prezzo): continua possibilità di vendere prodotti sui
mercati terzi sapendo che c’è un continuo aiuto alle esportazioni a prezzi non
concorrenziali, ciò determina una sorta di situazione monopolistica.
b) predatorio (temporaneo): la finalità è quella di spingere concorrenti esteri fuori mercato
per poi rialzare i prezzi avvantaggiandosi del potere monopolistico acquisito sul
mercato estero.
c) sporadico: quando congiunturalmente vi sono delle eccedenze sul mercato, in tal caso si
collocano queste produzioni sui mercati terzi dando appunto un sussidio alle
esportazioni.
Possibili fonti di vantaggio economico di un’Unione Doganale
1) Maggiore efficienza allocativa: si ottiene perché, aprire la dimensione del mercato,
consente di specializzarsi; ciascun settore produttivo cerca di allocare le proprie
risorse nel modo più efficiente. Tutto ciò aumenta il benessere.
2) Maggiore livello produttivo: avendo a disposizione un maggior numero di consumatori si
ottiene un aumento del livello di produzione attraverso il conseguimento di economie
di scala. Maggior benessere all’interno dell’area integrata anche per i Paesi terzi.
3) Migliore posizione contrattuale a livello internazionale: nell’affrontare un interscambio con i
Paesi terzi, la maggiore dimensione economica ed il maggior potenziale produttivo ci
mettono nella condizione di giocare una partita sul mercato mondiale da una
posizione contrattuale più forte.
4) Maggiore competizione: porta ad incentivare gli investimenti in innovazioni tecnologiche
per ottenere quella migliore qualità di fattori produttivi.
Teoria del second best
Posizione immediatamente precedente a quella di ottimo paretiano (cioè collocazione
delle risorse in maniera più efficiente). Ogni movimento verso il libero scambio
massimizza la produzione mondiale ed il benessere generale. Se un’UD non aumenta il
protezionismo verso il resto del mondo, la rimozione delle barriere fra i Paesi membri
costituisce un movimento verso un più libero scambio. Tuttavia nel caso di “diversione
di commercio” può accadere che non ci troviamo più in una situazione di second best,
cioè non si crea benessere. In conclusione, se dal libero scambio si ottiene un aumento di
benessere per i membri dell’UD, anche il resto del mondo sentirà gli effetti benefici di
una tale situazione. In tal caso l’UD porta ad una posizione immediatamente precedente
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13. Appunti di
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a quella di ottimo paretiano (cioè di second best): non si riesce cioè a collocare tutti i
propri prodotti sul mercato in modo più efficiente, ma ci si avvicina molto.
Creazione di commercio
Prezzo D S Grafico inerente al
nostro Paese
E F
P2
G H
P1
I L
0 C A B D Quantità
P1 = prezzo mondiale. P2 = prezzo + dazio. CD = importazioni.
OC = quantità che il mio Paese è in grado di offrire al prezzo P1.
OD = quantità che chiedono i consumatori.
Al prezzo P2 la quantità venduta sarà OA e la quantità richiesta dai consumatori diventa
OB, quindi le importazioni si riducono ad AB.
EFLI rappresenta le entrate per lo Stato grazie all’applicazione del dazio.
P1P2FH indica la perdita di surplus del consumatore in conseguenza del dazio.
GEI mostra l’incremento di costo, cioè è l’extra-remunerazione dei fattori produttivi.
P1P2EG rappresenta l’aumento del surplus del produttore.
FLH è il costo sociale del protezionismo, cioè la parte di perdita di benessere del
consumatore di cui né lo Stato né il produttore se ne impossessa.
Creazione di commercio: sostituzione di produzione nazionale (più costosa) con
importazioni più economiche da parte di un partner dell’UD. Viene accresciuto il
benessere dei Paesi membri poiché comporta una maggiore specializzazione nella
produzione basata sui vantaggi comparati. Accresce anche il benessere dei non-membri,
poiché l’aumento di reddito reale può attivare maggiori importazioni dai Paesi terzi.
Fino ad ora ci siamo allontanati da una posizione di ottimo paretiano, dato che il
benessere complessivo è diminuito (quello dei consumatori)!
A questo punto, attuando un’UD con uno Stato più efficiente, togliamo il dazio e ci
ritroviamo nella situazione iniziale quindi al prezzo P 1 si crea commercio grazie alla
maggiore quantità importata (CA + BD). CA indica la prima creazione di commercio,
perché sostituiamo la produzione meno efficiente con quella più efficiente. BD è la
seconda creazione di commercio dovuta al più alto livello di benessere del consumatore.
GIE rappresenta il nuovo surplus del consumatore, EFIL il recupero di surplus e anche
FLH il recupero di surplus.
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In conclusione: un’UD con un Paese più efficiente genera creazione di commercio
(CA+BD) e un aumento del benessere complessivo. Questo è un caso pienamente
compatibile con le regole del GATT e con i movimenti verso l’ottimo paretiano (second
best).
Diversione di commercio
Diversione di commercio: le importazioni a costi più bassi dal resto del mondo sono
sostituite da quelle da un Paese con cui si costituisce una UD che produce a costi più alti;
in altre parole si lascia fuori il Paese più efficiente, da cui si importava prima dell’UD, e si
inizia a scambiare con il nuovo membro dell’UD, anche se questo produce a costi
maggiori: questo spostamento di flussi di importazione provoca un peggioramento del
benessere.
Da ciò deriva che si peggiora l’allocazione internazionale delle risorse e si sposta la
produzione in direzione opposta a quella suggerita dai vantaggi comparati (allocare le
risorse in maniera più efficiente e far produrre e scambiare i prodotti con i Paesi più
efficienti).
Prezzo S Es. di U.D. che
D
provoca diversione
di commercio
E
G J H
2
G’ C’ J’ H’ B’
1.5
1
M N
0 10 20 30 40 50 60 70 Quantità
Da ricordare che: prima dell’UD si importava dal Paese più efficiente una certa quantità
(ad es. AB) ad un determinato prezzo (unità di partenza), dopo l’UD si importa dal Paese
meno efficiente che la offre ad un prezzo più alto (da qui il termine diversione).
Costruzione del grafico
P D
($)
S
E F
2 P2
G I L H
1.5 P1
1
M N
0 C A B D Q
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15. Appunti di
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In questo grafico vengono rappresentati 3 Paesi: il nostro con le curve S e D, il Paese più
efficiente, che offre il bene ad 1$, e quello meno efficiente, che lo offre a 1.5$. Nel caso il
nostro Paese voglia proteggersi dal resto del mondo applicherà un dazio del 100% ad
entrambi i Paesi – il GATT impone la non-discriminatorietà del protezionismo –
portando il p più basso a 2 e quello del Paese meno efficiente ad un p molto alto (a 3$).
