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Il World Class Manufacturing e
le relazioni industriali in Fiat
Chrysler Automobiles
Università della Calabria
Dipartimento di Scienze Politiche e Sociali
Anno Accademico 2013/2014
Corso di Laurea Magistrale in
Scienze delle Pubbliche Amministrazioni
Tesi di Laurea
Il World Class Manufacturing e le relazioni
industriali in Fiat Chrysler Automobiles
Relatore Candidata
Prof. Vincenzo Fortunato Rossana Labonia
matricola 158131
Indice
INTRODUZIONE ......................................................................................................... 1
CAPITOLO 1
1.1 L’evoluzione dell’organizzazione: dalla produzione artigianale al fordismo ….....6
1.2 Il post-fordismo: i pilastri del “modello giapponese”.............................................. 11
1.3 Il processo produttivo nella lean production ........................................................... 23
1.4 La struttura organizzativa della fabbrica integrata.................................................... 28
1.5 Le risorse umane e le relazioni industriali nella lean production .......................... 38
CAPITOLO 2
2.1 Il “World Class Manufacturing” come modo di lavorare....................................... 53
2.2 Strumenti e metodologie ............................................................................................. 57
2.3 L’implementazione del World Class Manufacturing................................................ 64
2.4 Il sistema Ergo-Uas....................................................................................................... 66
CAPITOLO 3
3.1 Dinastia Agnelli.............................................................................................................. 75
3.2 Il nascere della crisi ....................................................................................................... 78
3.3 Le ragioni della crisi ..................................................................................................... 85
3.4 E poi arriva Marchionne............................................................................................. 105
3.5 Nasce Fiat Chrysler Automobiles (FCA)................................................................. 125
CAPITOLO 4
4.1 Le relazioni industriali in Fiat.................................................................................... 128
4.2 Affare Chrysler e tentativi di acquisizione della Opel............................................ 175
4.3 Le Vertenze di “Pomigliano” e “Mirafiori” ............................................................ 184
4.4 Verso quale direzione sindacale: partecipazione o conflittualità?........................ 203
CAPITOLO 5
5.1 Premessa ........................................................................................................................206
5.2 La Fiat Chrysler Automobiles di Mirafiori ..............................................................208
5.3 L’impatto del World Class Manufacturing in termini di partecipazione sul
sistema aziendale ................................................................................................................210
5.4 L’impatto del World Class Manufacturing in termini di partecipazione sulle
relazioni industriali .............................................................................................................217
5.5 L’impatto del World Class Manufacturing in termini di partecipazione sui
lavoratori .............................................................................................................................225
Intervista Alberto Cipriani (Responsabile Fim-Cisl)....................................................232
Intervista Edi Lazzi (Segretario responsabile Fiom-Cgil).............................................249
Intervista Flavia Aiello (Segretaria provinciale Uilm-Uil).............................................268
Intervista Roberto Cortese (Responsabile relazioni industriali FCA-EMEA)..........279
Intervista Luciano Massone (Capo del WCM Region & WCM Dev. Center VP ..........
..............................................................................................................................................297
Intervista Pino Di Castri (Operaio Mirafiori Carrozzeria) ..........................................308
Intervista Antonella Palumbo e Giuseppe Buscicchio (Operai Mirafiori
Carrozzeria Montatura e Verniciatura)............................................................................314
Intervista Claudia Di Rosso ( Impiegata struttura centrali)..........................................323
Considerazioni conclusive ............................................................................................331
Riferimenti Bibliografici .............................................................................................. 336
1
Introduzione
Il lavoro di tesi entra nel merito delle trasformazioni legate
all’introduzione di nuove forme di organizzazione del lavoro e della
produzione, partendo dai temi classici dell’organizzazione scientifica del
lavoro, la fabbrica taylor-fordista, fino ad arrivare all’ultima frontiera dell’
organizzazione del lavoro e della produzione, il “World Class
Manufacturing”.
A partire dal 2006, in un contesto di crisi globale, il manager italo-
canadese Sergio Marchionne, si lancia in una vera e propria crociata per
l'aumento della produttività, adottando all’interno del Gruppo Fiat un
nuovo programma il “World Class Manufacturing”, un nuovo modo
guardare all’organizzazione, un metodologia di miglioramento continuo
delle prestazioni della fabbrica, attraverso cui si riescono ad ottenere
importanti vantaggi di competitività relativi a qualità, costi e tempi di
risposta. L’applicazione del WCM richiede che ognuno collabori alla
gestione dell’azienda, che ogni dipendente sia coinvolto nel
perseguimento rapido e continuo del cambiamento. È importante che i
miglioramenti all’interno dell’azienda siano introdotti con il
coinvolgimento dei lavoratori al fine di attivare una loro prima
mobilitazione intellettuale, attraverso il suggerimento di idee che le
persone stesse ritengono possano migliorare le loro condizioni di lavoro.
Altrettanto importante per un corretto funzionamento del programma
non è tanto quello di costruire un nuovo modello di relazioni industriali
ma quello di dare spessore a forme di partecipazione concrete, di aprire
dei canali di comunicazione e di dialogo costruttivi finalizzati alla ricerca
di compromessi tra l’azienda e il sindacato.
2
La tesi è strutturata in cinque capitoli (o parti) tra loro strettamente
collegati e interdipendenti. Nel primo capitolo si affronta il tema
dell’evoluzione delle formule organizzative. L’enfasi è posta sul rapporto
tra i vari modelli organizzativi, i fattori che ne hanno determinato il
superamento e la sostituzione con altri modelli più o meno innovativi
rispondenti alle esigenze del mercato. Per ciascuna tipologia sono state
ricostruite le principali caratteristiche organizzative, l’impatto della nuova
organizzazione e delle tecnologie disponibili sui lavoratori, le strategie
gestionali da parte della direzione. Si partirà dall’organizzazione
scientifica del lavoro, la fabbrica taylor-fordista, fino ad arrivare al
modello giapponese (lean production) che, a partire dagli anni Novanta,
ha rivoluzionato il settore dell’auto e sulla sua recente evoluzione nota
come World Class Manufacturing.
Nel secondo capitolo si entrerà nel dettaglio del World Class
Manufacturing, e in particolare delle tecniche e degli strumenti utilizzati,
delle fasi necessarie per la sua implementazione e un’ approfondimento
del sistema Ergo-Uas, utilizzato per migliorare le condizioni di salute e di
sicurezza dei lavoratori all’interno della nuova organizzazione.
Il terzo capitolo ripercorre la storia della Fiat, tutte le vicende che sono
ormai oggetto di attenzione da parte degli ambienti economici, sociali e
politici del paese, e soprattutto sui numerosi problemi che l’azienda sta
vivendo fino ad arrivare all’ingresso sulla scena, nel 2004, del nuovo
amministratore delegato Sergio Marchionne che ha risollevato le sorti
dell’azienda, la cui attenzione si è concentrata soprattutto sugli Stati Uniti
che è sfociata nel Gennaio 2014 nell’acquisizione di Chrysler, con la
nascita di “Fiat Chrysler Automobiles”, che ha segnato di fatto l’inizio di
un nuovo capitolo per l’azienda italiana.
3
Il quarto capitolo focalizza l’attenzione sul tema delle relazioni industriali
in Fiat, abbiamo cercato di offrire un’analisi della contrattazione
collettiva sindacale alla Fiat, partendo dagli anni Ottanta fino ad arrivare
ai giorni nostri, per comprendere appieno i cambiamenti in atto.
Cambiamenti che hanno portato, attraverso l’introduzione del nuovo
paradigma organizzativo del lavoro e della produzione (WCM), a un
modello di contrattazione collettiva che da “normativo” diventa
“partecipativo”.
Il quinto capitolo si riferisce alla ricerca empirica, dopo una breve
descrizione dello stabilimento Fiat Chrysler Automobiles di Mirafiori,
della realtà di fabbrica, e delle condizioni in cui perversa, le numerose
domande su cui si basa la ricerca tentano di ricostruire, a partire dai
luoghi di lavoro e dalle rappresentazioni sociali dei protagonisti, operai,
impiegati, manager e rappresentanti sindacali, le nuove prassi
organizzative e le dinamiche che si instaurano tra i diversi attori.
Obiettivi e ipotesi della ricerca
Particolare enfasi in questo studio sul World Class Manufacturing è posta
sulle relazioni che intercorrono tra azienda, sindacato e lavoratori nello
stabilimento di Fiat Chrysler Automobiles di Mirafiori.
È possibile osservare come l’azienda si stia dirigendo sempre di più verso
l’adozione di una strategia gestionale basata sulla flessibilità, sulla
riduzione dei livelli gerarchici, sul lavoro in team, sulla qualità totale ma
anche e soprattutto sulla partecipazione e formazione dei lavoratori
rispetto alle necessità produttive. Un aspetto particolarmente
interessante, in seguito all’introduzione del WCM, riguarda l’evoluzione
delle relazioni industriali che sembrano orientarsi verso nuovi scenari che
4
richiedono non soltanto la partecipazione collettiva sindacale, ma in
qualche modo determina il passaggio ad una forma di “sindacalismo
partecipativo”, vale a dire caratterizzato da un rapporto di forte
integrazione con l’azienda e soprattutto sulla eliminazione di ogni forma
di conflittualità.
A tal riguardo lo scopo della ricerca è quello di capire qual è il
collegamento tra questo nuovo paradigma organizzativo, sperimentato
dal 2006 in poi, e le relazioni industriali.
In particolare, se il WCM, centrato sul coinvolgimento attivo dei
lavoratori, richiede o meno l’intermediazione del sindacato. Quali
caratteristiche questo deve avere, partecipativo o conflittuale.
Qual è il ruolo del sindacato e la sua effettiva partecipazione all’interno
dell’azienda. Qual è il rapporto con l’azienda, se quest’ultima cerca il
rapporto con i sindacati oppure preferisce interagire direttamente con i
lavoratori. Se esistono ancora dei meccanismi di tipo partecipativo,
rappresentato dalle commissioni, se queste funzionano effettivamente o
il coinvolgimento del sindacato è soltanto formale.
Si cercherà dunque di capire quali sono i nuovi equilibri e le nuove
strategie manageriali finalizzate ad acquisire il consenso sui nuovi metodi
di produzione e come questo ha influito in modo determinante
sull’organizzazione e sulle modalità di azione del sindacato.
Considerazioni metodologiche e strumenti
Per quanto riguarda gli aspetti metodologici, la ricerca è stata svolta
attraverso delle interviste in profondità a rappresentanti sindacali, in
particolare al responsabile della Fim-Cisl, Alberto Cipriani, al segretario
della Fiom-Cgil, Edi Lazzi e alla segretaria provinciale della Uilm-Uil,
5
Flavia Aiello. Per quanto riguarda il Management Fiat Chrysler
Automobiles, il responsabile delle relazioni industriali FCA – EMEA,
Roberto Cortese, il capo del World Class Manufacturing EMEA Region
& WCM Dev. Center VP, Luciano Massone, e i lavoratori di Mirafiori
Carrozzeria, Pino Di Castri, Antonella Palumbo, Giuseppe Buscicchio e
l’impiegata delle strutture centrali Fiat Chrysler Automobiles, Claudia Di
Rosso.
I principali contenuti delle interviste hanno riguardato le strategie
manageriali legate alla nuova organizzazione del lavoro e della
produzione, le caratteristiche e i problemi legati all’introduzione del
World Class Manufacturing, le relazioni di lavoro, in termini di
coinvolgimento dei lavoratori, l’evoluzione delle relazioni sindacali, i
ruoli delle diverse figure, le forme della rappresentanza, le modalità e le
procedure dell’azione sindacale.
L’osservazione diretta all’interno dello stabilimento Maserati di
Grugliasco, mi ha inoltre permesso di capire come i lavoratori si
inseriscono all’interno della nuova organizzazione e come è cambiato
l’ambiente di fabbrica nel complesso.
6
Capitolo 1
Dall’organizzazione scientifica del lavoro (Taylor)
al “sistema produttivo Toyota”
1.1. L’evoluzione dell’organizzazione: dalla produzione
artigianale al fordismo
L’organizzazione di fabbrica, come organizzazione della produzione per
il mercato, nasce nel XVIII secolo. Tuttavia l’ampliamento e il controllo
della produzione da parte dell’imprenditore aveva già conosciuto una
forma che non richiedeva la concentrazione di mezzi di produzione e
persone, si trattava del putting-out system, in cui il lavoro veniva
effettuato da artigiani o braccianti che lavorano a domicilio usando
materie prime e telai di proprietà del mercante-imprenditore.
Il passaggio dal lavoro artigianale al lavoro in fabbrica avviene col
raggruppamento degli artigiani e dei macchinari in un unico complesso,
sotto un’unica direzione, appunto, la fabbrica, per dare più continuità,
precisione e maggiore regolazione al processo di lavoro attraverso la
disciplina del tempo rispetto all’inizio in cui la produzione procedeva a
sbalzi, per interruzioni, seguendo i ritmi di ciascun artigiano.
L’avvento dell’impianto produttivo moderno ebbe un enorme
impatto sociale descritto per la prima volta da Marx1
. Venne innanzitutto
meno la possibilità di scegliere quando lavorare, se lavorare e anche se
lavorare di meno, rinunciando ad una parte del proprio reddito,
1
Fortunato V., Della Rocca G., «Lavoro e organizzazione. Dalla fabbrica alla società
postmoderna», Roma-Bari, Editori Laterza, 2006, p. 8
7
quest’ultima possibilità era consentita nel lavoro a domicilio ma non nella
fabbrica, il cui il tempo era disciplinato da orari di lavoro nella giornata o
nella settimana.
Le ragioni per cui la fabbrica surclassò il lavoro a domicilio non
sono tuttavia solo legate all’innovazione tecnologica, al controllo sul
come l’operaio lavorava o allo sfruttamento da parte del padrone
imprenditore. Mettere tutti i lavoratori sotto lo stesso tetto assicurava
una maggiore possibilità di trasmissione delle informazioni tra gli stessi
operai. La concentrazione in fabbrica serviva quindi a stimolare o
costringere gli operai appartenenti a diversi mestieri a interagire tra loro o
a rendere disponibili le loro conoscenze. Per costoro ovviamente la
fabbrica non rappresentava la sola possibile soluzione al problema, i
sindacati e le associazioni di mestiere (meccanici, macchinisti, tessitori,
fonditori, ecc.) avevano un ruolo importante nello scambio delle
conoscenze.
All’interno della fabbrica vennero quindi introdotte le prime
«macchine universali», che potevano essere adoperate per diverse
operazioni, vi è un rapporto uomo-macchina del tutto peculiare in cui
l’abilità, il mestiere del singolo operaio è ancora preponderante.
L’imprenditore sceglie cosa produrre e assicura le condizioni
generali della produzione, ma l’esecuzione del prodotto è in larga parte
lasciata all’autonomia e all’abilità professionale degli operai, nell’uso delle
macchine, organizzati in squadre. Queste sono composte da operai più
esperti e anziani, da apprendisti più giovani e da molti manovali non
qualificati che eseguivano i lavori più semplici. Gli operai dotati di
professionalità di questa fase, pochi rispetto ai manovali, sono chiamati
operai di mestiere.
8
Osservata con gli occhi della fabbrica che si è imposta nei decenni
successivi, essa appare alquanto «disorganizzata». Uno stesso lavoro
poteva richiedere tempi di attuazione differenti a seconda delle squadre,
essere fatto in modi diversi, essere diversamente remunerato a seconda
degli accordi del caposquadra con gli operai che lui stesso assumeva e
così via.
Da queste considerazioni nasce l’idea di introdurre un metodo
nell’organizzazione del lavoro, la proposta più compiuta fu la cosiddetta
organizzazione scientifica del lavoro (Scientific Management), ideata in
America da Frederick W. Taylor.
Taylor partì dall’idea che per acquistare efficienza era necessario
progettare un’organizzazione centralizzata, nella quale fossero
rigidamente divisi i compiti di decisione e pianificazione del lavoro
(spostati alla direzione) da quelli di esecuzione. Il processo complessivo
di lavorazione doveva essere smontato in una serie di operazioni
parcellizzate, ognuna (o una serie limitata) delle quali definisse un posto
di lavoro. Le singole operazioni potevano essere standardizzate,
fissandone tempi e metodi, e tenuto conto dello sforzo necessario,
Taylor propose un incremento del salario fino al 60% circa della paga
giornaliera, per il lavoratore che avesse eseguito fedelmente e nei tempi
unitari previsti i compiti definiti dall’ufficio.
Opportune tecniche di selezione e valutazione avrebbero trovato
«l’uomo giusto al posto giusto», diversamente remunerato a seconda
dell’apporto che dava alla produzione.
Tuttavia tutto ciò non bastò a evitare vivaci reazioni, perché il
nuovo metodo sottraeva ai lavoratori poteri e autonomia. Secondo molti
sociologi industriali e del lavoro la netta separazione tra la fase di
ideazione e la fase di esecuzione, affidata agli operai, segnò la fine di un
9
era nell’organizzazione del lavoro, svuotando il lavoro operaio di quei
contenuti intelligenti che erano alla base del «mestiere», sancendo il
passaggio dall’operaio professionale della manifattura al cosiddetto
operaio di massa. Concentrando le aeree vitali della pianificazione e del
design nelle mani della direzione, il taylorismo ha eliminato
un’importante fonte di potere e di conoscenza-controllo del processo
produttivo dalle mani dei lavoratori, generando una forza lavoro
dequalificata e meno costosa.
L’opera di Taylor costituisce tuttavia la base dalla quale riparte un
altro illustre personaggio dell’epoca: Henry Ford. Il grande successo di
Ford sta proprio nell’essere riuscito dove Taylor ha in qualche modo
fallito, vale a dire nell’adattare al lavoro operaio grandi masse
dequalificate (Accornero, 2002).
La nuova divisione tecnica del lavoro è organizzata attraverso la
catena di montaggio (assembly line): «un tipo di organizzazione del
lavoro per cui le diverse operazioni, ridotte alla medesima durata o ad un
multiplo o sottomultiplo semplice di tale durata, vengono eseguite senza
interruzione tra loro e in un ordine costante nel tempo e nello spazio».
Fig. 1.1 Catena di montaggio della Ford (Touraine, 1955)
10
La genialità di Ford è stata quella di comprendere ed esaltare gli enormi
vantaggi di un sistema quasi chiuso e massimamente stabile, questo ha
consentito l’enorme aumento della produttività anche grazie all’operare
di due meccanismi: la specializzazione dei compiti e la standardizzazione
dei componenti.
La specializzazione dei compiti richiedeva dai lavoratori una forma
di cooperazione passiva intesa come fedele esecuzione di quanto stabilito
dalle norme organizzative2
.
La standardizzazione del prodotto, era quello di scomporlo in un
insieme di pezzi perfettamente intercambiabili e dotati di massima
predisposizione all’incastro, la cui differenziazione era riservata alla sola
fase finale di assemblaggio, il processo veniva quindi semplificato fino ad
arrivare a lavorazioni mono-prodotto a ciclo continuo.
La produzione in grandi quantità di prodotti standardizzati permetteva,
inoltre, di ridurre i costi unitari di produzione sfruttando le cosiddette
economie di scala.
Nascono in questo ambito i sindacati industriali, che organizzano sia gli
operai specializzati sia quelli comuni senza l’esclusione di nessuno. Si
estende come principio per la tutela del lavoro la contrattazione
collettiva, con essa gli operai acquisiscono diritti universali di tutela del
lavoro, quali quello del salario minimo, dell’orario standard massimo di
lavoro (8 ore giornaliere).
Intorno agli anni Settanta il modello fordista inizia ad entrare in
crisi per una molteplicità di motivi, primo fra tutti, la crescente pressione
del movimento operaio al fine di ottenere condizioni di lavoro migliori in
2
Fortunato V., Della Rocca G., «Lavoro e organizzazione. Dalla fabbrica alla società
postmoderna», cit., p. 35
11
un contesto che è pur sempre quello della fabbrica taylorista, alienante e
gerarchica. Con l’aumento poi dell’individualismo e del senso di identità
attraverso il consumo, le aziende hanno dovuto venire incontro ai nuovi
bisogni fornendo varietà e diversità in moltissimi tipi di prodotti. E
infine lo sviluppo dei paesi emergenti, che ha permesso alle nuove
industrie di produrre e immettere sul mercato esterno gli stessi prodotti
con un costo del lavoro inferiore, soddisfando, allo stesso tempo, la
nuova domanda di beni dei mercati interni.
1.2. Il post-fordismo: il “sistema produttivo Toyota”
La rigidità della fabbrica taylorista viene progressivamente sostituita dal
«sistema produttivo Toyota» o «sistema produttivo giapponese», punto di
riferimento delle grandi imprese internazionali, soprattutto nel settore
automobilistico. Il padre fondatore Taiichi Ohno, nel 1956, facendo un
viaggio in America per visitare gli stabilimenti di General Motor e Ford,
si rese conto che ciò che lo colpì di più erano i supermercati, nei quali
vedeva già realizzate alcune sue idee sul just in time.
“Combinare automobili e supermercati può sembrare una strana idea.
Tuttavia per molto tempo, dopo avere analizzato l’organizzazione di un supermercato
americano, studiammo le analogie tra quell’organizzazione produttiva e la produzione
di automobili per mezzo del just in time. Un supermercato è un luogo dove il cliente
può prendere ciò di cui ha bisogno nel tempo e nelle quantità desiderati”
… “Dal supermercato abbiamo così mutuato l’idea di concepire il processo che
sta ‘a monte’ nella linea produttiva come una sorta di negozio. Il processo che sta ‘a
valle’ (cliente) procede verso quello iniziale (supermercato) per acquistare i pezzi
12
necessari (merci) nei tempi e nella quantità desiderati. È allora che il processo iniziale
produce immediatamente la quantità appena prelevata (rifornimento degli scaffali)”
Fig. 1.2 I supermarket americani realizzano in parte il just in time con i cartellini (kanban)
Fonte: L. Pero, Taylor e Ford, World Class Manufacturing, 2008
Agli inizi degli anni Novanta è sembrato quindi che la produzione snella
(lean production), potesse dare un volto e una connotazione precisa al
nuovo modo di organizzare il lavoro e la produzione. In tale prospettiva,
il capitale umano, assume nuovi connotati che lo rendono la più
importante risorsa strategica all’interno della fabbrica.
Mentre la produzione di massa, standardizzata, era basata sull’idea
che si sarebbero trovati clienti per tutto ciò che si produceva, nella nuova
situazione si tratta invece di produrre soltanto quello che è già richiesto
dal cliente. Il nuovo modello organizzativo viene definito, da gran parte
della letteratura, come market driven ovvero guidati dal mercato e
dall’andamento della domanda in contrapposizione a una vecchia
13
concezione di produzione, quella dell’industria di massa, per cui era la
fabbrica e la sua produzione che guidavano il mercato3
.
Nel fordismo le decisioni su cosa e quanto produrre erano fissate dalla
direzione «a monte», i componenti, i prodotti in fabbrica o da fornitori
esterni, affluivano nei magazzini e da qui passano all’assemblaggio lungo
la catena. Se le auto non venivano vendute subito, venivano parcheggiate
nei piazzali in attesa di essere vendute, mentre i componenti prodotti in
eccesso si accumulavano. Rovesciando lo schema organizzativo, con la
lean production, è l’ordinazione di un certo numero di auto pervenuta
agli uffici commerciali che mette in moto lungo la linea produttiva, la
richiesta dei diversi componenti, i quali vengono prodotti solo nella
quantità necessaria. In fabbrica non circola più nessun componente che
già non si sappia a che auto è destinato, è la cosiddetta produzione «just
in time», un principio cardine che regola gli approvvigionamenti di
materiali e componenti, in base al quale ogni attività lavorativa deve
essere alimentata con i componenti richiesti, nel tempo richiesto e nella
quantità esattamente richiesta per l’assemblaggio del prodotto finale. In
questo modo, ciascun componente arriva alle varie postazioni sulla linea
di montaggio nei tempi e nelle quantità designate soltanto quando vi è
una richiesta da parte del cliente, prevenendo la necessità di mantenere
scorte in magazzini o polmoni intermedi.
3
Fortunato V., Della Rocca G., «Lavoro e organizzazione. Dalla fabbrica alla società
postmoderna», cit., p. 56
14
Fig. 1.3 Eliminare magazzini e polmoni intermedi
Fonte: L. Pero, Taylor e Ford, World Class Manufacturing, 2008
Il just in time punta, infatti a ridurre i costi elevati di stoccaggio, tipici
della produzione di massa in grandi serie, attraverso la valorizzazione
solo di quelle operazioni in grado di generare effettivamente valore
aggiunto al prodotto ed eliminando ogni tipo di spreco (in giapponese,
“muda”).
Fig. 1.4 Attività “a valore aggiunto” e “non valore aggiunto”
Fonte: Metodi e strumenti per il Fiat Auto Production System, Fiat Group Automobiles,
2007
15
È spreco tutto ciò che consuma risorse, in termini di costo e tempo,
senza però creare valore per il cliente. Questi vengono classificati in sette
tipologie, tra cui la più grave è la sovrapproduzione, in quanto è
all’origine degli altri tipi di sprechi, in particolare delle scorte, dei difetti e
dei trasporti.
Fig. 1.5 I sette tipi di spreco
Fonte: Metodi e strumenti per il Fiat Auto Production System, Fiat Group Automobiles, 2007
16
Se il just in time rappresenta il pilastro dell’organizzazione del flusso e
del processo di produzione, lo strumento usato nella pratica per rendere
effettivo questo principio è rappresentato dal sistema di comunicazione
interna, “kanban”, che consente di stabilire i volumi produttivi
giornalieri.. È una forma di comunicazione, costituto da un punto di
vista materiale da un foglio di carta contenuto in un involucro di vinile e
recante una serie di informazioni, ma anche da segnali luminosi e sonori
che servono a controllare il rispetto dei tempi di lavoro e di consegna
previsti. In sostanza, il kanban opera come ordine di lavoro, e ciò si
traduce nel fatto che il segmento produttivo precedente deve fabbricare i
pezzi nella quantità indicata dal cartellino, ossia deve produrre
esattamente la quantità di merci prelevata dal processo produttivo
successivo, nel tempo indicato e rispettando i parametri qualitativi
stabiliti. Altra regola fondamentale è, infatti, quella che prescrive di non
consegnare nulla di difettoso alla stazione di lavoro successiva.
Fig. 1.6 Kanban - schema di funzionamento
Fonte: Confindustria Vicenza, Produzione snella. La riduzione degli sprechi nel reparto
produttivo, 2012
17
L’uso diffuso del kanban consente quindi di rovesciare l’intero sistema di
programmazione della produzione, si passa infatti da una logica push a
una logica pull.
La logica pull, che in inglese vuol dire “tirare” significa che i materiali
non devono essere spinti verso la produzione, ma è necessario adottare
un sistema che tiri i materiali verso la fabbrica. I materiali escono dai
magazzini e la produzione inizia in un determinato reparto solo quando è
richiesto da una operazione a valle o dalla domanda, cioè quando vi è
una richiesta di mercato. I risultati di tale approccio sono livelli inferiori
di scorte, migliore qualità del prodotto, flusso di produzione più
armonico, maggior coinvolgimento dei lavoratori.
Fig. 1.7 “Logica Pull”
Fonte: L. Pero, Taylor e Ford, World Class Manufacturing, 2008
Rispetto alla logica pull, che mantiene code di lavorazioni davanti
ciascuna macchina e cumuli di parti componenti in attesa di lavorazione.
I materiali dovrebbero essere spinti (to push,“spingere”) fuori dai
magazzini o dai reparti produttivi in base a prestabiliti programmi.
Magazzini polmone, tempi di anticipo di sicurezza e altre tattiche sono
18
spesso usate per assicurarsi che i materiali siano disponibili non appena
richiesti.
Fig. 1.8 “ Logica Push”
Fonte: L. Pero, Taylor e Ford, World Class Manufacturing, 2008
Dal momento che il kanban è la tecnica che consente di realizzare il just
in time, affinchè il sistema possa operare correttamente e in modo
efficiente, i processi produttivi devono essere articolati in modo da
ottenere il miglior livello possibile di continuità del flusso. Per realizzare
questa finalità e consentire la sequenza della produzione, la produzione
snella adotta la disposizione degli impianti ad U (in contrapposizione alle
linee di lavorazione meccanica e di montaggio allungate su di una linea
dritta), la cui caratteristica principale è data dal fatto che le entrate e le
uscite devono trovarsi l’una di fronte all’altra.
A ciascun lavoratore, addetto a più macchine, vengono assegnate un
numero variabile di operazioni. Con la disposizione ad U i lavoratori
possono parlarsi, vedere il prodotto in tutte le fasi e possono scambiarsi
tra di loro. Questa disposizione ha permesso una riduzione dei tempi
d’attesa, di stoccaggio e di trasferimento, e il lavoratore opera nella
19
condizione di dovere necessariamente massimizzare il suo tempo
operativo.
Le catene di montaggio moderne non sono né totalmente manuali né
totalmente automatizzate, ma degli “ibridi”, in cui l’uomo serve la
macchina (es. regolarla e controllarla), la macchina serve l’uomo (es.
spostare pesi), l’uomo fa quel che la macchina non sa fare (es. montaggi
interni), la macchina fa, quel che l’uomo non è capace di fare (es.
controllo elettronici).
La vecchia catena
manuale
La nuova catena
come ibrido-uomo
macchina
20
Il cambiamento si accompagna a molte altre innovazioni organizzative,
come il principio di «autoattivazione» (Jidoka), un particolare uso delle
macchine e del rapporto uomo-macchina diretto a permettere
all’apparato produttivo di retroagire con l’ambiente, intervenendo
direttamente nel caso si producano difetti del prodotto e auto-
correggendo l’errore in tempo reale, nell’esatto momento e nell’esatto
segmento del ciclo lavorativo in cui il difetto si è generato.4
In caso di
errore, la macchina che sta operando si ferma automaticamente, e allo
stesso modo, in caso di anomalie riscontrate in una fase di lavorazione
manuale, il lavoratore può interrompere la linea, intervenendo
tempestivamente, senza che gli errori si ripetano e si accumulino,
effettuando anche un controllo di qualità che prima veniva svolto solo
alla fine di una linea produttiva.
L’autoattivazione costituisce quindi uno dei principali fattori di flessibilità
del sistema, in grado di garantire il corretto e ininterrotto dispiegarsi di
un processo produttivo che, a differenza di quello fordista, si presenta
privo di “reti di salvataggio” (Bonazzi, 1993). L’autoattivazione si
propone i ovviare due punti di debolezza della produzione di massa, da
una parte la mancata possibilità di arrestare la catena di montaggio, anche
in presenza di difetti gravi, rimandando quindi la possibilità di interventi
correttivi alle fasi successive a valle del processo produttivo, dall’altra la
tendenza dei macchinari, dedicati alla produzione in grandi quantità, a
riprodurre e moltiplicare all’infinito i difetti perché incapaci di bloccarli
alla fonte. Per questo, la fabbrica lean si avvale di macchine autoattivate,
dotate cioè di dispositivi di arresto automatico e di meccanismi di
4
Fortunato V., «Ripensare la Fiat di Melfi. Condizioni di lavoro e relazioni industriali nell’era
del World Class Manufacturing», Roma, Carocci editore, 2008, p. 34
21
prevenzione delle difettosità, chiamati poka yoke che, secondo Ohno
conferirebbero alla macchina un tocco di sensibilità umana.
All’interno della fabbrica snella, in cui tutto ciò che è superfluo deve
essere portato alla luce e quindi eliminato, la trasparenza e la
supervisione del processo produttivo è garantita da una serie di
procedure che rientrano nella cosiddetta «direzione con gli occhi» (Ohno
1978), si tratta di rendere visibile ogni evento che può verificarsi nello
svolgimento delle attività lavorative all’interno della fabbrica.
L’andon è un indicatore luminoso il cui funzionamento è simile a quello
del semaforo, la luce verde indica che le attività procedono normalmente,
la luce arancione indica che un lavoratore deve compiere un’operazione
di regolazione sulla linea e necessita di aiuto, la luce rossa indica che la
linea è ferma in seguito a dei problemi. L’andon fornisce, quindi, tutta
una serie di informazioni che sono immediatamente disponibili e visibili
dai lavoratori e dalla direzione aziendale e che permettono al lavoratore e
alla squadra di intervenire immediatamente senza che l’anomalia si
ripercuota sull’intero processo.
Fig. 1.9 “L’andon”
Fonte: Università degli studi di Trieste, Produzione snella e Just in time, gestione della
produzione, 2009
22
La fabbrica lean opera inoltre secondo uno spirito improntato al
«miglioramento continuo» (Kaizen) del prodotto e dei processi, sia nel
breve che nel medio e lungo periodo. Il controllo della qualità sulla linea
è un elemento, ma il kaizen costituisce un ulteriore fase che non guarda
solo alla qualità, guarda anche all’innovazione e razionalizzazione dei
processi e dei prodotti, la nuova modalità di funzionamento dell’intera
organizzazione è basata sul trasferimento e la devoluzione delle
responsabilità della gestione a team permanenti interfunzionali o ai
circoli di qualità che operano secondo la logica del problem-solving. Al
lavoratore, che opera all’interno di un team, non viene più chiesto
soltanto di eseguire ripetitivamente una sola mansione, ma anche di
eseguire il controllo della qualità di ciò che produce, gli interventi di
manutenzione preventiva, secondo la logica Total Productive
Maintenance (Tpm).
Entrambi i principi si propongono di superare una serie di limiti
strutturali tipici della produzione di massa, ossia la presenza di ingenti
scorte in magazzino, e quindi, elevati costi di stoccaggio, la scarsa
responsabilizzazione degli operai e la proliferazione di errori di
lavorazione a causa di un’organizzazione della produzione incapace di
intervenire tempestivamente, e trovare, perciò, una soluzione ai difetti di
produzione bloccandoli alla fonte. Entrambi tentano di farlo attraverso
un sostanziale riavvicinamento della funzione umana (del ruolo del
lavoro vivo) al processo lavorativo.
Il sistema Toyota quindi “meno sprecone” e più capace di adattarsi
al mercato, richiede un attento gioco di squadra da parte di tutti, richiede
soprattutto un ambiente sociale assolutamente collaborativo.
23
Fig. 1.10 “La casa lean”
Fonte: Immagini internet
1.3. Il processo produttivo nel sistema Toyota
Il perseguimento del tendenziale azzeramento delle scorte, in maniera
tale da ridurre i costi di produzione e, quindi, favorire incrementi di
produttività evitando di fare ricorso alle economie di scala tipiche della
produzione fordista, si esprime strutturalmente nella linearizzazione del
layout di fabbrica.5
Un sistema di fabbricazione a “flusso monopezzo”
5
Caputo P., «Lavorare in team alla Fiat. Da Melfi a Cordoba», ImmaginaNapoli, Pozzuoli,
2004, p. 17
24
(Shingo, 1985), orientato e guidato dal principio del just in time.
Quest’ultimo implica la tendenziale realizzazione degli obiettivi zero
scorte e zero difetti, tanto dei componenti provenienti dall’esterno (dai
fornitori), quanto di quelli in processo di lavorazione lungo la linea, così
da mantenere “teso” il flusso produttivo e ridurre i costi determinati dal
capitale circolante.
Secondo tale principio è necessario che, sempre e in tutti i punti della
linea di produzione, le parti vengano prodotte nella quantità di fatto
richiesta dalla successiva fase di lavorazione.
Come si può facilmente constatare, il sistema di produzione Toyota si
muove all’interno di una logica operativa diametralmente opposta
rispetto a quella del sistema fordista, in cui la lavorazione sequenziale di
ogni singolo prodotto era limitata soltanto alle operazioni di
assemblaggio finale, quest’ultima si basava su una produzione a lotti, e
pertanto, sui vantaggi derivanti dalle economie di scala, che favoriva però
riserve di materiali, che si traducevano necessariamente in incrementi nei
costi di produzione.
Il sistema di produzione Toyota invece, punta sullo snellimento
dell’intero processo produttivo, sia per quanto riguarda la struttura
organizzativa interna all’azienda madre sia per quanto concerne i rapporti
con le imprese fornitrici, linearizzando il ciclo di fabbricazione e
operando attraverso l’integrazione sinergica con i fornitori stessi,
generando così un disegno organizzativo più ampio di “fabbrica
integrata”.
Il sistema produttivo così organizzato, tuttavia, presenta un’estrema
fragilità strutturale. Il nuovo apparato produttivo linearizzato, pur
prevedendo e consentendo potenzialmente la massima flessibilità dei
risultati e la minimizzazione del tempo di attraversamento del prodotto
25
in formazione (cioè la realizzazione di elevati tassi di produttività),
implica nel contempo un’elevata vulnerabilità, ogni problema imprevisto,
disfunzione, che si verifica in un punto qualsiasi del flusso produttivo
tende a diffondersi sull’intera struttura.
L’ambivalenza intrinseca del processo produttivo linearizzato è stata
raffigurata da Bonazzi (1993) con l’efficace metafora del “tubo di
cristallo”. In effetti, descrivere la nuova organizzazione della produzione
attraverso l’immagine di una forma lineare semplice quale quella del
tubo, significa richiamare alla mente concetti di essenzialità, agilità e
rapidità di attraversamento. Paradossalmente, però, la struttura del tubo
evoca contemporaneamente idee di rigidità e di precisione, infatti, per
perseguire la massima flessibilità dei risultati è indispensabile rispettare
alcune rigidità di processo. Al suo ingresso il tubo è potenzialmente
aperto alla domanda del mercato, inoltre l’ordine in cui disporre il mix
produttivo può essere il più vario possibile, ma poi le pareti del tubo si
presentano rigide. In altri termini, una volta deciso il mix, la sua
sequenzialità deve essere rispettata lungo tutta la linea fino all’uscita dal
tubo. Inoltre, tempi morti, ricircoli di materiale e inversioni d’ordine
sono problemi sistemici da prevenire e, nel caso in cui insorgano,
rimuoverli il più presto possibile.
Le condizioni di fragilità della produzione, derivanti dalla concatenazione
lineare “a flusso teso”, sono state affrontate attraverso la
cellularizzazione del processo produttivo, la flessibilizzazione del lavoro
e puntando su pratiche manageriali di gestione delle risorse umane dirette
a indurre la responsabilizzazione e l’attivazione dei lavoratori nella
realizzazione delle performances assegnate.
A fronte della rigidità del layout linearizzato è stata realizzata la
scomposizione “cellulare” del processo produttivo in “team o lavoro di
26
squadra” , che costituisce un’unità di lavoro deputata a portare a termine
in maniera relativamente autonoma, grazie al coordinamento e alla
direzione del proprio team leader, la produzione programmata di
specifici segmenti del processo di fabbricazione.
Fig. 1.11 Un esempio del modello snello di micro-organizzazione del team operaio. Organizzazione
senza team operaio, organizzazione basata su team operaio
Fonte: L. Pero, Taylor e Ford, World Class Manufacturing, 2008
L’organizzazione è strutturata in maniera tale da prevedere la presenza
diretta, sulla linea, anche di alcune figure specialistiche (tecnologi,
manutentori, ecc.) che nella fabbrica fordista erano relegate negli uffici.
Fig. 1.12 Le diverse figure specialistiche
Fonte: L. Pero, Taylor e Ford, Wor Class Manufacturing, 2008
27
Dal canto loro, gli addetti di linea, oltre a svolgere le tradizionali attività
manuali di fabbricazione, devono effettuare un’ulteriore serie di
operazioni tradizionalmente appartenenti a funzioni di staff, come il
controllo di qualità, la manutenzione ordinaria degli strumenti di lavoro,
la prevenzione di guasti tecnici, il problem-solving.
Gli operai presentano caratteristiche di polivalenza esecutiva in quanto,
per il principio della rotazione, devono essere in grado di operare su
differenti postazioni di lavoro.
Fig. 1.13 Gli operai possono ruotare sulle postazioni
Fonte: L. Pero, Taylor e Ford, World Class Manufacturing, 2008
Il prerequisito strutturale di base affinché i lavoratori possano operare in
maniera sinergica risiede nell’evitare di creare “isole isolate”, cioè
postazioni di lavoro reciprocamente separate. “Se i lavoratori sono
troppo lontani l’uno dall’altro, non possono aiutarsi reciprocamente, si
producono disfunzioni e la produttività ne risente negativamente. Ma se
le funzioni lavorative sono combinate attraverso linee multifunzionali e
se la distribuzione del lavoro e delle postazioni sono studiate
correttamente, allora l’organizzazione del lavoro può raggiungere la
28
massima efficienza, i lavoratori possono cooperare tra loro e il loro
numero può essere ridotto”(Ohno, 1993).
Fig. 1.14 Le “Isole isolate”
Fonte: L. Pero, Taylor e Ford, World Class Manufacturing, 2008
1.4. La struttura organizzativa della Fabbrica Integrata
L’insieme di questi orientamenti, sul flusso di produzione e sulla
partecipazione attiva del lavoro, ha prodotto anche un disegno più ampio
di «fabbrica integrata». Si può dire che nella fabbrica integrata
l’innovazione non riguarda solo l’area della produzione dei beni, ma tutte
29
le aree funzionai e il rapporto di fornitura con le altre imprese, si ha il
passaggio “dalla centralità delle funzioni a quella dei processi”.
L’importanza assunta dall’integrazione tra funzioni e unità produttive è
dovuta al nuovo principio per cui la frontiera dell’efficienza operativa
viene raggiunta anche con una riduzione significativa dei tempi di
progettazione e di ingegnerizzazione del nuovo prodotto (time to
market) e di attraversamento dei prodotti (lead time).6
La
differenziazione dei gusti e la conseguente necessità di fornire con
frequenza ai consumatori sempre nuovi modelli fa sì che la riduzione dei
tempi dalla progettazione al lancio sul mercato del nuovo prodotto
risutino fondamentali. Lo stesso fenomeno implica la capacità di dare in
tempi brevi il modello richiesto dal cliente. Di qui l’importanza dei tempi
di attraversamento, fuori e dentro a fabbrica, dei componenti, di sub
prodotti e del prodotto finale senza incorrere in eccessive attese dei
materiali o in fermate per rottura di impianti. Di conseguenza sia il time
to market che i lead time con il flusso teso di produzione e la riduzione
delle scorte richiedono in primo luogo una maggiore integrazione ed una
più stretta collaborazione tra azienda e fornitori. In pratica, nella fabbrica
integrata il management delega ad aziende fornitrici, definite capo filiera,
la produzione, la gestione, e anche la co-progettazione di componenti
complessi, dando loro anche il potere di controllo sulle altre aziende
fornitrici ai livelli più bassi. Secondo questa prassi, definita dalla
letteratura «outsourcing» o «esternalizzazione», i fornitori operano
secondo una logica di partnership con l’azienda e il loro coinvolgimento
incide ormai per il 70% circa sul prodotto finale.
6
Fortunato V., Della Rocca G., «Lavoro e organizzazione. Dalla fabbrica alla società
postmoderna», cit., p. 62
30
Cambia anche la distinzione delle funzioni tra line e staff, ovvero il
nucleo operativo e la tecnostruttura. Nella fabbrica snella integrazione tra
l’integrazione tra line e staff si ottiene tramite lo slittamento verso il
basso degli staff, il baricentro del nuovo modello organizzativo si sposta
dagli uffici alle officine. Con questo passaggio si realizza un
appiattimento della struttura gerarchica dell’organizzazione aziendale.
I tecnici e gli ingegneri vanno in officina, affiancano gli operai di
produzione quando intervengono anomalie o per migliorare la qualità o
ancora per definire i tempi, i programmi, le priorità di consegna mentre il
prodotto è in produzione. Così come i manutentori si integrano nelle
squadre e per buona parte non risiedono più in reparti separati.
Mentre i precedenti comportamenti legati al modello tayloristico
gerarchico-funzionale prevedevano di portare i problemi operativi su e
giù, lungo la gerarchia dell’organizzazione, strutturata per funzioni. La
nuova logica è quasi opposta: prevede che i problemi siano risolti là dove
si originano e da chi li ha visti crescere e ha la competenza professionale
per risolverli.
Il cuore della Fabbrica Integrata è rappresentato dalla Ute (Unità
tecnologica Elementare) che rimpiazza, nel nuovo modello, i gruppi di
lavoro tradizionali. Queste presentano, così come le Unità Operative,
una struttura cellulare in quanto integrano al loro interno una pluralità di
funzioni interconnesse (fabbricazione, presidio degli impianti, controllo
della qualità, gestione dei materiali e dei componenti in entrata)
necessarie a gestire un “segmento compiuto” del processo produttivo.
All’interno dello stabilimento ci sono 35 Ute suddivise all’interno di
quattro Unità Operative (il risultato dell’evoluzione delle vecchie
Officine) che rappresentano delle strutture indipendenti ed omogenee
dal punto di vista sia tecnico che logistico. La finalità dell’Unità
31
Operativa consiste nel garantire la realizzazione del programma di
produzione al minimo costo di trasformazione e ai livelli di qualità e
servizio previsti, di garantire la manutenzione dei mezzi di lavoro e lo
sviluppo di adeguati obiettivi di prevenzione/ miglioramento continuo
del processo / prodotto di competenza.
In base al percorso seguito dalla vettura, dal suo ingresso in fabbrica fino
alla verifica finale nel piazzale, le Unità Operative si dividono in:
Stampaggio, Lastratura, Verniciatura e Montaggio. In particolare
Stampaggio, Lastratura e Verniciatura, sono aree ad alta automazione,
cioè aree in cui prevale la componente tecnologica rispetto al fattore
umano, in contrapposizione al Montaggio che è quasi esclusivamente
caratterizzato dal tocco umano.
L’Unità Operativa include al suo interno due distinte funzioni: la
“Produzione” e “l’Ingegneria di Produzione”.
Dalla prima dipendono direttamente sia la Programmazione e la
Gestione Materiali, con compiti di programmazione della produzione e
controllo del rifornimento del materiale diretto, sia la Gestione
Operativa, che si occupa del presidio delle attività finalizzate alla
realizzazione dei programmi produttivi assegnati e del bilanciamento
delle risorse umane e dei servizi di supporto alla produzione.
L’Ingegneria di Produzione invece ha il compito di garantire la
funzionalità tecnico produttiva globale del sistema, si occupa
dell’avviamento dei nuovi prodotti e delle relative variazioni, del
controllo e del miglioramento dei tempi, dei cicli e dei metodi di
trasformazione e dell’assistenza specialistica alle strutture produttive. In
questo lavoro si avvale dei servizi di Manutenzione, Servizi Tecnici (che
comprendono i Tecnologi di linea e i Tecnologi specialistici), Tecnologia
di prodotto / processo (grosso modo corrispondente al vecchio Ufficio
32
Metodi) e Utilizzo Fattori (a grandi linee corrispondente al tradizionale
ufficio Analisi Lavoro).
L’ effetto più vistoso della nuova struttura organizzativa è la riduzione
dei livelli gerarchici che, dai quattordici degli anni Settanta (sette
responsabili più sette vice), passano a cinque. In particolare vengono
eliminati i ruoli di vice-capo Officina e di capo Reparto. Scendendo
lungo l’organigramma dello stabilimento, al cui vertice è posto il
Direttore, troviamo il Capo Unità (uno per ogni Unità Operativa), quindi
il responsabile della Produzione (che si occupa anche della gestione
tecnica dei materiali, oltre che del processo) e, al livello successivo, il
Gestore Operativo. Quest’ultimo rappresenta il livello gerarchico
immediatamente superiore al capo Ute.