Ma ci troviamo all’interno di un’UD quindi il dazio sarà applicato solo al Paese più
efficiente, situazione dove: AB sono le importazioni, OA la produzione interna (con il
dazio) al livello 2, OC la produzione di partenza e OB il consumo. Dato che il p migliore
è quello ad 1.5$, dobbiamo ragionare sulla linea P 1 e quindi le importazioni (AB)
arriveranno dal Paese che è all’interno dell’UD. Il rettangolo AMNB sarebbe il costo di
produzione totale se avessimo importato dal più efficiente, quindi il costo reale
complessivo diventa AILB: la differenza tra questi due rettangoli quantifica la perdita di
efficienza e quindi la caduta del livello di benessere (rettangolo ILMN) seguita alla
creazione dell’UD. Torniamo al grafico. Dopo l’UD i consumatori possono consumare il
quantitativo OD invece del precedente OB, quindi dovremo importare la differenza
(BD) che altro non è che creazione di commercio. Allo stesso tempo il passaggio di p a
1.5 ha ridotto anche la quantità che i produttori nazionali possono permettersi, il loro
punto di equilibrio è ora in G, quindi la quantità sarà OC: ma per soddisfare i
consumatori si dovrà importare anche la quantità CA (altra creazione di commercio).
Riepilogando:
• AB (diversione di commercio): è la quantità che prima importavamo dal Paese più
efficiente e che ora importiamo da quello meno efficiente (non è gravato dal dazio);
• BD (creazione di commercio): dopo che ↓p si devono soddisfare i consumatori
importando questa quantità dal Paese meno efficiente;
• CA (creazione di commercio): il p precedente consentiva ai produttori nazionali di
essere più produttivi, a seguito della ↓p non produrranno più questa quantità che
dovrà essere importata dal Paese meno efficiente.
Pertanto, la diversione di commercio – flusso di importazione che si è spostato da un
Paese ad un altro – è AB e non il rettangolo evidenziato.
La perdita di benessere nasce dal fatto che, tralasciando per un attimo il dazio, la quantità
importata invece di pagarla 1$, la compriamo a 1.5$: l’area del rettangolo (0.5$ * IMP) è
appunto la caduta di benessere (nel grafico seguente il rettangolo J’H’NM).
P
D
S
3
E
G J H
2
G’ C’ J’ H’ B’
1.5
1
M N
0 15 20 50 60 Q
Se si osserva il trapezio GHB’G’ si può notare che questo è composto da:
rettangolo JHH’J’: la parte trasferita ai consumatori sotto forma di p più basso;
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16. Appunti di
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trapezio GJC’G’: indica il surplus che il produttore perde a vantaggio del
consumatore;
triangoli JJ’C’ e HH’B: miglioramento del benessere dovuto alla creazione di
commercio, in entrambi i casi si recupera una situazione di maggior efficienza.
Quindi, a seguito di un’UD abbiamo una diversione e due creazioni di commercio, in
termini di benessere abbiamo una caduta dovuta al maggior costo. Ma un’UD si fa per
aumentare la produzione, per allocare meglio le risorse, ecc., in pratica se si migliora il
benessere. In questo caso invece ne abbiamo fatta una che è andata contro le regole del
GATT e che non si muove verso l’ottimo paretiano, ma verso una posizione sub-
ottimale. In conclusione: è caduto il benessere → è diminuito il reddito → si affievolisce
la propensione marginale ad importare (cioè si sta importando di meno).
Effetti statici di un’ Unione Doganale
1. Risparmio in campo amministrativo: dato che con l’UD si eliminano le dogane;
2. migliora la ragione di scambio: solo se c’è diversione;
3. creazione di commercio;
4. diversione di commercio: si hanno conseguenze a cascata, infatti:
i. cade il benessere complessivo: si vede anche dal grafico, dove il rettangolo è
maggiore dei 2 triangoli,
ii. cade la domanda di importazioni (a seguito della caduta del benessere): il reddito è
più basso e quindi si importano meno beni dal resto del mondo,
iii. si deprimono i prezzi mondiali (per ↓D): soprattutto se si è un grande produttore
e si è costretti a importare di meno,
iv. si deprime la produzione interna (per ↓ dei redditi): in quanto i consumi sono una
delle componenti della domanda aggregata e influenzano la produzione interna,
v. si riduce l’offerta di esportazioni (per ↓ della produzione): a parità di consumo
interno si ha meno disponibilità di beni da esportare sul mercato mondiale.
Da notare inoltre che una diminuzione delle esportazioni in un grande Paese produttore
comporta una rarefazione del mercato mondiale da disponibilità dei prodotti, ne
consegue che si modifica la ragione di scambio, in quanto l’impatto sulle esportazioni è
maggiore di quello sulle importazioni (i prezzi dei beni esportati aumentano di più di
quanto si deprimano quelli dei beni importati per
indici EXP
l’effetto “forbice”). prezzi
ragione di
L’unico effetto positivo – al di là della diversione e scambio
della creazione di commercio – è quindi quello di 100
IMP
aver migliorato la ragione di scambio dei propri
prodotti esportati su quelli importati: la riduzione
delle IMP tende a deprimere i prezzi mondiali,
mentre la caduta della EXP tende a farli salire.
Ma quando si fa un’UD si ha sempre questo effetto?
Per poter rispondere bisogna partire dal grafico che rappresenta l’aumento di benessere
connesso alla creazione di commercio.
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Le aree dei due triangoli (effetto benessere connesso alla
D
creazione di commercio) variano al variare dell’altezza P E
S
(livello di protezionismo – dazio) e della base (legata alla
pendenza di S o di D): se ad es. la curva è piatta la
caduta del protezionismo ha effetti diversi dato che la
base del triangolo è più ampia. 0 Q
A questo punto bisogna vedere se il benessere può
essere maggiore o minore, concentrandosi sul livello di
protezionismo prima dell’UD e sulla pendenza di S. La P D
S
grandezza del rettangolo che ci interessa dipende E
dall’inefficienza del Paese con cui si crea l’UD.
Nel fare il disegno il rettangolo potrebbe essere anche
più piccolo della somma dei due triangoli, l’importante 0 Q
è, una volta stabilito il disegno, chiedersi se la situazione
si possa modificare e cosa sia possibile fare. Ciò è possibile in quanto una forma di
integrazione economica regionale come l’UD deve mirare all’ottimo paretiano: tutto si
basa sul differenziale tra il p del Paese più efficiente (più il dazio) e quello del Paese
inefficiente. Basta infatti che dopo l’UD il protezionismo passi dal 100% al 50% che ci si
ritrovi con un effetto zero di diversione di commercio, in quanto entrambi i Paesi
offrirebbero ad un p = 1.5$ (chi con il dazio e chi senza) annullando l’effetto diversione
anche se si scegliesse di fare l’UD con il Paese meno efficiente.
D S
P (paese 2)
S1+T
S3+T
1.5 S3
S1 (paese + efficiente)
0 Q
Condizione 1(sulla diversione di commercio)
Livello delle barriere commerciali prima dell’UD nei Paesi costituenti: maggiori barriere
portano ad un maggiore benessere. Cioè a parità di ∆ costo (differenziale di efficienza)
tra S1 (mondo) e S3 (Paese entrante nell’UD), l’eliminazione dei dazi tra S 2 e S3 stimola la
creazione di commercio in maniera direttamente proporzionale all’ampiezza del dazio
precedente l’UD (diminuendo T si riduce il livello di protezionismo).