Il team della Ute è composto mediamente da un minimo di 12 ad un
massimo di circa 100 lavoratori, senza una netta formalizzazione dei ruoli
tra i vari componenti. La logica prevalente è quella del problem-solving,
dell’auto-attivazione dei lavoratori e dell’apprendimento continuo nello
svolgimento del processo produttivo. Il lavoratore viene addestrato per
compiere diverse attività, per conoscere tutta la sua Ute, e avere un
quadro generale. Si tratta sempre di monitorare dei particolari,
l’operazione di per sé non cambia, però cambiano ogni giorno i
particolari ed il modo di lavorare. Se questo è positivo, perché non
genera stress da ripetizione, dall’altro lato genera una forma di stress che
si potrebbe definire da apprendimento o cambiamento. Le figure più
importanti della Ute sono:
- Il responsabile di Ute (o capo Ute) è il leader del team, deve gestire le
risorse umane ed assicurare il raggiungimento degli obiettivi di
produzione, qualità e costi della Ute di sua competenza. Rientrano nelle
mansioni compiti quali la gestione delle rotazioni sulle postazioni, la
33
valutazione delle skills individuali, delle performance dei lavoratori, la
concessione dei permessi, ecc., documentate attraverso la Gestione a
Vista. È importante sottolineare come gran parte del lavoro del
responsabile di Ute avvenga secondo la logica della prevenzione, cioè
operare in modo tale da evitare che il problema si possa verificare. Per
ciascuna Ute ci sono tre responsabili, uno su ogni turno di lavoro.
- Il Conduttore di Processo Integrato (Cpi) è uno dei principali
collaboratori del responsabile Ute. Infatti l’eliminazione del ruolo di capo
reparto ha determinato un ampliamento significativo delle funzioni del
responsabile Ute. Pertanto, sebbene il Cpi non abbia, almeno in teoria,
alcun autorità gerarchica sui lavoratori, egli dovrebbe assorbire parte
della complessità organizzativa che emerge dalla linea di produzione e
ridurre i carichi di lavoro del responsabile di Ute in termini di
coordinamento e attività. I suoi compiti sono l’addestramento dei
lavoratori alle diverse mansioni da svolgere all’interno della Ute, la
prevenzione e il controllo sull’andamento della qualità. Nelle aree ad alta
automazione alla figura del Cpi si sovrappone quella del Conduttore di
Impianto Automizzato (Cia) con compiti di controllo degli impianti e di
verifica della conformità del prodotto.7
- L’addetto di linea è l’operaio, una figura che nella Fabbrica Integrata si
arricchisce di nuovi compiti e nuovi significati. Infatti, il suo ruolo non è
più semplicemente quello di mero esecutore di compiti definiti da altri,
bensì è promotore attivo del miglioramento e della prevenzione.
- Il tecnologo di Ute fa capo all’Ingegneria di Produzione, ma risponde
funzionalmente al responsabile di Ute. Il suo compito è quello di
7
Negrelli S., «Prato verde, prato rosso. Produzione snella e partecipazione dei lavoratori nella Fiat
del duemila», Rubbettino Editore, Catanzaro, 2000, p. 76
34
assicurare il mantenimento dell’efficienza tecnica ed economica degli
impianti.
Tra le altre figure organizzative che, pur non facendo direttamente parte
della Produzione, intervengono all’interno della Ute, ci sono:
- Il manutentore, che opera alle dipendenze dell’Ingegneria di
produzione, ha il compito di prevenire l’insorgere di anomalie nel
funzionamento degli impianti e di assicurare il ripristino nel minor tempo
e nel miglior modo possibile. Il manutentore non è posizionato
direttamente sulla linea, ma in apposite aree dedicate al fine di consentire
sempre rapidità di intervento. L’attività di manutenzione avviene, inoltre,
in modo programmato nel tempo che intercorre tra un turno e l’altro.
- il rifornitore di Ute si occupa di tutto ciò che riguarda
l’approvvigionamento dei materiali nel tipo e nelle quantità richieste per
la produzione, secondo la logica del just in time. Il suo ruolo è di
fondamentale importanza per assicurare il corretto e regolare
funzionamento delle attività della Ute.
Un punto di raccordo tra Ute e Unità Operativa è costituito dal team
tecnologico, che rappresenta fondamentalmente un gruppo di problem-
solving, si riunisce nel momento in cui insorgono specifiche emergenze o
problemi tecnici e organizzativi nelle Ute o, più in generale, al fine di
ricercare soluzioni ed innovazioni per miglioramenti complessivi dei
processi.
Tutti gli aspetti poi che riguardano da vicino le attività ed il personale
della Ute (rotazioni sulle postazioni, skills individuali, assenteismo, dati
sulla produzione, ecc.) sono documentati e gestiti attraverso il sistema
della Gestione a Vista (GAV), una tecnica che consiste nel raccogliere e
nel rendere disponibili a tutti i componenti del team (sotto forma di
grafici e tabelle esposte nella Ute) le informazioni relative ai parametri
35
fondamentali del processo produttivo in modo da far fronte
tempevistamente, ed in modo flessibile, a qualsiasi evenienza.
Unitamente alla GAV, le Proposte di Miglioramento Continuo (PMQ)
rappresentano lo strumento principale per valorizzare la risorsa umana
creando motivazione e coinvolgimento. In particolare, il sistema delle
PMQ si basa sul contributo attivo dei lavoratori che, a fronte di proposte
di miglioramento della qualità del prodotto, di facilitazione dell’attività
lavorativa, di riduzione dei costi relativi a materiali e/o energia, di
migliore efficienza degli impianti, ricevono un premio in denaro. Le
proposte devono essere presentate al responsabile di Ute che, insieme al
team di Ute, verifica l’effettiva realizzabilità della proposta, sulla base di
criteri economici, tecnico-produttivi, organizzativi e qualitativi.
Nell’ottica del coinvolgimento e della partecipazione dei lavoratori
rientrano anche le cosiddette riunioni del team di Ute, alle quali
partecipano tutti i componenti del team, allo scopo, di affrontare e
discutere i vari problemi che, nel corso di un’attività così complessa e
difficile, si possono presentare e per discutere degli obiettivi (qualità,
costi, produzione) che si devono raggiungere.
L’organizzazione del management all’interno della fabbrica vede al
vertice il direttore dello stabilimento, dal quale dipendono gli Enti di
Staff (Personale e Organizzazione, Amministrazione) e, sullo stesso
livello, i responsabili delle quattro Unità Operative che, insieme,
compongono il team direzionale.
Il responsabile del Personale è impegnato su molti fronti e deve gestire
quotidianamente problemi di diversa natura a livello dell’intero
stabilimento, secondo una logica che non vede più la funzione del
personale come la risultante di funzioni specialistiche tra loro
indipendenti, bensì come attività connesse e coerenti con
36
l’organizzazione e le strategie generali dell’impresa. Nello svolgimento
della sua attività, il responsabile del Personale, si avvale di alcuni
collaboratori, innanzitutto il responsabile delle Relazioni Sindacali ed il
responsabile del settore Sviluppo e Organizzazione, con competenze
anche in materia di formazione. Sono inoltre alle sue dipendenze il
responsabile per la sicurezza dello stabilimento, il responsabile per
l’amministrazione del personale e il responsabile della sala medica.
All’interno del quattro Unità Operative, il Personale è rappresentato dalla
figura del Repo, cioè del Responsabile del Personale di Officina. I Repo
dipendono funzionalmente dall’uomo delle Relazioni Sindacali, ma
gerarchicamente dal responsabile del Personale. Il Repo rappresenta il
capo del personale all’interno della sua Unità e, in quanto tale, deve
affrontare tutti i problemi che derivano dalla gestione della risorsa
umana. Egli è inoltre, il referente naturale della Rsu in caso di problemi
con i lavoratori.
37
Fig. 1.15 Organizzazione della “Fabbrica Integrata”
Team leader
Team operaio
Fonte: Propria elaborazione
Direzione
Amm.
e
controllo
Personale
e
Organiz.
Qualità Sistemi
Utilizzo
fattori Acquisti
Servizi
generali
Unità operativa
Ingegneria
di
produzione
Produzione
Definizion
e
Prodotto
procedure
Manutenz
ione
Tecnologia
specialistica
Tecnologia
di
linea
Gestione
operativa
Planning/
gestione
materiali
Responsabile
UTE
38
1.5. Le Risorse umane e le relazioni industriali nella lean
production
Sembra ormai largamente diffusa la convinzione che i nuovi sistemi di
“produzione snella”, che si vanno diffondendo in modo sempre più
esteso anche nelle imprese occidentali dopo aver determinato il successo
del capitalismo giapponese, abbiamo effetti sostanzialmente positivi sul
lavoro e sui lavoratori, sollecitando in quest’ultimi un coinvolgimento
quasi naturale e un senso di maggior lealtà verso le direzioni aziendali.
Il legame stretto tra lean production e partecipazione attiva dei lavoratori
costituisce del resto il fondamento dello “spirito Toyota”.
La convinzione relativa al necessario coinvolgimento del lavoratore nella
lean production è stata rafforzata soprattutto dai risultati di quella che
può essere considerata l’analisi comparata più completa sullo sviluppo
della produzione snella, sintetizzata nel libro di Womack, Jones e Roos,
“The Machine that Changed the World”(1990).
Tale analisi costituisce un contributo fondamentale alla descrizione
dell’evoluzione dei sistemi produttivi e dell’organizzazione del lavoro nel
settore dell’automobile, nelle tre fasi della produzione artigianale, di
massa e snella. La prima, fa ricorso a lavoratori specializzati e a
tecnologie generiche e flessibili, realizza produzioni su scala ridotta,
secondo i desideri del consumatore, si caratterizza per strutture
altamente decentrate e mercati concorrenziali. La seconda tende invece a
sviluppare un’organizzazione del lavoro parcellizzata e utilizza addetti
non qualificati o semi-qualificati, è basata su impianti costosi, dedicati e
progettati per produrre quantità elevate, è realizzata in grandi stabilimenti
che si caratterizzano per la loro struttura verticale, concentrata, e per le
forti economie di scala, si afferma in mercati oligopolistici.
39
La produzione snella, introdotta dai produttori auto giapponesi, è in
grado di combinare i vantaggi di entrambe, poiché riduce i costi della
prima e le rigidità della seconda “utilizzando meno di tutto”, meno
risorse, meno ore di progettazione, minor spazio produttivo e minori
investimenti in impianti. Ricorre a lavoratori qualificati e motivati grazie
ad una gestione strategica delle risorse umane e al concetto di azienda-
comunità (Dore, 1987), realizza produzione diversificate e flessibili, che
si adattano alle richieste della nuova domanda e crescita lenta e
personalizzata, grazie ai metodi del just in time e della qualità totale.
Sulla base di tale considerazioni, viene avanzata l’ipotesi centrale nel libro
di Womack e colleghi che non esistano alternative alla produzione snella
per i produttori americani ed europei. È la conferma empirica di uno
scenario mondiale futuro orientato esclusivamente alla lean production.
Va ribadito che lo studio di Womack e colleghi costituisce ormai il testo
fondamentale da cui partire per un’analisi dell’evoluzione e degli scenari
delle strategie e strutture aziendali, oltre che dell’organizzazione del
lavoro e della gestione delle risorse umane nel settore mondiale
dell’automobile. Anche se questo studio tende a ad essere accompagnato
da critiche di determinismo o di edizione aggiornata del taylorismo che
sono state da più parti avanzate (Kochan et al., 1997). In particolare i
maggiori limiti che emergono dallo loro ricostruzione degli scenari futuri
dell’industria dell’automobile derivano dalla adesione forse troppo
ingenua e la non considerazione del peso delle relazioni industriali e dei
rapporti di lavoro collettivi.
40
Fig. 1.16 “La macchina che ha cambiato il mondo”
Fonte: S. Negrelli, Prato verde, prato rosso. “Produzione snella” e partecipazione dei lavoratori
nella Fiat del duemila, 2000
Al superamento di entrambi questi limiti tendono i principali risultati di
una seconda importante fase di ricerca comparata dell’International
Motor Vehicle Program (IMVP) del MIT lanciata da Kochan e altri
(1997), dopo quella di Womack e colleghi.
In questa nuova indagine sugli effetti della lean production è stato dato
maggior spazio al ruolo del contesto sociale e istituzionale e alle
interazioni tra questo e le strategie aziendali, si sono osservate meglio le
modalità di sviluppo dei sistemi di lean production che tendono ad
affermarsi nei diversi paesi o modelli di capitalismo.
Globalizzazione dei
mercati
Tecnologie
automatizzate e
flessibili
Sistemi
innovativi di
gestione delle
risorse umane
Lean
Production
41
Fig. 1.17 After Lean Production
Fonte: S. Negrelli, Prato verde, prato rosso. “Produzione snella” e partecipazione dei lavoratori
nella Fiat del duemila, 2000
L’oggetto di analisi sono diventate esplicitamente le relazioni industriali e
la gestione delle risorse umane.
Le ipotesi principali di scenario che emergono da questo secondo studio
comparato del settore dell’automobile a livello mondiale riguardano da
un lato la tendenza verso una certa complementarietà tra le pratiche
innovative di gestione di risorse umane e quelle di relazioni industriali, e
dall’altro lato l’evoluzione verso differenti tipi di lean production, e non
di uno solo come sembrava prefigurare l’analisi di Womack e colleghi.
Dallo studio di Kochan e colleghi risulta, ad esempio, che si potrebbero
individuare almeno nove idel-tipi di produzione snella. Accanto a quella
ormai classica “toyotista” largamente conosciuta (Ohno, 1978), vi
sarebbero infatti molti altri tipi che si sono affermati fuori dal Giappone
secondo le diverse combinazioni dell’idea originaria con i sistemi e le
Globalizzazione
dei mercati
Tecnologie
automatizzate e
flessibili
Contesto sociale
e istituzionale
Pratiche
innovative di
relazioni
industriali e
di gestione
delle risorse
umane
Vari tipi di Lean
Production
42
tradizioni nazionali e locali. La ricerca comparata dell’IMVP consente di
fare un’ulteriore passo avanti nella definizione di modelli evolutivi di
relazioni industriali abbinando all’evoluzione dell’organizzazione della
produzione l’evoluzione dei sistemi di contrattazione collettiva. Se nella
produzione artigianale prevaleva il sindacato di mestiere e la
regolamentazione sindacale unilaterale, con la produzione di massa si
affermano i sindacati industriali, la contrattazione collettiva e la rigida
codificazione delle regole di lavoro. Alla produzione snella sembra
accompagnarsi invece un modello di contrattazione collettiva che da
“normativo” diventa “partecipativo”.8
Ovvero tendono a costituirsi
gruppi di lavoro e comitati paritetici “problem-solving”, la dimensione
individuale dei rapporti di lavoro e le iniziative di gestione strategica delle
risorse umane possono crescere spesso accanto e non solo in alternative
alle relazioni industriali e ai rapporti collettivi.
Il problema delle relazioni industriali e della gestione delle risorse
umane nell’auto, nelle imprese occidentali in questa fase di transizione
della produzione di massa alla lean production sembra dunque essere
soprattutto quello di ricostruire una base di fiducia tra impresa, sindacati
e lavoratori.
Un modello partecipativo di rapporti di lavoro sia da parte dei
lavoratori e si da parte dei sindacati.
Per quanto riguarda i lavoratori, la partecipazione diretta di
quest’ultimi, nei gruppi problem-solving, nei sistemi di qualità totale o
nei team di lavoro, dipende essenzialmente dalla capacità manageriale di
sviluppare adeguate politiche di gestione delle risorse umane, in termini
8
Negrelli S., «Prato verde, prato rosso. Produzione snella e partecipazione dei lavoratori nella Fiat
del duemila», cit., p. 18
43
di formazione, sicurezza del posto di lavoro, valorizzazione e ricompense
(Heller et al., 1998; Barton, Delbridge, 2000).
A tal proposito, nelle esperienze occidentali di implementazione del
modello lean production giapponese, l’enfasi è posta sull’adozione delle
strategie comunemente denominate Human Resource Management
(HRM), le cui origini devono essere ricercate negli Stati Uniti, già a
partire dagli anni Settanta, quando il management ha cercato di
sviluppare un nuovo approccio gestionale ed organizzativo delle risorse
umane. L’elemento chiave, assunto, interpretando l’esperienza
giapponese, è stato quello di cercare una “comunicazione diretta” con il
lavoratore con l’intento di stabilire in contratto individuale alle volte
associato ad una strategia di marginalizzazione del sindacato. Alto
elemento chiave è stato il coinvolgimento del management strategico
dell’organizzazione mettendo in luce l’importanza del Hrm e gli aspetti
fondamentali della motivazione, del commitment, della formazione dei
lavoratori per il successo del business dell’impresa.
Non sono state fatte analisi comparative approfondite su questo
aspetto, ma il tentativo di comunicazione diretta con il singolo lavoratore
è avvenuto in modi differenti. Storey (1992) distingue una versione forte
e una versione debole del Hrm.
Mentre la versione forte rappresenta un approccio distintivo nella
gestione del lavoro, la versione debole rappresenta, invece, un termine
diverso per connotare la tradizionale gestionale del personale. Secondo
Storey, all’interno della visione forte possiamo ulteriormente distinguere
una versione hard e una versione soft del Hrm. Nella versione hard
l’enfasi è posta sul lavoro come risorsa al pari degli altri fattori produttivi
da utilizzare in modo razionale. La versione soft, invece, pone l’accento
44
sul termine human, cioè sui lavoratori come individui che devono essere
opportunamente stimolati e integrati all’interno della logica aziendale.
Per l’implementazione del HRM sono considerati, inoltre, come
condizioni importanti, la localizzazione in un ambiente green-field, la
presenza di manager esperti, una forza lavoro non sindacalizzata,
attentamente selezionata e priva di cultura industriale, l’incentivo di
trovare una occupazione. Quindi, come evidenziano Bean (1994) e
Storey e Bacon (1996) i valori che sottointendono all’approccio HRM
sono direttamente riconducibili a una visione unilaterale e individualistica
piuttosto che al collettivismo dell’impresa come comunità e come
sistema di relazioni industriali partecipate. Tuttavia esistono importanti
differenze tra la visione statunitense del HRM e le forme adottate in altri
paesi, soprattutto europei. Infatti, mentre negli Stati Uniti l’adozione del
HRM è stata accompagnata dalla marginalizzazione del sindacato, in altri
paesi, ad esempio la Gran Bretagna e l’Italia, si è optato per una visione
neopluralista (Keenoy 1990), sulla quale si sono adottati una serie di
accordi consensuali.
Sicuramente non ci troviamo di fronte ad una nuova era nella gestione
del personale caratterizzata da una “umanizzazione” del lavoro,
dall’autonomia decisionale dei lavoratori, da relazioni di “fiducia”, e così
via, tuttavia, non è sufficiente né corretto trarre la conclusione, che
l’HRM possa essere interpretato soltanto come mera ideologia
manageriale. Il problema, consiste piuttosto nel cogliere i nessi che
legano il controllo sul lavoro e la gestione del personale, ossia la nuova
logica che governa la struttura materiale e organizzativa del processo
produttivo post-fordista nei suoi nessi con la gestione delle risorse
umane e le relazioni industriali. In altre parole, è la natura stessa del
controllo ad essere cambiata, divenendo meno arbitraria e più sistemica.
45
La fabbrica snella, richiede conoscenze allargate, capacità di relazione,
disponibilità al lavoro di gruppo, responsabilizzazione e si basa
soprattutto sulla valorizzazione delle competenze e degli skills della forza
lavoro quale “risorsa organizzativa” strategica in grado di generare
competitività all’interno di un sistema lean intrinsecamente fragile, privo
di quelle risorse “cuscinetto” che rappresentavano la difesa migliore
dell’organizzazione fordista tradizionale (scorte, magazzini, ecc.).
Il lavoro, per così dire si “intellettualizza”, si “mentalizza”, pur
rimanendo lavoro vivo faticoso.
Il lavoratore, oltre ad essere saturato in maniera più intensa e razionale
(“integrata”), deve fornire un apporto ulteriore, cioè un contributo attivo
che si esprime in attività quali l’autocontrollo della qualità, la
segnalazione tempestiva di anomalie, i suggerimenti e le proposte di
miglioramento, lo sviluppo e l’approfondimento della cooperazione
produttiva, l’aiuto reciproco. Occorrono quindi “meccanismi” di
motivazione al lavoro e di dominio sul lavoro, orientati a combinare
efficienza e consenso, che generalmente si differenzia a seconda dei
differenti contesti istituzionali, sociali, di strategie aziendali, sindacali.
Per quanto riguarda poi il grado di coinvolgimento delle relazioni
industriali, queste si configurano non in maniera univoca dovunque, ma
si sviluppa in contesti territoriali diversi. Nel caso del Giappone si
manifestano in modo peculiare, cioè sono parti integranti, viene utilizzata
una cooperazione labour-management allo scopo di implementare le
strategie aziendali, nel contesto statunitense vi è un modello di relazioni
industriali di tipo giapponese ma tutto ciò avviene senza un reale
coinvolgimento del sindacato e, soprattutto, senza garanzie
occupazionali, questa versione della lean production enfatizza il ruolo
chiave del management, ma ignora aspetti considerati centrali per i
46
lavoratori quali, ad esempio, la sicurezza occupazionale, la crescita dei
salari, le promozioni, la risoluzione delle controversie, la rappresentanza
degli interessi. Nei paesi europei si ha l’adozione di strutture e comitati
paritetici management-sindacato che permettono ai lavoratori di essere
rappresentati ad ogni livello dell’organizzazione aziendale.
Il tema più discusso che permette meglio di definire le differenze
tra i paesi e possibili trend di sviluppo della contrattazione collettiva, è
quello dell’accentramento-decentramento della struttura contrattuale.9
La differenza più evidente è quella che intercorre come abbiamo
già accennato tra i paesi di tradizione anglosassone e anche il Giappone,
maggiormente aperti, sia per condizioni strutturali che culturali al
mercato, e i paesi dell’Europa continentale in cui le relazioni d’impiego
sono maggiormente istituzionalizzate.
Nel primo caso equivale quasi esclusivamente una struttura
decentrata della contrattazione, i contratti si fanno solo a livello
d’impresa, di unità produttiva se non anche a livello di singolo mestiere e
danno luogo ad una variegata e diversificata crescita di norme formali e
informali. La contrattazione decentrata ha gravi limiti di estensione e
istituzionalizzazione. Nei paesi in cui l’unico livello contrattazione delle
condizioni di lavoro è quello d’impresa, i dipendenti di molte aziende, in
cui il sindacato non è presente o non è riconosciuto come agente
negoziatore, sono esclusi dai benefici della contrattazione collettiva. Il
grado di istituzionalizzazione è piuttosto basso, lasciato alle convenzioni
o ai rapporti di forza contrattuali tra le parti. La contrattazione decentrata
segue più di quella centralizzata, la logica della flessibilità rispetto al
9
Fortunato V., Della Rocca G., «Lavoro e organizzazione. Dalla fabbrica alla società
postmoderna», cit., p. 161
47
mercato. Ciò che il livello decentrato perde in estensione e
istituzionalizzazione, lo guadagna in incisività e in coinvolgimento della
base sindacale. Incisività significa capacità della rappresentanza sindacale
di contrattazione degli incentivi, orari, mobilità, carriere e di tutti quegli
aspetti inerenti le specifiche condizioni di lavoro. Coinvolgimento
significa, invece, elevata partecipazione della base alla contrattazione sia
attraverso i delegati di fabbrica, eletti quasi sempre direttamente dai
lavoratori, sia attraverso rappresentanti delle sezioni sindacali territoriali.
Nel secondo caso, quello dei paesi dell’Europa continentale, il
grado di accentramento è maggiore, prevalgono gli accordi nazionali su
quelli decentrati. La contrattazione risponde principalmente a fattori di
tipo politico solidale, prevalgono dimensioni quali l’estensione della
contrattazione alle condizioni di lavoro e dei sistemi di assistenza sociale
a tutti i lavoratori, l’istituzionalizzazione di regole e procedure che
definiscono in maniera rigorosa e stabile il processo contrattuale
attraverso il legislatore o il contratto collettivo interconfederale o
nazionale. La centralizzazione ha segnato il periodo dell’industria di
massa e della grande impresa grazie alla “contrattazione nazionale di
categoria” che costituisce il perno intorno al quale è costruito, in questo
caso, l’intero sistema di relazioni industriali. I contenuti del contratto
riguardano tutti gli aspetti fondamentali delle relazioni di lavoro, dal
salario minimo alla definizione dell’orario, dalle condizioni di lavoro in
generale ai diritti sindacali. Il contratto ha un estensione che può variare
a seconda del settore e il grado di istituzionalizzazione è piuttosto alto. Il
coinvolgimento della base, delle rappresentanze sui luoghi di lavoro e dei
sindacati locali, rimane parziale, così come l’adattamento alle specifiche
condizioni di lavoro nelle diverse realtà produttive.