Condizione 2
Se contestualmente alla formazione di una UD tra S 2 ed S3 viene ridotta la barriera
doganale (ad es. da 100% a 50%) si crea commercio e si riduce l’effetto diversione
(effetto netto positivo), in quanto S 1 ed S3 potrebbero vendere entrambi ad 1.5$.
L’effetto diversione non si elimina del tutto in quanto, a parità di p, ci possono essere
altre motivazioni (ad es. politiche) che spingono a proseguire le relazioni precedenti.
Condizione 3
Più è elevato il numero di Paesi che aderiscono all’UD, più è grande la loro diversione e
più è elevata la possibilità ci siano Paesi più efficienti (l’efficienza è data dall’inclinazione
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18. Appunti di
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della curva S e dal livello di protezionismo). In altre parole se si passa, come è successo
nell’UE da 6 a 15 Paesi, aumenta la probabilità che ci sia un Paese che offra il prodotto
ad un p molto basso e di conseguenza che non si determini l’effetto diversione: con
questa situazione si ha creazione di commercio e aumento di benessere, determinando
anche una specializzazione produttiva, ovviamente non più inficiata dal protezionismo,
dato che tutti i Paesi si trovano all’interno dell’UD.
Condizione 4
Quanto più concorrenziali, e non complementari, sono le economie dei Paesi membri,
tanto più aumentano le opportunità di specializzazione e di creazione di commercio. Se
infatti nell’UD ci fossero due Paesi produttori di beni complementari (ad es. zucchero e
caffè), la riallocazione dei fattori produttivi sarebbe meno efficiente e l’interscambio
modesto. Se invece i Paesi sono tra loro concorrenti si stimola la specializzazione e la
creazione di commercio: queste le motivazioni che spingono l’UE ad aumentare
continuamente il numero dei Paesi membri.
Condizione 5
Più vicini geograficamente sono i Paesi di un’UD e minore sarà l’impatto negativo dei
costi di trasporto sulla creazione di commercio. In quanto se i Paesi fossero tra loro
distanti, i costi di trasporto annullerebbero il differenziale di costo (lo 0.5$ di prima),
limitando l’interscambio positivo tra i Paesi.
Condizione 6
Più forti erano le relazioni commerciali prima dell’UD (per motivi di vicinanza, politici,
di struttura della domanda e di mix produttivi), tanto maggiori saranno gli effetti (sulla
creazione di commercio) della rimozione delle barriere tariffarie a seguito dell’UD,
mitigando l’eventuale effetto diversione.
N.B. Non confondere la diversione con la creazione di commercio; affianco alla
diversione si possono generare creazioni di commercio, connesse alla diversione ed alla
creazione (creazione di commercio → crescita di benessere, diversione di commercio →
perdita di benessere); vedere se l’UD si muove o meno verso l’ottimo paretiano (quindi
second best), se gli effetti sono anche sul resto del mondo e se le variabili possono
modificare la diversione e quindi ristabilire un equilibrio positivo.
Conclusioni: l’UD prevede l’eliminazione di tutte quante le restrizioni (1968), questo
nell’UE non è ancora completamente avvenuto, e si sono visti gli effetti complessivi di
un’UD sulla politica commerciale esterna e sulla creazione di benessere (coerentemente
con i principi del GATT). Si sono analizzate inoltre quelle situazioni (possibili ma non
uniche) in cui un’UD con Paesi meno efficienti possa abbassare il livello di benessere per
l’effetto diversione. Infine si è visto come annullare questi effetti negativi con
un’adeguata strategia (ad es. agendo sui livelli di protezionismo o migliorando l’efficienza
produttiva interna di alcuni settori). Si è parlato di “effetti statici”.
Effetti dinamici di un’Unione Doganale
I benefici dinamici, più importanti di quelli statici (5-6 volte maggiori), sono:
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19. Appunti di
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1. aumento della concorrenza: la caduta delle barriere commerciali pone a confronto diversi
sistemi economici stimolandoli verso una maggiore efficienza (anche con innovazioni
tecnologiche) – in altre parole le diverse imprese si trovano a competere l’una con
l’altra in un mercato aperto e sono costrette a migliorarsi – perché ciò si attui è però
necessario non solo eliminare gli ostacoli, ma anche porre delle regole di politica della
concorrenza (norme Antitrust); in realtà nell’UE ciò non è successo fino al 1993;
2. economie di scala: l’UD permette di accedere ad un mercato più ampio anche a quelle
imprese meno efficienti, quindi data la stessa efficienza produttiva è possibile che
l’impresa si “aggiusti” in tale mercato più ampio;
3. incentivi agli investimenti: le imprese che si trovano all’interno di quest’area protetta
possono – se non rimangono “ferme” sfruttando solo la maggior ampiezza del
mercato – diventare più attive, facendo investimenti al fine di migliore l’efficienza
produttiva, va notato inoltre come anche le imprese provenienti da Paesi terzi siano
incentivate a costituire impianti all’interno di un’area integrata e protetta, in quanto
così facendo possono aggirare le barriere protezionistiche collocandosi all’interno
dell’Unione, che conseguenzialmente aumenta le sue potenzialità di crescita.
Il vantaggio di attirare investimenti da Paesi terzi diventa ancora più importante in
un’ottica di globalizzazione e di internazionalizzazione dei mercati, in quanto spinge le
imprese a localizzarsi per evitare di essere discriminate in questo mercato e quindi ha
l’effetto positivo di “crescita del sistema economico” dell’Unione.
La rimozione delle barriere genera:
• effetti diretti “differiti”: un aumento della concorrenza provoca una riduzione dei
margini di profitto, così come le economie di scala una riduzione dei costi di
produzione; di fronte ad un mercato più ampio ed ad un consumatore diversificato si
ha un aumento delle quote di mercato, una riduzione dei costi di produzione (per le
economie di scala), una diminuzione dei prezzi (a vantaggio del consumatore) e degli
effetti non di prezzo (come la diversificazione della produzione e l’innovazione di
processo e di prodotto), in pratica l’impresa “gioca” sia sulla competitività che sulla
non competitività del prezzo;
• effetti indiretti dinamici:
1. miglioramento delle efficienze e delle strutture;
2. cambiamento nella competitività intra-CEE: un’apertura al mercato favorisce le
imprese migliori, diventano quindi necessarie le politiche di “sviluppo bilanciato”
(o di coesione economica e sociale) in modo da non far pesare questo
cambiamento sulle imprese minori o sui lavoratori o, in genere, sulle regioni
marginalizzate;
3. cambiamento nella competitività rispetto ai Paesi extra-CEE: conseguenza del
punto precedente è che si modificano i livelli di competizione complessivi medi
anche rispetto al resto del mondo;
4. aumento della possibilità di scelta del consumatore.
Per avere una posizione negoziale migliore sulla scena mondiale – in un’UD che va verso
un MU – si devono considerare tre grandi linee: crescita, competitività intra ed extra-
CEE, strategia a vantaggio del consumatore.