48
Il livello “interconfederale”o “intersettoriale” da luogo ad una maggiore
centralizzazione rispetto alla contrattazione nazionale di categoria,
riguarda i singoli aspetti della condizioni di lavoro o economico-sociali
che interessano tutti i lavoratori indipendentemente dall’appartenenza ad
uno specifico settore, prevede un’attività negoziale bilaterale, tra le
principali confederazioni sindacali e associazioni imprenditoriali, oppure
trilaterale con il coinvolgimento attivo dello Stato. Complessivamente la
contrattazione interconfederale si caratterizza per un elevata estensione,
centralizzazione e incisività (in quanto gli accordi interconfederali
possono essere trasformati in leggi dello Stato). Al contrario, si ha un
basso livello di coinvolgimento, soprattutto delle strutture decentrate del
sindacato e delle associazioni imprenditoriali, nella definizione e gestione
degli accordi.
Contratto collettivo nazionale di lavoro e accordi interconfederali
sono considerati da tempo la migliore espressione di un sistema di
cittadinanza e di gestione paritetica del mondo del lavoro. Lo sono
proprio perché, a differenza della contrattazione decentrata, consentono
la massima estensione nella tutela dei lavoratori e l’istituzionalizzazione
delle relazioni tra sindacati e imprenditori. Il contratto nazionale
definisce le condizioni minime per tutti i lavoratori e il tipo di disciplina
nella regolamentazione dei rapporti di lavoro in ciascun settore. Quello
interconfederale estende all’esterno dei luoghi di lavoro la tutela e la
gestione congiunta di altre condizioni della vita del lavoratore.
Questo modello centralizzato, tuttavia, incontra i propri limiti
nell’adattarsi alle diverse condizioni economiche dei settori e delle
imprese e allo tempo di rappresentare tutti i lavoratori. Con
l’intensificarsi della concorrenza sui mercati, la contrattazione
centralizzata e quella decentrata sono in parte in competizione per la
49
capacità di quest’ultima di essere più flessibile e di rispondere meglio ai
cambiamenti. La contrattazione decentrata o d’impresa consente
maggiore flessibilità, si adegua alle variazioni di mercato, permette un
adattamento più facile delle condizioni di lavoro e delle retribuzioni,
favorisce di fatto la forza lavoro delle imprese e dei settori più forti sul
mercato. Tale rilievo assunto dal decentramento si accompagna a
crescenti difficoltà di tutela generale della contrattazione centralizzata.
Essa non riesce a tutelare tutti i lavoratori per la dispersione della
struttura industriale in piccole imprese, per la nascita di un’economia dei
servizi, per la crescita del lavoro precario e per il parziale declino del
capitalismo organizzato e dell’intervento dello Stato.
Il tema del decentramento viene letto da diversi punti di vista,
Locke, Kochan e Piore (1995), ad esempio sottolineano l’importanza
delle strategie competitive poste in essere dal management che guida i
cambiamenti in atto nelle imprese. Non è più il sindacato dei diritti a
condurre il gioco, ma sono le imprese. Di fatto, il decentramento è
interpretato come un ribaltamento del successo del sindacato nell’usare la
contrattazione centralizzata quale strumento per tenere i salari fuori dalla
competizione tra imprese e di garantire, per quanto possibile, condizioni
di lavoro uguali per tutti. Il decentramento è di fatto intervenuto in aree
forti dell’economia e del mercato del lavoro con la tendenza, di una parte
dei lavoratori, delle rappresentanze sui luoghi di lavoro e dei membri del
sindacato, ad uscire dagli schemi troppo stretti ed egualitari della
contrattazione nazionale.
Katz (1993) individua tre possibili ipotesi per spiegare la tendenza
verso il decentramento. La prima ipotesi considera il decentramento
come risultato dell’aumento del potere manageriale, pertanto è una
lettura basata su un ribilanciamento degli equilibri di poteri interni al
50
sistema di relazioni industriali. La seconda ipotesi sottolinea l’importanza
della riorganizzazione del lavoro e delle tecnologie più flessibili che
hanno portato management e organizzazioni sindacali a collaborare per
gestire questo cambiamento. La terza, infine, focalizza l’attenzione
sull’accresciuta diversificazione sia della struttura sia degli interessi dei
lavoratori. La spinta al decentramento è legata alla pressione e
all’incertezza del cotesto economico, al passaggio dai mercati di massa ai
prodotti specializzati, al mutamento delle prestazioni e della natura del
mercato del lavoro. Si tratta, quindi, di un decentramento di natura
strutturale e di lunga durata. Alla luce di tutto ciò si solleva alcuni
importanti interrogativi sullo sviluppo futuro delle relazioni industriali
nel settore dell’automobile a livello mondiale. Attualmente il sindacato
sta vivendo una fase di notevole trasformazione, cioè da organismo di
tipo «conflittuale» a «sindacato partecipativo», e in particolare verso un
«sindacalismo d’impresa».
Per comprendere le trasformazioni in atto bisogna sottolineare come
nella fabbrica lean la direzione aziendale stia utilizzando tecniche più o
meno sofisticate di Human Resource Management (HRM) per
incentivare e motivare adeguatamente la forza. Questi incentivi sono
direttamente collegati alla fragilità della fabbrica lean, poiché la sua
vulnerabilità aumenta qualora i lavoratori non prestano attenzione, e
sono chiamati a risolvere i problemi in prima persona.
La crescita del coinvolgimento individuale ha quindi importanti
conseguenze in merito ai mutamenti nelle forme di resistenza dei
lavoratori. In particolare, viene meno la logica della contrapposizione
espressa tradizionalmente dallo sciopero, pur essendo formalmente
previsto e riconosciuto dalla legge, è percepito dai lavoratori solo come
ultima istanza, si ricorre allo sciopero solo quando tutti gli altri strumenti
51
predisposti per la risoluzione delle controversie non abbiamo prodotto
l’esito desiderato. Tendono invece a manifestarsi nuove e più strategiche
forme di resistenza operaia, quali ad esempio, l’inversione del controllo o
della non partecipazione alle attività tipiche di miglioramento continuo.
Tuttavia, se da una parte l’introduzione della lean production pone dei
rischi all’azione sindacale, dall’altro offre nuove potenzialità per la
rappresentanza collettiva dei lavoratori all’interno delle fabbriche. La
logica della prevenzione può accrescere il potere del sindacato, in un
sistema produttivo che si basa sul just in time, il sindacato può facilmente
infliggere seri danni all’azienda attraverso l’azione organizzata e mirata di
fermi delle linee produttive, di scioperi, oppure attraverso la semplice
minaccia dello sciopero per aumentare il proprio potere contrattuale.
Un ulteriore spazio per il sindacato deriva dal fatto che, anche a fronte di
relazioni dirette tra management e lavoratori, sul fronte della
contrattazione collettiva, possono cercare di ottenere salari più alti e
maggiori benefici per i lavoratori della categoria, miglioramento delle
condizioni di lavoro, con particolare attenzione alla salute ed alla
sicurezza sul luogo di lavoro, alla gestione dei tempi e degli straordinari e
allo stress psico-fisico legato all’intensificazione dei ritmi di lavoro.
Il successo del sindacato è notevole proprio in virtù della stretta
connessione esistente nella lean production tra performance economica
aziendale e condizione (fisica e morale) del lavoratore.
Quali tipi di sindacato e di relazioni industriali tenderanno ad
affermarsi in Europa e negli Stati Uniti? Dal momento che ormai si ci sta
dirigendo in modo irreversibile verso il decentramento della
contrattazione collettiva e delle relazioni industriali (Katz, 1993) e verso
la sempre maggior valorizzazione della gestione individuale delle risorse
umane (Negrelli, Treu, 1995), quanto decentramento sono in grado di
52
sopportare i sistemi dell’Europa continentale, tradizionalmente più
centralizzati di quelli anglo-sassoni? Qual è sarà il livello di
complementarietà che tenderà a prevalere tra le relazioni industriali e la
gestione delle risorse umane?
Nelle imprese occidentali, flessibilità del lavoro, nuove forme di
motivazione e di incentivazione, paghe legate ai risultati di qualità,
produttività e redditività stanno portando a tipi differenti di
combinazione tra rapporti collettivi e rapporti individuali di lavoro, che
in alcune realtà sembrano orientate alla complementarietà mentre in altre
più verso la competizione oppure l’antagonismo (Negrelli, 1995).
53
Capitolo 2
Il World Class Manufacturing come modo di
lavorare
2.1. La nuova metodologia organizzativa: il “World Class
Manufacturing”
«World Class Manufacturing significa realizzare prodotti:
più rapidamente…..
meglio….
in modo più economico…. insieme»
Sono molte le case automobilistiche che possono vantare modelli che
sono più avanzati sul piano strettamente tecnologico, che dispongono di
motorizzazioni più performanti, che vantano un’immagine più ricercata,
che presentano tratti stilistici più sofisticati. Tuttavia non esiste alcuna
casa automobilistica che abbia conseguito nel tempo i risultati della
Toyota, sia in termini di espansione nelle quote di mercato che sotto il
profilo economico-finanziario. Il fulcro su cui Toyota ha fatto e continua
a far leva, per costruire la sua invidiabile posizione nell’arena competitiva
dell’industria automobilistica, è rappresentato dall’attività di
manufacturing. I suoi prodotti infatti sono realizzati con un altissimo
livello di produttività e affidabilità, e nessuna casa automobilistica vanta
un grado di soddisfazione della clientela paragonabile a quello della
Toyota.
54
Per reggere la sfida competitiva non basta produrre automobili dalle linee
accattivanti e di elevate prestazioni, bisogna essere in grado di assicurare
alla clientela un rapporto qualità/prezzo, quello che in inglese viene
indicato come money for value, migliore dei propri concorrenti.10
In questo panorama sempre più competitivo la Fiat Chrysler
Automobiles si è posta l’obiettivo di costruire un “Fiat Production
System” (FAPS), vale a dire un modello integrato, costituito da
un’insieme di metodologie e strumenti la cui applicazione consente il
miglioramento radicale delle prestazioni del sistema produttivo. Ciò
permette di consegnare il prodotto al cliente nei tempi e nella qualità
richiesti e di eliminare contemporaneamente le attività a non valore
aggiunto e qualunque altro tipo di perdita di persone, impianti, materiali
ed energia. Quest’ultimo deve conseguire i rigorosi standard
internazionali, gli standard codificati dal “World Class Manufacturing”,
che riguarda la competitività, questo nei diversi paesi in cui viene
applicato, prende nomi diversi, dalla Lean Production (produzione
snella), Value Management, Qualità totale. È una metodologia di
organizzazione e di miglioramento continuo delle prestazioni della
fabbrica, attraverso cui si riescono ad ottenere importanti vantaggi di
competitività relativi a qualità, costi e tempi di risposta. L’aspetto più
importante di questa impostazione è che il raggiungimento della qualità e
dell’efficienza nascono dall’utilizzo di tecniche quali il Just in time, la
Qualità totale e soprattutto dai suggerimenti migliorativi del personale
che lavora nella fabbrica.
10
Volpato G., «Fiat Group Automobiles. Un’Araba Fenice nell’industria automobilistica
internazionale», Bologna, il Mulino, p. 168
55
Entriamo del merito di queste tecniche, il Just in time significa fornire un
servizio quando è effettivamente necessario, né prima, né dopo. Ciò
richiede notevoli sforzi da parte di dipendenti, macchinari e materiali che
devono essere perfetti e capaci di garantire i migliori risultati, per questo
sono stati realizzati una serie di strumenti, quali ad esempio il Kanban,
un sistema di controllo visibile, Jidoka, un processo per connettere ai
macchinari sistemi a basso consumo, di avvio/spegnimento e di
segnalazione, l’Andon, un sistema di preallarme, e così via.
La vera essenza del Jit consiste nell’individuazione degli sprechi, e
quindi nella loro eliminazione completa, in alternativa in una loro
riduzione significativa. Il 90% degli sprechi aziendali complessivi sono
attribuibili ai sistemi, ai metodi e ai processi che il management aziendale
impone ai dipendenti. Tutto ciò implica quindi un cambio di mentalità in
chi dirige l’azienda, occorre che i manager si rendano conto di essere non
solo i responsabili delle possibili soluzioni, ma spesso anche la causa dei
problemi.
Per quanto riguarda la Qualità totale, la “International Standard
Organisation”, ha introdotto una serie di standard qualitativi, il più
recente nel 2000, genericamente chiamati ISO 9000. Tali standard sono
costituiti da una serie di punti riguardanti gli elementi fondamentali di un
sistema di base, questo ha avuto un impatto significativo e positivo
sull’industria, anche se tuttavia non sono mancati gli aspetti negativi. Gli
standard richiedono che un impresa nomini un manager o comunque un
responsabile della qualità. Ciò ha comportato che la questione della
qualità all’interno di un’azienda avesse una figura specifica, preposta a
tale incarico, ma ha avuto anche l’effetto di concentrare la qualità solo in
un determinato settore.
56
Il sistema della Qualità Totale (TQM), sviluppa processi produttivi
talmente perfetti da rendere impossibili errori, e si differenzia rispetto ai
precedenti sistemi tradizionali di controllo della qualità, in cui gli errori
venivano riscontrati soltanto dopo che si erano verificati. La qualità non
è quindi una caratteristica che può essere semplicemente aggiunta ad un
prodotto, dopo che è stato realizzato, da un ispettore di qualità. La
qualità viene attribuita ad un prodotto o servizio, soltanto durante le fasi
di lavorazione. Questo processo inizia dal lavoro dei progettisti e
continua lungo tutto il percorso produttivo aziendale, finchè il cliente
finale non riceve il prodotto.
Questa consapevolezza della qualità e del modo in cui tutti i dipendenti
sono importantissimi per la qualità di base del prodotto, deve essere
presentata allo staff, da parte di un management impegnato, che si
preoccupa dell’azienda e dei sui clienti. Per l’eliminazione degli sprechi di
un’azienda l’avvalersi di un team per la soluzione dei problemi è un
elemento chiave in un approccio legato al modello World Class
Manufacturing, uno dei mezzi più efficaci usati da questi gruppi di lavoro
è la tecnica del “brainstorming”, che consiste nel riunire il team,
individuando e definendo il problema da risolvere, e cercando di trovare
il maggior numero possibile di idee che possano chiarire la questione.
Nel realizzare i principi del JIT e del TQM importanti sono i
suggerimenti migliorativi del personale, mentre prima si affidava
essenzialmente all’automazione degli impianti la qualità della produzione
motoristica e dell’assemblaggio delle autovetture, la stessa esperienza
della Fiat ha poi mostrato che sia nelle lavorazioni tipicamente
meccaniche, ma anche, nelle fasi di assemblaggio, il contributo del
personale al raggiungimento del risultato è assolutamente fondamentale.
57
Il Wcm mostra tutta la sua potenzialità quando diventa un “abito
mentale”, quando l’operaio guarda al suo lavoro in modo nuovo e si
interroga su cosa può essere fatto per produrre meglio, con minore
fatica, senza spreco. Esso viene promosso e sostenuto dall’alto, ma la sua
realizzazione segue uno schema tipicamente bottom-up, cioè ogni
problema viene normalmente affrontato dall’addetto che è più a contatto
con la manifestazione del problema. I dipendenti vengono quindi
attivamente coinvolti nell’azienda, questi non devono più soltanto fare
ma anche pensare.
Fig. 2.1 Le tre aree dei metodi del miglioramento continuo
Fonte: L. Pero, Taylor e Ford, World Class Manufaturing, 2008
2.2.Strumenti e metodologie
Il Wcm si basa su una varietà di strumenti, alcuni di questi anche
complessi che richiedono competenze statistiche, ma l’essenza del Wcm
è di procedere sistematicamente alla decomposizione dei problemi in
problemi più semplici e di sviluppare accorgimenti per semplificare ogni
58
forma di controllo del funzionamento degli apparati, proprio per mettere
ogni operatore in condizione di affrontare le problematiche del proprio
lavoro. Il primo passo verso un sistema di World Class Manufacturing
consiste nella piccola manutenzione, che inizia proprio dal tenere in
ordine e pulito il proprio posto di lavoro. Sembra un dettaglio
trascurabile, ma non è così, è solo il primo passo verso un addestramento
a cogliere il manifestarsi di comportamenti anomali delle attrezzature e a
studiare come ovviarli. Ad esempio nello stampaggio dei pannelli che
costituiscono la carrozzeria di un automobile se un moscerino si
appoggia al foglio piano di lamiera che sta per essere stampato da una
pressa idraulica che esprime una forza di migliaia di tonnellate,
l’impronta del moscerino, sottilissima, ma percepibile, si trasferirà sulla
portiera o sul cofano di lamiera stampata.
All’interno della Fiat, il FAPS (Fiat Auto Production System) è un
modello integrato che ottimizza tutti i processi di produzione-logistica e
che consente di attuare un miglioramento continuo dei fattori
fondamentali, qualità, produttività, sicurezza, delivery. La sua
applicazione consente al Management di concentrarsi sul miglioramento,
invece di rincorrere i problemi quotidiani. Si pone l’obiettivo di
raggiungere significativi risultati di efficienza e di soddisfazione del
cliente, avendo come riferimento le metodologie applicate dalla migliore
concorrenza, strutturate e definite nel World Class Manufacturing.
Il Wcm realizzato alla Fiat viene quindi presentato come una
matrice nella quale le diverse aree operative dello stabilimento, indicate
come «pilastri», vanno monitorate sistematicamente per migliorare le
prestazioni attraverso l’applicazione di una molteplicità di strumenti11
. Vi
11
«Metodi e strumenti per il Fiat Auto Production System», Fiat Group Automobiles, 2007
59
sono 10 pilastri tecnici e 10 pilastri manageriali o gestionali. I pilastri
tecnici si riferiscono ad una precisa metodologia, i pilastri manageriali,
sono di supporto ai criteri tecnici di pilastro, necessari per
un’applicazione ottimale del sistema di produzione. Sono azioni che
deve svolgere il coordinatore centrale del Team WCM (il WCM leader o
il direttore di stabilimento), finalizzate a favorire l'impegno e l'auto-
responsabilità dei vari preposti ai singoli pilastri di attività. Responsabilità
che, applicando tecniche e metodi di gestione per obiettivi, consiste nel
realizzare piani e progetti attraverso la diffusione di Know-How. Questi
riguardano il “commitment”, cioè l’impegno, la motivazione
coinvolgimento totale, vi è poi la cultura orientata al dettaglio.
Fig. 2.2 I pilastri tecnici e manageriali
Fonte: L. Massone, World Class Mnufaturing. Il percorso verso l’eccellenza
Il percorso di evoluzione di ogni pillastro tecnico è vincolato a 7 steps.
Prendiamo in considerazione, per motivi di semplificazione, il solo
pilastro “Sicurezza”.
60
Fig. 2.3 Pilastro “Safety” (Sicurezza)
Fonte: Metodi e strumenti per il Fiat Auto Production System, Fiat Group Automobiles, 2007
Safety
Sicurezza
Perché si fa
Per soddisfare le esigenze degli addetti, assicurando il miglioramento
continuo della sicurezza sul posto di lavoro.
A che cosa serve
• a ridurre drasticamente il numero degli incidenti
• a sviluppare la cultura della prevenzione per quanto riguarda la
sicurezza
• a migliorare continuamente l’ergonomia del posto di lavoro
• a sviluppare le competenze professionali specifiche
Principali attività
• audit interni periodici sulla sicurezza degli impianti
• identificazione e valutazione dei rischi
• analisi sistematica degli incidenti avvenuti
• miglioramenti tecnici sulle macchine e sul posto di lavoro
• formazione, addestramento e controllo
61
Fig. 2.4 I sette step del pilastro “Safety” (Sicurezza)
Piena implementazione del sistema sicurezza
Standard autonomi
Ispezione autonoma (contromisure contro i
potenziali problemi)
Ispezione generale per la sicurezza (addestramento
e formazione delle persone)
Standard iniziali di sicurezza (lista di tutti i problemi)
Contromisure ed estensione sulle aree simili
Analisi degli infortuni e delle cause di infortunio
Fonte: Metodi e strumenti per il Fiat Auto Production System, Fiat Group Automobiles, 2007
All’interno di ciascun pilastro possono essere utilizzati alcuni strumenti.
Step 1
step 2
Step 3
Step 4
Step 5
Step 6
Step 7
Sette step della Safety
62
Fig. 2.5 Gli strumenti del World Class Manufacturing
Fonte: Propria elaborazione
Vi sono poi continue verifiche interne ("audit"), che costituiscono uno
degli elementi per valutare, guidare e supportare l’applicazione di Fiat
Auto Production System seguendo il percorso verso il World Class
Manufacturing. Ha lo scopo di verificare l’avanzamento dei risultati e di
indirizzare il management ad una applicazione corretta dei metodi del
Sistema di Produzione, tramite i KPI (Key Performance Indicator) sulle
seguenti aree tematiche:
• Cost (costi)
• Quality (qualità)
4M Techinque (machine-
material-method-man)
5 “S”: separare,
ordinare, pulire,
standardizzare,
sostenere e migliorare
5W e 1H: Who
(chi), What (che
cosa), Where (dove),
When (quando),
Why (perché), How
(come)
5 WHYS (5 perché)
AM Tag (Cartellino
AM)
Equipment ABC
Prioritization
(Classificazione ABC delle
macchine)
FMEA – Failure
Mode ancd Effect
Analysis (Analisi
dei guasti e dei loro
effetti
Kanban (Cartellino)NVVA – Not Value
Added Activity
(Attività a non valore
aggiunto)
OPL – One Point Lesson
(lezione su un punto)
Poka Yoke (evitare
l’errore)
QA Matrix (la
matrice assicurazione
qualità)
QM Matrix (la matrice
manutenzione per la
qualità)
Six Sigma (sei sigma)
Value Stream Map
(mappa del flusso del
valore)
X Matrix (la matrice
x
SMED - Single
Minute Exchange
of Die (Attrezzaggio
in un tempo
inferiore ai 10
minuti)
63
• Productivity (produttività)
• Safety (sicurezza
• Human Resource (risorse umane)
• Production System (sistema produttivo)
• Delivery (livello di servizio)
• Stock (scorte)
A tal fine sono previsti sia autovalutazioni periodiche, realizzate dal
management di stabilimento per il monitoraggio dell’avanzamento delle
attività dei pilastri, sia valutazioni esterne, a cura di manager
indipendenti, per la certificazione dei livelli raggiunti.
Lo stabilimento viene valutato per ogni metodologia con un punteggio
che varia da 0 a 5. La valutazione complessiva dello stabilimento viene
riassunta in un indicatore chiamato Indice di Implementazione
Metodologie (IIM), che può essere applicato anche a livello di Unità
Operativa e di Ute. L’IIM si ottiene come somma di tutti i livelli
raggiunti nell’implementazione di ciascuna metodologia.
La valutazione, una volta verificata da parte di esperti esterni, porta lo
Stabilimento all’assegnazione di specifici riconoscimenti (Bronzo 50
punti, Argento 65 punti, Oro 80 punti).
Fig. 2.6 Il “sistema audit”
Fonte: L. Massone, World Class Manufaturing. Il percorso verso l’eccellenza
64
2.3.L’implementazione del World Class Manufacturing
Il modello del World Class Manufacturing, costituisce, un nuovo modo
di guardare all’organizzazione, la sua implementazione è sempre un
elemento cruciale. Il vantaggio del WCM è dato dal modo in cui lo si
introduce in azienda e dai benefici che permette di ricavare. Mostreremo
di seguito i 5 passi attraverso cui applicare un programma World Class:
1) Diagnostica dell’impresa
È una verifica di tutti i settori chiave dell’impresa, il vantaggio di questa
fase è l’individuazione delle priorità d’intervento all’interno
dell’organizzazione, problemi che devono essere risolti rapidamente, ed è
proprio già in questa fase che si hanno indicazioni concrete su come
risolvere il problema. Al fine di ottenere migliori risultati , questa fase di
diagnosi dovrebbe essere condotta da un consulente esterno, libero da
pregiudizi, cioè da esperienze aziendali quotidiane o da preconcetti
consolidati dall’operare da lungo tempo in impresa.
2) Consapevolezza e autovalutazione
I programmi del WCM sono in genere guidati dalla direzione, questa
deve avere una chiara visione di quello che implica il WCM, in modo da
poterlo trasmettere al resto dell’impresa. I dipendenti devono
comprendere a pieno i principi del WCM in modo da contribuire a
migliorare il loro modo di operare in azienda. Una volta che tutta
l’impresa è giunta ad una cognizione esatta dei principi di base del
modello, potrà confrontare i risultati della fase diagnostica con il modello
 WCM (World Class Manufacturing)
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WCM (World Class Manufacturing)

  • 1. Il World Class Manufacturing e le relazioni industriali in Fiat Chrysler Automobiles
  • 2. Università della Calabria Dipartimento di Scienze Politiche e Sociali Anno Accademico 2013/2014 Corso di Laurea Magistrale in Scienze delle Pubbliche Amministrazioni Tesi di Laurea Il World Class Manufacturing e le relazioni industriali in Fiat Chrysler Automobiles Relatore Candidata Prof. Vincenzo Fortunato Rossana Labonia matricola 158131
  • 3. Indice INTRODUZIONE ......................................................................................................... 1 CAPITOLO 1 1.1 L’evoluzione dell’organizzazione: dalla produzione artigianale al fordismo ….....6 1.2 Il post-fordismo: i pilastri del “modello giapponese”.............................................. 11 1.3 Il processo produttivo nella lean production ........................................................... 23 1.4 La struttura organizzativa della fabbrica integrata.................................................... 28 1.5 Le risorse umane e le relazioni industriali nella lean production .......................... 38 CAPITOLO 2 2.1 Il “World Class Manufacturing” come modo di lavorare....................................... 53 2.2 Strumenti e metodologie ............................................................................................. 57 2.3 L’implementazione del World Class Manufacturing................................................ 64 2.4 Il sistema Ergo-Uas....................................................................................................... 66 CAPITOLO 3 3.1 Dinastia Agnelli.............................................................................................................. 75 3.2 Il nascere della crisi ....................................................................................................... 78 3.3 Le ragioni della crisi ..................................................................................................... 85 3.4 E poi arriva Marchionne............................................................................................. 105 3.5 Nasce Fiat Chrysler Automobiles (FCA)................................................................. 125 CAPITOLO 4 4.1 Le relazioni industriali in Fiat.................................................................................... 128 4.2 Affare Chrysler e tentativi di acquisizione della Opel............................................ 175 4.3 Le Vertenze di “Pomigliano” e “Mirafiori” ............................................................ 184 4.4 Verso quale direzione sindacale: partecipazione o conflittualità?........................ 203
  • 4. CAPITOLO 5 5.1 Premessa ........................................................................................................................206 5.2 La Fiat Chrysler Automobiles di Mirafiori ..............................................................208 5.3 L’impatto del World Class Manufacturing in termini di partecipazione sul sistema aziendale ................................................................................................................210 5.4 L’impatto del World Class Manufacturing in termini di partecipazione sulle relazioni industriali .............................................................................................................217 5.5 L’impatto del World Class Manufacturing in termini di partecipazione sui lavoratori .............................................................................................................................225 Intervista Alberto Cipriani (Responsabile Fim-Cisl)....................................................232 Intervista Edi Lazzi (Segretario responsabile Fiom-Cgil).............................................249 Intervista Flavia Aiello (Segretaria provinciale Uilm-Uil).............................................268 Intervista Roberto Cortese (Responsabile relazioni industriali FCA-EMEA)..........279 Intervista Luciano Massone (Capo del WCM Region & WCM Dev. Center VP .......... ..............................................................................................................................................297 Intervista Pino Di Castri (Operaio Mirafiori Carrozzeria) ..........................................308 Intervista Antonella Palumbo e Giuseppe Buscicchio (Operai Mirafiori Carrozzeria Montatura e Verniciatura)............................................................................314 Intervista Claudia Di Rosso ( Impiegata struttura centrali)..........................................323 Considerazioni conclusive ............................................................................................331 Riferimenti Bibliografici .............................................................................................. 336
  • 5. 1 Introduzione Il lavoro di tesi entra nel merito delle trasformazioni legate all’introduzione di nuove forme di organizzazione del lavoro e della produzione, partendo dai temi classici dell’organizzazione scientifica del lavoro, la fabbrica taylor-fordista, fino ad arrivare all’ultima frontiera dell’ organizzazione del lavoro e della produzione, il “World Class Manufacturing”. A partire dal 2006, in un contesto di crisi globale, il manager italo- canadese Sergio Marchionne, si lancia in una vera e propria crociata per l'aumento della produttività, adottando all’interno del Gruppo Fiat un nuovo programma il “World Class Manufacturing”, un nuovo modo guardare all’organizzazione, un metodologia di miglioramento continuo delle prestazioni della fabbrica, attraverso cui si riescono ad ottenere importanti vantaggi di competitività relativi a qualità, costi e tempi di risposta. L’applicazione del WCM richiede che ognuno collabori alla gestione dell’azienda, che ogni dipendente sia coinvolto nel perseguimento rapido e continuo del cambiamento. È importante che i miglioramenti all’interno dell’azienda siano introdotti con il coinvolgimento dei lavoratori al fine di attivare una loro prima mobilitazione intellettuale, attraverso il suggerimento di idee che le persone stesse ritengono possano migliorare le loro condizioni di lavoro. Altrettanto importante per un corretto funzionamento del programma non è tanto quello di costruire un nuovo modello di relazioni industriali ma quello di dare spessore a forme di partecipazione concrete, di aprire dei canali di comunicazione e di dialogo costruttivi finalizzati alla ricerca di compromessi tra l’azienda e il sindacato.
  • 6. 2 La tesi è strutturata in cinque capitoli (o parti) tra loro strettamente collegati e interdipendenti. Nel primo capitolo si affronta il tema dell’evoluzione delle formule organizzative. L’enfasi è posta sul rapporto tra i vari modelli organizzativi, i fattori che ne hanno determinato il superamento e la sostituzione con altri modelli più o meno innovativi rispondenti alle esigenze del mercato. Per ciascuna tipologia sono state ricostruite le principali caratteristiche organizzative, l’impatto della nuova organizzazione e delle tecnologie disponibili sui lavoratori, le strategie gestionali da parte della direzione. Si partirà dall’organizzazione scientifica del lavoro, la fabbrica taylor-fordista, fino ad arrivare al modello giapponese (lean production) che, a partire dagli anni Novanta, ha rivoluzionato il settore dell’auto e sulla sua recente evoluzione nota come World Class Manufacturing. Nel secondo capitolo si entrerà nel dettaglio del World Class Manufacturing, e in particolare delle tecniche e degli strumenti utilizzati, delle fasi necessarie per la sua implementazione e un’ approfondimento del sistema Ergo-Uas, utilizzato per migliorare le condizioni di salute e di sicurezza dei lavoratori all’interno della nuova organizzazione. Il terzo capitolo ripercorre la storia della Fiat, tutte le vicende che sono ormai oggetto di attenzione da parte degli ambienti economici, sociali e politici del paese, e soprattutto sui numerosi problemi che l’azienda sta vivendo fino ad arrivare all’ingresso sulla scena, nel 2004, del nuovo amministratore delegato Sergio Marchionne che ha risollevato le sorti dell’azienda, la cui attenzione si è concentrata soprattutto sugli Stati Uniti che è sfociata nel Gennaio 2014 nell’acquisizione di Chrysler, con la nascita di “Fiat Chrysler Automobiles”, che ha segnato di fatto l’inizio di un nuovo capitolo per l’azienda italiana.
  • 7. 3 Il quarto capitolo focalizza l’attenzione sul tema delle relazioni industriali in Fiat, abbiamo cercato di offrire un’analisi della contrattazione collettiva sindacale alla Fiat, partendo dagli anni Ottanta fino ad arrivare ai giorni nostri, per comprendere appieno i cambiamenti in atto. Cambiamenti che hanno portato, attraverso l’introduzione del nuovo paradigma organizzativo del lavoro e della produzione (WCM), a un modello di contrattazione collettiva che da “normativo” diventa “partecipativo”. Il quinto capitolo si riferisce alla ricerca empirica, dopo una breve descrizione dello stabilimento Fiat Chrysler Automobiles di Mirafiori, della realtà di fabbrica, e delle condizioni in cui perversa, le numerose domande su cui si basa la ricerca tentano di ricostruire, a partire dai luoghi di lavoro e dalle rappresentazioni sociali dei protagonisti, operai, impiegati, manager e rappresentanti sindacali, le nuove prassi organizzative e le dinamiche che si instaurano tra i diversi attori. Obiettivi e ipotesi della ricerca Particolare enfasi in questo studio sul World Class Manufacturing è posta sulle relazioni che intercorrono tra azienda, sindacato e lavoratori nello stabilimento di Fiat Chrysler Automobiles di Mirafiori. È possibile osservare come l’azienda si stia dirigendo sempre di più verso l’adozione di una strategia gestionale basata sulla flessibilità, sulla riduzione dei livelli gerarchici, sul lavoro in team, sulla qualità totale ma anche e soprattutto sulla partecipazione e formazione dei lavoratori rispetto alle necessità produttive. Un aspetto particolarmente interessante, in seguito all’introduzione del WCM, riguarda l’evoluzione delle relazioni industriali che sembrano orientarsi verso nuovi scenari che
  • 8. 4 richiedono non soltanto la partecipazione collettiva sindacale, ma in qualche modo determina il passaggio ad una forma di “sindacalismo partecipativo”, vale a dire caratterizzato da un rapporto di forte integrazione con l’azienda e soprattutto sulla eliminazione di ogni forma di conflittualità. A tal riguardo lo scopo della ricerca è quello di capire qual è il collegamento tra questo nuovo paradigma organizzativo, sperimentato dal 2006 in poi, e le relazioni industriali. In particolare, se il WCM, centrato sul coinvolgimento attivo dei lavoratori, richiede o meno l’intermediazione del sindacato. Quali caratteristiche questo deve avere, partecipativo o conflittuale. Qual è il ruolo del sindacato e la sua effettiva partecipazione all’interno dell’azienda. Qual è il rapporto con l’azienda, se quest’ultima cerca il rapporto con i sindacati oppure preferisce interagire direttamente con i lavoratori. Se esistono ancora dei meccanismi di tipo partecipativo, rappresentato dalle commissioni, se queste funzionano effettivamente o il coinvolgimento del sindacato è soltanto formale. Si cercherà dunque di capire quali sono i nuovi equilibri e le nuove strategie manageriali finalizzate ad acquisire il consenso sui nuovi metodi di produzione e come questo ha influito in modo determinante sull’organizzazione e sulle modalità di azione del sindacato. Considerazioni metodologiche e strumenti Per quanto riguarda gli aspetti metodologici, la ricerca è stata svolta attraverso delle interviste in profondità a rappresentanti sindacali, in particolare al responsabile della Fim-Cisl, Alberto Cipriani, al segretario della Fiom-Cgil, Edi Lazzi e alla segretaria provinciale della Uilm-Uil,
  • 9. 5 Flavia Aiello. Per quanto riguarda il Management Fiat Chrysler Automobiles, il responsabile delle relazioni industriali FCA – EMEA, Roberto Cortese, il capo del World Class Manufacturing EMEA Region & WCM Dev. Center VP, Luciano Massone, e i lavoratori di Mirafiori Carrozzeria, Pino Di Castri, Antonella Palumbo, Giuseppe Buscicchio e l’impiegata delle strutture centrali Fiat Chrysler Automobiles, Claudia Di Rosso. I principali contenuti delle interviste hanno riguardato le strategie manageriali legate alla nuova organizzazione del lavoro e della produzione, le caratteristiche e i problemi legati all’introduzione del World Class Manufacturing, le relazioni di lavoro, in termini di coinvolgimento dei lavoratori, l’evoluzione delle relazioni sindacali, i ruoli delle diverse figure, le forme della rappresentanza, le modalità e le procedure dell’azione sindacale. L’osservazione diretta all’interno dello stabilimento Maserati di Grugliasco, mi ha inoltre permesso di capire come i lavoratori si inseriscono all’interno della nuova organizzazione e come è cambiato l’ambiente di fabbrica nel complesso.
  • 10. 6 Capitolo 1 Dall’organizzazione scientifica del lavoro (Taylor) al “sistema produttivo Toyota” 1.1. L’evoluzione dell’organizzazione: dalla produzione artigianale al fordismo L’organizzazione di fabbrica, come organizzazione della produzione per il mercato, nasce nel XVIII secolo. Tuttavia l’ampliamento e il controllo della produzione da parte dell’imprenditore aveva già conosciuto una forma che non richiedeva la concentrazione di mezzi di produzione e persone, si trattava del putting-out system, in cui il lavoro veniva effettuato da artigiani o braccianti che lavorano a domicilio usando materie prime e telai di proprietà del mercante-imprenditore. Il passaggio dal lavoro artigianale al lavoro in fabbrica avviene col raggruppamento degli artigiani e dei macchinari in un unico complesso, sotto un’unica direzione, appunto, la fabbrica, per dare più continuità, precisione e maggiore regolazione al processo di lavoro attraverso la disciplina del tempo rispetto all’inizio in cui la produzione procedeva a sbalzi, per interruzioni, seguendo i ritmi di ciascun artigiano. L’avvento dell’impianto produttivo moderno ebbe un enorme impatto sociale descritto per la prima volta da Marx1 . Venne innanzitutto meno la possibilità di scegliere quando lavorare, se lavorare e anche se lavorare di meno, rinunciando ad una parte del proprio reddito, 1 Fortunato V., Della Rocca G., «Lavoro e organizzazione. Dalla fabbrica alla società postmoderna», Roma-Bari, Editori Laterza, 2006, p. 8
  • 11. 7 quest’ultima possibilità era consentita nel lavoro a domicilio ma non nella fabbrica, il cui il tempo era disciplinato da orari di lavoro nella giornata o nella settimana. Le ragioni per cui la fabbrica surclassò il lavoro a domicilio non sono tuttavia solo legate all’innovazione tecnologica, al controllo sul come l’operaio lavorava o allo sfruttamento da parte del padrone imprenditore. Mettere tutti i lavoratori sotto lo stesso tetto assicurava una maggiore possibilità di trasmissione delle informazioni tra gli stessi operai. La concentrazione in fabbrica serviva quindi a stimolare o costringere gli operai appartenenti a diversi mestieri a interagire tra loro o a rendere disponibili le loro conoscenze. Per costoro ovviamente la fabbrica non rappresentava la sola possibile soluzione al problema, i sindacati e le associazioni di mestiere (meccanici, macchinisti, tessitori, fonditori, ecc.) avevano un ruolo importante nello scambio delle conoscenze. All’interno della fabbrica vennero quindi introdotte le prime «macchine universali», che potevano essere adoperate per diverse operazioni, vi è un rapporto uomo-macchina del tutto peculiare in cui l’abilità, il mestiere del singolo operaio è ancora preponderante. L’imprenditore sceglie cosa produrre e assicura le condizioni generali della produzione, ma l’esecuzione del prodotto è in larga parte lasciata all’autonomia e all’abilità professionale degli operai, nell’uso delle macchine, organizzati in squadre. Queste sono composte da operai più esperti e anziani, da apprendisti più giovani e da molti manovali non qualificati che eseguivano i lavori più semplici. Gli operai dotati di professionalità di questa fase, pochi rispetto ai manovali, sono chiamati operai di mestiere.
  • 12. 8 Osservata con gli occhi della fabbrica che si è imposta nei decenni successivi, essa appare alquanto «disorganizzata». Uno stesso lavoro poteva richiedere tempi di attuazione differenti a seconda delle squadre, essere fatto in modi diversi, essere diversamente remunerato a seconda degli accordi del caposquadra con gli operai che lui stesso assumeva e così via. Da queste considerazioni nasce l’idea di introdurre un metodo nell’organizzazione del lavoro, la proposta più compiuta fu la cosiddetta organizzazione scientifica del lavoro (Scientific Management), ideata in America da Frederick W. Taylor. Taylor partì dall’idea che per acquistare efficienza era necessario progettare un’organizzazione centralizzata, nella quale fossero rigidamente divisi i compiti di decisione e pianificazione del lavoro (spostati alla direzione) da quelli di esecuzione. Il processo complessivo di lavorazione doveva essere smontato in una serie di operazioni parcellizzate, ognuna (o una serie limitata) delle quali definisse un posto di lavoro. Le singole operazioni potevano essere standardizzate, fissandone tempi e metodi, e tenuto conto dello sforzo necessario, Taylor propose un incremento del salario fino al 60% circa della paga giornaliera, per il lavoratore che avesse eseguito fedelmente e nei tempi unitari previsti i compiti definiti dall’ufficio. Opportune tecniche di selezione e valutazione avrebbero trovato «l’uomo giusto al posto giusto», diversamente remunerato a seconda dell’apporto che dava alla produzione. Tuttavia tutto ciò non bastò a evitare vivaci reazioni, perché il nuovo metodo sottraeva ai lavoratori poteri e autonomia. Secondo molti sociologi industriali e del lavoro la netta separazione tra la fase di ideazione e la fase di esecuzione, affidata agli operai, segnò la fine di un
  • 13. 9 era nell’organizzazione del lavoro, svuotando il lavoro operaio di quei contenuti intelligenti che erano alla base del «mestiere», sancendo il passaggio dall’operaio professionale della manifattura al cosiddetto operaio di massa. Concentrando le aeree vitali della pianificazione e del design nelle mani della direzione, il taylorismo ha eliminato un’importante fonte di potere e di conoscenza-controllo del processo produttivo dalle mani dei lavoratori, generando una forza lavoro dequalificata e meno costosa. L’opera di Taylor costituisce tuttavia la base dalla quale riparte un altro illustre personaggio dell’epoca: Henry Ford. Il grande successo di Ford sta proprio nell’essere riuscito dove Taylor ha in qualche modo fallito, vale a dire nell’adattare al lavoro operaio grandi masse dequalificate (Accornero, 2002). La nuova divisione tecnica del lavoro è organizzata attraverso la catena di montaggio (assembly line): «un tipo di organizzazione del lavoro per cui le diverse operazioni, ridotte alla medesima durata o ad un multiplo o sottomultiplo semplice di tale durata, vengono eseguite senza interruzione tra loro e in un ordine costante nel tempo e nello spazio». Fig. 1.1 Catena di montaggio della Ford (Touraine, 1955)
  • 14. 10 La genialità di Ford è stata quella di comprendere ed esaltare gli enormi vantaggi di un sistema quasi chiuso e massimamente stabile, questo ha consentito l’enorme aumento della produttività anche grazie all’operare di due meccanismi: la specializzazione dei compiti e la standardizzazione dei componenti. La specializzazione dei compiti richiedeva dai lavoratori una forma di cooperazione passiva intesa come fedele esecuzione di quanto stabilito dalle norme organizzative2 . La standardizzazione del prodotto, era quello di scomporlo in un insieme di pezzi perfettamente intercambiabili e dotati di massima predisposizione all’incastro, la cui differenziazione era riservata alla sola fase finale di assemblaggio, il processo veniva quindi semplificato fino ad arrivare a lavorazioni mono-prodotto a ciclo continuo. La produzione in grandi quantità di prodotti standardizzati permetteva, inoltre, di ridurre i costi unitari di produzione sfruttando le cosiddette economie di scala. Nascono in questo ambito i sindacati industriali, che organizzano sia gli operai specializzati sia quelli comuni senza l’esclusione di nessuno. Si estende come principio per la tutela del lavoro la contrattazione collettiva, con essa gli operai acquisiscono diritti universali di tutela del lavoro, quali quello del salario minimo, dell’orario standard massimo di lavoro (8 ore giornaliere). Intorno agli anni Settanta il modello fordista inizia ad entrare in crisi per una molteplicità di motivi, primo fra tutti, la crescente pressione del movimento operaio al fine di ottenere condizioni di lavoro migliori in 2 Fortunato V., Della Rocca G., «Lavoro e organizzazione. Dalla fabbrica alla società postmoderna», cit., p. 35
  • 15. 11 un contesto che è pur sempre quello della fabbrica taylorista, alienante e gerarchica. Con l’aumento poi dell’individualismo e del senso di identità attraverso il consumo, le aziende hanno dovuto venire incontro ai nuovi bisogni fornendo varietà e diversità in moltissimi tipi di prodotti. E infine lo sviluppo dei paesi emergenti, che ha permesso alle nuove industrie di produrre e immettere sul mercato esterno gli stessi prodotti con un costo del lavoro inferiore, soddisfando, allo stesso tempo, la nuova domanda di beni dei mercati interni. 1.2. Il post-fordismo: il “sistema produttivo Toyota” La rigidità della fabbrica taylorista viene progressivamente sostituita dal «sistema produttivo Toyota» o «sistema produttivo giapponese», punto di riferimento delle grandi imprese internazionali, soprattutto nel settore automobilistico. Il padre fondatore Taiichi Ohno, nel 1956, facendo un viaggio in America per visitare gli stabilimenti di General Motor e Ford, si rese conto che ciò che lo colpì di più erano i supermercati, nei quali vedeva già realizzate alcune sue idee sul just in time. “Combinare automobili e supermercati può sembrare una strana idea. Tuttavia per molto tempo, dopo avere analizzato l’organizzazione di un supermercato americano, studiammo le analogie tra quell’organizzazione produttiva e la produzione di automobili per mezzo del just in time. Un supermercato è un luogo dove il cliente può prendere ciò di cui ha bisogno nel tempo e nelle quantità desiderati” … “Dal supermercato abbiamo così mutuato l’idea di concepire il processo che sta ‘a monte’ nella linea produttiva come una sorta di negozio. Il processo che sta ‘a valle’ (cliente) procede verso quello iniziale (supermercato) per acquistare i pezzi
  • 16. 12 necessari (merci) nei tempi e nella quantità desiderati. È allora che il processo iniziale produce immediatamente la quantità appena prelevata (rifornimento degli scaffali)” Fig. 1.2 I supermarket americani realizzano in parte il just in time con i cartellini (kanban) Fonte: L. Pero, Taylor e Ford, World Class Manufacturing, 2008 Agli inizi degli anni Novanta è sembrato quindi che la produzione snella (lean production), potesse dare un volto e una connotazione precisa al nuovo modo di organizzare il lavoro e la produzione. In tale prospettiva, il capitale umano, assume nuovi connotati che lo rendono la più importante risorsa strategica all’interno della fabbrica. Mentre la produzione di massa, standardizzata, era basata sull’idea che si sarebbero trovati clienti per tutto ciò che si produceva, nella nuova situazione si tratta invece di produrre soltanto quello che è già richiesto dal cliente. Il nuovo modello organizzativo viene definito, da gran parte della letteratura, come market driven ovvero guidati dal mercato e dall’andamento della domanda in contrapposizione a una vecchia