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20. Appunti di
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Effetti diretti “differiti” Effetti diretti “immediati”
Riduzione dei Aumento della
Riduzione
margini di profitto concorrenza
dei costi di
Rimozione
produzione
barriere
e di
Riduzione dei costi
Economie di scala distribuzione
di produzione
Riduzione dei costi e dei prezzi
Modifiche nella Aumento
Progresso Cambiamenti
competitivit à della
delle nella
rispetto ai possibilità di
efficienze e competitività
paesi extra- scelta dei
delle strutture intra-Cee
comunitari consumatori
Effetti indiretti dinamici
Rilancio del processo d’integrazione (Summit dell’AJA nel 1969)
Completamento Approfondimento Allargamento
Creazione Aumento Sistema Istituzione Europa
risorse potere del integrazione Unione dei 9
proprie parlamento coordinamento economica (1973)
(bilancio) politica estera monetaria
Fondi Armonizzazione
Indipendenza per la sull’imposizione
finanziaria PAC indiretta fiscale
(IVA)
Risorse proprie: dazi doganali su tutte le merci, prelievi variabili, % IVA
La forte crescita economica degli anni ’60 e questioni politiche avevano ritardato il
processo di integrazione, tanto che nel 1968 l’UD prevedeva solo la rimozione della
barriere tariffarie ed una politica comune per l’agricoltura. È con il 1969 che riparte il
processo di integrazione europea, anno in cui si organizza il vertice dell’Aja e viene
stilato il “Nuovo Pacchetto” gestito dai due Paesi (dei 6) più forti dell’Unione, Francia e
Germania, che puntano su tre linee d’azione strategica: completamento del processo
d’integrazione, suo approfondimento ed allargamento dell’UE.
Completamento del processo di integrazione
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21. Appunti di
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Il processo di completamento richiede una certa autonomia finanziaria dell’UE, che fino
a quel momento si concretizzava solo nei dazi connessi alla PAC, in assenza quindi di un
vero e proprio bilancio dell’Unione. Tale completamento si articola su tre aspetti.
1. Creazione delle risorse proprie: sono le entrate del bilancio comunitario, costituite in
prevalenza dal dazio (applicato su tutte le produzioni, agricole e commerciali), altro
strumento della PAC era il “prelievo variabile”, che ha costituito per molto tempo
una voce importante delle entrate; tutti gli introiti derivanti da questi strumenti vanno
direttamente nelle casse comunitarie al netto di un 10%, per i costi di gestione delle
dogane nazionali. Con l’allargamento e l’approfondimento dell’UE ci si accorse di
due fenomeni: innanzitutto che i dazi, spingendo verso accordi multilaterali e
riducendo quindi il protezionismo unitario, non potevano più essere considerati una
fonte sicura di entrate (in quanto erano certi solo se si importava molto), inoltre il
grado sempre crescente di autosufficienza (quindi auto-approvvigionamento) riduce
le importazioni e quindi le entrate tributarie. Chiaro quindi come fosse necessario
trovare una nuova voce di entrate fisse: la soluzione fu l’IVA, le cui entrate (di tutti gli
Stati dell’Unione) devono confluire nelle casse comunitarie in una percentuale
dell’1%. Siamo quindi nella fase in cui si creano quelle risorse finanziarie (in larga
parte utilizzate nella PAC) che permetteranno all’UE di avere una maggiore
indipendenza finanziaria, in più creando risorse proprie si crea il bilancio dell’UE.
2. Aumento dei poteri del Parlamento: soprattutto in materia di bilancio, la cui
approvazione costituisce il potere forte del Parlamento e ne aumenta l’importanza.
3. Armonizzazione sull’imposizione fiscale: tramite l’imposta indiretta (IVA).
Approfondimento del processo di integrazione
Due le fasi principali del processo di integrazione avviato nel 1969:
1) si decide di iniziare ad avere un sistema intergovernativo di coordinamento della
politica estera (CPE): elemento estremamente debole data la forte frammentazione,
2) si comincia a pensare all’Unione Economica e Monetaria Europea: si inizia da molto
lontano, dal “serpente monetario”.
Tutto ciò perché ci si rende conto che senza un unione di tal genere i Paesi, le imprese ed
i consumatori non avrebbero una distribuzione equa dei vantaggi derivanti dalla
creazione di un MU.
Allargamento dell’UE
Dopo un primo periodo di rodaggio, si iniziano a vedere gli effetti positivi di tale
processo d’integrazione e alcuni Paesi, che si erano inizialmente tirati fuori, presentano la
loro candidatura: Regno Unito, Irlanda, Danimarca e Norvegia. La Norvegia sottopone
però questa decisione ad un referendum popolare che boccia nel 1973 l’entrata nell’UE.
Con l’inserimento di Paesi forti, come l’Inghilterra che chiede il “contro-bilanciamento”
delle politiche esistenti (in particolare di quella agraria), c’è sempre una fase di
“transizione”, volta ad aggiustare i sistemi dei nuovi Paesi ed alla realizzazione di vari
protocolli d’intesa.
Il processo appena descritto si va ad arricchire di una serie di fasi.
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22. Appunti di
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1972.Serpente monetario: inizia la lenta fase di armonizzazione delle politiche di gestione
dei cambi tra i Paesi dell’Unione, si inizia cioè ad immaginare che per raggiungere
l’UM ci sarà un momento in cui si avrà un sistema di cambi fissi (in modo da
aumentare la stabilità) ed un altro in cui ci sarà una moneta unica, per far ciò è
necessario disegnare un percorso che accompagni i vari Paesi a posizionarsi sul
mercato dei cambi e nel quale le diverse valute inizino a coordinarsi tra loro e fissino
poi delle parità in principio bilaterali; diventando l’interconnessione sempre più
stretta, una singola moneta vede ridurre la sua autonomia (ad es. di svalutazione) –
ciò avrebbe delle ripercussioni prima bilateralmente e poi sul paniere (ovvero
sull’intero sistema) – in quanto è costretta a muoversi all’interno di una banda di
oscillazione predefinita, ma diversa tra i Paesi.
1973.Fondo Europeo di Cooperazione Monetaria (Fecom): strumento di supporto al serpente.
1974.Problema della convergenza: nella fase preliminare dell’UM è fondamentale che chi
entra abbia caratteristiche economiche simili a quelle degli altri Paesi, per questo nel
periodo tra il 1974 ed i 1992 (Trattato di Maastricht) ci si è concentrati sulla:
• stabilità: del deficit, del debito pubblico, dell’inflazione e dei tassi di cambio,
• crescita economica: se due Paesi hanno tassi di crescita e propensione marginale
ad importare diversi, si genereranno dei costi, quindi ci si è concentrati sul debito
pubblico, che è un rapporto ed al denominatore ha il PIL,
• piena occupazione: il problema nasce dalla mancanza di strumenti (come il tasso
di cambio e le politiche di bilancio) atti a combattere la disoccupazione, chiaro
quindi come le difficoltà di riequilibrio aumentino se dall’altra parte sono diverse
le politiche sindacali, la spesa previdenziale e la flessibilità del mercato del lavoro.
1975.Fondo regionale: si intuisce che tutto il processo porterà ad une serie di squilibri a
livello regionale e quanto sia necessario uno strumento capace di controbilanciare
questi effetti negativi, in situazioni di minori vantaggi competitivi.
1979.Istituzione del Sistema Monetario Europeo (Sme) e dell’Ecu: l’Ecu non è una moneta ma
un termine monetario di riferimento per tutte le transazioni, al quale si fissano le
parità delle varie monete.
Nuove richieste di adesione alla Comunità Europea: dopo l’entrata di Inghilterra, Danimarca e
Irlanda nel 1973 – ampliamento che si può definire “economico”, dato che i nuovi Paesi,
eccetto l’Irlanda, sono “ricchi” ovvero contributori netti al bilancio UE – è la volta della
Grecia nel 1975. Anche in questo caso c’è un periodo di transizione (breve per la relativa
facilità di far entrare un Paese come la Grecia, che ad es. aveva già goduto di una politica
preferenziale) per l’aggiustamento di tutte le politiche e nel 1981 c’è l’accesso.
Nel 1977 ne fanno richiesta la Spagna ed il Portogallo che vi accedono però solo nel
1986, in quanto (soprattutto per la Spagna) sono notevolmente maggiori le dimensioni,
la popolazione, la crescita del PIL, la disoccupazione. Ci sarebbe stato quindi uno
spostamento del baricentro (in particolare per ciò che riguarda l’agricoltura) dell’UE
verso il Mezzogiorno e ciò preoccupava Paesi forti come la Germania e la Francia che si
sarebbero trovati un forte concorrente. È stato quindi necessario un rafforzamento delle
politiche a favore delle regioni che già erano all’interno. L’allargamento a questi ultimi 3
Paesi può essere definito “politico”, in quanto si era all’indomani di regimi totalitari, con
poca familiarità con la democrazia.
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23. Appunti di
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Riepilogo della fase fino al 1977:
- iniziale fase di rilancio del processo di integrazione sull’onda dell’espansione
economica degli anni ’60, capeggiata dalla Francia e dalla Germania;
- rallentamento dovuto all’ingresso dell’Inghilterra, che vuole spostare le decisioni a
proprio vantaggio, tralasciando la politica agraria alla quale non è interessata;
- sul fronte internazionale, la seconda crisi petrolifera rallenterà tutta la congiuntura
economica internazionale.
1978-79. Seconda crisi petrolifera: quest’altro forte aumento dei prezzi del petrolio (dopo
quello avvenuto nel 1973-74) causò un ristagno della produzione, una forte
disoccupazione ed una riduzione degli scambi commerciali mondiali, che a sua volta
portò ad una diminuzione della quota comunitaria sul mercato mondiale, ad una
contrazione della domanda globale interna e quindi degli scambi intra-CEE; questo
ristagno durò fino al 1982.
dal 1983. Inversione del ciclo economico: questo grazie all’aumento dei livelli dei tassi di
crescita, alla caduta dei tassi di disoccupazione (dopo il 1985), alla ripresa degli
investimenti (specie in tecnologia) ed alla ristrutturazione delle imprese (necessaria se
vogliono conquistare competitività una volta caduto il protezionismo); tutto ciò favorì la
ripresa delle iniziative per rilanciare il processo di integrazione europea.
Punti salienti del rilancio del processo di integrazione europea
In vista del lungo cammino che porterà all’Unione Monetaria (nel 1999), comincia un
lento processo di convergenza dei fondamentali dell’economia (politica della
convergenza). Al tempo stesso un altro punto su cui si inizia a discutere è che ogni volta
che riparte l’integrazione, questa si completa sul piano interno e si guarda all’esterno
(siamo infatti nel 1983 e alla fine, nel 1986, entreranno nuovi Stati). Va infine affrontato
il problema dell’Inghilterra, che cerca sempre di spostare l’attenzione sulle proprie
questioni, subordinando ad esse la possibilità di allargamento. In tutto questo percorso
sarà inoltre fondamentale l’eliminazione reale di tutte le barriere tariffarie e non tariffarie
(tecniche, fisiche e fiscali), passaggio questo non operato completamente dall’UE, dove
erano rimaste le barriere non tariffarie, ma considerato nel Libro Bianco di Delors.
Punto 1
Si fissò nel 1992 (con precisione 31/12/1992) la data in cui si dovrà portare a
compimento il MU, quindi si stabiliscono 10 anni di preparazione (‘82-‘92)
Punto 2
Vengono fissate nuove priorità (cioè le fasi del nuovo processo): politiche redistributive,
nuove relazioni economiche esterne, politiche sociali, unione economica e monetaria.
Tali politiche saranno di supporto a ciò che avverrà una volta completato il MU: le
politiche redistributive basate sui fondi comunitari serviranno a livellare i vantaggi o
almeno a mitigare nel breve periodo gli eventuali danni, le politiche sociali dovranno
funzionare da stabilizzatori socio-economici e l’unione permetterà una regolamentazione
generale – togliendo ai Paesi le libertà di gestire variabili come i tassi di cambio e di
interesse – che manterrà artificialmente alta la competizione all’interno dell’area.
Punto 3
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Lancio del programma strategico europeo per la ricerca e lo sviluppo nella tecnologia
informatica (ESPRIT – European Strategic Program for Research and development in
Informatic Technology). La forte attenzione verso l’innovazione tecnologica – bisogna
spingere al massimo la competitività e puntare sui c.d. “campioni nazionali” – porta alla
fissazione di una 1° fase (1984-88) il cui obiettivo sarà una stretta cooperazione fra i
campioni nazionali (imprese leader) dei settori dei diversi Paesi membri (quindi 12
campioni). Altro obiettivo era la creazione di standard europei comuni (BNT) all’interno
del problema delle barriere non tariffarie tramite un approccio di armonizzazione settore
per settore e barriera per barriera; tale approccio non portò però i frutti sperati, tanto
che per sbloccare la situazione di stallo fu fatto nel 1985 il Libro Bianco.
Punto 4
Il progetto RACE (Research in Advance Communication for Europe) punta su un
sistema di comunicazioni avanzate, proprio per facilitare le imprese che dovranno poi
competere su tale mercato.
Punto 5
Progetto BRITE (Basic Research in Industrial Technology for Europe).
Punto 6
Progetti congiunti in vari campi, finalizzati alla ricerca e sviluppo (R&S).
Punto 7
Progetto EUREKA (European Research co-Ordinating Agency – Agenzia europea per il
coordinamento nella ricerca).
I progetti ai punti 3-4-5-6-7 formano un pacchetto di una strategia di forte sostegno alla
ricerca per inserire progetti di avanzata tecnologia a sostegno di tutto il sistema
industriale europeo, ma puntando in particolare sui campioni nazionali.
In sintesi si può dire che la cooperazione si inizia a spostare dal versante commerciale
verso altre aree, in modo che l’Unione non solo liberalizzi gli scambi, ma dia prima
sicurezza anche a chi è meno efficiente e poi cominci a guardare oltre, in direzione di
un’unione economica e monetaria e di un ulteriore allargamento.