  • 17. 13 concezione di produzione, quella dell’industria di massa, per cui era la fabbrica e la sua produzione che guidavano il mercato3 . Nel fordismo le decisioni su cosa e quanto produrre erano fissate dalla direzione «a monte», i componenti, i prodotti in fabbrica o da fornitori esterni, affluivano nei magazzini e da qui passano all’assemblaggio lungo la catena. Se le auto non venivano vendute subito, venivano parcheggiate nei piazzali in attesa di essere vendute, mentre i componenti prodotti in eccesso si accumulavano. Rovesciando lo schema organizzativo, con la lean production, è l’ordinazione di un certo numero di auto pervenuta agli uffici commerciali che mette in moto lungo la linea produttiva, la richiesta dei diversi componenti, i quali vengono prodotti solo nella quantità necessaria. In fabbrica non circola più nessun componente che già non si sappia a che auto è destinato, è la cosiddetta produzione «just in time», un principio cardine che regola gli approvvigionamenti di materiali e componenti, in base al quale ogni attività lavorativa deve essere alimentata con i componenti richiesti, nel tempo richiesto e nella quantità esattamente richiesta per l’assemblaggio del prodotto finale. In questo modo, ciascun componente arriva alle varie postazioni sulla linea di montaggio nei tempi e nelle quantità designate soltanto quando vi è una richiesta da parte del cliente, prevenendo la necessità di mantenere scorte in magazzini o polmoni intermedi. 3 Fortunato V., Della Rocca G., «Lavoro e organizzazione. Dalla fabbrica alla società postmoderna», cit., p. 56
  • 18. 14 Fig. 1.3 Eliminare magazzini e polmoni intermedi Fonte: L. Pero, Taylor e Ford, World Class Manufacturing, 2008 Il just in time punta, infatti a ridurre i costi elevati di stoccaggio, tipici della produzione di massa in grandi serie, attraverso la valorizzazione solo di quelle operazioni in grado di generare effettivamente valore aggiunto al prodotto ed eliminando ogni tipo di spreco (in giapponese, “muda”). Fig. 1.4 Attività “a valore aggiunto” e “non valore aggiunto” Fonte: Metodi e strumenti per il Fiat Auto Production System, Fiat Group Automobiles, 2007
  • 19. 15 È spreco tutto ciò che consuma risorse, in termini di costo e tempo, senza però creare valore per il cliente. Questi vengono classificati in sette tipologie, tra cui la più grave è la sovrapproduzione, in quanto è all’origine degli altri tipi di sprechi, in particolare delle scorte, dei difetti e dei trasporti. Fig. 1.5 I sette tipi di spreco Fonte: Metodi e strumenti per il Fiat Auto Production System, Fiat Group Automobiles, 2007
  • 20. 16 Se il just in time rappresenta il pilastro dell’organizzazione del flusso e del processo di produzione, lo strumento usato nella pratica per rendere effettivo questo principio è rappresentato dal sistema di comunicazione interna, “kanban”, che consente di stabilire i volumi produttivi giornalieri.. È una forma di comunicazione, costituto da un punto di vista materiale da un foglio di carta contenuto in un involucro di vinile e recante una serie di informazioni, ma anche da segnali luminosi e sonori che servono a controllare il rispetto dei tempi di lavoro e di consegna previsti. In sostanza, il kanban opera come ordine di lavoro, e ciò si traduce nel fatto che il segmento produttivo precedente deve fabbricare i pezzi nella quantità indicata dal cartellino, ossia deve produrre esattamente la quantità di merci prelevata dal processo produttivo successivo, nel tempo indicato e rispettando i parametri qualitativi stabiliti. Altra regola fondamentale è, infatti, quella che prescrive di non consegnare nulla di difettoso alla stazione di lavoro successiva. Fig. 1.6 Kanban - schema di funzionamento Fonte: Confindustria Vicenza, Produzione snella. La riduzione degli sprechi nel reparto produttivo, 2012
  • 21. 17 L’uso diffuso del kanban consente quindi di rovesciare l’intero sistema di programmazione della produzione, si passa infatti da una logica push a una logica pull. La logica pull, che in inglese vuol dire “tirare” significa che i materiali non devono essere spinti verso la produzione, ma è necessario adottare un sistema che tiri i materiali verso la fabbrica. I materiali escono dai magazzini e la produzione inizia in un determinato reparto solo quando è richiesto da una operazione a valle o dalla domanda, cioè quando vi è una richiesta di mercato. I risultati di tale approccio sono livelli inferiori di scorte, migliore qualità del prodotto, flusso di produzione più armonico, maggior coinvolgimento dei lavoratori. Fig. 1.7 “Logica Pull” Fonte: L. Pero, Taylor e Ford, World Class Manufacturing, 2008 Rispetto alla logica pull, che mantiene code di lavorazioni davanti ciascuna macchina e cumuli di parti componenti in attesa di lavorazione. I materiali dovrebbero essere spinti (to push,“spingere”) fuori dai magazzini o dai reparti produttivi in base a prestabiliti programmi. Magazzini polmone, tempi di anticipo di sicurezza e altre tattiche sono
  • 22. 18 spesso usate per assicurarsi che i materiali siano disponibili non appena richiesti. Fig. 1.8 “ Logica Push” Fonte: L. Pero, Taylor e Ford, World Class Manufacturing, 2008 Dal momento che il kanban è la tecnica che consente di realizzare il just in time, affinchè il sistema possa operare correttamente e in modo efficiente, i processi produttivi devono essere articolati in modo da ottenere il miglior livello possibile di continuità del flusso. Per realizzare questa finalità e consentire la sequenza della produzione, la produzione snella adotta la disposizione degli impianti ad U (in contrapposizione alle linee di lavorazione meccanica e di montaggio allungate su di una linea dritta), la cui caratteristica principale è data dal fatto che le entrate e le uscite devono trovarsi l’una di fronte all’altra. A ciascun lavoratore, addetto a più macchine, vengono assegnate un numero variabile di operazioni. Con la disposizione ad U i lavoratori possono parlarsi, vedere il prodotto in tutte le fasi e possono scambiarsi tra di loro. Questa disposizione ha permesso una riduzione dei tempi d’attesa, di stoccaggio e di trasferimento, e il lavoratore opera nella
  • 23. 19 condizione di dovere necessariamente massimizzare il suo tempo operativo. Le catene di montaggio moderne non sono né totalmente manuali né totalmente automatizzate, ma degli “ibridi”, in cui l’uomo serve la macchina (es. regolarla e controllarla), la macchina serve l’uomo (es. spostare pesi), l’uomo fa quel che la macchina non sa fare (es. montaggi interni), la macchina fa, quel che l’uomo non è capace di fare (es. controllo elettronici). La vecchia catena manuale La nuova catena come ibrido-uomo macchina
  • 24. 20 Il cambiamento si accompagna a molte altre innovazioni organizzative, come il principio di «autoattivazione» (Jidoka), un particolare uso delle macchine e del rapporto uomo-macchina diretto a permettere all’apparato produttivo di retroagire con l’ambiente, intervenendo direttamente nel caso si producano difetti del prodotto e auto- correggendo l’errore in tempo reale, nell’esatto momento e nell’esatto segmento del ciclo lavorativo in cui il difetto si è generato.4 In caso di errore, la macchina che sta operando si ferma automaticamente, e allo stesso modo, in caso di anomalie riscontrate in una fase di lavorazione manuale, il lavoratore può interrompere la linea, intervenendo tempestivamente, senza che gli errori si ripetano e si accumulino, effettuando anche un controllo di qualità che prima veniva svolto solo alla fine di una linea produttiva. L’autoattivazione costituisce quindi uno dei principali fattori di flessibilità del sistema, in grado di garantire il corretto e ininterrotto dispiegarsi di un processo produttivo che, a differenza di quello fordista, si presenta privo di “reti di salvataggio” (Bonazzi, 1993). L’autoattivazione si propone i ovviare due punti di debolezza della produzione di massa, da una parte la mancata possibilità di arrestare la catena di montaggio, anche in presenza di difetti gravi, rimandando quindi la possibilità di interventi correttivi alle fasi successive a valle del processo produttivo, dall’altra la tendenza dei macchinari, dedicati alla produzione in grandi quantità, a riprodurre e moltiplicare all’infinito i difetti perché incapaci di bloccarli alla fonte. Per questo, la fabbrica lean si avvale di macchine autoattivate, dotate cioè di dispositivi di arresto automatico e di meccanismi di 4 Fortunato V., «Ripensare la Fiat di Melfi. Condizioni di lavoro e relazioni industriali nell’era del World Class Manufacturing», Roma, Carocci editore, 2008, p. 34
  • 25. 21 prevenzione delle difettosità, chiamati poka yoke che, secondo Ohno conferirebbero alla macchina un tocco di sensibilità umana. All’interno della fabbrica snella, in cui tutto ciò che è superfluo deve essere portato alla luce e quindi eliminato, la trasparenza e la supervisione del processo produttivo è garantita da una serie di procedure che rientrano nella cosiddetta «direzione con gli occhi» (Ohno 1978), si tratta di rendere visibile ogni evento che può verificarsi nello svolgimento delle attività lavorative all’interno della fabbrica. L’andon è un indicatore luminoso il cui funzionamento è simile a quello del semaforo, la luce verde indica che le attività procedono normalmente, la luce arancione indica che un lavoratore deve compiere un’operazione di regolazione sulla linea e necessita di aiuto, la luce rossa indica che la linea è ferma in seguito a dei problemi. L’andon fornisce, quindi, tutta una serie di informazioni che sono immediatamente disponibili e visibili dai lavoratori e dalla direzione aziendale e che permettono al lavoratore e alla squadra di intervenire immediatamente senza che l’anomalia si ripercuota sull’intero processo. Fig. 1.9 “L’andon” Fonte: Università degli studi di Trieste, Produzione snella e Just in time, gestione della produzione, 2009
  • 26. 22 La fabbrica lean opera inoltre secondo uno spirito improntato al «miglioramento continuo» (Kaizen) del prodotto e dei processi, sia nel breve che nel medio e lungo periodo. Il controllo della qualità sulla linea è un elemento, ma il kaizen costituisce un ulteriore fase che non guarda solo alla qualità, guarda anche all’innovazione e razionalizzazione dei processi e dei prodotti, la nuova modalità di funzionamento dell’intera organizzazione è basata sul trasferimento e la devoluzione delle responsabilità della gestione a team permanenti interfunzionali o ai circoli di qualità che operano secondo la logica del problem-solving. Al lavoratore, che opera all’interno di un team, non viene più chiesto soltanto di eseguire ripetitivamente una sola mansione, ma anche di eseguire il controllo della qualità di ciò che produce, gli interventi di manutenzione preventiva, secondo la logica Total Productive Maintenance (Tpm). Entrambi i principi si propongono di superare una serie di limiti strutturali tipici della produzione di massa, ossia la presenza di ingenti scorte in magazzino, e quindi, elevati costi di stoccaggio, la scarsa responsabilizzazione degli operai e la proliferazione di errori di lavorazione a causa di un’organizzazione della produzione incapace di intervenire tempestivamente, e trovare, perciò, una soluzione ai difetti di produzione bloccandoli alla fonte. Entrambi tentano di farlo attraverso un sostanziale riavvicinamento della funzione umana (del ruolo del lavoro vivo) al processo lavorativo. Il sistema Toyota quindi “meno sprecone” e più capace di adattarsi al mercato, richiede un attento gioco di squadra da parte di tutti, richiede soprattutto un ambiente sociale assolutamente collaborativo.
  • 27. 23 Fig. 1.10 “La casa lean” Fonte: Immagini internet 1.3. Il processo produttivo nel sistema Toyota Il perseguimento del tendenziale azzeramento delle scorte, in maniera tale da ridurre i costi di produzione e, quindi, favorire incrementi di produttività evitando di fare ricorso alle economie di scala tipiche della produzione fordista, si esprime strutturalmente nella linearizzazione del layout di fabbrica.5 Un sistema di fabbricazione a “flusso monopezzo” 5 Caputo P., «Lavorare in team alla Fiat. Da Melfi a Cordoba», ImmaginaNapoli, Pozzuoli, 2004, p. 17
  • 28. 24 (Shingo, 1985), orientato e guidato dal principio del just in time. Quest’ultimo implica la tendenziale realizzazione degli obiettivi zero scorte e zero difetti, tanto dei componenti provenienti dall’esterno (dai fornitori), quanto di quelli in processo di lavorazione lungo la linea, così da mantenere “teso” il flusso produttivo e ridurre i costi determinati dal capitale circolante. Secondo tale principio è necessario che, sempre e in tutti i punti della linea di produzione, le parti vengano prodotte nella quantità di fatto richiesta dalla successiva fase di lavorazione. Come si può facilmente constatare, il sistema di produzione Toyota si muove all’interno di una logica operativa diametralmente opposta rispetto a quella del sistema fordista, in cui la lavorazione sequenziale di ogni singolo prodotto era limitata soltanto alle operazioni di assemblaggio finale, quest’ultima si basava su una produzione a lotti, e pertanto, sui vantaggi derivanti dalle economie di scala, che favoriva però riserve di materiali, che si traducevano necessariamente in incrementi nei costi di produzione. Il sistema di produzione Toyota invece, punta sullo snellimento dell’intero processo produttivo, sia per quanto riguarda la struttura organizzativa interna all’azienda madre sia per quanto concerne i rapporti con le imprese fornitrici, linearizzando il ciclo di fabbricazione e operando attraverso l’integrazione sinergica con i fornitori stessi, generando così un disegno organizzativo più ampio di “fabbrica integrata”. Il sistema produttivo così organizzato, tuttavia, presenta un’estrema fragilità strutturale. Il nuovo apparato produttivo linearizzato, pur prevedendo e consentendo potenzialmente la massima flessibilità dei risultati e la minimizzazione del tempo di attraversamento del prodotto
  • 29. 25 in formazione (cioè la realizzazione di elevati tassi di produttività), implica nel contempo un’elevata vulnerabilità, ogni problema imprevisto, disfunzione, che si verifica in un punto qualsiasi del flusso produttivo tende a diffondersi sull’intera struttura. L’ambivalenza intrinseca del processo produttivo linearizzato è stata raffigurata da Bonazzi (1993) con l’efficace metafora del “tubo di cristallo”. In effetti, descrivere la nuova organizzazione della produzione attraverso l’immagine di una forma lineare semplice quale quella del tubo, significa richiamare alla mente concetti di essenzialità, agilità e rapidità di attraversamento. Paradossalmente, però, la struttura del tubo evoca contemporaneamente idee di rigidità e di precisione, infatti, per perseguire la massima flessibilità dei risultati è indispensabile rispettare alcune rigidità di processo. Al suo ingresso il tubo è potenzialmente aperto alla domanda del mercato, inoltre l’ordine in cui disporre il mix produttivo può essere il più vario possibile, ma poi le pareti del tubo si presentano rigide. In altri termini, una volta deciso il mix, la sua sequenzialità deve essere rispettata lungo tutta la linea fino all’uscita dal tubo. Inoltre, tempi morti, ricircoli di materiale e inversioni d’ordine sono problemi sistemici da prevenire e, nel caso in cui insorgano, rimuoverli il più presto possibile. Le condizioni di fragilità della produzione, derivanti dalla concatenazione lineare “a flusso teso”, sono state affrontate attraverso la cellularizzazione del processo produttivo, la flessibilizzazione del lavoro e puntando su pratiche manageriali di gestione delle risorse umane dirette a indurre la responsabilizzazione e l’attivazione dei lavoratori nella realizzazione delle performances assegnate. A fronte della rigidità del layout linearizzato è stata realizzata la scomposizione “cellulare” del processo produttivo in “team o lavoro di
  • 30. 26 squadra” , che costituisce un’unità di lavoro deputata a portare a termine in maniera relativamente autonoma, grazie al coordinamento e alla direzione del proprio team leader, la produzione programmata di specifici segmenti del processo di fabbricazione. Fig. 1.11 Un esempio del modello snello di micro-organizzazione del team operaio. Organizzazione senza team operaio, organizzazione basata su team operaio Fonte: L. Pero, Taylor e Ford, World Class Manufacturing, 2008 L’organizzazione è strutturata in maniera tale da prevedere la presenza diretta, sulla linea, anche di alcune figure specialistiche (tecnologi, manutentori, ecc.) che nella fabbrica fordista erano relegate negli uffici. Fig. 1.12 Le diverse figure specialistiche Fonte: L. Pero, Taylor e Ford, Wor Class Manufacturing, 2008
  • 31. 27 Dal canto loro, gli addetti di linea, oltre a svolgere le tradizionali attività manuali di fabbricazione, devono effettuare un’ulteriore serie di operazioni tradizionalmente appartenenti a funzioni di staff, come il controllo di qualità, la manutenzione ordinaria degli strumenti di lavoro, la prevenzione di guasti tecnici, il problem-solving. Gli operai presentano caratteristiche di polivalenza esecutiva in quanto, per il principio della rotazione, devono essere in grado di operare su differenti postazioni di lavoro. Fig. 1.13 Gli operai possono ruotare sulle postazioni Fonte: L. Pero, Taylor e Ford, World Class Manufacturing, 2008 Il prerequisito strutturale di base affinché i lavoratori possano operare in maniera sinergica risiede nell’evitare di creare “isole isolate”, cioè postazioni di lavoro reciprocamente separate. “Se i lavoratori sono troppo lontani l’uno dall’altro, non possono aiutarsi reciprocamente, si producono disfunzioni e la produttività ne risente negativamente. Ma se le funzioni lavorative sono combinate attraverso linee multifunzionali e se la distribuzione del lavoro e delle postazioni sono studiate correttamente, allora l’organizzazione del lavoro può raggiungere la
  • 32. 28 massima efficienza, i lavoratori possono cooperare tra loro e il loro numero può essere ridotto”(Ohno, 1993). Fig. 1.14 Le “Isole isolate” Fonte: L. Pero, Taylor e Ford, World Class Manufacturing, 2008 1.4. La struttura organizzativa della Fabbrica Integrata L’insieme di questi orientamenti, sul flusso di produzione e sulla partecipazione attiva del lavoro, ha prodotto anche un disegno più ampio di «fabbrica integrata». Si può dire che nella fabbrica integrata l’innovazione non riguarda solo l’area della produzione dei beni, ma tutte
  • 33. 29 le aree funzionai e il rapporto di fornitura con le altre imprese, si ha il passaggio “dalla centralità delle funzioni a quella dei processi”. L’importanza assunta dall’integrazione tra funzioni e unità produttive è dovuta al nuovo principio per cui la frontiera dell’efficienza operativa viene raggiunta anche con una riduzione significativa dei tempi di progettazione e di ingegnerizzazione del nuovo prodotto (time to market) e di attraversamento dei prodotti (lead time).6 La differenziazione dei gusti e la conseguente necessità di fornire con frequenza ai consumatori sempre nuovi modelli fa sì che la riduzione dei tempi dalla progettazione al lancio sul mercato del nuovo prodotto risutino fondamentali. Lo stesso fenomeno implica la capacità di dare in tempi brevi il modello richiesto dal cliente. Di qui l’importanza dei tempi di attraversamento, fuori e dentro a fabbrica, dei componenti, di sub prodotti e del prodotto finale senza incorrere in eccessive attese dei materiali o in fermate per rottura di impianti. Di conseguenza sia il time to market che i lead time con il flusso teso di produzione e la riduzione delle scorte richiedono in primo luogo una maggiore integrazione ed una più stretta collaborazione tra azienda e fornitori. In pratica, nella fabbrica integrata il management delega ad aziende fornitrici, definite capo filiera, la produzione, la gestione, e anche la co-progettazione di componenti complessi, dando loro anche il potere di controllo sulle altre aziende fornitrici ai livelli più bassi. Secondo questa prassi, definita dalla letteratura «outsourcing» o «esternalizzazione», i fornitori operano secondo una logica di partnership con l’azienda e il loro coinvolgimento incide ormai per il 70% circa sul prodotto finale. 6 Fortunato V., Della Rocca G., «Lavoro e organizzazione. Dalla fabbrica alla società postmoderna», cit., p. 62
  • 34. 30 Cambia anche la distinzione delle funzioni tra line e staff, ovvero il nucleo operativo e la tecnostruttura. Nella fabbrica snella integrazione tra l’integrazione tra line e staff si ottiene tramite lo slittamento verso il basso degli staff, il baricentro del nuovo modello organizzativo si sposta dagli uffici alle officine. Con questo passaggio si realizza un appiattimento della struttura gerarchica dell’organizzazione aziendale. I tecnici e gli ingegneri vanno in officina, affiancano gli operai di produzione quando intervengono anomalie o per migliorare la qualità o ancora per definire i tempi, i programmi, le priorità di consegna mentre il prodotto è in produzione. Così come i manutentori si integrano nelle squadre e per buona parte non risiedono più in reparti separati. Mentre i precedenti comportamenti legati al modello tayloristico gerarchico-funzionale prevedevano di portare i problemi operativi su e giù, lungo la gerarchia dell’organizzazione, strutturata per funzioni. La nuova logica è quasi opposta: prevede che i problemi siano risolti là dove si originano e da chi li ha visti crescere e ha la competenza professionale per risolverli. Il cuore della Fabbrica Integrata è rappresentato dalla Ute (Unità tecnologica Elementare) che rimpiazza, nel nuovo modello, i gruppi di lavoro tradizionali. Queste presentano, così come le Unità Operative, una struttura cellulare in quanto integrano al loro interno una pluralità di funzioni interconnesse (fabbricazione, presidio degli impianti, controllo della qualità, gestione dei materiali e dei componenti in entrata) necessarie a gestire un “segmento compiuto” del processo produttivo. All’interno dello stabilimento ci sono 35 Ute suddivise all’interno di quattro Unità Operative (il risultato dell’evoluzione delle vecchie Officine) che rappresentano delle strutture indipendenti ed omogenee dal punto di vista sia tecnico che logistico. La finalità dell’Unità
  • 35. 31 Operativa consiste nel garantire la realizzazione del programma di produzione al minimo costo di trasformazione e ai livelli di qualità e servizio previsti, di garantire la manutenzione dei mezzi di lavoro e lo sviluppo di adeguati obiettivi di prevenzione/ miglioramento continuo del processo / prodotto di competenza. In base al percorso seguito dalla vettura, dal suo ingresso in fabbrica fino alla verifica finale nel piazzale, le Unità Operative si dividono in: Stampaggio, Lastratura, Verniciatura e Montaggio. In particolare Stampaggio, Lastratura e Verniciatura, sono aree ad alta automazione, cioè aree in cui prevale la componente tecnologica rispetto al fattore umano, in contrapposizione al Montaggio che è quasi esclusivamente caratterizzato dal tocco umano. L’Unità Operativa include al suo interno due distinte funzioni: la “Produzione” e “l’Ingegneria di Produzione”. Dalla prima dipendono direttamente sia la Programmazione e la Gestione Materiali, con compiti di programmazione della produzione e controllo del rifornimento del materiale diretto, sia la Gestione Operativa, che si occupa del presidio delle attività finalizzate alla realizzazione dei programmi produttivi assegnati e del bilanciamento delle risorse umane e dei servizi di supporto alla produzione. L’Ingegneria di Produzione invece ha il compito di garantire la funzionalità tecnico produttiva globale del sistema, si occupa dell’avviamento dei nuovi prodotti e delle relative variazioni, del controllo e del miglioramento dei tempi, dei cicli e dei metodi di trasformazione e dell’assistenza specialistica alle strutture produttive. In questo lavoro si avvale dei servizi di Manutenzione, Servizi Tecnici (che comprendono i Tecnologi di linea e i Tecnologi specialistici), Tecnologia di prodotto / processo (grosso modo corrispondente al vecchio Ufficio