Punto 8
Crescente convergenza delle politiche macro-economiche, cioè: politiche monetarie
restrittive, stabilità dei tassi di cambio, riduzione del debito pubblico (fatta eccezione per
Italia e Grecia), maggiore flessibilità dei mercati del lavoro (tramite la riduzione della
quota dei salari e degli stipendi sul reddito totale e relativo aumento della redditività delle
imprese). Tale situazione durerà fino al 1989.
L’obiettivo era quindi quello di avere nell’UE un livello di inflazione molto basso, anche
se questo potrebbe generare qualche problema su altri fronti. Per raggiungere questo
obiettivo si iniziò a pensare a politiche restrittive, quali richiamare i capitali dall’estero,
rivalutare le monete europee, rendere più difficili le esportazioni per l’Europa (quindi far
cadere la componente estera della D aggregata), rallentare la componente interna relativa
agli investimenti ed ai consumi privati, generare un certo livello di disoccupazione e
tenere alti i tassi d’interesse. Tale ultima politica comporta un aumento del debito
pubblico (somma dei deficit anno per anno, quindi somma dello squilibrio generato
anno per anno tra entrate fiscali e spese dei governi, l’eccesso di spesa viene finanziato
appunto dal debito pubblico) e questi a sua volta obbliga ad avere un tasso di interesse
concorrenziale sul piano internazionale (non sono solo i risparmiatori interni a poter
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25. Appunti di
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sostenere elevati tassi di deficit pubblico); necessario quindi che il tasso di cambio sia
stabile e che la moneta europea sia forte sulla scena internazionale rispetto al dollaro e
allo yen (auspicio che i fatti non hanno confermato).
Per supportare tutto ciò, si intuisce l’importanza del mercato del lavoro e si enuncia
l’obiettivo di omogeneizzare i mercati del lavoro e le relative regolamentazioni negli Stati
membri, puntando su una maggiore flessibilità e sullo spostamento della quota del
reddito nazionale non a favore dei salari ma a favore dei profitti, in modo da sostenere il
processo di ristrutturazione industriale.
Punto 9
Nuovo dibattito sull’ampliamento della CEE. L’obiettivo in questo caso è di far entrare i
potenziali nuovi partner ad una soglia più alta di efficienza istituzionale, economica e
democratica. Perché non si crei una sorta di negoziato su come debba essere la fase
successiva, si preventivano dei paletti (ovvero dei target) tra i quali gli altri Paesi devono
rientrare.
Il rilancio del processo di integrazione ed il problema britannico
Il rilancio del processo di integrazione punta su:
• riforma delle politiche (in particolare quella agricola comunitaria);
• riforma delle istituzioni;
• ricerca di nuove aree per un’iniziativa comunitaria.
Durante questo processo si pose però il rilevante “problema britannico”: la Gran
Bretagna contribuisce con il 70% alla produzione agricola comunitaria ed il bilancio tra
dare ed avere è a sua completo sfavore, infatti la Gran Bretagna rappresenta un
contributore netto: IVA - Entrate di bilancio CEE. Il problema posto dall’Inghilterra è,
in altre parole, un problema contabile: il bilancio della CEE è costituito dalle risorse
proprie, ogni stato cioè vi contribuisce – non solo con le entrate connesse ai dazi ed ai
prelievi, ma anche con una quota proporzionale del PIL collegata all’IVA – in funzione
della propria ricchezza (sulla base della c.d. solidarietà finanziaria) e se ne riappropria di
una parte in base alle politiche esistenti e della relativa importanza delle stesse sui relativi
settori dei singoli Paesi; dato che la PAC assorbiva i 2/3 del bilancio comunitario e che
l’Inghilterra aveva una quota minima (2 o 3%) del prodotto interno di questo settore sul
suo PIL – era quindi un Paese deficitario in un settore dove erano applicate leggi
protezionistiche e ciò andava a discapito anche dei consumatori (↑ p) – è evidente come
questo Paese risultasse sempre un pagatore netto, venisse cioè penalizzato. Per tale
motivo il Regno Unito si opponeva, ponendo il vincolo della sua soddisfazione, all’avvio
di nuove iniziative che avrebbero, tra l’altro, richiesto nuove risorse di bilancio.
La soluzione a tale problema passa attraverso due tematiche, una decisione di tipo
strutturale ed una di tipo congiunturale, ovvero:
1. riduzione dell’impatto della PAC sulle spese del bilancio CEE (allora di circa 2/3):
questo significava riformare la PAC, facendo cadere il sostegno all’agricoltura;
2. indennizzo dell’Inghilterra: soluzione transitoria adottata tra il 30/05/80 ed il
31/03/1984 (anno della prima radicale riforma della PAC che cercò di riequilibrare
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26. Appunti di
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gli scompensi tra dare ed avere) che accordava all’Inghilterra una certa somma
annuale che bilanciasse meglio la differenza tra quanto questa perdesse e quanto
invece potesse ottenere.
Solo a tali condizioni l’Inghilterra avrebbe accettato l’ampliamento delle entrate
comunitarie necessario per l’avvio di nuove iniziative.
Bilancio comunitario e riforma della PAC
Tali problemi vennero affrontati nel summit di Fontainebleau (1984) concordando:
• nuove misure per controllare la crescita delle eccedenze,
• la creazione delle risorse proprie (aggiuntive): nel 1986 l’IVA passa al 1.4% del PIL.
Già nel 1978 la DG16 (Direzione Generale che si occupa delle politiche regionali) aveva
dato mandato ad un gruppo di studiosi di vari Paesi dell’UE di analizzare l’attuale PAC:
lo studio, durato circa 2 anni, evidenziò come tale politica invece di supportare uno
sviluppo bilanciato aveva creato uno squilibrio nella crescita delle diverse regioni
comunitarie per il peso che l’agricoltura aveva nelle varie aree, per come ogni territorio
era collocato sui particolari comparti produttivi, per come la PAC aveva protetto di più
certi settori e meno altri: in sintesi i problemi erano che la spesa pubblica si concentrava
nelle zone più ricche dell’UE (l’80% dei soldi che arrivavano dall’UE andavano al 20%
dei produttori agricoli), ovvero che prendevano di più quei produttori che avevano
aumentato, grazie al protezionismo, le eccedenze nel settore agricolo ed infine che, una
volta deciso che questa politica avrebbe assorbito meno risorse, l’IVA all’1% non bastava
più.
Le nuove direttive introdotte dal Summit del 1984 accontentarono solo in parte
l’Inghilterra, in quanto questa, avendo un basso grado di auto-approvvigionamento, non
rientrava in una serie di altri aiuti, dato che questi si danno in base a quanto si produce, a
prescindere dalle eccedenze, ed al contributo del settore.
La PAC deve quindi essere riorientata e parte la 1° Riforma della PAC stessa: nasce qui il
problema – abbattutosi nel 2000 sui produttori di latte italiani – delle quote, i produttori
capiscono a loro spese che non possono più produrre eccedenze pensando di essere
rimborsati (se producono di più dell’anno precedente dovranno pagare una penale).