  • 36. 32 Metodi) e Utilizzo Fattori (a grandi linee corrispondente al tradizionale ufficio Analisi Lavoro). L’ effetto più vistoso della nuova struttura organizzativa è la riduzione dei livelli gerarchici che, dai quattordici degli anni Settanta (sette responsabili più sette vice), passano a cinque. In particolare vengono eliminati i ruoli di vice-capo Officina e di capo Reparto. Scendendo lungo l’organigramma dello stabilimento, al cui vertice è posto il Direttore, troviamo il Capo Unità (uno per ogni Unità Operativa), quindi il responsabile della Produzione (che si occupa anche della gestione tecnica dei materiali, oltre che del processo) e, al livello successivo, il Gestore Operativo. Quest’ultimo rappresenta il livello gerarchico immediatamente superiore al capo Ute. Il team della Ute è composto mediamente da un minimo di 12 ad un massimo di circa 100 lavoratori, senza una netta formalizzazione dei ruoli tra i vari componenti. La logica prevalente è quella del problem-solving, dell’auto-attivazione dei lavoratori e dell’apprendimento continuo nello svolgimento del processo produttivo. Il lavoratore viene addestrato per compiere diverse attività, per conoscere tutta la sua Ute, e avere un quadro generale. Si tratta sempre di monitorare dei particolari, l’operazione di per sé non cambia, però cambiano ogni giorno i particolari ed il modo di lavorare. Se questo è positivo, perché non genera stress da ripetizione, dall’altro lato genera una forma di stress che si potrebbe definire da apprendimento o cambiamento. Le figure più importanti della Ute sono: - Il responsabile di Ute (o capo Ute) è il leader del team, deve gestire le risorse umane ed assicurare il raggiungimento degli obiettivi di produzione, qualità e costi della Ute di sua competenza. Rientrano nelle mansioni compiti quali la gestione delle rotazioni sulle postazioni, la
  • 37. 33 valutazione delle skills individuali, delle performance dei lavoratori, la concessione dei permessi, ecc., documentate attraverso la Gestione a Vista. È importante sottolineare come gran parte del lavoro del responsabile di Ute avvenga secondo la logica della prevenzione, cioè operare in modo tale da evitare che il problema si possa verificare. Per ciascuna Ute ci sono tre responsabili, uno su ogni turno di lavoro. - Il Conduttore di Processo Integrato (Cpi) è uno dei principali collaboratori del responsabile Ute. Infatti l’eliminazione del ruolo di capo reparto ha determinato un ampliamento significativo delle funzioni del responsabile Ute. Pertanto, sebbene il Cpi non abbia, almeno in teoria, alcun autorità gerarchica sui lavoratori, egli dovrebbe assorbire parte della complessità organizzativa che emerge dalla linea di produzione e ridurre i carichi di lavoro del responsabile di Ute in termini di coordinamento e attività. I suoi compiti sono l’addestramento dei lavoratori alle diverse mansioni da svolgere all’interno della Ute, la prevenzione e il controllo sull’andamento della qualità. Nelle aree ad alta automazione alla figura del Cpi si sovrappone quella del Conduttore di Impianto Automizzato (Cia) con compiti di controllo degli impianti e di verifica della conformità del prodotto.7 - L’addetto di linea è l’operaio, una figura che nella Fabbrica Integrata si arricchisce di nuovi compiti e nuovi significati. Infatti, il suo ruolo non è più semplicemente quello di mero esecutore di compiti definiti da altri, bensì è promotore attivo del miglioramento e della prevenzione. - Il tecnologo di Ute fa capo all’Ingegneria di Produzione, ma risponde funzionalmente al responsabile di Ute. Il suo compito è quello di 7 Negrelli S., «Prato verde, prato rosso. Produzione snella e partecipazione dei lavoratori nella Fiat del duemila», Rubbettino Editore, Catanzaro, 2000, p. 76
  • 38. 34 assicurare il mantenimento dell’efficienza tecnica ed economica degli impianti. Tra le altre figure organizzative che, pur non facendo direttamente parte della Produzione, intervengono all’interno della Ute, ci sono: - Il manutentore, che opera alle dipendenze dell’Ingegneria di produzione, ha il compito di prevenire l’insorgere di anomalie nel funzionamento degli impianti e di assicurare il ripristino nel minor tempo e nel miglior modo possibile. Il manutentore non è posizionato direttamente sulla linea, ma in apposite aree dedicate al fine di consentire sempre rapidità di intervento. L’attività di manutenzione avviene, inoltre, in modo programmato nel tempo che intercorre tra un turno e l’altro. - il rifornitore di Ute si occupa di tutto ciò che riguarda l’approvvigionamento dei materiali nel tipo e nelle quantità richieste per la produzione, secondo la logica del just in time. Il suo ruolo è di fondamentale importanza per assicurare il corretto e regolare funzionamento delle attività della Ute. Un punto di raccordo tra Ute e Unità Operativa è costituito dal team tecnologico, che rappresenta fondamentalmente un gruppo di problem- solving, si riunisce nel momento in cui insorgono specifiche emergenze o problemi tecnici e organizzativi nelle Ute o, più in generale, al fine di ricercare soluzioni ed innovazioni per miglioramenti complessivi dei processi. Tutti gli aspetti poi che riguardano da vicino le attività ed il personale della Ute (rotazioni sulle postazioni, skills individuali, assenteismo, dati sulla produzione, ecc.) sono documentati e gestiti attraverso il sistema della Gestione a Vista (GAV), una tecnica che consiste nel raccogliere e nel rendere disponibili a tutti i componenti del team (sotto forma di grafici e tabelle esposte nella Ute) le informazioni relative ai parametri
  • 39. 35 fondamentali del processo produttivo in modo da far fronte tempevistamente, ed in modo flessibile, a qualsiasi evenienza. Unitamente alla GAV, le Proposte di Miglioramento Continuo (PMQ) rappresentano lo strumento principale per valorizzare la risorsa umana creando motivazione e coinvolgimento. In particolare, il sistema delle PMQ si basa sul contributo attivo dei lavoratori che, a fronte di proposte di miglioramento della qualità del prodotto, di facilitazione dell’attività lavorativa, di riduzione dei costi relativi a materiali e/o energia, di migliore efficienza degli impianti, ricevono un premio in denaro. Le proposte devono essere presentate al responsabile di Ute che, insieme al team di Ute, verifica l’effettiva realizzabilità della proposta, sulla base di criteri economici, tecnico-produttivi, organizzativi e qualitativi. Nell’ottica del coinvolgimento e della partecipazione dei lavoratori rientrano anche le cosiddette riunioni del team di Ute, alle quali partecipano tutti i componenti del team, allo scopo, di affrontare e discutere i vari problemi che, nel corso di un’attività così complessa e difficile, si possono presentare e per discutere degli obiettivi (qualità, costi, produzione) che si devono raggiungere. L’organizzazione del management all’interno della fabbrica vede al vertice il direttore dello stabilimento, dal quale dipendono gli Enti di Staff (Personale e Organizzazione, Amministrazione) e, sullo stesso livello, i responsabili delle quattro Unità Operative che, insieme, compongono il team direzionale. Il responsabile del Personale è impegnato su molti fronti e deve gestire quotidianamente problemi di diversa natura a livello dell’intero stabilimento, secondo una logica che non vede più la funzione del personale come la risultante di funzioni specialistiche tra loro indipendenti, bensì come attività connesse e coerenti con
  • 40. 36 l’organizzazione e le strategie generali dell’impresa. Nello svolgimento della sua attività, il responsabile del Personale, si avvale di alcuni collaboratori, innanzitutto il responsabile delle Relazioni Sindacali ed il responsabile del settore Sviluppo e Organizzazione, con competenze anche in materia di formazione. Sono inoltre alle sue dipendenze il responsabile per la sicurezza dello stabilimento, il responsabile per l’amministrazione del personale e il responsabile della sala medica. All’interno del quattro Unità Operative, il Personale è rappresentato dalla figura del Repo, cioè del Responsabile del Personale di Officina. I Repo dipendono funzionalmente dall’uomo delle Relazioni Sindacali, ma gerarchicamente dal responsabile del Personale. Il Repo rappresenta il capo del personale all’interno della sua Unità e, in quanto tale, deve affrontare tutti i problemi che derivano dalla gestione della risorsa umana. Egli è inoltre, il referente naturale della Rsu in caso di problemi con i lavoratori.
  • 41. 37 Fig. 1.15 Organizzazione della “Fabbrica Integrata” Team leader Team operaio Fonte: Propria elaborazione Direzione Amm. e controllo Personale e Organiz. Qualità Sistemi Utilizzo fattori Acquisti Servizi generali Unità operativa Ingegneria di produzione Produzione Definizion e Prodotto procedure Manutenz ione Tecnologia specialistica Tecnologia di linea Gestione operativa Planning/ gestione materiali Responsabile UTE
  • 42. 38 1.5. Le Risorse umane e le relazioni industriali nella lean production Sembra ormai largamente diffusa la convinzione che i nuovi sistemi di “produzione snella”, che si vanno diffondendo in modo sempre più esteso anche nelle imprese occidentali dopo aver determinato il successo del capitalismo giapponese, abbiamo effetti sostanzialmente positivi sul lavoro e sui lavoratori, sollecitando in quest’ultimi un coinvolgimento quasi naturale e un senso di maggior lealtà verso le direzioni aziendali. Il legame stretto tra lean production e partecipazione attiva dei lavoratori costituisce del resto il fondamento dello “spirito Toyota”. La convinzione relativa al necessario coinvolgimento del lavoratore nella lean production è stata rafforzata soprattutto dai risultati di quella che può essere considerata l’analisi comparata più completa sullo sviluppo della produzione snella, sintetizzata nel libro di Womack, Jones e Roos, “The Machine that Changed the World”(1990). Tale analisi costituisce un contributo fondamentale alla descrizione dell’evoluzione dei sistemi produttivi e dell’organizzazione del lavoro nel settore dell’automobile, nelle tre fasi della produzione artigianale, di massa e snella. La prima, fa ricorso a lavoratori specializzati e a tecnologie generiche e flessibili, realizza produzioni su scala ridotta, secondo i desideri del consumatore, si caratterizza per strutture altamente decentrate e mercati concorrenziali. La seconda tende invece a sviluppare un’organizzazione del lavoro parcellizzata e utilizza addetti non qualificati o semi-qualificati, è basata su impianti costosi, dedicati e progettati per produrre quantità elevate, è realizzata in grandi stabilimenti che si caratterizzano per la loro struttura verticale, concentrata, e per le forti economie di scala, si afferma in mercati oligopolistici.
  • 43. 39 La produzione snella, introdotta dai produttori auto giapponesi, è in grado di combinare i vantaggi di entrambe, poiché riduce i costi della prima e le rigidità della seconda “utilizzando meno di tutto”, meno risorse, meno ore di progettazione, minor spazio produttivo e minori investimenti in impianti. Ricorre a lavoratori qualificati e motivati grazie ad una gestione strategica delle risorse umane e al concetto di azienda- comunità (Dore, 1987), realizza produzione diversificate e flessibili, che si adattano alle richieste della nuova domanda e crescita lenta e personalizzata, grazie ai metodi del just in time e della qualità totale. Sulla base di tale considerazioni, viene avanzata l’ipotesi centrale nel libro di Womack e colleghi che non esistano alternative alla produzione snella per i produttori americani ed europei. È la conferma empirica di uno scenario mondiale futuro orientato esclusivamente alla lean production. Va ribadito che lo studio di Womack e colleghi costituisce ormai il testo fondamentale da cui partire per un’analisi dell’evoluzione e degli scenari delle strategie e strutture aziendali, oltre che dell’organizzazione del lavoro e della gestione delle risorse umane nel settore mondiale dell’automobile. Anche se questo studio tende a ad essere accompagnato da critiche di determinismo o di edizione aggiornata del taylorismo che sono state da più parti avanzate (Kochan et al., 1997). In particolare i maggiori limiti che emergono dallo loro ricostruzione degli scenari futuri dell’industria dell’automobile derivano dalla adesione forse troppo ingenua e la non considerazione del peso delle relazioni industriali e dei rapporti di lavoro collettivi.
  • 44. 40 Fig. 1.16 “La macchina che ha cambiato il mondo” Fonte: S. Negrelli, Prato verde, prato rosso. “Produzione snella” e partecipazione dei lavoratori nella Fiat del duemila, 2000 Al superamento di entrambi questi limiti tendono i principali risultati di una seconda importante fase di ricerca comparata dell’International Motor Vehicle Program (IMVP) del MIT lanciata da Kochan e altri (1997), dopo quella di Womack e colleghi. In questa nuova indagine sugli effetti della lean production è stato dato maggior spazio al ruolo del contesto sociale e istituzionale e alle interazioni tra questo e le strategie aziendali, si sono osservate meglio le modalità di sviluppo dei sistemi di lean production che tendono ad affermarsi nei diversi paesi o modelli di capitalismo. Globalizzazione dei mercati Tecnologie automatizzate e flessibili Sistemi innovativi di gestione delle risorse umane Lean Production
  • 45. 41 Fig. 1.17 After Lean Production Fonte: S. Negrelli, Prato verde, prato rosso. “Produzione snella” e partecipazione dei lavoratori nella Fiat del duemila, 2000 L’oggetto di analisi sono diventate esplicitamente le relazioni industriali e la gestione delle risorse umane. Le ipotesi principali di scenario che emergono da questo secondo studio comparato del settore dell’automobile a livello mondiale riguardano da un lato la tendenza verso una certa complementarietà tra le pratiche innovative di gestione di risorse umane e quelle di relazioni industriali, e dall’altro lato l’evoluzione verso differenti tipi di lean production, e non di uno solo come sembrava prefigurare l’analisi di Womack e colleghi. Dallo studio di Kochan e colleghi risulta, ad esempio, che si potrebbero individuare almeno nove idel-tipi di produzione snella. Accanto a quella ormai classica “toyotista” largamente conosciuta (Ohno, 1978), vi sarebbero infatti molti altri tipi che si sono affermati fuori dal Giappone secondo le diverse combinazioni dell’idea originaria con i sistemi e le Globalizzazione dei mercati Tecnologie automatizzate e flessibili Contesto sociale e istituzionale Pratiche innovative di relazioni industriali e di gestione delle risorse umane Vari tipi di Lean Production
  • 46. 42 tradizioni nazionali e locali. La ricerca comparata dell’IMVP consente di fare un’ulteriore passo avanti nella definizione di modelli evolutivi di relazioni industriali abbinando all’evoluzione dell’organizzazione della produzione l’evoluzione dei sistemi di contrattazione collettiva. Se nella produzione artigianale prevaleva il sindacato di mestiere e la regolamentazione sindacale unilaterale, con la produzione di massa si affermano i sindacati industriali, la contrattazione collettiva e la rigida codificazione delle regole di lavoro. Alla produzione snella sembra accompagnarsi invece un modello di contrattazione collettiva che da “normativo” diventa “partecipativo”.8 Ovvero tendono a costituirsi gruppi di lavoro e comitati paritetici “problem-solving”, la dimensione individuale dei rapporti di lavoro e le iniziative di gestione strategica delle risorse umane possono crescere spesso accanto e non solo in alternative alle relazioni industriali e ai rapporti collettivi. Il problema delle relazioni industriali e della gestione delle risorse umane nell’auto, nelle imprese occidentali in questa fase di transizione della produzione di massa alla lean production sembra dunque essere soprattutto quello di ricostruire una base di fiducia tra impresa, sindacati e lavoratori. Un modello partecipativo di rapporti di lavoro sia da parte dei lavoratori e si da parte dei sindacati. Per quanto riguarda i lavoratori, la partecipazione diretta di quest’ultimi, nei gruppi problem-solving, nei sistemi di qualità totale o nei team di lavoro, dipende essenzialmente dalla capacità manageriale di sviluppare adeguate politiche di gestione delle risorse umane, in termini 8 Negrelli S., «Prato verde, prato rosso. Produzione snella e partecipazione dei lavoratori nella Fiat del duemila», cit., p. 18
  • 47. 43 di formazione, sicurezza del posto di lavoro, valorizzazione e ricompense (Heller et al., 1998; Barton, Delbridge, 2000). A tal proposito, nelle esperienze occidentali di implementazione del modello lean production giapponese, l’enfasi è posta sull’adozione delle strategie comunemente denominate Human Resource Management (HRM), le cui origini devono essere ricercate negli Stati Uniti, già a partire dagli anni Settanta, quando il management ha cercato di sviluppare un nuovo approccio gestionale ed organizzativo delle risorse umane. L’elemento chiave, assunto, interpretando l’esperienza giapponese, è stato quello di cercare una “comunicazione diretta” con il lavoratore con l’intento di stabilire in contratto individuale alle volte associato ad una strategia di marginalizzazione del sindacato. Alto elemento chiave è stato il coinvolgimento del management strategico dell’organizzazione mettendo in luce l’importanza del Hrm e gli aspetti fondamentali della motivazione, del commitment, della formazione dei lavoratori per il successo del business dell’impresa. Non sono state fatte analisi comparative approfondite su questo aspetto, ma il tentativo di comunicazione diretta con il singolo lavoratore è avvenuto in modi differenti. Storey (1992) distingue una versione forte e una versione debole del Hrm. Mentre la versione forte rappresenta un approccio distintivo nella gestione del lavoro, la versione debole rappresenta, invece, un termine diverso per connotare la tradizionale gestionale del personale. Secondo Storey, all’interno della visione forte possiamo ulteriormente distinguere una versione hard e una versione soft del Hrm. Nella versione hard l’enfasi è posta sul lavoro come risorsa al pari degli altri fattori produttivi da utilizzare in modo razionale. La versione soft, invece, pone l’accento
  • 48. 44 sul termine human, cioè sui lavoratori come individui che devono essere opportunamente stimolati e integrati all’interno della logica aziendale. Per l’implementazione del HRM sono considerati, inoltre, come condizioni importanti, la localizzazione in un ambiente green-field, la presenza di manager esperti, una forza lavoro non sindacalizzata, attentamente selezionata e priva di cultura industriale, l’incentivo di trovare una occupazione. Quindi, come evidenziano Bean (1994) e Storey e Bacon (1996) i valori che sottointendono all’approccio HRM sono direttamente riconducibili a una visione unilaterale e individualistica piuttosto che al collettivismo dell’impresa come comunità e come sistema di relazioni industriali partecipate. Tuttavia esistono importanti differenze tra la visione statunitense del HRM e le forme adottate in altri paesi, soprattutto europei. Infatti, mentre negli Stati Uniti l’adozione del HRM è stata accompagnata dalla marginalizzazione del sindacato, in altri paesi, ad esempio la Gran Bretagna e l’Italia, si è optato per una visione neopluralista (Keenoy 1990), sulla quale si sono adottati una serie di accordi consensuali. Sicuramente non ci troviamo di fronte ad una nuova era nella gestione del personale caratterizzata da una “umanizzazione” del lavoro, dall’autonomia decisionale dei lavoratori, da relazioni di “fiducia”, e così via, tuttavia, non è sufficiente né corretto trarre la conclusione, che l’HRM possa essere interpretato soltanto come mera ideologia manageriale. Il problema, consiste piuttosto nel cogliere i nessi che legano il controllo sul lavoro e la gestione del personale, ossia la nuova logica che governa la struttura materiale e organizzativa del processo produttivo post-fordista nei suoi nessi con la gestione delle risorse umane e le relazioni industriali. In altre parole, è la natura stessa del controllo ad essere cambiata, divenendo meno arbitraria e più sistemica.
  • 49. 45 La fabbrica snella, richiede conoscenze allargate, capacità di relazione, disponibilità al lavoro di gruppo, responsabilizzazione e si basa soprattutto sulla valorizzazione delle competenze e degli skills della forza lavoro quale “risorsa organizzativa” strategica in grado di generare competitività all’interno di un sistema lean intrinsecamente fragile, privo di quelle risorse “cuscinetto” che rappresentavano la difesa migliore dell’organizzazione fordista tradizionale (scorte, magazzini, ecc.). Il lavoro, per così dire si “intellettualizza”, si “mentalizza”, pur rimanendo lavoro vivo faticoso. Il lavoratore, oltre ad essere saturato in maniera più intensa e razionale (“integrata”), deve fornire un apporto ulteriore, cioè un contributo attivo che si esprime in attività quali l’autocontrollo della qualità, la segnalazione tempestiva di anomalie, i suggerimenti e le proposte di miglioramento, lo sviluppo e l’approfondimento della cooperazione produttiva, l’aiuto reciproco. Occorrono quindi “meccanismi” di motivazione al lavoro e di dominio sul lavoro, orientati a combinare efficienza e consenso, che generalmente si differenzia a seconda dei differenti contesti istituzionali, sociali, di strategie aziendali, sindacali. Per quanto riguarda poi il grado di coinvolgimento delle relazioni industriali, queste si configurano non in maniera univoca dovunque, ma si sviluppa in contesti territoriali diversi. Nel caso del Giappone si manifestano in modo peculiare, cioè sono parti integranti, viene utilizzata una cooperazione labour-management allo scopo di implementare le strategie aziendali, nel contesto statunitense vi è un modello di relazioni industriali di tipo giapponese ma tutto ciò avviene senza un reale coinvolgimento del sindacato e, soprattutto, senza garanzie occupazionali, questa versione della lean production enfatizza il ruolo chiave del management, ma ignora aspetti considerati centrali per i
  • 50. 46 lavoratori quali, ad esempio, la sicurezza occupazionale, la crescita dei salari, le promozioni, la risoluzione delle controversie, la rappresentanza degli interessi. Nei paesi europei si ha l’adozione di strutture e comitati paritetici management-sindacato che permettono ai lavoratori di essere rappresentati ad ogni livello dell’organizzazione aziendale. Il tema più discusso che permette meglio di definire le differenze tra i paesi e possibili trend di sviluppo della contrattazione collettiva, è quello dell’accentramento-decentramento della struttura contrattuale.9 La differenza più evidente è quella che intercorre come abbiamo già accennato tra i paesi di tradizione anglosassone e anche il Giappone, maggiormente aperti, sia per condizioni strutturali che culturali al mercato, e i paesi dell’Europa continentale in cui le relazioni d’impiego sono maggiormente istituzionalizzate. Nel primo caso equivale quasi esclusivamente una struttura decentrata della contrattazione, i contratti si fanno solo a livello d’impresa, di unità produttiva se non anche a livello di singolo mestiere e danno luogo ad una variegata e diversificata crescita di norme formali e informali. La contrattazione decentrata ha gravi limiti di estensione e istituzionalizzazione. Nei paesi in cui l’unico livello contrattazione delle condizioni di lavoro è quello d’impresa, i dipendenti di molte aziende, in cui il sindacato non è presente o non è riconosciuto come agente negoziatore, sono esclusi dai benefici della contrattazione collettiva. Il grado di istituzionalizzazione è piuttosto basso, lasciato alle convenzioni o ai rapporti di forza contrattuali tra le parti. La contrattazione decentrata segue più di quella centralizzata, la logica della flessibilità rispetto al 9 Fortunato V., Della Rocca G., «Lavoro e organizzazione. Dalla fabbrica alla società postmoderna», cit., p. 161
  • 51. 47 mercato. Ciò che il livello decentrato perde in estensione e istituzionalizzazione, lo guadagna in incisività e in coinvolgimento della base sindacale. Incisività significa capacità della rappresentanza sindacale di contrattazione degli incentivi, orari, mobilità, carriere e di tutti quegli aspetti inerenti le specifiche condizioni di lavoro. Coinvolgimento significa, invece, elevata partecipazione della base alla contrattazione sia attraverso i delegati di fabbrica, eletti quasi sempre direttamente dai lavoratori, sia attraverso rappresentanti delle sezioni sindacali territoriali. Nel secondo caso, quello dei paesi dell’Europa continentale, il grado di accentramento è maggiore, prevalgono gli accordi nazionali su quelli decentrati. La contrattazione risponde principalmente a fattori di tipo politico solidale, prevalgono dimensioni quali l’estensione della contrattazione alle condizioni di lavoro e dei sistemi di assistenza sociale a tutti i lavoratori, l’istituzionalizzazione di regole e procedure che definiscono in maniera rigorosa e stabile il processo contrattuale attraverso il legislatore o il contratto collettivo interconfederale o nazionale. La centralizzazione ha segnato il periodo dell’industria di massa e della grande impresa grazie alla “contrattazione nazionale di categoria” che costituisce il perno intorno al quale è costruito, in questo caso, l’intero sistema di relazioni industriali. I contenuti del contratto riguardano tutti gli aspetti fondamentali delle relazioni di lavoro, dal salario minimo alla definizione dell’orario, dalle condizioni di lavoro in generale ai diritti sindacali. Il contratto ha un estensione che può variare a seconda del settore e il grado di istituzionalizzazione è piuttosto alto. Il coinvolgimento della base, delle rappresentanze sui luoghi di lavoro e dei sindacati locali, rimane parziale, così come l’adattamento alle specifiche condizioni di lavoro nelle diverse realtà produttive.
  • 52. 48 Il livello “interconfederale”o “intersettoriale” da luogo ad una maggiore centralizzazione rispetto alla contrattazione nazionale di categoria, riguarda i singoli aspetti della condizioni di lavoro o economico-sociali che interessano tutti i lavoratori indipendentemente dall’appartenenza ad uno specifico settore, prevede un’attività negoziale bilaterale, tra le principali confederazioni sindacali e associazioni imprenditoriali, oppure trilaterale con il coinvolgimento attivo dello Stato. Complessivamente la contrattazione interconfederale si caratterizza per un elevata estensione, centralizzazione e incisività (in quanto gli accordi interconfederali possono essere trasformati in leggi dello Stato). Al contrario, si ha un basso livello di coinvolgimento, soprattutto delle strutture decentrate del sindacato e delle associazioni imprenditoriali, nella definizione e gestione degli accordi. Contratto collettivo nazionale di lavoro e accordi interconfederali sono considerati da tempo la migliore espressione di un sistema di cittadinanza e di gestione paritetica del mondo del lavoro. Lo sono proprio perché, a differenza della contrattazione decentrata, consentono la massima estensione nella tutela dei lavoratori e l’istituzionalizzazione delle relazioni tra sindacati e imprenditori. Il contratto nazionale definisce le condizioni minime per tutti i lavoratori e il tipo di disciplina nella regolamentazione dei rapporti di lavoro in ciascun settore. Quello interconfederale estende all’esterno dei luoghi di lavoro la tutela e la gestione congiunta di altre condizioni della vita del lavoratore. Questo modello centralizzato, tuttavia, incontra i propri limiti nell’adattarsi alle diverse condizioni economiche dei settori e delle imprese e allo tempo di rappresentare tutti i lavoratori. Con l’intensificarsi della concorrenza sui mercati, la contrattazione centralizzata e quella decentrata sono in parte in competizione per la
  • 53. 49 capacità di quest’ultima di essere più flessibile e di rispondere meglio ai cambiamenti. La contrattazione decentrata o d’impresa consente maggiore flessibilità, si adegua alle variazioni di mercato, permette un adattamento più facile delle condizioni di lavoro e delle retribuzioni, favorisce di fatto la forza lavoro delle imprese e dei settori più forti sul mercato. Tale rilievo assunto dal decentramento si accompagna a crescenti difficoltà di tutela generale della contrattazione centralizzata. Essa non riesce a tutelare tutti i lavoratori per la dispersione della struttura industriale in piccole imprese, per la nascita di un’economia dei servizi, per la crescita del lavoro precario e per il parziale declino del capitalismo organizzato e dell’intervento dello Stato. Il tema del decentramento viene letto da diversi punti di vista, Locke, Kochan e Piore (1995), ad esempio sottolineano l’importanza delle strategie competitive poste in essere dal management che guida i cambiamenti in atto nelle imprese. Non è più il sindacato dei diritti a condurre il gioco, ma sono le imprese. Di fatto, il decentramento è interpretato come un ribaltamento del successo del sindacato nell’usare la contrattazione centralizzata quale strumento per tenere i salari fuori dalla competizione tra imprese e di garantire, per quanto possibile, condizioni di lavoro uguali per tutti. Il decentramento è di fatto intervenuto in aree forti dell’economia e del mercato del lavoro con la tendenza, di una parte dei lavoratori, delle rappresentanze sui luoghi di lavoro e dei membri del sindacato, ad uscire dagli schemi troppo stretti ed egualitari della contrattazione nazionale. Katz (1993) individua tre possibili ipotesi per spiegare la tendenza verso il decentramento. La prima ipotesi considera il decentramento come risultato dell’aumento del potere manageriale, pertanto è una lettura basata su un ribilanciamento degli equilibri di poteri interni al
  • 54. 50 sistema di relazioni industriali. La seconda ipotesi sottolinea l’importanza della riorganizzazione del lavoro e delle tecnologie più flessibili che hanno portato management e organizzazioni sindacali a collaborare per gestire questo cambiamento. La terza, infine, focalizza l’attenzione sull’accresciuta diversificazione sia della struttura sia degli interessi dei lavoratori. La spinta al decentramento è legata alla pressione e all’incertezza del cotesto economico, al passaggio dai mercati di massa ai prodotti specializzati, al mutamento delle prestazioni e della natura del mercato del lavoro. Si tratta, quindi, di un decentramento di natura strutturale e di lunga durata. Alla luce di tutto ciò si solleva alcuni importanti interrogativi sullo sviluppo futuro delle relazioni industriali nel settore dell’automobile a livello mondiale. Attualmente il sindacato sta vivendo una fase di notevole trasformazione, cioè da organismo di tipo «conflittuale» a «sindacato partecipativo», e in particolare verso un «sindacalismo d’impresa». Per comprendere le trasformazioni in atto bisogna sottolineare come nella fabbrica lean la direzione aziendale stia utilizzando tecniche più o meno sofisticate di Human Resource Management (HRM) per incentivare e motivare adeguatamente la forza. Questi incentivi sono direttamente collegati alla fragilità della fabbrica lean, poiché la sua vulnerabilità aumenta qualora i lavoratori non prestano attenzione, e sono chiamati a risolvere i problemi in prima persona. La crescita del coinvolgimento individuale ha quindi importanti conseguenze in merito ai mutamenti nelle forme di resistenza dei lavoratori. In particolare, viene meno la logica della contrapposizione espressa tradizionalmente dallo sciopero, pur essendo formalmente previsto e riconosciuto dalla legge, è percepito dai lavoratori solo come ultima istanza, si ricorre allo sciopero solo quando tutti gli altri strumenti
  • 55. 51 predisposti per la risoluzione delle controversie non abbiamo prodotto l’esito desiderato. Tendono invece a manifestarsi nuove e più strategiche forme di resistenza operaia, quali ad esempio, l’inversione del controllo o della non partecipazione alle attività tipiche di miglioramento continuo. Tuttavia, se da una parte l’introduzione della lean production pone dei rischi all’azione sindacale, dall’altro offre nuove potenzialità per la rappresentanza collettiva dei lavoratori all’interno delle fabbriche. La logica della prevenzione può accrescere il potere del sindacato, in un sistema produttivo che si basa sul just in time, il sindacato può facilmente infliggere seri danni all’azienda attraverso l’azione organizzata e mirata di fermi delle linee produttive, di scioperi, oppure attraverso la semplice minaccia dello sciopero per aumentare il proprio potere contrattuale. Un ulteriore spazio per il sindacato deriva dal fatto che, anche a fronte di relazioni dirette tra management e lavoratori, sul fronte della contrattazione collettiva, possono cercare di ottenere salari più alti e maggiori benefici per i lavoratori della categoria, miglioramento delle condizioni di lavoro, con particolare attenzione alla salute ed alla sicurezza sul luogo di lavoro, alla gestione dei tempi e degli straordinari e allo stress psico-fisico legato all’intensificazione dei ritmi di lavoro. Il successo del sindacato è notevole proprio in virtù della stretta connessione esistente nella lean production tra performance economica aziendale e condizione (fisica e morale) del lavoratore. Quali tipi di sindacato e di relazioni industriali tenderanno ad affermarsi in Europa e negli Stati Uniti? Dal momento che ormai si ci sta dirigendo in modo irreversibile verso il decentramento della contrattazione collettiva e delle relazioni industriali (Katz, 1993) e verso la sempre maggior valorizzazione della gestione individuale delle risorse umane (Negrelli, Treu, 1995), quanto decentramento sono in grado di
  • 56. 52 sopportare i sistemi dell’Europa continentale, tradizionalmente più centralizzati di quelli anglo-sassoni? Qual è sarà il livello di complementarietà che tenderà a prevalere tra le relazioni industriali e la gestione delle risorse umane? Nelle imprese occidentali, flessibilità del lavoro, nuove forme di motivazione e di incentivazione, paghe legate ai risultati di qualità, produttività e redditività stanno portando a tipi differenti di combinazione tra rapporti collettivi e rapporti individuali di lavoro, che in alcune realtà sembrano orientate alla complementarietà mentre in altre più verso la competizione oppure l’antagonismo (Negrelli, 1995).
  • 57. 53 Capitolo 2 Il World Class Manufacturing come modo di lavorare 2.1. La nuova metodologia organizzativa: il “World Class Manufacturing” «World Class Manufacturing significa realizzare prodotti: più rapidamente….. meglio…. in modo più economico…. insieme» Sono molte le case automobilistiche che possono vantare modelli che sono più avanzati sul piano strettamente tecnologico, che dispongono di motorizzazioni più performanti, che vantano un’immagine più ricercata, che presentano tratti stilistici più sofisticati. Tuttavia non esiste alcuna casa automobilistica che abbia conseguito nel tempo i risultati della Toyota, sia in termini di espansione nelle quote di mercato che sotto il profilo economico-finanziario. Il fulcro su cui Toyota ha fatto e continua a far leva, per costruire la sua invidiabile posizione nell’arena competitiva dell’industria automobilistica, è rappresentato dall’attività di manufacturing. I suoi prodotti infatti sono realizzati con un altissimo livello di produttività e affidabilità, e nessuna casa automobilistica vanta un grado di soddisfazione della clientela paragonabile a quello della Toyota.
  • 58. 54 Per reggere la sfida competitiva non basta produrre automobili dalle linee accattivanti e di elevate prestazioni, bisogna essere in grado di assicurare alla clientela un rapporto qualità/prezzo, quello che in inglese viene indicato come money for value, migliore dei propri concorrenti.10 In questo panorama sempre più competitivo la Fiat Chrysler Automobiles si è posta l’obiettivo di costruire un “Fiat Production System” (FAPS), vale a dire un modello integrato, costituito da un’insieme di metodologie e strumenti la cui applicazione consente il miglioramento radicale delle prestazioni del sistema produttivo. Ciò permette di consegnare il prodotto al cliente nei tempi e nella qualità richiesti e di eliminare contemporaneamente le attività a non valore aggiunto e qualunque altro tipo di perdita di persone, impianti, materiali ed energia. Quest’ultimo deve conseguire i rigorosi standard internazionali, gli standard codificati dal “World Class Manufacturing”, che riguarda la competitività, questo nei diversi paesi in cui viene applicato, prende nomi diversi, dalla Lean Production (produzione snella), Value Management, Qualità totale. È una metodologia di organizzazione e di miglioramento continuo delle prestazioni della fabbrica, attraverso cui si riescono ad ottenere importanti vantaggi di competitività relativi a qualità, costi e tempi di risposta. L’aspetto più importante di questa impostazione è che il raggiungimento della qualità e dell’efficienza nascono dall’utilizzo di tecniche quali il Just in time, la Qualità totale e soprattutto dai suggerimenti migliorativi del personale che lavora nella fabbrica. 10 Volpato G., «Fiat Group Automobiles. Un’Araba Fenice nell’industria automobilistica internazionale», Bologna, il Mulino, p. 168
  • 59. 55 Entriamo del merito di queste tecniche, il Just in time significa fornire un servizio quando è effettivamente necessario, né prima, né dopo. Ciò richiede notevoli sforzi da parte di dipendenti, macchinari e materiali che devono essere perfetti e capaci di garantire i migliori risultati, per questo sono stati realizzati una serie di strumenti, quali ad esempio il Kanban, un sistema di controllo visibile, Jidoka, un processo per connettere ai macchinari sistemi a basso consumo, di avvio/spegnimento e di segnalazione, l’Andon, un sistema di preallarme, e così via. La vera essenza del Jit consiste nell’individuazione degli sprechi, e quindi nella loro eliminazione completa, in alternativa in una loro riduzione significativa. Il 90% degli sprechi aziendali complessivi sono attribuibili ai sistemi, ai metodi e ai processi che il management aziendale impone ai dipendenti. Tutto ciò implica quindi un cambio di mentalità in chi dirige l’azienda, occorre che i manager si rendano conto di essere non solo i responsabili delle possibili soluzioni, ma spesso anche la causa dei problemi. Per quanto riguarda la Qualità totale, la “International Standard Organisation”, ha introdotto una serie di standard qualitativi, il più recente nel 2000, genericamente chiamati ISO 9000. Tali standard sono costituiti da una serie di punti riguardanti gli elementi fondamentali di un sistema di base, questo ha avuto un impatto significativo e positivo sull’industria, anche se tuttavia non sono mancati gli aspetti negativi. Gli standard richiedono che un impresa nomini un manager o comunque un responsabile della qualità. Ciò ha comportato che la questione della qualità all’interno di un’azienda avesse una figura specifica, preposta a tale incarico, ma ha avuto anche l’effetto di concentrare la qualità solo in un determinato settore.
  • 60. 56 Il sistema della Qualità Totale (TQM), sviluppa processi produttivi talmente perfetti da rendere impossibili errori, e si differenzia rispetto ai precedenti sistemi tradizionali di controllo della qualità, in cui gli errori venivano riscontrati soltanto dopo che si erano verificati. La qualità non è quindi una caratteristica che può essere semplicemente aggiunta ad un prodotto, dopo che è stato realizzato, da un ispettore di qualità. La qualità viene attribuita ad un prodotto o servizio, soltanto durante le fasi di lavorazione. Questo processo inizia dal lavoro dei progettisti e continua lungo tutto il percorso produttivo aziendale, finchè il cliente finale non riceve il prodotto. Questa consapevolezza della qualità e del modo in cui tutti i dipendenti sono importantissimi per la qualità di base del prodotto, deve essere presentata allo staff, da parte di un management impegnato, che si preoccupa dell’azienda e dei sui clienti. Per l’eliminazione degli sprechi di un’azienda l’avvalersi di un team per la soluzione dei problemi è un elemento chiave in un approccio legato al modello World Class Manufacturing, uno dei mezzi più efficaci usati da questi gruppi di lavoro è la tecnica del “brainstorming”, che consiste nel riunire il team, individuando e definendo il problema da risolvere, e cercando di trovare il maggior numero possibile di idee che possano chiarire la questione. Nel realizzare i principi del JIT e del TQM importanti sono i suggerimenti migliorativi del personale, mentre prima si affidava essenzialmente all’automazione degli impianti la qualità della produzione motoristica e dell’assemblaggio delle autovetture, la stessa esperienza della Fiat ha poi mostrato che sia nelle lavorazioni tipicamente meccaniche, ma anche, nelle fasi di assemblaggio, il contributo del personale al raggiungimento del risultato è assolutamente fondamentale.
  • 61. 57 Il Wcm mostra tutta la sua potenzialità quando diventa un “abito mentale”, quando l’operaio guarda al suo lavoro in modo nuovo e si interroga su cosa può essere fatto per produrre meglio, con minore fatica, senza spreco. Esso viene promosso e sostenuto dall’alto, ma la sua realizzazione segue uno schema tipicamente bottom-up, cioè ogni problema viene normalmente affrontato dall’addetto che è più a contatto con la manifestazione del problema. I dipendenti vengono quindi attivamente coinvolti nell’azienda, questi non devono più soltanto fare ma anche pensare. Fig. 2.1 Le tre aree dei metodi del miglioramento continuo Fonte: L. Pero, Taylor e Ford, World Class Manufaturing, 2008 2.2.Strumenti e metodologie Il Wcm si basa su una varietà di strumenti, alcuni di questi anche complessi che richiedono competenze statistiche, ma l’essenza del Wcm è di procedere sistematicamente alla decomposizione dei problemi in problemi più semplici e di sviluppare accorgimenti per semplificare ogni
  • 62. 58 forma di controllo del funzionamento degli apparati, proprio per mettere ogni operatore in condizione di affrontare le problematiche del proprio lavoro. Il primo passo verso un sistema di World Class Manufacturing consiste nella piccola manutenzione, che inizia proprio dal tenere in ordine e pulito il proprio posto di lavoro. Sembra un dettaglio trascurabile, ma non è così, è solo il primo passo verso un addestramento a cogliere il manifestarsi di comportamenti anomali delle attrezzature e a studiare come ovviarli. Ad esempio nello stampaggio dei pannelli che costituiscono la carrozzeria di un automobile se un moscerino si appoggia al foglio piano di lamiera che sta per essere stampato da una pressa idraulica che esprime una forza di migliaia di tonnellate, l’impronta del moscerino, sottilissima, ma percepibile, si trasferirà sulla portiera o sul cofano di lamiera stampata. All’interno della Fiat, il FAPS (Fiat Auto Production System) è un modello integrato che ottimizza tutti i processi di produzione-logistica e che consente di attuare un miglioramento continuo dei fattori fondamentali, qualità, produttività, sicurezza, delivery. La sua applicazione consente al Management di concentrarsi sul miglioramento, invece di rincorrere i problemi quotidiani. Si pone l’obiettivo di raggiungere significativi risultati di efficienza e di soddisfazione del cliente, avendo come riferimento le metodologie applicate dalla migliore concorrenza, strutturate e definite nel World Class Manufacturing. Il Wcm realizzato alla Fiat viene quindi presentato come una matrice nella quale le diverse aree operative dello stabilimento, indicate come «pilastri», vanno monitorate sistematicamente per migliorare le prestazioni attraverso l’applicazione di una molteplicità di strumenti11 . Vi 11 «Metodi e strumenti per il Fiat Auto Production System», Fiat Group Automobiles, 2007
  • 63. 59 sono 10 pilastri tecnici e 10 pilastri manageriali o gestionali. I pilastri tecnici si riferiscono ad una precisa metodologia, i pilastri manageriali, sono di supporto ai criteri tecnici di pilastro, necessari per un’applicazione ottimale del sistema di produzione. Sono azioni che deve svolgere il coordinatore centrale del Team WCM (il WCM leader o il direttore di stabilimento), finalizzate a favorire l'impegno e l'auto- responsabilità dei vari preposti ai singoli pilastri di attività. Responsabilità che, applicando tecniche e metodi di gestione per obiettivi, consiste nel realizzare piani e progetti attraverso la diffusione di Know-How. Questi riguardano il “commitment”, cioè l’impegno, la motivazione coinvolgimento totale, vi è poi la cultura orientata al dettaglio. Fig. 2.2 I pilastri tecnici e manageriali Fonte: L. Massone, World Class Mnufaturing. Il percorso verso l’eccellenza Il percorso di evoluzione di ogni pillastro tecnico è vincolato a 7 steps. Prendiamo in considerazione, per motivi di semplificazione, il solo pilastro “Sicurezza”.
  • 64. 60 Fig. 2.3 Pilastro “Safety” (Sicurezza) Fonte: Metodi e strumenti per il Fiat Auto Production System, Fiat Group Automobiles, 2007 Safety Sicurezza Perché si fa Per soddisfare le esigenze degli addetti, assicurando il miglioramento continuo della sicurezza sul posto di lavoro. A che cosa serve • a ridurre drasticamente il numero degli incidenti • a sviluppare la cultura della prevenzione per quanto riguarda la sicurezza • a migliorare continuamente l’ergonomia del posto di lavoro • a sviluppare le competenze professionali specifiche Principali attività • audit interni periodici sulla sicurezza degli impianti • identificazione e valutazione dei rischi • analisi sistematica degli incidenti avvenuti • miglioramenti tecnici sulle macchine e sul posto di lavoro • formazione, addestramento e controllo
  • 65. 61 Fig. 2.4 I sette step del pilastro “Safety” (Sicurezza) Piena implementazione del sistema sicurezza Standard autonomi Ispezione autonoma (contromisure contro i potenziali problemi) Ispezione generale per la sicurezza (addestramento e formazione delle persone) Standard iniziali di sicurezza (lista di tutti i problemi) Contromisure ed estensione sulle aree simili Analisi degli infortuni e delle cause di infortunio Fonte: Metodi e strumenti per il Fiat Auto Production System, Fiat Group Automobiles, 2007 All’interno di ciascun pilastro possono essere utilizzati alcuni strumenti. Step 1 step 2 Step 3 Step 4 Step 5 Step 6 Step 7 Sette step della Safety
  • 66. 62 Fig. 2.5 Gli strumenti del World Class Manufacturing Fonte: Propria elaborazione Vi sono poi continue verifiche interne ("audit"), che costituiscono uno degli elementi per valutare, guidare e supportare l’applicazione di Fiat Auto Production System seguendo il percorso verso il World Class Manufacturing. Ha lo scopo di verificare l’avanzamento dei risultati e di indirizzare il management ad una applicazione corretta dei metodi del Sistema di Produzione, tramite i KPI (Key Performance Indicator) sulle seguenti aree tematiche: • Cost (costi) • Quality (qualità) 4M Techinque (machine- material-method-man) 5 “S”: separare, ordinare, pulire, standardizzare, sostenere e migliorare 5W e 1H: Who (chi), What (che cosa), Where (dove), When (quando), Why (perché), How (come) 5 WHYS (5 perché) AM Tag (Cartellino AM) Equipment ABC Prioritization (Classificazione ABC delle macchine) FMEA – Failure Mode ancd Effect Analysis (Analisi dei guasti e dei loro effetti Kanban (Cartellino)NVVA – Not Value Added Activity (Attività a non valore aggiunto) OPL – One Point Lesson (lezione su un punto) Poka Yoke (evitare l’errore) QA Matrix (la matrice assicurazione qualità) QM Matrix (la matrice manutenzione per la qualità) Six Sigma (sei sigma) Value Stream Map (mappa del flusso del valore) X Matrix (la matrice x SMED - Single Minute Exchange of Die (Attrezzaggio in un tempo inferiore ai 10 minuti)
  • 67. 63 • Productivity (produttività) • Safety (sicurezza • Human Resource (risorse umane) • Production System (sistema produttivo) • Delivery (livello di servizio) • Stock (scorte) A tal fine sono previsti sia autovalutazioni periodiche, realizzate dal management di stabilimento per il monitoraggio dell’avanzamento delle attività dei pilastri, sia valutazioni esterne, a cura di manager indipendenti, per la certificazione dei livelli raggiunti. Lo stabilimento viene valutato per ogni metodologia con un punteggio che varia da 0 a 5. La valutazione complessiva dello stabilimento viene riassunta in un indicatore chiamato Indice di Implementazione Metodologie (IIM), che può essere applicato anche a livello di Unità Operativa e di Ute. L’IIM si ottiene come somma di tutti i livelli raggiunti nell’implementazione di ciascuna metodologia. La valutazione, una volta verificata da parte di esperti esterni, porta lo Stabilimento all’assegnazione di specifici riconoscimenti (Bronzo 50 punti, Argento 65 punti, Oro 80 punti). Fig. 2.6 Il “sistema audit” Fonte: L. Massone, World Class Manufaturing. Il percorso verso l’eccellenza
  • 68. 64 2.3.L’implementazione del World Class Manufacturing Il modello del World Class Manufacturing, costituisce, un nuovo modo di guardare all’organizzazione, la sua implementazione è sempre un elemento cruciale. Il vantaggio del WCM è dato dal modo in cui lo si introduce in azienda e dai benefici che permette di ricavare. Mostreremo di seguito i 5 passi attraverso cui applicare un programma World Class: 1) Diagnostica dell’impresa È una verifica di tutti i settori chiave dell’impresa, il vantaggio di questa fase è l’individuazione delle priorità d’intervento all’interno dell’organizzazione, problemi che devono essere risolti rapidamente, ed è proprio già in questa fase che si hanno indicazioni concrete su come risolvere il problema. Al fine di ottenere migliori risultati , questa fase di diagnosi dovrebbe essere condotta da un consulente esterno, libero da pregiudizi, cioè da esperienze aziendali quotidiane o da preconcetti consolidati dall’operare da lungo tempo in impresa. 2) Consapevolezza e autovalutazione I programmi del WCM sono in genere guidati dalla direzione, questa deve avere una chiara visione di quello che implica il WCM, in modo da poterlo trasmettere al resto dell’impresa. I dipendenti devono comprendere a pieno i principi del WCM in modo da contribuire a migliorare il loro modo di operare in azienda. Una volta che tutta l’impresa è giunta ad una cognizione esatta dei principi di base del modello, potrà confrontare i risultati della fase diagnostica con il modello