Riepilogo delle modalità di indennizzo dell’Inghilterra: nel Summit di Fontainbleu (1984)
fu introdotto un meccanismo permanente di parziale compensazione, basato sulla
differenza tra il suo contributo all’IVA e le sue entrate complessive del bilancio
comunitario. Il deficit strutturale tra dare ed avere nasceva: dal tipo di PAC; dal
contributo del settore agricolo al PIL inglese; dal grado di auto-approvvigionamento
dell’Inghilterra in campo alimentare.
N.B. Questo grado dava la situazione strutturale (settore per settore) di ogni Paese
all’interno dell’UE ed è dato dal rapporto tra la produzione di un bene di un Paese e del
consumo dello stesso bene di quel Paese, moltiplicato per 100; se uguale a 100% il Paese
sarà autosufficiente, se invece la produzione ↑ (e/o il consumo ↓) allora quel Paese
produce di più di quanto i suoi consumatori consumano a quel prezzo, anche una
variazione di p del mercato fa variare la situazione.
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27. Appunti di
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Una volta deciso il set di riforme, risolto il problema dell’Inghilterra ed affrontato quello
dell’ampliamento delle risorse finanziarie, si riproponeva il problema dell’allargamento: si
era partiti da 6 Paesi, nel ’73 si erano aggiunte Inghilterra, Danimarca e Irlanda
(spostando il baricentro verso il nord-Europa). Nel 1981 si era concessa l’entrata della
Grecia (arrivando a 10 Paesi membri) senza particolari problemi, in quanto questa era
una Paese relativamente povero e piccolo, con un’agricoltura importante nel suo sistema
economico, ma non fortemente innovativa.
La situazione di Spagna e Portogallo (entrate nel 1986) era invece molto più
problematica, tanto che si dovette ricorrere ad una politica di transizione che cercasse di
porre le economie mediterranee dei Paesi già membri su una migliore base competitiva:
la soluzione non poteva muoversi solo sull’agricoltura (tanto più che dal 1984 il sostegno
a tale settore sarebbe diminuito), furono quindi messi a punto nel 1985 i PIM
(Programmi Integrati Mediterranei). Fu costituito un gruppo di esperti di vari Paesi (più
elementi della Commissione Europea e del Comitato economico e sociale) con lo scopo
di studiare la situazione e preparare un progetto di sviluppo integrato che considerasse i
vantaggi competitivi (quindi i settori su cui puntare) ed il tipo di sinergie e di
integrazione di quel territorio (tra pubblico e privato) dei membri: in pratica analizzare
tutti i settori produttivi (artigianato, industria, turismo ed agricoltura), trovandone le
caratteristiche migliori, ed incentivarli con finanziamenti UE. I PIM furono approvati,
permettendo l’ingresso di Spagna e Portogallo, anche se non diedero un grandissimo
risultato, visto che era la prima volta che si chiedeva una sorta di partnership tra privati,
Ente pubblico, UE e Regioni (difficile che un privato investa in questo tipo di progetto).
Il Libro Bianco (1985)
I passaggi per la creazione di un MU sono:
1. eliminazione progressiva dei dazi e delle altre restrizioni quantitative: già messo a
punto con l’UD nel 1968;
2. abolizione barriere statali: sia tariffarie che non tariffarie;
3. soppressione delle forme di discriminazione basate sulla nazionalità: ad es. libera
circolazione del lavoro, delle imprese e del capitale;
4. politiche della concorrenza (norme anti-trust, bando di aiuti statali, ecc.),
dell’ambiente, dei fondi strutturali e della tutela del consumatore: riguardo al bando
degli aiuti statali c’è stata semplicemente una sorta di armonizzazione, in quanto ogni
volta che un Governo vuole concedere una particolare agevolazione deve richiedere
la verifica della compatibilità in sede comunitaria;
5. sostenere uno sviluppo bilanciato.
Eccezione a questi punti fu fatta per l’agricoltura (20% di occupati) – dove le barriere
statali possono ancora essere poste in essere per motivi di salute pubblica (ad es. mucca
pazza) – che entrò come parte integrante della CEE (come la pol. commerciale estera).
Fatto questo, il passaggio all’UM diventa un corollario, in quanto se si mettono tutte le
imprese, tutti i cittadini e tutti i consumatori sullo stesso piano, non si può
contemporaneamente lasciare ai Governi grande libertà sulle politiche monetarie e/o sul
tasso di cambio.
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28. Appunti di
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Ogni passaggio della crescita dell’integrazione europea passa sempre per dei momenti
istituzionali (ad es. Maastricht), dove si riuniscono i Capi di Stato (o i Ministri competenti
dei diversi Governi) e non la Commissione che è un “semplice” organo di gestione.
Nel 1985 il Presidente della Commissione (Delors) presenta al Consiglio d’Europa di
Milano il Libro Bianco – documento in cui vengono raccolti gli elementi e gli obiettivi
(Paese per Paese, settore per settore) che potessero analizzare gli effetti statici e dinamici
di questo MU – con il titolo di “Completare il Mercato Interno”, che ha 2 obiettivi
fondamentali:
1. completare il Mercato Unico Europeo;
2. individuare quelle potenziali condizioni che permettessero di far conseguire ai Paesi
membri i vantaggi diretti ed indiretti tipici di un MU.
Nello stesso Consiglio furono poi prese altre importanti decisioni per: convocare una
Conferenza intergovernativa per la revisione dei trattati esistenti, per promuovere una
riforma istituzionale che estendesse l’uso del voto a maggioranza a discapito del voto
all’unanimità (con l’ampliarsi dei membri sarebbe solo una “strozzatura”).
I primi passaggi riguardano l’abolizione delle barriere non tariffarie, ancora in vigore
nella Comunità Europea al 1985.
• Barriere di ordine fisico: i controlli alla frontiera vengono fatti sui prodotti (controlli fito-
sanitari), sulle persone (controlli di polizia), sulle merci (per costruire le statistiche
nazionali, ad es. sul commercio estero) e il loro smantellamento comporta una serie di
riaggiustamenti su altri versanti, devono infatti essere trovate delle alternative affinché
questi controlli siano effettuabili in caso di necessità;
• Barriere di ordine tecnico: sono considerabili come una sorta di garanzia per i
consumatori ed una regola per gli imprenditori (potrebbero addirittura diventare un
vantaggio competitivo se autonomi); tuttavia se questi standard non si rendono
omogenei potrebbero portare ad una frammentazione del mercato e quindi ad una
forma di protezionismo, cosa che realmente è successa (ad es. le differenze tecniche
delle spine). Necessario quindi smantellarle, ma come? Inizialmente si è provato con
un tentativo di armonizzazione tramite la fissazione “dall’alto”, che andasse bene per
tutti, di regolamentazioni tecniche e di standard, ma i diversi Governi non
accettavano un’ipotesi di tal genere e rallentavano questo processo additando a motivi
di salute pubblica e/o di salvaguardia dell’ambiente. La soluzione al problema fu
trovata quasi per caso estendendo una sentenza della Corte di Giustizia di Bruxelles
chiamata ad esprimersi su un liquore (il Cassis di Dijon), si dette così via al Nuovo
Approccio Comunitario (poi applicato dal Libro Bianco) che invece di andare verso
estenuanti ed inutili trattative applicava il Principio del mutuo riconoscimento:
qualsiasi prodotto fabbricato a norma di legge (ovvero ritenuto fatto “a regola
d’arte”) in un Paese membro può circolare liberamente nel resto dell’UE. Questo
nuovo approccio può portare, alla lunga, ad un abbassamento dell’attenzione del
consumatore al gusto e quindi ad una globalizzazione dei consumi arrivando ad una
riduzione dei margini di differenziazione dei prodotti: tutto ciò porta ad una
maggiore influenza di alcuni tipi di impresa (le multinazionali). Es. esagerato
potrebbe essere quello della pasta: in Italia l’attenzione per questo prodotto è molto
elevata, ma grazie a questo principio potrebbe arrivare la pasta tedesca
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29. Appunti di
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(qualitativamente più scarsa ma anche meno cara), che, giocando proprio sul minor
prezzo, potrebbe entrare nelle abitudini italiane.
• Barriere di ordine fiscale: per il processo di armonizzazione l’art. 100 dell’Atto Unico
Europeo (AUE) imponeva il voto a maggioranza qualificata per le normative e le
barriere tecniche, ma non per le barriere fiscali (né alla base imponibile né alle
aliquote). Proprio le diversità dei sistemi fiscali nei vari Paesi membri è stato un
grande ostacolo all’evolversi del processo di integrazione. L’unico risultato ottenuto
fin a quel momento era stata una sorta di armonizzazione delle sole imposte indirette
(con l’introduzione dell’IVA) e l’introduzione del principio di destinazione (ad ogni
punto di consumo veniva applicata la stessa imposta senza considerare la provenienza
del prodotto), in questo modo tutti i produttori dei vari Paesi arrivavano sul mercato
di destinazione con lo stesso grado di competitività (stesso p di offerta). Si pone a
questo punto il problema di come compensare i flussi fiscali di entrata per ogni Paese
(ad es. il Paese A esporta un prodotto, internamente gravato del 20% d’IVA, nel
Paese B che ha un’IVA del 10%, si può compensare questa differenza del 10%
gravando maggiormente un altro prodotto, questi squilibri hanno portato ad un
maggior controllo): smantellare questo tipo di barriere non è facile in quanto sono
anche uno strumento della politica di bilancio e della politica distributiva, ciò vuol
dire affidare ad una sola autorità centrale la determinazione della base imponibile,
significa per ogni Paese perdere la facoltà di decidere la propria politica economica
(ad es. di sostegno ad un settore piuttosto che ad un altro). L’unica soluzione che
potesse allora permettere appieno di ottenere vantaggi dalla creazione di un MU era
di esportare ad aliquota zero (principio di destinazione). Con le implicazioni connesse
a questo principio veniva però ad accrescersi la necessità di controlli fiscali e di
compensazioni alle frontiere: eliminare questa problematica richiederebbe da una
parte l’armonizzazione della base imponibile e dall’altra il riallineamento delle varie
aliquote. Ad oggi, mentre è iniziato il riallineamento per alcuni settori in cui è stata
decisa un’aliquota minima del 15%, nulla è accaduto per quanto concerne
l’armonizzazione.
Ecco quindi che la ragione economica di fondo che ha portato alla costituzione del MU
riguarda da un lato l’eliminazione delle barriere tariffarie e non e dall’altro raggiungere
una libera circolazione non solo delle merci, ma anche dei capitali e del lavoro.
Effetti di una libera circolazione di capitali (MU)
Per poter capire quali sono i vantaggi derivanti da una libera circolazione bisogna
ipotizzare che: nel mondo ci siano solo 2 Paesi, la dotazione di capitale (K) mondiale sia
la somma dei K di questi due Paesi, la remunerazione del K del primo Paese sia più alta
di quella del secondo (in modo che con una libera circolazione i K si sposteranno dal
Paese dove il rendimento è minore a quello dove è maggiore), tutti i fondamenti
dell’economia siano omogenei (tasso di cambio e di inflazione, debito pubblico ecc.).
Innanzitutto quando parliamo di movimenti di K bisogna distinguere tra: il K finanziario
e gli investimenti diretti, più interessanti in quanto concorrono ad aumentare il benessere
collettivo, il PIL, ecc.
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30. Appunti di
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Valore del Valore del
prodotto prodo tto
marginale marginale
del K nel del K nel
J
Paese 1 F Paese 2
M
H
E
R
N T
D G
C
VMPK2 VMPK1
0 0’
B A
K totale dei due Paesi
In questo grafico abbiamo 2 piani cartesiani contrapposti:
- a sx il Paese 1: sull’asse delle ordinate abbiamo il VMPK 1 (rendimento del K) del
primo Paese, questa è una curva decrescente in quanto maggiore è la disponibilità di
K, minori sono i rendimenti marginali dello stesso e viceversa;
- a dx il Paese 2: sull’asse delle ordinate c’è il VMPK 2, per cui vale la stessa relazione
economica tra K e suo rendimento.
Scegliamo ora arbitrariamente un punto sull’asse delle ascisse (ad es. A) ed abbiamo che
OA è la dotazione di K nel Paese 1, AO’ la dotazione nel Paese 2. Partendo da A
interseco le curve VMPK 1 e VMPK2 ed ottengo i punti G (ovvero C sull’asse che
esprime il rendimento del K nel Paese 1) e M (cioè H che è il rendimento nel Paese 2):
• il Paese 1 ha una gran dotazione ed un basso rendimento di K rispetto al Paese 2 che
ha un alto VMPK e una bassa dotazione di K: dato che C < H i K si spostano verso
il Paese 2 fino al punto in cui i rendimenti dei due Paesi non si livelleranno (punto B);
• il PIL del Paese 1 è dato dall’integrale al di sotto della curva VMPK 1 tra O e A, cioè
l’area OAGF, prima della creazione del MU;
• il PIL del Paese 2 è dato dall’integrale al di sotto della curva VMPK 2 tra A ed O’, cioè
l’area AO’JM, prima della creazione del MU;
• l’area OAGC: quanto del PIL va a remunerare i detentori di K nel Paese 1;
• l’area AO’HM: quanto del PIL va a remunerare i detentori di K nel Paese 2;
• l’area GFC: quanto del PIL del Paese 1 va a remunerare i detentori di L e T;
• l’area MJH: quanto del PIL del Paese 2 va a remunerare i detentori di L e T;
• il trapezio ABEM: indica l’aumento del prodotto totale del Paese 2 ed è composto da
ABER, che va agli investitori esteri (quindi del Paese 1), e da ERM, che rappresenta il
guadagno netto in termini di prodotto totale realizzato nel Paese 2;
• il triangolo EGM: rappresenta il vantaggio raggiunto dalla libera circolazione dei K,
ovvero la migliore allocazione delle risorse che comporta nel complesso un
incremento della ricchezza nazionale.
Nel grafico il punto E è il punto d’equilibrio ed il segmento BA rappresenta i
trasferimenti di K dal Paese 1 al Paese 2. Ciò fa innalzare i rendimenti nel Paese 1 sino a
la livello ON, nel Paese 2 invece affluisce maggiore K e quindi il rendimento e dato dal
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